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RONIN
N°2 APR
2017
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Ciao a tutti! Sono passati due mesi dalla pubblicazione del numero uno di Ronin, e sono successe molte cose. Intanto il primo numero (che ha macinato ottime impressioni) è stato letto da più di 500 persone (e scaricato quasi altrettante volte). Questo ci fa un enorme piacere, soprattutto per gli artisti della community che di volta in volta propongono il loro materiale per la pubblicazione. Essere letti è sempre molto soddisfacente. Poi è partito Arena, di cui Kreator (presente in questo numero) è il vincitore. Anche in quell’occasione la vostra risposta è stata oltre ogni aspettativa: il sito ha contato nei giorni di torneo qualcosa come 5.500 visite e 750 voti utili. Numeri alti per una cosa tutto sommato al suo esordio. Kreator, dicevo, ha vinto. Ma non sottovalutate tutto il resto dei contendenti: erano tutti molto interessanti, e piano piano troveranno il loro posto anche qui dentro. Il Pdf di Arena con i primi 5 e i vincitori per categoria lo trovate qui: http://arena.mokapop.com. Che dire di questo numero? Intanto avete, oltre al vincitore di Arena, anche una preview dal secondo antologico Mokapop Presenta a tema Cielo, si tratta della storia Niente di Meglio. Poi avete di tutto: mostri, poesie, supereroi, noir, fantasy urbano, illustrazioni, prosa...
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INDICE ALLA RINFUSA UNA NOTTE COME TUTTE LE ALTRE Francesca Piantanida HELLTRIPPING Chialvo - Rotelli - Segala KREATOR Della Verde - Carotti - Angelini LO SPORCO SOTTO LE UNGHIE Mattia Ferri MIRAGES Fabio Lastrucci NIENTE DI MEGLIO Calisti - Montironi - Della Verde PREDATORI DELL’ABISSO Palarchi - Pinelli BURNING MADNESS Paul Izzo
Continua la nostra avventura per cercare di creare una rivista gratuita ed interessante, stimolante ricordandovi che se volete far parte di questa avventura, potete entrare in Mokapop Plaza e divertirvi con noi.
SCARAFAGGIO Izzo - Manfredini - Daraghiati - Della Verde
Complimenti ancora a tutti i ragazzi che partecipano alla vita della Community, a chi ci supporta, a chi ci legge.
SUL FILO DELLA SPADA Marco Generoso
Ci vediamo all’ARF, se passate a trovarci. Se volete partecipare noi, come al solito, siamo qui: facebook.com/groups/MokapopPlaza/ e anche qui: facebook.com/MokapopStorytellers/ Buona lettura. Pietro “Pitt” Rotelli
ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA Emanuel Derna 2
SPLEEN Federico Galeotti
NEW JAPAN Cinzia Piazza QUELLA CITTA’ DI PIETRA D’Auria - Derna - Rotelli ELDUR Aniello Caiazza RUN RABBIT RUN Aocso Mocsoa
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Helltripping
storia: Chialvo - Disegni: Rotelli - Colori: Segala
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Burning Madness di Paul Izzo Tra le sagome dei palazzi più alti della città, Troll sta correndo a perdifiato. I vapori dei comignoli nascondono la visuale a chiunque tenti di centrarlo, la silhouette invece rende percepibile a tutti la forza e la potenza del gigante cattivo. L’uomo salta da un palazzo all’altro, con una agilità che contrasta con la sua mole. Dal cielo buio, un elicottero si avvicina, le sue pale creano rumore e spostano oggetti dimenticati come i baci di una vecchia amante. “La trappola è scattata. Preparata nei minimi dettagli dopo ore di sfibranti riunioni. Cercando di comprendere lo schema dietro la pazzia...” Una testa bruciata in un forno. Le orbite sono vuote. Le orecchie mozzate lasciate in un piatto. L’ispettore Erick James Fusco, titolare dell’inchiesta aveva trovato questo a casa sua. “Era stato difficile individuare tutti i pezzi del puzzle, d’altronde la follia non dà certezze. L’ultima vittima, la decima, era stata cucinata nel forno di casa. La precedente smembrata con una sega elettrica.” Erick è pronto a saltare, indossa una cravatta svolazzante sul suo completo, scuro come la notte che sta affrontando. Ha in mano una pistola. Il salto sul tetto del palazzo non lo spaventa. L’uomo che ha di fronte sì. Troll è inchiodato lì. Una porta in acciaio blocca la fuga. Non ha spazi di manovra. Si rivolge ai suoi inseguitori. Lo sguardo è violento e pericoloso. La massa del suo corpo è enorme e lucida come quella di un titano malvagio. Il poliziotto non si cura del pericolo che sta correndo, quell’uomo ha spezzato delle vite umane come fossero rami secchi. L’elicottero si avvicina al tetto e lo sbirro salta. Gli occhi da invasato di Troll montati sopra un sorriso macabro, la bocca e il mento sono macchiati di sangue, la visione di insieme lo rende un terribile incubo. Brutto, sporco e cattivo. Erick affronta Troll che ha le braccia aperte in segno di sfida. Il rumore dell’elicottero copre anche il battito accelerato dall’adrenalina che gli pompa in circolo nel corpo. L’ispettore colpisce con un pugno in faccia Troll, 14
che piega la testa da un lato, l’impatto è violento, ma non sembra scuoterlo troppo. Troll sorride. Erick no. Ha messo tutta la forza di cui era capace nel colpo, di solito sufficiente a stendere gli avversari. Non è sempre stato un piedipiatti, anni prima ha sfiorato la strada del professionismo come peso medio. Troll sorride ancora, il naso sanguina, il liquido vermiglio colando, si mescola con tutto ciò che ha sul mento dopo aver pranzato con i resti della sua ultima vittima. “Ero molto curioso di conoscere tutti i particolari che ci avevano portati qui. Sui tetti di questo fatiscente palazzo, in una notte calda e afosa. Sembrava lo show down di un pessimo b-movie. Una sfida all’ultimo sangue, tra il buono e il cattivo...” I due sono uno di fronte l’altro, Erick è un Davide rispetto a Troll che si è infilato nei panni di Golia, l’elicottero ha spazzato il fumo, gli uomini che inseguono il maniaco sul tetto indossano la divisa, agenti scelti per formare una speciale task force destinata a rintracciarlo e a neutralizzarlo. Tengono Troll sotto tiro con i loro fucili di precisione. Gli infrarossi dei loro mirini tatuano sulla sua pelle dei puntini rossi come quelli di una brutta infezione cutanea. Sorride un’ultima volta, ma ha una espressione diversa, serena e quieta, mentre impugna una pistola apparsa dal nulla. l’ispettore resta bloccato, indeciso sul da farsi. “...e io, cattivo, lo ero stato per davvero. Era ora di accettare il giusto castigo per i miei peccati. Di sacrificarmi per purificarmi agli occhi di Dio.” I colpi vengono coperti dal rumore delle pale che si muovono come un vortice intorno alle teste dei presenti. La balistica indicherà che Troll ha preso dodici di proiettili, prima di cadere a terra, in una pozza vermiglia. Gli agenti si congratulano con il loro superiore, la sua indagine ha inchiodato il maniaco. Lo sbirro invece è piegato sulla salma, un primo pensiero prende forma nella foschia rossa dello scontro che si dirada: “Fottuto maniaco del cazzo! Chissà che cosa gli frullava in zucca.”
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Sul filo della spada di marco generoso Il puzzo di morte era ormai insopportabile, aumentato dal battere incessante della pioggia che rendeva i cadaveri ancora più marci. Yukio in quel momento non poteva piangere i compagni caduti, aveva ben altri problemi: evitare anche lui di diventare un cadavere… ma visto chi stava fronteggiando, sarebbe stato un miracolo! Kyo Musamoto era un samurai molto rinomato per la sua abilità con la spada, sussurrando per strada la gente lo definiva un kensai, “santo della spada”. Poco dopo l’inizio della battaglia, Yukio l’aveva visto eliminare una decina di uomini senza battere ciglio. La katana di Musamoto era diventata un lampo argenteo, così veloce che poche tracce di sangue la sporcavano. Le gambe di Yukio si erano fatte più molli dei dolcetti di riso che mangiava ogni domenica. Lui era solo un contadino, un giovane che non aveva nemmeno visto quattordici inverni. Ma al daimyo questo non interessava: ogni uomo o ragazzo capace di tenere in mano una lancia era stato obbligato a partecipare a quella follia. Tutto perché il suo daimyo sentiva il proprio feudo troppo stretto per le sue ambizioni e aveva pensato bene di allargarlo attaccando le terre vicine. Sfortunatamente per lui, sembrava che l’ambizione sarebbe dovuta interrompersi a quel primo scontro. A Yukio non era mai importato nulla di tutto ciò, a differenza di molti ragazzi della sua età, era contento di dover aiutare i suoi genitori nei campi, felice di veder crescere i frutti della terra col cambio delle stagioni 26
Musamoto ancora non si era accorto del piccolo contadino. Osservava i cadaveri di quei temerari che l’avevano attaccato. Mormorò delle parole, forse una preghiera per i caduti o parole di disprezzo. Posseduti da un calma che stonava con la battaglia che infuriava attorno, i suoi occhi lentamente incontrarono quelli del ragazzo. Yukio rimase trafitto da quello sguardo. L’espressione dello spadaccino era tranquilla e distaccata, quasi indifferente, degna dei grandi maestri. Non esprimeva odio, o compassione, o rabbia, o disprezzo. Nulla. Il contadino si ritrovò ad odiare e temere quell’espressione, ai suoi occhi appariva aliena e innaturale. Come poteva un uomo essere tanto indifferente alla morte? Che il suo cuore fosse freddo come l’acciaio che teneva fra le mani? “Perlomeno, morire per mano di Musamotosensei, sarà onorevole!” quel pensiero avrebbe dovuto essere di conforto per Yukio, ma la sua logica trovò che una morte, per quanto considerata onorevole, era cosa ben poco consolatoria. Come si faceva a preferire la morte alla vita? Qualcosa nella testa del giovane, però, gli impediva di ordinare alle sue gambe di correre via. Forse qualche pazzo istinto guerriero gli imponeva di rimanere lì, ad affrontare la morte con dignità. “Il destino di un codardo è pur sempre preferibile a quello di un morto” pensò. Anche questa presunta consolazione suonava bella ma stupida. Allora, perché non fuggiva? Il panico era così grande da aver pietrificato il suo corpo? Il samurai portò anche l’altra mano
“New Japan” Cinzia Piazza
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sull’impugnatura con un ampio movimento circolare. Nel suo sguardo c’era la decisione del guerriero. Ogni tentativo di fuga sarebbe stato vano. Yukio avrebbe dovuto affrontare il suo fato, quella consapevolezza ebbe solo l’effetto di farlo tremare di più. Posò i suoi occhi sul filo della spada, su quello stesso filo avrebbe conosciuto la sua fine. Chissà perché, ma quella letale lama gli fece venire in mente i ciliegi. Entro un mese, i ciliegi del suo villaggio sarebbero stati in fiore e avrebbero tappezzato i sentieri con miriadi di petali rosa. Fin da quando era piccolo Yukio rimaneva incantato da quella visione, in quasi quattordici anni non si era mai abituato a quella vista. I petali di rosa gli ricordavano i grandi occhi di Akane, una ragazza della sua età. Era la sua amica d’infanzia, ma negli ultimi mesi non sembrava più interessata a giocare nei boschi. C’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, nel suo sorriso. Era differente il modo in cui lei lo guardava. In quel momento, a Yukio stava mancando tanto. Non sarebbe stato male sposarla, tutto sommato. Non sarebbe stato male avere dei figli, un campo da coltivare, forse anche un cane… Ma ormai Yukio non avrebbe potuto più avere quelle cose. Non poteva più tornare indietro. Tutto tremante strinse nelle mani la lancia. Urlando con tutta la sua forza e la sua disperazione, corse incontro al maestro di spada. Ormai non aveva più scelta, se non morire con onore. “FERMO!” il grido di Kyo Musamoto fu seguito dalla punta della spada, che si alzò verso Yukio. Quest’ultimo, sorpreso da quel gesto, scivolò per terra. Alzando gli occhi, vide la lama pericolosamente vicina al suo viso. I suoi occhi si riempirono di lacrime. “Vattene…” il tono dello spadaccino era calmo e posato ma allo stesso tempo intimidatorio. “C-cosa?” “Vattene, ho detto!” gli occhi di Musamoto 28
erano più terrificanti della voce o della katana “Questo non è il tuo posto. Sei troppo giovane per tutto questo. Vattene… e non tornare più indietro!” Yukio non riusciva a credere alle sue orecchie. Il terribile samurai lo stava risparmiando? Musamoto si girò e gli diede la schiena. Lentamente si alzò in piedi, ritrovando il vigore perduto. Dopo qualche passo, lo spadaccino si fermò senza voltarsi. “Non sono un assassino di bambini” la sua voce era un sibilo. A Yukio sembrò che nel tono del guerriero ci fosse pietà, o forse… rabbia? “Grazie, grazie mille. Non la dimenticherò mai!” strillò il giovane, prima di inchinarsi. Il kensai sembrò non sentirlo e continuò a camminare verso la battaglia. Yukio corse, corse via da tutta quella morte, corse via per la sua vita. Con le lacrime agli occhi, non smetteva di pensare a quei ciliegi in fiore che aveva creduto di non rivedere mai più.
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lo sporco sotto le unghie di mattia ferri Tutto è tranquillo. Poi il tuo pollice e il tuo indice si toccano. Ti irrigidisci. C’è qualcosa all’estremità delle tue dita. Qualcosa di sottile ma duro. Abbassi lo sguardo. Unghie. Escrescenze cheratinose che ti sono cresciute silenziosamente sopra le dita, mentre tu ignaro continuavi la tua semplice vita. E la tua vita potrebbe essere ancora semplice se lo volessi, sono solo unghie, non sei costretto ad usarle. Ma è a questo punto che compi l’errore di alzare lo sguardo dal suolo ed osservare quindi ciò che ti circonda. Una parete di roccia si staglia di fronte a te, impervia e inospitale, talmente alta da non vederne la fine. Ma queste parete ti parla. Ti guarda. Ti sfida. E ormai non puoi più togliertela dalla testa. Ti rivolgi ai tuoi compagni, gli spieghi il tuo intento, il tuo obbiettivo, la tua missione. Li convinci a venire con te. Non gli controlli le dita, non ti interessa sapere se anche a loro sono cresciute delle unghie. Le tue bastano. Ultimati i preparativi arriva quindi il momento di abbandonare il Piano degli Innocenti per affrontare una scalata di ignota durata. Il viaggio inizia senza grossi problemi. Una bracciata alla volta le tue unghie si conficcano nella pietra e resistono senza alcun problema al peso di più di una persona. Ogni tanto arrivano delle potenti folate di vento glaciale che ti fanno oscillare e ti sferzano il volto senza pietà, ma non è un problema, l’avevi messo in conto. Ogni tanto il tuo seguito non si coordina alla perfezione con i tuoi movimenti, costringendoti al doppio della fatica per salire di un’altra bracciata senza deviare il percorso, ma non è un problema, l’avevi messo in conto. Ogni tanto ti accorgi che le ultime due bracciate
le hai fatte senza ragionare, senza pensare minimamente al movimento, poiché la tua testa ha avuto un attimo di confusione, hai perso la concentrazione per un po’, ma non è un problema, l’avevi messo in conto. Però a un certo punto ti accorgi di qualcosa. Stai andando bene, la scalata procede senza particolari intoppi, non sei mai indietreggiato e non ti sei mai fermato nemmeno nei momenti più difficili. Sei stanco, ovvio, ma non ti pesa, la stanchezza non è mai un peso quando è dovuta ad un tragitto che sei sempre più convinto di percorrere e portare a termine. No, quello che ti turba è… il fastidio. A forza di ficcare le unghie nella pietra qualcosa si è accumulato sotto di esse. Un misto di polvere, roccia e sudore. Sporco. Hai dello sporco sotto le unghie. E ti crea un enorme fastidio. Paradossalmente tutto ciò è un buon segnale. Per avere dello sporco sotto le unghie devi prima avere delle unghie abbastanza lunghe. Quindi potresti pensare che tutto sommato questo fastidio è un’ottima cosa, una conferma delle tue possibilità. Ma sai bene che se la stanchezza dovuta ad un buon viaggio può essere sopportata, e anzi, porta con sé una certa soddisfazione, per il fastidio non c’è un corrispettivo. Il fastidio è, beh… fastidioso. E basta. La prima volta che ti accorgi di quest’accumulo di detriti la tua mano tituba nel conficcarsi nella parete. Solo per un attimo, quasi impercettibile. Ma diventi preda del terrore. Ti chiedi se il tuo seguito si sia accorto di quest’incertezza. Non ti sembra… ma magari non l’hai notato tu, o non te l’ha voluto far notare. Mentre muovi il secondo braccio per scalare un altro metro di parete pensi che forse potresti informare chi ti segue di questo tuo fastidio. Sfogarsi di solito aiuta, no? Ma provi a metterti nei loro panni e ti accorgi che, beh, l’ultima 37
“Eldur” Aniello Caiazza 38
cosa che vorresti sentire da chi ti sta trainando è che c’è qualcosa che lo turba, e che questo qualcosa è causato dall’atto di trainare. Il fastidio è sempre più insistente, ma non ti ha ancora costretto ad interrompere la tua scalata. Tra una bracciata e l’altra provi allora ad immaginarti cosa succederebbe se lasciassi la presa e abbandonassi quindi il tuo proposito. Di tornare sul Piano degli Innocenti non se ne parla proprio. Forse chi ti segue potrebbe ricominciare da lì, ma tu no, è fuori discussione. Impazziresti dopo qualche secondo, tormentato dal ricordo della scalata interrotta e dilaniato dai dubbi riguardanti gli sguardi dei tuoi compagni, che indagherebbero il tuo volto in cerca di una candidezza necessaria per rimanere al loro fianco. Lo sai dove finiresti se mollassi la presa. La tua nuova casa sarebbe la Palude dei Falliti. Qui le tue unghie potrebbero tornarti utili, e lo sporco accumulatosi sotto di esse probabilmente smetterebbe di darti fastidio. O almeno troveresti un modo per sfruttare proficuamente questo fastidio. Nella Palude dei Falliti ci sono solo due possibilità di vita, due tipi di comportamento da poter adottare. In realtà sarebbero tre, ma il terzo è illogico e sciocco, e non lo prendi quindi in considerazione. Il primo comportamento è quello del Cannibale. Il ricordo della scalata fallita ti tormenta e decidi quindi di mutare questa rabbia in fervore necessario a compiere un altro tipo di salita. Sfrutti la tua ira per combattere con gli altri falliti, dimostrando di essere il più affamato tra tutti, lasciando dietro di te una scia di cadaveri e usando i corpi di alcune delle tue vittime per innalzare una scalinata che conduce a un trono che ti si addice e che ti culla, nonostante la sua efferatezza, o forse proprio per questo. Il secondo comportamento è quello della Iena. Nel girovagare per la Palude trovi degli spiriti affini, gente che come te è straziata dal ricordo di una misera caduta in basso, di un fallimento totale. Ma non vi sbranate a vicenda. Per qualche strano motivo nasce della simpatia e fate quindi gruppo. In realtà quello che vi lega non è un sentimento positivo, ma l’indirizzare nella stessa direzione tutto l’odio e l’acredine che vi portate dentro. Così iniziate a girare per la Palude come un gruppo compatto, mostrando le vostre unghie solo in situazioni di pericolo e senza mai e poi mai alzare lo sguardo in direzione della parete rocciosa
da cui provenite tutti. I nuovi arrivati ogni tanto compiono l’errore di ammirare la lastra di roccia ma i vecchi saggi riescono subito a distruggere ogni loro tentativo con le loro parole taglienti e devastatrici. La terza possibilità, quella che non si può prendere in considerazione per la sua stupidità, si può riassumere nel tentativo di ripetere la scalata, questa volta partendo dalla Palude dei Falliti. Ma se non sei riuscito nella tua impresa quando sei partito dal Piano degli Innocenti, che si trova molto più in alto delle Palude, come potresti solamente pensare di riuscire a portare a termine il tuo proposito partendo da molto più in basso, con già dello sporco sotto le unghie e con tonnellate di fango che appesantiscono i tuoi vestiti? Sarebbe una cosa veramente stupida da fare, e per questo la terza via non è contemplata. Torni con la mente al presente, lasciando perdere le possibilità future, e ti accorgi che durante la tua digressione non ti sei mosso. Sei certo che il tuo seguito abbia notato tutto ciò, ma preferisci non voltarti, così da concederti un’impossibile beneficio del dubbio. Il fastidio è enorme. Ti sembra che sia diventato un’altra persona da accompagnare durante questo tragitto, ed è un problema, non l’avevi messo in conto. In un estremo attimo di risolutezza capisci che stando fermo puoi solo peggiorare le cose, un pizzico di follia si insinua nella tua mente e ti porta a pensare che forse, forse, se continui a scalare, se continui a ficcare le unghie nella roccia e a toglierle per ficcarle nuovamente un po’ più in alto, lo sporco che ti tormenta diminuirà pian piano, bracciata per bracciata. Ispirato da questa illogica possibilità decidi che è tempo di rimettersi in viaggio e di procedere con l’ennesima bracciata. Tre. Due. Uno. Via.
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storia: maurizio Palarchi Disegni: luca Pinelli
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Una notte come tutte le altre
parte 2
di francesca piantadina Cosa ci facesse in un festino organizzato da un branco di vampiri in Versilia, nel secondo dopoguerra, a far da aperitivo, con un carattere da eterno adolescente ed un eloquio da scaricatore di porto, per me è un mistero. Ho sempre avuto il sospetto che ricordi della sua vita umana molto di più di quanto divulghi, e che siano ricordi per lui di estrema importanza; non si spiegherebbe, altrimenti, l’ostinazione con cui, passato tutto questo tempo, continui a presentarsi ad ogni essere umano con quell’assurdo nome da berlina, ma il pudore ed il riserbo (così insoliti per lui) che ha sempre manifestato sull’argomento mi trattengono dal porre domande. Al pub, che in un raptus di pura ironia abbiamo chiamato Deathly Thirst, non ho un ruolo vero e proprio, fondamentalmente se serve dò una mano a Picchio o alle cameriere che pendono dalle sue labbra, o chiacchiero con qualche cliente di quelli che ci riempiono di banconote ‘fumanti’ (con grande preoccupazione di Picchio, che teme sempre io possa uccidere qualche sua preziosa gallina dalle uova d’oro)… insomma sto lì perché la baracca è mia e perché non ho altro da fare durante la serata; ma non mi spreco troppo, non ne ho proprio motivo, il gestore è molto più abile di me e sa perfettamente cosa, quando e come fare. 44
Stasera, in particolare, scatta da Barbara, la quale ha evidentemente già superato la soglia della crisi isterica, e risolve il problema in pochi istanti. Suppongo che bari quando fa così e che alcune delle capacità che sfoggia farebbero rabbrividire qualunque nostro simile un pochino più bigotto di noi su concetti come la segretezza della nostra esistenza, l’anonimato, o il tranquillo approfittare della razionalità globale, che ha ricacciato i mostri nel territorio dell’infanzia e della paura, lasciandoci proliferare indisturbati. Appoggiata con le spalle al muro esterno, freddo e dall’intonaco sgretolato, in tranquilla attesa, mentre dall’interno provengono i sempre più concitati rumori della pre-apertura, penso con un brivido a com’era prima, quando gli umani ancora erano disposti ad ammettere di noi: sospettosi, diffidenti, pronti a riconoscerti al primo passo falso, sapevano per istinto che un certo modo di parlare, di sorridere, senza mai mostrare i denti, era un segnale. Avevano una reazione inconscia che li portava a irrigidirsi di sospetto se non ti vedevano mai mangiare, mai far vita sociale di giorno, se la tua dimora aveva poche finestre. Ed ovviamente se questi timori inconsulti mettevano sul chi vive le prede più stupide ed ignare, la cosa diventava un vero problema quando un cacciatore mette gli occhi su di te. Un cacciatore… rilasso ancor di più le spalle e non posso impedirmi di sorridere soddisfatta.. maledetti bastardi, se anche uno solo di voi
provasse ad uscire allo scoperto al giorno d’oggi sarebbe rinchiuso in manicomio fino alla fine dei suoi giorni da quegli stessi umani razionali che nelle sue intenzioni dovrebbe proteggere, e questo è il pensiero più gioioso che esista la mattina, quando chiudo gli occhi scappando dalla luce dell’alba. Socchiudo gli occhi e lancio un’altra occhiata sghemba all’interno del locale, dove la frenesia si è momentaneamente calmata in routine, prima di stabilizzarsi sulla modalità “caos” una volta che il locale si sarà riempito. Credo sia per questo, alla fine dei conti, che Picchio è così scandalosamente a suo agio in un’esistenza quotidiana da essere vivente. E’ stato mutato da talmente poco tempo da non aver mai vissuto la caccia dal lato della preda, da non aver mai avuto paura. Paura dell’odore di bruciato, dello svegliarsi in una stanza piena di fumo, di bare scoperchiate, porte e finestre divelte, amici, amanti, compagni di viaggio ridotti ad un mucchio di cenere da un sole implacabile… per lui gli umani sono sempre stati soltanto come ‘conigli’, a seconda dei casi buoni sia per una simpatica compagnia che per far da piatto forte in tavola… beata gioventù. Il tempo passa in questa serata come tutte le altre, il traffico si placa mentre le luci delle finestre si accendono, concedendo alle strade un briciolo di calma mentre le famiglie cenano, prima del nuovo flusso, del nuovo ingorgo del popolo della notte che si riversa vociante in locali come il nostro,o in cinema, gelaterie, teatri… a Roma le ore di punta sono divise lungo l’arco di tutte le 24 ore, sia giornaliere che notturne… tra le undici e mezzanotte e mezza, ad esempio, la lunga arteria centrale del lungotevere è costantemente intasata, sia di giorno festivo che feriale. Non c’è da stupirsi quindi che, nonostante sia una città relativamente a Sud per noi, con un’esposizione alla luce più che consistente
per la maggior parte dell’anno, vi sia un insediamento di vampiri così numeroso… passiamo inosservati: in fondo, Barbara è umana, eppure vive seguendo i nostri stessi ritmi. Il locale si è riempito, ho trovato due o tre giovani che facevano la fila nel corridoio buio verso la toilette, al seminterrato (in fondo a destra come in tutti i locali pubblici del mondo), e che non ho neanche dovuto braccare o stordire in alcun modo tanto erano ebbri; avranno un giramento di testa in più domattina e delle curiose cicatrici sulle braccia, vai un po’ a capire dove avranno sbattuto per ridursi in quel modo!! Un altro dei problemi di far restare le vittime vive, a parte il fatto che ne devi braccare almeno tre per saziarti in maniera quantomeno decente, è che è veramente difficile potergli affondare i denti nel collo, devi trovare il modo di accedere alle loro vene in maniera più soft, lasciando dei segni che non destino troppi sospetti… nonostante si viva nell’epoca del razionalismo è anche l’epoca dei film horror… svegliarsi con un morso sul collo farebbe correre in parrocchia gridando “datemi un esorcista” anche il più scettico ed ateo ignorante che questa metropoli produca; comunque sia, sono riuscita a ingollare più sangue di quanto non ne abbia bevuto nell’ultimo mese, in un modo o nell’altro, ed ora le mie percezioni stanno ovattandosi, assestandosi su di un canone più rassicurante: le sfumature, i rumori, i colori ed i sapori che si porta con sé il pulviscolo ora non necessito di sentirli.. non ho bisogno di nutrirmi ulteriormente ed il mio organismo reagisce di conseguenza, lasciando i miei istinti, per così dire, in stand-by, fino a quando non avrò bisogno di cacciare di nuovo. In un momento di calca in cui Picchio non potrebbe restare da solo dietro il bancone, 45
“Melanzane” Blue Guen
senza destare qualche sospetto per la rapidità con cui si muove, debbo raggiungerlo e far finta di aiutarlo, e persino Barbara, quando le passo un bicchiere pieno, sfiorando la mia mano si accorge che qualcosa di diverso è accaduto. “Maddalena, hai portato del tè a qualcuno?” “No perché? Occhio alle coppette di mais tostato. Chi hai detto che ha ordinato il tè” “Nessuno ma… è la prima volta che ti sento la pelle di una temperatura umana, in genere sei ghiacciata!!” “Pressione bassa… tesoro il mais rischia veramente di scivolare dal vassoio così… stasera c’è una bolgia tale che qui dentro avrebbe caldo chiunque” “Sì… certo, aspetta dammi anche il blocco che se non prendo l’ordine di quelle finte bionde mi uccidono al prossimo passaggio” Afferra il vassoio e svanisce di nuovo fra i tavoli, dove le due finte bionde la osservano con uno sguardo che avrebbero riservato, 46
qualche secolo addietro, due schiaviste ad una domestica negra in un campo di cotone, solo perché porta prima i bicchieri pieni ai ragazzi del tavolo a fianco, piuttosto che rivolgere loro l’attenzione; mi farebbero quasi venire voglia di uno spuntino extra quando Picchio mi tira una gomitata nelle costole “Ahi.. ma che ti prende?” “Caspita Madda, devi esserti riempita di brutto se ho potuto avvicinarmi così tanto senza che tu mi percepissi… non è che trovo qualche morto nell’armadio delle scope di sotto?” “Dipende da te e quello che metti in quei cosi… i cocktail segreti della casa, cosa ci squagli dentro da entrare in circolo così rapidamente: morfina?!” “Cocktail??? Non ti sarai ciucciata i due del tavolo cinque? Quelli erano strafatti prima di entrare qui e sono andati giù con superalcolici tutta la sera, ti credo che ti hanno rallentata, hai preso una bella sbronza tesoro mio…” “E lo trovi divertante?” “Trovo divertente il fatto che tu non riconosca i sintomi… ah, e per inciso giù lo sguardo dalle stronze platinate” “Come-scusa?” “Le due là davanti, minigonna, tacco a spillo, griffate anche nelle mutande… il tipo di donna che ti da’ al cazzo… ecco quello è il genere di cliente che non si morde, mai, per nessun motivo: quello è il genere di cliente che caccia la grana. Hanno appena prenotato tutto il locale per sabato prossimo, tequila party per sole donne… un’amica che si deve riprendere da una storia finita o troiate del genere, hanno anche provato a spiegarmelo mentre calcolavo il preventivo… come se me ne fregasse qualcosa… “ “Volevano solo rimorchiarti se hanno passato tempo qua a spiegarti il perché ed il percome dei loro festini… fidati”
continua...
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“Run Rabbit Run” Aocso Mocsoa
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