Giancarlo Piccinni, sposato e padre di tre figli. Cardiologo, già alunno di don Tonino, è oggi presidente della Fondazione “don Tonino Bello”. Viviana Matrangola, figlia di Renata Fonte, architetto, già membro dell’Ufficio di Presidenza di Libera e responsabile di Libera Memoria nazionale e internazionale.
“Oggi – diceva don Tonino Bello, esperto e funambolo della lingua italiana – le parole sono diventate così multiuso che non puoi più giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono, […] un guaio che è capitato soprattutto ai termini più nobili; alle parole di serie A; a quelle cioè che esprimono i sentimenti più radicati nel cuore umano come pace, amore, libertà.”
Don Salvatore Leopizzi parroco e docente di Filosofia e storia a Gallipoli (Lecce), fin dal 1982 impegnato in Pax Christi, di cui è stato per molti anni consigliere nazionale. Amico e collaboratore di don Tonino Bello, è stato tra i testimoni nel suo processo di beatificazione.
PAROLE NOBILI Dizionario della nonviolenza a cura di Giancarlo Piccinni Viviana Matrangola Salvatore Leopizzi
Euro 5,00 (I.i.)
ISBN 978-88-6153-662-3
9 788861 536623
Una stessa parola può essere un seme luminoso di bene oppure un atomo opaco del male. Una pietra per costruire ponti o per innalzare muri, per edificare la casa dei sogni oppure caserme in cui sequestrare gli spartiti della verità e le ali della libertà. Questo agile strumento di lavoro potrà servire ai giovani a ritrovare il gusto di alcune parole nobili ma a rischio di usura, di fraintendimento e di oblio, a identificare meglio la parola Pace, la cui nobiltà va dalla A di audacia alla Z di Zeta passando dalla D di Danza e dalla S di Speranza. Sono pagine chiave intese come piste di partenza per ulteriori arricchimenti di pensiero affidati alla riflessione personale e di gruppo e alla rielaborazione attiva e creativa. Le parole così rigenerate potranno ancora fecondare i sogni diurni della speranza e dare respiro a più sana e conviviale umanità.
Antonio Bello a cura di Giancarlo Piccinni Viviana Matrangola Salvatore Leopizzi
Parole nobili Dizionario della nonviolenza
Indice
Premessa di don Salvatore Leopizzi 9 Introduzione 11 Dizionario 13 Appendice La pace: una scommessa per l’uomo di oggi 41 Bibiografia 51
Premessa
Segni fonici o grafici, le parole sono anche semi e atomi, pietre, lame e fili… Una stessa parola può essere un seme luminoso di bene oppure un atomo opaco del male. Una pietra per costruire ponti o per innalzare muri, per edificare la casa dei sogni oppure caserme in cui sequestrare gli spartiti della verità e le ali della libertà. Una parola a volte è lama che ferisce l’anima ma è anche filo per tessere reti di affetti e di passioni, di sorrisi e di solidarietà. “Oggi – diceva don Tonino Bello, esperto e funambolo della lingua italiana – le parole sono diventate così multiuso che non puoi più giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono, [...] un guaio che è capitato soprattutto ai termini più nobili; alle parole di serie A; a quelle cioè che esprimono i sentimenti più radicati nel cuore umano come pace, amore, libertà.” Rischiamo davvero di vagare e di disperderci nei labirinti di una nuova Babele, la città formato Web in cui tutti aprono bocca ma molti non comprendono né si sentono compresi. Abbiamo perciò pensato di farci dare una mano proprio da don Tonino per offrire ai giovani questo agile strumento di lavoro. Potrà servire a ritrovare il gusto di alcune parole nobili ma a rischio di usura, di fraintendimento e di oblio. Potrà restituire loro la lucentezza dei nomi propri che siano in grado di indicare e interpretare concordemente la
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segnaletica della vita sul tracciato praticabile, ma in gran parte purtroppo ancora inusuale, della nonviolenza globale e integrale. Seguendo l’ordine alfabetico, sono stati scelti dei temi-generatori corredandoli con brevi testi del grande maestro di vita e profeta di pace scomparso già da venticinque anni, ma sempre al passo col nostro tempo, anzi oggi ancora più attuale. Sono pagine chiave intese come piste di partenza per ulteriori arricchimenti di pensiero affidati alla riflessione personale e di gruppo e alla rielaborazione attiva e creativa. Le parole così rigenerate – ne siamo certi – potranno ancora fecondare i sogni diurni della speranza e dare respiro a più sana e conviviale umanità. don Salvatore Leopizzi
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Introduzione
Avventurarsi negli scritti di don Tonino Bello è una esperienza di libertà. La sua scrittura infatti libera le parole e libera chi le legge. Le pagine che seguono sono una parte di un tutto. Ogni parola è frutto di una nostra scelta. Altre ne scoprirete e di molte vi innamorerete leggendo i testi di don Tonino. Volevamo un piccolo testo che tra le tante parole nobili aiutasse a identificare meglio la parola Pace, la cui nobiltà va dalla A di audacia alla Z di Zeta passando dalla D di Danza e dalla S di Speranza. Abbiamo scelto ogni parola attingendo alla nostra conoscenza, condividendole a partire dalla diversa esperienza e conoscenza che abbiamo e abbiamo fatto di don Tonino. Abbiamo posto le parole scelte a premessa del testo di don Tonino collocato in Appendice, che rappresenta il suo discorso compiuto sulla Pace. Ci piace pensare che il nostro lavoro e la nostra selezione vi accompagni per mano fino alla soglia della curiosità e del bisogno di attingere direttamente a lui, augurandovi di lasciarvi catturare, così come è accaduto a noi, dalla sua forza e dalla sua capacità di spingere ognuno verso sogni diurni, i soli che ci rendono uomini e donne di pace.
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A... come Audacia1 Ci vuole audacia. Sì: ci vuole proprio audacia oggi per rovesciare gli schemi e andare alla ricerca di senso. Per fare, come dice lui, luce e non scintille: “Molti sono preoccupati di fare scintille nella vita, fare faville, guizzare in modo che gli altri si accorgano della loro presenza. Molti hanno il tarlo della passerella, dello schermo gigante”. […] Ci vuole audacia. La Vita che state vivendo vivetela in modo serio, in modo denso. Perché non tornerà più. E non abbiate paura di entusiasmarvi per certe cose. Molti di voi hanno paura. Hanno paura che un giorno la Storia, il loro futuro possa ridacchiare sul loro presente. Molti hanno paura di esporsi. Per non correre il rischio di subire il contraccolpo di questa disunione tra i sogni di oggi e la realtà di domani, preferiscono non sognare. E questo significa dare le dimissioni dalla Vita. Aver paura di entusiasmarsi oggi, alla vostra età, significa suicidio. Un giorno vi scalderete alla brace divampata nella vostra giovinezza. Non abbiate paura di entusiasmarvi. C’è tantissima gente che mangia il pane bagnato col sudore della fronte dei sognatori. Ci sono tanti sognatori. Meno male che c’è questa dimensione del sogno, oggi, nella vita, sporgenze utopiche a cui attaccarci. Meno male che ci sono dei pazzi da slegare, da mettere in circolazio1
Ci vuole audacia, edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2009, p. 12.
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ne perché vadano a parlare di queste grandi utopie che si vanno raffreddando. Quello che è pericoloso, è che le grandi utopie si raffreddano nel cuore dei giovani. Io vi voglio augurare che non abbiate a perdere la dimensione della quotidianità. Scavate sotto il vostro lettuccio e troverete il tesoro.
B... come Bellezza2 La bellezza Dio l’ha disseminata nelle montagne, nei mari, nei fiumi; l’ha disseminata nel volto dei bambini e delle persone, nel tremore dei vegliardi, in questo scroscio di note, nella musica, nei rumori, nel torcersi degli alberi sotto le bufere, nello scivolare lento di una canoa che passa all’improvviso sul fiume e in tante cose. […] Comprendete? Non ci potrà essere violenza. È così; se voi coltivate l’arte, la bellezza, la musica, la poesia, il rapporto con l’altro, l’eleganza della vostra persona; se voi coltivate, se avete questa cultura del vostro corpo, avrete inesorabilmente anche la cultura della vostra anima, perché la bellezza fisica, quella che ci fa spasimare quando vediamo una bella figura, una bella persona, un bel volto, l’armonia di un corpo, l’armonia della danza, quelle bellezze che ci scavano nel cuore non so bene se anfore di felicità, oppure piaghe inguaribili.
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Omelie e Scritti quaresimali, Mezzina, Molfetta (Ba) 1994, p. 230.
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C… come Coraggio3 Sarà stato effetto di quel “non temere” pronunciato dall’angelo dell’annunciazione. Certo è che, da quel momento, Maria ha affrontato una vita con una incredibile forza d’animo, ed è divenuta il simbolo delle “madri-coraggio” di tutti i tempi. È chiaro: ha avuto a che fare anche lei con la paura. Paura di non essere capita. Paura per la cattiveria degli uomini. Paura di non farcela. Paura per la salute di Giuseppe. Paura per la sorte di Gesù. Paura di rimanere sola… Quante paure! Se ancora non ci fosse, bisognerebbe elevare un santuario alla “Madonna della paura”. Nelle sue navate ci rifugeremmo un po’ tutti. Perché tutti, come Maria, siamo attraversati da quell’umanissimo sentimento che è il segno più chiaro del nostro limite. […] Madonna della paura, dunque. Ma non della rassegnazione. Perché lei non si mai lasciata cadere le braccia nel segno del cedimento, né le ha mai alzate nel gesto della resa. […] Perciò, Santa Maria, donna coraggiosa, tu che nelle tre ore di agonia sotto la croce hai assorbito come una spugna le afflizioni di tutte le madri della terra, prestaci un po’ della tua fortezza. Nel nome di Dio, vendicatore dei poveri, alimenta i moti di ribellione di chi si vede calpestato nella sua dignità. Alleggerisci le pene di tutte le vittime dei soprusi. E conforta il pianto nascosto di tante donne che, nell’intimità della casa, vengono sistematicamente oppresse dalla prepotenza del maschio. “Maria, donna coraggiosa” in Scritti mariani, lettere ai catechisti, visite pastorali, preghiere, Mezzina, Molfetta (Ba) 1995, p. 125.
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Ma ispira anche la protesta delle madri lacerate negli affetti dai sistemi di forza e dalle ideologie di potere. Tu, simbolo delle donne irriducibili alla logica della violenza, guida i passi delle “madri-coraggio” perché scuotano l’omertà di tanti complici silenzi.
D… come Danza4 Gli Ebrei, dopo aver attraversato il Mar Rosso, le cui onde avevano seppellito l’esercito del Faraone, toccarono finalmente le sponde della libertà. Ancora increduli per quanto era accaduto sotto i loro occhi, stavano contemplando i rottami del nemico sospinti alla deriva, quando tu, con un colpo d’ala tutto femminile, preso tra le mani un timpano, ti mettesti a capo di un corteo di donne. Le quali, agitando anch’esse sistri e tamburelli, intrecciarono sulla sabbia un turbine di danze […] In questa tua estemporanea trovata, quasi un “raptus” di gioia, traspare molto di più che non la semplice gratitudine verso Dio, liberatore del suo popolo. Si coglie, nel ritmo della danza inventata da te, non solo il bisogno di alzare al cielo le braccia per troppo tempo rimaste immobili nella vergogna delle catene, ma anche la voglia di mostrare al mondo mani non contaminate dalla laidezza della ferocia. Si condensa, nelle volute dei vostri corpi di donna, roridi di profumi e di sudore, non solo lo spasimo della bellezza che non ha avuto da spartire nulla con la brutalità, ma 4 Ad Abramo e alla sua discendenza, edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2011, p. 69.
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anche lo stupore di un popolo che, per sottrarsi al nemico, non ha neppure sguainato la spada, non ha scoccato una freccia, non ha sospinto un giavellotto, non ha roteato una fionda. […] E i piedi nudi delle danzatrici stampano, sulle sabbie del deserto, il bollettino della prima strepitosa vittoria felicemente raggiunta senza apparati di guerra e senza roteare di armi. […] Grazie, dolcissima Myriam, per questo genio della difesa popolare nonviolenta, che ha trovato in te il lampo della festa, il brivido della poesia, e la tenerezza delle lacrime di felicità.
E… come Estasi5 Qualcuno ha scritto che la meraviglia è la base dell’adorazione. Penso che sia proprio vero. Anzi, secondo me, l’empietà più grande non è tanto la bestemmia o il sacrilegio, la profanazione di un tempio o la dissacrazione di un calice, ma la mancanza di stupore. Diciamocelo con franchezza: oggi c’è crisi di estasi. È in calo il fattore sorpresa. Non ci si esalta per nulla. C’è in giro un insopportabile ristagno di “déjà vu”: di cose già viste, di esperienze già fatte, di sensazioni sottoposte a ripetuti collaudi. Incoraggiare l’attitudine allo stupore. Non disdegnate, come se fosse un cedimento alla serietà “Grande è il tuo nome sulla terra” in Scritti mariani, lettere ai catechisti, visite pastorali, preghiere, Mezzina, Molfetta (Ba) 1995, p. 179.
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organica della vostra missione di annunciatori della Parola, il tentativo di indicare nella bellezza la strada privilegiata attraverso cui il Signore rivela il suo nome. Il mare in tempesta o il firmamento nelle notti di agosto, il colore dei fiori che spuntano sui crepacci o l’incantesimo delle vette innevate, lo struggimento musicale degli alberi che si torcono nella bufera o lo splendore degli occhi di una donna, non hanno smesso di proclamare su tutta la terra la grandezza del nome di Dio.
F… come Ferialità6 Carissimi, dovremmo abituarci ad abbinare la Pace a parole più quotidiane. Parliamo quasi sempre di festa della Pace, marce della Pace, veglie della Pace, tavole rotonde sulla Pace. Ne deriva l’immagine distorta che la Pace riesca ad andare d’accordo solo con compagne fortunate. Che si mostri in pubblico solo con coloro che hanno sfondato. Che accetti di apparire in vetrina solo con realtà di rango superiore. O di passeggiare in tandem unicamente con seguaci blasonate. Forse è arrivato il momento di capire che, oltre che di festa, dovremmo poter parlare di ferialità della pace. Invece che coniugarla sempre con le marce, dovremmo appaiarla un po’ di più con i percorsi quotidiani che, in linea ordinaria, sono scanditi su ritmi scarsamente eroici. “Il volto feriale della pace” in Scritti di pace, Mezzina, Molfetta (Ba), 1997, pp. 41-42.
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Al di là delle veglie, cariche di vibrazioni emotive e risonanti di salutari utopie, dovremmo prendere atto che la Pace si costruisce anche nei sonnolenti meandri della storia e cresce anche nelle pieghe sotterranee dell’esistenza. E non è blasfemo affermare che, al di là dei velluti delle tavole rotonde, la Pace si costruisce sul ruvido tavolo del falegname come sul desco del contadino. Sulla cattedra dell’insegnante come sulla scrivania dell’impiegato. Sullo scanno dello scolaro come sulla mensola della casalinga. Sull’impalcatura del metalmeccanico come su ogni banco impoetico dove si consumano le più oscure fatiche giornaliere. Riappropriamoci, come popolo di poveri, di una ricchezza che ci appartiene. Democratizziamo la pace. Spogliamola di ogni livrea aristocratica che ce la fa sentire estranea e lontana. Pretendiamone la discesa dai pinnacoli di tutte le case bianche del mondo fin nelle catapecchie dei miserabili; e dalle torri di ogni cremlino della terra fin nelle strade delle periferie, nel cui fango germogliano larve di giustizia in attesa di liberazione. Fabbrichiamo la “Pace fatta in casa”, senza aspettarcela dalle “erogazioni di Stato”. Prendiamo coscienza che i cuori disposti al perdono e alla comunione sono l’unica miniera da cui si estrae la materia prima della Pace, senza la quale anche le più autorevoli Cancellerie diplomatiche potranno offrirci solo ambigue sofisticazioni e sterili surrogati. Abbiniamo con più coraggio la Pace a quelle espressioni che solo la paura di apparire sognatori ci impedisce di adoperare: amore globale della vita, sapore di Vangelo, bisogno profondo di felicità, tenerezza e stupore, amicizia e dialogo, poesia e umiltà, impegno e speranza… Queste sono le armi della Pace, senza di che la Pace delle armi, nel migliore dei casi, sarà solo la Pace dei cimiteri.
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La pace, una scommessa per l’uomo d’oggi23
Sul terreno della pace non ci sarà mai un fischio finale che chiuda la partita: bisognerà sempre giocare ulteriori tempi supplementari. Parole multiuso Un saggio orientale diceva che, se lui avesse avuto per un attimo l’onnipotenza di Dio, l’unico miracolo che avrebbe fatto sarebbe stato quello di ridare alle parole il senso originario. Sì, perché oggi le parole sono diventate così “multiuso”, che non puoi più giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono. Anzi, è tutt’altro che rara la sorpresa di vedere accomunate accezioni diametralmente opposte sotto il mantello di un medesimo vocabolo. Guaio, del resto, che è capitato soprattutto ai termini più nobili; alle parole di serie A; a quelle, cioè, che esprimono i sentimenti più radicati nel cuore umano come pace, amore, libertà. A dire il vero, per quel che riguarda la pace, pare che questa “sindrome dei significati stravolti” fosse presente anche nei tempi remoti, se è vero che perfino in un salmo Tratto da Sui sentieri di Isaia, edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2011, pp. 13-20.
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della Bibbia troviamo denunce del genere: “essi dicono pace, ma nel loro cuore tramano la guerra”. Su quale pace scommettere? Con questo non si vuol dire che il termine «pace» indichi inequivocabilmente una realtà così precisa e dai contorni così ben definiti, da escludere nettamente zone di valori limitrofi. È difficile tracciare una linea di demarcazione che distingue l’area della pace da quella propria della libertà, o della giustizia, o della comunione, o del perdono, o dell’accoglienza, o della verità. Ed è fatica improba disegnare sulle mappe lessicali gli spartiacque di questi valori. Sicché, se le immagini possono aiutarci a capire, dovremmo dire che la pace più che una stella è una galassia, più che un’isola è un arcipelago, più che una spiga è un covone. A fare difficoltà, però, non è lo sfumare della pace propriamente detta nelle fasce degli altri concetti viciniori con i quali, per così dire, essa ha rapporti stretti di consanguineità. Ciò che crea problemi, invece, è quella terribile operazione di contrabbando secondo cui si espongono nella medesima vetrina, magari con la medesima etichetta, prodotti completamente diversi. Diciamocelo francamente: la pace la vogliono tutti, anche i criminali; e nessuno è così spudoratamente perverso da dichiararsi amante della guerra. Ma la pace di una lobby di sfruttatori è la stessa perseguita dalle turbe degli oppressi? La pace delle multinazionali coincide con quella dei salariati sotto costo? La pace voluta dai dittatori si identifica con quella sognata dai perseguitati politici? E sul vocabolario del regime di Pretoria, la definizione di pace suona allo stesso modo che sul vocabolario delle vittime dell’apartheid?
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Come si vede, è necessario evitare il rischio di pericolose contraffazioni. Pertanto, si rende indispensabile, almeno per noi credenti, fissare dei criteri sulla cui base selezionare il genere di pace per il quale valga la spesa di impegnarsi in una scommessa. Non scommettere sulla pace che non venga dall’alto: è inquinata Dire che la pace è un dono di Dio sta diventando purtroppo uno slogan pronunciato da noi cristiani senza molta convinzione e usato come formula di maniera. Tutto sommato, all’atto pratico facciamo affidamento più sulle mediazioni diplomatiche che sull’implorazione, più sulla bravura delle cancellerie della terra che sulla forza impetrativa della preghiera, più sull’abilità dei politici che sulla tenacia dei contemplativi. Preghiamo, questo sì, per la pace. Ma di essa abbiamo una concezione maledettamente tolemaica: il cielo sembra che le ruoti attorno solo per fecondarne lo sviluppo e per incoraggiarne la crescita. Ebbene, considerare la pace come acqua ricavata dai nostri pozzi è un tragico errore di prospettiva di cui, prima o poi, pagheremo le spese col prosciugamento o con l’inquinamento delle falde freatiche. Quando la riflessione delle nostre comunità riuscirà a scoprire che i pozzi della pace sono le stimmate del Risorto? Non scommettere sulla pace non connotata da scelte storiche concrete: è un bluff Se, per un verso, non è infrequente l’equivoco su descritto, che potremmo designare come l’eresia del “pe-
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lagianesimo della pace”, per un altro verso non è raro il rischio opposto, che è quello del disimpegno, coperto oltretutto dall’alibi comodo che la pace è una realtà “oriens ex alto”, proveniente dal Cielo. Occorre scongiurare questa specie di fatalismo che fa ritenere inutili, se non addirittura controproducenti, le scelte di campo, le prese di posizione, le decisioni coraggiose, le testimonianze audaci, i gesti profetici. È vero, la pace è un’acqua che scende dal cielo: ma siamo noi che dobbiamo canalizzarla affinché, attraverso le condutture appropriate della nostra genialità, giunga a ristorare tutta la terra. Ecco perché è un “bluff” limitarsi a chiedere la pace in chiesa, e poi non muovere un dito per denunciare la corsa alle armi, il loro commercio clandestino, la follia degli scudi spaziali. Per impedire la crescente militarizzazione del territorio. Per smascherare la logica di guerra sottesa a tante scelte pubbliche e private. Per indicare nelle leggi dominanti di mercato i focolai della violenza. Per accelerare l’accoglimento di criteri che favoriscano un nuovo ordine economico internazionale. Per tracciare i percorsi concreti di una educazione autentica alla pace. Per esporsi, magari anche con i segni paradossali ma eloquenti dell’obiezione di coscienza, in tutte le sue forme, sui crinali della contraddizione. Non scommettere sulla pace che prenda le distanze dalla giustizia: è peggio della guerra La Bibbia allude spesso ad abbracciamenti tra pace e giustizia simili a quelli tra madre e figlia, o tra due amanti comunque. Frutto della giustizia è la pace, dice Isaia in uno splendido passo. E il salmo 85 parla così apertamente
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di baci tra i due partner, che non mancano coloro a cui verrebbe il sospetto che questi rapporti abbiano del torbido, e calpestino il cosiddetto elementare senso del pudore. In effetti, è un’accoppiata che fa scandalo. Tant’è che molti agenti della “buon costume” preferirebbero che le due imputate se ne tornassero ciascuna a casa sua e rientrassero, per così dire, a vita privata. Parlando fuori parabola, non è difficile capire come ai ben pensanti, che quasi sempre coincidono con i garantiti di turno, dia fastidio questa scoperta biblica, recente tutto sommato, del legame esistente tra pace e giustizia. Pace, sì. Ma che c’entrano i 50 milioni di esseri umani che muoiono ogni anno per la fame? Sulla pace non si discute. Ma che cosa hanno da spartire con essa i discorsi sulla massimizzazione del profitto? La pace, va bene. Ma non sa di demagogia chiamare in causa, ad ogni giro di boa, le divaricazioni esistenti tra Nord e Sud della terra? Pace, d’accordo. Ma è proprio il caso di tirare in ballo la ripartizione dei beni, o i debiti del terzo mondo, o le manipolazioni delle culture locali, o lo scempio della dignità dei poveri? Attenzione! È in atto una campagna “soft” che spinge pace e giustizia alla “separazione legale”, con espedienti che si vestono di ragioni morali, ma camuffano il più bieco dei sacrilegi. Non scommettere sulla pace che si proclami estranea al problema della salvaguardia del creato: è amputata Qualcuno potrebbe pensare che il bisogno di allargare i consensi, con l’ammiccamento ai temi di moda, abbia provocato l’inclusione del problema ambientale nell’area degli interessi di coloro che si battono per la pace.
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Giancarlo Piccinni, sposato e padre di tre figli. Cardiologo, già alunno di don Tonino, è oggi presidente della Fondazione “don Tonino Bello”. Viviana Matrangola, figlia di Renata Fonte, architetto, già membro dell’Ufficio di Presidenza di Libera e responsabile di Libera Memoria nazionale e internazionale.
“Oggi – diceva don Tonino Bello, esperto e funambolo della lingua italiana – le parole sono diventate così multiuso che non puoi più giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono, […] un guaio che è capitato soprattutto ai termini più nobili; alle parole di serie A; a quelle cioè che esprimono i sentimenti più radicati nel cuore umano come pace, amore, libertà.”
Don Salvatore Leopizzi parroco e docente di Filosofia e storia a Gallipoli (Lecce), fin dal 1982 impegnato in Pax Christi, di cui è stato per molti anni consigliere nazionale. Amico e collaboratore di don Tonino Bello, è stato tra i testimoni nel suo processo di beatificazione.
PAROLE NOBILI Dizionario della nonviolenza a cura di Giancarlo Piccinni Viviana Matrangola Salvatore Leopizzi
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Una stessa parola può essere un seme luminoso di bene oppure un atomo opaco del male. Una pietra per costruire ponti o per innalzare muri, per edificare la casa dei sogni oppure caserme in cui sequestrare gli spartiti della verità e le ali della libertà. Questo agile strumento di lavoro potrà servire ai giovani a ritrovare il gusto di alcune parole nobili ma a rischio di usura, di fraintendimento e di oblio, a identificare meglio la parola Pace, la cui nobiltà va dalla A di audacia alla Z di Zeta passando dalla D di Danza e dalla S di Speranza. Sono pagine chiave intese come piste di partenza per ulteriori arricchimenti di pensiero affidati alla riflessione personale e di gruppo e alla rielaborazione attiva e creativa. Le parole così rigenerate potranno ancora fecondare i sogni diurni della speranza e dare respiro a più sana e conviviale umanità.