Quella notte a Efeso (pref. R. Virgili)

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Antonio Bello

Prefazione di Rosanna Virgili

QUELLA NOTTE A EFESO Lettera a Maria Luce e Vita

Antonio Bello Quella notte a Efeso

Lettera a Maria

Introduzione di mons. Domenico Cornacchia

Prefazione di Rosanna Virgili

Luce e Vita

paginealtre Quaderni 66

edizioni la meridiana paginealtre

Nel 30° anniversario del dies natalis del Venerabile Vescovo don Tonino Bello, ho chiesto che fosse ridata alle stampe la “Lettera a Maria” che mons. Bello scrisse nel dicembre 1988, dopo aver consegnato l’anno precedente la “Lettera a Giuseppe” (1987) e l’anno successivo la “Lettera a Gesù” (1989), trilogia delle conferenze tenute ai convegni organizzati dalla Pro Civitate Christiana di Assisi.

Parlare di un tema particolare utilizzando il genere letterario del dialogo diretto con un personaggio biblico o evangelico (genere molto caro a don Tonino, tanto da essere usato spesso nei suoi scritti), è sicuramente un’idea ispirata dall’alto perché più comprensibile e più coinvolgente.

Don Tonino immagina di incontrare Maria nella casa di Giovanni ad Efeso dove la madre di Gesù si è trasferita dopo la risurrezione di suo Figlio, instaurando un bellissimo ed emozionante dialogo con colei che custodisce nel proprio cuore parole e gesti del Figlio di Dio.

Il tema che mons. Bello approfondì in quella conferenza fu “Voglia di trasparenza”. Un argomento che si aggancia molto bene allo slogan scelto per le iniziative programmate per il trentennale del Venerabile: “Alla riscoperta dei volti”. Con gli occhi e lo sguardo di Maria, don Tonino ci esorta a “vederci chiaro, a vedersi dentro, e a vedere oltre… nelle cose, nei volti, negli eventi”.

Introduzione
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conforto delle mani: «...se non metto la mano nel costato»!

Povero Tommaso. Ti ricordi, Maria? Quando è venuto a dirti che se ne andava anche lui, verso l’India misteriosa, per annunciare ad altri la gioia di una beatitudine che lui non era stato capace di sperimentare, non sapeva staccarsi dal tuo collo, e ti ha chiesto mille volte perdono per quell’affronto fatto a Gesù.

Lo scopo di questa nuova pubblicazione – arricchita dalla prefazione della biblista Rosanna Virgili che esalta il ruolo della donna/madre come musa ispiratrice nella vita di don Tonino – come pure riproporre molti degli scritti di mons. Bello all’attenzione delle nuove generazioni che non hanno conosciuto di persona il santo Vescovo, è quello di scegliere di camminare insieme alle donne e agli uomini del nostro tempo percorrendo le strade indicate da questo pastore e guardando al mondo e alla Chiesa con gli occhi intrisi della trasparenza di Dio.

Vescovo di Molfetta - Ruvo - Giovinazzo - Terlizzi

Fu allora che prendesti a consolarlo dicendogli che anche tu, in fondo, volevi vederci chiaro. Difatti la prima cosa che il Vangelo avrebbe conservato di te non era l’obbedienza del fiat, ma una insopprimibile voglia di trasparenza: «Come avverrà questo? Spiegati, angelo, non nascondermi nulla, come avverrà?».

Sorretto dalle tue parole e alleggerito dalle tue carezze di Madre, Tommaso se ne è andato così.

Di lui, del «gemello», del più discolo tra i dodici, non hai avuto più notizie.

Tommaso: vedere chiaro

Del gemello. Ma di chi era gemello Tommaso? Il Vangelo non lo dice. E forse si capisce perché. Perché gli siamo gemelli tutti.

Vedi, Maria. Io vengo da un secolo in cui è difficile fidarsi anche della propria ombra.

Per credere, non ci basta più l’ascolto, così come è avvenuto per te, che ti è stato sufficiente udire le parole dell’angelo per abbandonarti completamente a Dio.

E non ci basta neppure vedere, così come è bastato ai pastori. Ti ricordi quella notte di sogno? Si dissero l’un l’altro «Andiamo fino a Betlem e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Abbandonarono i fuochi del bivacco, si abbassarono sulle orecchie avvampate dalla brace i copricapi di lana, e ven-

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«Dio sa come vorremmo fuggire dalle trincee solitarie entro cui abbiamo organizzato difese a oltranza. E dilatare questa nostra povera vita negli spazi verginali di comunioni senza

tradimenti. E allacciare amori senza sospetti, rapporti senza pregiudizi, riconciliazioni senza ripudi. E stringere alleanze imperiture che profumino di erba di campo.»

conforto delle mani: «...se non metto la mano nel costato»!

Povero Tommaso. Ti ricordi, Maria? Quando è venuto a dirti che se ne andava anche lui, verso l’India misteriosa, per annunciare ad altri la gioia di una beatitudine che lui non era stato capace di sperimentare, non sapeva staccarsi dal tuo collo, e ti ha chiesto mille volte perdono per quell’affronto fatto a Gesù.

Fu allora che prendesti a consolarlo dicendogli che anche tu, in fondo, volevi vederci chiaro. Difatti la prima cosa che il Vangelo avrebbe conservato di te non era l’obbedienza del fiat, ma una insopprimibile voglia di trasparenza: «Come avverrà questo? Spiegati, angelo, non nascondermi nulla, come avverrà?».

Carissima Maria, non ero sicuro di trovarti a Efeso. Lo sai che da noi gli interpreti delle Scritture discutono ancora se, dopo i giorni della Croce e del Cenacolo, tu sia rimasta a Gerusalemme, o te ne sia tornata a Nazareth, o abbia seguito Giovanni nel suo peregrinare apostolico.

Sorretto dalle tue parole e alleggerito dalle tue carezze di Madre, Tommaso se ne è andato così.

Di lui, del «gemello», del più discolo tra i dodici, non hai avuto più notizie.

C’era da supporlo, del resto, che non ti avrebbe retto l’animo a veder tutti gli Apostoli partire dalla Città Santa, e te, prima missionaria, rimanertene in casa comprimendo il bisogno di testimoniare il Risorto fino agli estremi confini della terra.

Tommaso: vedere chiaro

Sono felice, comunque, di incontrarti qui stasera, mentre prepari la cena a Giovanni.

Della grande famiglia dei dodici, ti è rimasto accanto solo lui.

Del gemello. Ma di chi era gemello Tommaso? Il Vangelo non lo dice. E forse si capisce perché. Perché gli siamo gemelli tutti.

Ma nel cuore, gli altri, ce li hai tutti.

Vedi, Maria. Io vengo da un secolo in cui è difficile fidarsi anche della propria ombra.

Ricordi trasparenti

Per credere, non ci basta più l’ascolto, così come è avvenuto per te, che ti è stato sufficiente udire le parole dell’angelo per abbandonarti completamente a Dio.

Giacomo di Zebedeo, il figlio del tuono. È stato il primo a essere ammazzato di spada da Erode. Ogni tanto, Giovanni suo fratello, nelle notti d’inverno, te ne parla con tenerezza sotto il focolare.

E non ci basta neppure vedere, così come è bastato ai pastori. Ti ricordi quella notte di sogno? Si dissero l’un l’altro «Andiamo fino a Betlem e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Abbandonarono i fuochi del bivacco, si abbassarono sulle orecchie avvampate dalla brace i copricapi di lana, e ven-

Così come ti parla di Andrea, ucciso a Patrasso. Con lui aveva vissuto l’avventura splendida della chiamata, sul lago, alle quattro di un vespro indimenticabile. Quando se ne ricorda, Giovanni abbassa il capo per 14

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nascondere le lacrime, e traccia sulla cenere croci decussate.

nero senza indugio a schiere davanti alla mangiatoia. Poi, dopo aver visto la trasparenza di Dio, che tu avevi avuto cura di avvolgere in fasce perché non li accecasse, se ne tornarono alle loro greggi glorificando Jahvé «per tutto quello che avevano udito e visto».

Ma che fai, piangi?

E poi Bartolomeo, l’uomo trasparente, l’israelita senza inganno, colto dallo sguardo di Gesù sotto l’ombra sonnolenta di un fico. Ti ha fatto piangere tanto la notizia che, povero figlio, l’hanno scorticato vivo in Armenia.

E Poi Giuda Taddeo, e poi Giacomo di Alfeo, e poi Simone lo zelota, e poi Matteo, partiti anche loro per viaggi senza ritorno.

Te li stringevi al petto, e li accarezzavi a lungo ogni volta che venivano a salutarti e a chiederti l’ultima benedizione. Si portavano nella bisaccia un ciottolo del lago, un ciuffo d’erba del monte... e negli occhi limpidi il riverbero dei roghi accesi dal Maestro.

Li hai visti così andarsene a uno a uno, e di molti di essi non hai saputo più nulla.

Lo so che la rievocazione di quella notte ti commuove. Mi viene il dubbio, però, che quelle non siano lacrime di tenerezza, e che tu le stia versando per tutti coloro ai quali, per credere, non basterà più né ascoltare, né vedere: vorranno toccare. Come Tommaso, il nostro gemello. Anzi, più di Tommaso. Perché lui volle toccare, ma poi di fatto non toccò. Seppe arrestarsi alle soglie del suo folle realismo. Lasciò che i certificati di garanzia da lui pretesi gli si sciogliessero tra le dita come sigilli di ceralacca sotto la fiamma di una candela. E cadde in ginocchio, alle frontiere luminose di quegli spazi di carne che non ebbe più il coraggio di manipolare.

Dov’è ora Filippo? Quello che disse «Signore, mostraci il Padre», e si ebbe come risposta la splendida dichiarazione con cui Gesù definiva se stesso trasparenza di Dio: «Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre».

Per noi, invece, è diverso. Il dubbio è divenuto cultura. L’incredulità, virtù. La diffidenza, sistema. A tal punto, che introduciamo nella nostra vita solo ciò che passa attraverso il delirio dei nostri palpeggiamenti.

E che ne è di Tommaso, il gemello?

Anche lui assetato di trasparenze.

Rifuggiva dai misteri. Le allusioni, non le capiva. Una volta aveva troncato bruscamente Gesù che parlava di dimore arcane dove lui stava per andare e dove un giorno i discepoli l’avrebbero raggiunto: «Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la strada?». Gesù, allora, per nulla infastidito da tanta banalità, ripagò questo discepolo, critico e appassionato, con una delle sue più celebri espressioni: «Io sono la via, la verità e la vita».

Sì, Maria. Forse non ne abbiamo colpa. Ma noi oggi stiamo vivendo proprio questa tragedia. Con tristezza. Dio sa quanto vorremmo pure noi affidarci alla gente, consegnarci alle cose, abbandonarci al filo degli eventi. Così come facevi tu quando, a vent’anni, passeggiando per le campagne di Nazareth nelle sere di maggio, ti affidavi al braccio forte di Giuseppe. O come fanno i bambini che, dopo lunghe rincorse sui prati, si abbandonano all’erba della primavera. O come i gabbiani che si consegnano all’ala del vento.

Era fatto così Tommaso. No. Non era scettico. E tanto meno incredulo. Voleva solo vederci chiaro. Tanto chiaro, che gli occhi non gli bastavano. Pretendeva il

Dio sa come vorremmo fuggire dalle trincee solitarie entro cui abbiamo organizzato difese a oltranza. E dilatare questa nostra povera vita negli spazi verginali di

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«Voglia di trasparenza. Che è voglia di comunicazione con le cose, sì, ma anche di rapporti veri con le persone. Nostalgia di occhi diafani.

Desiderio di sguardi limpidi. Ansia di gesti semplici. Voluttà di parole chiare.»

conforto delle mani: «...se non metto la mano nel costato»!

Povero Tommaso. Ti ricordi, Maria? Quando è venuto a dirti che se ne andava anche lui, verso l’India misteriosa, per annunciare ad altri la gioia di una beatitudine che lui non era stato capace di sperimentare, non sapeva staccarsi dal tuo collo, e ti ha chiesto mille volte perdono per quell’affronto fatto a Gesù.

Fu allora che prendesti a consolarlo dicendogli che anche tu, in fondo, volevi vederci chiaro. Difatti la prima cosa che il Vangelo avrebbe conservato di te non era l’obbedienza del fiat, ma una insopprimibile voglia di trasparenza: «Come avverrà questo? Spiegati, angelo, non nascondermi nulla, come avverrà?».

Sorretto dalle tue parole e alleggerito dalle tue carezze di Madre, Tommaso se ne è andato così.

Di lui, del «gemello», del più discolo tra i dodici, non hai avuto più notizie.

Tommaso: vedere chiaro

Del gemello. Ma di chi era gemello Tommaso? Il Vangelo non lo dice. E forse si capisce perché. Perché gli siamo gemelli tutti.

Vedi, Maria. Io vengo da un secolo in cui è difficile fidarsi anche della propria ombra.

Per credere, non ci basta più l’ascolto, così come è avvenuto per te, che ti è stato sufficiente udire le parole dell’angelo per abbandonarti completamente a Dio.

E non ci basta neppure vedere, così come è bastato ai pastori. Ti ricordi quella notte di sogno? Si dissero l’un l’altro «Andiamo fino a Betlem e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Abbandonarono i fuochi del bivacco, si abbassarono sulle orecchie avvampate dalla brace i copricapi di lana, e ven-

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“Voglia di trasparenza. Che è voglia di comunicazione con le cose, sì, ma anche di rapporti veri con le persone.

Nostalgia di occhi diafani. Desiderio di sguardi limpidi. Ansia di gesti semplici.

Voluttà di parole chiare.

Ma come fai oggi a fidarti della gente, quando sai che sotto il liscio manto stradale che calpesti c’è il dispositivo di cento trabocchetti allestiti a tuo danno?

Ciò che frena gli slanci, poi, non è tanto la disseminazione del torbido, ma la paura che, come in una «roulette» russa, il rischio si concentri per caso nella persona che in quel momento ha a che fare con te.”

Euro 8,00 (I.i.)

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ISBN 978-88-6153-987-7

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