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L’editoriale di Giuliano Latuga

A difesa del fortino

Gentili lettori,

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se il 2020 non è stato per molti un gran bell’anno per tantissimi motivi, ben noti, non è che il 2021 si stia accostando, almeno nel nostro settore, tanto meglio.

Oltre la pandemia, che è ancora tutt’altro che sconfitta, non si vede la famosa luce in fondo al tunnel, anche se è iniziata la campagna vaccinale.

Segnali inquietanti che giungono dal nostro settore non possono fare presagire momenti migliori a breve termine. La sicurezza stradale dipende dalle decisioni di un Ministero, quello dei trasporti. All’interno di questo numero troverete due articoli che illustrano quanta incertezza regna in questo Ministero e come sia controproducente ignorare che le conseguenze di tanta latitanza possono essere molto pericolose. Inoltre si assiste ad uno spettacolo indecoroso di difesa dello status quo a discapito di possibili inserimenti di nuovi posti di lavoro che, in questo periodo, sarebbero manna dal cielo. Gli articoli di cui ho fatto cenno riguardano: l’uno, l’aumento delle tariffe imposte dal Ministero in merito al compenso per l’esecuzione di una revisione, sia presso la Motorizzazione, sia presso un centro privato. L’altro articolo, in analogia di contenuto,

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l’emanazione di un decreto attuativo che cambierà il modo di effettuare i collaudi di aggiornamento della carta di circolazione in base all’articolo 78 del cds: apparentemente sembra debbano essere tolti dalle competenze della Motorizzazione, per affidarli più probabilmente alle officine che eseguono i lavori con deposito dei certificati presso l’archivio nazionale dei veicoli gestito dalla Motorizzazione stessa ,e già in uso per le comunicazioni degli utilizzatori dei veicoli a noleggio per più di 30 gg (art. 94 cds). Garantire questi servizi in modo efficace ed efficiente è garanzia di maggiore sicurezza stradale. Ma si è fatto strada recentemente un ulteriore atteggiamento di prevaricazione dell’ente pubblico verso il privato. Mi sto riferendo alla categoria degli ispettori delle revisioni. Per svolgere l’attività di ispettore delle revisioni è indubbio che si devono possedere delle capacità professionali importanti, e non si discute il contenuto del DM 214/2017 che recepisce in merito la direttiva europea del 2014. E’ dal 2014 che l’Europa si è data delle regole ben precise su come effettuare le revisioni su tutto il territorio comunitario. La stessa norma affida ai singoli Paesi l’obbligo di preparare i propri tecnici con una formazione adeguata. L’italia ha deciso con l’accordo Stato Regioni dell’aprile 2019 di creare un percorso formativo di 296 ore per abilitare un ispettore ad eseguire le revisioni dei veicoli a motore fino a 3,5 t ed un massimo di 16 posti compreso l’autista. Non solo: la partecipazione a questo corso è prevista solamente in presenza (in aula), salvo le deroghe concesse per la pandemia. Inoltre, la stessa normativa consente di avviare i corsi di modulo C da 50 ore che abilitano i già ispettori ad eseguire le revisioni per i veicoli con oltre 3,5 t, con alcune specifiche limitazioni. Ciò che a mio avviso è inaccettabile è che tutte queste attività di formazione si stiano bloccando perché il Ministero non ha ancora definito le modalità operative degli esami di abilitazione, che dovevano essere stabilite contemporaneamente alla pubblicazione dell’accordo sopra citato. Abbiamo tantissimi allievi che hanno concluso il percorso formativo dei moduli per i veicoli leggeri il 6 ottobre scorso e non sanno ancora quando dovranno fare l’esame.

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Ancora più grave è il fatto che non si sa nemmeno come si svolgerà questo fantomatico esame. Dopo aver speso tanto tempo e tanti soldi per aprirsi una prospettiva di lavoro dignitosa, si resta bloccati da una burocrazia miope e tiranna. Ancora peggio, questo induce molte imprese a chiudere perché viene a mancare un requisito fondamentale e indispensabile: l’ispettore, ovvero colui che è abilitato a svolgere questa attività. Non solo: alcune recenti circolari hanno stabilito che, per quanto riguarda l’inquadramento degli ispettori, sono stati individuati tre possibili operatori abilitati (relative ovviamente al settore revisioni pesanti). a) gli ispettori della Motorizzazione (cioè tecnici che operano alle dipendenze dell’apparato pubblico) b) gli ispettori privati (cioè tecnici che a loro spese hanno effettuato il percorso formativo) c) gli ispettori ausiliari (cioè i tecnici in quiescenza dell’amministrazione pubblica che possono essere richiamati in servizio come liberi professionisti). È noto anche all’opinione pubblica che la Motorizzazione da diversi anni versa in condizioni di difficoltà operativa a causa del depauperamento degli operatori attivi. Ci sono collaudi che devono garantire l’avvio di un’attività, come la verifica e la prova dell’installazione di una carrozzeria su di un autotelaio, che in certe provincie vengono prenotati a distanza di mesi e come i collaudi anche le revisioni dei veicoli pesanti. Con l’aggravante che alcuni paesi comunitari di confine hanno già minacciato di non consentire il transito a quegli automezzi che non risultassero regolarmente verificati alla circolazione. Con una situazione del genere anziché incentivare l’inserimento di nuove forze (ispettori privati) che possono quindi trovare una più che dignitosa forma di mantenimento, si corre a chiamare anziani operatori che sono anche oltre la soglia dei 70/80 anni, che meriterebbero di godersi la pensione in santa pace e non di tornare a lavorare per togliere il posto ad un giovane. Tutto questo suona come voler difendere ad ogni costo il proprio fortino. Poi succede come nel 1992, quando si annunciava con il nuovo Codice

della Strada l’avvento di una rivoluzione straordinaria del settore, con il passaggio della scadenza delle revisioni leggere da una periodicità di 10 + 5 + 5 anni a 4 + 2 + 2 ecc. anni. Questo prevedeva un incremento di prove annuali dell’800%. In quel caso il direttore della Motorizzazione non esitò nemmeno un minuto a mettere in pista una grande operazione di marketing. Privatizzando le attività di queste revisioni non solo il Ministero non spese un centesimo per garantire il servizio, scaricando sui privati ogni onere, ma si assicurò una cospicua ulteriore entrata data dal pagamento del “bollettino” o “credito” che si deve versare per ogni accesso al CED (mediamente stiamo parlando di 10,20 euro per 15 milioni di operazioni, oltre 150 milioni di euro che entrano annualmente nelle casse dello Stato per aver messo a disposizione del sistema un CED di raccolta dati, anche questo nato dalla fervida fantasia di quel geniale direttore generale della Motorizzazione). Le regole e le opportunità per consentire un’apertura che in tanti altri Paesi comunitari è già ormai da anni la normalità esistono, e basterebbe renderle operative con i decreti attuativi per i quali o sono già scaduti i termini o lo saranno a fine gennaio 2021. Ne godrebbe l’economia, la sicurezza e il futuro di tanti ragazzi che seriamente si stanno impegnando per inserirsi nel mondo del lavoro. Mi auguro che questa situazione incresciosa che si protrae da troppo tempo, portata a conoscenza della nuova dirigenza ministeriale, possa sbloccare definitivamente un settore che potrebbe diventare un fiore all’occhiello di qualsiasi amministrazione pubblica e di conseguenza della sua dirigenza..

di Umberto Romagnoli Via Nazario Sauro, 26 - BOLOGNA cell. +39.338.3323343 - P.Iva 0172931120

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