Nicola Rabbi
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Scrivere “semplicemente” non significa banalizzare o abbassare il livello culturale, ma porsi la domanda di chi sia il nostro lettore. Non è facile però farlo in maniera comprensibile a tutti. La “scrittura controllata” è uno strumento per consentire a ognuno l’accessibilità alla lettura.
Nicola Rabbi Scrivere facile non è difficile
Nicola Rabbi giornalista specializzato e formatore sui temi della disabilità, della salute mentale e del carcere, lavora per il Centro Documentazione Handicap di Bologna occupandosi di progetti riguardanti la cultura inclusiva. È direttore di BandieraGialla, un’associazione costituita da un gruppo di giornalisti che forniscono servizi di comunicazione per i soggetti del Terzo Settore. Collabora infine con l’Ong Aifo dove scrive di comunicazione allo sviluppo e di sviluppo inclusivo su base comunitaria.
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Scrivere facile non è difficile L’EFFICACIA DELLA SCRITTURA EASY TO READ
ISBN 978-88-6153-753-8
P
i libri di acca arlante Scopri i contenuti multimediali
Euro 14,50 (I.i.)
9 788861 537538
I libri di accaParlante si occupano di accessibilità non solo fisica, ma anche alla comunicazione, alla conoscenza, alla cultura, al fare e saper fare, alla relazione con la diversità. La collana, naturale evoluzione della rivista “HP-Accaparlante” del Centro Documentazione Handicap di Bologna, propone approfondimenti di taglio divulgativo ed esperienziale ed è uno strumento necessario per educatori, operatori sociali e insegnanti. Per chi ha che fare direttamente o indirettamente con la disabilità, ma anche per chi pensa di non averne bisogno. Perché il lavoro culturale da fare è convincerci insieme che la disabilità non riguarda solo una categoria di cittadini ma è questione che riguarda la comunità tutta.
Nicola Rabbi
Scrivere facile non è difficile L’efficacia della scrittura Easy To Read
Prefazione di Dimitris Argiropoulos
INDICE
Prefazione di Dimitris Argiropoulos
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Introduzione 11 La scrittura Easy To Read (Etr) 15 A chi serve la scrittura controllata 18 Le due forme di analfabetismo 20 Quanto leggono gli italiani 22 Il diritto a partecipare 23 Le belle lettere 25 Come si scrive in modo controllato 27 La struttura del testo: mettere ordine 28 Il lessico: la scelta della parola 33 La sintassi: giocare con le frasi 37 La grafica: facilitare con gli spazi e con i font 42 Sottotitolare un video 44 Il grande assente: l’informazione giornalistica Easy To Read 47 La tradizione giornalistica italiana è letteraria 47 due parole e Informazione facile 51 Ligetil, 8sidor e gli altri 55 Esempi di scrittura 59 I manuali si devono capire 60 La Costituzione italiana in Etr 66 Rendere chiaro il linguaggio della pubblica amministrazione 68 Si può esplicitare la letteratura? 76
Musei per tutti La scrittura degli operatori sociali Notizie chiare Le normative di riferimento Convenzione dei diritti delle persone con disabilitĂ Agenda Onu 2030 PerchĂŠ semplificare il linguaggio amministrativo
81 85 89 93 93 95 96
Bibliografia 99
PREFAZIONE
di Dimitris Argiropoulos*
“Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri” Alda Merini
Tessuti nelle relazioni, cresciamo nelle loro trasformazioni con desiderio. Con desiderio anche nella fatica, nei limiti e nelle impossibilità che si riscontrano nei percorsi per raggiungere autonomie, soddisfazioni, indipendenze. Procediamo nelle autonomie mantenendo e mutando i legami delle nostre appartenenze, dei nostri affetti, della prossimità, delle distanze e delle vicinanze nel quotidiano e nelle lunghe istanze della vita, nell’intimo e nel pubblico, nel piccolo e nel grande posizionamento nel mondo. I nessi potrebbero apparire paradossali, talvolta lo sono e richiedono approcci di comprensione, strumenti per capire e per affrontare una complessità che spesso si piega su se stessa diventando complicata. Ci occorrono strumenti per permetterci le connessioni con la differenza, il proprio di ognuno e delle appartenenze con tutti gli altri e le loro appartenenze. Ci occorrono strumenti per poter scambiare e comprendere i nostri mondi e i nostri legami. Strumenti da capire per comprendersi. Ci occorrono alfabeti, sintassi, ortografie, semantiche di una certa estensione semplice per essere capite, ben calibrate alla persona e ampie per raggiungere, connettere, creare legami. Abbiamo bisogno di produrre e spostare significato/i nelle complessità delle relazioni riuscendo a svincolarsi dai codici pur semplici o articolati, consueti o insoliti che siano. Abbiamo bisogno di Docente di Pedagogia speciale all’Università di Parma.
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comunicare con le metafore, impariamo le metafore, siamo nelle metafore che diventano l’indispensabilità e la delizia delle nostre relazioni. Ci umanizzano e fanno sciogliere le cose, scomporsi e ricomporsi, snodarsi e riannodarsi. Le metafore sono le aperture del comprendersi, disposizioni e dispositivi di una pienezza per stare nella complessità. Si sviluppano attenzioni, ci si prende cura delle relazioni, della crescita, delle autonomie, imparando a trasformare una tensione in un’attenzione. Ci si educa, ci si guida nella ricerca di senso per dignità, compiutezza e per evitare l’estremo. Si impara l’altro e si impara a sviluppare attenzioni verso l’altro. “Noi possiamo comunicare, paradossalmente, proprio perché siamo completamente differenti l’uno con l’altro… possiamo in un qualche modo partecipare alle esperienze degli altri con l’immaginazione e con l’empatia e con la mediazione, seppure sempre inadeguata dalle parole… capirsi è anche un atto di fiducia”1 e questa fiducia si estende, coinvolge una pluralità di linguaggi e codici comunicativi differenziati, diventa ragione della “scrittura controllata”, impegnata con attenzioni, interessi e responsabilità costanti nell’essere l’altro: nell’inter-essere altro. Non si tratta di scrittura provvisoria e di banalità generalizzata, non diventa luogo comune e moda. È impegno, pensiero e risponde intenzionalmente a cosa e come si dice e si scrive e, spostando lo sguardo, cerca di anticipare il che cosa viene percepito dai nostri interlocutori che potrebbero affrontare limitazioni da deficit e/o culturali. La scrittura controllata arriva nell’operatività sociale e diventa comunicazione impiegata nel quotidiano, nell’ordinario della gestione di persone con difficoltà. Diventa strumento di intenti di conversazioni e scambio nei tempi eterocronici fra altri, implicati in relazioni educative e assistenziali. Viene a significare e qualificare ogni istanza degli incontri dell’operatività sociale ed educativa. Si Ong, 1993.
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ufficializza e diventa documentazione di un prodotto che non risponde astrattamente ai fabbisogni interistituzionali e interdisciplinari, ma metodo, clima, stile e contenuto commutativo che parte dall’altro e si catalizza all’altro. Diventa una documentazione usufruibile principalmente da chi è coinvolto in una relazione d’aiuto educativa o socio-assistenziale che sia. Diventa mediazione che veicola conoscenza e saperi, abbellisce la relazione educativa, crea consapevolezza incidendo e creando futuro all’interlocutore, all’educando, e per questo orienta la politica dell’intervento. Diventa possibilità di scelta una volta che la comunicazione si esplicita, essendo i suoi messaggi, di vario contenuto, capiti e compresi. Come diventa percorso di educazione diffusa, inclusiva, rivolta a tutti e non solo verso chi dovrebbe affrontare una difficoltà, in una dimensione di inesorabile accettazione ed esplicitazione di diritto. La scrittura controllata dovrà essere pienamente considerata per divenire diritto in ogni contesto educativo, sociale e amministrativo-istituzionale. Diritto proposto, esigibile e attuabile.
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INTRODUZIONE
Non comprendere un testo, non riuscire a seguire una storia scritta, può essere motivo di grande frustrazione per una persona. Anche chi è abituato alla lettura, magari di testi complessi, può provare questa sensazione di impotenza che attanaglia, quando si trova in un Paese dove si parla un’altra lingua, la cui scrittura non riesce a decifrare. Potrebbe durare il periodo breve di una vacanza ma per chi, per motivi come vedremo molto differenti, ha difficoltà a leggere anche nella sua lingua madre, questo provoca una frustrazione che perdura. La scrittura esplicitata (possiamo anche chiamarla scrittura controllata o scrittura Easy To Read) permette a queste persone di vivere meglio la loro vita, di partecipare a una comunità, e in fin dei conti questo risultato è utile a tutti e non solo a pochi: dare questa opportunità significa arricchire la propria comunità, il capitale sociale del Paese in cui si vive. È questa la convinzione che mi ha portato a scrivere un libro sul tema. Porre attenzione a come si scrive, a chi ci si rivolge, è un esercizio impegnativo che richiede preparazione e molta pratica. Scrivere “semplicemente” non significa banalizzare o abbassare il livello culturale, ma proprio l’opposto, significa essere maggiormente consapevoli di quello che si scrive. In questi tempi di rapidissima scrittura digitale in cui si parla di egemonia sottoculturale, di bassa risoluzione e di banalità generalizzata, la scrittura controllata non viene certo dalla pancia, non si appoggia sui luoghi comuni ed è anzi attenta alle fonti che usa. 11
Del fatto poi che la scrittura sarà per sempre la nostra principale forma di comunicazione, di questo non ne sono sicuro, quello che posso dire è che per i prossimi cinquant’anni lo sarà ancora. Il nostro prendere e dare informazioni in rete, anche se consiste sempre più di materiale audio-video, si baserà nell’immediato futuro ancora sulla scrittura. Almeno ancora per un po’, poi non si sa. Io sono un giornalista specializzato sul tema della disabilità e della salute mentale ma ho cercato, scrivendolo, di usare solo in parte la tecnica di scrittura giornalistica che si basa soprattutto sulle interviste, sui dati, sulla sinteticità delle frasi, sulla chiarezza delle fonti e nemmeno ho usato la precisione scientifica della scrittura di un linguista o di un esperto in narratologia, non ne sarei nemmeno stato capace. Ho cercato di parlare di scrittura controllata, in modo non superficiale, usando una scrittura più personale, a volte anche giocando con la narrazione, usando delle brevi storie, interloquendo con il lettore direttamente. Perché? Per cercare di rendere il testo più interessante e invogliare le persone a leggerlo e a praticare la scrittura Etr nella loro attività professionale. Sono tante le persone che la potrebbero usare: i dipendenti pubblici che scrivono per i cittadini, gli insegnanti nelle scuole alle prese con ragazzi sempre più impegnativi, gli operatori culturali di ogni disciplina che vorrebbero avere un pubblico maggiore e non rivolgersi a una élite, gli educatori nei centri per disabili o per anziani, i giornalisti. Mi sono anche interrogato sulla reale utilità di questo libro, visto che in circolazione esistono già dei buoni testi sul tema. Poi mi sono reso conto che la maggior parte dei testi, e alcuni molti più dettagliati del mio, hanno il limite di circoscrivere la scrittura controllata solo in ambito scolastico per ragazzi con degli svantaggi nell’apprendimento, oppure farne un discorso che riguarda solo la disabilità, in particolare le persone con deficit cognitivo. Per me l’utilità della scrittura Etr è molto più 12
ampia e si rivolge a più persone, dato che non esiste una sola forma di scrittura esplicitata ma ne esistono molte a seconda del pubblico a cui ci si rivolge. Il libro è strutturato in cinque capitoli. Nel primo si spiega cosa sia la scrittura Etr, a chi è rivolta e perché sia così importante per un Paese come il nostro. Nel secondo si descrivono in modo puntuale i quattro principi su cui si basa la scrittura esplicitata, nel terzo si affronta il tema particolare dell’informazione giornalistica Etr e della sua mancanza in Italia. Il quarto capitolo è stato il più difficile da scrivere ed è anche quello più importante perché si raccontano degli esempi di riscrittura di testi in ambiti molto diversi tra loro. Questi testi provengono da esperienze concrete della cooperativa sociale Accaparlante e dell’associazione BandieraGialla, gruppi per cui lavoro. Il quinto capitolo si occupa delle normative che supportano la diffusione di questo particolare tipo di scrittura. Il mio augurio è che questo libro possa essere di spunto a qualcuno e utile ad altri.
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LA SCRITTURA EASY TO READ (ETR)
La scrittura è una tecnologia, cioè un “insieme di capacità da praticare e affinare con l’esperienza”2. La scrittura non s’impara naturalmente, non si ha il dono innato della scrittura (semmai la predisposizione), la sua acquisizione è un processo lento e complesso, sempre di più visto il tipo di società in cui viviamo a sua volta più complicata e che richiede ai suoi cittadini delle competenze linguistiche sempre maggiori3. La scrittura Easy To Read (Etr), ovvero lo scrivere in modo controllato, significa porsi la domanda di chi sia il destinatario cui ci rivolgiamo, quale sia il suo grado di cultura, la sua difficoltà di comprensione; poi, nello stesso momento, chiarire cosa vogliamo dire e i nostri obiettivi nel farlo; infine dobbiamo prendere in considerazione il contesto in cui operiamo che comprende, fra le altre cose, anche lo strumento che adottiamo per comunicare. Se utilizziamo un periodico su carta oppure online dovremo pensare a un certo tipo di scrittura, se invece utilizziamo un audio oppure un video, il tipo di scrittura del testo dovrà avere delle caratteristiche diverse visto che la sua comprensione è aiutata dalle immagini e dai suoni. Se la scrittura controllata ha la caratteristica di essere accessibile a un pubblico di lettori in difficoltà, non può essere nemmeno una formula magica che accontenti tutti. Maria Emanuela Piemontese, docente di Didattica delle lingue moderne all’Università la Sapienza di Roma, Piemontese, 1996. Pallotti (a cura di), 2001; Corno, 1999.
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e probabilmente la maggior esperta in Italia di scrittura controllata, sottolineava il “carattere relazionale e non assoluto della chiarezza”, appunto perché la comprensibilità di un testo varia a seconda di chi sia il nostro lettore. Risolvere l’asimmetria della comunicazione che c’è tra chi scrive e chi legge non è facile e spesso più i due sono distanti – cioè più chi scrive è colto e specializzato e chi legge è sprovvisto di cultura – più sarà difficile trasmettere delle informazioni comprensibili. Ma avere questa coscienza da parte di chi scrive è già un grande passo in avanti. Tutto lo scibile può essere riscritto in modo più comprensibile, ma scrivere con semplicità e chiarezza – può sembrare paradossale – non è per niente facile. È più facile usare scritture accademiche, burocratiche, professionali, perché sono scritture che si possono mimare e in cui ci si sente più sicuri. Famoso in questo senso è il pezzo pubblicato sul quotidiano “Il Giorno” da Italo Calvino nel 19654. In questo articolo un brigadiere ascolta la testimonianza di un imputato che racconta con parole semplici una storia minima. La riscrittura del brigadiere per il verbale diventa un groviglio di parole inusuali scritte in un unico periodo senza punto. Per Calvino questo è un chiaro esempio di antilingua pensata, parlata, scritta da “avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali...”. Chi usa questa lingua svuotata di significato lo fa per un preciso motivo come spiega il grande scrittore in modo puntuale e senza appelli: La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire ‘ho fatto’ ma deve dire ‘ho effettuato’ – la lingua viene uccisa. Calvino, 1995.
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Provare a scrivere in modo chiaro non è da tutti, anzi crediamo di non esagerare se affermiamo che solo le persone che hanno capito nel profondo la propria disciplina o un argomento possono farlo e sono, per dirla con Calvino, anche le persone che non hanno paura e che amano la vita. Dicevamo prima che la scrittura Easy To Read non può essere una sola ma, a seconda del pubblico che abbiamo in mente, possiamo scrivere dei testi di scrittura controllata di livello diverso. Mano mano che le competenze linguistiche del nostro lettore aumentano potremo alzare l’asticella, tanto per usare una metafora in ambito sportivo che sarebbe altamente difficile da decifrare per un pubblico che ha difficoltà di astrazione. Infatti, se dovessimo riscrivere questo libro che parla di scrittura controllata utilizzando la stessa scrittura Easy To Read, non potremmo certo produrre un testo così breve che dà per scontato molte conoscenze che il lettore dovrebbe possedere; sarebbe un testo diverso, probabilmente molto più lungo. In questa pubblicazione abbiamo utilizzato una scrittura più complessa dato che ci rivolgiamo a un pubblico con certe competenze. Controllare la scrittura non significa semplificarla nel senso di ridurla, anzi spesso la scrittura accessibile usa un maggiore numero di parole appunto perché non dà niente per scontato ma cerca di spiegare tutto in modo che un lettore non debba rivolgersi a un altro testo per capire. È anche vero che scrivere in modo controllato significa a volte tagliare le parti del testo che non sono importanti e privilegiare solo quelle essenziali. A volte, la sovrabbondanza di informazioni, soprattutto verso un certo tipo di lettori, può essere scoraggiante, in questi casi allora il nostro compito di scrittori o meglio di “riscrittori” è quello di tagliare le parti meno importanti e concentrarci solo sulle informazioni essenziali che vogliamo dare. Esplicitazione e semplificazione di un testo Etr vanno sempre assieme e la 17
loro misura e combinazione dipende dai nostri destinatari. Ho parlato di riscrittura, perché molto spesso il lavoro che aspetta la persona che vuole mettere a disposizione dei testi Easy To Read consiste proprio in questo. Lo vedremo meglio nel capitolo dedicato agli esempi dei lavori svolti in questi anni che riguardano degli scritti molto diversi tra loro, dal documento istituzionale al manuale di apprendimento, dal testo di legge al testo letterario. Vi sono terminologie diverse per indicare il nostro oggetto. Noi abbiamo usato per lo più il termine di scrittura Easy To Read oppure scrittura controllata; alcune pongono più l’accento sull’atto della scrittura (plane writing, scrittura facilitata, scrittura esplicitata), altre sull’atto della lettura (scrittura Easy To Read – Etr), ma andando alla ricerca dei principi o delle linee guida che la regolano, troviamo alla fine che i punti fondamentali sono comuni e condivisi. A chi serve la scrittura controllata La nostra scrittura, o meglio riscrittura, è utile a un pubblico molto vasto in Italia, più grande di quanto uno si immagini. I destinatari che hanno più difficoltà nel comprendere un testo si possono suddividere in due gruppi: al primo appartengono tutte quelle persone le cui difficoltà sono di origine socio-culturale, come i migranti, gli anziani, i giovani usciti precocemente dai circuiti scolastici, in generale tutte quelle persone che hanno un basso grado di istruzione o per le quali l’italiano non è la lingua madre. All’altro gruppo appartengono quelle persone che hanno difficoltà di apprendimento, difficoltà che possono variare enormemente dato che i bisogni di una persona con la sindrome di Down sono diversi da quelli delle persone che hanno deficit sensoriali (non vedenti e non udenti), così come un ragazzo autistico ha bisogni diversi da un 18
ragazzo con una qualche forma di Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento, come la dislessia, la discalculia…). Facciamo degli esempi. Nel caso degli stranieri i problemi della comprensione di un testo sono legati sia al livello di acquisizione della lingua italiana sia al loro grado di conoscenza del nostro sistema di riferimento culturale che è complesso e comprende la nostra storia, la nostra letteratura, la nostra televisione e così via. La mancanza di conoscenza del contesto culturale è una barriera da superare come quella della conoscenza sintattica e grammaticale della lingua italiana. Prendiamo come esempio del secondo gruppo invece una persona non udente (senza deficit cognitivi). Questa deprivazione sensoriale ha delle precise conseguenze: durante il processo di apprendimento il bambino non udente può avere difficoltà nell’interpretare il linguaggio parlato con ciò che vede, gli manca l’esperienza diretta che è anche essenziale per decodificare un testo scritto. Io leggo e quando interpreto un testo non solo capisco parole e frasi ma ho dei ricordi personali, autobiografici che mi facilitano la comprensione. Se mi manca questa esperienza diretta o sufficientemente efficace dal punto di vista cognitivo, la conseguenza è che una persona non udente normalmente ha un vocabolario più povero e un uso altrettanto povero della sintassi. Per il migrante o per il bambino non udente sono utili tecniche diverse di scrittura controllata. Se per ambedue è importante l’uso di parole di uso comune, nel primo caso è importante allargare i testi per comprendere anche quei nessi con il nostro sistema di riferimento culturale che a lui manca. Nel caso del bambino sordo bisogna allargare il campionario delle sue esperienze collegando quanto si dice con quello che si fa, con l’effetto che ha. Questo lo si può ottenere riportando degli esempi concreti e fornendo delle spiegazioni aggiuntive a certi comportamenti (pensate come può essere difficile per un non udente capire un tono ironico). 19
Le due forme di analfabetismo Le persone che hanno difficoltà di comprensione di un testo per motivi socio-culturali rappresentano in Italia una fetta considerevole della popolazione: quindi nel nostro Paese i beneficiari di questo tipo di scrittura potrebbero essere moltissimi. In molte parti dell’Europa non è così. Nel 1861, quando si formò lo Stato italiano, il 74,7 per cento della popolazione era analfabeta, cioè non sapeva leggere, scrivere e fare di calcolo. Già allora la situazione in altri Paesi europei era diversa: in Germania la popolazione analfabeta era il 20 per cento del totale, in Inghilterra il 31, soltanto la Spagna era ai nostri livelli. Oggi si può affermare che l’analfabetismo in Italia è inesistente, ma purtroppo dobbiamo fare i conti con un altro tipo di analfabetismo, quello funzionale. Nelle società postmoderne, sempre più complesse, sono richieste delle abilità di lettura e comprensione dei testi superiori rispetto al passato e i cittadini italiani non sono adeguati a questi nuovi compiti. Si stima che gli analfabeti funzionali in Italia siano il 28 per cento della popolazione. Sono persone che faticano a comprendere le proposte politiche o i quesiti posti da un referendum, persone quindi che possono contribuire solo parzialmente allo sviluppo democratico del nostro Paese, per restare nell’esempio. Ma sono persone che hanno anche difficoltà a usare gli strumenti online per ottenere documenti o per prenotare una vista medica, per iscrivere il figlio a scuola. Paesi come l’Indonesia, il Cile e la Turchia hanno tassi di analfabetismo funzionale più bassi del nostro. È chiaro che di fronte a una situazione come questa è chiamato in causa il sistema scolastico e la formazione degli adulti che devono saper garantire dei livelli accettabili di competenza linguistica. Tullio De Mauro, il grande linguista italiano (è stato ministro della Pubblica istruzione nel Governo Amato II dal 2000 al 2001), affermava che il 71 per cento della 20
popolazione italiana si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà. Solo il 20 per cento possiede le competenze minime “per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana”5. David Bidussa, storico e giornalista, commentando i dati sul livello di istruzione degli italiani, afferma: “Il 38 per cento dei nostri cittadini è fuori dalla Costituzione che prevede l’obbligo del possesso di almeno otto anni di scolarità”6. In effetti le cifre ci dicono che sono diciassette milioni gli italiani che hanno solo la licenza media, mentre ventitré milioni sono privi del tutto di un titolo di studio o possiedono la licenza elementare. Questa è la situazione di un Paese dove i suoi cittadini godono di un benessere materiale invidiabile dalla maggior parte dell’umanità. In questo caso l’analfabetismo non è un indicatore della povertà, anzi sostiene Bidussa: “L’analfabetismo non riguarda solo la miseria, riguarda anche l’idea che collettivamente associa l’istruzione all’utile sociale”. In altre parole, non diamo la giusta importanza all’istruzione, alla formazione continua. I dati più aggiornati dell’Istat riguardanti i titoli di studio che hanno gli italiani non sono infatti rincuoranti se paragonati alle medie europee. Il 60,9 per cento della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha un titolo di studio secondario superiore, dove le donne con il loro 63 per cento alzano la media nazionale visto che gli uomini si assestano solo al 58,8. Se questa media è notevolmente superiore rispetto a dieci anni fa, rimane però bassa rispetto a quella europea che è del 77,5 per cento di persone diplomate. Ma quello che fa la differenza tra noi e il resto dell’Europa è soprattutto a livello di titoli di studio universitari: di fronte a un 18,7 per cento di laureati italiani abbiamo una De Mauro, 2010. David Bidussa, www.linkiesta.it/terra-analfabeti-italiano-tre-e-senza-diploma.
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percentuale europea del 31,4. L’unica nota positiva è che le donne italiane stanno guadagnando terreno più in fretta visto che quelle di età compresa tra i 30 e 34 anni in possesso di titolo di studio universitario sono pari al 26,9 per cento (39,9 per cento la media Ue). Così l’Italia si colloca al penultimo posto tra i Paesi dell’Unione in questa classifica denunciando un capitale culturale umano allarmante. Bisogna tener presente, come ci ricordava Tullio De Mauro, che “in tutto il mondo vige una regola che gli studiosi di pedagogia sperimentale chiamano del meno cinque. In età adulta regrediamo di cinque anni rispetto ai livelli massimi delle competenze cui siamo giunti nell’istruzione scolastica formale”. In altre parole se non continuiamo a leggere e a formarci le nostre capacità culturali tornano indietro: le persone che hanno conseguito un diploma ma dopo quello non studiano più si ritroveranno nel corso del tempo ad avere delle competenze di una persona che ha solo la terza media come titolo di studio. Quanto leggono gli italiani Un altro modo per capire l’arretratezza culturale italiana lo si può dedurre da quanto leggiamo. Secondo l’ultimo rilevamento dell’Istat, sei italiani su dieci non leggono nemmeno un libro all’anno, mentre i lettori forti sono solo il 14 per cento del totale e con l’aggettivo forte s’intende la lettura di un libro al mese. Un altro elemento che rende più preoccupante questo dato è il fatto che si parli solo di quantità e non di qualità, ovvero del tipo di libro che si è letto, ma una cosa è leggere I miserabili di Victor Hugo e un’altra leggere l’ultimo libro di Fabio Volo. Intendiamoci, anche leggere quest’ultimo autore può contribuire al miglioramento culturale di una persona, ma lo può fare in un modo limitato. Nella classifica dei lettori europei l’Italia è all’ultimo posto assieme a Cipro, Romania, Grecia e Portogallo; in Svezia il 22
90 per cento dei cittadini legge almeno un libro all’anno. Se poi analizziamo i dati relativi alla lettura per regione abbiamo un sud dove i lettori sono il 27,5 per cento e un nord dove i lettori salgono al 48,7 per cento della popolazione. La Sardegna ha degli indici di lettura simili al nord e questo è dovuto agli investimenti di lungo periodo realizzati sulle biblioteche di base: avere delle buone biblioteche significa avere molti più lettori. Per migliorare la cultura degli italiani occorre un’azione pubblica di promozione alla lettura. Nel 2015 è stato presentato un disegno di legge che si è però arenato in Parlamento. Il testo è stato ripreso da una nuova proposta intitolata “Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura” di cui si dovrebbe discutere in questi mesi. La proposta prevede varie azioni per diffondere la lettura, dal prezzo dei libri a iniziative pubbliche tese a promuovere la lettura. Speriamo che questo accada presto perché la posta in gioco è alta; un popolo che non sa, che è ignorante, è più facilmente manipolabile ed è indifeso di fronte alle menzogne. Il diritto a partecipare Il livello culturale di un popolo non è un elemento di poco conto, si può affermare anzi il suo opposto, ovvero che dei cittadini colti e con un buon senso critico garantiscono un elevato sviluppo economico e democratico del Paese in cui vivono. Dare la possibilità a tutte le persone di capire e interpretare il mondo che le circonda è un diritto da assicurare, questo diritto è una delle motivazioni più forti che ci hanno spinto a scrivere questo testo. E, come abbiamo spiegato sopra, non stiamo parlando solo di persone con deficit intellettivi ma di un numero ben maggiore di individui, come gli immigrati che non conoscono la lingua del posto in cui 23
vivono, gli anziani che hanno maggiore difficoltà di comprensione del mondo che li circonda, i giovani e gli adulti con livelli di studio minimi. Non si può dimenticare nessuno e non solo per motivi etici e di diritto, ma anche per motivi che afferiscono a un migliore sviluppo economico e civile delle società in cui viviamo. Avere dei cittadini che riescono a comunicare con le istituzioni senza problemi, cittadini che hanno delle buone competenze linguistiche significa avere un capitale culturale buono che arricchisce tutta la nostra comunità; le nazioni più prospere e avanzate sono anche quelle che hanno i cittadini più preparati, non solo una minoranza di loro ma complessivamente. È bene sottolineare a questo punto il fatto che la scrittura Etr non vuole e non può essere un sostituto della scuola e della formazione permanente degli adulti. Sono questi i principali strumenti che devono garantire un buon capitale culturale umano. L’Etr può essere solo uno strumento aggiuntivo che permette un’inclusione sociale e culturale maggiore. La nota dolente che abbiamo riscontrato strada facendo nel nostro lavoro è che questa consapevolezza in Italia non c’è mai stata, nonostante l’autorevole esperienza portata avanti da Tullio De Mauro e Maria Emanuela Piemontese già negli anni Ottanta all’interno dell’Università la Sapienza di Roma. Questi due docenti hanno realizzato, come racconteremo in un capitolo a parte, degli strumenti informativi rivolti a persone con deficit cognitivo, soprattutto quelli che, una volta usciti dal circuito scolastico, non avevano più opportunità formative di questo tipo. Negli stessi anni analoghe esperienze si stavano sviluppando nell’area scandinava (in rete tra loro e assieme a quella italiana) ma, a distanza di tanti anni, la realtà ci mostra che esistono degli strumenti di informazione Easy To Read con cadenza settimanale, bisettimanale o addirittura quotidiana, estesi a livello nazionale e finanziati dai ministeri in Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, 24
mentre in Italia l’illustre esperienza si è conclusa nel 2006 per mancanza di fondi. Le belle lettere Spesso ritorna una domanda quando si tratta di questo tema: che tipo di scrittura avremo alla fine di questi processi di esplicitazione e di semplificazione? Non sarà troppo ridondante, monotona e poco interessante? Dove vanno a finire le infinite e quasi magiche possibilità che può offrire la scrittura letteraria? Soprattutto in Italia una domanda come questa ricorre, visto che siamo un Paese dove la scrittura di tipo letterario ha influenzato un ambito, quello giornalistico, che per antonomasia dovrebbe invece utilizzare una scrittura di tipo funzionale (all’informare), ovvero una scrittura semplice, chiara e sintetica. Andando a leggere certi editoriali scritti dai direttori dei maggiori quotidiani nazionali, vi accorgerete che i lettori che riescono a comprendere questi pezzi così elaborati e che comportano continue inferenze sono una piccola percentuale degli italiani (il dieci per cento?). Oltre al consiglio che i giornalisti dovrebbero pensare ai loro lettori non solo in termini di notizie che li possano interessare ma anche in termini di chiarezza e semplicità nell’esposizione, la risposta alla domanda sopra posta è che ci stanno tutte e due le modalità di scrittura. Dobbiamo e possiamo pensare a lettori diversi, strati di lettori con un patrimonio culturale differente. In un certo senso ogni tipo di scrittura dovrebbe essere controllata, nel senso che si deve pensare a chi si scrive, alle sue capacità di comprensione. In questo modo ci sarà spazio per il lettore esperto e aggiornato così come per quelle persone, tante, che sono escluse perché comprendono solo una scrittura facile da leggere e che perdono in questo modo dei diritti e delle possibilità: a loro abbiamo pensato scrivendo questo libro. 25
Nicola Rabbi
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Scrivere “semplicemente” non significa banalizzare o abbassare il livello culturale, ma porsi la domanda di chi sia il nostro lettore. Non è facile però farlo in maniera comprensibile a tutti. La “scrittura controllata” è uno strumento per consentire a ognuno l’accessibilità alla lettura.
Nicola Rabbi Scrivere facile non è difficile
Nicola Rabbi giornalista specializzato e formatore sui temi della disabilità, della salute mentale e del carcere, lavora per il Centro Documentazione Handicap di Bologna occupandosi di progetti riguardanti la cultura inclusiva. È direttore di BandieraGialla, un’associazione costituita da un gruppo di giornalisti che forniscono servizi di comunicazione per i soggetti del Terzo Settore. Collabora infine con l’Ong Aifo dove scrive di comunicazione allo sviluppo e di sviluppo inclusivo su base comunitaria.
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Scrivere facile non è difficile L’EFFICACIA DELLA SCRITTURA EASY TO READ
ISBN 978-88-6153-753-8
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9 788861 537538
I libri di accaParlante si occupano di accessibilità non solo fisica, ma anche alla comunicazione, alla conoscenza, alla cultura, al fare e saper fare, alla relazione con la diversità. La collana, naturale evoluzione della rivista “HP-Accaparlante” del Centro Documentazione Handicap di Bologna, propone approfondimenti di taglio divulgativo ed esperienziale ed è uno strumento necessario per educatori, operatori sociali e insegnanti. Per chi ha che fare direttamente o indirettamente con la disabilità, ma anche per chi pensa di non averne bisogno. Perché il lavoro culturale da fare è convincerci insieme che la disabilità non riguarda solo una categoria di cittadini ma è questione che riguarda la comunità tutta.