’ [...] perche e m a d o n a t are, “Via, lon ato da mangi d e t e v a i m e e non da bere, ho avuto fam avete dato i m n o n e te , ho avuto se ete accolto v a i m n o n ro e ero stranie stito, mi avete ve nudo e non ato.� avete visit i m n o n e e carcer malato e in 44) (Mt 25, 41-
Giuseppe Casale
Povera tra i poveri Ringiovanisce la Chiesa
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
Indice
A chi legge
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PARTE PRIMA MOVIMENTI ECCLESIALI E VITA DELLA CHIESA Un ricordo... ancora vivo Il Movimento Cattolico L’apostolato dei laici Popolo di Dio in cammino nella storia Il Consiglio dei laici Chiesa sinodale, in ascolto dello Spirito Movimenti e impegno politico Guardando al futuro
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PARTE SECONDA CHIESA IN USCITA L’Amore che pensa agli altri Evangelizzazione e sviluppo umano integrale Il Concilio e la Chiesa dei poveri L’accorato discorso di papa Montini Il grido dei poveri Vincere la globalizzazione dell’indifferenza Lasciamoci disturbare dai poveri Questo povero grida e il Signore lo ascolta (Sal 34, 7) I movimenti popolari 7
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Giuseppe Casale
Costruire da cristiani la città dell’uomo 77 I fratelli ritrovati 79 Cieli nuovi e terra nuova 85 La povertà ringiovanisce la Chiesa 89 Evangelizzare oggi 95 Perseveranti e concordi nella preghiera... con Maria 97 Se ti invochiamo, ci ascolti 101 Sigle e abbreviazioni
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Indicazioni bibliografiche
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A chi legge
Non ho scritto una biografia di papa Bergoglio. Non ho messo insieme il meglio dei suoi scritti. Non ho dato risposta all’interrogativo posto dal prof. Rocco D’Ambrosio in una sua recente pubblicazione: Ce la farà Francesco?1. Non sono un sociologo. Sono un anziano vescovo che ha seguito le vicende della Chiesa post-conciliare, le racconta rapidamente e ne trae alcune conclusioni. Anzitutto, la storia del post-Concilio dimostra chiaramente come vasti settori della Chiesa istituzionale in Italia abbiano cercato di fermare il rinnovamento promosso dal Concilio, attenuandone le proposte, ritardandone i tempi di attuazione, accusando il nuovo di tradimento della tradizione, polemizzando su “continuità e discontinuità”. Si è anche cercato di sfuggire alla logica esigente della evangelizzazione, inventando un “progetto culturale” che si è ridotto a uno pseudo-dialogo con gli atei devoti e alla richiesta di tutela da parte dello Stato di quelle che sono esigenze della coscienza cristiana ispirata al Vangelo2. La Chiesa che è in Italia ha perso lo slancio che sostiene e rende vivo, credibile, l’annunzio del Vangelo. Siamo diventati custodi di una ricchezza che abbiamo deposto nei 1 R. D’AMBROSIO, Ce la farà Francesco?, edizioni la meridiana, Molfetta 2016. 2 Ho trattato più ampiamente questo tema in un precedente volume: Guai a me se non annuncio il Vangelo. Riformare la Chiesa. Lettera aperta al Sinodo dei Vescovi, edizioni la meridiana, Molfetta 2012.
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Giuseppe Casale
nostri archivi. La difendiamo chiudendo gli occhi e il cuore e riducendo il Vangelo a normale amministrazione. Abbiamo abbellito le nostre chiese, i nostri episcopi, le nostre strutture ecclesiastiche. Ma siamo rimasti privi della gioia del Vangelo. Non voglio generalizzare. Ci sono tante belle iniziative. Ci sono vescovi e preti che si impegnano e pagano di persona. Ma è la Chiesa italiana che non ha voce profetica, ripete schemi organizzativi, lancia sterili proclami. E, sta ferma. Interviene con qualche iniziativa a sostegno dei profughi. Ma, non alza la sua voce, non costringe le autorità politiche e amministrative a utilizzare diversamente l’enorme flusso di danaro stanziato per i migranti. La Caritas interviene, ma non gestisce direttamente l’accoglienza e la cura delle migliaia di persone che sbarcano quotidianamente in Italia. La gestione è affidata a cooperative che sono tali solo di nome. Perché si tratta di personaggi o di gruppi che intorno ai migranti fanno i loro affari. Incassano i soldi pubblici, ammassano i migranti in locali inadeguati o squallidi, non si preoccupano di facilitarne l’integrazione. La Cei (Conferenza Episcopale Italiana) dovrebbe ritenere problema prioritario l’accoglienza dei profughi e trattare con le autorità politiche e amministrative tutte le questioni riguardanti l’accoglienza, l’assistenza e l’integrazione dei profughi. Ci vuole un tavolo permanente di intesa e di collaborazione. Altrimenti il problema non si risolve. Si mettono soltanto delle toppe. Molti profughi scappano dai centri di accoglienza e poi si ritrovano soli, guardati con sospetto e talvolta costretti a diventare vittime della mafia o suoi inconsapevoli complici. Il profugo deve arrangiarsi. Da solo o con l’aiuto di qualche buon samaritano.
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Povera tra i poveri
Dico ai confratelli vescovi, ai presbiteri, ai religiosi, alle religiose: “Aprite le vostre case, spesso vuote e tristi. Riempitele della gioia che la sofferenza e la speranza di questi fratelli e sorelle ci donano. Non dimenticate che quanto possediamo non è nostro, ma ci è stato dato per condividerlo. Ricordate che i beni accumulati e difesi con gelosa attenzione ci sfuggono di mano: o vanno in rovina o ci vengono sottratti in una terribile nemesi storica. Il Risorgimento italiano, sulla spinta dell’anticlericalismo allora in voga, trasformò conventi, case religiose, edifici ecclesiastici in caserme, scuole, tribunali, uffici pubblici. Papa Francesco ha sollecitato più volte la nostra risposta. Poco finora è stato fatto. Molte case religiose, molti seminari restano vuoti e disabitati. In essi sbiadiscono e intristiscono tante giovinezze, che spesso evadono in cerca del vero amore di Cristo che riempie il cuore di gioia. Riempiamoli accogliendo tanti fratelli e sorelle che ci fanno toccare, con mano, la carne ferita di Gesù e sono disponibili anche alla chiamata del Signore. Applaudiamo al Papa. Lo proclamiamo “parroco del mondo”. Così scarichiamo su di lui anche le nostre responsabilità. Ma tradiamo il Vangelo, quando non viviamo la nostra parte di membra di un corpo che tutto deve essere proteso verso la testimonianza dell’Amore di Cristo. Papa Francesco ce ne dà l’esempio. Non è un eroe. Non è un politico. È un padre che ama i suoi figli e per essi, instancabilmente, prega e opera. Ma, li vuole attivi, impegnati, li vuole accanto a sé nella quotidiana testimonianza del Vangelo. Ho avuto la gioia di incontrarlo e di parlare con lui per circa mezz’ora, nei primi del gennaio scorso. Ho sentito palpitare in lui l’Amore di Cristo. Mi ha trasmesso una rinnovata volontà di servire Cristo nei poveri, dedicando ad essi gli ultimi anni della mia vita di vescovo. Per questo
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Giuseppe Casale
prego, scrivo e incoraggio tutti coloro che, da buoni samaritani, accolgono i fratelli e le sorelle che implorano aiuto. Non ci capiti di far parte di quanti, giudicati sull’Amore, si sentiranno dire: Via, lontano da me [...] perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. (Mt 25, 41-44)
Stiamo vivendo un momento straordinario, nella storia dell’Europa. Dall’accoglienza e dalla integrazione di fratelli e sorelle provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente deve nascere una nuova Europa. Il Mediterraneo deve tornare ad essere mare di pace e culla di civiltà. Mentre concludo queste note introduttive al volume, papa Francesco si reca a Bozzolo e a Barbiana per pregare sulle tombe di due “preti scomodi”, Mazzolari e Milani. Sono passati cinquant’anni dalla loro morte. Ce n’è voluto del tempo perché la loro voce, voce che ha ridato ai poveri la parola, risuonasse forte nella Chiesa e nella società. Ma, ci sono ancora tanti poveri che non possono parlare, che sono costretti al silenzio. Mi riferisco agli sposi che, contravvenendo alle indicazioni dell’enciclica Humanae Vitae che vieta l’utilizzo della contraccezione, sono costretti a vivere quasi di contrabbando la “paternità responsabile”; ai divorziati e risposati, su cui pesa ancora grave un giudizio negativo che non tiene conto delle loro difficoltà a vivere una fedeltà che non si limiti all’aspetto giuridico; alla galassia di gay, lesbiche e transessuali che invocano, talvolta in maniera scomposta, il riconoscimento all’esercizio di una sessualità che allarga la sfera dell’amore umano, in una vita nuova di relazioni che arricchiscono sul
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Povera tra i poveri
piano artistico, poetico, culturale; mi riferisco alle tante comunità ecclesiali che invocano un “pastore” che viva con loro, che non si limiti ad una fuggevole celebrazione di riti sacri (perché non riproporre l’esperienza dei probati viri uxorati?). Dovremo aspettare altri cinquant’anni? O lo Spirito suonerà la sua tromba e farà sentire forte il suo invito ad essere Chiesa che cammina senza fare passi indietro, proclamando con coraggio il Vangelo che è prospettiva di vita, per una Europa che non deve invecchiare, sotto l’incalzare del populismo e dei nazionalismi? Il Vangelo vissuto e testimoniato garantisce all’Europa una nuova giovinezza. Giuseppe Casale, Arcivescovo emerito di Foggia-Bovino
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Un ricordo... ancora vivo
Fine aprile 1999. Sono a pranzo con Giovanni Paolo II, insieme con alcuni vescovi pugliesi, convenuti a Roma per la visita ad limina1. Siedo proprio di fronte al Papa. Alle sue spalle (in piedi) assiste il segretario particolare mons. Stanisław Dziwisz (attualmente cardinale e arcivescovo emerito di Cracovia). Ad un certo punto, don Stanisław si rivolge a me e mi fa: “Mons. Casale, come va con Comunione e Liberazione?”. La domanda è certamente provocatoria, perché era nota la simpatia del Papa per CL e le mie critiche al movimento erano di dominio pubblico. Esito un istante, poi dico con molta semplicità: “In CL ho incontrato persone di grande fede e di generoso impegno apostolico. Ebbi la possibilità di buona collaborazione, nella mia prima esperienza episcopale a Vallo della Lucania, ove CL accoglieva l’invito del vescovo ad inserirsi nella pastorale diocesana, soprattutto a livello giovanile. A Foggia, invece, ho trovato un movimento chiuso in se stesso, che rifiutava di inserirsi, con la sua peculiarità, nella pastorale diocesana. 1 Visita ad limina apostolorum è l’incontro che i vescovi hanno ogni cinque anni col Papa, per confermare la comunione con la sede di Pietro e informare sulla situazione delle proprie comunità.
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Giuseppe Casale
Scrissi anche a don Giussani, per chiedere un suo intervento. Me lo promise, ma tutto rimase come prima”. Il Papa seguiva il discorso, ad occhi bassi ed in silenzio. Il pranzo si concluse senza ulteriori interventi. Ripenso a quel lontano avvenimento, mentre concludo la rilettura del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Juvenescit Ecclesia (15 maggio 2016). È una lettera indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica, sulla relazione tra “istituzione (doni gerarchici)” e “carisma”, per la vita e la missione della Chiesa. Il riferimento principale è proprio alle aggregazioni di fedeli, ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, che hanno costituito problema, prima e dopo il Concilio Vaticano II. I movimenti ecclesiali2 hanno compiuto, progressivamente, notevoli passi nel contesto di un dialogo, non sempre tranquillo, tra “istituzione e carisma”. L’istituzione, più preoccupata di difendere l’esistente (spesso erroneamente considerato tradizione) e il carisma, più proiettato verso la sempre nuova giovinezza dello Spirito. Sono trascorsi anni difficili, ma pieni di entusiasmo, alla ricerca di nuove modalità di presenza, soprattutto dei laici nella Chiesa. È utile ripercorrere gli avvenimenti di questi anni per mettere in luce come, attraverso dibattiti, approfondimenti teologici, esperienze spirituali, impegni pastorali, si è giunti ad una concezione più piena della natura e della 2
Per una sommaria conoscenza di quelli che chiamiamo “movimenti ecclesiali” rimando all’opera di A. FAVALE, Movimenti ecclesiali contemporanei, LAS, Roma, 1991, 5a ediz., e all’elenco contenuto ne “Il Regno”, n. 14/2016, p. 395. Nel presente volume ci riferiremo ai movimenti più noti in Italia.
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missione della Chiesa e all’approfondimento del rapporto tra istituzione e carisma, cioè tra doni gerarchici e doni carismatici, che hanno la medesima origine ed il medesimo scopo. Ci darà , anche, utili indicazioni per affrontare la sfida di un futuro che non siamo ancora in grado di decifrare pienamente.
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Il Movimento Cattolico
Il cammino delle aggregazioni e dei movimenti ecclesiali accompagna e, talvolta, stimola la riflessione teologica sulla natura e sulla missione della Chiesa. Sorto come “movimento cattolico” in difesa della Chiesa contro il liberalismo anticlericale del secolo diciannovesimo, l’impegno dei cattolici si fece attento anche alla vita interna della Chiesa (catechesi, liturgia...) e si caratterizzò come “apostolato dei laici” la cui espressione più notevole fu l’Azione Cattolica, ben presto presente in tutta l’Europa e nelle Americhe. Questa forma di apostolato laicale fu configurata come “partecipazione o collaborazione” all’apostolato gerarchico, perché l’ecclesiologia prevalente non concepiva alcuna partecipazione dei laici all’apostolato, se non per “una chiamata” e “un mandato” della gerarchia. Nel Manuale di Azione Cattolica pubblicato da mons. Luigi Civardi1 e diffuso largamente in Italia si diceva chiaramente che il laico non è capace di un vero e proprio apostolato, ma partecipa o collabora a quello della gerarchia. Perciò, agisce su mandato di essa. I laici assumevano più viva coscienza delle loro responsabilità nella vita della Chiesa, ma agivano “per mandato”2 della gerarchia eccle1
L. CIVARDI, Manuale di Azione Cattolica, 13a ediz., Coletti, Roma 1961.
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“Mandato” è una nozione controversa, che viene usata in molti documenti ecclesiastici e che il Concilio ha usato in forma possibilista. La ge-
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siastica e come suo prolungamento. L’ecclesiologia era ancora ferma alla visione giuridica e distingueva, nettamente, gerarchia e fedeli: “Chiesa docente e Chiesa discente”. Sebbene riguardi direttamente la Francia e il tentativo di separazione tra Chiesa e Stato, l’enciclica Vehementer Nos (1906) di Pio X esprimeva la dottrina ufficiale del tempo. La Chiesa è una società, per sua natura ineguale (“inaequalis”) cioè comprendente due categorie di persone: i Pastori ed il Gregge... Queste due categorie sono così distinte tra loro che soltanto nella Gerarchia risiedono il diritto e l’autorità di guidare e dirigere i membri, per raggiungere il fine della società. Quanto alla massa, il suo dovere è di accettare di essere governata (“gubernari se pati”) e di seguire con sottomissione gli ordini di coloro che la dirigono3.
rarchia può sancire tale collaborazione all’apostolato gerarchico, per mezzo di un mandato esplicito (Apostolicam Actuositatem, n. 20, EV 1, 992). Comunque il mandato va distinto dalla “missio canonica”, che affida ai laici compiti clericali, che i laici “sua sponte” non possono compiere: atti liturgici, predicazione, cura pastorale. 3
Cit. in R. AUBERT, La chiesa Cattolica dalla crisi del 1848 alla Prima guerra mondiale, in Nuova Storia della Chiesa, vol. 1, Marietti, Torino 1977, pp. 186-87.
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L’apostolato dei laici
In realtà, la collaborazione, già intensa sul piano sociale (cooperative, banche, associazioni culturali) aveva molto attenuato questa rigida distinzione. I fedeli e i laici già davano il loro contributo alla vita della Chiesa e facevano riscoprire il suo aspetto interiore, mistico ma reale, che ne fa il prolungamento del Cristo nella storia. Già prima del Vaticano II erano apparse importanti riflessioni teologiche che, superando l’aspetto solo apologetico della Chiesa, la presentavano come “Corpo di Cristo” in cui tutte le membra partecipano attivamente alla sua vita1. Di conseguenza, l’apostolato dei fedeli laici non è una concessione della gerarchia o una collaborazione al suo apostolato, ma è un diritto che nasce dalla vocazione e missione battesimale2. Pio XII confermava autorevolmente questa visione ecclesiale con l’enciclica Mystici Corporis (1943)3. Anche i laici si riunivano in convegni ed incontri di studio per approfondire significato e valore del loro impegno apostolico. 1
Cfr. J. JOURNET, L’Église du Verbe incarné, Tome II, Editions SaintAugustin, Parigi 1999. 2 Y.M.J. CONGAR, Jalons pour une théologie du laïcat, Les Éditions du Cerf, Paris 1954; G. Philips, I Laici nella Chiesa, Vita e Pensiero, Milano 1956; G. Garrone, L’Action Catholique, Arthème Fayard, Paris 1958. 3
G. CERIANI, Il mistero di Cristo e della Chiesa: commento alla Enciclica “Mistici corporis Christi” di sua santità Pio XII, Vita e Pensiero, Milano 1945.
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Nel 1951 si tenne a Roma il Primo Congresso Mondiale per l’Apostolato dei Laici, organizzato dall’avvocato Vittorino Veronese, presidente dell’Azione Cattolica italiana, che vide la presenza di molte organizzazioni di apostolato laicale, provenienti dall’Europa, dall’America e dall’Asia4. Per rendere continuativo e concreto l’impulso di questo I° Congresso Internazionale, Pio XII istituì, nel 1952, il “Comitato Permanente dei Congressi Internazionali per l’Apostolato dei Laici” (Copecial). Nel 1957 si tenne il Secondo Congresso Mondiale per l’Apostolato dei Laici, in cui si affrontavano, soprattutto, i temi del ruolo dei laici nella Chiesa e i problemi della formazione all’apostolato5. Il Concilio Vaticano II era ormai alle porte e faceva sentire ai laici la gioia di essere popolo di Dio “adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Lumen Gentium, n. 4, EV 1, 288).
4 Actes du Ier Congrès Mondial pour l’Apostolat des Laiques, vol. 2, Roma 1952. 5
Atti, voll. 3, Roma 1959. I: Les Laics Dans l’Eglis, II: Face au monde d’aujourd d’hui, III: Former des apotre.
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Popolo di Dio in cammino nella storia
Corpo di Cristo e popolo di Dio: sono le due categorie che riassumono la visione conciliare della Chiesa e, in essa, il compito dei laici, uniti a Cristo mediante la fede e i Sacramenti e partecipi della missione apostolica di tutta la Chiesa. Essi vivono la partecipazione ai tria munera di Cristo: Sacerdote, Re e Profeta. Sono, quindi, chiamati, in virtù del Battesimo, ad essere apostoli, non per benigna concessione, ma per un dono dello Spirito, ricevuto ed accolto nel Battesimo. Ne derivavano l’impegno apostolico dei cristiani in quanto singoli e riuniti in gruppi e associazioni. Il decreto Apostolicam Actuositatem, richiamata l’importanza della forma associativa di apostolato, chiarisce che la denominazione “azione cattolica” non è prerogativa specifica di una sola associazione, ma si estende a tutte le organizzazioni apostoliche che abbiano come “fine immediato” l’apostolato della Chiesa, la collaborazione con la gerarchia e agiscano sotto la superiore direzione della gerarchia medesima (cfr. Apostolicam Actuositatem, n. 20, EV 1, 987-994). Di conseguenza, l’Azione Cattolica dovette fortemente ripensarsi e accettare di non essere più la primaria forma di apostolato, ma una delle tante organizzazioni operanti in seno alla Chiesa. Infatti, cominciavano a nascere i movimenti ecclesiali con una impostazione più libera, senza molte strutture e 25
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con una adesione più semplice, con un forte senso identitario e di appartenenza al gruppo. Ripresero nuova vita anche alcune aggregazioni già esistenti. Si ebbe, così, una varietà di presenze, che fu una ricchezza e comportò allo stesso tempo difficoltà di collaborazione, gelosie, rivendicazione di primato.
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