Cesare Moreno, maestro di strada e presidente dell’omonima associazione Onlus è stato tra i fondatori del progetto Chance per il recupero dei dispersi della scuola media e suo coordinatore (1998- 2009). Con l’Associazione promuove e realizza progetti educativi sperimentali nella periferia orientale di Napoli. Santa Parrello, ricercatrice e docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. I suoi lavori sulla relazione educativa adulti-giovani coniugano psicologia culturale e psicoanalisi. Dal 2009 collabora stabilmente con l’Associazione Maestri di Strada.
a cura di Cesare Moreno – Santa Parrello Ilaria Iorio
SCONFINI DELL’EDUCAZIONE
Quando irrompono emozioni violente nel lavoro educativo
SCONFINI DELL'EDUCAZIONE
Ai margini della mente vigile, ai margini della città ben organizzata, ai margini del mondo agiato esistono dolorose realtà: quella dei giovani disorientati che non sanno o non possono progettare il proprio futuro, quella degli emarginati che vivono cronicamente nei ghetti e nell’illegalità, quella dei poveri del mondo che sono esclusi o sfruttati dall’economia globale. In questi territori, percorsi da violente emozioni, dove la ragione e la parola sono precarie e il vivere civile incerto e difficile, l’educazione è luogo di possibile speranza. Il paradigma pedagogico ereditato dalla scuola di Comenio sembra funzionare solo per coloro che vivono già una vita civile, che hanno accesso alla parola e dimestichezza con la cultura razionale. Occorre allora un paradigma pedagogico nuovo, che dia voce a chi non ce l’ha, che allenti le maglie della paura e dell’odio, riaprendo la fiducia nel futuro: un paradigma che utilizzi pratiche che sconfinano dal consueto, avvalendosi dei dispositivi psicologici volti a sostenere la riflessività e la cura di sé, dell’altro e delle relazioni. La scuola comunitaria va oltre il concetto di riproduzione della società per perseguire la sua rifondazione: in quest’ottica essa diventa luogo di frontiera per eccellenza e quindi realtà che attiva cittadinanza per le nuove generazioni e non solo per i giovani a rischio di emarginazione.
a cura di C. Moreno, S. Parrello, I. Iorio
dorsetto 8 mm
Ilaria Iorio, psicologa, PhD in Mind, Gender and Languages presso l’Università di Napoli Federico II, Dipartimento di Studi Umanistici, si occupa di ricerche sulle dispersioni scolastiche, l’inclusione sociale, il burnout dei docenti, la promozione della riflessività all’interno delle istituzioni. Dal 2009 collabora con l’Associazione Maestri di Strada.
In copertina disegno di Riccardo Dalisi
Euro 14,50 (Li)
ISBN 978-88-6153-681-4
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788861 536814
edizioni la meridiana p a r t e n z e
a cura di Cesare Moreno Santa Parrello Ilaria Iorio
Sconfini dell’educazione Quando irrompono emozioni violente nel lavoro educativo
edizioni la meridiana
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Indice
Introduzione di Cesare Moreno ............................................................. 7 “Ciascuno cresce solo se sognato”: presupposti psicologici del lavoro educativo nelle periferie metropolitane di Santa Parrello ............................................................... 9 Sconfini dell’educazione: testimonianze della vita di classe in dodici scuole di Cesare Moreno .......................................................... 15 Ragazzi sconfinati: evadere da una libertà chiusa attraverso la giocherenda di Clelia Bartoli .............................................................. 47 Il disagio degli adolescenti a grave rischio di ritiro scolastico e sociale di Katia Provantini ....................................................... 61 Stili di vita e benessere emozionale di adolescenti normativi e di adolescenti che crescono in contesti a rischio di Carmen Moreno, Pilar Ramos, Francisco Rivera, Antonia Jiménez-Iglesias, Irene García-Moya, Inmaculada Sánchez-Queija, Concepción Moreno-Maldonado, Carmen Paniagua, Ana Villafuerte-Díaz, Antony Morgan, Esther Ciria-Barreiro, Eva Leal-Lopez, Michele Abate ............................. 69 Dall’educazione per il ghetto versus la pedagogia della liberazione: l’esperienza della Escuela Viajera di Bogotá per interpretare le periferie globali di Cristiano Morsolin .................................................. 75 Pedagogia centrata sull’agency: collegare la scuola alla vita degli studenti e alla società in generale di Anti Rajala .................................................................. 85
ArteFormante per l’educazione del futuro di Maria D’Ambrosio .................................................. 91 Un esempio di arteducazione: “Amaritudo Vitae – Me Sfasterio” di Nicola Laieta .............................................................. 99 Cos’è un Grande Gruppo? di Guelfo Margherita ................................................. 103 Scuola di famiglia-e: nuove cooperazioni e prassi educative di Gustavo Carpintero Vega ................................... 111 Il Progetto Matrioske dei Maestri di Strada di Ilaria Iorio, Santa Parrello, Antonia Cuccioli, Antonella Zaccaro, Claudia Riccardo, Mariangela Lamagna ........................................................................... 119 Autori ............................................................ 129
Introduzione
Il termine sconfinare ed il termine educare sono in certo senso sinonimi, entrambi si riferiscono ad uscire fuori da un limite. Educare nell’accezione che ne danno i Maestri di Strada è uscire fuori dalle cornici esistenti: fuori da ruoli prestabiliti, fuori da pensieri calcificati e stereotipi, fuori dai ghetti culturali e mentali. Chi esce fuori dai confini geografici – per turismo, per curiosità, per migliorare la propria esistenza – sta cercando anche di trovare modi di vita più umani, esistenzialmente umani. Se non ci fosse questa ricerca tesa a migliorare l’esistenza non ci sarebbe né movimento di pensiero né viaggi tra i paesi, né mutamento sociale. L’ambizione dei Maestri di Strada è dare un contributo alla trasformazione del paradigma educativo che non sia più legato solo all’ascesa sociale, al consolidamento di posizioni sociali ereditate, alla conservazione dello stato di cose esistenti, ma sia legato al senso del vivere assieme, alla possibilità di scambio e legami che si stabiliscono attraverso la conoscenza reciproca e attraverso la solidarietà umana che ci fa riconoscere simili di fronte ai misteri della vita, di fronte all’assurdo ch’è nel mondo.
Per tutto questo i confini e le posizioni di confine sono del massimo interesse per chi fa educazione e lo sconfinare, che non avviene mai in modi ordinati e controllati, rappresenta la speranza che il mondo possa migliorare. La spinta spontanea al cambiamento non basta, troppo spesso nella storia e nella cronaca vediamo che le spinte al cambiamento possono essere distorte, piegate alle logiche dominanti, esaurirsi in logiche collusive, asservite a bisogni consumistici. Per poter coltivare fino in fondo le potenzialità educative proprie di ogni umano è necessaria un’attenzione profonda, accurata e continua ai processi psichici, a ciò che avviene nella coscienza individuale in connessione allo sviluppo delle relazioni e alla partecipazione alle grandi formazioni sociali intese come strutture materiali e come grandi strutture psichiche. Di come all’interno dell’esperienza dei Maestri di Strada si coltiva da vent’anni la conoscenza dei processi psichici connessi alle trasformazioni sociali e alla vita delle periferie dà conto l’intervento di Santa Parrello. Guelfo Margherita, che per una vita intera ha curato la crescita dei gruppi, ci parla invece del “grande gruppo”, di come cioè ogni nostro gruppo non solo presentifica quanto proviene dal lavoro con gli interlocutori (che altri chiamano destinatari o utenti) ma anche quanto proviene dai gruppi sovraordinati. La narrazione del progetto “Sconfini dell’educazione” porta le testimonianze dirette, raccolte in dodici scuole italiane, di quanto sia difficile e faticoso il lavoro educativo e di quanta sofferenza si raccolga oggi nelle classi scolastiche senza che ci siano strutture materiali e dispositivi psichici adatti ad elaborare tutto questo, e come di conseguenza la scuola rischi sempre di più di essere un agente patogeno piuttosto che un agente di sviluppo umano. Clelia Bartoli ci racconta come un gruppo di giovani immigrati che sono fuggiti né all’oppressione sconfini dell’educazione
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politica né all’oppressione della fame ma semplicemente all’oppressione di forme di vita tradizionali che non li rispettavano, scoprono che in Europa manca qualcosa di essenziale, la giocherenda, una speciale forma di solidarietà e fratellanza che li ha protetti nella loro odissea e che stanno provando a ricreare e a diffondere qui da noi. Forse rimanda proprio all’assenza – vera o percepita – di solidarietà un fenomeno sempre più diffuso che è “il ritiro sociale” grave degli adolescenti di cui ci parla Katia Provantini. Carmen Moreno e Cristiano Morsolin ci forniscono dati e testimonianze su quanto sia materialmente diversa la vita nei ghetti urbani e di come l’educazione possa contribuire alla loro trasformazione. Gustavo Carpintero Vega e il gruppo di lavoro Matrioske ci forniscono la narrazione di come il lavoro con le famiglie possa contribuire a restituire a queste un ruolo propulsivo e di cooperazione al lavoro educativo, piuttosto che essere un luogo di implosione delle contraddizioni sociali e di trasmissione di modi di vita che contribuiscono al malessere sociale. Maria D’Ambrosio e Nicola Laieta intervengono sul tema dell’arteducazione e dell’arte formante, ossia sul ruolo che l’arte ha nel lavoro educativo quando fornisce alle giovani persone una visione immediata di un sé diverso che si esprime attraverso l’arte e che può promuovere il desiderio di crescere nelle giovani persone. Anti Rajala affronta il tema, caro agli studenti contestatori degli anni Settanta, del collegamento tra scuola e vita, non più nei termini ideologici ma in termini operativi come difficoltà dei sistemi scolastici a tenere insieme apprendimenti formali ed informali, e quindi dal punto di vista degli sconfinamenti, di come fare in modo che tutto quanto esca fuori dai confini non sia visto come pericolo ma come possibilità di esplorazione e di arricchimento.
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a cura di C. Moreno – S. Parrello – I. Iorio
La società europea che oggi si pone il problema di dove respingere gli sconfinanti, in realtà da quattro secoli respinge tra i banchi di scuola ogni tentativo di sconfinamento. Bisogna ripartire da qui se si vuole una società solidale. Cesare Moreno
“Ciascuno cresce solo se sognato”: presupposti psicologici del lavoro educativo nelle periferie metropolitane di Santa Parrello
Vorrei cominciare con due citazioni che sintetizzano alcuni dei temi che tratterò, in particolare il sogno e il gruppo. C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli, passo per passo: forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato. C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato. C’è pure chi educa senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma
cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato (Danilo Dolci) Il maestro eroico non esiste e se esiste non ci interessa, esiste e può esistere un maestro sufficientemente buono, ma si tratta di un gruppo piuttosto che di un individuo (Cesare Moreno)
Dal 2009 mi occupo di sperimentare progetti educativi per la rimotivazione scolastica, l’inclusione sociale e l’empowerment dei giovani nella periferia est della città di Napoli, all’interno di un accordo formale fra l’Università Federico II e l’associazione no profit Maestri di Strada. Si tratta di una ricerca-azione complessa che ottiene risultati apprezzabili sia per la conoscenza del fenomeno dispersione scolastica che per la riapertura di storie di adolescenti che sembravano ormai chiuse. Il punto di partenza è un paradosso noto: la scuola fallisce soprattutto dove c’è più bisogno di educazione. Nei contesti e nelle situazioni di esclusione sociale e disagio economico ed esistenziale si registrano infatti altissimi tassi di difficoltà e abbandono scolastici. L’Italia ha percentuali di drop out (17%) e NEET (Not in Education, Employment or Training) (31%) molto alte rispetto al resto dell’Europa, ancora più alte nelle regioni del Sud e nelle periferie (in Campania: drop out 30% e NEET 41%). La psicologia accademica ha il dovere di occuparsi di questo paradosso, scandaloso per una società democratica. Preziosa è la collaborazione con il settore educativo no profit, capace di coinvolgere le forze sane del territorio, progettando con maggiore libertà rispetto alle istituzioni. Esporrò qui alcuni punti fondamentali messi a fuoco in questi anni, alcuni dei quali già presentati a Lipsia (CITE, luglio 2016) sui quali è importante il confronto con la comunità scientifica ma anche con le istituzioni. Di recente la Commissione Cultura ed Istruzione del Parlamento sconfini dell’educazione
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Europeo ci ha invitati a parlare a Bruxelles di “Educazione di qualità per tutti”: ci sembra importante che le politiche educative tengano conto delle sperimentazioni locali.
I nostri riferimenti teorici: psicologia culturale e psicoanalisi La psicologia culturale (da Vygotskij a Bruner) e la psicoanalisi (da Freud a Winnicott, Balint e Kaës) ci hanno insegnato che lo sviluppo e l’educazione dell’essere umano sono inseriti in un sistema complesso di relazioni (intersoggettività e interdiscorsività) che risentono in egual misura dei contesti esterni e dei vissuti interni (consci e inconsci). Bruner scriveva che non nasciamo tutti uguali e che è compito della cultura darci pari opportunità di sviluppo. Winnicott e Balint sottolineavano l’importanza di aver cura di chi cura. Non ci si può occupare di educazione senza studiare la specificità del nostro contesto storico: la società ipermoderna, di recente ben descritta da Kaës.
La società ipermoderna Già Freud, come è noto, sosteneva che curare, educare e governare sono mestieri impossibili. Ma oggi il lavoro educativo è sentito dagli adulti come più difficile che in passato. Come mai? L’ipermodernità è caratterizzata da: • sfiducia nell’eredità del passato, gravato dai traumi storici del Novecento; • diffidenza nei confronti dell’autorità e del potere, che hanno prodotto violenza e male estremi (si diffida non solo del potere che subordina ma anche del potere che affranca e autonomizza); 10
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• un nuovo rapporto adulti-giovani, meno edipico e più narcisistico. Il genitore spesso teme di perdere il riconoscimento e l’affetto dei figli e cerca un rapporto orizzontale, negoziando le regole, aggirando il conflitto, alimentando l’aspettativa di successo sociale. I figli sentono le inevitabili frustrazioni del mondo esterno come ferite narcisistiche e possono difendersi con l’evitamento di alcune prove del crescere; • sfiducia nel futuro, visto ormai più come minaccia che come promessa; • veloci e drastici cambiamenti storici (crolli e crisi); • squalificazione delle grandi narrazioni (mitico-religiose, civili, scientifiche, giuridiche), che finora avevano svolto la funzione di garanti metasociali, utili a dare senso alla vita comune. Ne consegue: • un costante senso di insicurezza, di impotenza, di malessere: il mondo esterno è visto, in maniera fobica, come il luogo dei pericoli più che delle opportunità e il mondo interno è vissuto come il luogo delle angosce più che della creatività, da cui è meglio tenersi alla larga; • una tendenza a rinchiudersi in mondi solitari rassicuranti, in cui il massimo dell’aspirazione è comprare, consumare, divertirsi, comunicando tramite protesi tecnologiche.
Nuove difficoltà del lavoro educativo In questo scenario il lavoro educativo appare più difficile. L’istituzione scolastica rappresenta il primo avamposto del mondo esterno e ha perso gran parte del suo potere simbolico: la narrazione collettiva racconta che la scuola non serve ad avere
successo nella vita e non riesce neppure ad essere un luogo di convivenza civile serena e pacifica (si moltiplicano gli studi sul bullismo e sul burnout di docenti e allievi). Gli insegnanti si sentono incerti, senza mandato sociale forte rispetto all’eredità da trasmettere, la loro autorità è debole: bisogna conquistarsi il rispetto sul campo a prescindere dal ruolo. Gli allievi non colgono il senso di un sapere che appare sempre più distante dalla loro vita. Crescono la burocratizzazione e la competitività che sovrastano i veri scopi dell’istituzione, che a tratti mostra la sua “follia”. Eppure non c’è in questo momento un’altra istituzione che si occupi dei giovani e della loro crescita: ha ancora senso cercare di rinnovare la scuola.
Periferie In questo scenario, si moltiplicano le periferie, luoghi in cui viene collocato ciò che la società non vuole vedere, i “resti” dei processi socioeconomici spietati. Povertà, degrado, violenza vengono confinati nelle periferie e se vi rimangono non fanno scandalo. Chi vive in periferia tende a interiorizzare la marginalità, crede spesso di meritarla e che non vi sia rimedio: non aspira ad altro. Anche la periferia di Napoli è tristemente nota per le sue caratteristiche di degrado del territorio, disoccupazione, alte percentuali di disagio e abbandono scolastico, per la presenza di una criminalità organizzata ricca, potente e violenta, che qui ha la sua base e il suo primo bacino di reclutamento (la Gomorra di Saviano è ormai narrazione collettiva conosciuta ovunque). Negli ultimi anni nei quartieri di San Giovanni, Barra e Ponticelli (VI Municipalità), dove realizziamo i nostri progetti, la guerra fra clan ha provocato molti morti fra i giovani.
Nel 2016 abbiamo avviato una collaborazione con l’Università spagnola di Siviglia per confrontare il rapporto con la famiglia e la scuola degli adolescenti (11-18 anni) di due grandi periferie metropolitane, il Poligono SUR di Siviglia e la VI Municipalità di Napoli. I primi risultati hanno mostrato che gli adolescenti delle due periferie vivono condizioni di disagio molto simili, ma nella periferia di Napoli • la soddisfazione scolastica è più bassa; • il rapporto con i professori non è improntato al conflitto aperto (come per gli adolescenti spagnoli), ma è caratterizzato da demotivazione e depressione; • la soddisfazione delle relazioni coi pari è più bassa; • i segni del disagio familiare e scolastico sono maggiori nelle ragazze, che riescono meno dei coetanei maschi a comunicare con i genitori, restano inserite in logiche maschiliste violente e non sentono di poter utilizzare la scuola per emanciparsi. Come organizzare un lavoro educativo efficace in questo contesto?
I progetti educativi di Maestri di Strada Dall’anno scolastico 2009-2010 MdS realizza nella VI Municipalità alcuni progetti educativi, dentro e fuori la scuola, con finanziamenti privati e pubblici, coinvolgendo ogni anno circa 300 adolescenti, 50 genitori, 50 insegnanti: Progetto E-vai (per adolescenti a rischio di terza media e prima superiore), Progetto Arte-Educazione e Teatro-Educazione (per tutti), Progetto Giovani per i giovani (per drop out e NEET), Progetto Matrioske (per genitori).
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Gli operatori sono circa 50, divisi fra: a) educatori e genitori sociali che curano le relazioni dentro e fuori la scuola; b) professionisti esperti delle discipline e delle arti che realizzano i laboratori; c) psicologi che progettano, conducono i gruppi, fanno monitoraggio e ricerca; d) tirocinanti, osservatori silenziosi di alcune attività sul campo e degli incontri di gruppo. La collezione dei resoconti di osservazione, delle note di campo e delle relazioni narrative finali degli operatori costituisce un voluminoso corpus testuale che è prezioso materiale di ricerca. Il monitoraggio e la valutazione degli interventi si basano su indicatori scolastici e non. L’ipotesi di partenza della ricerca-azione dei MdS è che per riattivare il desiderio di apprendere e di scegliere in adolescenti che hanno disinvestito dalla scuola, occorre: a) aver cura delle relazioni dentro e fuori la scuola, quindi aver cura di chi cura (genitori, insegnanti, maestri di strada) oltre che degli stessi adolescenti; b) scovare e costruire la bellezza in ogni contesto, anche il più degradato (ad esempio utilizzando laboratori artistici: fotografia, pittura, musica, teatro); c) sognare gli adolescenti e il mondo “come ora non sono”: non fornendo sogni preconfezionati ma alimentando il sogno di ogni adolescente, facendo attenzione alla sua “sostenibilità”. Fulcro della metodologia è l’utilizzo del gruppo, dispositivo per aver cura dell’intersoggettività, dell’interdiscorsività, del pensiero. Il gruppo viene usato con • gli adolescenti: dentro e fuori dalla scuola (circle time, focus group, cura del gruppo classe e del gruppo laboratoriale); 12
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• i genitori: il Progetto Matrioske offre gruppi di sollievo e di supporto alla comunicazione fra le generazioni; • gli operatori: gruppo multivisione (GM) settimanale.
Il Gruppo Multivisione Ogni settimana gli operatori di MdS si incontrano all’interno del gruppo multivisione (GM), ispirato al tipo di gruppo che Balint mise a punto per sostenere il lavoro usurante dei medici. Secondo Balint nella relazione di cura il medico è il farmaco più potente ma l’esperienza, il buon senso e la buona volontà non bastano ad evitare che il suo lavoro diventi inefficace, rischioso e logorante; egli ha bisogno di osservare se stesso, il paziente e la relazione sospendendo la pratica clinica all’interno di uno spazio gruppale che lo aiuti nella comprensione dell’altro, nella consapevolezza delle proprie reazioni emotive, nella capacità di comunicare e lavorare in gruppo. Anche nella relazione educativa può accadere all’educatore quanto Balint aveva descritto per il medico, cioè che si può trasformare da rimedio in veleno, diventando dannoso per sé e per i suoi allievi. Se poi la relazione educativa si svolge in contesti e situazioni intrisi di ingiustizia, sofferenza, violenza, il carico delle emozioni è davvero eccessivo per il singolo educatore. Il conduttore del Gruppo Multivisione è garante della libertà di parola e di critica e promotore del pensiero collettivo. Il gruppo impara a tollerare il dispiacere di non riuscire a capire e di non sapere che cosa fare, almeno fino al momento in cui è possibile avere una più chiara comprensione della situazione. Ciascun membro del gruppo saprebbe infatti come risolvere “teoricamente” il problema che ha con quell’allievo, genitore o collega, ma la relazione evidentemente tocca
parti di sé – solitamente non consapevoli – che ostacolano la comprensione. Col passare del tempo, il gruppo diventa un luogo per passare dalle emozioni al pensiero, un “microgarante” sociale e psichico che fa sentire gli educatori meno soli e li rassicura nel loro difficile lavoro, sostenendo la loro capacità di sognare.
Il gruppo sogna gli adolescenti come ora non sono Nel gruppo si raccontano a volte sogni notturni che testimoniano il forte coinvolgimento affettivo degli educatori alle prese con gli adolescenti e si costruiscono sogni collettivi ad occhi aperti. Paura, rabbia, tristezza, sensi di colpa, gioia, speranza hanno bisogno di essere riconosciuti e condivisi per non ostacolare il lavoro educativo e trasformarsi in energia positiva. Solo così la piccola comunità dei maestri di strada può “resistere”, fra senso del limite e speranza. Ecco alcuni significativi stralci dei resoconti di osservazione del gruppo multivisione e delle relazioni degli ultimi due anni scolastici (i nomi dei maestri di strada sono autentici, i nomi degli adolescenti sono stati sostituiti con nomi di fantasia): • Francesca (educatrice) racconta di aver sognato Miriam (allieva) guarita dalla sua malattia e Lorena (educatrice) di aver sognato i fratelli Esposito (allievi) che andavano a rubare nel negozio del marito. • Patrizia (genitore sociale), dopo una sua assenza dal laboratorio, ha sognato che doveva cucinare per i ragazzi ma non riusciva a posizionare le pentole sui fornelli; un altro giorno racconta di aver sognato Marco (allievo) che si allontanava in un giubbino di pelle malandato e troppo grande per lui e
poi veniva a sapere che era morto. Patrizia dice commossa: “Ho paura che non diventi grande”. • Marica (educatrice) racconta di Anna (allieva), 14 anni, che sembra destinata al ruolo di “ritardata”. Anna ha un corpo grande, è goffa nei movimenti, iperattiva ma lenta col pensiero, alterna momenti di aggressività a momenti di franca depressione. A scuola appare totalmente demotivata e ingestibile. Non ha cura di sé, si lava poco, è spettinata, si veste male e si guadagna l’allontanamento da parte dei pari. La madre la considera un caso perso ed anche gli insegnanti non sanno più come aiutarla. Ma Marica sogna una Anna diversa, intravedendo in lei delle potenzialità: così la introduce nel laboratorio di teatro dove la ragazza crea dei legami. Tutto il gruppo ora condivide il sogno di una Anna diversa e si impegna con pazienza. Il cammino che Anna compie durante il secondo anno è straordinario: si lava e si trucca, prende da sola i mezzi pubblici per raggiungere il teatro, sfidando le ansie materne, partecipa con impegno al laboratorio e alle trasferte fuori città, per sostenere le sue posizioni discute anziché picchiare e dire parolacce. Tuttavia le resistenze dell’ambiente familiare ai suoi cambiamenti sono ancora tante, nonostante i tentativi di alleanza educativa messi in atto dagli educatori. Il suo contesto di origine le propone una fuga in avanti, verso una pseudo-adultità, come accade frequentemente nelle nostre periferie: fidanzamento “in casa”, matrimonio, maternità. Ma, a differenza di altre sue coetanee di queste latitudini, Anna resiste, non vuole rinunciare al legame con i suoi educatori, col teatro e persino con la scuola. Finché osa dire no al copione familiare, lascia il fidanzato, sentendosi appoggiata da adulti che continuano a sognarla libera da destini preconfezionati. sconfini dell’educazione
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Sul palcoscenico di importanti teatri cittadini e nazionali, Anna commuove tutti. Il suo desiderio di crescere, imparare, sognare si è riacceso. • Il gruppo racconta spesso di Nino (allievo), 15 anni, “terrore” della scuola. Gli insegnanti non sopportano più i suoi comportamenti di disturbo e provocazione, il suo assoluto rifiuto delle regole, il suo disinteresse per l’apprendimento e comunicano già all’inizio dell’anno che sarà bocciato. Ma Nino continua a frequentare la scuola. È di aspetto minuto, sguardo sveglio, intelligentissimo. Figlio unico, ha vissuto una drammatica esperienza di malattia e morte del padre; vive ora con la madre molto sofferente e con una foto del padre giovanissimo. Oscilla fra tristezza e rabbia. Durante un laboratorio di arte visiva, chiamato a realizzare un tableaux vivant sceglie l’Urlo di Munch, lo rappresenta in modo straordinario durante le prove, ma alla fine non regge a tanta angoscia e scappa. Coinvolto nel laboratorio teatrale, riesce a legarsi, impegnarsi.
Il gruppo sogna una scuola nuova Durante un incontro di GM tenutosi nel luglio 2017, i Maestri di Strada hanno sognato insieme una scuola nuova: una scuola lenta, che punti più alla qualità che alla quantità; una scuola comunitaria, fondata sulla solidarietà e non sulla competizione, capace di utilizzare e valorizzare il gruppo; una scuola aperta al territorio, ai saperi informali, ad ogni forma di diversità; una scuola bella, dove si possa vivere insieme con serenità e piacere e ci sia spazio per arte e creatività; una scuola pensante, che consenta a tutti, docenti ed allievi, di usare il pensiero criticamente; una scuola che sia considerata dalla società davvero importante, perché
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contribuisce a formare esseri umani e non solo futuri lavoratori. È un sogno realizzabile, se molti decideranno di collaborare.
Bibliografia Balint M., Medico, paziente, malattia, Feltrinelli, Milano 1961 Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997 Dolci D., Poema umano, Einaudi, Torino 1974 Kaës R., Il Malessere, Borla, Roma 2013 Moreno, C. “Pedagogie erranti” in Moreno C., Parrello S., Iorio I. (a cura di), La mappa e il territorio. Ripensare l’educazione tra strada e scuola, Sellerio, Palermo 2014, pp. 15-25 Vygotskij L., Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, in Mecacci L. (a cura di), Laterza, Roma-Bari, 1990, 2008 Winnicott D.W., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma 1970
Sconfini dell’educazione: testimonianze della vita di classe in dodici scuole di Cesare Moreno
Nota metodologica: Come abbiamo deciso di sconfinare e come abbiamo trovato tutt’altro rispetto a quello che cercavamo I Maestri di Strada sono istallati da vent’anni su una terra in cui confluiscono molti confini che riguardano la geografia del mondo così come la geografia dell’animo umano. Da questa posizione di confine è stato possibile osservare le sorti del mondo da un angolo visuale speciale e vedere cose che riesce difficile osservare quando non si è sui confini. La missione che si sono dati i Maestri di Strada non è tanto svolgere un eroico servizio sui confini – parliamo di confini e non di frontiera per evitare una connotazione romantica ed eroica al nostro lavoro – quanto svolgere una esplorazione che renda disponibili per tutti conoscenze importanti per lo sviluppo della nostra convivenza civile. Così ritorniamo periodicamente sui temi dell’educazione tra strada e scuola con lavori di ricerca e confronti scientifici nei quali la dimensione internazionale è necessaria per
dare l’immagine immediata di una problematica che non riguarda disfunzioni locali di un sistema ma l’architettura dell’intero sistema dei rapporti tra le generazioni. Nella metodologia dei Maestri di Strada il contesto è decisivo. Noi abbiamo l’ambizione di aver considerato il contesto in cui avviene il processo educativo in una misura che non ha precedenti in altre esperienze e proposte pedagogiche. Di certo non mancano le esperienze pedagogiche che hanno considerato l’importanza del contesto sociale e politico per sostenere o meno il processo educativo. Addirittura abbiamo esperienze pedagogiche che legano strettamente il lavoro didattico con prospettive rivoluzionarie o con il consolidamento di regimi affermatisi con l’uso della violenza. Non di questo si stratta ma di considerare il contesto come un campo di forze complesso in cui la giovane persona si trova immersa insieme alle persone che vorrebbero accompagnarne la crescita. Le condizioni sociali e politiche di un Paese o di un suo territorio grande o piccolo che sia, centrale o periferico, hanno grande importanza, ma dal punto di vista dell’educazione ciò che importa è attraverso quale mediazione questo contesto giunge nel campo percettivo della giovane persona e dei suoi educatori, quale narrazione di sé viene offerta alla persona perché possa desiderare di crescere in quel contesto dato. Avevamo constatato in alcuni lustri di attività che le piccole significative innovazioni da noi introdotte a fatica nei contesti delle nostre scuole di periferia restavano sterili come quelle piante di serra che non riescono ad attecchire in piena terra. Avevamo idea che le esperienze innovative – da sottolineare che non abbiamo mai preteso di fare grandi innovazioni, ma semplicemente una didattica un po’ più attenta
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appunto al contesto – non si diffondevano perché mancava la possibilità ordinaria di riflettere sulle pratiche didattiche. Che tutto il gran parlare sulle buone pratiche e sulla diffusione di esse lasciasse in ombra il fatto che l’educazione nel sentire comune non è una pratica che si valuta e diffonde come si diffondono le pratiche quanto piuttosto una collezione di opzioni filosofico-ideologiche e che la stessa esperienza pratica dei docenti fosse inaccessibile alla riflessione e alla diffusione. Avevamo al tempo stesso molte esperienze di lavoro formativo con le scuole di tutta Italia. Abbiamo sempre fatto una gran fatica a tenere dei corsi che non si presentassero come “illuminazione” dell’esperto a quelli che tirano la carretta senza sapere perché: volevamo piuttosto fornire la nostra esperienza e la nostra competenza per tirare fuori dall’esperienza dei docenti, di qualsiasi docente, gli elementi per definire ciò che era utile riproporre a se stessi e agli altri e ciò che andava accantonato. Proponevamo semplicemente di “apprendere dall’esperienza” seguendo il metodo galileiano delle “sensate esperienze” e “necessarie proposizioni”: esperienze dei sensi, evidenze sperimentali e riflessioni su di esse. Sapevamo anche che questo genere di ricerche in realtà è meno semplice di quello che sembra: il soggetto della ricerca è anche oggetto della ricerca cosicché è impossibile tenere una distanza oggettiva dal campo. La ricerca-azione di Lewin ci forniva un modello di lavoro in cui la presenza dello sperimentatore invece di essere trattata come disturbo potesse essere trattata come centro di una serie di interazioni complesse tra campo d’azione, soggetti presenti in esso, osservatori e ricercatori che studiavano i processi educativi. Sapevamo, da ultimo, che qualsiasi fosse l’idea di sé che avevano i protagonisti del processo educativo erano tutti parte di una realtà
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gruppale stratificata. Questo comportava che il ricercatore venisse immediatamente inglobato in questa realtà subendo le forze del campo esattamente come gli altri partecipanti, e che la sua presenza venisse percepita di volta in volta come persecutoria, come salvifica, come possibilità di divenire suoi seguaci, ma difficilmente come risorsa umana con la quale era importante cooperare per un reciproco vantaggio. Per risolvere questa circolarità potenzialmente regressiva la risposta che ci suggeriscono le nostre teorie di riferimento è banale: bisogna sempre ancorarsi alle osservazioni, è necessario che ogni volta il gruppo si confronti con le evidenze del campo, che impari a guardare la successione di azioni non pensate – che appaiono spesso slegate e senza senso – come i punti di appoggio per una possibile narrazione. Più spesso noi diciamo che collochiamo i dati di esperienza in un sogno collettivo in cui ciascuno viene visto come oggi non è. Con questo sottolineiamo che il lavoro di discussione non punta a nessuna sintesi e neppure a una spiegazione coerente, ma punta semplicemente a rendere dicibili esperienze difficili da comunicare e da spiegare, e partendo da ciò che abbiamo portato alla coscienza rendere possibile un movimento del pensiero verso mete che ci attraggono, come fanno i sogni, soprattutto quelli “impossibili”. Si trattava quindi di partire da osservazioni compiute nelle classi in cui attiviamo da anni interventi socio-educativi e di didattica attiva per capire quale attività di riflessione fosse possibile per apprendere dall’esperienza. Oppure si trattava di raccogliere le riflessioni di docenti coinvolti in vari corsi di formazione a proposito di esperienze condotte nelle loro classi dal gruppo di sperimentazione stesso. È nato, in riferimento a questo secondo gruppo, un metodo abbastanza efficace ed economico
per raccogliere osservazioni sul gruppo classe e coinvolgere i docenti in una riflessione sulle esperienze: venivano proposti a gruppi classe, indicati dai docenti stessi, incontri di gruppo in cui, sulla base di uno stimolo narrativo, gli allievi potessero esprimersi liberamente e confrontarsi a proposito dei temi proposti. Lo stimolo narrativo, sulla base dell’esperienza e di una precisa ipotesi di lavoro, era costituito da opportune favole o fiabe che potessero, in forma metaforica, toccare argomenti di grande interesse sia per gli allievi sia per i docenti. La storia più efficace è stata la fiaba “I tre linguaggi” dei fratelli Grimm, occasionalmente è stata proposta anche una favola di ignota provenienza intitolata “Alì e il sultano”, e ancora la favola di Karen Blixen “Figli di re”, “Mastro Acconcia e guasta” di Luigi Capuana e “La prima spada e l’ultima scopa” di Basile. Nella realtà tutte le nostre ordinate ipotesi sono state sconvolte. Mentre noi immaginavamo di osservare come le pratiche potessero diffondersi o meno, abbiamo constatato che in molte delle situazioni osservate era difficile o impossibile già il primo passo: condurre un lavoro riflessivo su esperienze concrete. Questa impossibilità derivava dall’azione congiunta di due fattori: l’esperienza in classe era troppo caotica e dolorosa per i docenti perché essi desiderassero parlarne; l’organizzazione scolastica seppure coinvolta, seppure partecipe di un processo di co-progettazione, in realtà rigettava – così come il corpo rigetta l’impianto di un organo non proprio – l’esperimento e la riflessione frapponendo continui ostacoli e disconferme. Di fatto i due fattori citati sono strettamente correlati: un’organizzazione scolastica sciatta e poco attenta alle dinamiche di classe alimenta il disagio e la sofferenza dei docenti in classe, e la sofferenza subita rende difficile ripensare
l’organizzazione e il senso dell’esperienza didattica. Il risultato della ricerca quindi non è stato quello atteso, l’oggetto stesso della ricerca – a questo punto si tratta di una semplice raccolta di osservazioni – è cambiato. Ci siamo occupati principalmente di: • burnout dei docenti, condizioni che ne favoriscono l’insorgere; • campo emozionale delle classi, modalità di sua rilevazione, effetti sull’agibilità educativa della classe; • incuria organizzativa come fattore di destabilizzazione dei docenti e degli allievi. Dalla raccolta dei dati e dalle riflessioni, che a questo punto ha svolto soprattutto il gruppo di ricerca e pochi docenti coinvolti, sono nate pratiche utili: il metodo narrativo è stato adottato per una conoscenza immediata di trenta classi coinvolte nei progetti dei Maestri di Strada a Napoli. Sono stati istituiti in 14 scuole i “Gruppi SAPERE” che, con l’aiuto di uno psicologo di comunità e scolastico, promuovono l’attività riflessiva con i docenti partendo da tre assunti: a) occorre curare chi cura, aiutare i docenti a conservare la propria integrità quando le condizioni sono molto difficili; b) la co-progettazione deve essere basata sulla condivisione di una visione della classe e del singolo allievo e quindi sulle osservazioni condotte da persone qualificate a farlo; c) il campo emozionale della classe è spesso troppo angusto per i problemi che si pongono, è necessario allargare il campo d’azione dei progetti educativi pensando ad interventi integrati tra scuola e territorio, tra formale ed informale anche solo per consentire ai docenti
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di avere degli spazi di sollievo da situazioni troppo caotiche, premessa necessaria allo sviluppo di vere e proprie attività riflessive. Il convegno internazionale previsto nel progetto iniziale ha inteso fornire un supporto alle ipotesi di lavoro scaturite dal citato processo di osservazione-riflessione, proponendo esperienze condotte in realtà difficili in cui si sono sperimentate nuove alleanze educative. Tra queste, di particolare interesse, le esperienze che coinvolgono le famiglie in attività di riflessioni educative. Così come va segnalato il contributo sui grandi gruppi che aiuta la nostra comprensione sulla complessità del campo emozionale coinvolto nei processi educativi.
Vita quotidiana ed emozionale in una classe di scuola media Qui di seguito forniamo la descrizione di quanto accade in una classe di scuola media per la quale disponiamo di una buona massa di osservazioni: 9 osservazioni per un totale di 18 ore nell’arco di sei mesi. In questa classe si svolge uno dei progetti dei Maestri di Strada: supporto alla tenuta della classe e realizzazione di un laboratorio di arteducazione. Sono presenti in classe: un’esperta d’arte, un’educatrice, un docente di classe, un’osservatrice. Il quadro sintetico ci dice che in questa classe il 50% delle attività dei ragazzi consiste in attacchi alle condizioni per l’apprendimento. Dal lato della responsabilità adulta: il 24% del tempo è dedicato ad attività di supporto emozionale, solo il 15% riguarda le attività di insegnamento/apprendimento; infine solo nel 2% dei casi abbiamo delle domande esplicite degli allievi. 18
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Frasi analizzate
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Attacchi all’apprendimento Agiti rabbiosi, aggressivi, provocatori Agitazione, rissa, crisi nervosa Agiti ed Agitazione Agiti provocazioni, rissosità Agiti Provocazioni Attività di disturbo Attività di disturbo Attività di disturbo – Interferenze Attività di disturbo: teatro molto vario Attività di disturbo: teatro nero, interferenze Autoemarginazione, autosvalutazione
50,00% 28 12 3 4 31
18,24%
9 4 13 5 26 6
Autosvalutazione, rinuncia, abbandono del compito
6
Autoemarginazione
8
Autoemarginazione, abbandono del compito
6
Insegnamento/apprendimento
15,29%
14,71%
Interventi didattici
5
Interventi didattici – Consegne
5
Attività di apprendimento
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Attivi anche nel chiedere aiuto, riflessività
16
Interventi supporto emozionale
16,47%
9
Autosvalutazione del proprio lavoro
Attivi, gratitudine
%
2,94% 11,76%
4 41
Interventi di accoglienza
3
Interventi per gratificazioni – Restituzioni
5
Interventi di incoraggiamento personale
15
Interventi di incoraggiamento: traino
6
Interventi di sollievo
6
Interventi di contenimento
6
Restituzioni/richieste degli allievi
4
Saluti
2
Domande d’ordine
2
24,12%
2,35%
Repertorio dei comportamenti in una seconda media Qui di seguito si forniscono alcuni esempi descrittivi dei comportamenti conteggiati in tabella. Distinguendo tra una metà circa che riguarda-
no i comportamenti più o meno gruppali e l’altra metà che riguarda due allieve particolarmente “attive”. Il numero riportato riguarda quante frasi di quel tipo sono state categorizzate.
Agiti rabbiosi, aggressivi, provocatori Agitazione ed agiti – Lo stato di agitazione si manifesta il più delle volte con agiti incontrollabili: rabbia, aggressività gratuita, provocazioni, urla (N. 12) Prima e dopo lo scotch è stata la volta delle matite e dei pennarelli che volavano in aria. Anche oggi c’è stato il serio pericolo che qualcuno si facesse davvero male, anche oggi mi sono ritrovata a trattenere Anna con la forza e mi sono sentita malissimo quando lei gridava che le facevo male a stringerla così. Poi Marta mi ha detto di lasciarla andare e ha proposto di difendere Arturo, piuttosto. Provocazioni – Le provocazioni in realtà sono una manifestazione di interesse verso il docente: la provocazione tende a “conoscere” il docente saggiandone la reazione su quanto l’allievo stesso ritiene far parte delle cose a cui il docente tiene di più. Nel caso riportato la provocazione riguarda l’osservatore. Il dialogo significa: “Tu dici che non sei una spia, ma poi invece farai la spia” (N. 4) Poi mi chiede: “Ma poi scrivi?”. Chissà cosa le hanno raccontato i compagni, penso tra me e me e per render la cosa credibile non nego il fatto che scrivo, ma le spiego che in verità faccio dei riassunti dei lavori che Marta fa fare loro. Allora lei mi chiede come se non le avessi risposto, ma già conoscesse la verità: “Quindi oggi scriverai che Giuseppe ha abbuscato – le ha prese – almeno cinque volte?”. È divertita e ride insieme a Maria, ma io ripeto la versione dei riassunti.
Attività di disturbo Attività di disturbo – Le attività di disturbo sono manifestazioni di disagio non intenzionale che tuttavia colpiscono l’agibilità della classe perché finiscono per impedire una interlocuzione tra il docente e gli allievi e la possibile collaborazione tra gli allievi stessi (N. 9) Marta e Marica cercano di quietare gli animi, ma proprio ora suona la campanella. Cercano di preparare i ragazzi, per quanto sia possibile, ad affrontare le due ore successive con calma, a non fare nulla che possa fare imbestialire ancor di più la professoressa, a non dire niente, ma ecco che la porta si apre: la professoressa C., con aria bellicosa, dice che sono ormai passati dieci minuti, che non è educato da parte nostra trattenere i ragazzi soprattutto dal momento che sapevamo già in anticipo che sarebbero dovuti scendere al suono della campanella. Marica cerca di scusarsi gentilmente dicendo che i ragazzi sarebbero arrivati subito, che ci servono solo altri cinque minuti per calmarli perché sono un po’ agitati. “UN PO’ AGITATI!!!!” ripete urlando la professoressa più e più volte ed avviandosi come un cane arrabbiato all’interno della classe, ma solo di qualche passo, con il suo sguardo affilato immobilizza e rende muti tutti. Se ne va ripetendo che non è educato, è una mancanza di rispetto. Interferenze – Molte interferenze sono involontarie, ma molte altre sono programmate. Gli allievi meno motivati e partecipi ricevono ed effettuano continue “visite” ad altri allievi organizzando di fatto una modalità di fuga dal compito di grande efficacia (N. 4) Non vedo Anna da tanto (al ritorno Marica mi spiegherà che è perché il laboratorio d’arte è stato spostato per due, tre settimane al venerdì e lei il venerdì non viene a scuola perché ha l’incontro al carcere con la madre). Com’è diversa questa scena da quelle in cui Anna correva incontro a Marta contenta e curiosa. Ora Anna non ci vuole, non vuole persino Marta, risponde male. sconfini dell’educazione
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Autoemarginazione e autosvalutazione Rinuncia, abbandono – Gli atteggiamenti rinunciatari, l’abbandono fisico del posto o dell’aula sono una componente importante della vita di classe (N. 6) Max è stato il primo ad alzarsi definitivamente dal banco per annunciare che non avrebbe più continuato. All’inizio, quando Marta ha distribuito i fogli, ha precisato che si sarebbe trattato di un lavoro che avrebbe richiesto molta pazienza. Ho subito pensato che Max sarebbe stato uno dei più tenaci, mentre lui ha coperto il mio pensiero con le sue parole: “Eh proprio chell’ ca nun teng je”1.
Insegnamento-apprendimento Interventi didattici, consegne – Momenti in cui il docente propone il suo argomento o la sua tecnica (N. 5) Marta spiega i passaggi e i ragazzi sono così catturati dalla magia della nascita di un terzo colore dall’incontro di altri due che si viene a creare un silenzio di curiosità e meraviglia anche tra i maschietti più turbolenti.
Interventi di supporto emozionale Accoglienza – Momenti in cui il docente cerca di comunicare agli allievi la propria disponibilità (N. 3) Si interessa, si preoccupa per loro, tanto che mentre sono tutti ritornati al lavoro sugli acchiappasogni, chiede se i compiti di matematica li hanno fatti. E quelli di francese? Quelli di francese solo Arturo li ha fatti. Marica decide che è possibile concedere ai ragazzi dieci minuti per fare i compiti di francese, perché la prof si è tanto impegnata per loro e non vuole che si crei l’idea che i ragazzi lavorino solo durante i laboratori. È la prima e l’ultima volta che succede questo, specificano continuamente 1. “Eh proprio quella che non ho io.”
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Marta e Marica, i compiti si fanno a casa e questa è solo un’eccezione, un’eccezione giustificata e che non si ripeterà più. Gratificazioni, restituzioni – Momenti in cui il docente restituisce all’allievo il senso del lavoro compiuto e lo gratifica per le cose fatte bene e/o con impegno (N. 5) Faccio un passo indietro: Federica è stata l’unica a completare il lavoro dei numerini. Tutti ci complimentiamo con lei e Marta le mostra la vera opera del suo disegno: il vaso di girasoli di Van Gogh dicendole “Hai fatto un’opera d’arte”. Federica si svaluta un pochino ma è contenta ed i compagni a tratti lodano, a tratti disprezzano il suo lavoro. Incoraggiamento personale – Momenti in cui il docente cerca di incoraggiare l’allievo stanco, sfiduciato, scoraggiato (N. 15) Arturo cerca sempre di più il mio sguardo, mentre Anna lo rifugge soprattutto quando è in difficoltà. Non le piace il modo in cui ha scritto il suo nome, le sembra brutto, sgraziato e dice di non volerlo fare perché non ne è in grado, ma Marta segmento per segmento, guida Anna nella scrittura: persino disegnare il proprio nome può diventare un’impresa difficile forse perché porta alla mente un passato di umiliazioni. Sollievo – Momenti in cui il docente offre a tutto il gruppo classe la possibilità di rilassarsi e riposarsi (N. 6) Dopo l’uscita di Anna la professoressa spiega a Marta, mentre sono ormai tutti calmi intorno all’isola di banchi, che il lunedì alla quarta ora è sempre così, perché prima i ragazzi fanno due ore di matematica e scienze che per loro sono molto pesanti. Marta ha ormai capito tutto, la sua espressione è cambiata, basta sentire “due ore di matematica e scienze” affinché il nostro bisogno di dare un senso a quello che stava succedendo sia in certa misura soddisfatto. La prof continua dicendo che tutti i lunedì lei trascorre la prima mezz’ora delle sue due ore di lezione portando i ragazzi in una ca-
mera di “decompressione”, l’aula della tv, in cui fa vedere video e filmati per far smaltire loro tutta la frustrazione accumulata durante le ore di matematica. “Perché loro non sono bravi in matematica”, aggiunge, “e quindi si mortificano, trattengono, trattengono durante le ore di matematica e poi dopo scoppiano”. Contenimento – Momenti in cui è necessario contenere le manifestazioni di un allievo particolare o di tutto il gruppo. Difficilmente si tratta di una vera attività di contenimento in senso psicologico, più spesso si tratta di un tentativo di contenzione fatto di voce alta, minacce e un repertorio di reciproca aggressività (N. 6) Intanto Marica cerca di mettere fine alla baraonda, prima con le buone, poi passando alle minacce, iniziando a dire che non si può lavorare così e che se i ragazzi non si calmano noi ce ne andiamo perché non è possibile. Alla fine Marica e Marta optano per un focus: “Bisogna parlare per capire cosa sta succedendo” dice Marta e ripete più e più volte ai ragazzi la domanda: “Cosa sta succedendo?”.
Restituzioni e richieste degli allievi Saluti – Momenti in cui ci si congeda (N. 2) Stamattina c’è stato l’ultimo incontro di laboratorio d’arte in II E. L’incontro per salutarci. I ragazzi ci hanno chiesto spesso se saremmo tornati anche l’anno prossimo, Marta e Marica hanno cercato di spiegare che non dipende da noi, ma le reazioni di Titti e soprattutto di Anna sono state quelle di un iniziale rifiuto. Domande d’ordine – Gli allievi meno contenuti e meno contenibili nei rari momenti in cui sono presenti a se stessi fanno imperiose richieste d’ordine, cercano di individuare le gerarchie, vorrebbero qualcuno che tenga un ordine ferreo (N. 2) Giuseppe mi chiede se può andare in bagno. Gli rispondo che deve chiederlo a Marica o a Marta e
lui mi chiede: “Ma perché? Tu n’accumann?”2. Mi fa talmente ridere che lo ripeto a Marica e così Federica mi chiede come mi chiamo e se sono più piccola di Marica e Marta chiedendomi quanti anni ho e dicendomi che sembro più piccola. Le fa eco Titti. Poi Federica mi chiede: “Ma tu sei quella che guarda?”.
Due presenze particolari Nella classe in questione sono state effettuate 9 osservazioni da dicembre a fine maggio per un totale di 18 ore. Le osservazioni sono state divise in 180 sequenze sintattiche di cui 155 particolarmente significative. Le 79 sequenze che precedono riguardano in qualche modo l’intero gruppo classe, le 76 sequenze che analizziamo di seguito riguardano invece due presenze particolari, Anna e Titti che da sole monopolizzano la metà delle osservazioni. Vediamo in quale modo.
Angela (N. 38) Stati di agitazione, rissosa, crisi nervose – Anna attraversa stati di particolare agitazione e tensione che agisce senza mediazioni nella classe aggredendo verbalmente e talora fisicamente (N. 9) Il nervosismo in Anna è esploso anche oggi con attacchi verbali e fisici ad Arturo, verbali a Marica, che però per difendere Arturo, quando Anna gli ha lanciato un rotolo di scotch pesantissimo, ha preso un brutto colpo al polso. Ne ho prese di mazzate tra ieri ed oggi per fermarla, per staccarla da Titti mentre si picchiavano, ne abbiamo prese di mazzate tutti tra ieri e oggi per difendere qualcuno da Anna o per fermarla. Autosvalutazione del proprio lavoro Quando non sono in atto le esplosioni di collera, Anna è molto depressa, si attiva ad escludersi, a svalutarsi (N. 6) 2. “Ma perché? Tu non comandi?”
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Cesare Moreno, maestro di strada e presidente dell’omonima associazione Onlus è stato tra i fondatori del progetto Chance per il recupero dei dispersi della scuola media e suo coordinatore (1998- 2009). Con l’Associazione promuove e realizza progetti educativi sperimentali nella periferia orientale di Napoli. Santa Parrello, ricercatrice e docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. I suoi lavori sulla relazione educativa adulti-giovani coniugano psicologia culturale e psicoanalisi. Dal 2009 collabora stabilmente con l’Associazione Maestri di Strada.
a cura di Cesare Moreno – Santa Parrello Ilaria Iorio
SCONFINI DELL’EDUCAZIONE
Quando irrompono emozioni violente nel lavoro educativo
SCONFINI DELL'EDUCAZIONE
Ai margini della mente vigile, ai margini della città ben organizzata, ai margini del mondo agiato esistono dolorose realtà: quella dei giovani disorientati che non sanno o non possono progettare il proprio futuro, quella degli emarginati che vivono cronicamente nei ghetti e nell’illegalità, quella dei poveri del mondo che sono esclusi o sfruttati dall’economia globale. In questi territori, percorsi da violente emozioni, dove la ragione e la parola sono precarie e il vivere civile incerto e difficile, l’educazione è luogo di possibile speranza. Il paradigma pedagogico ereditato dalla scuola di Comenio sembra funzionare solo per coloro che vivono già una vita civile, che hanno accesso alla parola e dimestichezza con la cultura razionale. Occorre allora un paradigma pedagogico nuovo, che dia voce a chi non ce l’ha, che allenti le maglie della paura e dell’odio, riaprendo la fiducia nel futuro: un paradigma che utilizzi pratiche che sconfinano dal consueto, avvalendosi dei dispositivi psicologici volti a sostenere la riflessività e la cura di sé, dell’altro e delle relazioni. La scuola comunitaria va oltre il concetto di riproduzione della società per perseguire la sua rifondazione: in quest’ottica essa diventa luogo di frontiera per eccellenza e quindi realtà che attiva cittadinanza per le nuove generazioni e non solo per i giovani a rischio di emarginazione.
a cura di C. Moreno, S. Parrello, I. Iorio
dorsetto 8 mm
Ilaria Iorio, psicologa, PhD in Mind, Gender and Languages presso l’Università di Napoli Federico II, Dipartimento di Studi Umanistici, si occupa di ricerche sulle dispersioni scolastiche, l’inclusione sociale, il burnout dei docenti, la promozione della riflessività all’interno delle istituzioni. Dal 2009 collabora con l’Associazione Maestri di Strada.
In copertina disegno di Riccardo Dalisi
Euro 14,50 (Li)
ISBN 978-88-6153-681-4
9
788861 536814
edizioni la meridiana p a r t e n z e