Ronin 6

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N°6 GEN 2018


INDICE

Ciao a tutti! Anche in questo numero vi proponiamo intrattenimento di alta qualità: fumetti, racconti, poesie, illustrazioni ed aggiungiamo anche un’intervista. Come vi starete accorgendo i contributi di tutti gli appartenenti al collettivo si fanno sempre più qualitativamente alti, rendendo il nostro un magazine artistico che esce dallo stretto - seppur nobile - recinto della fanzine per approdare di diritto nell’universo delle riviste. Troverete molte serie già avviate, alcune che iniziano. Storie brevi stand alone. divagazioni concettuali, illustrazioni. Troverete anche un’intervista. Troverete anche pagine promozionali di realtà legate a Ronin: sono progetti di membri del collettivo ma anche prodotti e realtà gemellate con ronin. Crediamo che questo abbia doppia valenza: il lettore può accedere a contributi esterni interessanti ed gli artisti hanno modo di far vedere cosa fanno oltre alla rivista.

LE CRONACHE DI AKRONYA (Pt.1) Chialvo - P. Rotelli

LYNN & BACKY

Della Verde - Cretella - Segala

VIRTUS (Pt.2) Sciarra - Dea

DUE PAROLE CON STEFANO LABBIA

Balestri

ZERO (Pt.4)

P. Rotelli - Cans1

LA MAISON DIEV

Avellis

IL CAPITANO

Cotevino

IL SEGNO DEL FUOCO (Pt.2) Franceschini

BRUTTO VIZIO

Il mondo di Ronin va ben oltre la prima e la quarta di copertina.

Barletta - Cavalieri D’Oro - P. Rotelli

Divertitevi, supportateci, supportate gli artisti in generale e se avete domande o materiali da proporre, scriveteci.

COLLETTIVO ARTISTICO RONIN

facebook.com/groups/RoninCollettivo/ oppure qui: facebook.com/RoninMag/ Buona lettura.

KARN EVIL

DIALOGO TRA UN SIGNORE E UN GIOVANE

Meucci - Farinelli - P. Rotelli

ROBOT

Lastrucci

L’ULTIMO ERRORE DEL CAPITANO B. Pietro Rotelli

Lastrucci

TRE DESIDERI RONIN Periodico gratuito online del Collettivo Artistico Ronin. Progetto editoriale, impaginazione e grafica: Pietro Rotelli Redattore Capo: Luigi Chialvo Responsabili settore: Prosa: Riccardo Sciarra Fumetti: Francesca Dea Illustrazioni: Nello Caiazza Poesia e progetti speciali: Ivan Paduano Interviste e recensioni: Francesco Balestri Ogni diritto relativo alle storie qui contenute è dei singoli autori, ogni autore si assume la responsabilità dei contenuti della propria opera.

Generoso

ASTRAL VOYAGE

Caiazza

ERA IL GIORNO DI SAN PATRIZIO

Paduano

LET THERE BE ROCK

Sciarra - Cans1

MARRY ME

Sciarra - P. Rotelli

ZAKK VOID (Pt.4)

Orlando - P. Rotelli

LO SCARAFAGGIO (Pt.4)

Izzo - Manfredini Daraghiati - Della Verde

www.roninmag.it

In copertina: USURA Champa Avellis



non perdere tempo, corRi a ripararti nelLa casa comune!

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No, non da quelLa parte: da questa!

ma dove vai? Di la!

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che fai, ti nascondi?

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anche a me piace molto nascondermi.

io però trovo molto piÚ pratico farlo saltando nei buchi!

la prosSima volta dovresti farlo anche tu!











due parole con Stefano Labbia by Francesco Balestri Noi di Ronin siamo felici di ospitare te e i tuoi lavori, tra noi però c’è anche chi non ti conosce. Quindi cominciamo col dire chi è Stefano Labbia. Grazie a Voi per questa fantastica opportunità!!! Sono un autore che ama comunicare attraverso la scrittura i suoi sentimenti, le sue emozioni e ciò che vedo nel mondo, attorno a me. Ho sempre scritto e sempre scriverò. Parlaci di Killer Loop’s. Di cosa parla? Dov’è ambientato? Siamo in America, negli anni 2000. Killer Loop’S è la storia di un bravo ragazzo divenuto killer per colpa di un evento nefasto. La vita ti cambia, ti modifica... Ti getta nel vuoto e tu devi imparare a volare. Ma è tutto nelle nostre mani: siamo noi che scegliamo chi vogliamo essere. Come reagire agli eventi che ci sbattono contro il viso. Checché se ne dica... Kimberly adotta addirittura il nome di sua sorella per non dimenticarsi la sua “missione”. Ma nel cuor suo sa che sta sbagliando. È come nel quadro giapponese del cavaliere che uccide il drago: l’uomo crede di fare del bene a togliere il male dal mondo ma non ha compreso che, sporcandosi con lo stesso sangue del drago che ha ucciso, è divenuto lui stesso il male... Sappiamo che il protagonista della storia, Kim-

berly, è un tipo molto particolare, un carattere niente male e delle abitudini strambe. Parlaci di lui. Kimberly è un ex “buono”. Nel senso che la vita l’ha cambiato, l’ha reso uno squalo mentre prima era più... una sogliola. È quello che fondamentalmente può capitare a chiunque se imbocca la strada sbagliata. Se cerca vendetta invece di... “porgere l’altra guancia”. Stuart, questo il suo vero nome, la porta a termine la sua vendetta. Ma essa si rivela solo il primo gradino che lo porterà ad abbracciare la tanto odiata violenza, giustificandosi come un “punitore” de noantri. Non sono da meno i suoi antagonisti. Abbiamo notato che hanno tutti forti personalità e che fanno parte di una schiera di gentaglia non proprio raccomandabile. Ti sei ispirato a qualcuno per delineare i loro caratteri? Sono un lettore prima che un autore: sono cresciuto - parlando di fumetti - a pane e Marvel. Ognuno ha il suo background ma, piuttosto che a personaggi ho attinto molto da un certo genere (quello crime) che serie tv come “Person of Interests” o “Breaking Bad”, ad esempio, sono riuscite più che egregiamente a portare avanti. Come autore - ma spesso anche come lettore, quando non ha atmosfere troppo “forti” - amo il genere hard boiled. Il Noir. Sto riadattando una


serie tv che ho scritto (Police Assault - Justice) a graphic novel che percorre i binari proprio del crime / action / noir. Chi dei personaggi che hai creato è il tuo preferito? Sicuramente Kanvas per Killer Loop’S, dopo Kimberly, ovviamente. A lei ho dedicato una serie intera che spero vedrà presto la luce. Ho in mente anche un volume interamente dedicato a lei di illustrazioni di artisti vari. Per Kremisi direi Titania e Super Madness! Per Super Madness si parla addirittura di un film... staremo a vedere! Killer Loop’s ha una trama molto simile ad alcune delle più grandi storie di tutti i tempi. Nella tua storia sembra esserci spazio per tutti i generi e vorremmo sapere come hai scelto di concentrarti sul black humor e il thriller. Ti sei lasciato trascinare dalla storia oppure hai scelto la cosa a monte? Grazie mille per le belle parole! Ma in realtà Killer Loop’S è un multi - genere (a me piace molto spaziare, scrivendo: Fear, ad esempio, il tv show che è molto piaciuto in Inghilterra, ha dentro di sé generi come drama, paranormal, crime, action ed altri!): non è propriamente una gangster story anche se è presente una sottotrama articolata che coinvolge la criminalità organizzata; c’è il momento di azione, il black humour, il thriller come il crime... Diciamo la verità: a volte le storie si scrivono da sole. Hanno vita propria. E mi dicono che quando accade... beh, sono storie che lasciano il segno. Io spero sia così! Passiamo adesso all’altro tuo lavoro, Kremisi, vuoi darci qualche input sulla trama? Kremisi è la storia di Jackson Moore (e di altri validi personaggi che con lui interagiscono), un newyorkese che si ritrova a crescere suo figlio da solo dopo la prematura scomparsa della moglie. Un incidente dona lui dei poteri che non vuole, che non brama, di cui non ha bisogno. E che finiscono per rovinargli la vita... Le scelte che dopo l’evento è chiamato a fare lo conducono in un cammino fatto di sangue, vendetta e distruzione da cui è difficile se non impossibile evadere. È un gioco pericoloso. Una trasformazione - in questo caso, a livello letterale - da uomo buono a uomo cattivo. Siamo tutti Dottor Jekill & Mr Hyde, in realtà. È la vita che ci cambia. Le decisioni che spesso siamo costretti a prendere. In questa storia la vendetta fa da climax. Jackson non è un mostro. Ma non è nemmeno una vitti-

ma degli eventi... Come hai scelto di concentrarti su un supereroe come Kremisi? Kremisi nasce dalla costola di un progetto nato nel 2015 - 2016, Super Santa. Per “problemi logistici” - non a me imputabili - la collaborazione con un giovane editore, che aveva abbracciato il progetto, è stata messa in stand by dopo aver ingaggiato un disegnatore e aver approvato il primo capitolo, disegnato e colorato in digitale. Stanco dell’attesa, ho deciso di proporre in giro, la storia di Kremisi per cui avevo già predisposto un volume a lui dedicato. Jackson Moore (Kremisi NdR) insomma ha mantenuto la sua fama di personaggio controverso anche nella sua genesi “letteraria”... In un mondo popolato di personaggi come lui, non ti ha spaventato l’idea di poter essere in qualche modo ripetitivo? Diciamo che il filone americano in particolare, per quanto concerne i “supereroi”, ci ha regalato colpi di scena, super poteri che difficilmente avremo potuto immaginare... Qualcuno crede che si sia detto tutto ma non è così: come esseri umani ci evolviamo, cambiamo le esigenze, la tecnologia ci fornisce nuovi stimoli e nuovi problemi da risolvere. Quindi... non è così. È lo stesso discorso che alcuni produttori fanno quando leggono una storia “mono genere” / con un unico genere: un altro film sugli alieni?! Ma non è un discorso valido... altrimenti dopo E.T. di Spielberg nessuno avrebbe dovuto più girare film sci-fi! Io ho cercato di spaziare e più che sui super poteri e sui costumi ho preferito concentrarmi su quello che volevo significare: dentro alla saga di Kremisi (così come in quella di Titania, che vedrà la luce spero presto, e tutte le altre) vi sono domande su tematiche sociali come l’uso (e l’abuso!) del potere, l’abbandono e la violenza in genere. Chi sono gli altri personaggi di Kremisi? Raccontaci qualcosa di loro senza però svelarci troppo dei segreti che si portano dietro. Devo dire innanzitutto che molti dei personaggi che appariranno in Kremisi (e di conseguenza anche in Super Santa, Titania e Super Madness, tutti volumi legati tra loro) li ho ideati quando frequentavo le Scuole Medie: prima o poi dovevano “uscire allo scoperto”, per così dire! Mi riferisco ad Altman, Martin Face, Tiger Crazy, Hellscat etc... Non tanto a Titania, Kremisi, Super Santa o Super Madness... Tornando alla domanda: sono tantissimi! Super Madness in particolare sarà molto importante ed avrà ben due volumi dedicati (di storie bre-


Le gioie sono tante, più dei “dolori”: è bello essere apprezzati, parlare con i lettori e confrontarsi con loro durante i firmacopie o gli incontri. In Italia purtroppo la situazione editoriale non è delle migliori: si preferisce puntare sul “vecchio” che vende sempre (?!) e, a parte qualche giovane editore lungimirante che “osa” puntare sulle nuove leve... beh... il mercato è un po’ in stasi. Hai mai ricevuto delle critiche? Come le affronti?

vi). Eve Lennon è una ragazzina con il “fattore rigenerante”: odia la violenza e non uccide mai ed è convinta di essere un supereroe pur avendo “solamente” la capacità di guarire rapidamente (Wolverine docet) e nessun altro potere. Ha studiato arti marziali dopo essere stata aggredita dai villain che volevano toglierle il potere per replicarlo, tentando ripetutamente di ucciderla. Titania, altro personaggio importante per tutto l’arco narrativo di Kremisi e soci, invece è una dea che è caduta sulla terra con l’inganno. Da sola e senza la capacità di poter tornare nel mondo celeste, può contare sul suo potere (l’incanto - in stile sirena, per intenderci) e sulla sua immortalità. Ma, ahimé, la sua purezza verrà letteralmente messa a dura prova dalla razza umana... Killer Loop’s e Kremisi sono due storia diverse ma che sembrano convergere sotto diversi aspetti. Entrambe le storie hanno protagonisti che lottano contro il crimine per un nobile fine. C’è qualche affinità tra loro? Le due storie potrebbero coesistere? Allora dico subito che no, le due storie sono ambientate in due mondi diversi. Infatti in Killer Loop’S spesso compaiono fumetti con Kremisi come protagonista... Però effettivamente le tematiche che affronto al loro interno sono simili: entrambi i protagonisti, Kimberly (Killer Loop’S NdR) e Jackson Moore / Kremisi, hanno - desiderano - cercano - ottenuto la vendetta. Ed entrambi, alla fine, non hanno saputo - sanno cosa farsene... La vendetta è immorale e non ha alcuna utilità, né per Caino, né per Abele. Così come tanti altri atteggiamenti (dis)umani che abbiamo. La violenza non porta mai a nulla. Adesso parliamo un attimo del tuo lavoro. Quali sono le gioie e i dolori di un novellista?

Si! E a dirla tutta amo più le critiche dei complimenti! Almeno quando sono costruttive... Io sono uno che pondera, riflette, assorbe, pensa... Ragiona. Ringrazio sempre coloro che si prodigano in consigli, suggerimenti perché a volte capita che quando si è troppo davanti ad un quadro, si resti a fissarlo nel suo insieme, perdendo di vista le sue sfumature, le pennellate... Hai in programma qualche nuovo progetto? Tantissime graphic novel in lavorazione: Bishop, Leroy Lambick, Atomic, Shona, The Justice (Police Assault - Justice), Galaxian... È in ebook (ha vinto il Premio Elison 2017) il mio primo romanzo: “Piccole Vite Infelici”. Ad inizio anno uscirà poi “Bingo Bongo & Altre Storie” per Il Faggio Edizioni, una raccolta di racconti brevi. Sto lavorando su alcune serie tv e sul mio primo lungometraggio per cui ho ricevuto molte proposte sia in Italia che all’estero. E il primo volume di Killer Loop’S uscirà nel 2018 per LFA Publisher! Intervista fatta per Ronin a cura di Francesco Balestri , www. bancarellalibro.blogspot.it




Non tollero invasioni nel mio regno.

Base a Bravo Zeta 4: agGiornamento--

Proprio così, Zero.

BY PITT & CANS.1

Io sono la chiave… io sono il pilota?


--Base, qui Bravo Zeta 4: ho un problema serio--








Il capitano

Sento scorrere la rabbia, e spesso è capace di accecare. by Alberto Cotevino Fulmini e lampi squarci nel celo vento di guerra scuote il mar nero, che ondeggia ed oscilla, frastonan le onde le barche le affonda le genti le affoga.

Turbini di spuma mi accecan la vista grida disperate mi assordano e scuoto; vedo impotente la mia amata cadere divelta dalle acque lambita dai venti‌

‌ed io impettito mi appresto a scoprire il nero baratro di un viaggio finito.


Il segno del fuoco

(2)

by Beno Franceschini Naranjito e i suoi si appiattirono sul suolo della grotta per osservare i tre uomini avvicinarsi a cavallo al loro nascondiglio. Kate, tornata incosciente, era immobilizzata sotto un apache. Gli ordini di Naranjito erano stati chiari: non agire, ma in caso di scontro evitare di sprecare proiettili. «Questa è la Fire Cave», disse il più anziano dei tre. «Capisco perché dicono che qui abiti uno stregone. Guardate quei segni…», rispose il più giovane. «Sono tutte sciocchezze. Stregoni, diavoli… Storielle da donne», sentenziò il terzo da sotto i suoi folti baffi. «Entriamo nella grotta. – Riprese il primo. – Abbiamo perlustrato due volte il sentiero. Kate non è stupida. Forse avventata, ma non stupida. Avrà sicuramente seguito la strada, anche perché non ci sono alternative.» Gli uomini scesero a terra e legarono i cavalli a un tronco secco. Quello con i baffi estrasse la pistola e avanzò con il braccio armato lungo il fianco. «Kate!», gridò. Subito gli fecero eco gli altri due. Gli apache restavano immobili e ben nascosti. Non avevano elaborato in tempo un piano contro la visita degli intrusi e Naranjito si maledì per questa leggerezza. Il fuoco aveva avuto ragione. I tre continuavano a chiamare la ragazza, perlustrando l’antro in tutta la sua ampiezza visibile. «Da qui si va ancora avanti, ma il passaggio diventa stretto. – Il giovane si chinò per guardare oltre e vide che al di là di un imbuto di roccia lo spazio tornava a farsi sufficiente per camminare in posizione eretta. – Credete che Kate sia passata di qui?» Le ombre nella caverna giocavano a favore degli apache, insieme con gli speroni di roccia. Juan teneva sotto controllo gli intrusi, preoccupandosi spesso che la ragazza non si risvegliasse. Naranjito ragionava sul da farsi. Sopraffare i tre uomini sarebbe stato facile, ma avrebbe significato annullare il vantaggio di cui ancora godevano i nativi, soprattutto perché a quanto pareva il gruppetto cercava la ragazza e non loro. «Ehi pa’, c’era qualcuno qui.» Gli altri due si avvicinarono e il tizio coi baffi si accucciò a tastare il terreno: «Tracce di cenere ancora calda. Intorno però non c’è niente.» «Guardate: sangue. Un po’ è fresco.» «Lo stregone potrebbe tornare da un momento all’altro!»

I due adulti sembravano avere altri pensieri, invece. «Usciamo e proseguiamo lungo il sentiero. Se Kate ha incontrato qualcuno, forse è fuggita dalla parte opposta.» «Dove porta il tracciato?» «Fa un lungo giro e poi finisce alla capanna del boscaiolo, a ovest di Pine Creek, ma a quel punto Kate avrebbe riconosciuto la città e sarebbe tornata a casa.» «Potremmo dividerci. Tu potresti perlustrare il crinale, mentre Nat e io andiamo nella seconda metà del sentiero», propose il tipo coi baffi. «Proviamo.» I tre si ritirarono: due rimontarono in sella e uno, il più vecchio, s’incamminò verso il bosco secco. Naranjito strisciò verso Juan: «Appena saranno andati via, usciremo di qui. Abbiamo di fronte tutto il giorno, quindi ci limiteremo a trovare una posizione sicura dalla quale tenere sotto controllo il sentiero.» Juan annuì: «Scaliamo la rupe sopra alla grotta. Sarà impossibile vederci. Con la notte ci rimetteremo in cammino.» «Che facciamo con la donna?», chiese l’apache che nascondeva Kate. «La lasceremo qui. Non ci serve.» Naranjito non voleva farle del male: sapeva che abbandonandola avrebbe potuto esporla alla morte, ma non poteva portarla con sé. In quel momento la ragazza si risvegliò, come se avesse percepito d’essere al centro del discorso. Da principio non comprese che cosa stesse succedendo, poi, accortasi di essere sotto un’altra figura, lanciò un urlo. L’apache le tappò la bocca, ma il grido fu amplificato dalla caverna. L’uomo che stava perlustrando il fianco del monte si tirò su e corse verso la grotta: «Kate! Kate!» Gli altri due invertirono la marcia e arrivarono coi cavalli al galoppo. I guerrieri estrassero i coltelli e Naranjito indicò di prepararsi allo scontro. Il gruppetto entrò nella caverna chiamando il nome della ragazza, che subito cominciò a dimenarsi e mugolare. Quello con la pistola fu il primo a correre verso la roccia dietro la quale era tenuta Kate, ma quando le fu a pochi passi un apache balzò fuori colpendolo a un fianco. Partì uno sparo che trafisse il guerriero a una spalla. Juan si gettò sull’armato, mentre dalla parte op-


posta un indiano caricò il padre di Kate. In mezzo restava il giovane Nat, che si trovò di fronte Naranjito: la lama lo raggiunse in rapida successione al petto e all’addome, senza però penetrare in profondità. Alla sua sinistra un altro sparo e il marito di sua sorella che gridava. Alla destra suo padre era riuscito a disarmare l’apache e lo stavo colpendo con un pugno: «Scappa, Nat, scappa!» Nemmeno il tempo di girarsi e Naranjito gli fu di nuovo addosso, affondandogli il coltello nel braccio sinistro, poco sopra il gomito. Nat urlò di dolore e allungò un diretto che filò nel vuoto. Naranjito stava per sfruttare il fianco scoperto del ragazzo, quando un terzo colpo di pistola lo fece cadere in ginocchio. «Scappa ora! Veloce!» Nat corse via mentre le orecchie gli fischiavano. Corse a perdifiato senza pensare, lasciando che i muscoli facessero il proprio lavoro in automatico, come macchine coordinate. Saltò sul primo cavallo e fuggì giù per il sentiero. Solo dopo pochi minuti, mentre l’animale galoppava, cominciò a tornare in sé. Allora arrivarono il dolore, l’odore del sangue e la sensazione del fuoco che scorreva nelle membra. Sentì il corpo venire meno. La vista si affievoliva e il mondo diventava foschia. Considerata la distanza tra la fattoria degli Zegers e Pine Creek, miss Eleanor doveva aver camminato per almeno un’ora. La donna era distrutta. Sua figlia Kate era uscita il giorno prima per andare non si sa dove. Suo marito, suo figlio e suo genero l’avevano cercata a lungo, fino a scoprire che si era diretta verso la Fire Cave. «E ancora da stanotte non sono tornati. Temo sia successo qualcosa. In quella grotta abita uno stregone che sarebbe capace di qualsiasi cosa, sceriffo.» Turner lanciò un’occhiata a Hummel, che stava in piedi appoggiato alla parete. «Perché vostra figlia sarebbe dovuta andare alla Fire Cave, madame?» «Kate era rimasta impressionata dalla morte dei poveri Bane e ultimamente non parlava d’altro che di quel posto. Aveva chiesto a suo cognato di portarcela, per capire se davvero lo stregone fosse responsabile degli incendi.» «E come avete scoperto che era diretta là?» «Ce lo ha detto Edgar Wilders. Lo ha saputo da un mercante che ha incrociato una ragazza simile a Kate dopo il bivio per Clarence.» «E al bivio per Clarence si va o a Clarence o alla Fire Cave.» Turner prese Hummel da una parte. «Se Naranjito è lassù, gli Zegers potrebbero essere in serio pericolo.» «D’altronde, però, non basta un giorno per perlustrare la zona. Magari si sono persi, oppure stan-

no insistendo.» «Organizzo una spedizione e vado su.» «Rifletti, Bill. Ti occorrerà del tempo per trovare gli uomini e tra poco sarà buio. Se tutto andrà bene arriverai alla Fire Cave fra tre ore. Nel migliore dei casi dovrai cercare quattro persone che magari sono già tornate a casa, nel peggiore ti troverai ad affrontare una banda di apache di notte.» «Non voglio altri morti a Pine Creek. Quanto a Naranjito, se avesse voluto, sarebbe già uscito allo scoperto. Saliamo su in buon numero e vedrai che se ne starà buono.» «Vale il discorso di prima: per non correre rischi ci servono molti uomini armati e disposti a sparare.» Lo sceriffo meditò a lungo: «Hai ragione. Aspettiamo domattina. Farò riportare a casa la signora Zegers e nel frattempo comincerò ad allertare qualche volenteroso.» Turner si rivolse a Eleanor con voce rassicurante: «È stata molto gentile e premurosa, madame. Comincerò subito a radunare degli uomini per perlustrare i sentieri più impervi. Voi dovreste tornare a casa. Forse nel tempo che avete impiegato ad arrivare qua i vostri cari sono rientrati alla fattoria e adesso sono loro a cercare voi. Il vicesceriffo Stanton vi aiuterà a trovare un accompagnatore.» Uscì in strada e chiamò con forza il vicesceriffo, impegnato nel giro usuale. Stanton arrivò a passo svelto, il cappello leggermente storto e i grandi baffi a manubrio che ondeggiavano. Lo sceriffo Turner era al saloon per informare alcuni uomini fidati della missione dell’indomani, quando Stanton entrò bruscamente e gli fece cenno di uscire. «Hanno trovato il giovane Zegers mezzo morto su un cavallo a un miglio da qui, in fondo al sentiero che porta alla Fire Cave passando dalla capanna del boscaiolo.» «Dov’è adesso?» «Dal dottor Ford. Lo sta ricucendo. È malconcio, ma non è in pericolo di vita. Hummel è lì con lui.» Il dottor Ford era uno scozzese sui settanta arrivato a Pine Creek dal Canada da ormai trent’anni. Era un uomo burbero, con una lunga barba bianca, fortemente impegnato a rendere migliore la vita di quel piccolo avamposto divenuto ormai una cittadina più che dignitosa. «Salve, sceriffo. Come ho detto ai vostri colleghi, il ragazzo se la caverà, ma avrà bisogno di buone cure. È stato ferito con una lama al braccio, al petto e all’addome. La situazione peggiore è al braccio. È un taglio molto profondo, non certo una bazzecola.» Nat Zegers era disteso su un letto, addormentato. «Ha detto qualcosa?» Ford si disinteressò alla domanda.


«Sì. – Rispose Hummel. – Niente di buono. Nel delirio ha parlato di indiani e colpi di pistola.» «Era solo?» «Solo.» «E il cavallo?» «Il cavallo è degli Zegers.» «Indiani…» «Indiani.» Turner fissò Hummel. I due s’intesero. La linea era stata varcata. Lo sceriffo di Pine Creek si decise. Prese un pezzo di carta dalla scrivania del medico e compilò un breve messaggio. Lo porse poi al vicesceriffo: «Stanton, l’affare è serio. Abbiamo la certezza che nella valle agisca una banda di apache e siamo quasi sicuri che a guidarli sia quel coyote di Naranjito. Qui c’è un messaggio per l’esercito, perché non possiamo affrontare gli indiani da soli. Dobbiamo andare su per capire e recuperare i dispersi. Ci servono tutti gli uomini che sanno sparare. Telegrafa e poi raduna chi trovi, anche serpenti a sonagli. Muoviti!» Turner, Hummel e Stanton avevano diciotto elementi a disposizione, più Topo, un apache spesso ubriaco che in passato aveva lavorato come scout per la cavalleria. Il piano prevedeva che la squadra di Turner e Hummel si avvicinasse alla Fire Cave passando dal sentiero più lungo, ossia quello che partiva da Pine Creek, mentre la squadra di Stanton avrebbe presidiato senza muoversi la pista più ripida e breve, proveniente dal bivio per Clarence. La colonna di Turner arrivò nei pressi della Fire Cave poco dopo il tramonto. La visibilità cominciava a essere ridotta, ma ancora il buio non era sceso del tutto. Prima di affrontare le ultime due miglia, lo sceriffo mandò Topo in avanscoperta e individuò i due elementi che sarebbero rimasti di guardia ai cavalli durante l’avanzata. Al suo ritorno l’indiano era scuro in volto: «Notizie, capo. Non ho visto apache, ma ho sentito apache. Non sono in grotta, ma sono vicini.» Hummel si stropicciò gli occhi: «O sono nei boschi, o si sono arroccati sul monte.» «Se hanno avuto uno scontro con gli Zegers, forse hanno tagliato la corda.» «Non mi stupirei se fossero fuggiti arrampicandosi. – A inserirsi nella discussione fu Sean Taylor, un cowboy che lavorava al ranch dei Miller. – Ci sono due strade per la Fire Cave: questa e quella dov’è Stanton. Per arrivare a Clarence devi passare dal blocco di Stanton. Altrimenti per uscire dalla valle puoi solo scalare il monte.» «Difficile, ma non impossibile.» «Se il ragazzo è stato ferito stamani, adesso Naranjito è già a Phoenix.» «Topo, dove ti nasconderesti tu?» «Su per monte vado via.»

«E dove metteresti gli Zegers?» «Se io scappo e non ho casa, abbandono prigionieri e scappo. Prigionieri peso». «Dove potrebbero essere?» «Morti, se Naranjito è Naranjito.» L’indiano sorrise sarcastico. Hummel annuì. Il rischio era che gli apache fossero nascosti sul monte e che, tenendosi una via di fuga, sparassero dalla distanza sul gruppo. Lo sceriffo si voltò verso i suoi uomini: «È inutile che andiamo in massa per ora. Mi bastano due volontari. Se gli indiani sono sempre là e non si arrendono, chiameremo il resto e apriremo le danze.» «Uno sono io», rispose Hummel. «E uno io», disse Taylor. «Ken, voglio gente che corra e si butti in terra, non panzoni come te.» «Potrei mandarti all’inferno così velocemente che neanche il diavolo s’accorgerebbe che sei morto.» «Allora andiamo. Topo, venti passi davanti a noi: sei i nostri occhi.» Naranjito era appoggiato a una roccia. Aveva una pallottola nella coscia e tutta la gamba gli bruciava in modo dannato. Juan era accanto a lui e gli altri due guerrieri facevano la guardia a poca distanza. Un fratello era morto, ma alla fine avevano avuto la meglio. Avevano legato Kate e il padre nella grotta, mentre l’altro, Joe, era in una pozza di sangue, probabilmente esanime. A preoccupare Naranjito era il giovane fuggito. Sicuramente era arrivato in città e aveva dato l’allarme. C’era una squadra di uomini in marcia? In un paio di giorni si sarebbe mobilitata la cavalleria e per gli apache il destino sarebbe stato segnato. Superare il monte col sole significava essere bersagli visibili appesi a ripide rocce. E poi dopo? Dirigersi verso ovest o verso San Carlos? Comunque, che cosa significava San Carlos? Il fuoco non poteva essere smentito. Aveva preannunciato guai e guai erano arrivati. Anche Juan sapeva che le alternative erano poche. Se fossero rimasti vivi, sarebbero finiti impiccati, o forse prigionieri in posti che neppure avevano mai sentito nominare. Per fuggire ancora e ricominciare tutto da capo? «Tu non sei più Naranjito. – Gli disse Juan. – Ho visto come guardavi quella ragazza, come hai risparmiato il giovane. Potevamo partire subito, anche in pieno giorno. Era un pericolo da correre. Naranjito, – ci fu una breve pausa, – tu non vuoi più lottare.» Il capo apache puntò rapidamente il coltello alla gola dell’amico: «Non puoi parlarmi così. Tu mi insulti.»


«Uccidimi, Naranjito. Abbiamo scampato la morte mille volte, ma adesso siamo soli, in terra ostile. Ogni terra ci è nemica, Naranjito, compresa la terra dei nostri padri. Non ci accoglierebbero a San Carlos. Siamo già morti. Potevi essere il più grande dei chiricahua, ma hai scelto la via del sangue e persino il fuoco ti si è rivoltato contro. Pensi che saremo mai liberi? Scaliamo il monte. Io non so dove siamo, però so che più andiamo a nord, meno apache troviamo. Ci accerchierebbero subito. Dovremmo vivere come bestie, nascosti, rubando il cibo giorno per giorno. Naranjito…» «Zitto. Intraprendi la tua strada, Juan. Se riesci, torna a casa. Prenditi i due fratelli e torna da tua moglie, se la troverai viva e libera. – Naranjito abbassò il coltello e si passò una mano sulla fronte. Provava un dolore lancinante alla gamba e il petto era schiacciato da un peso che si era solo aggravato negli anni. – Non posso ingannare proprio te, fratello. La lotta del nostro popolo ha sempre meno primavere davanti e ogni primavera i fiori nasceranno sempre meno profumati, fino a sorgere dalla terra già appassiti. Dovevo ascoltare il fuoco. Due notti fa mi ha detto che quella era l’ultima luna propizia.» «Naranjito, io ti seguirò ancora. Moriremo in terra apache.» Naranjito allungò un braccio sulla spalla dell’amico: «No, io lo prometto a te: tu morirai in terra apache.» Il capo guardò il cielo. Dense nuvole transitavano in quel momento. Naranjito le osservò, cercando di comprendere le note lontane del vento. Il vento non è come il fuoco. Il fuoco sussurra parole che ti penetrano e diventano grido all’interno, esplodendo nel cuore. Il vento invece lascia scivolare via le parole e sei tu a doverle cogliere, anche quando le soffia nelle orecchie. «Adesso», disse Naranjito allorché la prima nuvola fu davanti alla luna. Strinse i denti per il dolore, si diresse verso uno sperone di roccia e saltando vi s’appigliò. Juan e gli altri due non conoscevano il piano del capo, però lo seguirono, cominciando a scalare la ripida parete. «Non sarà facile. – Bisbigliò Juan. – Ce la faremo avanzando coperti dalle nuvole, se il vento ci aiuta.» Con i fucili a tracolla i quattro guerrieri intrapresero la via verso la propria libertà, verso terre ostili, ma che comunque potevano essere percorse per restare vivi. Topo alzò una mano non appena la Fire Cave fu in vista. Turner e i suoi si fermarono. L’apache scivolò furtivo una decina di passi indietro, per avere una visuale completa della rupe sopra alla grotta. C’era qualcosa lassù tra le rocce: la tipica

falsa immobilità di una figura che altrimenti ha per natura il dono del movimento. Forse una spalla o un ginocchio. Forse la canna di un fucile. Topo indicò agli altri quello che aveva visto, senza ottenere riscontro. I bianchi non potevano capire. Alzò lo sguardo verso il cielo. La grande luna dell’Arizona brillava oltre il suo primo quarto. Stavano arrivando alcune nuvole. Poche, ma pur sempre una speranza di invisibilità. Il vento soffiava lieve, quasi una brezza. Il che avvantaggiava i fuggitivi, rallentando la corsa delle nubi. Fece cenno a Turner di avvicinarsi e gli indicò ancora quell’angolo smusso: «Là, apache.» «Non vedo niente.» «Là, aspetta luna. Guarda luna. Aspetta.» Dopo minuti che parvero interminabili, la nera nuvola si sovrappose alla luna, aumentando il buio sopra il monte. «Guarda, guarda!» Qualcosa sembrò muoversi in verticale, ma le figure non erano ben definite. «Spara, ora spara!» Il primo apache cadde alla destra di Naranjito. Un colpo solo, involontariamente preciso, alla nuca. Il vento era aumentato d’intensità e le nuvole stavano scivolando via. I lembi lasciavano filtrare i raggi in modo discontinuo. Il monte era illuminato a chiazze. Uno sparo sfiorò Juan senza colpirlo, mentre un terzo raggiunse l’altro guerriero apache sulla schiena. L’uomo emise un gemito, ma non mollò la presa. Juan riuscì a raggiungere una nicchia per primo, tendendo la mano verso l’apache ferito, che nel tentativo di accogliere l’aiuto fu centrato tra le scapole da una pallottola: nella caduta gli fu fatale l’impatto con il suolo. Restavano Juan e Naranjito, vicini, però separati da uno spezzone di roccia. Entrambi erano riparati in una trappola. «Fratello, moriamo da apache.» «Ti ho fatto una promessa, Juan. Tu morirai in terra apache e i tuoi figli pregheranno per te. Ho affidato questa promessa al vento, che può spengere il fuoco o alimentarlo. Io, fratello, so che le mie parole nel vento accenderanno un nuovo fuoco.» Era l’ultima delle battaglie di Naranjito, il sanguinario apache del fuoco, e Juan non l’avrebbe vista, perché la pietra li separava. Ma in fondo era giusto così. Come i falchi, anche Naranjito sarebbe morto lontano dagli occhi del mondo. «Naranjito!», gridò il capo chiricahua imbracciando il fucile e sparando verso le nere figure alle pendici del monte. Uno, due, tre, quattro colpi ai quali fecero eco uno, due, tre, quattro, cinque colpi. Un decimo colpo portò il silenzio. Juan chiamò Naranjito. Prese il fucile: lo scintillio della canna attirò un nuovo sparo. Si strinse nelle spalle. Pensò alla promessa di Naranjito: «Morirai


in terra apache.» Ma in quella promessa il suo capo lo aveva costretto a un’altra promessa: volgere le parole nel vento in nuovo fuoco. Con la sua fine Naranjito aveva alleggerito il futuro di Juan, rimasto l’ultimo vivo della banda. Non avrebbe dovuto seguire nessuno nell’esilio, ma ne avrebbe avuto uno proprio, dal quale forse si sarebbe prima o poi liberato. Era condannato alla schiavitù, però con un destino personale. Forse avrebbe potuto riallacciare i rapporti con la sua tribù, privarsi del marchio del ripudio che Naranjito gli aveva trasferito. Soprattutto, c’era speranza per i suoi figli. Juan gridò: «Yo soy Juan, soy un apache de Naranjito. Yo me rindo!» Gettò il fucile con forza, in modo che i suoi inseguitori lo vedessero. «Sono Juan, sono un apache di Naranjito. Mi arrendo!» Si mostrò in piedi con le braccia alzate e attese per secondi infiniti un proiettile, che non arrivò. Dal basso gli dissero qualcosa che non capì. Poi, nella lingua dei padri, Topo gli intimò di scendere giù e di non fare scherzi, perché era sotto tiro. Kate, il padre e il fratello Nat se la sarebbero cavata, mentre per Joe non c’era stato niente da fare. Gli ultimi colpi di Naranjito non erano andati lontani dal bersaglio, colpendo Taylor e Topo senza gravi danni. La cavalleria arrivò tre giorni dopo. Venti uomini al comando di un tal tenente Fischer. Constatarono la morte del capo chiricahua e rimasero un po’ a Pine Creek, quindi ripartirono portando con sé Juan e i cadaveri degli apache. Come disse Andy, il maniscalco, c’erano più morti che vivi in quella colonna. Qualche tempo dopo, una domenica pomeriggio, Turner saltò sul cavallo e andò da Hummel. «Devi spiegarmi la storia di Marquise e di Old Diablo», gli chiese mentre giocavano a carte davanti a un whiskey. Hummel si scurì in volto: «Non ne avrei voglia, ma tanto non mi servirà portarmi certi ricordi nella tomba. Ho passato troppo tempo a Pine Creek, Bill. Venderò la proprietà e tornerò in un piccolo ranch vicino a mia sorella, nei pressi di San Antonio. Tu sei giovane, amico mio, ed è giusto che conosca come sono andate le cose. Augustus Marquise non era il santo studioso costruttore della scuola cittadina che tutti incensiamo. Era un bastardo, Bill, un gran figlio di puttana, e lo sa anche il dottor Ford. A noi diceva di trascorrere mesi interi fuori città per frequentare le migliori amicizie della costa orientale. Panzane. Ascoltami. Lui riforniva di armi e liquori gli indiani. Era in contatto con dei bandidos messicani. Loro rubavano, lui comprava e poi rivendeva. L’ho scoperto perché venti anni fa quel tale della Pinkerton che ci ha confermato la presenza di Naranjito era un ranger e mi chiese notizie su Augustus. Marquise faceva quel lavoro da sempre. Negli ultimi tempi aveva anche comin-

ciato a prestare soldi agli indiani. E sapeva come dettare legge. A un certo punto, con la scusa delle ricerche naturalistiche, prese ad andare da Quattro Mani (che era un rispettato uomo di medicina, non uno stregone come dice la gente) per darsi un tono nei confronti di questi poveri disgraziati. Alcune volte addirittura portava gli apache alla caverna per far loro credere di avere conoscenze importanti. Quattro Mani se ne accorse e tramite un indiano si mise in contatto con me. Assistei di nascosto all’ultima discussione tra questo vecchio e Marquise, ma non feci in tempo a evitare che il nostro buon professore gli sparasse a bruciapelo. Lo uccise e io ero lì! Quattro Mani morì tra le mie braccia.» «Deduco che tu sappia dov’è adesso Marquise.» «Dopo l’ultimo respiro di Quattro Mani mi gettai all’inseguimento. Raggiunsi Marquise un miglio più a valle, sul sentiero verso Pine Creek. Gli dissi che sapevo tutto e che non l’avrebbe passata liscia. Lui tentò di estrarre la pistola, ma io fui più veloce. Fine della storia. Presi il corpo e lo riportai nella grotta per gettarlo in una crepa nascosta, giù nelle profondità del monte. Poi seppellii Quattro Mani con tutti i suoi arnesi fuori dalla Fire Cave e ricoprii la terra con delle pietre che per lui erano sacre. Non so neanche se i chiricahua fanno così, ma mi è venuto spontaneo. Quattro Mani era un brav’uomo, semplice, saggio. Era importante per la sua gente e avrei voluto ascoltare anch’io quello che gli raccontava il vento.» I due sceriffi terminarono la partita e svuotarono i bicchieri. «Beh vecchio mio, si è fatto tardi», disse Turner alzandosi e indossando il cappello. Hummel strinse la mano dell’amico. A Pine Creek si lavorava adesso per ricostruire le fattorie.



Invece di fare lo spiritoso, perchĂŠ non ti tagli quei peli dal naso. Hai sempre questo bruTto vizio.

questo non è poSsibile.

MA CHE CAZzO DICI!!!

Togliti iMmediatamente queLlo schifo o ci penso io.






Non ho mai amato particolarmente Venezia: troppo di moda, troppo affollata.


Ma una volta all’anno, ci passo sempre. Anche fosse solo per una notte.


Il Carnevale di Venezia è un’occasione unica per rovistare nei desideri inconsci delle persone.


Indossando una maschera, è facile mostrarsi per quello che si è o si vorrebbe essere.


E poi è l’occasione perfetta per lasciarsi andare a giochi che il mio ruolo mi vieterebbe.


Attimi di piacere rubato da cui dovrei decisamente tenermi lontano.


Del resto, l’ho insegnato alla vostra gente diversi secoli fa...


Samael in anno licet insanire!






by Fabio Lastrucci


L’ultimo errore del capitano B. by Fabio Lastrucci Che i pirati fossero la schiumaccia dei mari, è storia nota. Di solito erano rozzi musoni, gente che amava poco lavarsi preferendo essere sopra dell’acqua piuttosto che dentro. In tutta la filibusta, invece, la ciurma barbuta del capitano B.B. Barbsmith faceva eccezione alla regola, essendo l’unica al mondo che di schiuma ne faceva, sì, ma solamente con lo shampoo! Questo dipendeva dal fatto che il vecchio Barbsmith, essendo un po’ fissato, dal suo equipaggio pretendeva due cose: che gli uomini avessero barbe lunghe-lunghe e che le tenessero sempre in ordine. Perciò, a furia di insaponare e risciacquare, la sua nave lasciava dietro di sé una scia visibile a miglia di distanza. I mercantili che viaggiavano sull’oceano erano messi sull’avviso. Se compariva spuma bianca all’orizzonte voleva dire guai. Infatti, i barbuti dei mari spazzolavano più galeoni che vestiti e non sbagliavano mai un abbordaggio. Erano uomini col pelo sullo stomaco oltre che sulla faccia. Dei veri artisti della rapina, fieri della loro reputazione. Potete dunque immaginare la sorpresa del nostromo Rocco Barbudos, dopo una lunga giornata di combattimenti, quando aprì finalmente le casse custodite nella la stiva della “Insalata di mare”. Trovandosi faccia a faccia con il bottino appena conquistato, Rocco sgranò gli occhi di meraviglia, per poi correre in coperta chiamando a gran voce il capitano. ­– Aiuto! Soccorso! Accorrete! Non poteva credere ai suoi occhi di predone. Al posto dell’oro che tutti si aspettavano di trovare, negli scrigni non c’era altro che questo: ortaggi, ortaggi e ancora dannati, inutili, insignificanti ortaggi… Sventolandone un esemplare in faccia al comandante disse con un filo di voce – Capo, mi spieghi lei che significa, che io mi sento male… – ­e svenne. Barbsmith sbuffò, facendolo portar via in cam-

busa dai fratelli Barbieri, due gemelli siamesi uniti per le basette. Circondato da Moustach, Barbington e Barbershop, soppesò il vegetale. Lo scrutò, l’annusò e infine ci diede un morsetto. ­ – Ragazzi, non c’è dubbio –, ­concluse avvilito. – Stavolta l’abbiamo fatta grossa, le nostre informazioni erano sbagliate. Come vedete, quello che abbiamo qui non sono zecchini, ma zucchini. I tre omaccioni accanto a lui, per quanto grandi e duri, sbiancarono di colpo come seppie lesse. Dopo anni di onorata carriera, questo sbaglio gli avrebbe fatto perdere due quarti di faccia, o magari anche tre. La notizia si sparse rapida sul ponte da prua a poppa e, mentre i pirati frignavano e si mangiavano le barbe a vicenda, qualcuno ammainò la bandiera nera per soffiarsi il naso e asciugarsi le lacrime (anche se non esattamente in quest’ordine). Cosa dire? A volte capita un equivoco, è vero, ma questo era davvero troppo. Che avrebbero detto i colleghi razziatori? E i grassatori? E gli sterminatori? Quelli erano tipi che non andavano tanto per il sottile. Il capitano, scuro in volto, salì sul castello di prua a pensare, e lì rimase per giorni ad arrovellarsi sotto al sole. Fu così che lentamente la nave scomparve di scena all’orizzonte. Per molto tempo alla Tortuga non si sentì più parlare dei ragazzi di Barbsmith e delle loro barbe corsare. Svaniti nel nulla, si diceva che avessero venduto per pochi spiccioli la loro nave “L’Onordel-mento” e che avessero abbandonato la filibusta. Passarono alcuni anni e sulla costiera si aprì una nuova taverna, “La Filibusterìa”, dove pare che ancor oggi faccia furore una specialità di terra e mare detta “Trofie zucchini & cozze alla Bucaniera”. Qualche cliente alle volte si domanda ancora: ­– E se fossero loro, possibile? ­– Ma noo, che sciocchezza­–, gli rispondono. – Un pirata resta sempre un pirata. Sarà vero. Intanto… là dentro i camerieri hanno tutti certe barbe così…


Tre desideri by Marco Generoso Lo sbadiglio fu piuttosto rumoroso e l’uomo

minciò a buttare briciole di pane verso uno stormo

te aveva varcato l’entrata nel parco e niente gli

ra dopo i piranha killer del Rio delle Amazzoni. Il

provò piacere per ogni decibel usato. Finalmen-

avrebbe impedito di godersi un ozioso pomeriggio passato solo a leggere. Avrebbe ignorato

stoicamente qualsiasi stimolo esterno: mamme isteriche, bambini iperattivi, anziani bavosi e

cani eccitati. Le avventure di Gordon Pym non

è un romanzo da leggere distrattamente come

fosse un insulso biglietto dei Baci Perugina, l’uomo questa verità l’aveva scoperta nei suoi 48 anni di vita. Spesso aveva cominciato il ca-

polavoro di Poe senza mai finirlo. Ma quel pomeriggio no, si sarebbe lasciato abbandonare al

sublime naufragio della lettura senza guardarsi

indietro. Le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi mocassini e quella rossa e gialla distesa

era il petulante e ben noto simbolo dell’arrivo dell’autunno. I pomeriggi di sole, pizzicati dalla

brezza di settembre, sarebbero presto diventati un lusso che le stagioni rubano annualmente, quasi fosse una tassa da pagare per l’armonia del nostro ecosistema.

Indossati gli occhiali per la lettura,

l’uomo aprì il libro al segno in cui l’aveva lasciato la notte prima. Si leccò le labbra pregustandosi la lettura, goloso di pagine come un

bambino lo è di caramelle. La sua lettura venne interrotta tre righe dopo, dal sedersi di un’anziana signora proprio accanto a lui. La vecchia non solo appoggiò il suo ossuto sedere con la grazia

di un ippopotamo zoppo, ma bofonchiava fra sé e sé delle parole incomprensibili. Il nostro concentrato lettore dimenticò tutto quello che ave-

va letto e diede la colpa alla molesta vecchietta. Quest’ultima, continuando a bofonchiare, co-

di piccioni, che sono le creature più voraci in natunostro eroe, oltre ad avere la soglia d’attenzione di

una lucertola, era anche disgustato da quei volatili urbani.

Avrebbe tanto voluto dire qualcosa alla

donna, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un

sibilo. Si disse che era inutile e alquanto maleducato disturbare quella signora, ma era tutta una giustificazione per la sua inettitudine. Rimase a

guardarla a bocca aperta, muto come la morte, per cinque minuti buoni. La vecchia spostò lo sguardo dai piccioni all’uomo e gli sorrise, seducente come una tassa sui beni immobili.

“Allora, cosa vuoi come terzo desiderio?” chiese la signora.

L’uomo perse le parole che non aveva avuto, stupito e sconcertato dalla domanda. Cos’era quel que-

sito? Perché gli si rivolgeva con tanta confidenza?

Si sarebbe certamente ricordato di una vecchia così insopportabile!

“Prego? C-ci conosciamo?” rispose lui.

“Oh… sì che ci conosciamo. Devo esser stata fin troppo brava col secondo desiderio…” la donna tornò a nutrire i già grassi piccioni. “Cosa? Ma di cosa sta parlando?”

Suo malgrado, l’uomo cominciò a sudare freddo.

Quella donna, nonostante l’aspetto fragile, si stava rivelando piuttosto inquietante.

“Sto parlando dei tuoi tre desideri! Sei venuto da

me, non molto tempo fa, e mi hai chiesto di esau-

dire tre desideri. Come tutti. Ne ho esauditi due, e adesso mi manca il terzo!” poi sospirò “dovrei smetterla di prostituire i miei poteri magici…”

L’uomo esaminò ogni parola di quella


megera. Evidentemente stava sognando, non c’era

rio?”

di averla vista prima o di averle chiesto qualcosa

dell’uomo quando lo vide confuso “però guar-

altra spiegazione. Non si ricordava assolutamente di così assurdo come ‘esaudire tre desideri’. Se fosse stato così, a quell’ora sarebbe stato giovane, con una montagna di soldi e pieno di donne! Mica su una panchina con una vecchia pazza…

“Come faccio a crederle, secondo lei? Voglio delle prove!”

“Non ci sono. Ho cancellato tutto dopo il tuo secondo desiderio. E’ stata una tua richiesta.”

Adesso l’uomo era più curioso che spaventato o indispettito. Evidentemente quella pazza stava delirando, ma la conversazione si stava facendo più

interessante del previsto. Forse seguire quella stre-

ga nei suoi vaneggiamenti si sarebbe potuto rivelare divertente.

“Davvero? E perché avrei dovuto desiderare una cosa del genere?”

La strega smise di dar da mangiare ai piccioni. Si girò nuovamente verso l’uomo, guardandolo negli occhi per la prima volta. Lui rimase sorpreso dagli

occhi della donna: sembravano due pezzi di ghiaccio, freddi e disturbanti.

“Eri spaventato e disperato. Questa era la tua con-

dizione dopo aver esaudito il primo desiderio. Quel

tuo primo desiderio ti aveva sconvolto così tanto che in lacrime mi implorasti di annullarlo. Volevi

tornare a vivere allo stato precedente al primo desiderio, questo è stato il tuo secondo desiderio. Ed eccoci qua.”

“E cos’era il primo desiderio?”

“Non te lo posso dire. Rischio di farti tornare a pia-

gnucolare come una ragazzina. Non è stato un bello spettacolo, credimi.”

Il senso di inquietudine era tornato. Ma ormai aveva

capito di esserci troppo dentro. Se quella vecchia era veramente chi diceva di essere, l’uomo aveva ancora un terzo desiderio da esaudire. Tanto valeva

continuare a giocare, ma c’era ancora una cosa che non gli tornava.

“Ma come faccio a non ricascare nel primo deside-

“Non puoi” la vecchia mise una mano su quella da il lato positivo: sei tornato come allo stato

iniziale. Puoi desiderare qualsiasi cosa! Non aver paura, basta chiedere!”

Quelle parole d’incoraggiamento lo rincuorarono. L’uomo pensò subito a tutto quello che le poteva chiedere. Donne, soldi, fama, potere. Gli era rimasto un solo desiderio, doveva sce-

gliere con saggezza. Avrebbe potuto chiedere di

annullare tutte le guerre o di togliere la fame del mondo. Avrebbe potuto sapere se Dio esisteva o la verità sull’universo. Ma c’era una domanda

filosofica, un dubbio esistenziale che lo tormentava da quando era ragazzo. Conoscere la rispo-

sta a quella domanda… forse era questo il suo desiderio più profondo.

“Io… io desidero conoscere la verità su me stes-

so. Voglio sapere qual è lo scopo, il vero scopo, della mia vita. Voglio sapere perché sono nato e

cosa sono destinato a fare. Questo è il mio terzo desiderio.”

“Buffo…” il sorriso della donna si fece sempre

più largo “…questo è stato anche il tuo primo desiderio.”


ASTRAL VOYAGE by nello caiazza


ERA IL giorno di san patrizio by ivan paduano


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