ISBN 978-88-6153-716-3
Euro 15,00 (I.i.) 9 788861 537163
Marco Bassani
QUANDO IL POVERO NON DEVE PENSARE
Marco Bassani è un sacerdote dell’Arcidiocesi di Milano, ordinato dal card. Martini nel 1991. Dopo aver lavorato nelle parrocchie di Olgiate Olona e Sant’Antonio Maria Zaccaria a Milano, dal 2002 al 2017 ha esercitato il ministero come “fidei donum” nella diocesi di Grajaú nello Stato del Maranhão in Brasile. Attualmente è residente con incarichi pastorali nella Comunità Pastorale di Dervio-Valvarrone.
“Se non potete eliminare l’ingiustizia, raccontatela a tutti”. A partire da questo invito di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003, l’autore racconta la sua esperienza missionaria vissuta in Brasile, interrotta per ragioni discutibili e che aprono a un confronto vero sul rapporto tra Chiesa ed evangelizzazione nei territori più poveri del nostro pianeta. Come può accettare l’ingiustizia chi è rimasto per quindici anni al fianco dei poveri, come don Marco, per dire e testimoniare che la Chiesa è loro vicina, che il Vangelo dice no alla prepotenza, alla passività e poi vedersi impedire la continuità del suo servizio missionario? Una vicenda che interroga su come la normale divergenza tra uomini di Chiesa nasconda talvolta un clericalismo accettato e praticato, che contraddice radicalmente il Vangelo che i sacerdoti annunciano. Leggere questo libro, oggi, ci aiuta anche ad approfondire l’intuizione profetica di papa Francesco, secondo la quale la vicenda della pedofilia tra i religiosi, al di là dell’evidente questione morale, ha portato a galla un ben più profondo e radicato problema: quello dell’autoritarismo nella Chiesa e del potere del clero.
MARCO BASSANI
QUANDO IL POVERO NON DEVE PENSARE Dalla missione alla destituzione
Marco Bassani
Quando il povero non deve pensare Dalla missione alla destituzione Postfazione di don Franco Brovelli
edizioni la meridiana
A mio padre, per avermi trasmesso il senso genuino della giustizia A mia madre, per la resilienza con la quale affronta quotidianamente le fatiche del vivere Alle mie sorelle, per il silenzio mariano con il quale custodiscono la mia vocazione
Indice
Introduzione Fin dal grembo materno È una cosa che non mi spiego mai Sentieri interrotti Senza padre né madre né genealogia Il Signore fa scendere negli abissi. E risalire Le catene della schiavitù La libertà: illusione o realtà? Il maledetto paternalismo Remanso, figlio della guerra tra poveri La Comunità Ecclesiale di Base Cammini di liberazione La mia Parola non tornerà a me senza effetto Liberi per servire la Verità Il povero non deve pensare Tu devi andartene da qui Adoan non è figlio di Dio Di sete si può vivere Il Bel Monte trasformato in campo di battaglia Veramente Bem Feito, fatto bene Ecumenismo on the road Se mi uccideranno, risusciterò nel popolo salvadoregno Ci stavi amando più di quanto noi ci amassimo Postfazione di don Franco Brovelli Cronologia Mappe dei luoghi
9 13 17 23 31 37 41 47 53 59 63 71 79 85 91 99 105 111 119 125 133 141 147 153 155 159
Introduzione
Il nostro narrare nasce, prima ancora che dalla necessità di comunicare, dal bisogno di capire. Lo dice un mio grande amico, il regista teatrale Marco Pernich. In altre parole, i nostri racconti sono tentativi di comprensione del reale, soprattutto nei suoi aspetti più oscuri e drammatici. Solo un paio di anni fa l’idea di scrivere un libro mi sarebbe apparsa del tutto estranea ai piani del sacerdozio. Poi però la vita ti travolge con le sue svolte improvvise e le sue sfide impossibili. Come quando si prova l’esperienza delle montagne russe al luna park, tra le discese rapidissime che mozzano il respiro e sembrano strapparti l’anima. Allora senti il bisogno di attaccarti a qualsiasi cosa. Sulle montagne russe queste discese hanno un termine ben definito. Nella vita reale avverti nitidamente quando iniziano, ma nessuno può dirti se e quando finiranno. Così, dopo la prima sensazione di mancanza d’aria, ti ritrovi in un nuovo e angosciante senso di smarrimento: dove mi porterà questa caduta? Quando finirà? E poi, come riprenderò a vivere la mia vocazione nella sua normalità? Il mio rientro dal Brasile nel 2017, per un tempo di aggiornamento dopo quindici anni di esperienza missionaria, si è tramutato in modo imprevedibile in una espulsione. 9
Da allora è cominciato per me il tempo dell’angoscia, delle domande, degli appelli e dei silenzi. È in questo tempo che ha preso forma l’idea di scrivere questo libro. L’intento che lo ha generato non è la protesta, ma la testimonianza. Mi anima essenzialmente il desiderio di lasciare una memoria di queste vicende e, soprattutto, delle domande da esse scaturite, nella fiducia che la loro trattazione potrebbe accrescere la qualità evangelica di questa nostra Chiesa all’inizio del terzo millennio. In particolare, sono convinto che le questioni poste dalla mia vicenda possano ampliare e approfondire l’intuizione profetica di papa Francesco, secondo la quale la vicenda della pedofilia tra i religiosi, al di là dell’evidente problema morale, ha portato a galla un ben più profondo e radicato problema: quello del clericalismo e dell’autoritarismo nella Chiesa. Possiamo forse sperare di riuscire, nel giro di non molti anni, a contenere e poi a sradicare il fenomeno della pedofilia, ma se nel frattempo il clericalismo non venisse sviscerato e smascherato in tutte le sue molteplici ramificazioni, corriamo il serio pericolo di vedercelo riemergere sotto forma di qualche altro fenomeno devastante, qual è stata appunto l’ondata pedofila di questi ultimi vent’anni. Raccontando la mia esperienza (2002-2017) di prete fidei donum1 in Brasile, vorrei – oltre a rendere omaggio ai tanti amici che ho incontrato laggiù, veri eroi silenziosi della fede e del rinnovamento civile di quelle terre – anche favorire, per quanto mi è possibile, una riflessione più 1. Dono della fede, termine entrato nel linguaggio ecclesiale a partire dal documento di papa Pio XII del 21 aprile 1957, che sancì la possibilità, anche per i sacerdoti diocesani, di vivere un’esperienza missionaria a servizio di una Chiesa del Sud del mondo. Questo servizio è regolato da un contratto tra le due diocesi interessate. Con il passare del tempo la Chiesa italiana ha ritenuto opportuno suggerire che tale esperienza si prolungasse non oltre i 12 anni, indicativamente, in modo che i missionari potessero poi riportare in patria i frutti della loro esperienza missionaria. Questa indicazione temporale non è tassativa e vincolante, ma soggetta a diverse variabili. 10
generale sul clericalismo e le sue nefaste conseguenze. A cominciare dalla prima, la più terribile: il ritenerlo, cioè, una dimensione naturale e connaturale al nostro modo di essere Chiesa. Se questo libro riuscisse a fornire un piccolo contributo al permanente processo di conversione della Chiesa, avrà raggiunto il suo scopo. E io potrei ritornare con uno sguardo più pacificato sulla mia improvvisa caduta agli inferi. Perché dagli inferi si può, si deve ritornare.
11
Fin dal grembo materno Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. (Ger 1,5)
Nella mia relazione con il Brasile leggo alcuni tratti davvero misteriosi, o forse provvidenziali se vogliamo leggerla in una prospettiva di fede. Per questo motivo ho scelto le parole del profeta Geremia in epigrafe di questo primo capitolo. Proprio come accadde al profeta riguardo alla sua vocazione, anche la mia “attrazione fatale” verso il Brasile cominciò… non so esattamente quando, né come. Forse, alle origini, vi fu la lettura di un libro del sociologo Josué de Castro: Una zona esplosiva: il Nordeste del Brasile. Lo lessi a 16 o 17 anni e ne rimasi appassionato, al punto da far nascere in me due sentimenti che poi mi hanno accompagnato per tutta la vita. Anzitutto un dolore straziante nell’immaginare la situazione concreta di quelle genti, vittime della povertà e della fame. Dall’altro un desiderio quasi rabbioso, irresistibile, di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per cambiare almeno in parte quella situazione, frutto dell’ingiustizia umana e non di fattori ambientali e climatici. Un altro passaggio misterioso, ma significativo, avvenne poco dopo, nell’imminenza degli esami di maturità. Volendo presentare una tesina, proposi alla mia insegnante, la professoressa Dora Castenetto, di partire da un altro libro: La 13
pedagogia degli oppressi scritto nel 1968 dal grande pedagogista brasiliano Paulo Freire (1921-1997). Freire era famoso per aver dedicato la vita al servizio dei poveri e degli esclusi, sempre del Nordest brasiliano, ma la mia proposta stupì la professoressa e i miei compagni. Oggi posso dire che quella lettura mi aiutò a riflettere su alcune decisive verità che più tardi avrei ritrovato nel nostro don Milani. Imparai da Freire che l’educazione è il primo e fondamentale passaggio del nostro processo esistenziale d’interpretazione del reale, punto di partenza di una qualsiasi azione volta a umanizzare il mondo. L’alfabetizzazione, e ancor più il processo pedagogico nel suo insieme, sono le forme basilari della coscientizzazione. In realtà il mondo è sempre e inesorabilmente il mio mondo, fatto di segni e significati, nel quale io sono da sempre immerso ed avvolto e con il quale posso interagire, per renderlo un po’ migliore. “Nessuno educa nessuno; nessuno educa se stesso. Gli uomini si educano assieme, con la mediazione del mondo” (P. Freire). Ancora più drammaticamente, Freire m’insegnò che tra gli umani non esiste neutralità. Sempre e comunque noi siamo posti in un “luogo”, osservatorio privilegiato dal quale cominciamo ad avere un punto di vista sulla realtà. Il processo di coscientizzazione ci porta a scegliere il punto di vista da cui vogliamo guardare il reale e cercare di trasformarlo. Per questo motivo la neutralità è sostanzialmente uno strumento concettuale o, peggio, un’invenzione ideologica. Come giustamente annotava Bertol Brecht: “Lavarsene le mani del conflitto tra il potente e il debole significa parteggiare col potente, non essere neutrali”. Non a caso nella deriva neofascista, che sta vivendo il Brasile, uno degli slogan portati avanti è “Escola sem partido” (Scuola senza partito), perché la linea politica dell’oligarchia possa regnare incontrastata.
14
Sulla scia di queste intuizioni, durante gli anni del seminario, scoprii la Teologia della liberazione. Mi appassionai, anche se per prudenza verso i superiori non mi esposi mai troppo verso quella linea teologica. Con alcuni miei compagni di classe, però, mi confidavo, meritandomi così alcuni soprannomi legati ai principali teologi della liberazione. Sul finire del percorso seminaristico avvertivo un bisogno ormai impellente di approfondire la mia vocazione sacerdotale in una prospettiva specificamente missionaria. Per me, però, la questione era ancora nebulosa. Perciò, d’accordo con il mio padre spirituale, don Angelo Cazzaniga, decisi di rimandare questo discernimento a dopo l’ordinazione. Divenuto sacerdote l’8 giugno 1991 e assegnato alla Pastorale giovanile della città di Olgiate Olona, non ebbi modo di approfondire, nell’esperienza concreta di vita, quel discernimento. Mi mancò, in particolare, il confronto in loco, ovvero in Brasile, con quella realtà pastorale che all’epoca si stava diffondendo, la realtà delle CEBs2: quali conseguenze poteva avere l’opzione preferenziale per i poveri sulla concreta azione pastorale? 2. Comunidade Eclesial de Base. La comunità minima, su base territoriale, nata nel post Concilio a seguito della suddivisione delle gigantesche parrocchie brasiliane. Inizialmente le CEBs nacquero per ridurre le grandi distanze esistenti tra la Chiesa parrocchiale e i paesi più distanti. Ben presto, però, questa scelta pastorale si rivelò molto feconda per superare il centralismo della parrocchia tradizionale di stampo tridentino e per favorire il recupero della dimensione biblica della comunità dei credenti, sul modello degli Atti degli Apostoli. Le tre dimensioni fondamentali di una CEB sono: 1) Centralità della Parola, meditata comunitariamente nei circoli biblici, secondo la metodologia della lettura popolare della Bibbia, basata sulla trilogia: vedere, giudicare, agire. 2) Ministerialità laicale diffusa: i vari compiti e responsabilità per il buon funzionamento della CEB sono assunti dai laici, organizzati nei vari consigli comunitari. 3) Interazione della CEB con la realtà socio-culturale del territorio in cui vive. Questa inserzione è marcata dalla consapevolezza/responsabilità dei cristiani verso il mondo, per trasformarlo in Regno di Dio. 15
Purtroppo in Brasile non potevo andarci a causa di alcune divergenze con il mio parroco: ne ero frustrato, al punto che finii per rimuovere l’opzione Brasile dai miei pensieri. Un modo, penso, per difendermi: il Brasile per me stava diventando ben piÚ che un’emozione passeggera.
16
È una cosa che non mi spiego mai Dio non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. (Alessandro Manzoni)
L’attrazione fatale per il Brasile cominciò a concretizzarsi per me nel 1995, quando venni trasferito a Milano, nella parrocchia Sant’Antonio Maria Zaccaria (Samz). Grazie alla disponibilità dell’allora parroco, don Luigi Parisi, e trovandoci in ben tre sacerdoti a servizio di quella parrocchia, all’inizio del 1996 chiesi espressamente di poter fare un’esperienza missionaria nei luoghi dove era stato martirizzato il beato Giovanni Mazzucconi: un mio quasiconterraneo, perché nato sulle rive del Lago di Lecco, e poi ucciso in Papua Nuova Guinea nel 1852. Il parroco don Luigi, stupito da quella richiesta così strana, anche per le difficoltà del viaggio, mi suggerì ben più ragionevolmente di andare in Brasile. Ricordo molto bene, quasi fosse successo ieri, il mio sgomento e la sorpresa nel sentirmi proporre una meta nascosta nel profondo del cuore, ma che ormai avevo rimosso dalla mia coscienza. Don Luigi mi suggeriva di fare un’esperienza missionaria nella parrocchia di Todos os Santos a Belo Horizonte, dove era parroco don Pierluigi (Pigi) Bernareggi. Questo grande testimone del Vangelo nelle periferie di Belo Horizonte aveva trascorso circa due anni e mezzo di esilio volontario a Sant’Antonio Maria Zaccaria, a causa di alcune profonde divergenze con l’allora 17
arcivescovo di quella Diocesi brasiliana. In questo modo don Luigi aveva conosciuto don Pigi; ora proponeva a me di recarmi lì per annodare legami più stretti tra Samz e la parrocchia di don Pigi. Il suo desiderio era che coinvolgessi in quel viaggio anche qualche giovane della Samz. In effetti così accadde: una giovane, Ilaria Ricci, mi accompagnò in quello che fu il mio “battesimo brasiliano”. Oggi il Battesimo sacramentale lascia segni sempre più deboli in chi lo riceve, non così accadde per me. Nel breve spazio di un mese ebbi modo di convivere e apprezzare il lavoro, appassionato e travolgente, di don Pigi a servizio dei sem teto3 di Belo Horizonte: famiglie e persone prive di una casa propria e impossibilitate a pagare l’affitto. Durante quell’esperienza conobbi tre maestri della Teologia della liberazione brasiliana: padre Alberto Antoniazzi, padre Henrique Cláudio de Lima Vaz SJ, e padre João Batista Libanio SJ. Conobbi il Movimento sem terra4 e le celebrazioni della Parola domenicali, presiedute dai laici. Mi immersi in tanti incontri, straordinariamente semplici, ma profondamente evangelici.
3. Senza tetto. Nella realtà delle sterminate periferie brasiliane, il termine indica in senso lato i molti che, per le loro precarie condizioni economiche, non possiedono una casa propria e devono quindi vivere in alloggi angusti, insalubri e spesso sperimentare frequenti cambiamenti di abitazione. Tale piaga sociale ha mosso la nascita di vari movimenti organizzati con l’intento di fare pressione sulle autorità competenti in modo che sia riconosciuto il diritto ad avere una casa dignitosa. 4. Senza terra. Il termine indica quella vasta gamma di contadini che, pur vivendo del lavoro agricolo, non sono proprietari di alcun appezzamento. A causa delle scandalose dimensioni di milioni di ettari di terra improduttiva, negli anni Ottanta questi contadini diedero vita al Movimento Sem terra, che intende organizzare questi contadini, renderli edotti dei loro diritti umani e costituzionali, individuare le terre adatte per l’eventuale esproprio, forzare gli organi competenti, quando (ed è la maggioranza dei casi) si oppongono di fatto alle legittime richieste dei contadini. Negli anni Duemila, anche a causa dell’insediamento al potere del governo Lula, ingenuamente ritenuto un governo popolare, il movimento ha subito un grave ridimensionamento. Ciò nonostante continua ad essere il maggior movimento popolare brasiliano. 18
Vorrei riassumere in breve la forza travolgente di quel viaggio, ricordando qui un fatto minore: una curiosità, ma significativa. Tormentavo una suora della parrocchia di Todos os Santos affinché mi aiutasse con la lingua portoghese. Lei un giorno mi chiese il perché di tanta fretta, visto che avevo già sfruttato bene quelle settimane di permanenza in Brasile. Non riuscii a dare una spiegazione razionale: solo il desiderio di imparare la lingua il più velocemente possibile. Fu così che lei concluse la sua investigazione con un proverbio brasiliano: Este mato tem coelho, ovvero “Qui c’è sotto qualcosa”. Aveva ragione: in quella battuta non posso non scorgere, oggi, i segni di una profezia. L’anno seguente, era il 1997, nel periodo delle mie vacanze ritornai in Brasile. Mi diressi nel cuore dell’Amazzonia. Nel mio cammino di ricerca covavo un desiderio di fondo, quello di sperimentare cosa significasse annunciare il Vangelo in un contesto socio-culturale il più possibile estraneo alla nostra cultura occidentale, consumistica e capitalistica. Ci avevo già pensato vagheggiando la possibilità di andare in Papua Nuova Guinea; quel desiderio poté allora concretizzarsi andando a conoscere da vicino l’esperienza di un grande missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), padre Augusto Gianola, che avevo casualmente conosciuto qualche anno prima. Fu così che attraverso padre Uggé visitai la Diocesi di Parenthins e fui ospitato da padre Enrico Buttelli sull’isola di Nhamundá, situata dentro uno degli innumerevoli affluenti del Rio delle Amazzoni. Anche questo secondo viaggio brasiliano mi segnò profondamente: rimasi estasiato – e al tempo stesso scandalizzato – per l’esuberanza, la bellezza, la ricchezza naturale dell’Amazzonia che, purtroppo, solo in minima parte si trasforma in opportunità di sviluppo per i suoi abitanti. I miei entusiasmi furono peraltro frenati da una devastante 19
dissenteria che mi immobilizzò nella rede5: non potei pertanto visitare una aldeia6 indigena nel cuore della foresta. Realizzai una scomoda verità: non avrei potuto lavorare in condizioni troppo estreme per noi occidentali. In ogni caso, avevo adesso ben chiaro che la prospettiva missionaria sarebbe stata il futuro della mia vocazione sacerdotale. Fu allora che accadde qualcosa che ancora oggi, a più di vent’anni di distanza, non riesco a spiegarmi nel suo significato più profondo. Tornai a Milano, alla mia parrocchia, con la mia certezza missionaria. Ne parlavo con gli amici, suscitando varie reazioni. Alcuni mi dissero con insistenza: “Tu ci abbandoni così. Ci piacerebbe condividere con te questo percorso cristiano e missionario”. Rimasi molto colpito. Lasciai dunque cadere i preparativi in vista di una partenza immediata e mi coinvolsi, anima e corpo, in un percorso di discernimento assieme a cinque famiglie e due giovani; un percorso che ci portò a incontrare l’esperienza comunitaria di Villapizzone. L’intuizione di fondo, che ci sembrava particolarmente profetica, era che per annunciare realmente il Vangelo non fosse sufficiente una comunicazione solo verbale: la Buona Novella, come possibilità di una nuova vita, poteva essere più chiaramente annunciata da persone che vivevano come fratelli e sorelle, pur senza avere tra loro vincoli di sangue. Questo percorso durò, tra molte incertezze, quasi quattro anni. Dopo una serie di tentativi andati a vuoto, identificammo nell’ex oratorio femminile di Tradate lo spazio fisico in cui iniziare la nostra esperienza comunitaria. Nel frattempo ebbi, nel 1998 e 1999, altre due esperienze missionarie nella Diocesi di Marsabit, nel nord del Kenya, dove operava padre Angelo Olgiati: mi aiutarono 5. Amaca. Questo tipo di accomodamento, tipico della cultura indigena, per la sua praticità e la sua comodità è molto usata anche nelle case dei non indios, soprattutto nelle ore più calde o per momenti di relax. Nelle case dei poveri l’amaca praticamente sostituisce i letti. 6. Raggruppamento di capanne che forma un villaggio indigeno. 20
a percepire le grandi differenze esistenti tra quella parte dell’Africa e il Brasile. La conclusione del mio discernimento personale si avvicinava. Attraverso la mediazione silenziosa, ma sapientissima, di don Franco Brovelli si avvicinava per me la partenza verso una Chiesa del sud del mondo. La decisione era presa: la Diocesi di Milano mi avrebbe inviato in missione come uno dei suoi sacerdoti fidei donum. Correva l’anno 2000. Le missioni diocesane di mia conoscenza erano localizzate in Africa e in Perù: lì erano localizzate le mie aspettative, quando monsignor Giudici, Vicario generale, mi chiamò per comunicarmi la destinazione. Sorprendentemente, o provvidenzialmente, mi chiese di andare ad Arame, nello Stato del Maranhão. Ancora una volta, quando stavo allontanando il Brasile dal mio orizzonte, questo mi veniva imprevedibilmente incontro. Perché questo gioco, simile a quello che da ragazzi chiamavamo nascondino? Perché questo incontrarsi/lasciarsi, tipico degli amori più appassionati e tumultuosi?
21
ISBN 978-88-6153-716-3
Euro 15,00 (I.i.) 9 788861 537163
Marco Bassani
QUANDO IL POVERO NON DEVE PENSARE
Marco Bassani è un sacerdote dell’Arcidiocesi di Milano, ordinato dal card. Martini nel 1991. Dopo aver lavorato nelle parrocchie di Olgiate Olona e Sant’Antonio Maria Zaccaria a Milano, dal 2002 al 2017 ha esercitato il ministero come “fidei donum” nella diocesi di Grajaú nello Stato del Maranhão in Brasile. Attualmente è residente con incarichi pastorali nella Comunità Pastorale di Dervio-Valvarrone.
“Se non potete eliminare l’ingiustizia, raccontatela a tutti”. A partire da questo invito di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003, l’autore racconta la sua esperienza missionaria vissuta in Brasile, interrotta per ragioni discutibili e che aprono a un confronto vero sul rapporto tra Chiesa ed evangelizzazione nei territori più poveri del nostro pianeta. Come può accettare l’ingiustizia chi è rimasto per quindici anni al fianco dei poveri, come don Marco, per dire e testimoniare che la Chiesa è loro vicina, che il Vangelo dice no alla prepotenza, alla passività e poi vedersi impedire la continuità del suo servizio missionario? Una vicenda che interroga su come la normale divergenza tra uomini di Chiesa nasconda talvolta un clericalismo accettato e praticato, che contraddice radicalmente il Vangelo che i sacerdoti annunciano. Leggere questo libro, oggi, ci aiuta anche ad approfondire l’intuizione profetica di papa Francesco, secondo la quale la vicenda della pedofilia tra i religiosi, al di là dell’evidente questione morale, ha portato a galla un ben più profondo e radicato problema: quello dell’autoritarismo nella Chiesa e del potere del clero.
MARCO BASSANI
QUANDO IL POVERO NON DEVE PENSARE Dalla missione alla destituzione