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di Melania Lunazzi

PICCOLO VIAGGIO IN VAL RESIA

@mellun71

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Tra tradizioni, fierezza, paesaggi incantati e panorami multicolore, in una delle valli più integre del FVG

Testo a cura di Melania Lunazzi - foto di Daniele Buttolo, Marco Di Lenardo, Gabriele Pascutti

Raccolgo qualche foglia caduta e rimango in ascolto del Torrente Resia, che dà il nome alla valle e scorre verso Resiutta per poi gettarsi nel Fiume Fella a mischiarsi, limpido, al Tagliamento: un’acqua preziosa, tutta la vallata ne è ricca, anche nel ramo che sale a Sella Carnizza e scende verso Uccea. Sono partita a piedi da Stolvizza per seguire in discesa il Ta Lipa Pot, il facile sentiero ad anello che consente di esplorare una parte del fondovalle resiano, uno degli itinerari pensati per accogliere gli amanti delle passeggiate nello scenario naturale di questa valle appartata e, in qualche modo, nascosta. La Val Resia è una delle porte d’accesso alle Alpi Giulie: è da qui che i pionieri friulani dell’alpinismo a metà Ottocento hanno intrapreso le prime salite verso il Monte Canin, che con i suoi bastioni occidentali chiude e domina la vallata, lunga quasi venti chilometri nella sua estensione Ovest - Est.

Un accesso sicuramente non semplice, quello al Canin da questo versante. Allora come oggi è da affrontare solo se si ha una certa esperienza, da Malga Coot e da Casera Canin in su accontentandosi, se si è neofiti, di guardare i ripidi pendii dal basso, come ho fatto io oggi, attraversando i boschi del fondovalle che cominciano a trascolorare con tutto il loro fascino.

La bellezza, anche a fondovalle, non manca e non è un caso che in resiano Ta Lipa Pot significhi proprio “il bel sentiero”. Questo anello di dieci chilometri è adatto a tutti - ha anche una variante breve -, è facilmente individuabile, ben tracciato Panoramica della valle

e si può percorrere a piedi in quasi tutte le stagioni dell’anno, offrendo il giusto equilibrio tra ambiente naturale e antropizzazione. E poi il dislivello in salita è trascurabile, solo centocinquanta metri, e si fa senza fatica. Supero il Torrente Resia e gli stavoli della località Tu - w Loo, passo attraverso qualche campo adatto alla coltivazione per risalire di nuovo a Stolvizza, una delle cinque frazioni della valle. Qui le case conservano in gran parte ancora l’architettura originaria: la base rocciosa su cui poggiano le ha salvate dalla violenza del terremoto del 1976, che non ha risparmiato invece le abitazioni delle altre frazioni, rase al suolo e ricostruite con materiali e forme diversi. Mi fermo davanti al monumento all’arrotino, una grande lastra in bronzo che riproduce un arrotino al lavoro in sella alla bicicletta dotata di mola. Per decenni questo è stato il mestiere di molti resiani, che pedalavano per centinaia di chilometri affilando forbici, coltelli e altri strumenti della quotidianità. Dietro la bella chiesa del paese il Museo dell’arrotino li raccoglie e documenta l’attività di questi artigiani con belle immagini e documenti ed è uno dei segni distintivi dei resiani assieme ai balli, al carnevale, alla lingua e al pregiato e raro aglio.

Di fronte al momunento, al Bar All’arrivo, ci sono diversi avventori e già dall’esterno si percepisce un’atmosfera cordiale, quella spontanea di una comunità coesa, saldamente ancorata alla propria terra e identità, ma pronta ad accogliere il visitatore con gioia.

Una parte del sentiero Ta Lipa Pot

L’Assessore Gabriele Pascutti e Gigino Di Biasio

Rispondo al saluto di chi mi vede passare e, ora che ho fatto il pieno di endorfine e aria pulita, mi affretto per scendere a Prato di Resia, dove ho appuntamento all’Osteria alla Speranza con l’assessore alla cultura Gabriele Pascutti, giovane architetto impegnato sul territorio. “Stolvizza è uno dei nostri centri che, grazie alla presenza dei due musei (l’altro è il Museo della Gente della Val Resia, ndr) e anche alla cura dei sentieri, ha un po’ di fermento turistico. L’amministrazione ha sempre investito negli anni sulla cura e manutenzione dei sentieri, in valle ce ne sono diversi da percorrere, ciascuno con un tema (si trovano descritti sul sito www.ecomuseovalresia.it). Mi sento di dire che come i nostri, Stavoli Gnivizza

nella montagna friulana, ce ne è davvero pochi, così gestiti da una amministrazione. E’ un lavoro di squadra tra il Parco Naturale delle Prealpi Giulie, il comune e alcune associazioni, che periodicamente sfalciano i tracciati per 51 chilometri”. Mentre mi parla dischiude la mappa di un settore della valle su cui è riportato, oltre al Ta Lipa Pot anche un secondo anello, più basso e più grande: “Vedi? Questo sarà il Ta Stara Pot - letteralmente “il vecchio sentiero” - il nuovo progetto sentieristico che, visto il successo del primo anello ricalcherà dal prossimo anno tracciati già esistenti per collegare le località di San Giorgio, Gniva, Oseacco e Prato di Resia: verrà segnalato e accuratamente mantenuto con lo sfalcio.”

Un altro sentiero di fondovalle che omaggia il turismo lento dunque e permette di stare immersi nella natura, anche in autunno inoltrato. Sarà invece un omaggio ad Ardito Desio, il famoso geologo ed esploratore che ha coordinato la conquista italiana del K2 in Karakorum, il sentiero - più impegnativo - che risale da Coritis le meravigliose faggete del Parco Naturale delle Prealpi Giulie fino a Casera Canin (il 642) perché Desio lo ha percorso più volte per preparare la sua tesi di laurea sul periodo glaciale della Val Resia. Ancora pochi sanno che quel sentiero è stato percorso il 14 marzo 1956 anche da uno dei più grandi alpinisti della storia, Walter Bonatti - che fece parte due anni prima della stessa spedizione del K2 assieme ad un altro friulano, Cirillo Floreanini - per dare inizio alla sua straordinaria traversata delle Alpi con gli sci. Nel 2016 la traversata di Bonatti è stata ricordata, qui in valle, con ospiti alcuni forti sciatori della regione.

Ora accanto a noi si è seduto anche “Gigi”, Gigino Di Biasio. È lui il proprietario della trattoria Alla Speranza, che qui in valle è un punto di riferimento e ritrovo per i valligiani, oltre che una locanda molto apprezzata dai visitatori. Gigi vorrebbe che la sua valle fosse più viva, più organizzata per il turismo, ma riconosce la qualità delle iniziative fatte fin qua: “Fino al 2000 il trend di abbandono dei campi era costante dagli anni Cinquanta. Poi si è riusciti a far mettere a coltura l’aglio (il famoso strok, ndr) che ha suscitato un notevole interesse, ma andrebbe fatto di più per attirare le persone.” Gigi per quanto Faggeta Barman

può ci mette del suo e qui si possono gustare pietanze meravigliose: imperdibili le cjalçune, grandi e gustosi fagotti a triangolo con farina e patate ripieni di erbe e altro che mi ricordano per il loro torreggiare i magnifici cappelli resiani indossati per il Carnevale. Quel carnevale che anche nella trattoria di Gigi viene messo in evidenza con la conservazione delle ceneri del fantoccio bruciato ogni anno, così come alle pareti si trovano esposte decine e decine di fotografie di vari suonatori della Val Resia: una sorta di memoriale a disposizione di tutti.

Saluto i gentili ospiti della valle e il piacevole clima della trattoria per fare ancora due passi. Mi sposto verso Sella Carnizza passando per Lischiazze, dove è presente una foresteria, che assieme a qualche bed&breakfast e casa vacanza è una delle non numerose forme di ospitalità della vallata, oltre all’unico albergo: “I posti letto sono un centinaio ufficialmente - mi spiega Patrizia Crespi, guida turistica che ha scelto di abitare in valle - ce ne vorrebbero di più, perché le richieste non mancano. Magari bisognerebbe convincere i proprietari delle tante abitazioni chiuse, residenti altrove, a metterle a disposizione come è stato fatto da altre parti in montagna, con l’albergo diffuso ad esempio”.

Superata Lischiazze la strada comincia a piegarsi in diversi tornanti per raggiungere la sella che fa da spartiacque e offre uno sbocco verso la Slovenia, percorsa da diversi motociclisti in un senso e nell’altro. Anche qui si attraversa una faggeta di grande

bellezza e in alto si approda ad una sorta di altipiano incastonato tra Alpi e Prealpi Giulie: non a caso era stato scelto come luogo strategico militare, sia durante la Prima Guerra Mondiale sia durante la Guerra Fredda. Oggi i pastori fanno pascolare gli animali e vi si trovano due baite con ristoro, frequentate anche dai camminatori che percorrono il Cammino Celeste verso Casera Nischiuarch e la Valle di Uccea, immersi nella ricca vegetazione che regala ombra e fresco nei mesi caldi. Sento cadere qualche goccia di pioggia e ripiego in auto, per collegarmi nel rientrare a valle ad uno dei frizzanti podcast realizzati da Virna Di Lenardo e Gianluca Da Lio, due giovanissimi con origini resiane. Bibliotecaria con laurea in comunicazione lei, attore di teatro con laurea in antropologia lui, il loro amore per la valle li ha portati durante il lockdown a ideare il progetto “Krama: Mercanti di storie” (che in resiano è la cassa che i commercianti della valle, Kramarij, si portavano sulle spalle) e un canale podcast con due rubriche: quella omonima dove raccontano dialogando aspetti della cultura e della tradizione di Friuli Venezia Giulia e Veneto e Kaku Sa di? (letteralmente: come si dice?) dove trattano aspetti dell’idioma resiano. Le trasmissioni si possono ascoltare online. I loro occhi brillano di entusiasmo, le voci allegre mi accompagnano nella sensazione di calda ospitalità, amore e magia che suscita questa vallata quando dicono all’unisono “Perché sono i luoghi che fanno le persone e le persone che fanno i luoghi!”. Faggeta Barman dall’alto

NUTRIRSI COSCIENZIOSAMENTE

Intervista alla Dott.ssa Mariarosaria Valente

Testo a cura di Veronica Balutto e consulenza del Dott. Sebastian Laspina - Foto d’archivio e Unsplash

Lo Studio Laspina si avvale di collaborazioni importanti nell’ambito di vari settori. Quest’uscita è dedicata ad un personaggio di rilievo nel mondo della medicina e della nutrizione, la dottoressa Mariarosaria Valente, che fornisce ai lettori di Mia Magazine qualche prezioso consiglio per uno stile di vita sano e bilanciato.

Potremmo definirla una professionista “multitasking”: Mariarosaria Valente è medico chirurgo, con specializzazione in Anestesia e Rianimazione ed in Neurologia e con numerosi interessi. Da qualche anno ha iniziato ad approfondire il mondo dell’alimentazione, al fine di utilizzare la nutrizione come supporto ai farmaci in alcune malattie neurologiche.

Parliamo della sua preparazione e di come è arrivata ad abbracciare il mondo della nutrizione, sua grande passione.

Ho lavorato come rianimatrice presso la terapia intensiva del Policlinico Gemelli (Università Cattolica del S.Cuore) per circa dieci anni. Sono specialista in Neurologia, ed attualmente lavoro presso la Clinica Neurologica dell’Università di Udine (Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale), in qualità di professore associato. Come filosofia di vita, credo che nutrirsi nel modo corretto faccia la differenza per ciascuno di noi. Nel mio percorso personale, ho sempre cercato di controllare il peso e di non lasciarmi mai andare: la vita è una continua sfida e l’agguato di qualche kg in più è sempre alle porte, specialmente per chi, come me, ha avuto più di una gravidanza (cinque figli, NdR). Qualche anno fa rimasi molto colpita, durante un congresso scientifico, dalla possibile applicazione della dieta chetogenica in alcune patologie neurologiche, in particolare nell’epilessia farmacoresistente. La dieta chetogenica è una dieta che, a fronte di un apporto proteico normale, sfrutta a scopo energetico i grassi al posto degli zuccheri, favorendo la produzione di corpi chetonici che sono gli stessi che produciamo nel digiuno. I corpi chetonici svolgono numerose azioni, in particolare quella antinfiammatoria ma anche di attivazione metabolica e di rinnovo strutturale delle cellule. Nella pratica clinica, in collaborazione con due biologhe nutrizioniste, la stiamo attualmente proponendo nella terapia dell’emicrania e per il trattamento della fatica nella Sclerosi multipla. Va detto però che un regime dietetico chetogenico deve essere seguito per un periodo limitato e sotto stretto controllo dello specialista. A parte la dieta chetogenica e le sue possibili applicazioni te-

rapeutiche, credo fermamente che tutti i farmaci, di cui oggi ampiamente disponiamo, vadano supportati da una corretta alimentazione e da un corretto stile di vita per funzionare al meglio. In particolare i farmaci dovrebbero essere utilizzati per combattere le malattie e non per correggere le conseguenze di uno stile di vita errato. Questo potrebbe farci cadere in un deleterio circolo vizioso.

Mangiare bene per uno stile di vita sano. Quali, vista la sua esperienza, i consigli da seguire?

Credo che ciascun alimento, se assunto in quantità adeguate e senza alterazioni, possa essere buono. E con questo intendo alimenti naturali, cucinati in maniera semplice e conditi quel poco che serve a non ledere le caratteristiche originali dell’alimento stesso. In generale dovremmo sempre optare per alimenti freschi, genuini e poco artefatti. Prevalentemente crudi o poco cotti.

Che cosa significa avere una buona alimentazione antiinfiammatoria?

Gli sbagli più comuni sono quelli legati all’associazione non corretta dei cibi: anche unire più tipi di proteine è sbagliato; nell’intestino ogni alimento segue una via di assorbimento diversa ed ogni processo addizionale lo affatica inutilmente.

Scendendo nel pratico, facciamo qualche esempio. Ci sono cibi che si possono evitare per migliorare psoriasi, dermatiti e malattie della pelle?

Per favorire un benessere generale dell’organismo è buona norma mangiare a basso indice glicemico, cercando di mantenere un tenore di calma insulinica. Più che evitare completamente i carboidrati è importante ad esempio combinare bene gli alimenti, mangiare con pochissimo zucchero e poco sale. Un esempio pratico? Non mangiare da solo il riso ma abbinarlo sempre alle verdure per abbassarne l’indice glicemico. Evitare gli insaccati soprattutto perché sono alimenti processati, consumare la carne rossa con estrema moderazione e ridurre il glutine. La riduzione drastica del glutine aiuterà anche i soggetti afflitti da problemi di pelle. La dermobiotica si occupa del supporto che può essere dato alla cura delle malattie della pelle intervenendo sulla salute del microbiota intestinale attraverso anche una corretta alimentazione. Non è casuale che l’acne venga anche chiamata il diabete della pelle. Quale migliore esempio di connessione?

Diamo un consiglio alle lettrici sempre in lotta con la tiroide: possiamo cercare di farla funzionare al meglio con l’alimentazione?

Generalmente viene consigliato di eliminare la soia per chi sof-

“SAREBBE IMPORTANTE CHE CIASCUNO ACQUISISSE PRINCIPI NUTRIZIONALI DA PORTARE CON SÉ COME BAGAGLIO CULTURALE FIN DA BAMBINO, PER TUTTA LA VITA. MANCA UNA CULTURA EDUCATIVA IN TAL SENSO!”

fre di patologie legate alla tiroide. Il problema, a mio parere, non è la soia in sé, ma sono tutte le sostanze nocive che ingeriamo con la soia OGM tutti i giorni. I Giapponesi, ad esempio, mangiano molta soia, ma le loro coltivazioni sono più naturali ed i fitoestrogeni contenuti nei loro prodotti hanno mostrato di svolgere una funzione protettiva nei confronti di alcuni tumori. Un altro aspetto da sfatare è il mito del sale iodato. Bisogna considerare che il sale che utilizziamo è spesso processato e che il sale marino viene estratto da un mare inquinato. Il salgemma (tipo il sale dell’Himalaya od altri) è sicuramente meno artefatto. È raccomandabile comunque abituarsi a mangiare senza sale.

Un consiglio alimentare per il settore maschile?

Per il gonfiore addominale, che spesso affligge la popolazione maschile, un consiglio valido può essere quello di porre attenzione alla regolarità ed alla salute dell’intestino. Il gonfiore addominale spesso è indice di disbiosi. Il nostro intestino è una nicchia ecologica ed è popolato da numerosi microrganismi che ne assicurano un corretto funzionamento (eubiosi). L’equilibrio tra microrganismi amici e microrganismi patogeni è una condizione che va mantenuta con un’alimentazione corretta ed una pulizia adeguate. In caso di disbiosi persistente, è consigliabile rivolgersi ad uno specialista della nutrizione

Qual è, nella sua visione, il regime alimentare più valido?

Non credo che, in linea generale, ci sia un regime alimentare più valido di un altro, se non nelle specificità precedentemente accennate. Sarebbe importante che ciascuno acquisisse principi nutrizionali da portare con sé come bagaglio culturale fin da bambino, per tutta la vita. Manca una cultura educativa in tal senso!

Se dovessimo trovare il giusto compromesso tra “regime dietetico” e “libertà”, nell’ottica del vivere bene ed in armonia con noi stessi, pensa sia possibile raggiungere questo equilibrio? Se si in che modo?

Per il nostro modo di vivere occidentale, il fine settimana è sempre il momento più pericoloso e delicato per il regime alimentare. Un consiglio molto generale è quello di essere rigorosi dal lunedì al venerdì, per poi concedersi un po’ più di libertà (una volta sola a pranzo o a cena) durante il weekend. Personalmente, la domenica sera non ceno mai: bevo soltanto una tisana. Un piccolo periodo di digiuno ripulisce ed aiuta ad affrontare la settimana con più energia.

Entriamo nel suo quotidiano: come si mangia in casa Valente?

I miei tre figli maschi sono completamente vegetariani per scelta etica. Sono tutti ragazzi sani e sportivi che non hanno mai risentito la privazione di carne o pesce. Io, invece, sono onnivora e mangio molto pesce, uova, legumi e formaggi poveri di lattosio, stando molto attenta alla qualità ed alla provenienza delle materie prime.

Una ricetta per una colazione appetitosa e salutista?

La colazione è un pasto importantissimo che deve essere sempre bilanciato tra carboidrati, proteine e grassi. È una scelta un po’ sartoriale…ognuno deve cucirsi addosso la composizione che preferisce che non necessariamente deve essere abbondante. Un esempio? Uno yogurt o del latte vegetale (non di soia né di riso) senza zuccheri con cereali privi di glutine, un po’di cioccolato fondente e un po’ di frutta oleosa, importante perché contiene proteine e sali minerali. Un frutto fresco a metà mattina.

E un pranzo?

Anche il pranzo deve essere bilanciato, la raccomandazione è sempre quella di mangiare un’insalata condita con olio e limone, senza aceto né sale, prima del secondo piatto. Questo permette di “foderare” lo stomaco, induce sazietà, legata anche al tempo che impieghiamo a masticarla, ed aiuta a ridurre la velocità di assorbimento dei carboidrati che eventualmente volessimo assumere poi, prima delle proteine.

Decalogo consigli: buone norme di alimentazione.

Si tratta di tornare a valorizzare quello che, nel Medio Evo, era per Hildegard von Bingen il principio della “Subtilitas”, ossia il ritorno all’essenza delle cose.

Pensando a 10 fondamenti o buone norme, le riassumerei cosi: 1) Prediligere un’alimentazione semplice. 2) Cucinare in modo elementare e leggero. 3) Mangiare cibi freschi, crudi o cotti, ma conditi al minimo per gustarne i sapori originari. 4) Mangiare con moderazione. 5) Mangiare lentamente (non mangiare mai in piedi, né camminando). 6) Bere al minimo durante i pasti. 7) Idratarsi lontano dai pasti. 8) Mangiare ogni giorno frutta e verdura crude (i vegetali sono ricchi di clorofilla che rappresenta una sferzata di energia per i nostri organi e per il cervello). 9) Distribuire i pasti proteici durante la settimana tra pesce (tre porzioni) uova (quattro-cinque uova) legumi, carne bianca, formaggi stagionati (privi di lattosio), ridurre al minimo le carne rossa, evitare gli insaccati. 10) Condurre uno stile di vita sano ed equilibrato, controllando l’alimentazione, favorendo il movimento, curando al massimo il rispetto del ritmo sonno - veglia.

VITA E SCELTE CORAGGIOSE DI UN GIOVANE IMPRENDITORE

Vittorio Svara, determinazione e radicamento sul territorio

Intervista a cura della redazione - Foto di Vittorio Svara

roccioso e prevalentemente in pendenza, è inadatta ad altri tipi di colture, ma praticabile per l’ulivo. Inoltre, da informazioni assunte presso il nostro agronomo, abbiamo saputo che nei primi del Novecento, nel paese di Medeazza, c’erano già piantagioni di ulivi della varietà bianchera, che è appunto autoctona della zona, le cui coltivazioni sono state purtroppo annientate dal terribile freddo dell’inverno del 1928-1929, quando, raccontano, si era gelato anche il mare prospiciente la costa. Altro fattore che ci ha spinti nella scelta di produrre olio è il fatto che, di per sé, questo è un prodotto vitale, pieno di storia e di carisma, e ci è così sembrato di fare qualche cosa che, alla fine, fosse utile anche al territorio, all’ambiente ed alla collettività.

Qual’è stata la scelta che hai voluto fare per distinguere il tuo lavoro e garantire l’unicità del prodotto?

Per il mio olio ho scelto la produzione biologica, che ben si sposa con gli insegnamenti ricevuti, dando priorità alla qualità del prodotto anche a discapito della produttività, e la ferma intenzione di abbracciare la sostenibilità ambientale come uno dei punti fondanti dell’azienda. Una delle motivazioni che ha consentito e continua a favorire tale scelta è l’ubicazione del terreno su cui è stato eseguito l’impianto dell’uliveto, che si trova lontano da centri urbani ed attività agricole intensive, in un contesto rurale dove l’elevata ed incontaminata biodiversità garantisce già da sola una buona protezione contro i parassiti, tanto che, dal mio punto di vista, sarebbe stato scellerato rovinarla con metodi di coltivazione tradizionali.

Vittorio Svara è un giovane imprenditore, appassionato, curioso e competente. Nonostante la giovane età ha le idee molto chiare su quella che è la attuale situazione del Paese e ha potuto testare sulla sua pelle le gioie e i dolori che il lavoro in campagna sà dare. Ha fondato la sua azienda sul Carso, coinvolgendo tutta la famiglia, dalla quale ha ereditato la passione per la campagna. Lo abbiamo intervistato perchè crediamo che ci vogliano più giovani coraggiosi e lungimiranti come lui, al giorno d’oggi.

Raccontaci chi sei, il tuo percorso e quali sono le tue passioni.

Ho ventisei anni. Ho conseguito il diploma presso l’Istituto Tecnico Giovanni Brignoli di Gradisca d’Isonzo ed attualmente sono iscritto presso la facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di Trieste, percorso non facile da seguire visto il lavoro che faccio ma del quale accetto la difficoltà, per passione, determinazione e sfida. Ho molte passioni, spazio dalla storia antica, in particolare storia romana, alla biologia, da varie attività all’aria aperta fino all’agricoltura.

Quando hai capito di voler fare l’agricoltore e come nasce la tua azienda?

Ho capito di voler lavorare in questo settore durante la frequentazione delle scuole elementari, quando già allora passavo molto tempo in campagna dalla nonna materna. La cosa che più mi affascina del mio lavoro è il senso di soddisfazione che dà il lavorare a stretto contatto con la natura e il vedere il risultato del proprio lavoro maturare sotto i propri occhi, giorno per giorno. L’azienda nasce nel 2005 su iniziativa di mia madre con l’intento di creare una realtà compatibile con il percorso di studi all’epoca scelto. Terminati gli studi superiori ho iniziato a prendere parte alla vita aziendale fino a subentrare come coadiuvante prima e titolare attivo poi. L’appezzamento di terra è composto da cinque ettari, due di questi ad uliveto con settecento piante di ulivi di ben otto varietà diverse, e altri tre ettari di bosco adiacenti. L’impianto si trova nel piccolo paese prettamente agricolo di Medeazza, comune di Duino Aurisina, nelle vicinanze del fiume Timavo e lungo i percorsi della Grande Guerra del Monte Hermada.

Perchè proprio l’olio?

È stato scelto di fare l’olio poichè la conformazione del terreno

A tutto ciò va aggiunto che, casualmente, a pochi mesi dall’acquisto del terreno, l’intera zona è stata fatta rientrare nella rete del progetto europeo Natura 2000, talmente vincolante ai fini ambientali, che la sola pratica per l’ottenimento delle autorizzazioni per l’impianto degli ulivi ha richiesto anni, cosa che è stata terribilmente penalizzante e onerosa ai fini dell’avviamento dell’azienda, ma per fortuna oggi è uno dei nostri punti di forza poiché tutela le nostra decisione di praticare l’agricoltura biologica.

Cosa significa essere un giovane imprenditore al giorno d’oggi, quali sono i rischi e quali sono le soddisfazioni?

Essere imprenditore al giorno d’oggi è molto gravoso, gli ostacoli sono innumerevoli, ci sono momenti di scoramento dovuti sia alle difficoltà connesse al lavoro, sia alla solitudine in cui ci si trova ad operare e manca, a mio modesto avviso, sia da parte delle istituzioni che da parte degli enti territoriali, la piena percezione di quanto un giovane imprenditore sottragga alla propria vita a favore dell’impresa, affinchè questa nasca e prosperi, e diventi sì la sua fonte di lavoro e sostentamento, ma anche linfa vitale per la società. I rischi sono quelli connessi all’imprenditore e cioè il perenne timore di difficoltà economiche legate a vari fattori, ad esempio eventi atmosferici avversi imprevedibili eppur sempre possibili in agricoltura, con contraccolpi anche pesanti sul piano finanziario, problemi commerciali, problematiche di costi sempre crescenti, una burocrazia soffocante, e via dicendo. Quello che sovrasta e compensa, almeno in parte, quanto sopra esplicitato, e che permette di continuare nell’iniziativa imprenditoriale, è unicamente la grande passione con la conseguente dedizione alla realizzazione di quelli che sono una speranza ed un desiderio, coltivati ancor dall’adolescenza ed anche l’apprezzamento dimostrato da parte della clientela, in particolare per quello che riguarda l’alta qualità e l’unicità del prodotto generato.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

I progetti futuri sono strettamente dipendenti dal trend aziendale e dai risultati dei prossimi anni e, qualora questi risultassero in linea con le speranze, potrei cercare di ampliare la dimensione aziendale ed eventualmente diversificare la produzione e, perché no, evolvere l’azienda anche in altri settori.

Quali sono le caratteristiche che ami del territorio carsico?

Del Carso amo la diversità del territorio, la sua singolarità sia nel paesaggio che nella sua storia, il suo essere il punto di incontro tra la cultura mediterranea e quella mitteleuropea; seppur invidio l’agevolezza che offre la coltivazione in pianura, rispetto a quella del terreno carsico, prettamente roccioso, calcareo e impervio, quasi inadatto alla pratica dell’agricoltura epperò, mi sento di aggiungere, così fortemente in grado di regalare prodotti unici ed estremamente pregiati.

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