Fredy Hirsch era ebreo omosessuale ed educatore. Ciò che riuscì a fare nell’abisso di Auschwitz prima di morire, fu – dal punto di vista educativo – una sorta di miracolo per diverse ragioni: per la possibilità di riflettere sul senso umano (e umanizzante) dell’educazione e dell’educare, in uno scenario storico considerato la massima esperienza di disumanità e cancellazione della dignità del soggetto, e per la straordinaria lezione di resilienza e resistenza che ci spinge a considerare alcuni aspetti metodologici della cura educativa e della relazione di aiuto in condizioni estreme. Il lettore sarà introdotto anche nei temi dell’Omocausto, sui quali solo da alcuni decenni si è cominciato a far cadere il velo del silenzio. Coloro che si imbattono in una pietra d’inciampo (Stolperstein) sono invitati a ricordare, a non dimenticare, a riflettere su quanto è accaduto in passato per ridare dignità a chi è stato privato di tutto, anche del nome, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l’attualità. Chi leggerà le pagine di questo libro andrà oltre il nome scritto sulla pietra d’inciampo che ricorda Fredy Hirsch. Raccontare storie ci salva, e raccontare l’ingiustizia restituisce alla memoria quel diritto a volte negato. Questo libro ci auguriamo sia accolto come un atto di giustizia verso quell’umanità che è stata violentata nei campi di sterminio.
Carlo Scovino
“Si inciampa prima con gli occhi, notando il luccichio della pietra che contrasta con il manto stradale, e ci si piega, quasi come in un inchino dovuto, per leggere e capire. Poi si inciampa con la mente.”
UN EDUCATORE AD AUSCHWITZ
CARLO SCOVINO è laureato in Scienze della Formazione, vive a Milano e lavora in un centro di salute mentale. Ha collaborato per molti anni con il prof. Claudio Mencacci, past-president della Società Italiana di Psichiatria, su progetti innovativi relativi alla riabilitazione psichiatrica e al processo di recovery. Pedagogista e formatore per diversi enti e associazioni, è membro del Comitato Scientifico di ANEP (Associazione Nazionale Educatori Professionali) e docente a contratto per l’Università degli Studi di Milano.
CARLO SCOVINO
UN EDUCATORE AD AUSCHWITZ
Una storia dimenticata: l’Omocausto ISBN: 978-88-6153-856-6
Euro 14,00 (I.i.)
9 788861 538566
Carlo Scovino
Un educatore ad Auschwitz Una storia dimenticata: l’Omocausto Presentazione di Elvira Zaccagnino Prefazione di Davide Ceron Postfazione di Marina Malgeri
Noi ebrei non abbiamo santi, ma abbiamo certamente tzaddikim, gente giusta, gente di tzedek, giustizia. Hirsch era un essere umano, una persona fallibile ma era uno tzaddik. Dichiarazione della sopravvissuta Zuzana Ruzickova (al momento della dedica del memoriale a Fredy Hirsch nel 1996 a Terezín)
È un testo importante per l’esercizio di memoria, l’esempio di resistenza sottile e tenace alla barbarie che le attività di Fredy Hirsch hanno rappresentato. Con il patrocinio di Amnesty International
INDICE
Presentazione di Elvira Zaccagnino
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Prefazione di Davide Ceron
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Un educatore ad Auschwitz: Fredy Hirsch
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Una storia dimenticata: l’Omocausto
37
L’educazione come strumento di emancipazione e di libertà
47
Educazione e omosessualità nelle religioni: appunti e spunti sull’ebraismo
55
Magen David Keshet Italia
69
… E la ricerca continua
73
Pietra d’inciampo
79
Conclusioni
85
Postfazione di Marina Malgeri
93
ANEP (Associazione Nazionale Educatori Professionali)
95
Bibliografia
97
Presentazione
di Elvira Zaccagnino1
Ci sono fatti, eventi della Storia di cui sappiamo. Un trafiletto sui libri di Storia o un accenno nelle celebrazioni che ci inducono a fare memoria. Sappiamo che ad Auschwitz furono deportati e uccisi ebrei, disabili, omosessuali, zingari. Dei primi, per fortuna, sappiamo tanto (non tutto) grazie a chi ne ha scritto e ne parla ancora. Degli altri un po’ per volta cominciano a venir fuori pubblicazioni e racconti. Alcuni, come questo, frutto di ricerche e approfondimenti. Si può capire perché non esistano testimonianze dirette di disabili, omosessuali, zingari. Minoranze screditate allora, minoranze con cui le nostre culture democratiche e inclusive fanno i conti oggi non sempre però includendo e ancora stigmatizzando. In questo processo di nascondimento ed emersione di ciò che non si può negare perché accaduto a persone, quando il lavoro di Carlo Scovino ci è stato proposto lo abbiamo accolto intuendo la responsabilità nostra di editarlo. Non è una biografia soltanto. Non è solo un saggio. Non è esclusivamente il risultato di una ricerca. In una scrittura che tiene tutto insieme, il lettore conoscerà la vita di Fredy Hirsch che era ebreo, omosessuale ed educatore. Entrerà nel dibattito su cui ora si sta passando dal balbettio alla parola pronunciata dell’Omocausto, scoprirà il rapporto della religione ebraica con l’omosessualità. 1
Direttrice edizioni la meridiana. 9
Soprattutto si imbatterà in una figura di educatore che non dismette, nemmeno nella tragedia della Storia implosa nella perdita dell’umanità da parte dei più, il suo compito di prendersi cura e accompagnare educativamente i piccoli a lui affidati. Essere ebreo. Essere omosessuale. Essere educatore. La Storia chiamò Fredy a essere questo ad Auschwitz. Essere straniero. Essere omosessuale. Essere educatore. Tutto insieme o solo una di queste cose. Poco cambia. Ma se sei educatore rispetto agli altri sempre diversi da te, la differenza per loro la fai tu. Per noi questo è un libro necessario in un tempo in cui la parola minoranza sta assumendo politicamente un significato preciso; perché non lo diventi nelle pratiche educative è una scelta che ci compete. Fredy scelse che educatore essere ad Auschwitz. Il nostro auspicio è che la sua storia esemplare sia un exemplum.
10
Prefazione
di Davide Ceron2
In una recente assemblea nazionale di ANEP (Associazione Nazionale Educatori Professionali), di cui sono attuale presidente, Carlo Scovino mi avanzò la proposta di un libro su un educatore ebreo e omosessuale di cui non avevo mai sentito parlare. Da sempre mi reputo una persona curiosa e aperta, così gli chiesi di approfondire il tema. Le parole di Carlo e il trasporto con cui illustrava il progetto si fusero con l’oggetto stesso del libro, tanto che mi convinsero ad appoggiarlo immediatamente con la certezza che i valori e gli insegnamenti di vita che se ne possono trarre sono molteplici e profondi. La vicenda di Fredy Hirsch in questo senso non è semplicemente un racconto o una narrazione, ma è innanzitutto la valorizzazione della vita di una persona – e di milioni di altri esseri umani – che ha subito e pagato le atrocità di altre persone che non lo consideravano degno di vita. La sua esistenza, in un contesto storico, sociale e politico segnato dall’odio e dall’annullamento totale dell’individuo, è stata un inno di amore all’umanità, alla resistenza e alla resilienza realizzata attraverso azioni concrete. Perché è facile parlare di crescita, educazione, cambiamento, sport… in situazioni di normalità e di benessere, ma agire in “quelle” situazioni, con creatività e speranza nel futuro, non è certamente da tutti. Presidente nazionale ANEP (Associazione Nazionale Educatori Professionali).
2
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Il testo proposto è anche ricco di molti elementi di cultura e di vita ebraica, per conoscere e capire il contesto di crescita e di quotidianità in cui Fredy Hirsch è maturato come persona. Lo studio dei documenti e il recupero delle notizie – svolto con meticolosità, attenzione e con suggerimenti di lettura che invogliano il lettore non solo a leggere, ma a conoscere e approfondire – ci testimoniano la spinta e la fiducia che lo stesso autore ripone verso una società più equa e inclusiva. Quell’inclusione che mette tutto il genere umano allo stesso livello e che ci richiede continue azioni, perché possa davvero trovare spazio nel cuore di ogni persona al di là della religione, dell’orientamento sessuale, dell’età, dell’appartenenza etnica, ecc. L’educazione che si respira nelle pagine del testo e nella vita di Fredy Hirsch offre interessanti spunti di riflessione su metodi, azioni e progetti anche in condizioni inimmaginabili. Ringrazio Carlo per quest’opportunità di riflessione, di crescita umana e professionale e auguro ai lettori di potersi emozionare profondamente, scoprendo una nuova luce, un nuovo insegnamento e una nuova speranza nella vita di Fredy Hirsch.
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Un educatore ad Auschwitz: Fredy Hirsch
Mettersi sulle tracce di Fredy Hirisch non è stato facile. La ricostruzione della sua vicenda storica e umana risente da un lato della scarsità e della complessità delle fonti, dall’altro di una vita veramente troppo breve che lo vede gettato nei tumulti della storia come giovane uomo ed educatore carismatico e intuitivo, con un tempo a disposizione che gli consente quasi esclusivamente l’agire. Alfred (meglio noto come Fredy) Hirsch nasce in Germania ad Aquisgrana nel 1916. Era un educatore ebreo, un grande sportivo e sionista ma soprattutto una guida nell’educazione dei bambini nelle condizioni disumane nei campi nazisti. Quando nel 1926 Fredy perse il padre Heinrich, i famigliari lo iscrissero al JPD (Jüdischer Pfadfinderbund Deutschland), l’organizzazione tedesca del movimento scoutistico ebraico molto vicina all’organizzazione sportiva Maccabi Hatzair. Fredy era anche omosessuale. Con la salita al potere di Hitler la famiglia Hirsch decise di lasciare il Paese. Il fratello di Fredy, Paul (anch’egli leader e atleta carismatico, attivo nello scoutismo ebraico tedesco e studente in una scuola rabbinica), e sua madre Olga insieme al suo nuovo marito Martin decisero di emigrare in Bolivia mentre Fredy, un ardente sionista, rimase in Germania. Nel 1933 lasciò Aquisgrana lavorando per qualche tempo come capo del JPD a Düsseldorf e l’anno seguente si trasferì a Francoforte sul Meno. 13
Fu all’interno della JPD che Fredy trovò una nuova casa e le attività sportive occuparono tutto il suo tempo. Fu sempre lì che i dirigenti della JPD si accorsero che aveva la stoffa dell’allenatore, dell’organizzatore e possedeva ottime capacità educative. Nel 1935 emigrò in Cecoslovacchia, come molti altri ebrei tedeschi, e visse prima a Ostrava e poi a Brno e dal 1939 a Praga fingendosi, presso l’ufficio di registrazione, un rifugiato politico. Nel 1937 Fredy Hirsch diresse i Giochi Maccabi Hatzair a Zilina, in Slovacchia, una sorta di campionato dello sport ebraico, sull’idea delle Olimpiadi: lo stadio era gremito da 1600 bambini e presto Fredy divenne un madrich (leader). Si dedicò al lavoro con i giovani, all’allenamento sportivo e alla preparazione dei chalutzim (pionieri) per l’aliyah in Eretz Israel (עילה, “salita”, indica l’immigrazione ebraica nella terra di Israele). Erano spinti da una vocazione utopistica per la costruzione di una società ideale fondata sui valori del sionismo, della fratellanza e dell’egualitarismo sociale in cui gli ebrei potessero riconoscersi. Molti di questi pionieri spesso avevano abbandonato le comode vite di ebrei assimilati scegliendo di divenire chaverim (םלרבח, “amici”). Impararono a imbracciare gli strumenti dell’agricoltura e del lavoro manuale facendosi i calli nelle mani per andare in Eretz Israel dove era deserto e disagio. Partivano per partecipare alla creazione di una patria ebraica costituita, da quelle comunità paritarie e democratiche che ebbero attuazione nei kibbutzim e nelle loro attività agricole e operaie. “L’anno prossimo a Gerusalemme” è l’espressione che da sempre accompagna la diaspora degli ebrei. Per dare concretezza a quella speranza alla fine dell’Ottocento nasceva il sionismo: questo era stato il nutrimento morale e culturale della gran parte della diaspora. Fredy faceva parte di quei tanti ebrei che si erano nutriti della speranza alimentata dal sionismo. 14
Grazie al suo carisma e alla sua forma fisica, ben presto egli si fece strada nella comunità ebraica per diventare un leader spirituale e sportivo della gioventù: avrebbe incontrato i giovani per prepararli sia ideologicamente che fisicamente per la loro vita in Palestina, dove avrebbero dovuto costituire la base del nuovo stato ebraico. I movimenti giovanili ebraici funzionavano un po’ come palestre di preparazione per la vita e predicavano l’importanza della mente sana in un corpo sano. Ben presto la prospettiva fu ampliata usando lo sport come strumento educativo e l’ideale sionista come agente del cambiamento della coscienza ebraica attraverso l’educazione informale. L’obiettivo era quello di creare ebrei con un’alta autostima e motivati dalla rinascita ebraica in Israele con un atteggiamento indipendente e stimolato dalla forte solidarietà del gruppo. Questa fratellanza, e la fede assoluta nei suoi valori, furono probabilmente uno dei motivi per cui, durante la Seconda guerra mondiale, i membri dei movimenti giovanili, nonostante la loro età, svolgevano un ruolo importante nella resistenza ai nazisti. All’età di 19 anni Fredy possedeva la stessa sicurezza in se stesso e il dono del comando che lo avrebbero caratterizzato per tutta la vita. Nel 1940 apparvero alcuni articoli sul giornale ebraico “Židovské listy” scritti da Fredy Hirsch in cui si discuteva di questioni relative all’emigrazione e a un’adeguata preparazione psichica e fisica per poter raggiungere Eretz Israel. Questo era lo spirito sionistico che animava l’opera di Fredy. A seguito dell’Anschluss (annessione) dell’Austria da parte della Germania nazista nel marzo 1938, il successivo obiettivo di Adolf Hitler fu l’annessione della Cecoslovacchia l’anno dopo. Il pretesto furono le supposte privazioni sofferte dalla popolazione tedesca residente nelle regioni di confine nel nord e nell’ovest della Cecoslovacchia, conosciute collettivamente come Sudeti. La loro incorporazio15
ne all’interno della Germania avrebbe lasciato il resto della Cecoslovacchia senza facoltà di resistere all’occupazione. Fino al 1940 organizzò campi estivi per scout vicino al villaggio di Bezpráví sul fiume Orlice e a Praga Hirsch guidò un gruppo di ragazzi di 12-14 anni, chiamato Havlaga, che nell’ottobre del 1939 riuscì a partire per la Danimarca e a trasferirsi in Palestina l’anno dopo. Il nome di Hirsch è anche collegato al parco giochi Hagibor nel quartiere Strašnice di Praga. Seguendo una serie di decreti antiebraici e divieti emessi sotto il Protettorato, il campo da gioco divenne uno dei pochi luoghi in cui ai bambini ebrei era ancora permesso di giocare all’aria aperta e praticare sport. Un suo collaboratore, Willi Groag, in un’intervista nel 2013 ricorda l’anno del 1939 a Praga come un anno caotico, ma per Fredy quell’estate fu il suo “momento”: fu visto come un grande eroe. Era un giovane alto, abbronzato e impeccabilmente vestito. I suoi capelli scuri e lisci erano pettinati all’indietro e mostrava una grande galanteria. Michael Honey, un sopravvissuto di Auschwitz che conosceva Hirsch fin dall’infanzia, scrisse nel suo libro di memorie che nel 1939, quando i nazisti occuparono la Boemia, i suoi fratelli Shraga e Hirsch decisero a gran voce, tirando a sorte, chi di loro due sarebbe partito per la Palestina e chi sarebbe rimasto al comando del movimento nella Cecoslovacchia occupata. Nascosero due fiammiferi: chi avrebbe scelto quello più lungo sarebbe partito. Shraga scelse il pezzo lungo e Hirsch rimase in Cecoslovacchia, dove venne nominato responsabile di un gruppo di giovani ebrei scout dai 12 ai 14 anni. Organizzò tornei sportivi, gare e produzioni teatrali per centinaia di bambini diffondendo tra loro gli ideali del lavoro di squadra, la responsabilità e l’abilità fisica. L’idea, però, era quella di portarli via dalla Boemia e, attraversando paesi neutrali, farli arrivare in Israele. Ma per sentirsi orgogliosi e desiderosi di tornare a calpestare la terra dei loro 16
antenati, oltre a essere in forma dal punto di vista fisico, dovevano anche conoscere la storia degli ebrei e le avversità che avevano affrontato. Fredy si dedicò a quel compito con dedizione e obbedendo con entusiasmo agli ordini che riceveva. Il suo carisma, un insieme di incisività e magnetismo, sui ragazzi era tale che i capi del settore gioventù del Consiglio Ebraico di Praga decisero che Fredy si sarebbe anche occupato dei gruppi di bambini che via via arrivavano a Praga e che erano spesso disorientati e con evidenti difficoltà di adattamento nei confronti di una situazione sempre più claustrofobica e piena di difficoltà. Un pomeriggio un responsabile del Consiglio convocò Fredy per spiegargli in tono grave e preoccupato che i nazisti cominciavano a chiudere le frontiere e presto sarebbe stato impossibile far uscire la gente da Praga. Un primo gruppo di bambini e adolescenti sarebbe dovuto partire nell’arco di pochissimi giorni e si era pensato al suo nome, in qualità di primo istruttore, per accompagnare il gruppo. Avrebbe potuto andarsene e lasciarsi alle spalle il terrore della guerra e trasferirsi in Israele come aveva sempre sognato, ma partire significava lasciare i gruppi di ragazzi che aveva iniziato ad allenare (non solo alle attività sportive ma anche alla vita), abbandonare un compito che considerava molto importante per quei ragazzi strangolati dai divieti, dalle privazioni e dalle umiliazioni del Reich. Non poteva dimenticare che cosa avesse significato per lui il JPD ad Aquisgrana dopo la morte del padre, quando si sentiva completamente perso e lì aveva trovato il suo posto nel mondo. Gli piaceva condividere il suo tempo con gli altri ragazzi del JPD, si sentiva protetto da quella sensazione di cameratismo: per lui era diventata la sua famiglia. Fredy Hirsch arrivò a Terezín il 4 dicembre 1941 come parte di una squadra chiamata Aufbaukommando II, composta da 23 appartenenti alla comunità ebraica con il compito di organizzare la vita nel ghetto appena creato. I nazisti 17
iniziarono immediatamente la deportazione, prima a Lodz, in Polonia, e in seguito alla fortezza di Terezín nella Boemia settentrionale, che trasformarono in un nuovo ghetto ebraico. Questo luogo era formalmente gestito da un organismo di autogoverno ebraico di cui Fredy divenne fin dal principio membro. Il Consiglio degli Anziani non aveva alcun mezzo per migliorare le condizioni di migliaia di detenuti e così concentrarono la loro attenzione sui giovani e sui bambini in particolare, sperando che questi sarebbero diventati la speranza del dopoguerra nella patria ebraica in Palestina. Il campo di concentramento di Theresienstadt (o ghetto di Terezín secondo la definizione preferita da alcuni studiosi) è stata una struttura di internamento e deportazione utilizzata dalle forze tedesche durante la Seconda guerra mondiale. La città della Repubblica Ceca, a 60 km da Praga, è nota anche per aver concentrato nel campo omonimo il fior fiore degli intellettuali ebrei mitteleuropei: pittori, scrittori e musicisti. Presentato dalla propaganda nazista come esemplare insediamento ebraico, fu in realtà un luogo di raccolta e smistamento di prigionieri da indirizzare soprattutto ai campi di sterminio di Treblinka e Auschwitz. La Gestapo prese il controllo di Theresienstadt il 10 giugno 1940 e la trasformò in prigione denominandola kleine Festung (piccola fortezza). Dal 24 novembre 1941 l’intera cittadina (grosse Festung, grande fortezza) venne destinata a essere un ghetto dopo essere stata cinta da un muro. Il campo, fondato da uno dei capi delle SS. Reinhard Heydrich, divenne presto il punto di arrivo per un grande numero di ebrei provenienti da tutta la Cecoslovacchia occupata dai tedeschi, ma anche dalla Germania e dall’Austria. I settemila abitanti non ebrei che vivevano a Theresienstadt vennero espulsi dalla città rendendo il campo una comunità esclusivamente ebraica e separata. Le condizioni di vita a Theresienstadt si fecero subito molto difficili: all’interno della fortezza grande, in un’area precedentemente abitata da 7000 cechi si trovarono a con18
vivere oltre 50.000 ebrei. Il cibo era scarso, le medicine inesistenti e la situazione abitativa drammatica. Nel 1942 morirono nel campo almeno 16.000 persone, inclusa Esther Adolphine, una sorella di Sigmund Freud. Nell’ottobre del 1943 circa 500 ebrei provenienti dalla Danimarca vennero inviati a Theresienstadt. Rappresentavano coloro che non si era riusciti a far fuggire verso la neutrale Svezia in una vasta operazione clandestina che aveva messo in salvo circa 8000 di essi quando, due anni dopo l’invasione tedesca, le autorità naziste decisero la loro deportazione. L’arrivo di questo gruppo di ebrei ebbe un impatto significativo, perché le autorità danesi insistettero presso il governo tedesco affinché la Croce Rossa avesse la possibilità di visitare il campo. Questo attivo interessamento rappresentò una rara eccezione, in quanto molti dei governi europei dell’epoca sotto occupazione tedesca collaborarono attivamente all’Olocausto o, impauriti da eventuali reazioni, non insistettero minimamente sulla sorte e sul rispetto dei propri cittadini di origine ebraica. Alla fine Adolf Eichmann ritenne opportuno acconsentire alle insistenze del governo danese, accordando il 23 giugno 1944 una visita al campo ai rappresentanti della Croce Rossa Internazionale al fine di dissipare le voci relative ai campi di sterminio. Per eliminare l’impressione di sovrappopolazione del campo e nascondere gli effetti della malnutrizione, 7500 ebrei giudicati “impresentabili” vennero deportati verso un tragico destino ad Auschwitz alla vigilia dell’arrivo della delegazione della Croce Rossa. L’amministrazione del campo si occupò inoltre di costruire falsi negozi e locali al fine di dimostrare la situazione di benessere degli ebrei di Theresienstadt. I danesi che la Croce Rossa visitò erano stati temporaneamente spostati in camere riverniciate di fresco e non c’erano più di tre occupanti per camera. Gli ospiti poterono apprezzare l’esecuzione dell’opera musicale Brundibar (scritta dal deportato Hans Krása) eseguita dai bambini del campo. 19
Una storia dimenticata: l’Omocausto
Lo studioso Giorgio Giannini, nel suo libro Vittime dimenticate, scrive: Anche gli omosessuali sono vittime dimenticate del regime nazista. Quanti siano stati condannati e internati nei lager non è noto, sia per la distruzione di parte degli archivi, sia perché molti di loro come altre categorie di perseguitati dai nazisti sono stati catturati dalla Gestapo e fatti sparire in base al decreto Nacht und Nebel (Notte e nebbia) emanato da Hitler il 7 dicembre 1941, con lo scopo di eliminare i “soggetti pericolosi per il Reich”, senza lasciare traccia.
Nel corso del regime nazista numerosi omosessuali furono internati in campi di concentramento insieme a ebrei, rom, sinti e testimoni di Geova. A distinguere gli omosessuali dagli altri prigionieri era, nel caso degli uomini, un triangolo rosa cucito sulla divisa all’altezza del petto e nel caso delle donne un triangolo nero. Lo sterminio degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti è stato indicato come “Omocausto”. Negli anni che vanno tra il 1933 e il 1945 almeno 100.000 uomini furono arrestati come omosessuali, di cui circa la metà furono condannati; la maggior parte di questi ha trascorso il periodo di detenzione assegnato nelle prigioni regolari, ma tra i 5 e i 15.000 hanno finito con l’essere internati nei vari campi. Solo a partire dagli anni Ottanta del Novecento si è cominciato a riconoscere anche questo episodio di storia inerente alla più ampia realtà della persecuzione nazista. Nel 2002 infine il governo tedesco ha chiesto ufficialmente scusa alla comunità LGBTIQ+. 37
Prima dell’avvento del Terzo Reich, Berlino veniva considerata una città liberale con molti locali gay, nightclub e spettacoli di cabaret. C’erano molti ritrovi dove turisti e residenti eterosessuali e omosessuali potevano praticare il crossdressing. Dall’inizio del secolo apparvero alcuni significativi movimenti di liberazione omosessuale, come il Wissenschaftlich-humanitäres Komitee (WHK), creato nel 1897, che faceva capo al medico ebreo Magnus Hirschfeld; sia pure in misura minore nella, Germania prenazista si sviluppò anche un timido movimento lesbico. Il primo movimento omosessuale tedesco venne rapidamente eliminato con l’avvento al potere del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler. L’ideologia nazista reputò l’omosessualità incompatibile con i propri ideali considerando che le relazioni sessuali dovessero [...] essere finalizzate al processo riproduttivo, essendo loro scopo la conservazione e il prosieguo dell’esistenza del Volk “il popolo”, piuttosto che la realizzazione del piacere dell’individuo.
Ernst Röhm, un uomo che Hitler stesso percepì come una possibile minaccia alla propria supremazia, comandante della prima milizia nazista, le Sturmabteilung (conosciute come SA), esibì in modo discreto la propria omosessualità fino al 1925. Inizialmente Hitler protesse Röhm dagli elementi estremisti del partito nazista, che vedevano nella sua omosessualità una grave violazione delle norme profondamente omofobe del partito. Nel tempo però Hitler rivide questa posizione quando sentì minacciato il proprio potere da parte di Röhm. Il 30 giugno1934, durante la Notte dei lunghi coltelli, Hitler ordinò l’epurazione di coloro che lo minacciavano. Tra questi figurava Röhm e il suo omicidio diede a Hitler il pretesto per compiere ulteriori azioni contro le SA, al fine di renderle innocue e docili al suo potere. 38
Dopo aver consolidato la sua posizione di leader ed essere diventato cancelliere, Hitler incluse la categoria degli omosessuali tra coloro che dovevano essere inviati nei campi di concentramento durante la Shoah. Il 6 maggio 1933 la gioventù hitleriana della “Deutsche Studentenschaft” compì un attacco organizzato contro l’Institut für Sexualwissenschaft (l’Istituto per la ricerca sessuale istituito nel 1919 da Hirshfeld). Pochi giorni dopo, la biblioteca raccolta in 35 anni di lavoro e l’intero archivio vennero dati pubblicamente alle fiamme lungo le strade attorno all’Opernplatz: 20.000 tra libri e riviste e più di 5000 immagini andarono irrimediabilmente distrutte. Ma vennero anche sequestrate lunghe liste di nomi e indirizzi di veri o presunti omosessuali che erano conservate al suo interno. Oltre a ciò, l’episodio sancì la definitiva scomparsa delle illusioni nutrite dall’estrema destra del movimento di liberazione omosessuale di lingua tedesca, che contava esponenti come lo scrittore Hans Blüher o il medico KarlGünther Heimsoth (l’inventore del termine omofilia), che simpatizzavano apertamente per il partito nazista. In queste cerchie l’alta posizione raggiunta da un omosessuale notorio come Ernst Röhm era citata quale esempio del fatto che il nazismo non fosse “in realtà” ostile agli omosessuali. La brutale liquidazione fisica di Röhm e di altre personalità omosessuali dei vertici delle Sturmabteilung (fra le quali lo stesso Heimsoth e Hans Erwin von Spreti-Weilbach), e ancora di più la giustificazione dell’intervento armato come purga della “cricca omosessuale” annidata nel nazismo, costituì un brusco risveglio per queste persone. La vera motivazione della “Notte dei lunghi coltelli” non ebbe nulla a che vedere con l’omosessualità: l’eliminazione di Röhm fu resa necessaria dal fatto che egli era un uomo troppo potente, che aveva ai suoi comandi una temibile forza paramilitare, che si attardava a concepire il nazismo come un movimento rivoluzionario in un momento in cui esso era ormai nei fatti un regime ultraconservatore. 39
Venne creata una sezione della Gestapo che aveva l’ordine di compilare speciali liste di individui omosessuali. Nel 1936 Heinrich Himmler, comandante delle SS, creò l’Ufficio centrale del Reich per la lotta all’omosessualità e all’aborto. Il decreto costitutivo di questo nuovo ufficio recitava: [...] Le attività omosessuali di una non trascurabile parte della popolazione costituiscono una seria minaccia per la gioventù. Tutto ciò richiede l’adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali.
Questo collegamento fra nazismo e omosessualità fece presa in particolare fra gli oppositori antinazisti, che spesso condividevano, nei confronti degli omosessuali, gli stessi pregiudizi nutriti dai nazisti. Ovviamente i rapporti omosessuali, considerati “sterili” ed “egoistici” vennero visti come un tradimento alle politiche demografiche di potenziamento del popolo, non essendo i gay in grado di riprodursi e perpetuare così la razza ariana. Per la stessa ragione anche la masturbazione venne considerata dannosa al Terzo Reich, seppur trattata con minor severità. Quegli omosessuali che non dissimulavano il proprio orientamento sessuale o che non erano disposti a contrarre matrimoni di convenienza incominciarono così a essere “raccolti” e inviati a tempo indeterminato – come metodo curativo – a duri campi di lavoro in campagna. Più di un milione di tedeschi sospettati di “attività omosessuali” sono stati presi di mira, di cui almeno 100.000 sono stati arrestati, interrogati e processati e non meno di 50.000 condannati alla carcerazione. Altre centinaia di uomini sono stati sottoposti a castrazione o sterilizzazione obbligatoria dietro ordine diretto dei tribunali. Hitler supponeva che l’omosessualità fosse un “comportamento degenerato” che rappresentava una minaccia 40
alla capacità demografica dello Stato e che ne danneggiava il “carattere virile”. I gay vennero denunciati come “nemici dello Stato” e accusati come “corruttori” della moralità pubblica che mettevano in pericolo il tasso di natalità della Germania. La persecuzione nazista degli omosessuali venne portata a termine principalmente attraverso l’inasprimento delle leggi omofobiche: il tristemente conosciuto Paragrafo 175, in nome del quale 100.000 gay vennero arrestati, 60.000 condannati a pene detentive e un numero sconosciuto internati in ospedali psichiatrici. Il triangolo rosa era il marchio di stoffa che veniva cucito sulla divisa degli internati per omosessualità maschile, in base al Paragrafo 175, nei campi di concentramento nazisti. Alcune di queste leggi contro l’omosessualità continuarono a essere presenti nell’ordinamento giuridico occidentale fino agli anni Sessanta e Settanta e, per questo, molti uomini e donne ebbero paura di rivelare il proprio orientamento sessuale fino a quando queste leggi vennero abrogate. I gay soffrirono di un trattamento particolarmente crudele all’interno dei campi di concentramento. Questo può essere attribuito sia al duro atteggiamento delle SS di guardia nei confronti dei gay, come pure agli atteggiamenti omofobici ben radicati nella società nazista. Alcuni morirono a seguito di feroci bastonature, in parte effettuate da altri deportati. I medici nazisti utilizzarono spesso i gay in esperimenti “scientifici” atti a scoprire il “gene dell’omosessualità” e poter così guarire i futuri bambini ariani che fossero stati omosessuali. Particolarmente crudeli le sperimentazioni del medico delle SS Carl Vaernet che effettuò uno studio su di un preparato a base di ormoni di sua invenzione sugli internati omosessuali nel campo di Buchenwald: circa l’80% degli internati sottoposti alla “cura” a base di massicce dosi di testosterone non sopravvisse. 41
Fredy Hirsch era ebreo omosessuale ed educatore. Ciò che riuscì a fare nell’abisso di Auschwitz prima di morire, fu – dal punto di vista educativo – una sorta di miracolo per diverse ragioni: per la possibilità di riflettere sul senso umano (e umanizzante) dell’educazione e dell’educare, in uno scenario storico considerato la massima esperienza di disumanità e cancellazione della dignità del soggetto, e per la straordinaria lezione di resilienza e resistenza che ci spinge a considerare alcuni aspetti metodologici della cura educativa e della relazione di aiuto in condizioni estreme. Il lettore sarà introdotto anche nei temi dell’Omocausto, sui quali solo da alcuni decenni si è cominciato a far cadere il velo del silenzio. Coloro che si imbattono in una pietra d’inciampo (Stolperstein) sono invitati a ricordare, a non dimenticare, a riflettere su quanto è accaduto in passato per ridare dignità a chi è stato privato di tutto, anche del nome, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l’attualità. Chi leggerà le pagine di questo libro andrà oltre il nome scritto sulla pietra d’inciampo che ricorda Fredy Hirsch. Raccontare storie ci salva, e raccontare l’ingiustizia restituisce alla memoria quel diritto a volte negato. Questo libro ci auguriamo sia accolto come un atto di giustizia verso quell’umanità che è stata violentata nei campi di sterminio.
Carlo Scovino
“Si inciampa prima con gli occhi, notando il luccichio della pietra che contrasta con il manto stradale, e ci si piega, quasi come in un inchino dovuto, per leggere e capire. Poi si inciampa con la mente.”
UN EDUCATORE AD AUSCHWITZ
CARLO SCOVINO è laureato in Scienze della Formazione, vive a Milano e lavora in un centro di salute mentale. Ha collaborato per molti anni con il prof. Claudio Mencacci, past-president della Società Italiana di Psichiatria, su progetti innovativi relativi alla riabilitazione psichiatrica e al processo di recovery. Pedagogista e formatore per diversi enti e associazioni, è membro del Comitato Scientifico di ANEP (Associazione Nazionale Educatori Professionali) e docente a contratto per l’Università degli Studi di Milano.
CARLO SCOVINO
UN EDUCATORE AD AUSCHWITZ
Una storia dimenticata: l’Omocausto ISBN: 978-88-6153-856-6
Euro 14,00 (I.i.)
9 788861 538566