Nola-Villa Literno

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la meridiana

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RAGAZZI DELLA TERRA DI NESSUNO

ISBN 978-88-6153-067-6

collana

Gianni Solino

Gianni Solino, nato a Villa di Briano (CE) 46 anni fa, sposato e padre di tre figli, lavora alla Provincia di Caserta. Fin da ragazzo si è interessato dei movimenti pacifisti e anticamorra, e continua ad impegnarsi nell’associazionismo, in modo particolare con “Libera”, “Comitato don Peppe Diana” e “Scuola di Pace don Peppe Diana”. È stato per oltre dieci anni sindacalista provinciale della CGIL nella quale è ancora oggi coinvolto in qualità di rappresentante sul posto di lavoro.

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edizioni la meridiana “Perché piangevo, perché provavo tanto dolore, tanta pietà? D’improvviso capii. Nella bara di don Peppe Diana c’ero io, la mia anima, i miei ideali, le mie speranze. Era la mia morte quella che piangevo. Ero stato ucciso ma non volevo morire”

RAGAZZI DELLA TERRA DI NESSUNO Gianni Solino

Gianni Solino

RAGAZZI DELLA TERRA DI NESSUNO

“Perché piangevo, perché provavo tanto dolore, tanta pietà? D’improvviso capii. Nella bara di don Peppe Diana c’ero io, la mia anima, i miei ideali, le mie speranze. Era la mia morte quella che piangevo. Ero stato ucciso ma non volevo morire”


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Gianni Solino

RAGAZZI DELLA TERRA DI NESSUNO Prefazione di Luigi Ciotti

edizioni la meridiana


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NOLA-VILLA LITERNO

La strada statale 7 quater Nola-Villa Literno, costruita nei primi anni Ottanta, quasi tutta in rilevato, domina la piana e taglia da est a ovest il territorio dellʼagro aversano, costeggiando numerosissimi centri abitati e collegando il CIS di Nola al litorale domitio. Più semplicemente, noi la chiamiamo la superstrada. Insieme ad altre opere pubbliche di analoga portata – come la cementificazione dellʼalveo dei regi lagni – ha rappresentato un emblema di quellʼallegra spesa pubblica che avrebbe dovuto contribuire allo sviluppo del Sud e che ha invece nutrito una pletora di politici corrotti e di camorristi con e senza colletto. La costruzione in rilevato era una scelta necessaria? Dal punto di vista tecnico non so, so di certo, però, che dal punto di vista ambientale ha ingrigito il paesaggio del cuore della Campania felix e soprattutto ha depauperato il territorio di migliaia di metri cubi di terreno, utilizzato per edificare il rilevato. Il “movimento terra” ha sempre rappresentato una delle attività più redditizie per la camorra aversana e come tale, negli anni, è stato oggetto di interesse della stampa, di inchieste della magistratura, di reportage e speciali tivù che ne hanno scandagliato le implicazioni economiche, politiche, criminali. Pochi, però, si sono soffermati sugli aspetti ambientali di questo colossale fenomeno, se non negli ultimi anni quando è stato coniato il termine ecomafie a significare le devastazioni recate allʼambiente e al territorio dalle speculazioni di queste holding del crimine.

Proprio da qui inizia questa piccola storia, dalla superstrada. Era il 1988. Mi ero da poco fidanzato in casa con la ragazza 27


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che sarebbe poi diventata mia moglie e frequentavo la sua abitazione con cadenza pressoché quotidiana. In quel periodo bazzicavo poco il mio paese a causa dei miei impegni lavorativi e politici, per cui ignoravo tutto quello che accadeva a Villa di Briano. Apprendevo distrattamente frammentarie notizie dai miei suoceri, contadini, preoccupati per la loro terra. Da un po’ di giorni, di notte, un inconsueto andirivieni di tir, carichi di chissà cosa, animava le strade campestri, proprio alle spalle del centro abitato. Strani sacchi di plastica bianca, insieme a mucchi di scaglie di colore nero, venivano scaricati da decine di camion con targhe di province del Nord, Firenze, Varese. Ma dove svuotavano il loro insolito carico? Alla cava! Quale cava? Ignoravo completamente questo fenomeno e, come me, la maggior parte della popolazione era all’oscuro della bomba ecologica che si stava innescando a cielo aperto, sotto gli occhi di tutti. Era la cava ottenuta scavando buche enormi e prelevando terreno per la costruzione in rilevato della superstrada. Si trattava di voragini larghe centinaia di metri e profonde alcune decine, molte delle quali costeggiavano la superstrada, alcune ricadendo nel territorio di Villa di Briano. Spettacolo terrificante! In alcune zone, a causa del terreno scavato e prelevato, era affiorata la falda acquifera e si erano formati piccoli laghetti in cui, addirittura, alcuni ragazzini facevano il bagno! Le cave rappresentavano la pattumiera ideale per ogni sorta di rifiuto: inerti di edilizia, scarti di lavorazione, solidi urbani… Tutto senza alcun controllo! Uno scempio, a ridosso delle case, nell’indifferenza più assoluta! Non c’era un’amministrazione comunale? Quale pubblica autorità aveva vigilato su quei lavori? Complicità, corruzioni, malversazioni. Raccolsi un po’ di voci in giro e compresi subito che il via vai dei tir andava avanti da tempo, e non soltanto lì da noi, ma anche a Casal di Principe e in altri comuni dove erano presenti le cave. 28


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Capii anche che il business non era frutto della proverbiale arte di arrangiarsi, bensì risultato di un sistema affaristico criminale le cui fila erano saldamente in mano ai boss della camorra, in un reticolo di piccoli e medi imprenditori del trasporto che stavano lucrando fior di milioni sulla salute della gente. Mi resi conto anche che in paese non si parlava d’altro, che tutti erano preoccupati di quello che stava succedendo, ma assistevano impotenti perché “a farsi i fatti propri si vive cent’anni”. “Se non muori avvelenato”, pensai. Bisognava fare qualcosa, e anche presto. Ma bisognava stare attenti, perché il rischio era grosso. Per affari assai meno miliardari di quelli, dalle nostre parti si ammazzava senza tanto badare alle apparenze, e non era certo il caso di contribuire personalmente al riempimento delle cave. Così, con alcuni amici fidati osservai, a debita distanza, il via vai notturno, verificando di persona i fatti. Ricordo una volta, all’incirca verso le due, solito gruppetto di nottambuli, in macchina, di ritorno da un pub di S. Maria Capua Vetere, notammo alcuni di quei grossi bestioni con targhe di Firenze. “Chissà se sono loro?” – ci dicemmo sottovoce, come se i camionisti potessero ascoltarci. Quasi per gioco, iniziammo l’inseguimento, tenendoci a distanza. I tir sembravano diretti proprio verso Villa di Briano, dove anche noi dovevamo tornare. Sulla provinciale per Casal di Principe, notammo strani segnali scambiati fra uno dei conducenti e una macchina che andava avanti come per indicare la strada. Inaspettatamente, la macchina fece una rapida inversione di marcia, dirigendosi verso di noi. Pochi secondi dopo li incrociammo. Pur sforzandoci di mostrare la massima indifferenza e disinvoltura, notammo tutti i loro sguardi indagatori. Forse intuivano qualcosa, forse l’autista del camion aveva segnalato un sospetto sulla nostra macchina che li seguiva da tempo. Sarà stata l’immaginazione o la preoccupazione eccessiva, ma qualcuno di noi notò che un passeggero della macchina incrociata ci scrutava e aveva una pistola in mano. 29


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Di colpo, l’allegria che aveva fin lì caratterizzato la serata svanì. Gettai subito l’occhio sullo specchio retrovisore e vidi che poche centinaia di metri più in là la macchina che avevamo incrociato aveva di nuovo invertito la direzione e ci seguiva. Accelerai quasi d’istinto e mi sembrò che anche quella macchina stesse facendo la stessa cosa. Ci stavano inseguendo! Imboccai subito la prima strada sulla destra e, prima che anche l’altra auto potesse fare altrettanto, spensi i fari e svoltai di scatto su una stradina a sinistra, tenendo incollati gli occhi sul retrovisore. Quando vidi che la macchina inseguitrice oltrepassava la stradina dove avevamo svoltato tirai un sospiro di sollievo ma, allo stesso tempo, tutti fummo presi dal panico. Davvero stavano inseguendo noi, e con che intenzioni? Raggiungemmo in fretta le nostre abitazioni anche per scongiurare ulteriori incontri, ma l’adrenalina che avevamo in corpo non poteva essere ancora compressa. Era chiaro che il gioco stava diventando pericoloso, ma altrettanto chiaro che andava giocato fino in fondo e senza indugi. Quella stessa notte scrissi un breve volantino dal titolo “Difendiamo la nostra salute”, con il quale si denunciava la situazione che accadeva sotto gli occhi di tutti e si rivendicava l’intervento urgente delle pubbliche autorità. La mattina dopo mi rividi col solito drappello temerario e insieme andammo in una cartoleria di Aversa per riprodurre in centinaia di esemplari quel volantino di denuncia che – date le circostanze – non poteva che essere anonimo. Quindi, come cospiratori silenziosi, disseminammo quei fogli preziosi, in giro per il paese, nel buio della notte. Il giorno seguente cercai di non andare troppo in giro e mi riferirono che fuori dal bar, dove sostavamo di solito, la sera si erano fermati due noti figuri a chiedere chi fossero gli autori di quei volantini. La situazione rischiava di precipitare, occorrevano rinforzi! Contattai un amico di Aversa che scriveva per un giornale locale e gli proposi lo scoop. Poco dopo l’alba ci incontrammo e ci recammo sul posto. 30


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Anche lui rimase sbalordito, incominciò a scattare una serie di foto per documentare gli scarichi di materiali di sicura provenienza industriale, mentre io mi guardavo intorno per assicurarmi che nessuno ci vedesse. Eravamo testimoni importuni sul luogo di un delitto. La mattina dopo i giornali locali riportavano in prima pagina le foto e la notizia dei volantini anonimi di denuncia. Si smossero così le “Autorità superiori” e anche la magistratura. Nel giro di pochi giorni, i carabinieri, su ordine della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere, misero sotto sequestro le cave chiudendole… con del nastro colorato, che consentiva, seppure in misura minore, di continuare a scaricare. Rompemmo gli indugi, demmo vita a un Comitato Civico di difesa ambientale, producemmo volantini e manifesti, organizzammo incontri pubblici e definitivamente provocammo il crollo del muro di omertà che circondava la vicenda, costringendo il Consiglio Comunale a tenere una seduta aperta, alla quale intervennero politici di livello provinciale, parlamentari, stampa. L’area fu recintata e sorvegliata in maniera più efficace e l’affare, almeno per il momento, saltò. O meglio, si spostò di qualche chilometro, verso altre cave e verso comunità più distratte e silenziose. Nonostante quella battaglia generosa e non priva di rischi, le cave sono state comunque inondate di ogni sorta di rifiuto, mentre contemporaneamente si parlava di bonifica e di risanamento… Non è strana la coincidenza che questa zona – secondo dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – sia ai vertici delle statistiche relative ai tumori e alle leucemie? Può esserci un nesso tra queste vicende e le decine di ragazzi che, a Villa di Briano e nei paesi vicini, sono morti? Si tratta di morti naturali o non è più corretto parlare di omicidi? È accaduto tutto sotto i nostri occhi. 31


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Alcuni si sono arricchiti, molti hanno fatto finta di non vedere. Soprattutto, una politica inetta e dominata dal potere mafioso non ha mosso un dito per salvaguardare le future generazioni, compresi i figli. Durante il primo governo Prodi, verso il 1997, fu approvata una legge ad hoc per il risanamento di questi territori così duramente colpiti dalle ecomafie. Ciononostante, del risanamento non si è vista nemmeno l’ombra e noi, e più ancora i nostri figli, stiamo pagando il caro prezzo della vigliaccheria. A parlare si può correre qualche rischio. A volte, però, a stare zitti si rischia molto di più.

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