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comeMagazine
ABRUZZESE IN UN FREEPRESS
ANNO 5 - NUMERO 27 -FEBBRAIO / MARZO 2013
LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
c come
Inserto AMA 2013
Speciale Viola
Sandro Ferretti
Anteprima Montepulciano d’Abruzzo
Zafferano e tartufi, la nostra terra
L’insostenibile leggerezza del dolce
PA S S I O N E
I TA L I A N A
Fabbrica Sedie, Tavoli e Sofà 65013 CITTÀ S. ANGELO (PE) ITALIA TEL: +39 085 95201 - FAX: +39 085 9500288 - www.fabercsa.com - info@fabercsa.com
SUPPLEMENTO AL NUMERO CO COME MAGAZINE N. 27
COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE / FOTO MICHELE CAMISCIA / MODIV - CAMERA COMMERCIO CHIETI
La promozione comincia dall’Abruzzo Una buona mossa verso l’unione di intenti, una stretta di mano fra gli operatori e il tentativo di fare squadra. La prima edizione di Anteprima Montepulciano d’Abruzzo (AMA 2013) che si è svolta il 2 e il 3 marzo nel Centro Espositivo della Camera di Commercio di Chieti in via F.lli Pomilio ha superato i 2000 visitatori, tutti con un bicchiere da degustazione in mano, in soli due giorni.
c come inserto / anteprima montepulciano d’Abruzzo
La parola d’ordine di questa iniziativa è stata emergere, ma insieme, perché la promozione deve partire da un amore incondizionato per la propria terra, accantonando il protagonismo. Il valore di ognuno lo decide, come sempre, il mercato.L’evento è stato promosso dal Centro Regionale per il Commercio Interno delle Camere di Commercio d’Abruzzo con la collaborazione della Camera di Commercio di Chieti e dell’Associazione Italiana Sommelier Abruzzo e va a inserirsi negli appuntamenti enologici annuali di rilevanza internazionale. Sessanta cantine (per un totale di 500 etichette in degustazione, divise in 46 stand
espositivi tra il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, rappresentato dal presidente Tonino Verna e il Consorzio di Tutela DOCG Colline Teramane) hanno partecipato alle varie iniziative, proponendo in anteprima i Montepulciano che presenteranno al Vinitaly 2013.
L’apertura della manifestazione è stata affidata al convegno, moderato dal giornalista de Il Messaggero Paolo Mastri, su “Il Ruolo del Montepulciano
d’Abruzzo nella viticoltura italiana ed internazionale”. Il convegno è stato naturalmente introdotto dai saluti di Silvio Di Lorenzo, presidente Centro Regionale Commercio Interno Camere di Commercio d’Abruzzo e dell’Ente camerale teatino; di Gaudenzio D’Angelo, presidente dell’associazione Italiana Sommelier Abruzzo; e di Mauro Febbo, assessore regionale alle Politiche Agricole. Il dibattito si è poi subito acceso intorno agli argomenti più cari ai produttori e a chi ruota intorno al mondo del vino. Raoul Salama, direttore della rivista Revue du Vin de France e giornalista de Le Monde, ha confermato quello che i produttori abruzzesi già sanno, ossia che la vendita del prodotto sfuso è un passaporto per il mercato estero, dove già il Montepulciano d’Abruzzo ha una posizione avvantaggiata perché ha un eccellente rapporto qualità/prezzo, che può fare la differenza sui mercati oltr’Alpi, dove attualmente non è largamente conosciuto. La vendita sfusa interessa infatti ben il 60% del mercato del Montepulciano d’Abruzzo, ma può rivelarsi un’arma a doppio taglio perché richiede ancora più lavoro per “marchiare” il nostro prodotto con un’identità ben definita. «Il problema è che, fuori controllo, il Montepulciano d’Abruzzo finisce per essere venduto a molto poco rispetto a quello imbottigliato – ha spiegato Ireneo Tucci, importatore tedesco della GEISEL, molto attivo all’estero da trent’anni e destinatario honoris causa del premio AMA “Ambasciatore sommelier del Montepulciano
d’Abruzzo” – Il Montepulciano d’Abruzzo dovrebbe legare la sua notorietà alla qualità, come hanno fatto i grandi vini italiani come il Brunello ed il Nebbiolo, lasciando da parte la mentalità della vendita dello sfuso» Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Tutela Colline Teramane DOCG, ha confermato che i produttori scontano in qualche modo una mancata identificazione tra l’Abruzzo e il suo Montepulciano, forse anche a causa dell’abitudine di imbottigliare fuori regione. «La doc va a massificare una produzione molto eterogenea, che non aiuta una spiccata identità del vino – ha spiegato – tuttavia con l’introduzione della docg, dieci anni fa, e grazie alle nuove generazioni di produttori, si sta comunque registrando una controtendenza che punta sulla valorizzazione del Montepulciano d’Abruzzo attraverso le peculiarità delle diverse aree vinicole della regione». La partecipazione del Montepulciano d’Abruzzo alla produzione enologica nazionale è ancora marginale, infatti si limita al 6%, concentrando l’export nel Nord America. Sulla necessità di rendere un vino riconoscibile e legato al suo territorio hanno insistito anche l’enologo Riccardo Brighigna, che ha ribadito come fare un vino naturale non voglia dire fare un vino «difettato: il mercato estero punisca duramente i difetti di un prodotto e la qualità è sempre l’imperativo su cui lavorare», e Luciano Ferraro, capo redazione Cronache Italiane del Corriere della Sera, che ha suggerito di puntare sulle suggestioni culturali che il Montepulciano
c come inserto / anteprima montepulciano d’abruzzo
I relatori del convegno
Le chiavi per il successo del Montepulciano d’Abruzzo nel mondo sono renderlo fortemente identificabile alla sua terra e lavorare sempre sulla qualità.
Ireneo Tucci sommelier dell’anno
Luca Gardini
d’Abruzzo, con la sua storia e le leggende che gli gravitano intorno, può vantare. Sulla stessa linea si è posto anche Luca Gardini, sommelier campione del Mondo 2010, ricordando che il vino va raccontato con semplicità perché è, soprattutto, emozione. Nicola Dragani, Presidente dell’Assoenologi Abruzzo, ha infine esortato a guardare avanti, senza rimanere ancorati al passato quando si è, forse, peccato di superficialità non attuando i controlli sulla produzione vinicola: «Oggi fortunatamente questi controlli ci sono – ha ribadito – e si deve puntare sul Montepulciano d’Abruzzo come traino per l’intero comparto enologico abruzzese».
Remo De Luca, in rappresentanza delle organizzazioni agricole della Regione Abruzzo, ha quindi evidenziato come cercare e proporre le peculiarità del territorio sia una sfida per tutti gli abruzzesi: «Dobbiamo comunicare la preziosità di questa regione anche attraverso una produzione enogastronomica davvero unica – ha sottolineato – Le aziende vivono oggi un momento difficile, facendo grandi sforzi per adempiere alla burocrazia, sottraendo risorse alla produzione in senso stretto: i produttori desiderano solo poter tornare a fare i produttori».
Se nel convegno si sono
c come inserto / anteprima montepulciano d’abruzzo
Trasmettere l’immagine unitaria di una realtà è fondamentale per dare valori di accoglienza e di amore per un territorio.
I vini in degustazione
c come inserto / anteprima montepulciano d’abruzzo Emidio Pepe
Stefania Bosco
affrontate le tematiche legate all’attualità e al futuro del vino abruzzese, grandi emozioni sono arrivate con la degustazione dei vini che hanno ripercorso i “50 anni di Montepulciano d’Abruzzo doc”.
Con il suo stile eclettico, al tempo stesso divertente e professionale, Luca Gardini ha incantato la platea composta prevalentemente da giornalisti, importatori e sommelier, ha raccontato come «il vino abruzzese anche in annate considerate non straordinarie riesce a mostrare sempre grande piacevolezza e sorprendente longevità anche migliore dei grandi vini italiani più celebrati, grazie alla nobiltà del vitigno e del territorio e al lavoro attento e scrupoloso dei vignaioli abruzzesi». Una distanza accorciata dall’approccio familiare
Alessandro Nicodemi
Marina Cvetic
e non troppo tecnico del giornalista Alessandro Bocchetti e di Adua Villa, che nell’ambito di AMA 2013 ha anche presentato il suo libro “Una sommelier per amica”. La del Montepulciano d’Abruzzo è stata raccontata anche attraverso alcune bottiglie introvabili che le cantine hanno messo a disposizione, come nel caso del Valentini
1968, dell’Emidio Pepe 1977 e del Don Bosco 982 Bosco Nestore: tre vini che nella diversità di zona di produzione hanno dimostrato una capacità di evoluzione incredibilmente positiva, regalando nel bicchiere colori ancora brillanti, profumi complessi e un gusto verace, suadente e avvolgente. Gli altri tre vini della degustazione
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CANTINE PARTECIPANTI AD ANTEPRIMA MONTEPULCIANO D’ABRUZZO 1 AGRICOSIMO VIGNETI & CANTINA - www.agricosimo.it 2 AGRIVERDE S.R.L. www.agriverde.it 3 ANGELUCCI AZIENDA AGRICOLA - www.angeluccivini.it 4 AZ. AGR. CENTORAME www.centorame.it 5 AZ. AGR. CIAVOLICH GIUSEPPE DI CHIARA CIAVOLICH - www.ciavolich.com 6 AZ. AGR.COSTANTINI ANTONIO - www.costantinivini.it 7 AZIENDA AGRICOLA VALLE MARTELLO - www.vallemartello.net 8 AZIENDA AGRICOLA BIOLOGICA TENUTA ARABONA - www.tenutaarabona.it 9 AZIENDA AGRICOLA BUDANO ROBERTO - www.budanovini.it 10 AZIENDA AGRICOLA GUARDIANI FARCHIONE - www.guardianifarchione.com 11 AZIENDA AGRICOLA OLIVASTRI TOMMASO - www.viniolivastri.com 12 AZIENDA VITINICOLA SERGIO DEL CASALE - www.delcasalesergio.com 13 CANTINA COLLE MORO - www.collemoro.it 14 CANTINA DIUBALDO - www.diubaldo.it 15 CANTINA FRENTANA - www.cantinafrentana.it 16 CANTINA ORSOGNA - www.oleariavinicolaorsogna.it 17 CANTINA RIPA TEATINA - www.cantinaripateatina.it 18 CANTINA TERZINI - www.cantinaterzini.it 19 CANTINA TOLLO - www.cantinatollo.it 20 CANTINA WILMA Chieti CH 21 CANTINE MUCCI - www.cantinemucci.com 22 CANTINE SPINELLI - www.cantinespinelli.it 23 CANTINE TALAMONTI - www.cantinetalamonti.it 24 CASTORANI - www.poderecastorani.it
c come inserto / anteprima montepulciano d’abruzzo hanno invece rappresentato quella che può essere definita la seconda fase dell’enologia regionale che ha segnato l’ingresso dell’Abruzzo non solo nel novero delle regioni emergenti, ma addirittura in grado di imporsi nei grandi concorsi internazionali e nella considerazione della critica e del mercato internazionale:
la fase che ha saputo applicare al binomio vitigno-territorio le nuove tecniche il che non significa modernità ma semplicemente l’unione delle conoscenze alla consapevolezza di poter competere alla pari: parliamo del Villa Gemma 1995 Masciarelli (che alla sua uscita conquistò il premio “vino rosso dell’anno” per il Gambero
25 CHIUSA GRANDE - www.chiusagrande.it 26 CITRA VINI - www.citra.it 27 DI SIPIO WINE - www.nicoladisipio.it 28 FARNESE VINI www.farnese-vini.com 29 ISTITUTO TECNICO AGRARIO “COSIMO RIDOLFI” - www.tiscali.it/itagr.scerni 30 FONTEFICO - www.fontefico.it 31 JASCI & MARCHESANI VINI BIOLOGICI - www.jascimarchesani.it 32 MARCHESI DÈ CORDANO - www.cordano.it 33 MASCIARELLI - www.masciarelli.it 34 MASTRANGELO - www.vinimastrangelo.com 35 MONTI - www.vinimonti.it 36 PALAZZO CENTOFANTI - www.palazzocentofanti.it 37 PASETTI - www.pasettivini.it 38 TENUTA ULISSE - www.tenutaulisse.it 39 TORRE DEI BEATI - www.torredeibeati.it 40 VALLE REALE - www.vallereale.it 41 VALORI - www.masciarellidistribuzione.it 42 VIGNAIOLI IN ABRUZZO - www.vignaioliabruzzo.it 43 VILLA MEDORO - www.villamedoro.it 44 ZACCAGNINI - www.cantinazaccagnini.it 45 CONSORZIO TUTELA VINI D’ABRUZZO - www.consorzio-vinidabruzzo.it 46 CONSORZIO DI TUTELA COLLINE TERAMANE D.O.C.G. - www.collineteramane. com Nota: Il Consorzio di Tutela Colline Teramane rappresenta n. 4 cantine Vignaioli in Abruzzo è un’associazione con 9 cantine
Foto di Fabrizio Liguori
Rosso), del Neromoro 2008 Riserva Colline Teramane Docg Nicodemi (tra le prime aziende ad applicare un nuovo metodo di coltivazione con uno speciale adattamento della classica pergola o tendone abruzzese) e dell’ultimo nato di Cantina Tollo, il Cagiolo 2012, che ha sorpreso per le sue caratteristiche di fruttuosità e di fragrante irruenza che il Montepulciano d’Abruzzo sa regalare in gioventù. Luca Gardini ha approfittato della presenza dei produttori Emidio Pepe, Stefania Bosco, Marina Cvetic Masciarelli e di Alessandro Nicodemi per dare voce anche a chi a quelle bottiglie ha lavorato. Assente Francesco Valentini per motivi di salute, Riccardo Brighigna ha rappresentato Cantina Tollo, di cui è enologo. Domenica, invece, per la degustazione “Non solo Montepulciano” sono stati proposti altri vitigni abruzzesi, certamente non secondari nella qualità. In degustazione sono stati selezionati il Pecorino di Torre dei Beati, la Passerina di Lepore, il CerasuoloRosé di Tenuta Ulisse, il Cerasuolo di Valle Reale, Ciferette Montepulciano & Cabernet di Chiusa Grande e, per chiudere, il Moscatello di Castiglione della Cantina Angelucci. Tutte le degustazioni sono state trasmesse in diretta streaming su www.montepulcianodabruzzo.it , ottenendo 2000 visualizzazioni.
Un ottimo risultato ha avuto anche il contest fotografico, che in collaborazione con la community web Paesaggi
d’Abruzzo e blogger abruzzesi ha visto la partecipazione di 124 fotografi, per la maggior parte amatori, per un totale di 338 foto candidate. Nell’arco di due settimane si sono tenute 8 sessioni fotografiche che hanno catalizzato l’attenzione di oltre 100 fotografi in un tour eno-fotografico “invernale”, un bell’esempio di turismo enogastronomico, accompagnando di fatto la passione per la foto, con quella del vino e del gusto, con degustazioni, cene a tema offerte dalle Cantine, collaborazioni con ristoranti e country house. La Giuria è stata presieduta da Bruno Colalongo, presidente del fotoclub Aternum Fotoamatori Abruzzesi e delegato FIAF per la regione Abruzzo; e composta da Massimo Losacco, presidente del fotoclub Castrum e delegato FIAF per la provincia di Teramo; Michele Camiscia, fotografo professionista; Angelo Di Tommaso, presidente del fotoclub Fotoamatori Sangro Aventino; Stefano Lista, fotografo professionista. Sono state selezionate 41 foto, con 5 finaliste e 7 menzioni: Vincitore del primo premio di 500 euro Fabrizio Liguori, mentre i fotografi classificati in finale sono stati Kristina Salmela, Gianluca Marino, Daniele Turilli e Angelo Presenza, che hanno ricevuto i 4 cesti di prodotti tipici e vini offerti dal Consorzio Mercato Contadino d’Abruzzo della Confederazione Italiana Agricoltori.
c come inserto / anteprima montepulciano d’abruzzo
A destra Foto di Daniele Turilli Sotto foto di Angelo Presenza
Sopra Foto di Gianluca Marino A sinistra foto di Kristina Salmela
L’evento ha avuto un suo social media team composto da CCIAA di Chieti, Instagramers Abruzzo e paesaggidabruzzo.it, per un totale di oltre 95.000 fan e un coinvolgimento medio di 20.000 utenti e di Igers abruzzesi, ossia appassionati fotografi della community Instagram. Il sito www. montepulcianodabruzzo.it e i canali social (twitter, google plus, pinterest) in 40 giorni dall’apertura hanno riscosso un grandissimo successo sulla pagina Facebook con una fortissima interazione, fino ad arrivare a punte di 25.000 contatti settimanali, sfruttando le news dell’evento e gli scatti degli shooting fotografici. Nella due giorni, 1100 persone, hanno parlato dell’evento su Facebook, per una portata totale, nella settimana, di 57 mila persone, di cui circa 1800 dagli Stati Uniti, poi Regno Unito, Germania e Francia. La comunicazione 2.0, insomma, anche in veste di esperimento innovativo, ha dato risultati eccellenti. Nel padiglione espositivo uno spazio è stato inoltre dedicato a eccellenze produttive come la storica argenteria dei Fratelli Cacchione e i decanter con ceramica di Castelli. Interessanti gli incontri sulle anteprime tra i produttori e 200 professionisti della ristorazione, dell’accoglienza e del turismo, comprese delegazioni regionali AIS provenienti da Umbria, Marche, Puglia, Molise, Calabria e
Campania; e il workshop d’affari con 15 buyers provenienti da Germania, Belgio e Olanda, Danimarca, Albania, California e dalla Russia, nel corso del quale le cantine abruzzesi hanno incontrato gli importatori per sviluppare nuovi contatti o rafforzare rapporti già avviati. Particolarmente soddisfacente è stato il riscontro mediatico: hanno seguito l’evento almeno 20 giornalisti della stampa nazionale ed internazionale legata al mondo del vino, dell’enogastronomia ma anche della cultura e della moda, come Andrea Grignaffini (LA7), Alessandro Franceschini (redattore di La Grande Cucina), Thomas Gunther (giornalista e blogger di Weinverkostungen. de), Ralph Kaiser (giornalista e blogger di Weinkaser.de), Valeria Vairo (caporedattrice di Buongiorno Italia – Chef Media Verlag, la rivista dei ristoratori italiani in Germania), Helmut O. Knall (redattore di Wine-Times, la rivista che pubblica la più importante guida ai vini austriaci), Paul Balke della rivista olandese PersWijn. La delegazione russa è stata accompagnata dal giornalista Dmitry Fedotov dell’Indipendent Wine Club, redattore di Winepages.ru e premiato a Mosca nel 2012 dal Gambero Rosso come “Ambasciatore dell’Italia”. Daniele Bortolozzi (Guida ai vini buoni d’Italia – Touring Club); Riccardo Gabriele (direttore di Corriere del Vino); Andrea Gabbrielli (Città del Bere); Maurizio Valeriani e Stefano Ronconi (Scatti di Gusto); Maurizio Silvestri (rivista Porthos); Antonietta Mazzeo (Degusta); Ugo Baldassarre (Tigullio Vino).
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comeMagazine
LA CULTURA ENOGASTRONOMICA
ABRUZZESE IN UN FREEPRESS
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c comeMagazine Sommario
Inserto: AMA 2013: Anteprima Montepulciano d’Abruzzo
c come rubriche
05 Editoriale / 07 Informazione / 08 Fotoreportage / 14 Food design 28 Packaging / 61 Libro / 62 News
c come speciale viola
36 Tonalità / 38 Zafferano / 44 Patrimonio / 46 Tubero
c come vi consigliamo
16 Fattoria La Valentina / 24 NiNì / 30 Buongusto Agnello d’Abruzzo
c come abruzzo
20 Sandro Ferretti / 34 Salute / 52 gioco / 54 Emergente / 58 Ricette
PAG 3 / SOMMARIO
c come editoriale
DI CRISTINA MOSCA - DIRETTORE RESPONSABILE C COME MAGAZINE
Rispetto “Rispetto” è stato il tema portante di Identità Golose 2013, il convegno italiano di cucina d’autore che si svolge a Milano da alcuni anni. Rispetto per la materia prima, per la naturalità degli ingredienti, anche per il cliente e i suoi soldi. Il rispetto, però, deve essere reciproco: ora che i cuochi hanno preso coraggio e stanno uscendo da dietro le cucine, stanno mostrando come lavorano e lo stanno persino insegnando, sono anche i consumatori e i comunicatori a dover stavolta mostrare rispetto per chi si mette in discussione. Ricerca e disciplina sono alla base di un lavoro buono, autentico e costruttivo: chi si avvicina a questo mondo gastro-mediatico dovrebbe farlo con umiltà e lasciandosi accompagnare. Non vale più il discorso che tutti mangiamo, tutti cuciniamo, tutti conosciamo le nostre materie prime: dobbiamo prendere coscienza che quello che abbiamo saputo fino ad oggi potrebbe essere sbagliato. Chi fa buona cucina impiega anni di duro lavoro, esercizio e prove per arrivare ad un livello di soddisfazione che i più perfezionisti non raggiungeranno mai. L’estrema visibilità a cui oggi sono sottoposti gli operatori di cucina ne amplifica le responsabilità e a tratti li stressa anche. La maggior parte di loro si mette seriamente in gioco
e merita di ricevere feedback ma non giudizi; spazio ma non superficialità. Chi sta “con le gambe sotto il tavolo” deve essere consapevole che errare è umano, ma che correggersi è professionale, e che ci vogliono anni per costruire una reputazione dignitosa, ma basta una foto sbagliata o un titolo approssimativo a commettere un’ingiustizia. Tanto per fare un esempio sembra che oggi la percezione comune delle proprietà delle ricette sia, mistificata da internet, tornata alle condizioni della letteratura italiana prima del 1800, quando il diritto d’autore non era ancora tutelato dalla legge ed ogni redattore si sentiva in facoltà di intervenire sui testi a suo piacimento, senza porsi il problema di chi li avesse scritti per primo. Non tutti gli operatori e non tutti i comunicatori si prendono la briga di ricondurre un piatto a chi lo ha effettivamente creato, anche perché spesso è difficile risalirvi se “tramandato” con la tradizione orale, o se nessun cuoco ha precisato il nome della “musa” ispiratrice. Bisogna ricordare però che, se le tradizioni culinarie (come, d’altronde, le regole grammaticali) sono di tutti, non lo sono invece piatti a cui corrispondono le firme di chi li ha inventati, esattamente come accade per le canzoni, le poesie o i film.
«La percezione comune delle proprietà delle ricette sembra essere tornata alle condizioni della letteratura italiana prima del 1800, quando il diritto d’autore non era ancora tutelato dalla legge» PAG 5 / C COME EDITORIALE
I nostri più affezionati clienti.
La prima azienda mangimistica italiana con sistemi certificati di gestione per la qualità e per l’ambiente. Dal 1981 la SAGeM produce e fornisce mangime di prima qualità per i propri clienti, senza trascurare le necessarie garanzie per i nostri produttori. Il ciclo di produzione, denominato Natura Ciclo Completo, avviene con un controllo attento e costante delle fasi di semina e raccolto. Qualità e rispetto processi di etto dei naturali p nutrimento sono i principi che guidano lavoro. no il nostro lavo oro. L L’accurata selezione delle materie prime rende il nostro mangime di qualità superiore. e.
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c come informazione
DI ROBERTO ARDIZZI, CONSULENTE SGQ
A proposito di finanziamenti Saggezza popolare dice che in tempi di crisi ci si riavvicina “alla terra”, sempre prodiga di frutti, di sostentamento e di soddisfazioni. A tale riguardo, gli Enti Pubblici (Regione, Province e Comuni) hanno sviluppato – anche quest’anno – una serie di interventi sul territorio, sostanzialmente “figli diretti” del PSR (Piano di Sviluppo Rurale) e della PAC (Politica Agricola Comune) o ad essi riconducibili. Ecco quindi arrivare, ad esempio, il recente Bando Terre Pescaresi (pubblicato in BURA del 18.01.2013), o gli interventi rivolti specificatamente al settore vitivinicolo o oleario. Leggendo con occhio esperto e “critico” questi bandi, spulciando nei codici ATECO ammessi a finanziamento, evidenziando le cosiddette spese ammissibili e soprattutto notando il plafond, ossia l’importo limite, dell’investimento, non si può far finta di non capire come, nonostante la buona volontà degli Enti preposti, gli aspetti che tutte queste azioni vanno ad interessare siano soltanto la punta di un iceberg, che ha i suoi 9/10 ben più che sommersi. Il settore primario, sia che si intenda la parte più strettamente produttiva sia quella più prettamente commerciale, paga una crisi strisciante ben più profonda di quella che dal 2008 colpisce l’economia italiana ed abruzzese. Di norma gli interventi finanziati sono rivolti ad aziende strutturate, con almeno X milioni di fatturato, con Y decine di dipendenti, vocate ad investimenti sopra
i Z mila euro: esattamente quello che NON È il tessuto imprenditoriale abruzzese. La nostra regione è costellata di piccole realtà a conduzione familiare, con un enorme problema legato al ricambio generazionale nel 96% dei casi: come si può pensare che una realtà che non riesce a gestire la normale forza lavoro, sia in grado di strutturare un intervento cofinanziato per un macchinario di 200.000 euro? Questo è il nodo fondamentale da sciogliere: approcciare le PMI considerandole realmente come tali, e non come multinazionali o holding di ampio respiro. L’accesso e la modalità di gestione di questi fondi spesso purtroppo non si incrocia con le necessità molto più pratiche e contingenti dei piccoli imprenditori: non serve inventare i progetti per farseli finanziare, ma trovare linee di intervento congrue con tempistiche e necessità specifiche. Gli stessi imprenditori spiegano che le loro esigenze sono ben altre: l’apertura di un accesso al credito veloce e targettizzato; l’eliminazione della concorrenza sleale; la messa a disposizione di risorse per la manodopera; la possibilità di gestione di fondi per ampliamenti/ adeguamenti strutturali, e non per aggiornamenti del parco attrezzature o per la formazione aziendale. Richiesta unanime è quella di una sinergica politica di comunicazione del brand Abruzzo: dalla partecipazione alle fiere di settore, dall’istituzione di un portale dedicato alla gestione dell’e-commerce (praticamente una rarità nel contesto regionale), alla creazione di reti di imprese.
«L’accesso e la modalità di gestione di questi fondi spesso purtroppo non si incrocia con le necessità molto più pratiche e contingenti dei piccoli imprenditori: non serve inventare i progetti per farseli finanziare, ma trovare linee di intervento congrue con tempistiche e necessità specifiche.» PAG 7 / C COME INFORMAZIONE
c come fotoreportage DI ROBERTO PARISIO / FOTO_MODIV
Identità golose 2013 Majalando a Casadora
Identità golose 2013
Un tema che piace moltissimo a noi di C come magazine, quello dell’edizione 2013 del congresso di cucina d’autore “Identità golose 2013” a Milano: il rispetto. Rispetto della materia prima, per la natura, per i clienti e per le professionalità. Un valore che viene descritto come rivoluzionario e che si unisce alla seconda grande trovata di quest’anno: un’intera giornata dedicata alle “Identità di sala”, ossia alla responsabilità dell’accoglienza di chi sta al servizio. Molti relatori hanno tenuto a ribadire l’importanza che il lavoro di squadra ha in un ristorante, che non può prescindere dalla comunicazione tra chi è in cucina e chi fa da tramite in sala. Tra i relatori un solo abruzzese, il bistellato Michelin Niko Romito, che per la sezione Identità naturali ha presentato il trattamento dei vegetali, come un “Carciofo glassato con carciofo” e il “Finocchio cotto, sensazione cruda”. Una delegazione sprintosa dell’associazione di ristoratori “Qualità Abruzzo” ha invece preso parte alla kermesse ospiti dell’associazione Cuochi di marca, proponendo la pasta con la ventricina teramana in collaborazione con l’azienda agricola Fracassa.
PAG 8 / C COME FOTOREPORTAGE
Majalando a Casadora
Dal banco del macellaio alla tavola: l’iniziativa “Majalando” tenuta dall’azienda vitivinicola Dora Sarchese nello spazio Casadora di Caldari di Ortona (Ch) domenica 13 gennaio 2013 è stata più di un evento: un costruttivo pranzo didattico per cento persone. La lezione tenuta dal professore Leonardo Seghetti sul “nostro fratello porco” mentre il macellaio Roberto Mazzatenta lo spezzava è stata illuminante specie per i bambini presenti. Accattivante anche il menu messo in tavola da mamma Dora e stilato con la collaborazione dell’Accademia Italiana della Cucina: a partire dalle entrate (“Lu prime avvise”, “pancetta crichilògne ‘nghe lu pane” e il freschissimo “la coppa e lu finocchie”), per passare ai primi piatti (“Le sàgn’ e cìce de la spezzature” e “La chitarra ‘nghe lu ragù a nu tìre sole”) e finire ai secondi (“La ratèlla giujòse” condita con “’live e purtehalle”, ossia grigliata con insalata di olive e arance) e al dolce di pastafrolla, “lu biscotte fidanzate”. Una raccomandazione da parte del professore Seghetti: «Un filo di grasso nella carne di suino dev’esserci sempre perché garantisce freschezza e morbidezza alla carne. Se abbiamo il colesterolo troppo alto non è per colpa del povero maiale, è per l’abuso di tutto il resto». “Majalando” è stato accompagnato, naturalmente, da vini Dora Sarchese: lo spumante Esmery’s, l’annata 2012 del pluripremiato Rosato Lapis Colline teatine igt, un competitivo 2004 del Montepulciano d’Abruzzo doc Rosso di Macchia e il passito rosso igt “Suàvitis” Colline teatine.
PAG 9 / C COME FOTOREPORTAGE
c come fotoreportage DI DANIELE DI VITTORIO / FOTO_MODIV
Il parrozzo più grande del mondo Cuochi abruzzesi in festa
Il parrozzo più grande del mondo
Le celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio si sono concluse a Pescara sabato 16 marzo 2013 con la realizzazione del Parrozzo da Guinness. Grande 3 metri di base, 9,5 metri di circonferenza e un metro e mezzo di altezza, per oltre 500 chili di peso, è stato distribuito in oltre 4 mila fette distribuite ai presenti in piazza Salotto con l’ausilio degli studenti dell’Istituto Alberghiero di Pescara “Filippo De Cecco”. Il Comune di Pescara, l’azienda Luigi D’Amico e 40 pasticceri della Confederazione nazionale pasticceri guidata da Federico Anzellotti e provenienti da tutto l’Abruzzo hanno inteso festeggiare così lo speciale genetliaco del Vate: con dolce che l’amico pasticcere Luigi D’Amico, ispirandosi al pan rozzo di origine contadina, ideò nel 1920 e che d’Annunzio tenne a battesimo celebrandolo anche in alcuni suoi testi e poesie. «Eppure il poeta non fu mai un cuoco provetto, come amava far credere, né particolarmente ghiotto – commenta Enrico Di Carlo, autore di “Gabriele d’Annunzio e la gastronomia abruzzese” (Verdone, 2010) – Anzi, si sottoponeva frequentemente a singolari digiuni. Per lui non c’era che l’essenzialità, per così dire, storica della cucina abruzzese; quella essenzialità che ritrovava nel brodetto di pesce, nel Parrozzo di D’Amico, nel “laure cotte nghi li capitune”, nella porchetta regalatagli da Giacomo Acerbo, nei legumi conditi con olio novello».
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Cuochi abruzzesi in festa
Il 21 gennaio 2013 l’associazione provinciale cuochi di Pescara, oggi presieduta da Lorenzo Pace, ha festeggiato le sue “nozze d’argento” con un convegno sull’evoluzione del menu, moderato dal giornalista enogastronomico Massimo Di Cintio. Nell’ambito della cena di gala all’hotel Michelangelo di Città Sant’Angelo è stata consegnata dal presidente UCA Andrea Di Felice una targa ai soci che sono iscritti sin dal 1988, ossia Leo Giacomucci, Nicolò Di Garbo, Maurizio Carlone, Nino Colanzi, Tonino D’Intinosante, Derio Di Carlo, Michele Di Filippo, Giovanni Di Garbo, Giuseppe Di Malta, Antonio Di Tullio, Carmine Faggioli, Luigi Falsetta, Domenico Florindi, Vincenzo Franceschelli, Gabriele Gargano, Bruno Libertini, Alessandro Mazzocchetti, Gianni Miccio, Amedeo Prognoli, Marcella Quintino, Mario Rabottini, Luciano Ronca, Adriano Terenzi. Riconoscimento alla carriera per lo chef Carmine Ferretti. Un inizio di anno festoso anche per il team Cuochi abruzzesi alla XIII edizione del concorso “Internazionali d’Italia esposizione culinaria”. Alla kermesse che si è svolta a Marina di Carrara dal 3 al 7 marzo 2013 la squadra ha conseguito la medaglia d’argento con la preparazione di tre piatti per 60 persone: scrippelle con bietola rossa farcite di ricotta agrumata e mazzancolle, con cipolle e asparagi all’agretto e salsa di zucca; rotolino di pane croccante con patè di coniglio, acqua di olive e carciofi con menta piperita, insieme a sfera di tacchino dal cuore di “cascignije cascie e ove” su purea di patate con zafferano dop dell’Aquila e mosto cotto, e a spuma di fegatini di pollo con pomodoro bruciato e crostino al burro; e il tris di dolci cannolo farcito di cioccolato con gel d’arancia,“pizza doce” con meringa e salsa di caffè, gelato di “parrozzo” con crumble di farina solina. La partecipazione al concorso è stata autofinanziata dalle associazioni provinciali cuochi in Abruzzo. Il team era composto dai cuochi Mario Rabottini del ristorante Hotel Du Parc di Atri; Cristian Di Tillio del “Ritrovo d’Abruzzo” a Civitella Casanova; da Vito Giansante, che insieme a Michele Ottalevi gestisce da due anni l’Osteria dei tempi andati a Francavilla; e dal promettente freelance molisano Oscar Antonio Scarano.
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Sigep 2013: Stefano Biasini vince “Il gelato d’oro”
Il Sigep fa un grande balzo in avanti e, insieme ad A.B.Tech Expo, centra un successo straordinario: sono stati 144.803 gli operatori in visita nei cinque giorni (19-23 gennaio 2013) di manifestazione, con un incremento del 18% sull´edizione del gennaio 2012. Il Salone internazionale della gelateria, pasticceria e panificazione artigiana mostra un’imponente e ulteriore crescita, sia quantitativa che qualitativa, degli operatori stranieri, saliti quest´anno a 26.247, con un incremento del 10% rispetto al 2012. Testimonial d´eccezione è stato Alex Zanardi, intervenuto a sostegno di un´iniziativa benefica. Una bella notizia per l’Abruzzo: Stefano Biasini, gelatiere de il “Gran Caffè dell’Aquila – La piazzetta gelateria” a L’Aquila, ha vinto la competizione “Il gelato d’oro” e perciò guiderà la nazionale di gelateria alla Coppa del mondo 2014, all’interno del Sigep 2014, composta da un pasticciere-cioccolatiere, uno scultore del ghiaccio ed uno chef.
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DI LUDOVICA PERSICHITTI - LUDOVICA.ARCHITETTURA@GMAIL.COM
Perfetto come te non c’è nessuno
L’uovo integra, nel suo essere, l’unità minima di vita. È un elemento che, in una forma perfetta senza inizio nè fine, racchiude fortissimi significati simbolici e allegorici. Oltre a questo, è un alimento eccezionale! Pensiamo alla più comune e purista delle preparzioni, l’uovo a la coque: questa non potrebbe prescindere dall’essere consumata nel suo contenitore portauovo. Quale migliore materiale, allora, se non il… cemento, che dia un vero senso di stabilità? Concretezza e purezza delle forme: sono queste le caratteristiche del portauovo ideato da Doreen Westhpal (www.doreenwestphal.com), al cui interno è presente un magnete per mantenere in equilibrio il cucchiaino. Decisamente più naif la proposta del designer olandese Gijs de Zwart (www.studiogijs.nl): un nido di rametti intrecciati, realizzato in poliammide tramite sinterizzazione laser: flessibile, colorato e decorativo. Volendo invece cimentarsi nella preparazione del classico uovo sodo, una soluzione per servirlo intero senza correre il rischio che rotoli da parte a parte nel piatto, sta nell’utilizzo di Egg Cuber: si tratta di un contenitore trasparente adatto alle alte temperature, la cui base è a forma di cubo. Una volta cotto, può
essere servito un ovetto...cubico! Sicuramente un’insolita idea per la presentazione dei piatti. Molto spesso nelle preparazioni in cucina è necessario separare il tuorlo dall’albume. La tecnica ottimale per evitare che rimangano tracce del suo guscio consisterebbe nella separazione delle due parti tra le dita della mano, operazione non esattamente facilissima. In alternativa è possibile utilizzare un prodotto innovativo, Quirky Pluck (www.quirky.com). Si tratta di un maneggevole utensile da cucina, composto da una pompetta in morbido silicone bianco e di una terminazione a becco trasparente. Aprendo l’uovo intero in una ciotola, l’oggetto funziona da estrattore di tuorlo. Basta premere la pompetta bianca avvicinando il beccuccio trasparente al rosso dell’uovo: legge fisica vuole che il tuorlo venga risucchiato per poi essere rilasciato non appena si lascia la presa. Geniale! Per passare dalla cucina al soggiorno, Valentina Audrito ha pensato ad una collezione di elementi di arredo, le “Uova di Leon”, che comprende pouf a forma di uovo e un simpatico tappeto bianco in pura lana neozelandese, composto di uno o due cuscini a mò di tuorli... Come dire, dalla padella alla poltrona!
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REDAZIONALE / FOTO_LUCIANO D’ANGELO
www.binomiowine.it
Binomio: nella selezione il punto di forza
Se il vino fa buon sangue, il vino buono fa un’ottima amicizia. È un Montepulciano d’Abruzzo doc sontuoso e moderno quello che viene prodotto con l’etichetta Binomio. Si chiama così perché nasce da una coppia affiatata: Sabatino Di Properzio, della Fattoria La Valentina, e il produttore veneto Stefano Inama. Alla fine degli anni ‘90 si sono lanciati all’avventura e hanno cominciato a cercare il modo per fare un Montepulciano d’Abruzzo come nessuno l’avesse ancora fatto mai. «Lo abbiamo vinificato in maniera moderna – ricorda Sabatino Di Properzio – con affinamento in acciaio e macerazione per 30 giorni, e poi almeno 18 mesi in barrique e non in botte grande. È stata una specie di sfida che ha dato sin da subito i suoi buoni frutti: le chiare specificità di questo prodotto sono state ancora più distinguibili quando, dopo le prime due annate (1998 e 1999) prodotte a Spoltore, abbiamo cominciato ad utilizzare le vigne di 4 ettari acquistati nel 2000 a San Valentino in Abruzzo Citeriore». Si tratta di un crinale esposto a Sud nel pre-parco
della Maiella, a circa 20 chilometri dalla Cantina e a quasi 400 metri di altitudine, completamente vitata a Montepulciano, in un territorio caldo e molto asciutto d’estate e freddissimo d’inverno. «È una vecchia vigna piantata negli anni Settanta in una posizione splendida, che ha avuto una storia travagliata: è passata di mano alcune volte finendo poi ad un’asta giudiziaria – racconta – È lì che l’abbiamo acquistata… Il particolare curioso è che siamo stati gli unici a partecipare all’asta, perché la vigna, di oltre 35 anni di età, era assolutamente non vigorosa e nota per la sua scarsa produttività: nessuno la voleva!». L’esperienza, la tenacia e la passione hanno trasformato in punto di forza quello che per gli altri era una debolezza. Parliamo di un biotipo di Montepulciano che è chiamato ”clone Africa” per via della caratteristica forma a coda corta e ad acino piccolo che ricorda la forma del continente africano; ha la buccia molto spessa, che viene lasciata libera di assorbire tutto il sole in condizioni opportunamente arieggiate. Gli acini non sono compressi, viene data loro la possibilità
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L’azienda ha avviato le procedure necessarie per il riconoscimento del clone “Africa”, anche noto come “Casauria” proprio perché qualità storicamente piantata e coltivata in quelle parti
Battuta d’agnello croccante di Peppino e Angela Tinari
Ingredienti per 4 persone: 360 gr. di polpa d’agnello (filetto e controfiletto); 2 rametti di timo; 1 uovo; pane raffermo sbriciolato; olio extravergine d’oliva; sale; pepe bianco di mulinello. Privare del grasso e delle pellicine la polpa di agnello. Tagliare in piccolissimi pezzi e condire con sale , pepe e timo. Successivamente battere la carne a coltello e creare dei piccoli cubi da 40 gr. cadauno , passarli nell’uovo battuto, nel pane sbriciolato e friggere nell’olio bollente per circa 10 secondi, creando una crosticina croccante. Decorare il piatto con verdura di stagione. PAG 18 / C COME VI CONSIGLIAMO / FATTORIA LA VALENTINA
c come vi consigliamo di rimanere asciutti, in attesa di raggiungere la giusta maturazione: «Abbiamo mantenuto la produzione intorno ai 50 quintali per ettaro – spiega Stefano Inama – scegliendo un allevamento a tendone aperto con limitati diradamenti regolari, al fine di ottenere, da ogni annata, un grande vino. In Cantina ci affidiamo ad un approccio non invasivo e a semplici pratiche enologiche che consentono di ottenere un vino fresco e netto, non sovraestratto, in grado di maturare per diciotto mesi in barrique senza travasi e destinato solo ad una leggera filtrazione. Tutto ciò senza artifici tecnologici e neppure nuove improbabili religioni produttive». L’azienda ha avviato le procedure necessarie per il riconoscimento del clone “Africa”, anche noto come “Casauria” proprio perché qualità storicamente piantata e coltivata in quelle parti. Capire di aver
centrato un filone importante di produzione vuol dire anche non mollare la presa e continuare a migliorare il prodotto, con la barra a dritta e senza farsi influenzare da mode facili. Il risultato è un prodotto profondo, riflessivo, fedele, scuro come il rubino, ma con una bordatura viscosa rossa, molto intenso al naso con un concentrato di fragoline di bosco, mora, altri frutti rossi selvatici e spezie. Al palato si presenta potente, di spessore con un tannino maturo e importante ma in grande equilibrio, per chiudere infine senza spigoli, fresco e con notevole persistenza aromatica. Dal 2001 ha conseguito fino a 95 punti su riviste di settore come Wine Spectator e il Wine Advocate, fino alla più recente “one rising star” (una stella in ascesa) sul Wine Opus 2011, e nel 2013 il Super tre Stelle di Veronelli e i 5 grappoli della guida Ais “Bibenda” assegnati all’annata 2008.
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Africa
c come Sandro Ferretti
DI CRISTINA MOSCA / FOTO_MARIO SABATINI
L’insostenibile leggerezza del dolce Parigi, o cara, tutto iniziò con te… e con una buona dose d’intuito e una spiccata propensione per l’estetica. Sandro è alla terza generazione della famiglia Ferretti, che ha visto nascere il panificio a Pagliare di Morro d’Oro nel 1962, e che ad oggi conta un laboratorio di 1800 metri quadri e tre punti vendita: uno sulla strada nazionale di Roseto, uno nella sede originaria e un altro, di freschissima apertura, nella zona industriale di Mosciano Sant’Angelo. Sandro è come un albero che affonda le sue radici nell’artigianato, si è fortificato lavorando conto terzi e si è lucidato le foglie con l’innovazione, tra monoporzioni, miniglass e perfino anelli di cioccolata. Il lavoro duro e la creatività, su cui si concentra con precisione estrema, lo vedono oggi a capo di un’azienda di 25 dipendenti, compresi due dei suoi tre figli (Alessandro al controllo qualità ed Emanuele agli acquisti; Federico sta finendo l’istituto alberghiero a Teramo), e sua sorella Emanuela, in amministrazione. «Ho avuto le idee chiare nel 2001, nel giorno del mio 40esimo compleanno – racconta – Ho realizzato che era l’ultima occasione della mia vita per mettermi in proprio. Venivo da un’esperienza di successo con i mini gelati, che avevo creato nel 1995, e ora stavo lavorando per una grande azienda del settore. Nel giro di 48 ore ho presentato le mie dimissioni e ho rilevato l’attività di famiglia. Da allora non ho mai risparmiato sulla qualità delle materie prime, neanche nei periodi più difficili». Il marchio Ferretti è nato nel 1962 con i coniugi Alessandro ed Emilia, ed è stato rinforzato dai loro tre figli Luigi, Piero e Tommaso. Nel 1982 Luigi rilevò la pasticceria di Pagliare affinché vi si potessero dedicare i suoi figli Diego e Sandro. Decisivo, per quest’ultimo, fu un viaggio a Parigi, in cui fu abbacinato dalla vetrina di una pasticceria. «Sembrava una gioielleria», racconta ancora affascinato. Il concetto francese dell’esaltazione dell’estetica nella pasticceria, usata come preludio proporzionato al gusto e allo stupore, combaciava alla perfezione con i suoi canoni personali e lo ha spinto a proporlo in Abruzzo, con una vera e propria boutique in centro, a volte anche precorrendo troppo i tempi. «Ho cominciato a fare panettoni con il lievito madre nel 2005, poi nel 2006 ho cominciato a produrre macarons, ma il pubblico non era ancora pronto, così ho dovuto aspettare che i negozi milanesi e romani facessero da traino alla pasticceria francese in Italia, e dal maggio 2012 mi vengono richiesti continuamente». Questi biscottini di meringa farciti di creme e ganache di tutti i colori e gusti sono infatti indubbiamente magici perché, come la pozione di Alice nel paese delle meraviglie, ad ogni assaggio hanno un sapore diverso. PAG 21 / C COME SANDRO FERRETTI
“Africa”
Ingredienti: per la mousse al cioccolato e lampone: 180 gr di tuorlo,
150 gr di succo di lampone, 150 gr di zucchero semolato, 500 gr di cioccolato al 70%, 1100 gr di panna semi montata. Gelatina di lampone: 1000 gr di polpa di lampone, 300 gr di zucchero semolato, 25 g di gelatina animale. Per il pan di Spagna alle mandorle: 600 gr di pasta di mandorle al 50%; 600 gr uova; 110 gr di farina “0”; 7 gr lievito chimico, 190 gr burro morbido. Per la glassa al cacao: 557 gr di acqua, 450 gr di panna liquida, 150 gr di cacao amaro, 112 gr di glucosio 60 de, 500 gr di zucchero, 113 gr latte in polvere, 40 gr di gelatina in fogli, 720 gr di gelatina neutra.
Per la mousse: cuocere il tuorlo, il succo di lampone e lo zucchero fino a 82°C. Versare il composto in planetaria e montare fino alla temperatura di 30°C. Sciogliere il cioccolato a 50°C. Amalgamare la crema inglese e 1/3 di panna montata, incorporare il cioccolato fuso e infine aggiungere la restante panna semimontata. Per la gelatina: ammorbidire la gelatina con l’acqua, versare su gr 500 di polpa di lampone e lo zucchero. Riscaldare in microonde fino al completo scioglimento della gelatina e aggiungere la restante polpa di lampone. Per il pan di Spagna: nel cutter passare la pasta di mandorle e le uova, aggiungere la farina e il lievito setacciati insieme, unire il burro fuso a 45°C ed emulsionare. Stendere su teglia ad uno spessore di 3 mm. Cuocere a 220°C per 7/9 minuti. Per la glassa al cacao: portare a bollore l’acqua, panna, zucchero e cacao. Aggiungere il glucosio e a fine cottura la gelatina ammorbidita e la gelatina neutra. Cuocere la glassa a 66° brix. Mixare e lasciare riposare in frigo per 12 ore. Montaggio: negli anelli in acciaio per torte, posizionare sul fondo un disco di croccante, versare la crema leggera al mascarpone fino a metà posizionare in frigo per far rapprendere, versare uno strato sottile di salsa al cioccolato e chiudere con la restante crema leggera. Mettere in abbattitore fino al completo indurimento, sformare e spuzzare con la massa spruzzo. Negli stampi da monoporzione posizionare sul fondo un disco di pan di Spagna, versare la mousse al cioccolato per circa metà altezza dello stampo, mettere in abbattitore e dopo alcuni minuti posizionare il disco di gelè al lampone completare con la mousse al cioccolato. Porre in abbattitore e dopo alcune ore togliere dallo stampo e glassare con la glassa al cioccolato.
C COME FRATELLI DI TILLIO
Tiramisù moderno Ingredienti: per il fondo croccante: 100 gr rice-krispies al cioccolato, 200 gr cioccolato al latte. Per la pâte à bombe: 125 gr di zucchero, 100 gr d’acqua, 125 gr tuorlo. Per la crema al mascarpone leggera: 500 gr panna fresca, 500 gr mascarpone, 350 gr pâte à bombe, 10 gr di gelatina in fogli. Per la salsa al cioccolato: 120 gr di acqua, 130 gr zucchero, 80 gr cacao magro in polvere, 50 gr panna liquida. Per il fondo croccante: sciogliere il cioccolato al latte, aggiungere i rice-krispies. Stendere uno strato sottile su carta forno, posizionarlo in frigo fino all’indurimento, ritagliare dei dischi dello stesso diametro della torta. Per la pâte à bombe: portare ad ebollizione acqua e zucchero, versare a filo sui tuorli mescolando con la frusta, cuocere a 82°C. Versare il composto in planetaria e montare fino a raffreddamento. Per la crema al mascarpone: montare la panna ed aggiungere il mascarpone, a parte incorporare la gelatina (ammorbidita in acqua e sciolta) alla pâte à bombe, amalgamare i due composti. Per la salsa al cioccolato: bollire acqua e zucchero, aggiungere il cacao e cuocere a 103°C. Incorporare la panna e cuocere in sottoebollizione per un minuto. Montaggio: negli anelli in acciaio per torte posizionare sul fondo un disco di croccante, versare la crema leggera al mascarpone fino a metà, posizionare in frigo per far rapprendere. Versare uno strato sottile di salsa al cioccolato e chiudere con la restante crema leggera. Mettere in abbattitore fino al completo indurimento, sformare e spruzzare con la massa spruzzo. PAG 23 / C COME SANDRO FERRETTI
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REDAZIONALE / FOTO_NINÌ
NiNì Piazza Giardino 1, Montesilvano Colle PE Tel 085 4689174 – 327 7737375 Chiuso il lunedì
NiNì, un salotto sull’Adriatico Un ristorante? Un laboratorio di idee? Entrambi! “NiNì” è un locale attivo dalla fine del 2008 a Montesilvano colle, inaugurato quando la Passeggiata che si affaccia sul mare era ancora in via di riqualificazione. Adesso la cornice è completa e il quadro è ancora più valorizzato: l’ex taverna di proprietà di Nicola Salvatorelli è un ristorante bene avviato in cui è possibile coccolarsi e fare bella figura con degli ospiti sia a pranzo e a cena. Un’avventura che è iniziata insieme a Niko Romito (tanto che il nome riprende i nomi Nicola e Niko) e che prosegue sulla scia della cucina tradizionale, corroborata dall’innovazione, dalla creatività e anche dal punto di vista della nutrizione. «Il cibo è come un farmaco: quello che mangiamo ha una capacità straordinaria di determinare il nostro benessere psicofisico – commenta Nicola Salvatorelli – Procedimenti come basse cotture, sottovuoto ed infusione servono ad esaltare le proprietà organolettiche di un prodotto, non a trasformarne il sapore: perciò chi
viene a lavorare qui deve anche sapere usare le nuove tecnologie». Quello che ha sempre contraddistinto la cucina di NiNì è una vicinanza molto particolare alla tradizione, e si esprime tanto nel recupero di ricette abruzzesi in disuso quanto nella coltivazione di prodotti autoctoni come il pomodoro a pera d’Abruzzo. «Sicuramente quella che il ristorante propone è una cucina evocativa, di emozioni, che si appella con onestà ai sapori di una volta e si diverte a crearne di nuovi, nel rispetto imprescindibile per la materia prima. Per questo consideriamo “NiNì” a metà strada fra una trattoria e un laboratorio: chi viene qui deve aspettarsi l’inaspettato». Tra i principi inderogabili ci sono quelli nutrizionali: i piatti obbediscono a determinati equilibri di acidità e basicità, e i menu sono supervisionati dalla nutrizionista Anna Roma. Principi, questi, a cui si attengono i capitani di cucina Davide Angi e Mario Ciano. Veneto, classe 1978, Davide Angi ha esperienze ai
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c come vi consigliamo fornelli di tutto il mondo, tra cui quelli dello stellato Michelin “Il Carpaccio” a Parigi, dov’è stato per tre anni, ed è approdato a Montesilvano nel maggio 2011. Veniva da un anno di collaborazione nel Lido delle Sirene a Pescara, dove ha conosciuto il maître ortonese Giuliano Di Matteo, formatosi al “Vecchio Teatro” di Ortona. Giuliano da dicembre 2011 è responsabile di sala da NiNì. Mario Ciano è il più giovane ed
è l’ultimo arrivato, ma la sua formazione ad oggi è rassicurante: un diploma Alma e un’esperienza lavorativa nella squadra di Niko Romito a Castel di Sangro. Il cavallo di battaglia del ristorante è lo stracotto al Montepulciano, presente anche nel menu degustazione da 35 euro, ma sono da scoprire anche i piatti semplici e contemporanei, come il carpaccio di vitellone marinato per 48 ore nelle erbe di montagna e servito con fonduta
BACCALÀ ARROSTITO CON OLIVE TAGGIASCHE E POMODORI CONFIT, PUREA DI SEDANO RAPA E PATATE CHIPS Per la purea di sedano rapa: Far imbiondire mezza cipolla tagliata sottile con un filo di olio d’oliva, aggiungervi una rapa pulita e tagliata a pezzi piccoli, farla tostare senza colorarla, aggiungere acqua bollente sino a coprire. Cucinare per venti minuti a fuoco vivo. Mettere un pizzico di sale e con l’aiuto di un frullatore fare una purea liscia di sedano rapa. Il sedano rapa tende ad annerire, va cotto velocemente. Per i pomodori confit: Sbianchire in acqua bollente i pomodori rossi, raffreddare e privarli di semi e buccia. Adagiare in una teglia con carta forno i petali ottenuti, condirli con sale, zucchero, olio d’oliva e odori (aglio, timo, maggiorana, la buccia grattugiata di limone e arancio). Cucinare per 2 ore al forno ad 80° secco. Per le patate chips: sbucciare una patata rossa e affettare sottile alla mandolina. Lavare in acqua corrente le chips per 30 minuti per togliere l’amido, asciugarle e friggere in abbondante olio di semi sino a cottura. Dressaggio: Tagliare un trancio di baccalà da 150 gr. In una padella antiaderente calda mettere un filo d’olio di semi, steccare il baccalà dalla parte della pelle, aggiungere 3 petali di pomodoro confit e le olive taggiasche. Terminare la cottura al forno per 4 minuti a 190°. In un piatto sistemare la purea di sedano rapa, il baccalà con olive, il pomodoro e le chips di patate. Terminare con un filo di olio e limone.
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c come vi consigliamo ghiacciata al pecorino e chiacchiere salate; oppure la pasta alla mugnaia con ragù bianco di coniglio, il baccalà arrostito o un dolce tanto semplice quanto ghiotto: il pane, vino e zucchero. «È un piatto al quale sono molto legato – spiega Davide Angi – perché mi ricorda mio nonno, che era solito intingere un pezzo di pane vecchio nel vino rosso e poi coprirlo di zucchero». Il ristorante è aperto a pranzo e a cena tranne il
lunedì, mentre d’estate è aperto solo a cena (pranzo su prenotazione), poi è chiuso per ferie i primi 15 giorni di ottobre. È ottimo per cerimonie e buffet fino a 150 persone, specie dalla primavera 2013, quando verranno installati dei gazebo in vetro e ferro che renderanno più fruibile lo spazio sulla Passeggiata e avvicineranno i tavoli alla balconata. Quando lo chiamiamo un salotto sull’Adriatico non lo facciamo a caso.
PANE VINO E ZUCCHERO Per la granita al Montepulciano: 700 gr di vino Montepulciano Presidium; 200 gr acqua, succo di 2 limoni; buccia di 2 limone e di 1 arancio; 18 gr di zucchero. Portare il tutto ad ebollizione per 5 minuti, filtrare e ghiacciare all’abbattitore. Una volta ghiacciata grattare con due forchette sino ad avere una granita. Per il gelato all’uva: 500 gr di latte, 80 gr di zucchero, 2 tuorli d’uovo, 320 gr di confettura d’uva (scrucchijata d’uva Dora Sarchese), 200 gr di panna liquida. Far bollire il latte; a parte amalgamare le uova con lo zucchero quindi aggiungervi la confettura e il latte caldo. Tornare al fuoco, far cuocere sino alla temperatura di 70°, aggiungere la panna una volta tolto dal fuoco. Abbattere a -20°. 15 minuti prima dell’utilizzo passare il gelato al paco jet. Per i crostini di pane: prendere un pezzo di pane raffermo, usiamo il pane a lievitazione naturale dell’azienda Prata, tagliarlo allo spessore di 3 mm all’affettatrice. Preparare il forno a 200° secco. Sistemare le fette di pane in una teglia da forno, cospargere di zucchero semolato e far tostare in forno 4 minuti. Dressaggio: prendere un piatto ghiacciato, sistemare al centro la granita, sopra il gelato all’uva e guarnire con crostoli di pane zuccherato
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DI MARIO DI PAOLO / SPAZIODIPAOLO.IT
Rinnovare l’immagine con coraggio In un mondo che bombarda l’immaginazione delle persone con comunicazioni a forte impatto visivo, che fanno a gara più a stupire, che a comunicare un messaggio, il primo impegno da parte di chi vuole commercializzare un buon prodotto è farsi notare con intelligenza. Una decisione importante, nell’advertising, è puntare sì al potere di conquista dell’immagine, ma giocando con la semiotica: usarlo, cioè, per interrompere il percorso naturale tra significato e significante, magari inducendo il destinatario a tornare sull’immagine e a concentrarsi sul dettaglio chiave. Rinnovare la propria immagine non vuol dire perdere riconoscibilità. Se non è il prodotto ad evolvere insieme all’età del suo target, dev’essere la sua immagine a sintonizzarsi sui suoi destinatari contemporanei. Se l’età non cambia, insomma, cambiano i tempi: è inevitabile confrontarsi con target sempre nuovi. Questo processo è anzitutto mentale e deve partire dal produttore: per comunicare alla contemporaneità occorre farsi coraggio, accettare di andare fuori dagli schemi. Serve, in gergo, qualcosa che “spacca”. È una decisione che spaventa, ma che alla fine premia. Il food deve comunicare dinamicità, positività e accoglienza: anche negli allestimenti per le fiere è
da considerare seriamente l’idea di un taglio fresco e giocoso, che attiri l’attenzione con rispetto per la materia trattata, ma con un pizzico di sana ironia e di spirito di squadra. L’aspetto vincente di un’azienda o di un gruppo di aziende non è tanto il fatturato, quanto la capacità di portare avanti un prodotto e la sua immagine evocativa. 1 - Velenosi vini. Quando si pensa al vino in termini di dinamicità è al liquido, che si pensa, ovviamente non alla bottiglia, che è, per natura, statica. Nell’advertising abbiamo puntato alla spettacolarità di un momento di rottura inafferrabile nella realtà, rigorosamente non riprodotto al computer bensì catturato dall’obiettivo fotografico. 2 - Rustichella d’Abruzzo: il proprietario, Gianluigi Peduzzi, si è prestato con autoironia al gioco di equivoci: il rigatone al posto del sigaro è il dettaglio che attira l’attenzione e che comunica, in maniera fulminante, il messaggio. 3,5 - Tipografia Mancini: un calendario multisensoriale, con rifiniture lucide e profumato al tatto, è un dono che rimane senz’altro impresso… Se ne parla per tutto l’anno. 4 – Azienda agricola Zaccagnini: una serie di scatti per rinnnovare l’immagine dello staff e far percepire la dinamicità e l’intraprendenza del personale.
«Rinnovare la propria immagine non vuol dire perdere
riconoscibilità. Se non è il prodotto ad evolvere insieme all’età del suo target, dev’essere la sua immagine a sintonizzarsi sui suoi destinatari contemporanei» PAG 29 / C COME PACKAGING
c come vi consigliamo
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c come vi consigliamo
REDAZIONALE
L’agnello sceglilo abruzzese L’Associazione Allevatori d’Abruzzo è l’organizzazione che si occupa istituzionalmente del miglioramento genetico degli allevamenti, su delega del Ministero delle Politiche Agricole. Ha istituito il marchio collettivo Buon Gusto Agnello d’Abruzzo™ allo scopo di tutelare la produzione del tipico agnello da carne abruzzese, rintracciabile e controllata in ogni sua fase. Il marchio, infatti, certifica gli agnelli allevati e macellati in Abruzzo. «Tutti gli agnelli a marchio Buon Gusto Agnello d’Abruzzo™ - spiega Franco Cortesi, direttore tecnico Ara – sono nati, allevati e macellati nel territorio
abruzzese, secondo tecniche produttive tradizionali. Il marchio garantisce al consumatore l’acquisto di una carne certificata, prodotta nel rispetto di una filiera produttiva in cui tutti i passaggi sono eseguiti e controllati secondo specifici standard». Allevamento, trasporto, macellazione e consumo: ogni singola fase è rintracciabile ed eseguita nel rispetto delle specifiche stabilite dall’A.R.A. d’Abruzzo e garantita dall’ “Attestato di Identità” esposto in ogni punto vendita. Il controllo interessa tutta la filiera. Tutti i soggetti interessati (allevatori, trasportatori, mattatoi, punti
«Il marchio garantisce al consumatore l’acquisto di una carne certificata, prodotta nel rispetto di una filiera produttiva in cui tutti i passaggi sono eseguiti e controllati secondo specifici standard» PAG 31 / C COME VI CONSIGLIAMO / BUONGUSTO AGNELLO D’ABRUZZO
c come vi consigliamo
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c come vi consigliamo vendita e di consumo, laboratori di sezionamento) aderiscono formalmente alla filiera di “Buongusto L’Agnello d’Abruzzo” impegnandosi, ciascuno per la propria parte, a rispettare il disciplinare. L’A.R.A. verifica, ad esempio, che ciascun allevamento aderente adotti il manuale di corretta prassi igienica per allevamenti ovi-caprini predisposto dall’AIA (Associazione Italiana Allevatori) in ossequio alla normativa vigente, e che vengano correttamente tenuti i registri relativi. Poi, presso ciascuna azienda, almeno una volta l’anno viene verificata la rispondenza degli allevamenti e dei capi rispetto a determinate caratteristiche previste dal disciplinare, come: il trasporto, che deve essere effettuato direttamente dall’allevatore o da un trasportatore inserito negli appositi elenchi; la macellazione, seguita da un incaricato A.R.A. in ogni mattatoio in cui vengono macellati ovini contraddistinti dal marchio “Buon Gusto Agnello d’Abruzzo”, affinché vengano svolte operazioni di identificazione e marchiatura carcasse e la compilazione dei documenti come previsto dal disciplinare; e l’immissione al consumo, con dei controlli che possono essere svolti presso i punti vendita e laboratori al fine di verificare la correttezza delle informazioni rese al consumatore rispetto alle diverse modalità di vendita della carne di agnello “Buon Gusto Agnello d’Abruzzo”. Nel caso vengano riscontrate non conformità al disciplinare, si può arrivare alla revoca dalla convenzione e all’esclusione della filiera. L’Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo svolge una vigilanza costante sul rispetto del disciplinare da parte dell’intera filiera, avvalendosi di proprio qualificato personale come controllori zootecnici, agronomi, veterinari. Su affidamento della Regione Abruzzo, l’associazione attiva anche programmi di assistenza alle imprese zootecniche e di valorizzazione dei prodotti ad esse collegati. Da alcuni anni l’A.R.A. ha intrapreso, attraverso incontri ed eventi, un cammino di tutela e promozione, anche a livello nazionale, delle produzioni zootecniche abruzzesi: l’esempio più recente risale all’autunno 2012 ed è la ratifica di Buongusto l’arrosticino d’Abruzzo.
Aglio, cipolla, scrocchiata, zafferano, amarene, salvia, basilico e rosmarino sono utili per prevenire fenomeni di flogosi alla base di molte malattie del nostro tempo come osteoartrosi, asma, miocarditi, gastroenteriti, coliti intestinali o addirittura l’Alzheimer e il morbo di Chron
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c come Salute DI ELENA GIULIANI / FOTO_MODIV
Come ti servo gli antinfiammatori a tavola
Alcuni degli alimenti della tradizione culinaria abruzzese hanno spiccate proprietà antinfiammatorie che possono alleviare, ma soprattutto prevenire, fenomeni di flogosi alla base di molte malattie del nostro tempo come osteoartrosi, asma, miocarditi, gastroenteriti, coliti intestinali o l’Alzheimer e il morbo di Chron. Ne vediamo qualche esempio. L’aglio rosso di Sulmona contiene un’altissima concentrazione di principi attivi che svolgono attività antibiotiche, antisettiche ed ipotensive. Inoltre si rivela utile anche per alleviare dolori articolari e muscolari generati da infiammazioni e traumi esterni. La cipolla bianca di Fara Filiorum Petri, nei pressi della Maiella, si presenta bianca, di piccole dimensioni e dalla forma appiattita. Il sapore è dolce ed è quindi indicata per essere consumata cruda nelle insalate estive, magari a base di erbette selvatiche. Assolve anche a funzioni di antiossidante naturale e antinfiammatorio contro le punture di insetti e le affezioni del tratto urinario. Se assunta cotta, è di grande aiuto per curare i sintomi del raffreddore e le affezioni del cavo orale. La sfracchiata o scrucchiata è la tipica marmellata fatta con le uve di Montepulciano d’Abruzzo. Le proprietà dell’uva sono molteplici: antiossidante, antinfiammatoria,
diuretica, protettrice dei vasi sanguigni e fluidificante del sangue, tonica e digestiva. Si rivela utile nei casi di vene varicose, emorroidi, concentrazioni elevate di acido urico e colesterolo alto e aiuta anche la rigenerazione cellulare. Lo zafferano d’Abruzzo contiene un’altissima concentrazione di carotenoidi che ne fa un potente antiossidante in grado di contrastare le conseguenze dannose delle infiammazioni e una buona quantità di vitamine del gruppo B, preziose per il corretto consumo energetico nel corpo. La medicina tradizionale ne ha fatto un ottimo rimedio contro le scottature, gli ematomi e le affezioni del cavo orale, nonché come regolatore del ciclo mestruale e depurante contro le infezioni dell’intestino. Le cerasole, o semplicemente amarene, non sono solo l’ingrediente base della ratafià, liquore tipico abruzzese, ma sono anche un’eccellente fonte di antiossidanti e antinfiammatori naturali. La loro assunzione costante nell’alimentazione può essere un valido aiuto per contrastare i dolori artritici, muscolari e tendinei, senza gli effetti secondari dei farmaci sintetici ad azione antinfiammatoria. Salvia, basilico e rosmarino sono potenti antinfiammatori naturali adatti sia per i dolori reumatici e muscolari, sia per le affezioni del cavo orale e dell’apparato digerente.
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c come tonalità DI MONICA ANDREUCCI / FOTO_MARIO SABATINI
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Largo all’energia antiossidante Ogni buon cuoco cura pure l’aspetto dei suoi piatti, sia nella disposizione-guarnizione delle pietanze sia nell’accostamento dei colori dei cibi stessi, dimostrando così, al commensale attento, la sua perizia. Non soltanto quella culinaria poiché, in teoria, dovremmo mangiare per nutrire sia un corpo sia un’anima, facendolo nel modo più piacevole ed opportuno possibile. “Anche l’occhio vuole la sua parte”, quindi, non è solo estetica bensì condizione fondamentale, perché l’alimentarsi sia ben più d’una formalità da sopravvivenza. «C’è molta differenza nel trovarsi davanti ad una portata mono/bicolore piuttosto che variopinta – scrive la dottoressa Alessandra Obbili, biologa nutrizionista – L’umore cambia, si mangia più volentieri e l’alimentazione corretta non è vista più come privazione ma come scoperta. Il colore è vibrazione ed assumerne in combinazione è terapeutico, stimolante e salutare». I vari cromatismi dei cibi sono dati da sostanze attive dette phytochymichals, ognuna con precisi effetti dappertutto. Già visivamente le varie tinte stimolano i chakra… Se riuscissimo ad ascoltare l’ancestrale linguaggio del nostro corpo, recuperando in positivo la parte istintiva del Sé, ci accorgeremmo che quando ci sentiamo stanchi, per esempio, siamo spontaneamente attratti da alimenti sulle tonalità del giallo e arancione. Se occorre disintossicarci preferiamo il verde, e se siamo
un po’ sotto stress preferiamo cibi di colore più intenso, dal blu al viola. L’energia viola è contenuta negli alimenti fortemente antiossidanti perché ricchi di vitamina C e carotenoidi, ma soprattutto magnesio ed antocianine. Sono tutti principi che proteggono la vista e i capillari; prevengono l’ateriosclerosi e il deposito del colesterolo “cattivo”; migliorano la funzionalità renale; combattono la cellulite. Sono ottimi contro l’intestino pigro, moderano l’appetito nelle diete dimagranti, rinforzano il tessuto osseo, contribuiscono alla formazione di carnitina e collagene, rallentano l’invecchiamento cellulare; sono attivi contro l’ictus, le patologie neurodegenerative e molte forme tumorali. Si tratta del colore che più degli altri presenta varietà di sfumature: i toni del viola stimolano la ghiandola pineale ed il settimo chakra: quello che sta sul punto più alto della testa, il contatto tra terra e cielo, tra le energie del corpo e quelle dello spirito. Filosofie orientali a parte, parliamo d’una tinta ottenuta mescolando il colore più caldo e passionale – rosso – con quello più freddo e razionale – blu – ed infatti rappresenta il cambiamento dopo una pausa fisica e/o psicologica. Non a caso è il colore del lutto, della nostalgia, della meditazione ma pure del potere regale e del rinnovamento.
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La fase dell’impianto
La fase del diserbo PAG 38 / SPECIALE VIOLA / C COME ZAFFERANO
c come zafferano DI ANTONELLA D’ORAZIO / FOTO_PAOLO SERPIERI MAURO GREGORI
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La regina delle spezie
coltivata dagli studenti
Colori intensi e stupendi: il viola dei petali del fiore, il rosso-arancio dei pistilli e il giallo delle antere sono tra le caratteristiche che distinguono la regina delle spezie: lo zafferano. È proprio dal giallo che prende il suo nome, la parola araba za’afaran (infatti asfar significa proprio“colore giallo”), ed è questo il colore che si ottiene nell’uso tintorio e in cucina. Per la sua coltivazione, questa spezia rifiuta ogni tipo di produzione meccanica: per questo oggi sono rimasti pochissimi produttori in Italia, e sono concentrati soprattutto in Abruzzo, nella zona di Navelli, in provincia dell’Aquila, ed in Sardegna. PAG 39 / SPECIALE VIOLA / C COME ZAFFERANO
La fase della raccolta
La fase della separazione
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La fase della separazione
Eppure, girando per la nostra splendida regione, ho “scoperto” che sui terreni dell’istituto d’Istruzione superiore “A. Serpieri” nella sede di Castel di Sangro è stato sviluppato il progetto “La coltivazione dello zafferano nel territorio dell’Altosangro”. Il dirigente scolastico dell’Istituto, Gennaro Di Martino, mi ha raccontato che lui e i professori Paolo Properzi, Livia Di Tola ed il direttore Manrico Oddis hanno pensato di sperimentare una coltivazione dello zafferano in terreni in alta quota appartenenti all’azienda annessa all’Istituto: «La riuscita della coltivazione, botanicamente parlando, avrebbe sicuramente portato ad una interessantissima produzione; l’unico problema era che l’impianto dei selezionati bulbi doveva essere fatto in piena estate nel mese di agosto, cioè quando la scuola è, normalmente, chiusa. Nel 2011 ero responsabile anche dell’IPSSAR di Roccaraso, e l’idea di creare una filiera tra due scuole professionali, unendole con questo preziosissima spezia, ha rafforzato la convinzione di avere le capacità di iniziare una sperimentazione particolare. Questa sperimentazione sarebbe potuta diventare, negli anni a venire, uno sbocco lavorativo per i nostri ragazzi. Fortunatamente, sia i docenti e sia il personale di laboratorio e dell’azienda, ma soprattutto gli alunni si sono resi disponibili per questo laboratorio didattico, e abbiamo impiantato i bulbi il giorno 4 agosto 2012. A seguire, ci sono state le fasi della raccolta: ad ottobre,
ogni mattina ed in piena attività scolastica, le varie classi si sono alternate a raccogliere i meravigliosi fiori viola. Hanno accuratamente separato a mano gli stimmi dai fiori, essiccandoli poi, e confezionandoli. In quei giorni la scuola era invasa da quel pungente ed inconfondibile profumo dello zafferano». Dentro la corolla del Crocus Sativus, meraviglioso fiore della famiglia delle Iridacee, si trovano tre filamenti che contengono una sostanza detta “crocina”, componente responsabile dell’inconfondibile colore giallo. I fiori vengono raccolti all’alba quando sono ancora chiusi. Gli stimmi vengono seccati al sole o con altro metodo e, durante questa operazione, viene perso circa 4/5 del peso originale. Da ogni fiore viene ricavata una quantità minima di spezia: per un chilo di zafferano, ovvero di stimmi, occorrono 150.000 fiori. Sono gli stimmi la vera miniera di sostanze preziose per l’organismo umano, in quanto lo zafferano contrasta l’invecchiamento, stimola il metabolismo e favorisce le funzioni digestive. È anche considerato, da sempre, un potente afrodisiaco, tanto che secondo Ovidio il suo nome deriva dalla storia di Crocus che, disperato nel vedere la giovane Smirax morire d’amore per lui, fu mutato in questo fiore che risveglia e inebria i sensi. Le origini dello zafferano risalgono a tempi antichissimi e quasi sicuramente vanno ricercate nell’Asia meridionale. È stato sempre considerato un preziosissimo elemento
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FERRATELLE ALLO ZAFFERANO di Giuliano Villani, docente di cucina
Ingredienti: per le ferratelle: 10 uova, 10 cucchiai di olio di semi, mezzo bicchiere di sambuca e di martini, la buccia grattugiata di limone, la farina (scarso 1 kg), una bustina di lievito e 2 bustine di vanillina. per la crema pasticcera (1 lt) con zafferano e ricotta di capra: 8 tuorli d’uovo, 1 litro di latte, 320 g di zucchero, 150 g di farina, bacca di vaniglia, buccia di limone, un cucchiaio di pistilli di zafferano, 200 g di ricotta, 50 g di zucchero a velo. Preparazione. Per le ferratelle: sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere pian piano l’olio e tutti gli altri ingredienti e alla fine la farina e il lievito. Cuocere nel ferro caldo. Per la crema: scaldare il latte con la buccia di limone e il baccello di vaniglia precedentemente privata di semi e pistilli di zafferano. In una terrina amalgamare i tuorli con lo zucchero, la farina e i semi di vaniglia, aggiungere il latte scaldato filtrandolo, porre sul fuoco a bagno maria, mescolando fino a cottura ultimata. Quando la crema sarà fredda aggiungere la ricotta montata con lo zucchero a velo. Composizione del dolce: farcire le ferratelle con la crema allo zafferano una sovrapposta all’altra. Servire nel piatto con riduzione di frutti di bosco e zucchero a velo. Accompagnare con un passito abruzzese.
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La fase dell’essiccazione
da utilizzare sia per colorare le materie, sia per esaltare i sapori. I Fenici lo usavano infatti come colorante per le stoffe e come medicina per abbassare il tasso di colesterolo e stimolare il cuore. I Greci lo utilizzavano come sostanza colorante, ma anche per le sue capacità dispensatrici di fecondità. I sacerdoti ebrei, inoltre, in molti eventi sacri lo usavano nelle funzioni propiziatrici o allegoriche. Certamente lo zafferano raggiunge una notevolissima importanza in epoca imperiale, perché pare che l’imperatore Marco Aurelio lo facesse utilizzare come “deodorante” per ambienti, per il proprio bagno caldo e per riempire i cuscini dei propri ospiti. Durante il Medioevo lo zafferano si afferma come pianta medicinale, le cui applicazioni ed utilizzazioni sono fra le più varie e presenti in numerosi preparati. Veniva anche utilizzato
per dipingere tele ed affreschi. È nel Rinascimento che lo zafferano assume la sua identità di spezia con la quale lo conosciamo maggiormente oggi: in cucina è apprezzato per il suo bel colore giallo che dona ai piatti una sfumatura brillante, ma anche un sapore deciso, aromatico e avvolgente. È una spezia molto delicata, sia se usata in stimmi sia in polvere; prima di unirla ad altri alimenti deve essere preparata per infusione in un liquido caldo: acqua, brodo e, perché no, vino, in modo che possa rilasciare il suo colore e il suo aroma. Alcuni campioni della prima raccolta di Castel di Sangro sono stati regalati ai docenti di cucina dell’istituto alberghiero di Roccaraso, che lo ha utilizzato in diverse ricette.
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c come patrimonio
DI TINO FORTUNATO DI SIPIO, ESPERTO PRODOTTI TIPICI
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Abruzzo grande terra di tartufi?
Come forse non molti (anche abruzzesi!) sanno, l’Abruzzo con la sua produzione di tartufi rappresenta il 40% di quella nazionale. Quasi la metà del suo territorio è tartufigeno. Territorio che nelle sue diversità produce un 15% di Tartufo Bianco, oltre il 33 % di Nero Pregiato ed il rimanente di Tartufo Nero Estivo (scorzone). La produzione si ottiene in massima parte dalle tantissime tartufaie naturali sparse nelle quattro province. Le zone più importanti sono: per la provincia di Chieti la Val di Sangro, Fara S. Martino, Pizzoferrato, Borrello, Lama dei Peligni e Carunchio; per la provincia di Teramo quasi la totalità del territorio (!); per il territorio pescarese la zona Vestina e Alta valle del Pescara; per la provincia de L’Aquila la zona Subequana, la Valle Roveto, l’area marsicana, la valle Peligna e l’altopiano di Navelli. PAG 44 / SPECIALE VIOLA / C COME PATRIMONIO
Un discreto contributo arriva anche dalle coltivazioni di tartufo in campo, che si stanno affermando soprattutto nell’Aquilano e nel Teramano. Quest’ultimo aspetto sembra appartenere a quella che oggi viene chiamata “agricoltura innovativa“, eppure non è cosi. Alla fine degli anni Ottanta, infatti, grazie all’impegno del prof Luigi Marra, gastronomo aquilano e studioso delle tradizioni della sua città, è stato ritrovato un documento dell’800 sulla coltivazione del tartufo. L’autore, Ignazio Niccolò Vicentini, aquilano e socio della Società Economica di Aquila, precorritrice della attuale Camera di Commercio, Industria ed Agricoltura, presentò appunto nell’aprile del 1828 una “Memoria sulla coltura de’ Tartufi”, notevole opera di ricerca, approfondimento e documentazione sulla biologia del tartufo, con attento riguardo al territorio regionale ed aquilano in particolare. L’origine del tartufo, il suo odore, la sua conservazione e le condizioni climatiche e pedologiche dei territori tartufigeni, rappresentano l’aspetto scientifico della “Memoria”. Ma l’argomento clou è rappresentato dalle modalità di “coltivare“ il tartufo, fornendo così la possibilità di “raccolta“ del prezioso tubero anche oltre le tartufaie naturali. Il professore Giovanni Pacioni, della Cattedra di Micologia dell’Università de L’Aquila, ricorda che sempre nel Capoluogo abruzzese una decina di anni prima, intorno al 1814, un altro cittadino aquilano riscontrò una crescita di questi profumati tuberi sotto alcune querce dove dei cuochi avevano gettato l’acqua di lavatura dei tartufi. Pensò allora di spargere una buona quantità di tartufi sul terreno di un piccolo bosco di noccioli e registrarne, nel tempo, l’effetto. Dopo circa tre anni quel bosco si era trasformato in una ricca tartufaia. Esperienza notevole, ma che non trovò grandi proseliti se si pensa che, nella nostra regione, solo con l’arrivo delle piante “micorizzate” cavatori ed appassionati hanno cominciato a dar luogo concretamente alla coltivazione del tartufo in Abruzzo, sollecitati da una lodevole iniziativa dell’Arssa. Il tartufo proveniente dalle coltivazioni nulla ha da invidiare a quello delle tartufaie naturali, né dal punto di
vista morfologico nè da quello organolettico. I periodi di raccolta sono uguali. Uguale il metodo di raccolta, il cane da tartufo: lagotto, segugio o un semplice “meticcio” appositamente addestrato. In buona sostanza, da appassionato e vecchio conoscitore delle produzioni tipiche agroalimentari della nostra regione, nel tempo mi sono fatto il netto convincimento che l’Abruzzo è grande terra di tartufi. Però posso anche affermare che del tartufo abruzzese, nel Paese, non viene fatta menzione. Nemmeno in gastronomia. Questo prodotto da sempre registra una perdita di identità. Venduto in importanti quantità, anonimo, a ben noti buyers di fuori regione, viene spacciato al consumo diretto come proveniente da luoghi tartufigeni famosi: Spoleto, Acqualagna, Norcia, Alba… Questo aspetto commerciale è d’altro canto facilitato anche dalla normativa fiscale per il tartufo: non è il cavatore a dover fatturare, bensì l’acquirente che deve… autofatturare. Senza menzionare il nome del venditore (cavatore)!! Per assurdo il nostro tartufo, commercializzato fuori regione, potrebbe rientrare ed essere venduto al consumatore abruzzese senza la sua vera identità di provenienza ed ovviamente a prezzi ben più alti. È di assoluta evidenza la necessità di mettere in campo forti azioni identificative del Tartufo abruzzese: un brand, un marchio che ne certifichi le qualità organolettiche e ne garantisca la provenienza. Qualche anno fa il consorzio produttori Tuber di Sulmona, presieduto dall’appassionato e famoso cavatore Mario Valentini, aveva dato vita a numerose iniziative per la promozione e valorizzazione del Tartufo abruzzese nell’ambito del PSR 2000-2006. Da troppo tempo però le azioni per arrivare all’obiettivo identificativo si sono fermate. I fondi sempre più scarsi e la chiusura dell’Arssa certo non aiutano. Occorre ripartire. Continuare su quella strada, per dare impulso alla nascita di nuove coltivazioni ed aziende locali di trasparente commercializzazione. Per non parlare del fondamentale apporto al nostro turismo enogastronomico. Per strano che possa sembrare, si tratta di ripartire …da sottoterra.
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c come tubero
DI ROBERTO PARISIO/ FOTO_ LEONARDO D’ALONZO
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Prezioso ma ancora da proteggere
“Fra tutti i tuberi che l’uomo ha consacrato al suo nutrimento, il tartufo è tenuto nel più gran pregio. Che sia soltanto la squisita fragranza, quella che tanto li fa ricercare, e che ne incarisce il prezzo; la difficoltà di trarli dal seno della terra vi contribuisce essa pure non per poco. Bisogna istruire de’ cani, insegnare al porco medesimo a scoprire il tartufo, e pochi uomini conoscono l’arte di saper condur questi animali”. Così raccontava Alessandro De Bornholz nella sua opera del 1827: “Della Coltivazione De’ Tartufi”, per i tipi di Giovanni Pirotta, Milano. Sono 36 le aziende abruzzesi che ogni anno producono e lavorano 210 quintali di questo particolare e pregiato fungo (seconda regione dietro l’Umbria), 3 vivai lo coltivano (di cui 1 pubblico) e 6 sono le associazioni riconosciute sul territorio. PAG 47 / SPECIALE VIOLA / C COME TUBERO
Tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico)
LE SPECIE DI TARTUFO COMMERCIABILI DA FRESCHI SECONDO LA LEGGE REGIONE ABRUZZO N.22/88 • • • • • • • • •
Tartufo bianco (Tuber magnatum Pico); Tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vitt.); Tartufo moscato (Tuber brumale var. moscatum De Ferry); Tartufo d’estate o scorzone (Tuber aestivum Vitt.); Tartufo uncinato (Tuber aestivum var. uncinatum Chatin); Tartufo nero d’inverno o trifola nera (Tuber brumale Vitt.); Tartufo bianchetto o marzuolo (Tuber Borchii Vitt. o T. albidum Pico); Tartufo nero liscio (Tuber macrosporum Vitt.); Tartufo nero ordinario (Tuber mesentericum Vitt.). PAG 48 / SPECIALE VIOLA / C COME TUBERO
Siamo stati presso l’azienda “D’Alonzo Tartufi” di Sebastiano D’Alonzo, in quel di Perano (CH), che può simboleggiare l’idea del tartufo come reliquia preziosa. Basti pensare che Leonardo D’Alonzo, figlio di Sebastiano, è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere del tartufo dall’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba. «È da oltre dieci anni che lavoriamo artigianalmente i tartufi freschi e negli ultimi tre anni il fatturato è raddoppiato, attestandosi sui 400.000 euro; la nostra è una vera e propria passione, a cominciare dal rapporto con i cavatori per finire alla lavorazione ed alla distribuzione del prodotto» spiega Sebastiano D’Alonzo. Il rapporto con i cavatori lo spiega Rosario Marchetti, presidente dell’associazione Libera Raccolta Tartufi di Piane D’Archi, da oltre venticinque anni cercatore di tartufi con i suoi cani addestrati: «Non si impiegano razze particolari ed in genere si sceglie un bastardo di piccola taglia. In alcune regioni della Francia si usa ancor oggi andare in cerca di tartufi con maiali perfettamente addestrati; in Italia questa consuetudine è scomparsa nel secondo dopoguerra, in seguito alla crescente richiesta di tartufi ed al conseguente sviluppo di “scuole” per l’addestramento di cani da tartufo». Ci deve essere un certo feeling tra il cane ed il padrone per raggiungere l’obiettivo prefissato. «L’addestramento – continua Rosario Marchetti – incomincia a quattro mesi circa, solitamente in un terreno con delle esche di crocchette tartufate poste inizialmente in superficie e successivamente sempre più in profondità». Ma quali sono le specie di tartufo più conosciute e pregiate del nostro territorio? Senza dubbio, afferma Marchetti, «il Bianco, il Nero Pregiato, il Nero Uncinato, lo Scorzone ed il Bianchetto. Il Bianco lo si cerca da gennaio ad aprile, il Nero pregiato da novembre a marzo, il Nero Uncinato da ottobre a marzo, lo Scorzone da giugno ad agosto ed il Bianchetto da gennaio ad aprile. Secondo la legge possiamo uscire al massimo con due cani (anche se per il Bianco si usa solitamente un solo animale) e raccogliere non più di 1 Kg di tartufi al giorno».
C’è molta concorrenza tra i cavatori abruzzesi, se ne contano ufficialmente circa 6mila (iscritti all’Albo con tanto di tesserino), eppure non molti anni fa il loro numero non superava le millecinquecento unità, senza contare quelli abusivi. Quali sono le condizioni climatiche e territoriali per avere buoni tartufi? Si consideri che sono relativamente rari, in quanto la loro crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali. In certe annate di particolare scarsità arrivano a costare cifre molto elevate (il bianco più pregiato può arrivare a 4.500 euro al chilo). L’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali ed esportatori di tartufi. Nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia. Le più importanti zone di produzione di tartufo bianco sono, per via della loro conformazione geografica, il Piemonte (in particolare Alba, la provincia di Asti e una parte della provincia di Torino), l’Emilia-Romagna (tutta la fascia appenninica a partire da Piacenza, ed in particolare i Colli bolognesi e forlivesi), la Toscana (specialmente i comuni di San Miniato e San Giovanni d’Asso), le Marche (con in testa Acqualagna e Sant’Angelo in Vado), l’Umbria in generale, l’Abruzzo ed il Molise nelle zone pedemontane. Molto più comune è invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto “scorzone”), sia della più pregiata varietà invernale. Altre produzioni, ma meno rilevanti, sono presenti in Campania, Calabria e Basilicata, zone queste ultime dove i tartufi hanno iniziato ad essere valorizzati solo in tempi recentissimi. «Gli acquirenti dei tartufi – racconta Sebastiano – sono consumatori locali e stranieri, importatori, grandi distributori e ristoratori e spiace dover ricordare che le Istituzioni non lavorano per valorizzare la cultura del consumo di tartufo attraverso opportune strategie di marketing territoriale. La zona della Val di Sangro rappresenta per lo scorzone una delle zone meglio vocate d’Europa». Quanto alle tecniche di conservazione, il tartufo fresco
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va mantenuto in frigo ad una temperatura di circa 4° ed avvolto in una carta assorbente riposta all’interno di una scatola ermetica. Ogni due o tre giorni è opportuno cambiare l’incartamento in base alla maturazione del tartufo e per un periodo massimo pari a dieci/dodici giorni. Le tecniche di lavorazione, una volta comprato il tartufo fresco dal cavatore/commerciante, consistono nella cernita (selezione della qualità-peso–forma), nella toilettatura di lavaggio (pulitura della terra con la spazzola), nella vendita (refrigerazione–confezionamento-spedizione). L’azienda D’Alonzo, ad esempio, lavora per l’80% del fatturato sul prodotto fresco e per il rimanente 20% sul conservato (imbarattolato e surgelato). I prezzi alla vendita del congelato superano del 50% quelli del prodotto fresco. Raramente il prodotto viene commercializzato intero e fresco, a causa del costo esorbitante, della difficoltà di trasporto e conservazione e della caratteristica attitudine del tartufo ad essere trasformato in modo creativo: con una ridottissima quantità di tartufo è possibile insaporire un piatto o una salsa, e l’enorme valore aggiunto della lavorazione stimola lo sviluppo di numerose piccole imprese di trasformazione. Il mercato del tartufo è un mercato di estrema fidelizzazione tra compratore ed acquirente finale, per cui dal lato dell’offerta non vi sono tensioni concorrenziali, mentre sul fronte degli acquisti la concorrenza tra i cavatori genera un certa flessibilità di prezzo. Un dato
strutturale va rilevato: il prezzo di vendita di riferimento è stabilito dalle quotazioni delle grandi fiere di tartufi del nord Italia (in primis il mercato di Alba) ed in definitiva il prezzo alla cava dipende dalla qualità e dal prezzo praticato in tali fiere. I prodotti più in voga sono costituiti da vasetti con tartufi interi di piccole dimensioni e anche da altri specialità: dal carpaccio (fettine molto sottili) alle salse pronte comprendenti in genere una base di funghi, che si prestano all’uso su crostini, bruschette, pasta di grano duro, pasta fresca o di soia, bistecche di filetto. Altre produzioni riguardano la grappa e l’amaro al tartufo, nonché gli olii d’oliva aromatizzati che sono sì molto richiesti ma preparati, a causa di particolari complessità del processo produttivo, con aroma di sintesi spesso aggiunti anche a salse con polpa di tartufo. Se non si vogliono acquistare prodotti sintetici, bisogna prestare molta attenzione all’etichetta: se c’è la dicitura “aroma” ed è senza la specifica “naturale” significa, in pratica, aroma sintetico a base di bis-metiltiometano. Cercare il tartufo, come dicono gli appassionati, è una magia che si ripete ogni anno, da centinaia di anni a questa parte, e per di più il nostro Paese è quello con la più grande varietà di specie commestibili. Ed allora, istituzioni pubbliche abruzzesi, perché non coinvolgiamo tutti gli attori della filiera (cavatori, imprese di trasformazione, esportatori, importatori) e non cominciamo a realizzare un’effettiva valorizzazione di questo pregiato tubero?
I TEMPI DI RICERCA E RACCOLTA DEI TARTUFI FRESCHI NELLA REGIONE ABRUZZO ( LEGGE N.22/88 ) La ricerca e la raccolta dei tartufi è vietata durante le ore notturne, da un’ora dopo il tramonto ad un’ora prima dell’alba. Nelle zone ove è presente il tartufo bianco è vietata la raccolta di qualsiasi specie di tartufo, dal 30 settembre al 14 ottobre e dal 31 dicembre al 15 gennaio. • • • • • • •
Tartufo nero pregiato, dal 15 novembre al 15 marzo; Tartufo bianco, dal 1 ottobre al 31 dicembre; Tartufo d’estate o scorzone: dal 1 giugno al 15 settembre e dal 15 novembre al 31 dicembre ; Tartufo bianchetto o marzuolo, dal 15 gennaio al 30 aprile; Tartufo nero d’inverno o trifola nera, dal 1 gennaio al 15 marzo; Tartufo moscato, dal 1 dicembre al 15 marzo; Tartufo uncinato, dal 15 ottobre al 15 marzo; PAG 50 / SPECIALE VIOLA / C COME TUBERO
CARATTERISTICHE BOTANICHE E ORGANOLETTICHE DELLE SPECIE COMMERCIABILI (LEGGE N.22/88 ) •
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Tuber magnatum Pico, detto volgarmente tartufo bianco (o anche tartufo bianco del Piemonte o di Alba e tartufo bianco di Acqualagna): ha peridio o scorza non verrucosa ma liscia, di colore giallo chiaro o verdicchio, e gleba o polpa dal marrone al nocciola più o meno tenue, talvolta sfumata di rosso vivo, con venature chiare fini e numerose che scompaiono con la cottura. Ha spore ellittiche o arrotondate, largamente reticolate o alveolate, riunite fino a quattro negli aschi. Emana un forte profumo gradevole. Tuber melanosporum Vitt., detto volgarmente tartufo nero pregiato (o anche tartufo nero di Norcia o di Spoleto): ha peridio o scorza nera rugosa con verruche minute, poligonali, e gleba o polpa nero-violacea a maturazione, con venature bianche fini che divengono un po’ rosseggianti all’aria e nere con la cottura. Ha spore ovali bruno scure opache a maturità, aculeate non alveolate, riunite in aschi nel numero di 4-6 e talvolta anche solo di 2-3. Emana un delicato profumo molto gradevole. Tuber brumale var. moschatum De Ferry, detto volgarmente tartufo moscato: ha peridio o scorza nera con piccole verruche molto basse e gleba o polpa scura con larghe vene bianche; è di grossezza mai superiore ad un uovo. Ha spore aculeate non alveolate spesso in numero di cinque per asco. Emana un forte profumo e ha sapore piccante. Tuber aestivam Vitt., detto volgarmente tartufo d’estate o scorzone: ha peridio o scorza grossolanamente verrucosa di colore nero, con verruche grandi piramidate, e gleba o polpa dal giallastro al bronzeo, con venature chiare e numerose, arborescenti, che scompaiono nella cottura. Ha spore ellittiche, irregolarmente alveolate, scure, riunite in 1-2 per asco presso a poco sferico. Emana debole profumo. Tuber aestivum var. uncinatum Chatin, detto volgarmente tartufo uncinato: ha peridio o scorza verrucosa di colore nero, e gleba o polpa di color cioccolato, con numerose venature ramificate chiare. Ha spore ellittiche, ampiamente alveolate riunite in asco in numero fino a cinque, che presentano papille lunghe e ricurve ad uncino. Emana un profumo gradevole. Tuber brumale Vitt., detto volgarmente tartufo nero d’inverno o trifola nera: ha peridio o scorza rosso scuro che diviene nera a maturazione, con verruche piramidate e gleba o polpa grigio-nerastra debolmente violacea, con venature bianche ben marcate che scompaiono con la cottura assumendo tutta la polpa un colore cioccolata più o meno scuro. Ha spore ovali brune, traslucide a maturità, aculeate non alveolate, riunite in aschi nel numero di 4-6 e talvolta anche meno, più piccole di quelle del Tuber melanosporum e meno scure. Emana poco profumo. Tuber Borchii Vitt. o Tuber albidum Pico, detto volgarmente bianchetto o marzuolo. Ha peridio o scorza liscia di colore biancastro tendente al fulvo e gleba o polpa chiara tendente al fulvo fino al violaceo-bruno con venature numerose e ramose. Ha spore leggermente ellittiche regolarmente alveolate o reticolate a piccole maglie riunite in aschi fino a 4. Emana un profumo tendente un po’ all’odore dell’aglio. Tuber macrosporum Vitt., detto volgarmente tartufo nero liscio: ha peridio o scorza quasi liscia con verruche depresse, di colore bruno rossastro e gleba bruna tendente al purpureo con venature larghe numerose e chiare brunescenti all’aria. Ha spore ellittiche, irregolarmente reticolate e alveolate riunite in aschi peduncolati in numero di 1-3. Emana un gradevole profumo agliaceo piuttosto forte. Tuber mesentericum Vitt., detto volgarmente tartufo nero ordinario (o anche tartufo nero di Bagnoli): ha peridio o scorza nera con verruche più piccole del tartufo d’estate, gleba o polpa di colore giallastro o grigio-bruno con vene chiare laberintiformi che scompaiono con la cottura. Ha spore ellittiche grosse imperfettamente alveolate riunite in 1-3 per asco. Emana un debole profumo.
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c come gioco
Le pupe di fichi secchi Nell’ambito degli incontri organizzati dal ristorante Santa Chiara a Guardiagrele, lo scorso dicembre la signora Oriana Di Cocco ha insegnato a costruire un affascinante cibo-giocattolo: la pupa di fichi secchi, una specie di versione invernale delle pupe pasquali. «A Guardiagrele, il giorno di Santa Lucia, era usanza regalare alle bambine le pupe e ai bimbi i cavalli, costruiti con i fichi secchi – spiega Gino Primavera, patron del ristorante – Le bambine partecipavano anche alla costruzione dei giocattoli e imparavano il mestiere della creazione; invece i maschietti, più privilegiati, avuto il regalo, dovevano solo disfarlo e mangiarlo. Il rispetto per il regalo ricevuto voleva però che pupe e cavalli non fossero mangiati subito, ma che si aspettasse qualche giorno per disfarli e l’attesa aumentava il desiderio e dilatava il tempo del gioco». I “carracìni”, i fichi essiccati al sole, si infilzavano in piccole stecche ricavate dallo spacco ad arte delle canne, foggiate in modo da formare lo scheletro del dono; le pupe e i cavalli poi venivano vestiti con tessuti o carte colorate e addobbati con fiocchi, le facce venivano dipinte, «a volte un po’ strane quasi da mettere paura,
o sorridenti, nonostante li aspettasse il destino di essere mangiati – continua Gino Primavera – In un atto di cannibalismo dolce, questi giocattoli venivano trasformati in energia in un ciclo di eterno rinnovo». «Mia nonna era di origini contadine e teneva molto al fatto che noi ragazze dovevamo imparare a fare tutto – spiega Oriana Di Cocco, che ha tenuto lezione – perciò anche la realizzazione delle pupe di fichi secchi era un rito che si ripeteva ogni anno in occasione della festa di santa Lucia, il 13 dicembre. Con una canna verde si faceva la base, nella quale venivano inseriti i fichi, ma la cosa più divertente era confezionare i vestiti che si facevano con pezzi di stoffa e carte colorate. Le pupe dovevano avare un seno prosperoso e folti capelli di lana, possibilmente usata. Il viso veniva ricoperto da stoffa bianca, sulla quale si disegnavano occhi e bocca. Ho un po’ modificato la realizzazione, sostituendo alla canna i bastoncini per gli spiedini, sia per motivi igienici sia per praticità. Le classiche pupe contadine si trasformano, con un po’ di fantasia, in spose e, perché no, in ballerine caraibiche e ragazze moderne»
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c come emergente
DI LUIGI CREMONA / FOTO_MODIV
Mettere oggi le basi del successo di domani
Il Premio Miglior Chef Emergente è nato da un’idea mia e di Lorenza Vitali, basata sull’ultra-ventennale esperienza maturata sul campo, sempre alla ricerca di nuovi ristoranti e dunque nuovi chef, in giro per l’Italia e non solo. La sua prima edizione risale al 2006 e da allora si ripete con successo ogni anno. Alcuni degli chef che hanno partecipato, allora sconosciuti, hanno ora importanti riconoscimenti come la stella Michelin, o alti punteggi nelle principali guide del settore, come L’Espresso, il Gambero Rosso, il Touring. Probabilmente il successo che questa manifestazione ha avuto è merito dell’attenzione che ormai tutti hanno per la cucina d’autore, merito della simpatia che i giovani chef sono in grado di suscitare, merito della formula a competizione che, come tutte le gare, finisce per appassionare il pubblico e i partecipanti. Un Premio che è diventato ambito e seguito, e genera forte attesa, e avrà negli anni a seguire partecipazione crescente e risonanza
notevole. Inoltre da due anni si è aggiunta la finalissima nazionale del Premio “Miglior Chef Emergente d’Italia” che, oltre ad una visibilità mediatica e ai premi vari, ha dato la possibilità ai vincitori, il campano Roberto Allocca e il trentino Diego Rigotti, di rappresentare l’Italia del futuro al “Summit della Cucina Italiana nel mondo” a Hong Kong. Le nomination finali rappresentano spesso le migliori concrete speranze in quel momento per la ristorazione di domani. Le selezioni vengono effettuate dai migliori giornalisti enogastronomici delle varie regioni prese in esame. In giuria ci sono i rappresentanti delle più autorevoli e qualificate guide di ristoranti, e molti dei concorrenti e dei premiati hanno poi ottenuto importanti riconoscimenti. Tra i vincitori delle scorse edizioni del Centro Italia ricordiamo due giovani abruzzesi: Nicola Fossaceca e Mattia Spadone, due persone alle quali bisogna riconoscere il merito di quello che sono oggi. Nicola
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Arrosticini del cortile con filetti di peperoni arrosto al miele di Caramanico di Antonello De Maria
Ingredienti per 4 persone: per il pollo: 2 cosce di pollo, 25 cl di olio, rosmarino, sale, pepe, 1 spicchio d’aglio. Per la faraona: 2 cosce di faraona, 25 cl di olio d’oliva, salvia, sale, pepe, 1 spicchio d’aglio. Per il coniglio: 2 cosce di coniglio, 8 fette di pancetta, timo, sale, pepe. Preparazione. Per il pollo: Disossate la coscia e successivamente salate e pepate entrambi i lati. Cospargete di rametti di rosmarino unite 25 cl di olio e chiudete in sottovuoto. Lasciate riposare per 24 ore in frigo in modo che si insaporisca. Trascorse le 24 ore mandate in cottura a 70°c per 40 minuti e raffreddare velocemente. Per la faraona: Disossate la coscia e successivamente salate e pepate entrambi i lati. Cospargete di rametti di timo e unite 25 cl di olio e chiudete in sottovuoto. Lasciate riposare per 24 ore in modo che si insaporisca. Trascorse le 24 ore mandate in cottura a 70°c per 1 ora e raffreddate velocemente. Per il coniglio: Disossate la coscia e ricavate 8 bocconcini che salate e pepate. Avvolgete i vostri pezzetti nelle fette di pancetta. Chiudete in sottovuoto e lasciate riposare per 24 ore in frigo in modo che si insaporiscano. Trascorse le 24 ore mandate in cottura a 70°c per 20 minuti e raffreddate velocemente. Per i peperoni: Lavateli e mandateli in cottura in forno a 200°c per 30 minuti. Successivamente privateli della pelle e conditeli con il restante olio, prezzemolo, sale, aglio a fette ed il miele di Caramanico. Per la finitura del piatto: tagliate in 8 pezzi omogenei sia il pollo che la faraona ed infilate sugli spiedi insieme ai bocconcini di coniglio. Con l’aiuto di una griglia calda fate dorare tutti i lati. Una volta rosolati, impiattate e servite insieme ai filetti di peperone.
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ha aperto il suo ristorante “Al Metrò” a San Salvo nel 2002 e dopo sette anni ha vinto il Premio Miglior Chef Emergente: l’edizione 2013 della guida Michelin gli ha conferito la sua prima stella. Figlio d’arte invece, il giovanissimo Mattia che ha vinto la gara nel 2010 (allora aveva 22 anni), con una ricetta interessante e probabilmente, dal punto di vista visivo, una delle più belle tra i piatti che sono passati sotto i nostri occhi in questi anni. Il ristorante della sua famiglia, “La Bandiera”di Civitella Casanova, ha una stella Michelin da due anni. Solo nel 2012 abbiamo scoperto circa cinquanta talentuosi e giovani chef, che, siamo sicuri, nel prossimo futuro avranno un riscontro importante. Trascorrere del tempo con loro, anche se solo pochi giorni, ci offre la possibilità di conoscerli, dunque non solo di vederli all’opera. La loro professione richiede molti sacrifici, eppure questi
caparbi e impavidi giovani riescono anche a metter su famiglia e a coltivare diversi hobby e passioni. L’ultima edizione, 2012, del centro Italia ha avuto in gara solo un giovane chef abruzzese: Antonello De Maria “Le Regard“ a Caramanico Terme. Non è stato lui il vincitore anche se Antonello si è difeso bene. Tra l’altro, alla sua giovane età ha già avuto collaborazioni con grandi chef come Nico Romito, Marcello Spadone e Peppino Tinari. Arrosticini del cortile con filetti di peperoni arrosto al miele di Caramanico e sagne mantecate con paparazze, cicoria e pecorino Sant’Eufemia sono le due ricette che lo chef De Maria ha presentato durante la gara che si è tenuta a Firenze all’interno di Exporurale e che si ripeterà anche quest’anno, sempre verso la metà di settembre. Ancora prima, nei primi giorni di giugno, si terrà il Premio Miglior Chef Emergente del Sud Italia a Napoli.
Classe 1984, Antonello De Maria è nato a Benevento ma è in Abruzzo dal 1998, dove ha studiato all’i.p.s.s.a.r. di Roccaraso. Tra il 2004 e il 2012 ha collaborato con Niko Romito, Marcello Spadone e Peppino Tinari, per passare poi a dirigere la cucina del cinque stelle “Le Regard – La Reservé Hotel” di Caramanico Terme. «“Chef emergente” ha arricchito il mio bagaglio culturale legato al mondo culinario, non solo dal punto di vista professionale ma anche e soprattutto sotto il profilo umano – racconta – durante le varie dimostrazioni ognuno di noi concorrenti ha collaborato alla buona riuscita delle singole prove, dimostrando una grande solidarietà. Questa esperienza è stata importante soprattutto perché mi ha dato modo di apprezzare le capacità e le tecniche messe in campo».
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LU VROTE (il brodo) di Lorenzo Pace, presidente associazione cuochi prov. Pescara
Ingredienti per 4 persone: Ingredienti per 4 persone. Per il brodo: 500 g di gallina, 2,5 lt d’acqua, 50 g di carota, 50 g di cipolla 20 g di sedano, 1 chiodo di garofano, 0,5 g di cannella, 6 g di sale grosso. Per la pasta: 150 g di farina di grano duro, 1 uovo intero, 30 g di acqua, 3 g di sale fino. Per il brodo: fiammeggiare e lavare la gallina, metterla in una pentola con l’acqua fredda, gli ortaggi a pezzi e il chiodo di garofano infilzato nella cipolla. Salare e lasciare sobbollire per 2 ore, schiumando di tanto in tanto. Lasciare riposare e passare il brodo in uno strofinaccio di lino. Per la pasta: impastare la farina con gli ingredienti, avvolgere il panetto nella pellicola e lasciare riposare per 1 ora in frigorifero. Stendere l’impasto allo spessore di 2 mm, tagliare delle strisce larghe ½ cm e ritagliare in obliquo ottenendo dei rombi. Lessare la pasta in acqua bollente e salata, portare a bollore il brodo, scolare la pasta nel brodo, lasciare sobbollire 1 minuto e servire.
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c come ricette
A CURA DELL’UNIONE CUOCHI ABRUZZESI
Lu cònzele
Dagli egiziani ai greci, dai latini ai Romani, fino ad arrivare agli anni ’50 del secolo scorso il banchetto funebre ha rappresentato un vero e proprio rito che coinvolgeva i familiari del defunto che in suo onore mangiavano e bevevano credendo di allontanare gli influssi negativi dal deceduto. A rafforzare l’importanza che questo pranzo ha avuto nel corso dei millenni, c’è l’etimologia della parola maccheroni che, secondo il linguista Giovanni Alessio, deriverebbe dal greco tardo makarìa, ossia “cena funebre”, termine a sua volta collegato al sostantivo makàrioi che significa “beati i morti”. In Abruzzo il banchetto funebre assumeva il nome di “cònzele”, cioè pranzo di “consolazione”, che i vicini di casa del defunto o, in alcuni casi i parenti, offrivano ai familiari dopo un funerale. Durante la veglia funebre, a rotazione le donne del vicinato offrivano ai familiari biscotti, decotti, pane e miele e, dalla sua diffusione in Italia, il caffè. “Lu conzele” consisteva in un banchetto che in tempi più recenti prevedeva il brodo di gallina con della pasta fatta in casa – la cui gallina lessa veniva mangiata come secondo – o i maccheroni all’uovo
con un sugo di agnello, di gallo o, in alternativa, di papera. Come secondo piatto si cucinavano animali da cortile e si concludeva con dei biscotti. Le donne che avevano preparato il pranzo portavano a casa del defunto il cibo già cucinato, il vino, l’acqua e anche le posate, i piatti, i bicchieri e le tovaglie. Tutto ciò veniva trasportato dentro dei canestri sistemati sul capo delle donne con la caratteristica che un lembo delle tovaglie che coprivano il cibo doveva penzolare fuori del canestro. Dopo aver servito i commensali, si sparecchiava e sistemava la cucina, e il cibo che era avanzato doveva essere lasciato ai familiari del defunto. Trascorsi otto giorni dalla sepoltura, veniva officiata una messa detta “di riuscita” e dopo la funzione ci si ritrovava nella casa del defunto per commemorarlo attraverso un secondo banchetto. Questa usanza risale al periodo greco-romano, quando il nono giorno dopo l’inumazione si preparava un banchetto, l’epulae funebres, nel quale non potevano mancare le fave, considerate il cibo rituale “dei morti”, l’acqua profumata, il latte, il miele, l’olio e il sangue di animali domestici sacrificati in onore del defunto.
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PAG 28 / C COME VI CONSIGLIAMO / ABRUZZO TERRAD’ORO
c come libro DI DANIELE DI VITTORIO
Geology at the table Che c’entra la geologia con la tavola? Lo svela la ricerca “Geology at the table” sul rapporto tra geologia e cibo in Europa, che è stata pubblicata in veste elegante da EuroGeoSurveys, organizzazione internazionale con sede a Bruxelles che raggruppa i Servizi Geologici dei Paesi europei. La mappatura che propone del continente europeo è originale, perché si sviluppa dal punto di vista geografico e alimentare per descrivere come un piatto sia saldamente legato al luogo in cui nasce. Il messaggio principale del volume è mostrare come la geologia abbia un ruolo fondamentale nel modo in cui viene preparato il nostro cibo, le sue sostanze nutritive o i materiali che usiamo per cucinarlo, a partire dal tipo di roccia per passare alla coltivazione degli ingredienti, per passare alla morfologia in cui vengono allevati gli animali e finire con l’evoluzione geologica della costa o con il perché abbiamo determinati minerali di base per la nostra cucina, come il sale. La realizzazione di questo importante lavoro è stata possibile attraverso un’impegnativa attività di squadra al quale si è unito il 27enne cuoco abruzzese Vito Pepe, nello staff dello storico ristorante Beccaceci di Giulianova diretto da Andrea Beccaceci e da sua madre Maddalena Mazzaufo. È stato Vito a preparare tutte le ricette presenti nel libro, sotto la supervisione del nutrizionista Piero Campanaro. I piatti sono sati fotografati dal giovane freelance di Pineto Erwin Benfatto e realizzate con i prodotti selezionati e forniti dall’azienda Quartiglia, di Cologna spiaggia. Il libro è completamente in inglese e chiama in causa 27 piatti di 25 Paesi europei.
La geologia ha un ruolo fondamentale nel modo in cui viene preparato il nostro cibo, le sue sostanze nutritive o i materiali che usiamo per cucinarlo PAG 61 / C COME LIBRO
c come news Arpo sugli scandali alimentari
Santoleri sotto il segno dell’arte
«La tracciabilità che tanto inseguiamo deve partire dalla difesa di quei produttori che ancora resistono sul nostro territorio, che non sono industrie ma persone che lavorano, e sanno ancora come si fa». Così Nunzio Marcelli, presidente Arpo (Associazione Regionale Produttori Ovicaprini) reagisce all’ultimo scandalo alimentare che ha scosso l’Italia nella seconda metà dello scorso febbraio. «Sono produzioni di filiera – continua – in cui tutto avviene sotto il controllo della stessa azienda, che non ha bisogno, come quelle coinvolte negli scandali di questi giorni, di andare da tutti i suoi fornitori per accertare cosa effettivamente ha comprato, dove e da chi. Ma questo vero patrimonio rischia di estinguersi: di 10 aziende di questo tipo che fino a 10 anni fa lavoravano e mantenevano le famiglie e interi paesi, oggi ne restano solo 3. Chiudono perchè vengono trattate da fuorilegge, perché non sono a norma con la burocrazia dell’Unione Europea, mentre continuano a fare affari i veri fuorilegge che ci vendono le loro marche e poi non sanno nemmeno cosa c’è dentro il nostro cibo. Quanta carne “locale” viene venduta nei nostri supermercati, e da dove viene veramente? È ora di finirla di prendere in giro i consumatori e far fallire chi lavora seriamente!; tutela della filiera corta, con i caseifici e mattatoi aziendali; meno burocrazia, e più serietà nei controlli verso chi davvero mette a rischio la nostra salute.»
Da tempo l’Azienda vitivinicola Nicola Santoleri ha scelto di caratterizzarsi con uno sforzo di promozione e di mecenatismo artistico sul territorio. La Cantina è stata presentata come “architettura-museo” alla Biennale di Venezia, nell’ambito della 13° Mostra Internazionale di Architettura nella manifestazione curata da Luca Zevi “Le Cattedrali del Vino: Architettura come Simbolo”. Il 28 dicembre 2012, sulle pagine del settimanale “Il venerdì” de “La Repubblica”, è stata pubblicata l’opera che l’artista Alfredo Pirri ha voluto realizzare nella sua sede d’origine, Casa Santoleri a Guardiagrele. Gli artisti Alfredo Pirri ed Ettore Spalletti hanno ultimamente realizzato, per la Cantina Santoleri, etichette d’autore di particolare pregio che saranno presentate in occasione del 40° anniversario dell’Azienda Vitivinicola. (foto: Massimo Camplone)
Nascerà Bott’Arte, la bottega delle tipicità
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Nascerà presto a San Valentino in Abruzzo Citeriore il progetto Bott’Arte, con il quale si intende mettere a disposizione del territorio un locale di circa 300 mq (l’ex mulino), posto in una posizione strategica, liberato da vincoli e messo in sicurezza, sulla Strada Statale 487, in pieno centro, dove promuovere e vendere prodotti tipici dell’enogastronomia, dell’artigianato artistico e altre arti e tradizioni legate alla storia locale. L’adesione si attiva tramite il sistema del contratto di rete beneficiando anche degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla legge regionale “Abruzzo Venti Quindici”. «Il progetto non vuole sostituire i negozi – ha specificato Angelo D’Ottavio, sindaco di San Valentino in A. C. – ma diventare un attrattore, un “brand”, aiutando anzi i piccoli imprenditori ad ampliare il proprio bacino oltre il proprio Comune beneficiando dei vantaggi in termini di marketing e promozione previsti». Il progetto è ideato dall’amministrazione comunale in collaborazione con l’agenzia di sviluppo locale Terre Pescaresi e il patrocinio di CNA, Confartigianato, CIA e Confcooperative. Prevede anche la realizzazione di una piattaforma per e–commerce e l’attività di formazione al servizio degli imprenditori stessi; per i primi 12 mesi i locali sono in comodato d’uso gratuito, poi saranno stipulate apposite convenzioni. La presentazione della domanda scade il 29 marzo. Informazioni al Comune di San Valentino.
Scomparso lo chef Giovanni Spaventa
Un anno fa, sul numero 22 di C come magazine, grazie a un’idea della nostra collaboratrice Antonella D’Orazio abbiamo avuto l’occasione di pubblicare un approfondimento sulla vita intensa del cuoco di Villa Santa Maria Giovanni Spaventa. La malattia contro cui stava combattendo lo ha vinto il 2 febbraio 2013, all’età di 79 anni. Così lo ricorda Lorenzo Pace, presidente dell’associazione cuochi della provincia di Pescara: «Valente professionista, divulgatore dell’arte culinaria e costantemente impegnato per la crescita professionale dei cuochi abruzzesi, nella “Patria dei cuochi” era stimato e apprezzato per le sue doti umane e professionali, una personalità di prestigio che doveva la sua fama per essere stato lo chef dell’Hotel Cipriani di Venezia per 18 anni. Oltre all’intensa attività lavorativa è stato impegnato anche nell’associazionismo professionale, ricoprendo la carica di presidente dell’associazione regionale Cuochi Abruzzesi, successivamente divenuta associazione cuochi Valle del Sangro, dal 1985 al 1989; dal 2003 al 2010 ne è stato il presidente onorario. Dal 2011 era Decano dei Cuochi Abruzzesi».
Words of Wine: un premio giornalistico
Il 92% degli abruzzesi conosce il Montepulciano d’Abruzzo eppure solo il 33% lo beve. Il Consorzio Tutela vini d’Abruzzo unisce i concetti di vino e cultura e incentiva la promozione e la valorizzare dell’immagine dell’Abruzzo enoico, attraverso l’attività di comunicazione mediatica lanciando il premio “Words
of Wine”. Il premio internazionale è aperto all’attività giornalistica in ambito nazionale e internazionale e ai servizi aventi come tema i vini di qualità abruzzesi, i territori viticoli, i personaggi del mondo del vino abruzzese sullo sfondo del patrimonio naturalistico e storicoculturale della Regione Abruzzo. I lavori saranno premiati con un’opera d’arte realizzata dall’artista Ettore Spalletti, il Calice di Onice. Il premio è stato presentato a Milano. Il bando è su www.consorzio-viniabruzzo.it
Maria Angela Morabito, ristorante “Il Nespolo” Roccascalegna (Ch); Fabrizio Pallottini, ristorante “Il Salice” Civitella del Tronto (Te); Domenica Vagnarelli, libera professionista Alba Adriatica (Te).
L’Abruzzo promosso tra gli abruzzesi
I collegia cocorum abruzzesi del 2013
Il 6 febbraio 2013 presso la sala del Campidoglio a Roma, la Federazione Italiana cuochi ha insignito del Collegium Cocorum 297 cuochi italiani. Il collare con medaglione viene conferito ai cuochi professionisti che hanno lavorato “per oltre 25 anni nella ristorazione con dignità, passione, capacità e dando prestigio alla cucina italiana”. Dodici nuovi collari sono stati assegnati ai cuochi abruzzesi nel 2013, portando a 135 il numero di insigniti in regione: Antonio Catone, “Osteria del Leone” Penne (Pe); Giuseppe D’Agostino, Ristorante “La Favorita” Venezia; Nino D’Ambrosio, Tecnico di cucina alberghiero di Pescara; Enea D’Amico, libero professionista; Pasquale Di Blasio, Hotel Hilton Firenze; Francesco Giannetti, Sporting Hotel Villa Maria Francavilla (Ch); Paolo Giorgetti, Hotel Villa Immacolata Pescara; Quintino Marcella, insegnante di cucina alberghiero di Pescara; Salvatore Molè, Ristorante “S. Marco” Tortoreto (Te); PAG 63 / C COME NEWS
È stato lanciato il 15 febbraio il progetto “La cucina di casa Rosanna” dell’associazione “Abruzzo in tavola”. Tappa di presentazione lo showroom di Casa&Co a Vasto, con un itinerario diverso dal solito tra design, accoglienza e soprattutto tipicità abruzzesi. Rosanna Di Michele, infatti, ha cucinato in diretta e impiattato (stile party americano) 8 Kg di tagliatelle al cacao condite con pancetta abruzzese, castagne roscette, scaglie di grana e menta fresca, con olio extravergine di oliva DOP colline vastesi. A corollario, i partecipanti hanno potuto conoscere e degustare i prodotti di aziende del territorio come Le colline di Evagrio, Feudo delle Ginestre, William De Carlo, La Selvotta, Accademia della Ventricina, panificio Lo Sfizio, Le Regine Cupello, azienda vinicola De Luca, la cooperativa ortofrutticola San Rocco e gli apicoltori Api. Il progetto coinvolgerà altri showroom e presenterà agli abruzzesi stessi, sulla falsariga di quanto abitualmente realizzato in America dall’associazione “Abruzzo in tavola”, prodotti che spesso hanno maggiore riscontro sul mercato estero ma sono pressoché sconosciuti “in patria”.
c come news Uno “scièf ” abruzzese a Philadelphia
della pizza farcita con i prodotti tipici abruzzesi, tra cui lo zafferano, servita al buffet.
Cinque gocce d’oro a Tenuta Zuppini
Si è fatto carico di una buona causa il ristoratore di Mosciano Sant’Angelo Gabriele Marrangoni, patron e “scièf” (come ama scherzosamente definirsi) della country house Borgo Spoltino: il 27 gennaio 2013 ha cucinato abruzzese per i 300 partecipanti al Galà Abruzzo & Molise organizzato dall’associazione Italian American Spirit a Philadelphia. La serata, realizzata nella maestosa cornice dei Franklin Apartments dal presidente dell’associazione Franco J. Costanzo, aveva un doppio scopo benefico: il ricavato è stato devoluto in parte al Centro Oncologico dell’ospedale pediatrico di Philadelphia (Cancer Center of the Children’s hospital of Philadelphia) e in parte alla Diocesi di Termoli-Larino per il progetto “Ricostruire la speranza” che ricorda le piccole vittime del sisma di dieci anni fa nel paese di San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso. Dall’Abruzzo il ristoratore teramano Gabriele Marrangoni ha portato con sé zafferano, pecorino canestrato di Castel del Monte e tartufo. I piatti più caratteristici serviti al Galà, e che hanno entusiasmato la platea, sono stati la trippa alla pennese, la pasta alla pecorara, la cipollata e il filetto con tartufo abruzzese. Agnello e pesce locali sono stati cucinati alla “nostra” maniera. Gabriele Marrangoni ha capitanato una squadra di oltre 20 persone: lo hanno affiancato in questa impresa la sua compagna e assistente Adriana Lonigro e il presidente dell’associazione “Pizz’Abruzzo doc” Nicola Salvatore, che si è occupato
La Tenuta Zuppini di Torricella Sicura (Te) ottiene una lode di eccellenza in occasione della quarta edizione de L’ORO D’ITALIA che si è svolta il 9 febbraio a Lecce. La competizione ha messo a confronto blend, monovarietali, DOP, IGP, biologici, oli extremi; il monocultivar dritta Colleprofico si è aggiudicato ben cinque gocce e lode di eccellenza. La giuria era composta da capi panel e assaggiatori professionisti coordinati da Olea, l’organizzazionelaboratorio di esperti assaggiatori con sede a Pesaro, e ha valutato i campioni, presentati in forma esclusivamente anonima.
Valle Reale Eco Friendly
La Guida Vinibuoni d’Italia di Touring Club editore in collaborazione con Verallia ha premiato l’azienda Valle Reale per il suo impegno nella salvagurdia dell’Ambiente con il riconoscimento EcoFriendly PAG 64 / C COME NEWS
2013. A conferma di questa filosofia di vinificazione a basso impatto sull’ambiente e sul prodotto, l’azienda ha appena lanciato il nuovo Cerasuolo d’Abruzzo “Valle Reale” 2012, il primo a fermentazione spontanea, incisivo perché ancora più personalizzato e legato al territorio in quanto beneficia di lieviti autoctoni e nessuna interferenza enologica in Cantina. «La fermentazione spontanea – ha spiegato Enrico Antonioli, sovrintendente alla vigna e alla cantina per conto del proprietario, il veneto Leonardo Pizzolo – si praticava in origine, ma ha perso, con l’andare del tempo, praticità perché non è controllabile e non può essere adeguata ai mercati. Rappresenta anzi un rischio se non è fatto a dovere il lavoro in vigna, che è il vero luogo dove nasce un vino buono».
Wine&wedding in America
Il 28 marzo il brand abruzzese “Wine&Wedding” ha rappresentato l’Italia nel salone sposa organizzato dal New York Magazine (“New York Weddings Event”) sulla West Street. La formula punta sul matrimonio in stile italiano, da svolgersi in Italia, accoppiato a location e prodotti vitivinicoli. «Circa 85mila coppie americane scelgano un weekend fuori porta per celebrare le proprie nozze investendo nell’evento una cifra che si aggira intorno ai 100 mila dollari, ovvero quasi 75 mila euro, per passare due o tre giorni lontano da casa, portandosi dietro parenti ed amici e poi partire per la vera luna di miele», spiega l’amministratore delegato Giovanna Dello Iacono. La location di punta abruzzese è ad oggi il Castello di Semivicoli, dell’azienda Masciarelli.