Lucia Suriano
C’è una scuola diversa: meno retorica, più accogliente, talvolta sovversiva. Una scuola dove la logica dell’in cattedra fa i conti con la logica del corridoio, che è lo spazio più abitato dagli alunni “fuoriclasse”, spesso accompagnati fuori dalle aule per buona pace del fare lezione. Disturbano, non tengono il passo, difficili, dagli apprendimenti differenti e con storie di vita già complicate. Dunque sono alunni più bisognosi degli altri di una scuola che li faccia sentire parte di una comunità che ha fiducia in loro. Le storie di questo libro raccontano questa scuola e la disegnano come prospettiva possibile e necessaria per rispondere al compito dell’insegnante: includere ogni alunno, consentendo a ciascuno di avere lo spazio, il tempo e le risorse adeguate perché apprenda lo stare al mondo. Ribaltarsi per ribaltare: è l’azione prima per garantire che la scuola sia per tutti occasione di crescita. Un’azione quotidiana della classe docente e di ogni singolo insegnante, perché a loro la comunità affida il compito di sognare ogni alunno.
Lasciarsi ribaltare La Scuola è aperta a tutti
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Lasciarsi ribaltare
Lucia Suriano è docente nella scuola secondaria di primo grado. Ha iniziato a ricercare e sperimentare modalità e strumenti che realizzino il vantaggio dell’educare alla felicità (in ambito educativo scolastico). Ribalta stereotipi e falsi miti educativi per una scuola capace di includere realmente tutti partendo dalla potenza della fragilità. Con la meridiana ha pubblicato Educare alla felicità (2016).
Lucia Suriano
Art. 34 Costituzione della Repubblica italiana
QUADERNI di
ISBN 978-88-6153-760-6
Euro 15,00 (I.i.)
9 788861 537606
Lucia Suriano
Lasciarsi ribaltare La Scuola è aperta a tutti
I vicini portano da mangiare quando muore qualcuno, portano dei fiori quando qualcuno è ammalato e altre piccole cose in altre occasioni, Boo era anche lui un nostro vicino e ci aveva dato due pupazzi fatti col sapone, un orologio rotto con la catena, un coltello e le nostre vite. Una volta Atticus mi aveva detto: “Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista”. Ebbene quella notte io capii quello che voleva dire. Adesso che il buio non ci faceva più paura, avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva dalla casa dei Radlay e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la notte più lunga, più terribile e insieme la più bella di tutta la mia vita. Il buio oltre la siepe*
* Epilogo estratto dal film Il buio oltre la siepe (Mulligan R., 1962) tratto dall’omonimo romanzo.
Indice Dar voce...............................................................................................9 Il corridoio........................................................................................11 Agganciarsi........................................................................................15 Le valigie scambiate..........................................................................19 Correre...............................................................................................21 Sai giocare a calcio?..........................................................................23 La palestra.........................................................................................27 I deboli...............................................................................................29 La pedagogia delle sneakers............................................................31 Il leone e il lasciarsi ribaltare...........................................................33 Il nuovo primo giorno.....................................................................35 Il valzer..............................................................................................37 Ribaltarsi............................................................................................39 Opportunità......................................................................................43 Il semaforo.........................................................................................47 Il Puma...............................................................................................49 Lunedì................................................................................................53 Il tempo del distacco e il giorno del vuoto....................................55 Guernica è ferita...............................................................................57 Lui chi è?............................................................................................59 Colludere...........................................................................................61 L’infrangibile si frange......................................................................65 Campo minato..................................................................................69 Mistero doloroso..............................................................................73 Perché lasciarsi ribaltare?.................................................................79 La bellezza collaterale......................................................................83 Il cielo di carta..................................................................................85 Abitare................................................................................................89 Tradire................................................................................................93 Fallire.................................................................................................97
Micorrize pedagogiche..................................................................101 Tracce gentili...................................................................................105 Vuoti e voragini..............................................................................109 Che cali il sipario............................................................................113 Dentro e oltre ogni limite..............................................................115 Bibliografia di riferimento.............................................................117 Playlist..............................................................................................119
Dar Voce ”Al di là dell’amore”, Brunori Sas
Il soffio del vento che un tempo portava il polline al fiore ora porta spavento spavento e dolore ma vedrai che andrà bene andrà tutto bene tu devi solo metterti a camminare raggiungere la cima di montagne nuove e vedrai che andrà bene andrà tutto bene tu devi solo smettere di gridare e raccontare al mondo con parole nuove supplicando chi viene dal mare di tracciare di nuovo il confine fra il bene ed il male se c’è ancora davvero un confine fra il bene ed il male Brunori Sas, “Al di là dell’amore”
Si narra sempre e solo ciò che si è conosciuto. Per questo, con molta pazienza e singolare delicatezza, tenterò di raccontare questa storia un po’ assurda, talvolta grottesca, talaltra banale e talaltra ancora carica di inaudita violenza e pietà. Se le parole scorrono e fluiscono vuol dire che questa storia desidera essere raccontata. Sarà una storia scomoda e irriverente, come sa esserlo soltanto la vita, quella vera, che ti sorprende e fa saltare le più profonde convinzioni. Una storia in cui la vita, 9
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bizzarra e imprevedibile, ha il potere di portarti in alto e poi, senza alcun preavviso, ti scaraventa in basso nelle sue profonde gole per permetterti di scoprire nuovi orizzonti, ricordandoti che non sei mai arrivato, che ciò che credi di essere può essere anche un’incredibile parte di un dramma. Un incredibile dramma del quale mai ti saresti aspettato di poter divenire al contempo autore, attore e spettatore. Autore adesso mentre tento questa disperata operazione di scrittura che, per me, ha il sapore della cura, del medicamento delle ferite aperte, viste nelle vite degli altri e sentite sulla mia pelle esattamente come fossero le mie. Attore lo sono mentre scrivo il mio ruolo nella quotidianità, la mia parte nell’interazione con coloro che scoprirete saranno i veri protagonisti e con le altre inconsapevoli comparse. Spettatore lo sono inevitabilmente nel momento in cui mi accorgo che non ho altro ruolo possibile che quello di assistere allo scorrere delle vite altrui e non poter far altro se non stare a guardare. Una storia pesante mi accingo a raccontare, con una promessa in questo primo scritto che ha il sapore di una premessa: mi impegnerò a raccontarvela con leggerezza1, perché solo così, planando dall’alto, lascerò andare quei macigni che sul cuore in certi momenti sono stati capaci di togliermi il fiato, ma soprattutto hanno permesso il frantumarsi dei muri di presunzione illogica e tutta pseudo pedagogicosalvifica che abitavano dentro di me. La narrazione si articolerà attraverso racconti in prima persona, quasi un dialogo tra i veri protagonisti e me, uno spazio in cui presterò loro la possibilità di raccontare con la propria voce il loro punto di vista, non il mio. Ci saranno temi o parole che ci guideranno alla scoperta di quanto è accaduto; ci saranno passaggi che non saranno totalmente condivisibili, ma che bisognerà disporsi ad accogliere e a lasciar decantare dentro di sé senza giudizio.
Note 1 Calvino I., Lezioni americane, Garzanti, Milano 1988. 10
Il corridoio ”Ogni istante/Yours to keep”, Elisa
Il corridoio è un luogo di passaggio per raggiungere stanze, aule, ingressi, uscite d’emergenza; il corridoio per molti è un luogo dove è vietato transitare ma necessario per spostarsi. I corridoi svolgono la stessa funzione che nelle città svolgono le strade ed ecco che la metafora si presenta: il corridoio vissuto come la strada. Il corridoio è un luogo di mezzo, un non-luogo, perché in esso non sono previste attività eppure è il luogo degli incontri, dei cambi d’ora, dei sorrisi, della corsa verso l’uscita e dell’agonizzante camminata verso l’aula in quei mattini in cui avresti solo voglia di tornare a dormire. È la terra di mezzo nella quale tutti si incontrano, alunni, insegnanti, collaboratori, dirigenti e applicati di segreteria. Il corridoio, però, resta il luogo nel quale il silenzio non può e non deve essere violato, perché le aule sono tutte lì che vi si affacciano, il corridoio è il sacro luogo non-luogo1, che diventa scenario mercatale almeno due volte al dì: ore 8 e ore 13. Ogni sessanta minuti, nel lasso di tempo che intercorre tra le 8 e le 13, si rianima per i cambi d’ora ed è in quei momenti che può capitare di vedere varcare la soglia delle aule i più coraggiosi, che osservano il cambio di staffetta tra un prof. e l’altro o semplicemente cercano di incrociare la propria vita con amici di altre classi. Per me e per i miei alunni il corridoio è sì tutto questo ma è anche molto di più. Quando inizia un nuovo anno scolastico la consuetudine vuole che il dipartimento di sostegno studi i nuovi “casi in entrata”, prima di conoscere le persone. Si fa così, una prassi che non è sempre condivisibile, si studiano i casi nuovi arrivati e si mette tutto in condivisione, nel massimo rispetto della privacy. 11
Lucia Suriano
Ogni nuovo insegnante non sa ancora chi sarà il suo alunno, prende nota in generale, chiunque gli potrà capitare poiché l’assegnazione avverrà nei giorni successivi a discrezione del dirigente e dei referenti di dipartimento sulla scorta di alcune possibili compatibilità intuite. Leggiamo di una ragazzina con un lieve ritardo mentale e con disturbo affettivo-relazionale, leggiamo di lei e vedo i colleghi che lavorano da più tempo irrigidirsi, ma non ci faccio caso più di tanto; la ragazzina avrà un monte ore aumentato (fino a 13 ore settimanali) a causa dello svantaggio socio-culturale. Dopo pochi giorni scopro di essere stata individuata come sua insegnante; non so perché e non so soprattutto chi mi ritroverò davanti, poiché i documenti parlano una lingua che ancora non mi appartiene tanto. Accolgo la decisione dei miei superiori senza nessuna perplessità, fino a che incrocio una collega in corridoio che mi dice: “Chi ti hanno affidato, Lucia?”, “Occhi Verdi” rispondo. Vedo la collega sobbalzare e portarsi la mano alla bocca – in segno di stupore forse? Chiedo spiegazioni e mi viene detto: “Congratulazioni, ti hanno dato il filituro” (filituro nella nostra lingua apula è un tappo, un tappo di sughero, a indicare una bella fregatura, un caso difficile); non contenta, la collega, tra il divertito e il profondamente dispiaciuto, mi dice: “È la sorella dell’assassino”, e mi racconta la vicenda per cui è noto in città. È questione di un attimo: un brivido gelido mi percorre la colonna vertebrale e finalmente inizia a prendere forma la consapevolezza che non sarebbe stata una facile avventura e che soprattutto i miei sogni di sperimentarmi con il mondo della disabilità stereotipata iniziavano a sgretolarsi. Il giorno dell’incontro con “Occhi Verdi” finalmente arriva. La ragazzina è seduta al suo banco, composta e solitaria. Entro in classe con il mio sorriso stampato e con il terrore, dentro di me, di cosa mi stesse aspettando. Incredibile quanto i condizionamenti esterni possano creare dentro di noi emozioni e presentimenti sterili, ma prepotentemente capaci di influenzare la realtà vissuta. Il tempo di sedermi di fronte a lei e di presentarmi che mi guarda fiera e senza il benché minimo tentennamento, in dialetto, mi dice: “Io sono Occhi Verdi, tu chi pensi di essere e cosa vuoi da me?”. Il buongiorno si vede dal mattino. Io fingo di essere serena 12
LASCIARSI RIBALTARE
e mentre cerco di mettermi a mio agio sento un verso simile a un ululato provenire dal corridoio; la mia bella fanciulla scatta in piedi e va verso la porta, incurante di me e della collega curricolare, mi guarda, sorride e dice: “È mia cugina”. Mi viene da ridere e scherzo dicendo: “Figlie de ‘La lupa’ di Verga, chi me lo doveva dire?”. La ragazza mi, anzi, ci sfida, uscendo dall’aula e dichiarando: “Voi non sapete chi sono io!”. Inizia un inseguimento concitato nel corridoio, sulle scale tra i diversi piani della scuola, si susseguono urla, parole al vento e soprattutto inizio a prendere confidenza con alcune emozioni che forse non conoscevo così profondamente: l’ansia, la paura, il timore del giudizio altrui, la rabbia. Un impeto mi viene dal profondo e anche io a un certo punto inveisco contro la ragazza intimandole di fare silenzio, ma non mi rendo conto che mi viene fuori nella mia lingua madre, nel dialetto della mia città di nascita. Improvviso cambio di scena. Occhi Verdi si blocca e mi dice: “Tu non sei del nostro paese”. Uno strano inizio. Ma la forza delle origini mi salva e fa terminare le corse, le urla e pure la paura; torniamo in classe, come nulla fosse accaduto. La campanella sancisce la fine del primo giorno di scuola e l’inizio di un’avventura durata tre anni.
Note 1 De Botton A., L’arte di viaggiare, Guanda, Milano 2002. 13
Agganciarsi ”Il primo della lista”, Niccolò Fabi, Diventi Inventi 1997-2017
I giorni si susseguono, il clima non è sempre caldo, ci sono lunghi e talvolta inconciliabili silenzi, poiché due mondi totalmente distanti e sconosciuti sono stati messi insieme per un disegno superiore che non ti è dato di comprendere finché del disegno fai parte. “Italiano, matematica, inglese, francese, grammatica, ma quante sono le materie e proprio tutte le dobbiamo fare, ma perché stiamo sempre rinchiusi in queste mura, cosa vi passa per la testa a voi professori di tenerci chiusi come in carcere, ma siete malati di mente?” Gli occhi ogni tanto si perdono in chissà quale sogno di bambina e allo stesso tempo hanno sempre quel bagliore, quella scintilla che è pronta a esplodere. La vedo, la osservo e ne ho paura. Sì, ho paura delle reazioni di una bimba di 11 anni che sicuramente ha il suo carico, il suo bel bagaglio di rabbia, paura e frustrazione. Ma io sono la prof., ho il comando della situazione, sono adulta e sono forte e sono una stimata e attrezzata insegnante (si dice in giro!). “Facciamo così, Occhi Verdi, dividiamo il tempo che trascorriamo insieme in diversi momenti, facciamo attività in classe con i tuoi compagni, poi quando sei stanca magari usciamo un po’ nel corridoio o a fare due passi in giardino, poi ritorniamo in classe, facciamo altre attività e poi man mano ci diciamo sinceramente se abbiamo bisogno di qualcosa o di fermarci o uscire. Io sono qui per te, quindi cerchiamo di trovare il nostro modo di stare insieme.” “Ok, ma io non sono qui per te e non ti voglio!” 15
Lucia Suriano
Una mattina come tante, ci mettiamo a lavorare in classe, ma c’è troppa confusione. Occhi Verdi non riesce a concentrarsi, mi chiede di uscire e di andare in uno spazio in cui poter lavorare in tranquillità; l’accontento e ci spostiamo. Riprendiamo a lavorare, e io, per farle comprendere meglio un significato, prendo il mio telefono e inizio a cercare una foto, lei mi guarda attenta, scruta e sbircia… poi velocemente, tutto d’un fiato: “E chi sono queste bambine che hai sempre nelle foto del tuo telefono?” “Sono le mie figlie.” “Le tue figlie? Sei sposata?” “Sì sono sposata e ho tre figlie.” Mi guarda tra il sorpreso e l’ammirato e mi dice: “Non ci credo!”. Così riapro la galleria del mio smartphone e la scorro con lei, presentandole le mie bambine. Dopo qualche secondo mi chiede di soffermarci sulla piccola che allora aveva meno di un anno. La vedo incantarsi, e le chiedo: “Ti piacciono i bambini?” “Sì, sono bellissimi. Un giorno me le fai conoscere? Ti fanno arrabbiare? E la piccola dorme di notte? E tuo marito ti aiuta? E Adriana con chi sta ora, mentre tu stai con me a scuola?” E giù una caterva di domande curiose, sensibili e dolcissime. “Sì, certo che te le faccio conoscere – rispondo – ma non posso fartele conoscere qui, anche loro vanno a scuola di mattina.” “No, di pomeriggio, di pomeriggio puoi venire a trovarmi dalle suore; io dopo la scuola non vado a casa, pranzo dalle suore e ci resto fino alle sei. Fino alle sei, hai capito, poi mi riportano a casa.” “Ho capito, il pomeriggio sei al centro, ma io non so se posso venire.” “Chiedilo alla suora che mi viene a prendere all’uscita; puoi venire, io sto lì tutti i giorni, lo ha detto il tribunale che devo stare lì.” Gli occhi si incupiscono, si rompe l’incanto e scappa via. 16
Le valigie scambiate ”Imparare ad essere una donna”, Fiorella Mannoia, Personale
Hai presente la strana sensazione che ti pervade quando sei in aeroporto, sei appena sceso dall’aereo e sei in attesa di ritirare il bagaglio? Sul nastro trasportatore iniziano a scorrere le valigie e vedi che tutti i passeggeri sono in ansia, un po’ per andare via velocemente, un po’ per la paura che il bagaglio si sia smarrito. Poi da lontano, con lo sguardo fisso sul punto in cui i bagagli iniziano a scorrere, avvisti il tuo trolley. “Eccolo!”, ti dici, e un sospiro di sollievo – neanche tanto nascosto – ti fa avvicinare al nastro trasportatore; ti fai largo tra gli altri passeggeri, che a loro volta sgomitano per avere uno spazio, e finalmente afferri la valigia. Ma prima di allontanarti un dubbio ti pervade: ma è proprio la mia? Viene da sorridere al pensiero di questa scena, ma nel momento in cui decidi di fare un controllo, fai scorrere la cerniera, apri il bagaglio e subito inizi a scorgere oggetti e indumenti che non ti appartengono: panico! Sul nastro trasportatore non c’è più nulla. Valigia scambiata! Uno spaesamento vero. Resti immobile e un po’ imbambolato per qualche secondo finché non ti rendi conto che non c’è altro da fare che andare a fare un reclamo, puoi solo andare a rivendicare il diritto di riavere il tuo bagaglio, e forse, dico forse, tra qualche giorno lo riavrai, integro o no. Con i ragazzi, soprattutto con coloro che ti richiedono maggiore impegno nel riuscire a tenere le fila del percorso educativo che si sta generando, accade esattamente la stessa cosa. Il tuo bagaglio e il loro stanno viaggiando sullo stesso aeromobile, stessi ambienti per tante ore, così è inevitabile che 17
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accada una esperienza simile a quella dello scambio dei bagagli. Una bella mattina ti accorgi che in te affiorano sempre più prepotenti emozioni che non credevi essere capace di provare, eppure le stai provando, ti appartengono e sono anche abbastanza prepotenti: rabbia, paura e anche frustrazione. Aspetta un attimo, ti viene da dire, ma queste non erano le emozioni che credevo fossero nel suo bagaglio? Cosa è successo, ci hanno scambiato le valigie? Ma in quale aeroporto è accaduto, e come è possibile? Provo a immaginare la scena in cui a furia di trascorrere ore e ore insieme accade la trasmigrazione emotiva del bagaglio, una scena alla Doctor Strange, uno dei film della Marvel che tanto piacciono a mia figlia e – per dirla tutta – anche a me. Cosa si fa? A chi ci si rivolge per il reclamo? Dove si corre a urlare che rivogliamo indietro il nostro bagaglio e non sentiamo ragione perché questa roba non ci appartiene e non vogliamo assolutamente portarla con noi? Aimè, a parte lo studio di uno psicologo non vedo altro luogo in cui poter correre, ma non per ripristinare il sistema emotivo come in una sorta di reset del software. Lo scambio delle valigie emotive è un processo irreversibile. Non si torna indietro. Non si rispediscono al mittente. Si vivono, riconoscono e attraversano4. Ciò che ritengo fondamentale è accorgersi che lo scambio dei bagagli è avvenuto. Solo in questa totale consapevolezza accade che l’educatore non entri in conflitto con quelle emozioni che non reputa le sue, e soprattutto solo in questa totale consapevolezza può avvenire il più ricco processo di crescita che vede l’educatore e l’educando entrare in una relazione sana basata sulla reciprocità, distruggendo per sempre il famoso dilemma: giusta distanza o giusta vicinanza? A mani nude, a piedi scalzi. Affrontare la vita sul campo e mai dagli spalti senza risparmi. Andando sempre comunque avanti e niente è mai sicuro. E quando hai più passato che futuro sai che hai imparato dagli altri anche i peggiori sbagli per giorni mesi anni, ma ancora mi commuovo, per un bacio lontano, una foto ricordo, per una notte che piano ridiventa giorno. Ogni emozione mi attraversa 18
LASCIARSI RIBALTARE
il respiro e piango di gioia oppure senza motivo, ci sono giorni in cui vorrei sparire e altri che la felicità non ha una fine. Ogni emozione mi attraversa il respiro e rido di gioia oppure senza motivo, convinta cha alla fine tutto torna con il peso e la bellezza di imparare ad essere una… donna [prof.]. Fiorella Mannoia, “Imparare ad essere una donna”
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La pedagogia delle sneakers
La pedagogia delle sneakers la comprendi soprattutto quando inizi a lavorare ai margini, quando un’altra ben più nota pedagogia inizia a far parte della tua vita: la pedagogia della strada. Sono l’una figlia dell’altra, poiché a volte la strada non è poi così agevole, ti chiede di far ricorso a modalità operative silenziosamente differenti: per la strada devi stare comodo, confonderti, non distinguerti. Uno strumento molto utile diventa l’indossare un paio di sneakers: sono comode, basse, agevoli, ti proteggono e sono perfino “fighe”. Ma cerchiamo di capirci di più. Non si tratta di un gioco o di un’ironica trovata. Per me tutto è iniziato il giorno in cui ho scelto di lasciarmi ribaltare, così da allora inevitabilmente le scarpe col tacco, che già non amavo tanto, hanno finito per essere depositate in fondo alla mia scarpiera, relegate ai momenti di vita privata. Partiamo dall’etimologia della parola inglese “sneakers”. La sua origine, scopro, è da collegare al verbo antico “to sneak” che per gli inglesi voleva dire “muoversi silenziosamente”, oggi viene tradotto “di nascosto”. Un insegnante che sa muoversi silenziosamente è capace di sorprendere, di rispettare, di stare fermo ad aspettare che le tempeste si plachino ed è capace di correre a perdifiato senza fare rumore, per anticipare, fermare, evitare e soprattutto per abbracciare. La pedagogia delle sneakers ti chiede di iniziare a 31
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“lavorare con i piedi”, perché con la testa non ci arrivi, ti manca l’equilibrio. Lavorare con i piedi è uno dei capisaldi di questa pedagogia divergente, perché avere i piedi per terra ben radicati permette al tuo cervello di sentirsi al sicuro e quindi di pensare al meglio delle sue potenzialità senza lasciarsi depistare dal bisogno di proteggersi, cosa che invece inevitabilmente fa se si prova paura o dolore. Il meccanismo è semplice: se il cervello riceve un segnale di scomodità, che può voler dire perdita di equilibrio o incapacità di azione, produce automaticamente a livello chimico segnali che attivano l’allerta, il sistema simpatico entra in azione producendo una serie di reazioni fisiche di difesa e chiusura poco funzionali all’azione educativa, soprattutto in situazioni di emergenza. Le sneakers ti proteggono fisicamente da simpatici pestoni, che possono capitare quando si lavora a stretto contatto con qualcuno; sono persino “fighe”, cioè ti avvicinano al mondo degli adolescenti perché quelle sono le scarpe che indossano loro e sebbene non te lo dicano, apprezzano il tuo sforzo di stare alla stessa altezza, poiché il cambio di prospettiva radicale sta nel superare anche l’idea di doversi abbassare. Il punto oggi è riuscire a stare alla stessa altezza, non più in alto, non più in basso di colui o colei cui la nostra azione educativa è rivolta, si tratta di stare alla stessa altezza per poi ognuno andare sulla sua strada. I viandanti si accompagnano lungo i tragitti e si lasciano quando le strade si dividono perché è necessario, ma si portano insieme anche se non più fisicamente. La pedagogia delle sneakers ti mette sulla strada a tutti i livelli; è tuo compito indossarle e farne le tue ali, perché a lavorare con i piedi tu possa correre il rischio di volare alto!
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C’è una scuola diversa: meno retorica, più accogliente, talvolta sovversiva. Una scuola dove la logica dell’in cattedra fa i conti con la logica del corridoio, che è lo spazio più abitato dagli alunni “fuoriclasse”, spesso accompagnati fuori dalle aule per buona pace del fare lezione. Disturbano, non tengono il passo, difficili, dagli apprendimenti differenti e con storie di vita già complicate. Dunque sono alunni più bisognosi degli altri di una scuola che li faccia sentire parte di una comunità che ha fiducia in loro. Le storie di questo libro raccontano questa scuola e la disegnano come prospettiva possibile e necessaria per rispondere al compito dell’insegnante: includere ogni alunno, consentendo a ciascuno di avere lo spazio, il tempo e le risorse adeguate perché apprenda lo stare al mondo. Ribaltarsi per ribaltare: è l’azione prima per garantire che la scuola sia per tutti occasione di crescita. Un’azione quotidiana della classe docente e di ogni singolo insegnante, perché a loro la comunità affida il compito di sognare ogni alunno.
Lasciarsi ribaltare La Scuola è aperta a tutti
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Lasciarsi ribaltare
Lucia Suriano è docente nella scuola secondaria di primo grado. Ha iniziato a ricercare e sperimentare modalità e strumenti che realizzino il vantaggio dell’educare alla felicità (in ambito educativo scolastico). Ribalta stereotipi e falsi miti educativi per una scuola capace di includere realmente tutti partendo dalla potenza della fragilità. Con la meridiana ha pubblicato Educare alla felicità (2016).
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Art. 34 Costituzione della Repubblica italiana
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