Pietra

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Francesco Cicchi

è nato a San Benedetto del Tronto. È fondatore e Presidente della Cooperativa Sociale Onlus Ama Aquilone, da oltre trent’anni impegnata sul fronte delle marginalità, della pace, dell’integrazione. Negli anni il gruppo è cresciuto, non ce ne siamo quasi accorti, vivendo la passione quotidiana dell’accoglienza dell’altro, che è accoglienza dell’umano. Oggi Ama Aquilone è una delle realtà più rappresentative della regione Marche.

Questo libro raccoglie una selezione di storie, riflessioni, versi e stralci di discorsi ufficiali che abbracciano un arco temporale di decenni. Materiale “emotivo” riportato, non secondo un criterio cronologico, ma con giustapposizioni tematiche che alternano i pensieri ai ritratti ispirati a vicende reali. Con questo artificio creativo il racconto assume non il tono cronachistico di una testimonianza sociale e settoriale, ma il retrogusto introspettivo, rispettoso e a tratti ancora tormentato, di una riflessione più ampia e presente, indispensabile per la disciplina quotidiana dell’anima. Un messale laico, in equilibrio tra i gesti e il canto, che si presenta con il candore inquieto e stupito di un diario scritto a mano, ma anche come impegno per la costruzione di una regola umile, morale e civica, disincantata e necessaria al tramandare.

FRANCESCO CICCHI

PIETRA

L’anima e l’infinito da abitare

PIETRA

Francesco Cicchi

con un intervento di

Eraldo Affinati ISBN 978-88-6153-616-6

Euro 13,50 (I.i.)

9 788861 536166


Francesco Cicchi

Pietra L’anima e l’infinito da abitare Con un intervento di Eraldo Affinati

edizioni la meridiana


INDICE

Eraldo Affinati Da un’alba all’altra Premessa

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NON MI TRATTENERE. UN ATTIMO PRIMA DELLO STUPORE L’uomo che disegna il mondo. Assisi L’ombra. Il buio necessario alla luce “I cento cammini”. La premessa e il fine del nostro peregrinare

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L’UFFICIO DELL’ALBA. L’ATTESA DELLA NOTTE E LO STUPORE DELLE PRIME LUCI

Il maestro. René Per dignità... Il valore intrinseco e inestimabile di ogni essere umano Farfalle senza ali. L’amore qui e altrove SCALZI TRA LA GENTE. L’ELEMOSINA DEL PELLEGRINO E IL VALORE DELL’INCONTRO Calzetti neri. Ecuador Kevin e Michelle. Ecuador Le nostre anime. Un mare da portare nel cuore LAVORO. LA PREGHIERA DELLA TERRA Essere oggi e non domani. Il futuro scritto nel vento L’infinito che vive in noi. Francesco e Chiara Il dono del cammino. L’acqua che conduce alla foce dell’uomo

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MENSA. LA NECESSITÀ DEL PROSSIMO Roberto. Verrà la primavera Maria. Cioccolato caldo Ritrovarsi accolti. Un messaggio da tramandare

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VESPRI. IL CANTO DEL SACRIFICIO E DELLA SPERANZA Maddalena. La poesia degli “scarti” Monica. 20 anni La nostra piccola, grandiosa esistenza. La scoperta o la riscoperta del proprio cielo

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COMPIETA. L’AFFIDAMENTO Samuele. Dissonanza che cerca il Cielo A Martina, a Riccardo, i miei figli. Il grano che muore, per poi rinascere Assenze. Sulla strada della meraviglia

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IL GRANDE SILENZIO. L’ORA DEGLI ANGELI Angeli. Il conforto delle storie impossibili Scendere in me. Marta Paciencia amigo pintor. Una bambina

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LODI. RESURREZIONI Pietra. (Essere un ossimoro) Rigenerarsi. L’attesa fiduciosa del miracolo Preghiera. Fragile

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BIOGRAFIA Francesco. In fondo sarò sempre così...

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POSTFAZIONE La forza della fragilità di Giuseppe Frangi

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DA UN’ALBA ALL’ALTRA di Eraldo Affinati

Questo è un libro costruito attorno a tanti “tu”. Ma questo libro nasce dal bisogno di un “io” che scrive. Come spiegare questo bisogno? Ognuno di noi è il frutto degli incontri che ha avuto. E anche di quelli che avrebbe potuto fare e invece gli sono sfuggiti. Perfino delle esperienze mancate. Anzi, più vado avanti negli anni, più mi rendo conto che certe nostre dolorose diserzioni contano quanto le presenze che siamo riusciti a realizzare. Siamo frammenti di un disegno complessivo di cui ignoriamo tutto: dalla nascita, con le doglie del parto che il testo biblico richiama, fino alla morte, solenne per la sua stessa inevitabilità. In questo senso l'io e il tu sono invenzioni umane che il cristiano, in particolare, ha tutto il diritto di divinizzare. “La mia è una narrazione che non si racconta” l’autore fa a dire a Marta, ragazzina caduta nell’eroina, dopo aver assistito all’uccisione dei suoi genitori. Come ci si pone davanti “a una narrazione che non si racconta”? Provo a spiegare in chiave giuridica: un fatto in sé, al di fuori della sua flagranza, potrebbe corrispondere alla visione di chi lo riporta. È come se la nudità dell’esistenza avesse in sé qualcosa di intrattabile, incoercibile, inclassificabile. Da scrittore ho sempre sentito con imbarazzo l’artificio narrativo a cui la tradizione letteraria sembrava destinarmi. Da insegnante intuisco che, di fronte a una personalità in formazione, specie se lacerata, il mio intervento rischia costantemente di avere un effetto unicamente cosmetico. 9


Le esperienze di solidarietà sono spesso in cerca di una forma attraverso cui raccontarsi. C’è bisogno di maggiore audacia? Anche di prendersi dei rischi con la scrittura come nel caso di questo libro? Se la scrittura non certifica l’esperienza che intende rappresentare rischia di fallire il proprio compito: certo è un problema di forma, ma chiama in causa soprattutto la tensione etica che alimenta il testo. In questo caso mi sembra che l’adozione di una struttura narrativa ritmica scandita dalle ore del giorno, da un’alba all’altra, secondo l’impostazione che Francesco Cicchi ha dato ai suoi ritratti, ai pensieri e alle testimonianze, indichi la volontà di creare un nesso fra le storie raccontate e la misura universale della condizione umana nella quale sono state collocate, alla maniera, appunto, di un messale laico. La scrittura serve a dare senso all’esperienza, a fare in modo che non sembri vana. Quanto al lettore può ritrovare nei traumi e nelle sofferenze patite dai personaggi presenti nel libro qualcosa di se stesso. Al centro del libro c’è la questione della fragilità. La fragilità può essere davvero un motore imprevisto di ricostruzione, personale e sociale? Una delle testimonianze più intense del libro di Francesco Cicchi mi è sembrata quella di Maddalena, inscritta in un capitolo intitolato proprio: “la poesia degli scarti”. Fragilità come imperfezione, inadeguatezza, conto sbagliato, gorgo interiore. Ma perché le persone più interessanti sono proprio queste? Me lo sono chiesto spesso insegnando ai ripetenti, ai ragazzi difficili, a chi non riusciva a stare al passo con gli altri. È come se loro mi chiamassero a un rendiconto speciale che, invece di frenarmi, rilanciava la mia attività. Mi trovo bene con i vagabondi, con i falliti, con gli orfani, con gli immigrati, più che con gli individui di successo, i cosiddetti beniamini della vita, i quali talvolta mi incutono tristezza. Cerco di trovare le risposte edificando azioni conseguenti. 10


Nei percorsi solidali l’esito è oggettivamente un legittimo obiettivo, un valore. Eppure nelle pagine del libro si capisce che l’orizzonte è quello di “essere liberi dall’esito”. Credo anch’io che non dobbiamo far dipendere la nostra azione dal risultato che potremo ottenere. Certo tutti vorremmo ricevere il sorriso che René, prima di spirare nel vecchio ospedale di paese, mi auguro abbia regalato ai suoi amici dell’Ama Aquilone, sarebbe stato comunque il compenso più bello, ma dobbiamo lavorare senza pensarci. A fondo perduto. Qualche tempo fa è venuto a casa nostra Bashir, un ragazzo egiziano copto che era stato con me prima alla Città dei Ragazzi, poi alla Penny Wirton. Voleva che gli correggessi una tesina e io naturalmente mi sono messo all’opera con emozione. Prima di lasciarmi mi ha detto un proverbio arabo: “Fai del bene e buttalo nel mare”. Gli ho chiesto di scrivermelo in lingua originale su un foglio che ora lo tengo appeso in camera. “Il Mistero sta proprio nel credere di poter vedere ciò che non si vede, nell’amare chi non vuole essere amato”, si legge nel libro. Quanto conta in un’esperienza educativa o di recupero lasciar spazio anche al mistero? Non c’è una precettistica perché ogni uomo e ogni donna hanno qualcosa di unico, irripetibile, straordinario. Quello che tu potresti interpretare in un modo, poi magari si configura in un altro. L’importante è mettersi in una posizione di disponibilità, questo sì, non chiudersi a riccio, né illudersi di poter controllare tutto. Se fai così, allora ti arrivano i doni, quelli veri: come Patricio Cristian il quale, al negozio sportivo dove l’avevano condotto i suoi educatori per regalargli le tanto agognate scarpette da tennis, prima di provare il modello nuovo, si vergogna, di fronte a loro, dei suoi calzetti vecchi, rotti e neri. “... ’mi hai deluso”, forse il peggiore dei giudizi, insieme all’ipocrisia”, scrive Francesco Cicchi. Condividi? Decisamente sì. Andiamo a prendere il dizionario e scegliamo la parola contraria: illusione. Non per convincere 11


lo sconfitto di una realtà inesistente, ma nella profonda risonanza leopardiana che la terra marchigiana dell’Arcobaleno quasi ci chiede di ascoltare. L’energia vitale serve al “garzoncello scherzoso” per dilatare all’infinito il “giorno d’allegrezza pieno”.

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PREMESSA

Questo libro raccoglie una selezione di storie, riflessioni, versi e stralci di discorsi ufficiali che abbracciano un arco temporale di decenni. Tale materiale “emotivo” – testualmente riportato, non secondo un criterio cronologico, ma con giustapposizioni tematiche che alternano i pensieri ai ritratti ispirati a vicende reali – costituisce l’insieme degli argomenti che si snodano attraverso una struttura narrativa ritmica scandita dalle ore del giorno, dall’alba all’alba successiva, così come concepite da alcune delle più antiche religioni della cultura occidentale e orientale. Con questo artificio creativo il racconto assume non il tono cronachistico di una testimonianza sociale e settoriale, ma il retrogusto introspettivo, rispettoso e a tratti ancora tormentato, di una riflessione più ampia e presente, indispensabile per la disciplina quotidiana dell’anima, che si consuma tra la luce fragorosa del mondo e la penombra della solitudine ascetica. Un messale laico, in equilibrio tra i gesti e il canto, che si presenta con il candore inquieto e stupito di un diario scritto a mano, ma anche come impegno per la costruzione di una regola umile, morale e civica, disincantata e necessaria al tramandare. Una pietra scartata che diventa materia di meraviglia (Mt 21,42), appunto. 13


L’UOMO CHE DISEGNA IL MONDO ASSISI

Sono entrato nella casa di Francesco insieme a due ragazzi delle nostre comunità e a un prete colombiano. Incontrare il “povero di Assisi” è abbracciare il coraggio dell’uomo e del santo che, spogliandosi di tutto, è arrivato a rivestirsi pienamente del Tutto in cui credeva. Il suo peregrinare alla ricerca di un incontro, non importa che fosse un lupo o un uccello, umano o natura, ci permette di comprendere quanta paura abbiamo di vivere nell’accoglienza e di quanti compromessi è costellato il nostro cammino. Forse è proprio il senso del viaggio quello che ci manca. Preferiamo aspettare che gli eventi accadano. Preferiamo non incontrare. Preferiamo restare al sicuro delle nostre certezze. Mi domando se, stando fermi, si possano realmente avere delle convinzioni; o se queste non siano, piuttosto, delle comodità. Claudio Magris dice che ognuno di noi, pur smarrito nella vertigine delle cose, riesce, nel confronto con questo smarrimento, a trovare se stesso. Attraversando il mondo scopriamo la nostra verità. Quella verità, all’inizio soltanto potenziale, attraverso il confronto, si traduce in realtà. Per questo il nostro fare quotidiano deve essere accompagnato dal desiderio del viaggio. Dobbiamo uscire fuori, senza aver timore di perdere il nostro passato, e avere “fede” nel 17


nostro peregrinare, perché ci sono sempre mondi migliori da scoprire; e strade che puntano dritte alla nostra autenticità. Un uomo si propone di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di regni, di montagne, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di astri, di cavalli, d’incontri e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto Jorge Luis Borges

Buon viaggio a tutti.

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FARFALLE SENZA ALI L’AMORE QUI E ALTROVE

Diceva qualcuno: “Ci sono due modi di vivere la vita: uno è pensare che non ci sono miracoli, l’altro è pensare che ogni cosa sia un miracolo”. Ho incontrato una splendida farfalla, aveva occhi vivaci e un sorriso che la riempiva di luce. Ma non aveva ali. Il suo fragile corpo mancava delle appendici necessarie che le avrebbero permesso di innalzarsi e di guardare la bellezza del paesaggio con la pienezza di vita che covano i boccioli. Le ali rappresentano il “Qui che è Altrove”. Il passato, vissuto o non vissuto, che è parte del nostro essere. La possibilità di sognare, guardando l’inquietudine e il dolore dall’alto. La forza di sperare attraverso l’amaro. Don Tonino Bello diceva spesso: “Gesù, donami una terza ala per aiutare a far volare i bisognosi della Terra”. È questo lo spirito che dovrebbe accompagnarci ogni giorno: essere consapevoli che, donando parte di noi stessi, possiamo sfidare l’impossibile. Nella mia vita ho conosciuto tante farfalle senza ali, che hanno provato a volare con il cuore e con l’anima, riuscendo a percorrere cieli infiniti. Sono questi i veri miracoli: esistono, io li ho visti e vissuti insieme a tanti altri. Basta crederci.

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KEVIN E MICHELLE ECUADOR

Arrivati a Sucuso, vedemmo venirci incontro una donna, avrà avuto circa sedici anni. Piangeva e stringeva tra le braccia un niño. Quando, con estrema delicatezza, scoprì le sue piccole gambe, notammo che erano piene di piaghe. Kevin Ariel, questo il nome del bambino, si era procurato quelle orribili bruciature, versandosi addosso dell’acqua bollente, mentre la sua giovanissima madre era lontana dalla capanna in cui vivevano. Se non ci avessero incontrato, nessuno sarebbe stato disposto a farsi carico delle cure mediche necessarie a far guarire le ustioni e Kevin avrebbe continuato a sopportarle con lo stesso silenzioso dolore con cui ci aveva guardato, mentre la giovanissima madre sembrava supplicarci, offrendo alla nostra compassione suo figlio e, con lui, la sua speranza di futuro. Arrendersi alla casualità della deprivazione. Mi torna alla mente anche Michelle. Quando la vidi per la prima volta, indossava un abitino bianco da cui faceva capolino un braccio malforme. Padre Jaime mi spiegò che era caduta e che si era procurata quella deformazione giocando con gli altri bambini. Ricorrere a un’ingessatura, cosa che può sembrare scontata, è un assoluto privilegio in Paesi così poveri, dove il diritto alla salute esiste solo per chi ha i soldi per poterlo comprare. Così Michelle avrebbe trascinato quell’handicap per il resto della sua vita. 35


Porterò con me le immagini di queste e di tutte le piccole creature “ferite” per cui vale la pena battersi ogni giorno, perché tornino a vivere la dignità, come una certezza quotidiana: come piangere, quando si soffre, e ridere, quando si è felici.

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L’INFINITO CHE VIVE IN NOI FRANCESCO E CHIARA

La vita è un susseguirsi di frammenti, in questi attimi incontro “Chiara”, parla spesso alla mia inquietudine, la ricerca di un qualcosa, che mi impedisce di accontentarmi di ciò che ho. Mi stavo recando in Regione, in quel tragitto c’è un luogo, tra Grottammare e Pedaso, a cui sono particolarmente affezionato, un tratto da cui si può ammirare il mare in tutta la sua bellezza. Ogni volta penso che sia metafora dell’uomo, a volte calmo altre mosso o in burrasca, come il movimento che quotidianamente vive in noi. È la visione che preferisco, perché in quel momento percepisco il mare come rivoluzionario, pieno di diverse sfumature. È come se, con la salsedine che emana, volesse dare un sapore alla nostra vita e con il rumore che sprigiona, invitarci ad ascoltare i suoni più profondi della nostra anima. Il mare ci dona quel senso di immenso che vale la pena cercare, che sia dentro o fuori di noi. Chiara mi dice: “Francesco, l’infinito non è frutto della nostra immaginazione, non è impalpabile. Più di venti anni fa, insieme ad altri, hai piantato delle ghiande lungo il viale della tua comunità. Con pazienza e forza, sono diventate querce. C’ero quel giorno in cui ti sei fermato ad ammirarle, a contarle, a domandarti come, da una ghianda, potesse nascere qualcosa che vedrà mille cieli, che generazioni e generazioni vedranno anche dopo di noi. Ecco, Francesco, l’infinito vive in noi e oltre di noi per questa cosa, molti am43


mireranno quella quercia, senza sapere chi l’ha piantata, è lì che vive l’immensità, in un nostro piccolo gesto. Nella quercia che ha inciso, nella madre terra, il tuo nome”. “Ho sempre pensato che il nostro prolungamento fossero i nostri figli, invece scopro che l’Infinito vive in noi, anche nei molti gesti che facciamo.” “L’immenso, caro amico mio, inizia a vivere nel momento in cui in noi sboccia la meraviglia.” “Sai, Chiara, a volte ho l’impressione che il tempo mi sfugga, ho paura di non poter godere di tutto ciò”. “Ricordati sempre di vivere il tuo tempo, perché ‘invecchia in fretta’. Spesso siamo produttori di un tempo senza tempo, che non vive...” “Ma non capisco come possa una vita non essere vissuta, anche le peggiori hanno una storia...” “Immagina, Francesco, la storia di un tossicodipendente, sempre uguale a se stessa, ogni giorno alla ricerca di un tempo che non esiste... Oppure pensa agli uomini e alle donne del nostro tempo. Non sono altro che produttori di muri, anche interiori. Il tempo vissuto è quello della ghianda che, con perseveranza, con la forza del suo tronco, cerca di volgere lo sguardo al cielo, tenendo le radici ben radicate nella terra.” L’Immenso non è qualcosa che si aspetta, ma che avviene quando abbiamo gli occhi per vedere l’Infinito e le gambe per percorrere il nostro tempo, un arcobaleno non atteso, ma desiderato. Il cielo stellato sopra di me e il senso etico dentro di me Immanuel Kant

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ROBERTO VERRÀ LA PRIMAVERA

Roberto era lì, sul suo letto d’ospedale, a consumare così gli ultimi anni della sua breve vita. Gli tenevo stretta la mano e ascoltavo il suo silenzio, rotto, all’improvviso da una frase. Non capii cosa volesse dirmi. Qualche mese fa, riordinando le innumerevoli lettere che ricevo, ogni giorno, dalle carceri, mi è capitato tra le mani un piccolo pezzo di carta. Era il racconto di Federico, un ragazzo che aveva vissuto qualche tempo nelle nostre comunità terapeutiche e che stava scontando una pena presso un istituto di detenzione. Tre guardie lo avevano prelevato – “Manco fossi un pericoloso criminale” – manette ai polsi, perché doveva essere sottoposto a una visita medica. Le persone, assiepate attorno al furgone carcerario, commentavano: “Ma chi è?”, “Forse un mafioso”, “Ma no, mi sa che è quello di quel delitto famoso”. “Francesco, mi sono sentito finalmente importante. In tanti anni di solitudine, di tossicodipendenza, di una vita ai margini, ho avuto finalmente il mio momento di gloria.” Ho riso, mentre i miei collaboratori mi guardavano perplessi, ma soprattutto ho afferrato cosa fosse quella “venuta della primavera” di cui mi aveva parlato Roberto. Non è semplice renderla viva ai più, tanto è intima, ribelle e sana. È quel sibilo liberante che sgorga. 49


La dimensione che rianima. Tante volte l’ho attesa e tante tante volte, inaspettata, è arrivata. La gioia.

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LA NOSTRA PICCOLA, GRANDIOSA ESISTENZA LA SCOPERTA O LA RISCOPERTA DEL PROPRIO CIELO

Possiamo leggere la Pasqua in chiave cristiana. Oppure no. La passione di Gesù, tutta la sua sofferenza vissuta dall’entrata a Gerusalemme fino alla crocifissione. Ecco – che Dio mi perdoni – ma anche la vita degli uomini e delle donne nei nostri centri, come la nostra, è fatta di momenti difficili, di luoghi e tempi senza orizzonte e senza tempo vissuto. Un ragazzo o una ragazza tossicodipendente vive il suo calvario, un luogo di morte, dove il tempo non scorre, dove i visi non hanno espressione, dove non esiste che un’unica ragione: la droga. Nel calvario del Cristo, ci sono la resurrezione e la salita al cielo alla destra del Padre. Così, per ogni uomo o donna, ci sono la scoperta o la riscoperta, se ricercata, del proprio cielo. Gesù sulla Croce ha chiesto perdono per tutti noi, non ha giudicato, non era deluso. Spesso mi trovo a scoprire, in chi dice di non credere, meno giudizio, minor uso delle parole “Mi hai deluso”, forse il peggiore dei giudizi, insieme all’ipocrisia. C’è un detto popolare che dice: “La delusione è la rabbia dei rammolliti”. L’augurio è che ci sia lo sforzo di perdonare, di accogliere, di non giudicare, di essere pazienti e consapevoli nel ricercare, ogni giorno, nei nostri centri e nella vita, quel meraviglioso infinito che abita in noi e fuori di noi. 61


Francesco Cicchi

è nato a San Benedetto del Tronto. È fondatore e Presidente della Cooperativa Sociale Onlus Ama Aquilone, da oltre trent’anni impegnata sul fronte delle marginalità, della pace, dell’integrazione. Negli anni il gruppo è cresciuto, non ce ne siamo quasi accorti, vivendo la passione quotidiana dell’accoglienza dell’altro, che è accoglienza dell’umano. Oggi Ama Aquilone è una delle realtà più rappresentative della regione Marche.

Questo libro raccoglie una selezione di storie, riflessioni, versi e stralci di discorsi ufficiali che abbracciano un arco temporale di decenni. Materiale “emotivo” riportato, non secondo un criterio cronologico, ma con giustapposizioni tematiche che alternano i pensieri ai ritratti ispirati a vicende reali. Con questo artificio creativo il racconto assume non il tono cronachistico di una testimonianza sociale e settoriale, ma il retrogusto introspettivo, rispettoso e a tratti ancora tormentato, di una riflessione più ampia e presente, indispensabile per la disciplina quotidiana dell’anima. Un messale laico, in equilibrio tra i gesti e il canto, che si presenta con il candore inquieto e stupito di un diario scritto a mano, ma anche come impegno per la costruzione di una regola umile, morale e civica, disincantata e necessaria al tramandare.

FRANCESCO CICCHI

PIETRA

L’anima e l’infinito da abitare

PIETRA

Francesco Cicchi

con un intervento di

Eraldo Affinati ISBN 978-88-6153-616-6

Euro 13,50 (I.i.)

9 788861 536166


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