teriali, alla loro storia critica e alle stesse dichiarazioni d’intenti dei loro autori ha riservato per me delle sorprese inattese: la conferma, certo, del cosciente richiamo a quella che Roberto Longhi, già nel 1914, al di là di qualunque contestualizzazione storica, indicava come una «fastidiosa brezza barocca che dura da Bernini a Rosso»4; ma anche il riconoscimento di una sostanziale assenza di riferimenti precisi tanto all’indiscusso padre della scultura barocca, Gian Lorenzo Bernini appunto, quanto ad altri maestri del XVII secolo, quali Alessandro Algardi o Francesco Mochi. Sempre Longhi, nel 1913, a proposito della pittura futurista aveva scritto:
Nell’intervista sopra riportata del 1963, come si è visto, Fontana sembrava quasi prendere le distanze da quella qualifica di “barocco” che fin dagli anni Trenta veniva “impropriamente”, a suo dire, assegnata alla sua opera in ceramica. È vero, però, che lo stesso Fontana, nel 1946, sarebbe stato il principale ispiratore per i giovani allievi dell’Accademia di Buenos Aires autori del Manifesto Blanco, nel quale si affermava che «Lo spazio viene rappresentato con ampiezza ogni volta maggiore durante diversi secoli. I barocchi fanno un salto in questo senso: lo rappresentano con una grandiosità non ancora superata e aggiungono alla plastica la nozione del tempo. Le figure sembrano abbandonare il piano e continuare nello spazio i movimenti raffigurati»8. Cinque anni più tardi, nel Manifesto tecnico dello spazialismo, lo stesso Fontana scriveva, riprendendo quasi letteralmente quanto già scritto nel Manifesto Blanco:
«il problema del futurismo rispetto al cubismo è quello del Barocco di fronte al Rinascimento. Il Barocco non fa che porre in moto la massa del Rinascimento […] Al cerchio, succede l’ellisse […] Ora venendo dopo i cubisti […] i nuovi pittori si propongono di conservare la cristallizzazione cubistica della forma, e imprimerle moto […] Ne risulta […] la profonda legittimità della nuova tendenza, e la sua superiorità sul cubismo»5.
«È necessaria la superazione della pittura, della scultura, della poesia. Si esige ora un›arte basata sulla necessità di questa nuova visione. Il barocco ci ha diretti in questo senso, lo rappresenta come grandiosità ancora non superata ove si unisce alla plastica la nozione del tempo, le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio i movimenti rappresentati»9.
Del resto già Heinrich Wölfflin, nel 1908, aveva scritto: «Non si misconoscerà che il nostro tempo sia affine al Barocco italiano»6. Lo stesso Longhi, molti anni più tardi, nel 1949, avrebbe poi parlato suggestivamente di «patetico barocchetto spoletino» a proposito dell’opera dell’amato Leoncillo7, ma si trattava ancora una volta di un barocco come eterna categoria dello spirito e della visione. È ben noto come uno degli elementi cardine del Ritorno all’ordine in Italia, già a partire dal secondo decennio del Novecento, sia stato il programmatico richiamo ai modelli della pittura del Tre e Quattrocento da parte di Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Felice Casorati e altri ancora. Nel caso di alcuni di loro, dallo stesso Carrà ad Arturo Martini, già da tempo la critica ha rinvenuto nelle loro opere rimandi puntuali anche alla scultura antica (dall’etrusca alla romana), così come a quella del Medio Evo e del Rinascimento (si pensi ad esempio agli studi di Flavio Fergonzi su Martini). Da quella stessa linea di ricerca si è inteso ripartire qui, con l’obiettivo, cioè, di stabilire se simili nessi, espliciti ed inequivocabili, fossero rintracciabili anche nelle opere dei tre artisti protagonisti di questa mostra. Non si poteva, allora, non ascoltare prima di tutto la voce stessa di tali protagonisti, a partire da Fontana, l’unico fra i tre ad aver avuto precise ambizioni teoriche, e non a caso, quindi, l’unico ad aver chiamato in causa esplicitamente il Barocco in più scritti pensati per una circolazione pubblica (e scalati in un ampio arco temporale). Sempre a proposito di Fontana, più che non per Melotti e Leoncillo, e inoltre in anni precedenti, la critica ha speso più volte l’aggettivo o il sostantivo “barocco”. Da un punto di vista storiografico, insomma, il peso di Fontana nella discussione intorno al tema del ritorno al Barocco è senz’altro preponderante.
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Fontana era potentemente evocativo in questi brani, ma non indicava con precisione modelli e genealogie artistiche alle quali intendeva rifarsi. Certo è naturale, in rapporto proprio al concetto di Spazialismo, pensare a quello berniniano di Bel composto, con quella compenetrazione di architettura con pittura e scultura che Fontana intendeva riproporre in chiave contemporanea. Nel 1950 Guido Ballo avrebbe colto bene questo rapporto sottotraccia di filiazione tra il Bel composto e lo Spazialismo: 4 Longhi 1914 [1961], p. 133. 5 Longhi 1913 [1961], p. 48. Ezio Raimondi, citando e discutendo Longhi, ha significativamente intitolato Il cerchio e l’ellisse un capitolo del suo suggestivo saggio Barocco moderno (Raimondi 2003, pp. 70-96), al quale si rimanda anche per una più ampia contestualizzazione del pensiero del giovane Longhi in rapporto a Wölfflin e alla Scuola di Vienna. 6 Wölfflin [1908], 1928, p. 129. 7 Longhi 1949 [1984], p. 69.
«E perché un anno fa, in una sua mostra al Naviglio, non esponeva ceramiche, ma creava un ambiente spaziale: le forme si richiamavano in una luminosità diffusa […] Poteva sembrare scenografia: era una grande ceramica, dove le forme libere si richiamavano tra loro in sordina, con un effetto suggestivo, e lo spazio diventava quasi palpabile, aderendo alle forme. Eravamo dunque alle estreme conseguenze del mito barocco»10.
Dal punto di vista della storia critica in senso stretto, quel concetto era stato elaborato già nelle prime biografie berniniane del 1682 e 1713 (Filippo Baldinucci e Domenico Bernini). È curioso notare che la prima edizione moderna italiana della biografia di Baldinucci sarebbe stata pubblicata nel 1948, a cura di Sergio Samek Ludovici, per i tipi delle edizioni del Milione, facenti capo all’omonima galleria
8 La citazione è tratta dalla traduzione in italiano dello stesso Fontana, cfr. Fontana 1946 [1970], pp. 119-120; cfr. anche Crispolti 2002, p. XLI. 9 Fontana 1951 [1970]. 10 Per la citazione di Ballo si veda Pancotto 1991, p. 25.
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