MARCO MAESTRO
Storia del Re Uguaglione e del suo servo-genio
Pasticcioso
Marco Maestro
STORIA DEL RE UGUAGLIONE
E DEL SUO SERVO-GENIO PASTICCIOSO
Illustrazioni di Fiorenza Maestro
edizioni la meridiana partenze
Indice
Parte Prima
Il PrIncIP e
Dove questa storia che è un po’ allegra e un po’ triste comincia con un “antefatto” decisamente molto triste 7
Dove si danno altre notizie sul giovane principe
Il principe e i suoi compagni
Dove si parla dell’arrivo di Smeraldina
Una seduta del Consiglio dei Ministri
Il principe in vacanza (una cosa strana e le sue conseguenze)
Dove finalmente entra in scena uno dei principali personaggi di questa storia 69
Dove si vede che pur essendo animati dalle migliori intenzioni si possono combinare dei pasticci 83
Dove si narrano gli sviluppi del capitolo precedente e si considerano le cose da un altro punto di vista
Par te Seconda Il re Dove si vede che le feste non sempre portano allegria
Dove si parla di un servo che vorrebbe far contento il suo padrone 121
Dove si parla di cose noiosissime ma anche importanti 131
Dove si parla di gatti, di cani e anche di altri animali 139
Dove si tratta di cose noiose e complicate come i problemi dell’economia 157
Dove si parla della moda e si vede come sia difficile prevedere le conseguenze di certe decisioni 167
Dove si cominciano a introdurre mutamenti in un campo in cui sarebbe meglio lasciare le cose così come sono 177
Dove si dibatte un grosso problema: è la gente che è incontentabile o è il Re che fa pasticci? 183
Dove viene toccato (con imperizia) un argomento delicatissimo e ne derivano conseguenze molto serie 187
Dove la confusione diviene grandissima 197
Dove questa storia, che ormai sta diventando troppo lunga, finisce; con maggiore o minore soddisfazione (a seconda dei gusti) di quelli che l'hanno letta 211
Epilogo (molto breve) e una morale della favola (che è più lunga ma tanto si può benissimo saltare) 225
Parte Pr Ima Il Principe
Dove questa storia che è un po’ allegra e un po’ triste comincia con un “antefatto”
Dunque, molti molti anni fa (ma non poi tantissimi, diciamo quando il nonno del nonno non era ancora nato ma sarebbe nato poco tempo dopo) esisteva un Paese – o per essere più precisi uno Stato –piuttosto piccolo e molto poco importante (ma quelli che ci vivevano, ossia i suoi cittadini, questo fatto non lo sapevano; o se lo sapevano facevano finta di non saperlo perché non gli faceva piacere) in cui si trovavano molti monti, alcuni anche alti e belli, delle campagne in collina e in pianura,
qualche fiume e molti ruscelli, un bel lago grande su cui però si affacciavano anche altri Stati, due o tre città abbastanza importanti e molti paesi e villaggi. Il mare invece non c’era, per cui se gli abitanti dello Stato avessero voluto andare a fare una passeggiata sulla spiaggia o a fare il bagno, sarebbero dovuti andare all’estero. Questo però non succedeva perché a quel tempo non si usava: i bagni, allora, se li facevano a casa. In effetti, a voler essere più precisi, il fiume che attraversava il Paese si buttava nel mare proprio a due passi dal confine e lì, vicinissimo alla costa, c’era una bella città dello Stato che serviva da porto. Tutte queste informazioni che riguardano la geografia, anzi la geografia fisica, c’entrano poco con la nostra storia. Che, essendo appunto una storia, è invece più interessata alla storia; poiché si parla di un principe, e i principi sono personaggi della politica, sarà meglio fornire qualche informazione di geografia politica.
Dunque questo Stato era un regno, c’era cioè come capo di tutti i cittadini un Re. E insieme al Re c’era quasi sempre una Regina (sua moglie) e dei principi e principesse (i loro figlioli), il maggiore dei quali
(solo se era un maschio, perché se era una femmina le cose diventavano un po’ più complicate) era destinato a divenire Re quando il suo babbo moriva. Uno di questi principi è infatti il protagonista della nostra storia, ma quando la storia comincia, nel nostro piccolo regno c’era una situazione abbastanza eccezionale. Cosa era successo? Una cosa molto triste.
Una dozzina di anni prima dell’inizio della storia vera e propria, nel Paese era scoppiata un’epidemia, ossia si era cominciata a diffondere una malattia
grave che i dottori non sapevano curare e parecchia gente moriva. È una cosa che, purtroppo, ogni tanto succede anche oggi, specie in certi Paesi più poveri, ma a quel tempo succedeva più spesso. La Regina – che essendo, come è logico, ricca e potendo mangiare bene, lavarsi meglio, avere a disposizione i migliori dottori del regno che consigliavano come fare a non ammalarsi – avrebbe potuto starsene ben chiusa al sicuro nella sua reggia, o meglio ancora fare un bel viaggio all’estero in qualche Paese dove la malattia non c’era. Lei aveva invece preferito andare in giro tra gli ospedali a visitare i malati, perché pensava facendo così di consolarli un po’ e di dare un buon esempio di coraggio nell’aiutare chi ne aveva bisogno. In fondo, giustamente, pensava: Che ci stanno a fare le regine se non servono nemmeno a questo? Solo che, purtroppo, non sempre le persone che fanno le cose giuste sono anche fortunate. Lei comunque non lo fu. Infatti, a un certo punto si ammalò e in poco tempo morì. Il Re, suo marito, in quei giorni non si trovava alla reggia, ma stava dirigendo delle esercitazioni militari sui monti (una specie di guerra finta che i soldati fanno per tenersi in esercizio). Quando
seppe che sua maestà la Regina si era ammalata, da principio aveva pensato che bisognava mostrarsi forte e dare più importanza ai doveri di comandante in capo e si era limitato a spedirle una lettera piena di tenerezze e auguri di pronta guarigione (allora il telefono non c’era); poi però quando gli dissero che la malattia si era aggravata, fece preparare i cavalli da tiro più rapidi e si precipitò alla reggia.
E così riuscì a salutarla, farle una carezza e darle un bacio prima che morisse. Ma il guaio più grosso fu che così si ammalò anche lui e, anche lui, in pochi giorni morì.
Questo Re e questa Regina erano benvoluti nel Paese perché in sostanza erano brave persone. È vero, avevano i vizi di tutti i re. E il più grave di tutti, in fondo, non dipendeva nemmeno da loro, cioè il fatto che a capeggiare l’intero Paese, a firmare le leggi più importanti, a fare guerre, paci, che erano importantissime per tutto il popolo, non li aveva scelti nessuno di quelli che loro comandavano, ossia del loro popolo. Facevano il Re (e la Regina) solo perché erano i figli di un’altra persona che era stata re prima di loro. E questa
è una cosa poco giusta, perché se capitava che il principe che diventava re fosse una persona capace e intelligente le cose andavano bene per tutti. Se, invece, era uno sciagurato o semplicemente un imbecille (e questo capitava abbastanza spesso) erano nei guai. Ma non c’era nulla da fare perché diventava re lo stesso. D’altra parte allora si usava così.
Il Re e la Regina, oltre che essere amati dal loro popolo erano anche belli, piuttosto giovani (per la verità bella era soprattutto la Regina; il Re un po’ meno). Anche se giovani, avevano fatto a tempo ad avere il primo bambino, che al momento della loro morte aveva quasi 4 anni, ed è lui il principe di cui parlerà la nostra storia. Quando era nato, come spesso succede ai principi, gli avevano dato una sfilza di nomi che non finiva più (tanto è vero che lui stesso a impararli tutti di fila ci mise un bel po’ di anni). Comunque si chiamava Alessio Federico Marino Guglielmo Filiberto. Come si vede sono quasi tutti nomi un po’ pomposi e risonanti, e infatti glieli avevano messi in ricordo di alcuni antenati, famosi guerrieri o cavalieri dei tempi antichi. Tutti salvo uno. Quel “Marino” lì nel mezzo che non si sa cosa ci sta fare. Ma quel nome ce l’aveva voluto mettere la sua mamma che amava il mare e, malgrado il Re e i parenti ministri dicessero che non stava bene, lei si era impuntata e alla fine l’aveva avuta vinta. La morte contemporanea del Re e della Regina, oltre ad aver fatto dispiacere tanti loro sudditi (i cittadini di un regno si chiamavano così) aveva creato un grosso pasticcio perché non si poteva
far fare il re a un bimbetto. Si era allora trovata questa soluzione: era stata proclamata Regina e capo dello Stato la madre del Re che era ancora viva, anche se abbastanza vecchia. Lei aveva scelto un importante personaggio nobile, il Conte Baffoforte, che era stato uno dei maggiori aiutanti del Re, come capo dei ministri e, insieme, come responsabile dell’educazione del principino che all’età di 17 anni sarebbe divenuto Re a tutti gli effetti. La sera stessa della morte del Re, la vecchia regina, vestita di nero al lutto ma con una bella coroncina di brillanti in capo e un bel vezzo di perle, avendo vicino i più importanti dignitari – tra cui ovviamente il Conte Baffoforte e alcune dame – si era affacciata al balcone del palazzo (che dava su una bella piazza piuttosto grande in cui si era riversata una grande folla di cittadini) ma, a differenza delle altre occasioni, era muta e triste e molte donne piangevano. Al balcone era esposta la grande bandiera con il fiocco e, a un certo punto, la regina dopo aver letto un breve discorso (che gli avevano scritto i ministri, perché si usa così: i re studiano e si esercitano a fare i re e a comandare, ma al momento buono tutti i discorsi più importanti
se li fanno scrivere) aveva preso in braccio il principino – che allora era un bel bambino biondo che ovviamente non capiva nulla di quello che stava succedendo – e lo aveva mostrato alla folla. La folla non sapeva più cosa fare, se applaudire o se continuare a piangere di commozione; fece un po’ tutte e due le cose e ci fu anche qualcuno che non fece nessuna delle due, perché era venuto in piazza più per curiosità che per altro… insomma per godersi lo spettacolo. A dire la verità fino in fondo, se tutti avessero saputo cosa stava succedendo sul balcone, qualcuno, forse sotto sotto, sarebbe pure scoppiato a ridere. Infatti, dopo pochi minuti, al nostro principino gli venne voglia di fare la pipì. Era un bimbo molto ben educato e verso i 4 anni non se la faceva più addosso (meno che mai si sarebbe messo a farla sul balcone sulla testa dei cittadini). Però coi bambini piccoli non si sa mai. Fatto sta che poco dopo che la nonna lo aveva preso in braccio e tutta la folla avrebbe voluto ancora vederlo meglio e applaudirlo, si vide invece che lo riconsegnava rapidamente a una delle sue dame che provvedeva subito, ma senza dar nell’occhio, ad allontanarsi dal balcone.
Dove si danno altre notizie sul giovane principe
Quando questa storia comincia veramente, il principe Ale (lo chiameremo così per risparmiare spazio) sta per compiere 16 anni; non è più quindi il bel bambino biondo che abbiamo conosciuto nel primo capitolo, ma un ragazzo, anzi quasi un giovanotto, che per giunta si avvicina a un momento importante della sua vita: quello in cui
deve diventare Re. Siccome però 12 anni, specie nella vita di un bambino, sono tanti davvero, sarà bene (in questo capitolo e nel seguente) continuare a dare qualche altra notizia su come il giovane principe era cresciuto. Intanto, anche per liberarci subito delle cose tristi, visto che già nel primo capitolo ce ne sono state parecchie, diciamo subito qualcosa a proposito del suo babbo e della sua mamma. Come si è detto, erano morti, e per quanto riguarda il babbo, lui se
lo ricordava pochissimo, infatti in quel tempo quasi tutti gli uomini passavano poco tempo con i loro bambini piccoli perché pensavano che dovessero occuparsene le donne poi in particolare, con tutte le cose importanti che avevano da fare, di tempo non ce ne passavano proprio. Punto. Che poi le cose che facevano fossero davvero più importanti dello stare a giocare con i loro bambini è tutto da dimostrare. Ma allora si usava così. Del re c’erano molti ritratti nella reggia dove abitava il principe e lui li riguardava spesso. Ma così come si guarda un bel quadro, senza particolare commozione.
Con la mamma la questione era diversa. In effetti anche lei, essendo una regina, aveva molto da fare, e il bambino lo faceva stare la maggior parte del tempo con le sue dame che la servivano dalla mattina alla sera. Per esempio non gli aveva dato il latte, perché allora le signore non lo facevano (altra cosa che a noi sembra oggi una sciocchezza colossale). Però in ogni modo, almeno una volta al giorno (e quando era più grandino anche di più) se lo faceva portare e, prima di metterlo a letto, se l'abbracciava stretto stretto e ci giocava come fanno tutte le mamme. È ovvio che ad Ale
questa cosa piaceva moltissimo. Quindi, dopo che la mamma era morta, perché non piangesse tutte le sere, avevano preso a raccontargli varie storie.
E poi la nonna, specie nei primi tempi, lo chiamava e ci stava un po’ insieme. Ma non era la stessa cosa. Così alla reggia presero una decisione che non si può dire fosse molto intelligente, anche se l’avevano presa per bene. Per un po’ di tempo fecero sparire i ritratti della regina. Rimase solo un grande quadro in un corridoio dove il bambino
passava di rado. Poi via via che era cresciuto, cominciò a vederlo, ma il ricordo della mamma era legato soprattutto all’abbraccio della sera anche se l’immagine che gli era rimasta nella memoria, pian piano diventò quella del quadro. La Regina (si è già detto che era bella) vi appariva seduta sulla poltrona, molto rigida e seria, con un bel diadema in testa, vestita di bianco con i suoi begli occhi azzurri che sembrava guardassero lontano; o almeno, non guardavano il suo bambino. Per il resto, come cresceva Ale? Per un verso si può dire, come i bambini (quelli ricchi, naturalmente, perché per i poveri era tutta un’altra storia) del suo tempo. Ossia mangiava regolarmente con le sue tate, e solo qualche volta con la nonna, dormiva in una bellissima cameretta che dava su un grande parco, giocava con qualche giocattolo (a quel tempo però ce n’erano molto pochi). Ma per un altro verso c’erano parecchie differenze rispetto agli altri bambini, perché era un figlio di Re. La differenza principale consisteva nel fatto che per lui, specialmente via via che cresceva, si doveva stabilire tutto un piano speciale per la sua educazione a diventare Re.
La cosa era ancora più complicata da due fatti.
Primo, che quello che in condizioni normali avrebbe dovuto decidere di più sulla sua educazione (ossia il suo babbo) non c’era e, quindi, il Conte
Baffoforte, che lo sostituiva sentendosi una terribile responsabilità, ne discuteva regolarmente con la nonna regina almeno una volta al mese. In secondo luogo, bisognava anche far presto, perché il principe sarebbe diventato re molto giovane.
Ora un re, senza parere, deve saper fare molte cose. Specialmente allora, quando i re contavano ancora parecchio. Ora, e si direbbe per fortuna, quei pochi re che restano non contano quasi nulla, per cui qualcuno al momento di diventare re dice
“Ma che ci sto a fare?”, pianta baracche e burattini e si mette a fare la persona qualsiasi (ricca, naturalmente) lasciando le grane a qualche parente più interessato.
Ma un tempo non era così. In sostanza un re deve saper comandare gli altri, deve essere di esempio, e soprattutto deve essere una persona tale che quando parla lui o decide qualcosa, tutti i suoi sudditi (o almeno molti di loro) devono pensare:
“Ha proprio ragione!”. Anche io avrei detto e fatto
proprio così! Ma come si fa a insegnare una cosa del genere? È un bel pasticcio! E poi a un bambino che gli fai comandare? Alcuni dicevano (e dicono ancora): “per imparare a comandare bisogna prima di tutto imparare a ubbidire”. Ma non è tanto vero. Perché tanta gente che ubbidisce benissimo, al momento di comandare fa pasticci tremendi.
In pratica, tutta questa storia faceva sì che Ale passasse gran parte del tempo da solo o con i maestri che fin da quando era piccolo lo facevano giocare poco e studiare molto. Gli svaghi principali erano delle belle passeggiate nei parchi delle sue ville (ne aveva un bel po’ distribuite in tutto il regno), sempre accompagnato da qualche adulto e istruttore (ossia senza altri ragazzini come lui), e soprattutto, via via che diveniva più grande, la partecipazione a feste e cerimonie ufficiali, specialmente militari. Aveva le sue bellissime uniformi e alcuni cavalli (all’inizio piccoli, ovviamente). In certe occasioni, quando per esempio c’erano da premiare dei cittadini particolarmente bravi, lui andava insieme alla nonna in qualche palazzo, si faceva portare in carrozza attraverso la città, vedeva tante persone
che lo applaudivano e sembravano felici di vederlo da vicino e aveva imparato a sorridere e salutare a destra e a sinistra. Una volta perfino (aveva oramai 10 anni), visto che si dovevano premiare dei ragazzini, diedero a lui l’incarico di fare un discorso ufficiale (naturalmente glielo avevano scritto e l’aveva imparato a memoria). Tutte queste cose lo distraevano un po’. Ma in sostanza, a crescere sempre o quasi da solo, senza veri contatti con altri ragazzi della sua età, si annoiava abbastanza spesso.
Allora lo vedevano gironzolare per il palazzo, un po’ pensieroso e un po’ svagato. Le cose cambiarono un po’ (anzi parecchio) verso i 13 anni quando, dopo lunghe discussioni alle quali parteciparono anche alcuni ministri, fu deciso di smetterla con l’educazione da solo e di farlo andare a una scuola media normale, come tutti gli altri ragazzi. La cosa, come poi si vide, non stava esattamente così. Intanto perché certe lezioni particolari (sulla storia del suo regno, l’educazione militare, qualche lingua straniera) continuarono a fargliele seguire. Ma la differenza principale stava nel fatto che la scuola che frequentò lui
era normale per modo di dire, nel senso che a frequentarla erano praticamente solo figli di ministri, generali, nobili e così via. Era insomma la scuola più ricca e meglio organizzata di tutto il regno, ma comunque una scuola con tanti studenti e tanti professori non tutti solo per lui. Il cambiamento era importante.
Lui senza parere (tra l’altro aveva imparato presto a nascondere i suoi veri sentimenti) era molto curioso ed eccitato. Poiché questo argomento si rivelerà importante, sarà bene dedicare un capitolo apposito.
“A un certo punto il genio disse al Re: ‘Ma insomma chi è che ha cominciato con questa storia di volere tutti eguali? Ma se lo sanno tutti che ti chiamano il Re Uguaglione!’.
Il Re a questa uscita si arrabbiò moltissimo, ma cosa poteva fare? Si limitò a rispondergli per le rime: ‘E tu che ti sei presentato come un genio capace di fare prodigi e all’atto pratico combini solo pasticci!
Altro che Portentoso! Pasticcioso ti si dovrebbe chiamare!’.”
ISBN 979-12-5626-009-6 Libro ad alta leggibilità
18,00 (I.i)