PEDAGOGIA DELLA GIOIA®
Educare coltivando la felicità
edizioni la meridiana
Monica Lombardi PEDAGOGIA
DELLA GIOIA®
Educare coltivando la felicità
edizioni la meridiana partenze
Introduzione
Una vita unica e irripetibile sospinta dall’amore
Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che possano esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse. E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al momento in cui avrai la risposta
R.M. RilkePersonalmente e professionalmente sono mossa dalla convinzione che ognuno di noi debba desiderare una vita irripetibile e unica che sia la migliore possibile e che aderisca a desideri e aspettative proprie; indispensabile è essere attori protagonisti della propria vita e non spettatori del tempo che passa, perché solo noi possiamo conoscerci, cambiare e crescere per darci opportunità, vivendo il presente con pienezza e consapevolezza.
Grazie alla mia professione ho avuto la possibilità di entrare nella vita di tante persone, interfacciandomi con formatori, educatori, insegnanti, genitori e naturalmente con i bambini. Questo
ha tracciato una linea invisibile dentro di me, cioè la convinzione di come l’incontro con il nostro essere umani sia quanto di più meraviglioso possa accaderci. Viviamo continue rinascite ogni volta che sappiamo metterci in discussione, rileggerci e ricomporci; amare se stessi e gli altri rappresenta una sfida, un’avventura esaltante e creativa, come dice Leo Buscaglia “la più ambiziosa della nostra esistenza”1. Per essere aperti all’amore, per crederci e averne fiducia, occorre una grande forza.
L’intelligenza emotiva
In una conferenza tenutasi a Bergamo nel 2012, il famoso medico americano Patch Adams sottolineava come la capacità di amare l’altro si fondi sulle competenze emozionali di ognuno di noi:
Ho visitato più di 70 Paesi del mondo e incontrato milioni di persone e tutti sono concordi nel dire che l’amore è la cosa più importante che abbiamo. Eppure, non ci soffermiamo mai a pensare all’amore, non ne discutiamo con le persone care, non lo studiamo. Riflettete su come sarebbe il mondo se per tredici anni di scuola un’ora al giorno fosse dedicata all’insegnamento dell’amore, come la si dedica a quello della matematica. Io credo che sarebbe migliore di quello nel quale viviamo.
Questo concetto è una conferma del fatto che non è possibile considerare la formazione esclusivamente come un bagaglio di conoscenze di rimando a competenze pratiche e teoriche; sarebbe indicato per ogni studente avere la possibilità non solo di imparare attraverso pratiche teoriche ma anche accedere a una formazione basata e a supporto delle competenze emozionali, adottando così atteggiamenti mentali in grado di migliorare sia la produttività che la capacità d’imparare e di relazionarci al mondo.
Sarà successo a molti di noi, da ragazzi, di non riuscirsi a concentrare appieno sullo studio. Op-
1. Buscaglia, 1972, p. 201.
pure ci sembrava di trascorrere tantissime ore sui libri, ma quando dovevamo sostenere la verifica, il test o l’esame universitario il risultato non era all’altezza di quanto ci aspettavano, non adeguato all’impegno che pensavamo di aver profuso. Anche nell’ambiente lavorativo, può capitare di non riuscire a raggiungere quei risultati desiderati e quel rapporto sperato con i nostri colleghi. La spiegazione di quanto accade risiede esclusivamente in noi, in quel subbuglio di emozioni intricate che ci allontanano e offuscano il presente, essendo esseri emozionali prima che razionali; in fondo ciò che ci contraddistingue come esseri umani è il pensiero e noi pensiamo in base a come ci sentiamo. Dal punto di vista neurobiologico, infatti, la prima parte del cervello che si attiva è l’amigdala che rappresenta il nucleo emozionale, l’area più primitiva del cervello, un radar che scorge i pericoli.
Entrando nel dettaglio, nel nostro cervello sono presenti due sistemi: uno istintivo-emotivo, che interviene velocemente, e uno cognitivo-esecutivo, che invece agisce più lentamente. Il secondo sistema è quello che ci permette di svolgere tutte le funzioni esecutive che hanno sede nella corteccia prefrontale e che permettono di pianificare, imparare, riflettere; il primo a intervenire però è il sistema emotivo, le prime reti neurologiche partono prima che si attivi la parte che ci caratterizza come esseri umani.
L’intelligenza emotiva è un’abilità che s’impara durante il corso della vita, non possono insegnarcela a scuola come l’inglese o la matematica: va per lo più allenata. Dunque, sotto questo aspetto, l’educatore è un allenatore emotivo che aiuta i bambini a esprimere e riconoscere le loro emozioni e questo allenamento è possibile attraverso la conoscenza, l’osservazione e la pratica. Si insegna con i comportamenti e con l’esempio.
Ma perché è così importante l’educazione emotiva? Perché si conquista la capacità di motivare
se stessi, di persistere nel raggiungimento di un obiettivo nonostante le frustrazioni circostanti; s’impara a controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, si è in grado – modulando i propri stati d’animo – di evitare che la sofferenza diventi un impedimento al nostro libero pensiero, alla capacità di provare empatia.
L’intelligenza emotiva è la capacità di percepire, identificare, riconoscere i sentimenti propri e degli altri in modo preciso, nel momento in cui sorgono e questo aiuta ad automotivarsi e gestire le emozioni in un modo più costruttivo.
Come afferma Galimberti: “La nostra emotività può essere educata e, se vogliamo una società migliore, deve essere educata”2. Per riuscire a comprendere meglio gli altri bisogna controllare i nostri comportamenti, frutto della consapevolezza delle emozioni che proviamo; attraverso questa consapevolezza siamo in grado di identificare i nostri desideri e bisogni riconoscendo la fonte di tutte le nostre emozioni, sia che esse derivino da cose, persone o situazioni. Possiamo riconoscere in che modo le emozioni si manifestano, come esprimerle e anche quali conseguenze possono generare, in modo da avere la possibilità di gestire adeguatamente ciò che si prova, vivendo al contempo in armonia con noi stessi e con gli altri. L’intelligenza emotiva comprende tre sotto-competenze che possono essere insegnate:
• l’autocoscienza, ossia la consapevolezza delle nostre emozioni e la lettura corretta del linguaggio del corpo;
• l’autoregolazione, ossia la capacità di gestire in modo efficace le emozioni;
• l’automotivazione, ossia la capacità di riuscire a rimanere motivati nonostante le difficoltà, le frustrazioni e le crisi.
2. Galimberti, 2007, p. 25.
Autoconoscenza, autoregolazione e automotivazione sono tutte competenze che ci permettono di riconoscere, gestire e identificare in modo ottimale le emozioni. Inoltre sono utili per tutto l’arco della vita, specialmente in quei momenti in cui dobbiamo prendere delle decisioni importanti, affrontare sfide decisive per il nostro successo sia a livello professionale che personale. Esiste, dunque, una connessione tra competenze intrapersonali e quelle interpersonali, che sono capacità correlative. Le prime comprendono l’accesso ai propri sentimenti che si elevano a guida del proprio comportamento. Le seconde ci servono per distinguere e fornire una risposta opportuna ai nostri stati d’animo, al temperamento, motivazioni, desideri altrui, interagendo con essi il più possibile in modo cooperativo.
Conoscere se stessi
A tutti gli esseri umani spetta di conoscere se stessi per trovare il proprio stile di vita (quello che consente di far rifiorire le proprie potenzialità), praticare forme di autoindagine è di primaria importanza: prima di cercare conoscenze sui fenomeni e prima di portare l’attenzione sugli altri è necessario innanzitutto occuparsi della propria interiorità e prendersene cura.
Conoscere se stessi significa chiedersi qual è la speranza che ci fa vivere, capire i propri desideri, discriminare i punti di forza e i punti deboli, individuare le risorse interiori che più ci è facile attivare e le zone fragili che richiedono maggiore attenzione. Ricorrere all’autoindagine consente di mantenere un contatto sano con la propria umanità, perché il desiderio di autoconoscenza è amore per se stessi.
Amare se stessi significa conoscersi e preservarsi e lottare per la propria unicità, tutti gli esseri umani differiscono tra loro, come ogni elemento della natura. Amare se stessi significa rendersi conto che tu stesso non sei del tutto consapevole delle meravigliose risorse che sono riposte in te,
latenti, dormenti. […] Spetta a te aprire le stanze della sua dimora, e rassettarle. Pertanto amare noi stessi significa cercare i prodigi racchiusi in noi, renderci conto della nostra unicità, comprendere che siamo diversi da ogni altro al mondo e che la vita si identifica, con la scoperta, la valorizzazione, la compartecipazione di tale unicità.3
Ma cosa vuol dire veramente conoscere se stessi?
Secondo Luigina Mortari: “Conoscere se stessi può essere concepito come il pensare che cerca il metodo di vivere”4. Il lavoro dev’essere svolto prima di tutto su se stessi per poi riuscire ad aprirsi al meglio agli altri, che siano i propri figli oppure la classe di bambini che si sta educando. Se non ci si prende cura dei propri desideri –individuando anche punti di forza e debolezza, lavorando sulle proprie fragilità –, come ci si può accostare agli altri in modo ottimale?
Fare ricorso continuo all’autoindagine è ciò che ci permette di mantenere sempre un contatto sano con la nostra umanità.
Come afferma Daniel Goleman:
Quanto più profondamente la pratica del conoscere se stessi accede all’intimo dell’anima, cogliendo i modi esistenti che strutturano l’essenza del nostro esserci, tanto è più possibile “vivere una vita piena” attuando le direzioni originarie del nostro essere.5
Amando se stessi è possibile conoscersi e lottare per poter preservare la propria unicità, comprendere che siamo diversi da ogni altra persona nel mondo, valorizzando al meglio quello che ci contraddistingue dagli altri ampliando così le nostre opportunità di vita.
Autoconsapevolezza ed empatia
L’autoconsapevolezza è l’attenzione costante ai propri stati d’animo interiori: grazie alla consapevolezza introspettiva la mente studia e osserva
3. Buscaglia, op.cit., p. 150.
4. Mortari, 2006, p. VII.
5. Goleman, 2010, p. 77.
l’esperienza e le emozioni. Il sentimento ha così un ruolo molto importante e permette di guidare il flusso senza fine di quelle che sono le nostre decisioni personali. Anche se i sentimenti forti spesso possono disturbare il ragionamento creando caos nella nostra mente, la mancanza di consapevolezza sui sentimenti può rivelarsi disastrosa soprattutto nel momento in cui si devono soppesare le decisioni dalle quali dipende poi il nostro destino: la carriera che vogliamo intraprendere, chi sposiamo, l’acquisto dell’abitazione. Queste decisioni non possono essere prese solo attraverso un ragionamento razionale, ma c’è bisogno di includere le emozioni e le intuizioni che provengono da sentimenti viscerali, frutto anche dalle esperienze passate.
La chiave per riuscire a seguire dei processi decisionali personali richiede una corretta sintonia con i propri sentimenti oltre che talento per una buona introspezione psicologica, basata sullo stesso circuito. Alcuni di noi, per natura, possono essere più facilmente in sintonia con le proprie emozioni, mentre altri lo sono meno; chi per natura è in sintonia con ciò che sente nel proprio cuore, con le emozioni che prova, riesce a essere più incline a comprendere i messaggi che gli vengono inviati anche dai loro sentimenti. Inoltre, questa sintonia li rende più in grado di dare voce alla saggezza dell’inconscio, ossia ai significati che hanno le nostre fantasie, sogni, simboli che incarnano i desideri che si provano in profondità.
L’autoconsapevolezza ci permette di acquisire una comprensione psicologica più profonda di noi stessi. Le emozioni che si nascondono sotto la superficie della nostra consapevolezza possono influenzare significativamente le nostre reazioni e percezioni, anche se non ne siamo direttamente consapevoli.
Oltre all’autoconsapevolezza, un altro aspetto cruciale è l’empatia; questa capacità di condivi-
dere e comprendere i sentimenti altrui è fondamentale per la regolazione della comunicazione umana e per la costruzione di relazioni sociali sane. L’empatia ci permette di connetterci meglio con le persone che ci circondano, facilitando lo scambio e la comprensione reciproca. In sintesi, l’autoconsapevolezza e l’empatia sono elementi chiave per interagire efficacemente e costruire relazioni significative con gli altri.
La capacità di provare empatia è ciò su cui si fondano le relazioni di aiuto a carattere professionale, ma anche le amicizie; l’empatia è un prerequisito e un fattore legato a una migliore socialità, ossia un comportamento teso a migliorare il benessere di una persona al fine di ridurne lo stato di sofferenza senza aspettarsi una ricompensa in cambio: rientrano l’atteggiamento di accoglienza e rispetto nei confronti degli altri, imparando a riconoscere gli aspetti positivi delle persone con le quali ci si relaziona.
Chiunque intenda educare a comportamenti altruistici e collaborativi trova nell’empatia quella leva e motivazione ad agire favorevolmente verso un’altra persona; è una chiave di lettura dei rapporti umani, “provare dentro” ciò che l’altro sente in una specifica circostanza mette il soggetto in grado di dispiegare conforto, comprensione e aiuto.
Con l’empatia è possibile porre la relazione in ascolto sia del linguaggio verbale che di quello corporeo ed espressivo che ci appartengono. Questa esperienza esaudisce il bisogno d’essere accolti, amati e conosciuti e consente il riconoscimento dell’altro come un soggetto irripetibile e unico riuscendo a comprendere qual è il suo modo d’essere – non solo per quello che è ma per quello che può diventare –.
L’atteggiamento empatico è una dote che permette di concepire l’educazione come pratica di comunicazione autentica che si può potenziare e sviluppare: l’altro, vedendosi conosciuto e anche amato, riesce ad apprendere questa modalità
comunicativa e la ripropone poi nelle esperienze che avrà nel corso della sua esistenza.
La capacità empatica riesce ad attivare così una risposta consapevole di sé che permette di suscitare all’interno della relazione un’empatia reciproca; la mancanza di empatia, al contrario, potrebbe essere dannosa, causare dei blocchi emotivi, dei disturbi della strutturazione della personalità, danni spesso sottovalutati proprio da coloro (educatori e genitori) che invece dovrebbero tenerli sempre ben presenti. Genitori, educatori e insegnanti devono porsi con un atteggiamento non pregiudicato per riuscire a relativizzare le proprie convinzioni, il proprio modo di pensare e assumere uno stile educativo che sia fondato sull’empatia. In termini educativi, l’empatia non è l’accettazione incondizionata dalla visione del ragazzo, ma dalla sospensione momentanea dei propri schemi interpretativi. La capacità empatica dell’adulto è fondamentale nel processo di educazione e comprende anche la capacità di comprensione, accettazione e sintonia.
Che cos’è la Pedagogia della Gioia®
La gioia è molto contagiosa; quindi, siate sempre pieni di gioia
Madre Teresa di Calcutta
Pedagogia della Gioia® è nato con l’intento di aiutare gli insegnanti e i genitori nella loro importante funzione educativa.
Lo scopo è quello di favorire l’apprendimento dei bambini e di guardarli con il rispetto delle loro esigenze evolutive, nel loro cammino scolastico dalla scuola d’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado e nei vari contesti educativi.
I bambini dai 3 ai 6 anni hanno bisogno di vivere la scuola soprattutto come esperienza fatta di gioco, attività concrete ed esperienza viva: le attività sono molto utili, in quanto permettono ai bambini di imparare meglio e all’insegnante e agli educatori offrono la possibilità di svolgere attività emozionali che rispettino ogni fase di crescita del bambino.
I bambini dalla scuola primaria vivono le loro lezioni ancora troppo seduti in un banco: questo libro si conclude con una proposta di attività pensate come alleate dei bambini (e dei docenti di conseguenza), utili a recuperare energia, propone attività motorie per aiutare la concentrazione, scaricare emozioni represse o spiacevoli, riposarsi, recuperare equilibrio e vivere il corpo con gioia. Verranno fornite strategie, metodologie e attività pratiche di supporto concreto alle ore trascorse con bambini e ragazzi, al fine di agevolare un apprendimento più profondo limitando un sovraccarico di informazioni di cui i bambini non hanno necessità.
Un bambino che vive la giornata scolastica in modo positivo avendo la possibilità di esprimere meglio anche se stesso, sarà tendenzialmente un bambino più felice e renderà anche il lavoro dell’insegnante meno faticoso.
Le attività proposte sono uno strumento da utilizzare in ogni momento della giornata anche per i genitori, non solo per docenti/educatori, perché l’idea di una “Pedagogia della Gioia” nasce anche con l’intento di favorire il compito educativo dei genitori: dar loro la possibilità di attingere a un repertorio di attività/idee/riflessioni e giochi di relazione che possano migliorare la qualità del tempo insieme ai loro figli. Giochi che possano essere anche un pretesto per conoscersi meglio, per raccontarsi, per parlare di sé e dei propri desideri e svolgere delle attività creative che aiutino tutta la famiglia a sviluppare le competenze emotive insieme.
Perché Pedagogia della Gioia®? Certamente è una parola forte, legata a un’emozione che è anche un’espressione di speranza. Chi ama i bambini non può che provare gioia nel crescere con loro e aiutare loro a crescere, non esiste genitore che non provi gioia nel veder diventare grande il proprio bambino o un insegnante che non sia felice nel vedere che un alunno provi gioia nello
stare nella sua classe. La parola gioia è anche un monito per una pedagogia che vede l’educazione come un processo di serenità, rispetto e amore. Sia i genitori che gli educatori devono interessarsi dell’intelligenza emotiva dei bambini e delle loro emozioni, al fine di avere i giusti strumenti che permettano loro di crescere e diventare un giorno adulti in grado di conoscere e gestire le proprie emozioni.
In questo modo avranno un futuro migliore per sé (ottenendo maggiori risultati nei rapporti scolastici, lavorativi e sociali) ma anche per gli altri; perché crescendo dei bambini consapevoli delle loro emozioni e in grado di riconoscere quelle altrui è possibile avere una società più positiva e volta alla comprensione, all’amore e alla gioia.
Pedagogia della Gioia® si propone come un metodo educativo che ponga al centro il bambino con le sue diverse esigenze nel periodo evolutivo.
Si propongono attività dinamiche che vengono tratte dal repertorio dei linguaggi non verbali come: arte, musica, espressività, gioco, rilassamento guidato, canto.
Questi strumenti sono pensati sia per sostenere i genitori sia come sostegno a educatori e insegnanti che operano nelle scuole, negli asili e nei centri educativi privati; è un percorso che non solo aumenta la motivazione nell’insegnamento, ma rappresenta anche un arricchimento personale.
Pedagogia della Gioia® è un atteggiamento di curiosità, un modo di relazionarci e un insieme di strumenti, pratiche e strategie. Il messaggio di educare con la gioia è innovativo, forte e offre una proposta che permette di comprendere e gestire in modo personalizzato anche i bisogni e le esigenze dei bambini; si basa su obiettivi ben precisi quali: miglioramento delle relazioni interpersonali, meta-cognizione, affettività, autostima.
Perché educare con la Pedagogia della Gioia®
IL PUNTO NERO
Un giorno un insegnante arrivò in classe e disse agli studenti di prepararsi per un quiz a sorpresa. Tutti erano nervosi, spaventati dalla prova imminente. Mentre l’insegnante stava distribuendo un foglio chiese di non guardare il foglio, fino a quando lui non avesse dato il via alla prova. Una volta che tutti i fogli furono distribuiti, diede l’autorizzazione a voltare il foglio e vederne il contenuto. Con grande sorpresa di tutti si trattava di un foglio bianco con in mezzo un punto nero. Vedendo il volto sorpreso dei suoi studenti, il professore disse: “Ora scrivete una riflessione su ciò che state vedendo”. Tutti i giovani, confusi, cominciarono a pensare e scrivere e successivamente l’insegnante cominciò a leggere ad alta voce quanto gli studenti avevano scritto.
Tutti, senza eccezione, avevano fatto una relazione sul punto nero, con le più diverse considerazioni. Dopo la lettura, disse: “Questo test non servirà per il voto, ma come lezione di vita. Nessuno ha parlato della pagina bianca, avete dedicato tutta la vostra attenzione al punto nero. È ciò che accade nella nostra vita. La vita è un foglio interamente bianco da vedere e godere, ma ci concentriamo sui punti neri.
La vita è un dono della natura, ci è data con affetto e amore, abbiamo tante ragioni per far festa per gli amici che ci sostengono, il lavoro che ci sostiene, i miracoli che accadono ogni giorno, eppure insistiamo a guardare il punto nero: i problemi di salute, la mancanza di soldi, il difficile rapporto con i familiari, una delusione con il partner, con un amico... I punti neri sono minimi rispetto a quello che ci viene donato ogni giorno, eppure occupano la nostra mente ogni momento. Cercate di prestare attenzione a tutta la pagina bianca e non solo ai punti neri. Cogliete ogni benedizione, ogni momento che la vita ci sta offrendo, state tranquilli, abbiate fiducia, datevi da fare, “esistete”, vivete felici.6
Imparare a non focalizzarci anche come educatori sul punto nero è una metafora molto interessante. Guardare al punto nero potrebbe significare vedere solo il problema, ciò che non funziona, il pregiudizio, le fatiche. Invece di guardare tutte le parti bianche che sono le possibilità che possiamo avere, le opportunità non scoperte, un nostro nuovo modo di intervenire dal punto di vista educativo ed emotivo. Un punto di vista positivo potremmo dire.
Dai racconti di mamme, bambini e docenti si osserva che nella maggior parte delle situazioni educative vengono maggiormente segnalate le mancanze e non i punti di forza, i passi fatti, le belle cose già presenti.
La pedagogia, come scienza che studia i processi dell’educazione e della formazione umana, è una grande alleata affinché non si perda il punto di vista dei bambini e il loro specifico modo di interpretare il mondo.
Con il termine pedagogia si fa riferimento alla conoscenza delle caratteristiche dell’età di sviluppo con cui il docente lavora, l’approfondimento dei bisogni emotivi, cognitivi, relazionali dei bambini/ragazzi, alle conoscenze neuroscientifiche aggiornate, alle tecniche e metodologie educative per condurre al meglio il gruppo classe. Ci sono gravi lacune e più si sale di grado più si vede una parcellizzazione del sapere e un tecnicismo che si allontana del vero bisogno di educazione alla vita che i nostri ragazzi dovrebbero avere.
La Pedagogia della Gioia® è uno strumento molto importante in vari ambienti educativi: dalla scuola ai centri di formazione per l’infanzia, nidi, asili, centri educativi, perché come spiega Daniela Lucangeli: “Le nozioni che i bambini imparano a scuola, o in altri ambiti formativi, sono legate alle emozioni”.
Se i bambini imparano con gioia e curiosità questo incide positivamente sulla memoria, invece se si impara con paura, ansia e noia si attiva un
messaggio di allerta. La reazione istintiva della mente in campo scolastico, quando ci sono delle emozioni negative è: scappa, perché rischi di farti male; quando la scuola crea questo cortocircuito negativo, allora gli studenti non riescono nell’apprendimento.
Bisogna uscire da questo paradigma che si apprende con difficoltà. Infatti, le neuroscienze spiegano come i bambini siano in grado di imparare meglio se sfruttano appieno tutte le aree celebrali legate alla pianificazione, alla concentrazione e alla memoria che non si attivano se invece sussiste nei bambini uno stato eccessivo di stress o stanchezza.
In uno stato di giusto relax, positività e serenità è possibile calmare il sistema emotivo e ottenere di conseguenza l’emergere del giusto approccio cognitivo che permette di lavorare meglio; solo attraverso il giusto equilibrio tra razionalità ed emotività è possibile lavorare al meglio con la classe e con i bambini, che potenzieranno la loro memoria e saranno in grado di studiare e ricordare meglio. Sfruttando i dettami della Pedagogia della Gioia®, è possibile comprendere come la parte emotiva positiva aiuti a migliorare gli stimoli e offrire la giusta apertura mentale.
Le ricerche scientifiche, infatti, hanno definito come il sorriso sia uno dei meccanismi innati di “Join Attention”, ossia in grado di attivare l’attenzione condivisa tra le figure significative che si osservano; la ricerca infatti ha evidenziato come il sorriso utilizzato per incoraggiare, accompagnare o anche rimproverare suscitasse negli studenti una più ampia sollecitazione dell’apprendimento di specifiche competenze.
In un’aula scolastica con docenti che riconoscono l’importanza dell’intelligenza emotiva e dell’uso del sorriso, è possibile notare come si ottengano: miglioramento della memoria, livelli di attenzione più elevati, migliore capacità d’apprendimento, uso del linguaggio più corretto,
miglioramento sul piano relazione e psicologico. Il sorriso comunicativo, impiegato durante la fase d’insegnamento, facilita l’apprendimento da parte degli studenti, molto più di quanto possa mai fare un rimprovero.
C’è stata una vera e propria rivoluzione che ha portato a capire che non c’è nessun atto della vita psichica di ognuno di noi in cui sia possibile scindere le emozioni e le cognizioni. Questo vuol dire che le emozioni hanno un ruolo fondamentale nell’apprendimento scolastico e il motivo è dato dal fatto che le emozioni sono il segnale che ci aiutano a riconoscere ciò che è buono e ciò che invece è pericoloso; così, tutte le volte che abbiamo paura e diciamo all’organismo di stare attento, non riusciamo ad apprendere in modo ottimale perché le emozioni negative non sollecitano la memoria inviando un messaggio pericoloso e di rifiuto. Dunque, tutte le volte che lo studente, impaurito, proverà a ripercorrere ciò che ha appreso avvertirà solo emozioni negative. Queste emozioni ci portano alla memoria uno stato di allerta e non ci permettono di ottenere il meglio dall’educazione; se invece ci si concentra sull’educazione cercando di stimolare emozioni positive, si aiuteranno gli studenti a vivere meglio il percorso di apprendimento e anche a ricordare le nozioni che hanno ricevuto e studiato. La Pedagogia della Gioia®, dunque, rema in questa direzione, dando agli educatori un bastimento carico di strumenti operativi per educare: ogni educatore deve immaginare di avere due valigie, una con quaderni, cd, libri, appunti, schede, penne e l’altra con le strategie, gli strumenti invisibili che saranno però quelli fondamentali, che faranno la differenza e faranno di quell’educatore un esempio da seguire.
Approccio educativo
Aiuta gli altri a realizzare i loro sogni e realizzerai i tuoi
Alvaro Bilbao
L’approccio educativo diffuso con Pedagogia della Gioia® ha l’obiettivo di supportare al meglio i bambini che hanno bisogno di essere compresi, ascoltati, rispettati nella loro natura ingenua e spontanea. Un processo di crescita che dovrebbe essere il più amorevole possibile. L’insegnante ha nella vita di ogni bambino un ruolo estremamente rilevante, egli può arrivare dove non riesce ad arrivare un genitore: la scuola può salvare, è una palestra di nuove possibilità, incontri, relazioni e modalità diverse da cui imparare.
Tante storie di vite complesse spesso rimangono nel silenzio e sembrano invisibili, ma un insegnante può intervenire e aiutare quei bambini che hanno più bisogno, imparando ad ascoltarli. Un educatore deve guardare dentro di sé e – in alcuni momenti della carriera – ha bisogno di ritrovare: passione, talento, momenti per ricominciare e dare il massimo per supportare i bambini a diventare la versione migliore di se stessi.
La mente del principiante: un approccio che può aiutarti
Il concetto della mente del principiante è tra gli atteggiamenti o attitudini che si sviluppano e riscoprono attraverso la pratica della mindfulness costante nella propria vita quotidiana. La mente del principiante ricalca il concetto del “come fosse la prima volta”.
Succede nella carriera di un insegnante, o di un educatore in generale, di non stupirsi più. Si vive tutto in modo scontato, ci si sente stanchi perché si ripetono le stesse azioni quotidianamente con le stesse dinamiche e fatiche; questo è il contrario di quello di cui invece si ha bisogno come educatori.
È essenziale avere un atteggiamento di curiosità, continuare ad aggiornarsi, leggere e avere esperienze di vita che ci aiutino a risentirci i principianti che eravamo agli inizi.
Com’era la tua passione? Oggi è cambiata? Quali sono le tue aspettative?
Nella vita di tutti i giorni abbiamo la tendenza a porre un giudizio su ogni cosa: su di noi, sugli altri e i vari avvenimenti; questo porta a fare una selezione sulla base di un giudizio che può essere buono oppure cattivo, che potrebbe piacere o meno.
Il rischio è dare per scontato ogni episodio della nostra vita e perdere di vista, così, l’importanza di cogliere la straordinarietà dell’ordinario. Per cogliere la straordinarietà di un momento bisogna coltivare la mente del principiante, una mente che volge lo sguardo a ciò che succede sempre come se fosse la prima volta.
Troppo di frequente accade di pensare come andranno a finire le cose perché le guardiamo con un occhio critico, un principiante invece non ha conoscenze, aspettative sul mondo e nemmeno su se stesso. Questo è un vantaggio in quanto permette di agire in modo ottimale, liberi da ogni
condizionamento e soprattutto dai pregiudizi. Bisognerebbe abbandonare la mente – che si sofferma solo sulle esperienze passate – e aprire gli occhi come se si fosse dei bambini. Quella fanciullezza è ancora presente in ognuno di noi! Si può ancora innescare la passione e la meraviglia per il nuovo!
Imparare a cambiare la propria ottica seguendo la via della mente del principiante permette di abbandonare pregiudizi, preconcetti, fantasie e supposizioni, per iniziare ad assaporare con nuove orecchie e nuovi occhi le esperienze che si vivono.
L’importanza degli insegnanti per i bambini
Pedagogia della Gioia® vuole incrementare l’empowerment del docente, cioè la sua capacità di attingere alle sue risorse interne e di acquisire consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità. In quanto docenti, incrementarlo vuol dire anche migliorare la propria percezione di potenza, forza, competenza, ma soprattutto in termini di autoefficacia e autostima.
Se si considera l’obiettivo della pedagogia quello di permettere la realizzazione di una persona e delle sue potenzialità, viene da sé che l’insegnamento deve essere orientato ad attivare il senso di empowerment non solo in se stessi ma anche negli allievi, al fine di renderli parte attiva. Un docente che è consapevole del suo ruolo pedagogico riuscirà ad instaurare una relazione educativa efficace con lo studente grazie a un’analisi dei codici linguistici, simbolici, culturali, interessi e desideri, al fine di sostenerlo nella conoscenza progressiva ed espressione di talenti e potenzialità. Risulta essere davvero essenziale restituire agli insegnanti il loro valore e la loro responsabilità, af-
finché possano essere come delle molle per riuscire a fare di meglio nel corso della propria vita da educatori. Un insegnante ha tanto tempo a disposizione con i propri studenti, tanti momenti nei quali può dare bellezza, meraviglia, gioia, piacere; per questo motivo non va perso tempo trasmettendo invece chiusura, noia, timore o distrazione. Tu, maestro, maestra, educatore, SEI IMPORTANTE, solo capendo questo si può iniziare un percorso di crescita reciproca con gli alunni. La domanda da porci è: che tipo di educatore voglio essere per i miei bambini/ragazzi?
Il primo piano su cui lavorare è quello della connessione con se stessi per riuscire a riappropriarsi della consapevolezza del proprio corpo e di quella del proprio sentire. La capacità empatica di mettersi in relazione con quanto di positivo c’è dentro e fuori di noi permette di connetterci meglio con gli altri.
Esiste prima il pedagogo e poi la pedagogia, non dimentichiamolo!
In secondo piano è necessario utilizzare tutte quelle strategie, strumenti operativi, modi di fare, esercizi, giochi e attività educative che possano diventare parte del repertorio da svolgere in classe come approccio alla relazione. Oppure, per chi si occupa di formazione come un insieme di tecniche che siano in grado di migliorare il clima relazionale ed emotivo all’interno del gruppo. Bisogna comprendere come ad ogni tappa della crescita di un bambino ci si trovi dinanzi a diverse esigenze; comprendere le sue intenzioni e i suoi bisogni specifici, mettere in pratica delle buone tecniche educative è un insieme di azioni che permettono di agire positivamente sulla crescita psicologica ed evolutiva del bambino. La gioia è una delle emozioni primarie insieme alla tristezza, paura, disgusto, rabbia, sorpresa. Le emozioni sono tutte utilissime, sono per noi indispensabili alla nostra sopravvivenza, ogni emozione ci trasmette un messaggio da ascoltare.
La gioia è l’emozione dello stare bene ed è per questo che dobbiamo sempre cercarla dentro di noi, è l’emozione che ci spinge verso l’altro, che cerca la condivisione con l’altro. Esiste soprattutto quando possiamo raccontarla ed esprimerla agli altri.
Essa è anche essere coerenti con i propri desideri e bisogni, non solo un’espressione di contentezza ma una connessione autentica. La gioia si prova solo stando nel presente.
La gioia mette in relazione l’educatore col bambino, in quanto permette di avvertire la giusta congiunzione tra mente e corpo e una maggiore capacità di rapportarci agli altri.
I bambini esprimono la gioia in modo naturale, sono naturalmente inclini a questa emozione e spesso noi adulti non siamo capaci – perché non educati – di sorprenderci come fanno loro delle piccole cose della giornata.
La gioia è un’emozione che interessa tutto il corpo dei bambini.
Quindi, per supportare i bambini è necessario stimolare la connessione empatica ed emotiva con attività che ci aiutino a prendere più ampia coscienza e consapevolezza dell’espressività del corpo e della voce, usandola al meglio, per essere degli operatori efficaci, per raggiungere i bambini attraverso la giusta energia e arrivare a loro non solo attraverso le parole.
I bambini sono movimento, sono corpo ed emozione; le attività qui proposte permettono di allinearsi alle esigenze strutturali di un bambino perché, nel momento in cui io mi muovo, danzo, rido, mi esprimo, automaticamente il movimento crea emozione, benessere individuale e di gruppo.
Lo specchio e il conduttore (colui che fa passare) sono proprio l’educatore che sta ore e ore con i bambini.
Si raccoglie sempre quello che si semina e la Pedagogia della Gioia® cerca di farlo comprendere agli educatori: se si semina accoglienza e genti-
lezza si raccolgono bellezze, se si semina ogni giorno paura e disinteresse si raccoglie chiusura. Il percorso di crescita e i processi educativi sono molto complessi, e la neurobiologia ci dice che ciò che siamo e che diventeremo dipende da un intreccio di fattori genetici ed epigenetici (cioè legati all’influenza dell’ambiente, delle relazioni, delle esperienze) e che la possibilità di evoluzione e cambiamento dell’essere umano, la sua “plasticità”, permangono persino in età avanzata, seppure i primi anni di vista siano fondamentali nello stabilire le basi del benessere e dello sviluppo della vita adulta.
Detto in termini pedagogici, occorre tenere a mente due cose: la prima è che l’esempio ha un valore importantissimo; dunque, come educatori è importante non essere perfetti ma diventare consapevoli dei messaggi che si trasmettono e della loro possibile influenza sui bambini; la seconda è che è necessario adottare uno sguardo educativo improntato ad un sano ottimismo pedagogico.
Il nostro cervello è plastico, può essere plasmato per innescare nuove abitudini che producano benessere. Le nuove abitudini si creano con la forza della ripetizione: possiamo educare alla gioia, alla bellezza per ritrovare il giusto percorso di benessere e far vivere ai bambini la scuola con piacere.
Compito dell’educatore è quello di riuscire a intrecciare al meglio la teoria e la pratica. È necessario in ogni contesto educativo prendere in considerazione non solo gli aspetti cognitivi o verbali ma curare anche lo strumento del “corpo”, conducendo lo studente a una più ampia consapevolezza dei suoi comportamenti, delle emozioni e gestione della relazione con gli altri. L’insegnante che vuole toccare le anime dei suoi allievi ha bisogno di essere dotato di una profonda sensibilità, che possa essere per lui la chiave di accesso al mondo dei bambini.
Allorquando la maestra avrà toccato così, anima per anima, tutti i suoi allievi risvegliando e ravvivando in essi la vita come una fata invisibile, ella possiederà tali anime e basterà un cenno, una parola perché ciascuno la senta vivamente, la riconosca e la ascolti.7
Educazione plurale mente e corpo
Il corpo è la manifestazione vivente del modo d’essere di un individuo. Ognuno di noi si presenta nel mondo con il suo modo d’essere, adottando delle modalità di movimento che prevalgono quali: camminare velocemente o piano, assumere una determinata postura o fare degli specifici movimenti o gesti. Questi sono manifestazioni dell’essere e soprattutto della mente. La mente e il corpo non devono essere considerate come due entità separate ma come l’una concernente l’altra. Negli ultimi anni si sta riscoprendo, anche in Occidente, come la mente e il corpo siano entità che si riflettono l’una sull’altra; infatti, ognuno di noi nel corso della vita imprime sia nel suo corpo che nella sua mente emozioni e pensieri che lo attraversano in risposta agli stimoli del mondo esterno.
Gli stimoli lievi lasciano dei segni passeggeri, ma gli eventi traumatici lasciano delle tracce che non si possono cancellare facilmente; mentre la mente allontana il ricordo, lo rimuove e seppellisce nell’inconscio, il corpo non dimentica. Il nostro corpo è un’entità davvero molto complessa, un organismo vivente che ci serve ininterrottamente fin da quando siamo stati concepiti e lo farà fino alla morte. Il corpo è il sostegno primario e la più grande meraviglia della nostra esistenza, meritevole d’accettazione, di rispetto, amore, in quanto parte più vicina a noi.
7. Montessori, 2011, p. 45.
Nel mistero del corpo dimora la consapevolezza, in quanto la nostra capacità d’ascolto è la cassa di risonanza della nostra interiorità, si modula all’apertura dei nostri sensi al mondo. Per salvaguardare la salute dell’uomo bisogna, dunque, considerare la sua armonia con la natura essendo l’uomo parte integrante di essa, e se vogliamo conoscere chi siamo nella realtà dobbiamo imparare ad arrestare il pensiero.
Come disse Eugenio Montale: “La vita deve essere vissuta non pensata, perché la vita pensata nega sé stessa e si mostra come un guscio vuoto”. Bisogna andare oltre la mente e il nostro corpo, in ascolto del cuore. Il cuore, incatenato al corpo, vive nel presente, non è inquinato dai ricordi del passato, dal sapere, dall’esperienza. L’uomo da “bambino” funziona con il cuore, spostando però poi man mano la sua percezione dal cuore alla testa. L’educazione, come impostata oggi, contribuisce a spostare le energie del cuore alla testa, distruggendo le capacità intuitive e costringendo a un apprendimento della logica che porta il pensare a diventare più importante della sensibilità. La mente è affollata di desideri e ci si continua a riempire con una quantità sempre maggiore di aspirazione al potere, ambizione, ricchezza, dimenticando che dentro di noi esiste un cuore che palpita e che vive nel nostro corpo che agisce. Noi abbiamo due componenti, una razionale e una emotiva, entrambe molto importanti; la componente razionale è la modalità di comprensione di cui siamo coscienti e domina con la consapevolezza, la riflessione, la capacità di ponderare. Accanto a questa però c’è la componente emozionale, molto più rapida di quella razionale in quanto passa dal corpo all’azione senza fermarsi un attimo, e i gesti che da essa scaturiscono sono accompagnati in genere da una sensazione di sicurezza alquanto forte, che deriva dal vedere le cose in modo immediato e semplificato e sembra sconcertante per la componente razionale.
Quando si risveglia la parte razionale è normale chiedersi: come mai ho fatto questo? L’intervallo tra il fattore che scatena l’emozione e l’erompere della stessa può essere un meccanismo quasi spontaneo.
La dicotomia razionale/emozionale è simile alla distinzione che si fa tra cuore e mente. Abbiamo due menti in realtà, una che pensa all’altra, che sentono quando sappiamo che qualcosa è giusto con il cuore: non si può pensare bene senza le emozioni, senza che dialoghino la parte inconscia e quella conscia. Le neuroscienze hanno permesso una nuova mappatura delle relazioni tra cervello e cuore, dimostrando che le informazioni che si muovono nel nostro corpo attraverso gli impulsi nervosi, definiscono i “modi” del nostro sentire e del nostro comprendere.
Il compito dell’educazione è lo sviluppo della connessione tra competenze cognitive ed emotive, ci ò è possibile mediante un uso consapevole del corpo e dei sentimenti per riuscire a porre rimedio al fatto che non sempre l’uomo viene considerato come entità globale. Questa considerazione richiede un processo che possa apportare un vantaggio alla pedagogia, quello di vedere cuore, mente e corpo coinvolti in un unico insieme che porti alla formazione della personalità e alla strutturazione dell’individuo. Liberandola dall’esilio così della teoria e integrandola appieno all’interno della propria attività educativa.
La pratica dell’aver cura
Il gesto di cura è tra i più originari, insito sia negli uomini che nelle donne e questa pratica richiede energie e anche un impegno costante nel tempo. Comprendere l’importanza della cura e della sofferenza evidenzia la necessità di un’educazione
che sia completa e complessa, non limitata solo all’acquisizione di nozioni e linguaggi, ma che includa anche il coltivare relazioni e dialoghi con gli altri. È cruciale che l’ambiente circostante offra un supporto emotivo e cognitivo adeguato, in modo da evitare che la fatica e la mancanza di una giusta assistenza prevalgano.
Apprendere non è solo riuscire a inglobare nozioni e linguaggi, ma coltivare una relazione e un dialogo con gli altri.
Don Milani disse ai suoi tempi – ma dice ancora a tutti noi con sole due parole – dei concetti molto importanti da ricordare: “I care”, cioè “mi interessa”, “mi assumo la responsabilità”, “mi stai a cuore”, “mi prendo cura”.
Bisogna apprendere che questa è un’assunzione di responsabilità in primo piano verso se stessi. Agire con cura, richiedere di promuovere al meglio il benessere dell’altro. Ma quanto ci si impegna nei processi di formazione a sviluppare le disposizioni che richiedono di prendersi cura non solo dell’istruzione ma anche della vita? Quanto questo viene eluso oppure evitato dalla concentrazione sulle discipline, sui curricula o sullo sviluppo di una razionalità strumentale e tecnica? Per essere un educatore con un senso di responsabilità verso ciò che vivono gli utenti e verso il compito educativo, è richiesto lo sviluppo di rispetto per l’altro, dei suoi tempi e del vissuto, al fine di agire in modo “donativo”, ossia poter donare all’altro tempo ed energie: emotive, cognitive, fisiche per migliorare il suo stato di salute mentale e fisico. Un educatore si interfaccerà anche con luoghi di solitudine, fragilità, sofferenza e innumerevoli situazioni in cui ci sono momenti di fatica emotiva. Avvicinarsi al soffrire, aiutare le persone che sono segnate dalla fragilità anche solo in certi momenti della propria carriera professionale, supportare chi porta con sé fratture e/o cicatrici profonde è un’occasione educativa per riuscire a cogliere
l’intensità nella relazione e provare forme di conoscenza, di pensiero complesse e aperte. L’incontro con la sofferenza, con le difficoltà, permette all’operatore di approfondire dei mondi nuovi dell’esistere umano che coglie l’occasione di esplorare nuove interpretazioni a partire da ciò che si è vissuto, rendendosi conto di quello che vivono gli altri. È una meravigliosa opportunità da non perdere. “Rendersi conto” è un’esperienza particolare: rendersi conto della gioia o dolore di un amico o di persone lontane e rese presenti alla vita è molto più di una semplice ricerca di ragioni, spiegazioni o dell’indagine di cause e fattori intervenuti. L’attenzione è molto più di una semplice concentrazione, è la capacità di muovere verso la realtà un pensiero raffinato e articolato attraverso un cuore in grado di percepire. Il sapere non ha solo la forma della conoscenza intellettuale ma anche la forma del sentire una relazione che permetta di rendersi conto della gioia e del dolore dell’altro.
La mia prima esperienza di lavoro da educatrice professionale è stata durante gli studi all’università, seguivo dei minori considerati a rischio, con situazioni familiari difficili presso le loro abitazioni. Ricordo molto bene quei due anni circa di lavoro. Incontrare le loro difficoltà è stato incontrare le mie difficoltà, sentire le loro paure è stato sentire le mie paure di bambina, le loro ferite che imparavo a conoscere giorno per giorno le avrei volute curare tutte e immediatamente. Ad un certo punto nella relazione con i “miei” ragazzini ho sentito che avevo bisogno di approfondire cosa mi stava accadendo perché lavorare con la loro sofferenza mi stava facendo soffrire troppo. La mia coordinatrice di allora, Roberta, una persona splendida e di grande competenza mi consigliò di procedere con qualche colloquio psicologico con la psicoterapeuta con cui collaborava la cooperativa sociale per cui lavoravo. Non ricordo il nome di quella signora, so che in quei tre incontri mi ha aiutato moltissimo a rendermi conto che stavano entrando in gioco i miei vissuti di bambina, il rapporto con i miei genitori e soprattutto mi ha aiutato a vedere che il nostro lavoro educativo aveva un valore per ognuno di quei bambini, molto più grande di quello che
io potessi immaginare perché per alcune ore al giorno io portavo qualcosa di sano e coerente in un clima di serenità e affetto.
Anche se a volte ci sentiamo soli, stressati, non in grado di fare la differenza, non in grado di aiutare ed educare i bambini, in realtà non è così. Siamo importanti e anche una piccola mano, un piccolo intervento è la giusta soluzione per poter fare una grande differenza nel mondo di un bambino che soffre, ma anche di tutti quei bambini che semplicemente sono in aula con noi e ricercano nell’insegnante un punto di riferimento. La responsabilità della cura è una competenza educativa che l’educatore deve coltivare giorno per giorno nella sua formazione professionale e in campo lavorativo, disponendo sempre dei giusti strumenti teorici e concettuali al fine di elargirla al momento giusto.
La cura può essere vista anche come una forma di attenzione verso l’altro, una presenza nella relazione che parte da sé, dall’ascolto di ciò che diviene dentro di noi, una pratica che va seguita come una forma d’amore verso se stessi e verso gli altri, in quanto solo così chi pratica la cura può promuovere per l’altro la possibilità di attualizzare il suo essere più vero e originale. Prendersi cura dell’altro non è solo prendersi carico degli aspetti visibili ma anche di tutti quegli aspetti che sono invisibili – quali il linguaggio dei sentimenti e del corpo – che l’educatore deve riconoscere per porsi in relazione come operatore della cura, prima di tutto di se stessi e poi in direzione dell’altro.
“Pedagogia della Gioia®” è un innovativo metodo educativo. Nato con l’intento di sostenere genitori, educatori e insegnanti nell’importante compito educativo, si caratterizza per un ricco repertorio di attività, idee, riflessioni e giochi di relazione che migliorano la qualità del tempo che ogni adulto, in quanto educatore, trascorre insieme ai bambini e alle bambine aiutandoli a sviluppare le competenze emotive in ogni fase della loro crescita e in tutti i contesti educativi.
Partendo dalla consapevolezza che la parola gioia in ambito educativo è spesso ancora bandita, questo metodo la usa volutamente anche come monito per cominciare a immaginare e strutturare percorsi educativi caratterizzati da un clima di serenità, collaborazione, fiducia nelle potenzialità di chi viene educato. Il libro presenta il metodo e propone una raccolta di attività dinamiche tratte dal repertorio di linguaggi non verbali come arte, musica, gioco, rilassamento guidato e canto, modalità espressive e comunicative che convivono nella mente di ciascuno già da bambino e che hanno il potere di generare altri linguaggi, azioni e potenzialità creative se solo vengono valorizzate e implementate. A tutti coloro che educano, questo libro si rivolge con un messaggio chiaro: “Educare con gioia” non significa non avere consapevolezza della responsabilità del ruolo educativo e delle sue difficoltà, ma avere chiaro che – qualunque sia il ruolo che rivestiamo – abbiamo anche la grande opportunità di educare le future generazioni alla gentilezza, alla gratitudine, all’apprezzamento, alla gestione positiva dei conflitti. Ad essere adulti, cioè capaci di comprensione e accoglienza dell’altro.
Che poi è la sfida dell’educare. Farlo creando contesti “gioiosi” aiuta a sviluppare competenze emotive positive, a riconoscerle in se stessi e negli altri e a valorizzarle.
Monica Lombardi è pedagogista e formatrice. Laureata in Scienze dell’Educazione e Scienze Pedagogiche si specializza nel 2006 in Musicoterapia. Nel 2021 ha creato “Pedagogia della Gioia®”, un programma formativo per genitori, educatori e insegnanti che enfatizza il benessere emotivo.
ISBN 979-12-5626-004-1
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