N°7 apr 2018
Ciao a tutti! Ormai è per me diventata piacevole abitudine introdurvi ai numeri di Ronin. Intanto perchè fa piacere vedere che siamo arrivati al numero 7. E si sa che sette erano i Samurai. Ma noi siamo Ronin, Samurai senza padrone e siamo molti più di sette. Oltretutto la “famiglia” va allargandosi di nuovi autori e nuove proposte. Oltre al numero che avete davanti - ed a tutte le storie che contiene - c’è che il collettivo Ronin inizia a sbarcare anche in edicola! Da marzo, infatti, è iniziata la collaborazione tra Ronin e il mensile Pallavolo/Supervolley, sulle cui pagine per tutto il 2018 presenterà “Sotto rete” una storia a puntate (e al femminile) ideata, scritta, disegnata e letterata da membri del collettivo. Il numero di Aprile è in edicola che vi aspetta! Fra poco poi vedrà la luce “etichettato Ronin” Out Of Fuel, un progetto particolare che vi presenteremo esaustivamente più avanti e i primi fumetti spillati targati Ronin: Zakk Void e Le Cronache di Akronya (che potrete trovare in carne ed ossa ad Arf 2018, allo stand Ronin) Come dico sempre: il mondo di Ronin va ben oltre la prima e la quarta di copertina. Divertitevi, supportateci, supportate gli artisti in generale e se avete domande o materiali da proporre, scriveteci. facebook.com/groups/RoninCollettivo/ oppure qui: facebook.com/RoninMag/ Buona lettura. Pietro Rotelli RONIN Periodico gratuito online del Collettivo Artistico Ronin. Curato dall’Associazione di Promozione Sociale ONDARADIOATTIVA. Progetto editoriale, impaginazione e grafica: Pietro Rotelli Redattore Capo: Luigi Chialvo Responsabili settore: Prosa: Riccardo Sciarra Fumetti: Francesca Dea Illustrazioni: Nello Caiazza Poesia e progetti speciali: Ivan Paduano Interviste e recensioni: Francesco Balestri Ogni diritto relativo alle storie qui contenute è dei singoli autori, ogni autore si assume la responsabilità dei contenuti della propria opera.
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INDICE LE CRONACHE DI AKRONYA (Pt.2) Chialvo - P. Rotelli
SHELTER (Pt.1)
P. Rotelli - Avellis
VIRTUS (Pt.3) Sciarra - Dea
HAIROSCOPE
Mortillaro - Lastrucci
BORDER
Ratzo
CITTA’ DI MARE
Franceschini
MALINCONICA CELESTE
Paduano
ARRIVIVA LA MAMMA DEL SOLE
Cortese - Tanca
WUNDERKAMMER COLLETTIVO RONIN ASIMMETRIA DEL MIO OCCHIO DESTRO
Paduano
IL MANIFESTO DRAMMA DELL’AFFRONTARE IL FRANCESE
Generoso
IL SENTIERO
Cabutto
GEISHA
Esposito
NEREMACCHINE
R. Izzo
ELEVEN
G. Rotelli
FALLIN’
Della Verde - Krunch - Deitch
Copertina: Benedetta Scardina
ratzo
Città di mare by Beno Franceschini Smeraldi nel mare scaraventati contro fulvi scogli di lava, prede dei granchi e dei pesci guizzanti. Tamerici di cenere e arenaria sferzate dall’aria di sale. Più in là tese ginestre sgargianti tra rocce ed erbe rade. Il canto d’un gabbiano sopra le nuvole dal marmo striato. Un aereo tra i rami d’acacia sbocciata. Abiti stesi dei colori di stracci sbiaditi, come i trascinati passi d’un uomo col cappello e il bastone usurati. Sul marciapiede un gatto di sabbia leonina. E un tardo mattino di luce fosca e sospesa che sembra perenne appena inoltrato.
malinconica celeste by ivan paduano
ARRIVA LA MAMMA DEL SOLE by Nadia Cortese Il sole caldo ed insistente vigilava severo le deserte vie del paese. Neppure un’anima doveva aggirarsi a quell’ora. Era la regola. Gli afosi pomeriggi d’estate, immersi in un’ inquietante silenzio, erano religiosamente rispettati da tutti gli abitanti del luogo. Si iniziava ad inculcare la regola sin dalla tenera età. Schiere di madri ansiose che, scoccate le quattordici in punto, richiamavano le loro creature all’ordine e soprattutto al silenzio. Non era ammissibile la ribellione, pena il Suo arrivo. Lei “La mamma del sole”, in tutta la sua crudele figura, si manifestava a coloro i quali tradivano la sua legge. Lei, al terzo sgarro, li avrebbe prelevati senza pietà, portati via nel suo sacco nero e nessuno avrebbe più sentito parlare di loro. Alex, quattordici anni, occhi verdi e broncio perenne la vide circa due anni prima. Un pomeriggio di agosto, stanco di dover fingere di dormire e del tutto indifferente a quelle dicerie insulse sulla mamma del sole, fuggì spensierato dalla finestra. Lei si materializzò in fondo al viale. Un mantello scuro le copriva il corpo ricurvo e un cappuccio le nascondeva metà del volto. La sua andatura lenta e zoppicante era accompagnata da un’insopportabile litania che lei canticchiava senza sosta. Quell’incontro fece sprofondare Alex in uno stato di terrore. Quello vero. Quello che ti cambia, che ti impedisce di respirare con vigore. Due anni dopo Alex aveva appuntamento con tre suoi fedeli amici e prossimi complici. La mamma del sole doveva morire o tornare da
dove diavolo era venuta ! “ Ragazzi, ci siamo tutti ? Mark, Red, Frank e io...bene ! Allora siete pronti?” “Si” “Si” “Mmm...” “Che succede Red, te la stai facendo sotto ?” Una fragorosa risata generale ruppe la tensione. “No Frank, solo che ricordo ciò che quella bastarda mi disse l’ultima volta che la vidi ‘Al prossimo errore finirai all’inferno’ “. “Ragazzi, chi vuole rinunciare lo faccia ora. Io non mollo, quella lurida dovrà crepare ! Non voglio più vivere nella paura. Tutti noi dobbiamo liberarci da questo peso. Siete con me?” Alex avrebbe portato a termine la missione,anche da solo. I tre si guardarono e con convinzione annuirono e dopo essersi dati la mano come per sigillare il patto, ripassarono il piano. L’orologio sentenziò che le quattordici erano giunte, la madre di Alex lo chiamò insistentemente dal balcone. “Tesoro è ora del silenzio assoluto” Alex rientrò a casa e precisamente in camera sua, dove con adrenalina ed eccitazione preparò lo zaino. Mise parecchie bottiglie d’alcool e molti accendini. Bruciarla viva era l’obiettivo. Era quasi ora di raggiungere gli altri. Ma Alex non ebbe la possibilità di attuare il suo piano. La mamma del sole si materializzò inaspettatamente nella sua camera. Sollevò il cappuccio rivelando un volto raccapricciante. Brandelli di pelle misti a pus giallognolo incorniciavano due occhi iniettati di sangue dal potere demoniaco.
illustrazione by valentina Tanca
Freddò Alex con un solo sguardo. Dopo averlo riposto nel suo sacco nero si avviò verso il viale assolato zoppicando. Avrebbe visitato altri tre piccoli ribelli nelle due ore successive. Prima di sparire però si girò verso la casa. La madre di Alex era affacciata alla finestra della cucina e dopo aver annuito soddisfatta salutò calorosamente la mamma del sole. Una collaborazione ben riuscita la loro.
Willkommen im WUNDERKAMMER
Abbiamo selezionato a caso due parole: un oggetto e un soggetto. Le abbiamo assegnate a coppie, anch’esse scelte dal caso, di sceneggiatori e disegnatori di Ronin. E abbiamo chiesto loro di creare delle storie con l’unico vincolo di impiegare proprio quelle due parole. WUNDERKAMMER è il risultato. E a partire da questo numero, ogni uscita di Ronin Magazine vi proporrà alcune randomizzazioni provenienti da quello che è a tutti gli effetti un cantiere di idee sempre aperto.
In questo numero:
NEL BUIO
di Bonazzi - Farina (parole random: Astronave - Mosaico)
IL MIO MIGLIORE AMICO di Elisei - Scaridina (parole random: Cavallo - Carta)
A QUALCUNO PIACE CALMO di Maggi - F. Gatto (parole random: Vaso di fiori - Ali)
RAVANELLO
di Sciarra - J. J. Frank (parole random: Macchina fotografica - Ravanello)
RAPOSA IL MAGNIFICO E LA SPADA DI MENDOZA di Paul Izzo - Dea (parole random: Lancia - Mercante)
SCHRÖENDINGER’S di M. Gatto - G. Rotelli (parole random: Scatola - Ombre)
ENDE
bis zur nächsten Episode
asimmetria dle mio occhio destro by ivan paduano
Il manifesto dramma nell’affrontare il francese by Marco Generoso Ritengo che in tutta l’esistenza poche cose possano incrinare la sanità mentale di un individuo come la prima volta che si ha a che fare col francese. Con “il francese”, non intendo solo la lingua, intendo le persone, la cultura, la Francia tutta e tutto ciò che essa simboleggia. Per secoli sono state bruciate streghe (niente di più che povere e innocenti fanciulle) ai roghi. Io dico che, per tutti quei secoli, se la sono presa coi bersagli sbagliati. Sono un esperto del campo: per tutta la vita ho sanguinato orgoglio e tempo a causa del “francese”. Vi chiederete perché tanto veleno nei miei pensieri… è vero, probabilmente sono ingiustamente razzista, ma coloro che avranno avuto a che fare almeno una vita nella vita con un francese, probabilmente mi capiranno. Ma andiamo con ordine. Posso comprendere che queste parole possano solo apparire come deliri squilibrati. “Il francese” è seducente. Una terra splendida, una lingua affascinante, una letteratura magnifica, la bellezza di Parigi, persone (apparentemente) raffinate. Pure io c’ero cascato. Due volte, perché c’è qualcosa che non va nella mia testa, devo essere un masochista che adora tormenti di dimensioni cosmiche. O faccio di tutto per martirizzarmi l’esistenza oppure non trovo motivi validi per alzarmi la mattina. Comunque, tornando a noi, partiamo dalla lingua. È bella a sentirsi, è vero. Ma provate a studiarla. Provate anche solo per un attimo a studiarla, a tentare di misurarvi con lei. Come? Grammatica incomprensibile? Non rende l’idea. Fonetica fastidiosa e superflua? Siamo sulla buona strana, ma dovete arrivare al nucleo. Miliardi di regole da imparare che poi si rivelano inutile perché TUTTO è un’eccezione? Bingo, avete colto il problema. Non è più affascinante come prima, vero? Se forse un tantino più semplice forse guadagnerebbe in simpatia, dico bene? Pensate che la popolazione media francese va pure FIERA della
sua lingua! Vacui stronzi. Comunque mi rendo conto anch’io che questa filippica è inutile ai fini della narrazione. È che mi sentivo un po’ profeta, quindi volevo introdurvi l’ingombrante ostacolo che mi è toccato affrontare per la riuscita del mio glorioso piano. Sì, perché la mia idea per salvare il mondo ha incontrato più di un problema, ma nessuno mi ha fatto venire più capelli bianchi di QUELLO. I fumetti insegnano tante cose, ma la prima è che ogni eroe ha la sua nemesi… e il mio arcinemico consuma ogni centilitro della mia adamantina pazienza. Allora, dopo aver parlato con la simpatica vecchietta, cammino lungo tutta le transenne e la fila di persone, con la tenue speranza di incontrare qualsiasi segno di Barack Obama o qualcuno dello staff. A dire la verità, un qualsiasi americano mi andrebbe bene. Ma sfortunatamente non trovo nessuna persona transatlantica. Ma ne vedo una transalpina. Una che conosco bene. “Il prof. Fracasson” sussurro a denti stretti “Jean-Marc Fracasson!” Un uomo, un francese, che potrei descrivervi, ma mi piace tanto di più definirlo ‘la Pustola’. Non troppo alto, non troppo magro, dei piccoli occhietti neri coperti da degli occhiali scialbi, dei radi capelli di un colore altrettanto scialbo, la camminata di uno che ha perennemente un palo in culo e infine (colpo di grazia!) dei baffetti alla Dalì. Ma dico, ma come cazzo si fa a portare i baffi alla Dalì nel XXI secolo senza esser presi per scemi?! La Pustola è un temuto professore francese di matematica. Esatto, riunisce in sé due delle cose che odio di più al mondo: la matematica e il francese (lo so, ancora non vi ho parlato della ma-
tematica, ma non vi preoccupate, c’è tempo…). Negli anni abbiamo duellato in scontri apocalittici all’ultimo banco: lui armato dei suoi infidi e meschini compiti e io armato solo del mio cervello. Inutile dire che ha sempre avuto la meglio, ma solo perché ha sempre avuto lui la penna rossa dalla parte del manico, il bastardo. Il punto è che il mio odio nei suoi confronti è totalmente ricambiato. So che mi detesta con la stessa intensità con cui le donne detestano la cellulite. Era qualche anno, qualche felice anno, che non lo vedevo. Cazzo. Solo la sua presenza può rovinare una giornata che si sta rivelando interessante. Forse, posso evitarlo… se sono rapido e furtivo, forse non si accorge di me… forse… o forse no… troppo tardi. I nostri sguardi si sono già incrociati. Sento su di me una sensazione che ritenevo sopita, ovvero mi sento nuovamente addosso i suoi occhietti da ratto che mi scrutano disgustati come se fossi un pezzo di formaggio ammuffito. Era solito trasmettere questo stupro visivo quando doveva scegliere la vittima sacrificale da interrogare. Ecco! Quella luce, quel mefitico bagliore nei suoi occhi: mi ha riconosciuto. Ormai non posso più tirarmi indietro. Devo almeno salutarlo. E scambiarci una conversazione… cazzo che sfiga. “Salut professeur, comment ça va?” esordisco chiedendogli banalmente come sta. Cerco anche di tirare fuori il miglior accento che posso fare, ovvero quello di un italiano che parla molto male francese. “Quoi?” risponde lui col classico “cosa?”, ovvero facendo finta di non aver capito. Questo è un tipico comportamento dei francesi, il far finta di non comprendere se gli si parla nella loro lingua ma non si pronuncia le parole in maniera perfetta. Mi danno sempre sui nervi quando fanno così. Sono dei veri e propri diti in culo umani. (D’ora in poi, per semplicità, tradurrò il nostro bel dialogo in francese). “CIAO PROF. FRACASSON, COME VAAA?” “Bene. Anche se andava meglio prima...” risponde tirando in su col naso. La sua espressione di disprezzo mi sta invitando a prenderlo a pugni “…e lei come sta, signor…?” Il fatto che non si ricordi come mi chiamo è l’u-
nica cosa positiva “anch’io, bene. GRAZIE. Cosa ci fa lei qui?” “Sono qua per le président Obamà. Oui. E lei? Non vorrà anche lei parlare con Obamà?” “Beh… sì.” Abbozza un sorrisetto da rettile “cosa può mai dire, LEI, a Obamà? Eh?” Eccolo. Ci risiamo. Anche se non sono più suo alunno, non ha remore a rivelarmi quanto mi ritiene stupido. Cazzo se lo odio. Lui e la sua lingua e i suoi numerini di merda. Ma ora non sono più il ragazzino di un tempo, nossignore. Non sono più il suo studente intimidito. Adesso anch’io ho una cazzutissima laurea e questo non lo rende affatto migliore di me (beh forse il fatto che lui ha un lavoro…). Sono uno studioso (svogliato) con un grande avvenire, le cui teorie nel campo delle scienze umanistiche rivoluzioneranno il pensiero mondiale! Ma che dico, rivoluzioneranno l’universo intero! Sarò un nuovo Da Vinci! Altroché matematica e Francia! E ‘sto stronzo qua si dovrà prostrare ai miei piedi! Ok ora smetto di pensare cazzate… “Perché? Cosa può dire invece lei, professore, di tanto importante al presidente degli Stati Uniti?” “Boff! Ma è ovvio! Ho creato proprio ieri una equazione fantastique che risolverà tutti i problemi dell’economia occidentale. Anzi, mondiale! Perché la statistique dimostra che…” e qui parte un suo discorso senza senso di numeri e statistiche del quale non capisco un accidente. Vi assicuro che sentire un uomo ragionare di matematica in francese è un’esperienza decisamente sconvolgente. Lo interrompo, questa è una vera e propria tortura per le mie sinapsi! “…ho capito… interessante, professore ma… vede… anch’io ho un’idea rivoluzionaria…” “Sarebbe?” fa lui inarcando un sopracciglio, pronto a sentire qualsiasi stronzata io possa dirgli. E lo faccio. Gli dico tutto del mio piano: smettere di far giocare a calcio i bambini. Mentre parlo, accade qualcosa che non mi sarei mai aspettato. I suoi occhi diventano lucidi. Una lacrima scende dal suo occhio sinistro. “Mais… mais… c’est genial… ha ragione. Moi aussi…” si ferma. La commozione è troppa. “Devi… Dobbiamo parlarne absolument con Obamà!”
Il sentiero by Paolo Cabutto L’odore di marcio delle foglie bagnate, la gola serrata in una morsa, il ringhio feroce della belva e la puzza di carogna che usciva dalle sue fauci spalancate. Sono trascorsi vent’anni ma ci sono giorni in cui è come se fossi ancora in quel sentiero. In quella buca. I colori dell’autunno erano esplosi nelle loro mille nostalgiche sfumature giallo ocra e non era insolito, per chi attraversasse a piedi la campagna ai margini del mio paese d’infanzia, notare i giochi di due ragazzini, ormai sulla soglia dell’adolescenza. Non conoscevamo la paura. Nemmeno il coprifuoco ci intimidiva. Pensavamo di essere coraggiosi e degli adulti che ci mettevano in guardia contro gli estranei poco ci importava. Quel pomeriggio la sfera rossa del sole era già scomparsa per tre quarti dietro le colline. L’ora di tornare era passata da un pezzo ma restava ancora tempo per un’ultima sfida. «Vediamo chi arriva prima!» urlò Davide. Il volto sudato e sorridente. «Ci sto! Il traguardo è la fontana davanti al cascinale di Battista!» Il mio compagno di giochi increspò le labbra in un sorriso scaltro. «Via!» sbraitò, scattando in avanti. Lo lasciai correre per qualche metro, prima di incamminarmi. Ero sicuro che non sarebbe riuscito a mantenere quel ritmo. E poi avevo la mia arma segreta: il sentiero. L’avevo scoperto un mattino in cui ero fuggito da casa mentre mamma e papà urlavano furibondi l’una contro l’altro. Da allora era diventato il mio unico rifugio. Un nascondiglio che mi avrebbe salvato la vita. In quel momento però l’unica cosa che contava era che fosse la scorciatoia grazie alla quale avrei vinto la gara con Davide. La mattina aveva piovuto e il fango copriva le foglie sotto i miei piedi, che svelti attraversavano il piccolo boschetto che portava al sentiero. Il terreno viscido non facilitava di certo la mia corsa, tanto che non ci volle molto prima che la suola di gomma delle scarpe scivolasse, facendomi cadere. Capitombolai in un fosso poco oltre l’inizio della stradina. Urlai di dolore ma quando tentai di rialzarmi notai con sollievo come il piede fosse ben saldo. Era un miracolo che non mi fossi preso una storta. Cercai di risalire il piccolo crinale, affondando le mani nel terreno fangoso, ma qualcosa mi bloccò. Sembrava l’ansimare di un animale. Alzai gli occhi e mi ritrovai a pochi centimetri dal muso sporco di terra di un lupo. Il ringhio prolungato che gli usciva dalla gola mi fece indietreggiare, fino a ritrovarmi di nuovo sul fondo del fosso. Pietrificato, chiusi gli occhi e iniziai a pregare sottovoce. Avevo sempre trovato seccante la messa della domenica ma in quell’istante la mia mente di bambino, per fuggire da quell’incubo,
non conosceva altro modo. Mi aspettavo che il lupo saltasse nella buca da un momento all’altro per dare inizio al suo banchetto, ma ogni volta che aprivo gli occhi continuava a essere sopra di me, minaccioso e immobile. Seguitavo a tenere le palpebre serrate e a sussurrare preghiere, quando mi giunse alle orecchie un rumore attutito di passi. Alzai la testa e con la coda dell’occhio notai la sagoma di uomo comparire dietro all’animale Portava un impermeabile marrone stinto e un paio di jeans neri. Non riuscivo a distinguerne il volto con chiarezza ma l’unica cosa che importava era che non fossi più solo. Cercai di richiamare la sua attenzione, ma per quanto mi sforzassi la mia bocca non riusciva a emettere alcun suono. La cosa curiosa e terrificante era però che l’uomo non sembrava essersi accorto della presenza della belva. Gli era passato accanto come se nulla fosse, continuando per la sua strada. Il lupo si era voltato, l’aveva osservato per qualche istante ma poi era tornato a puntare gli occhi su di me. La mia unica possibilità di salvezza si era dissolta. Mi rannicchiai il più possibile sul fondo del fosso e incominciai a piangere. Né la mia famiglia né i miei amici erano a conoscenza di quel sentiero. Nessuno sarebbe venuto a cercarmi lì. Le ombre del crepuscolo avevano invaso la stradina e il buio iniziava ad avvolgermi nel suo tremendo abbraccio. L’aria fresca delle prime sere d’autunno mi faceva tremare e il fango mi si era appiccicato ai vestiti umidi. Il lupo persisteva nella sua veglia quando, con uno scatto fulmineo, alzò il muso ed emise un ululato raggelante. Mentre il silenzio della notte veniva violato da quel suono acuto, mi ritrovai con l’illogica certezza che qualcosa di orrendo era stato appena commesso. L’animale cessò il suo lamento e, senza più guardarmi, corse verso l’uscita del sentiero. Come in trance, mi arrampicai con fatica fuori dal fosso e mi affrettai a raggiungere la strada principale, illuminata dai lampioni. Del lupo non c’era traccia. Mia madre mi accolse in lacrime, stringendomi tra le braccia, mentre mio padre mi scoccò una dura occhiata di rimprovero. Quando raccontai la mia disavventura, non mi credettero. «Ci prendi davvero per sciocchi? Non si è mai visto un lupo da queste parti.» Stavo ancora cercando di convincerli della veridicità della mia storia, quando bussarono alla porta. Era Giacomo, il nostro vicino di casa carabiniere. Voleva accertarsi che fossi rientrato e che stessi bene. Pochi minuti prima avevano rinvenuto il cadavere seminudo di Davide. La caccia all’uomo era aperta. Avevano anche una traccia: Battista aveva visto qualcuno fuggire. Portava un impermeabile marrone e jeans neri.
geisha by antonio esposito
neremacchine by Raffaele Izzo Cap. uno 2018. Milano. Il risveglio non è dei più piacevoli. Ma per fortuna qui i ricordi tornano più facilmente. Mi chiamo Marco Sartorius. E sono un dio. O almeno lo ero prima di essere esiliato in questa forma. Non avendo per me alcun senso il tempo come voi lo concepite non saprei da dove iniziare la mia storia. Guardo fuori dalla finestra slavata di pioggia … un bel posto dove restare a morire non c’è dubbio. I Navigli si distendono sotto di me. Le luci dei pub punteggiano l’oscurità come lucciole. Adoro questa città. Ma sono troppi anni che ci vivo. La mia eterna giovinezza sta iniziando a destare sospetti. Ne ho cambiate già così tante. Ma chissà perché mi sono bloccato in questo paese tanti secoli fa. Se qualcuno di voi, a questo punto, si aspettasse avventure ed emozioni da highlander resterà molto deluso. Ho vissuto tremila anni. E non mi è successo assolutamente niente. Non nel vostro mondo, almeno. Ho visto solo scorrere il tempo davanti. E il mondo con i suoi cambiamenti. Il mio anonimato mi ha aiutato a sopravvivere a lungo. Niente avventure nella vita reale. Solo noia. E solitudine. E allora qual è il centro della tua storia? Ma è facile: scappare dal mio carcere e fare un culo così a quelli che mi ci hanno messo. Semplice e lineare no? Se non fosse per alcuni piccoli dettagli: i miei ricordi sono distorti e frammentati. Così come i miei poteri. Ad esempio so la cosa fondamentale: il Multiverso esiste. La vostra scienza limitata ci arriverà tra parecchi secoli. Ma ci arriverà. Ed io sono uno psicomante. Ma voi potete chiamarmi in mille altri modi. Posso attraversare tutte le dimensioni a mio piacimento.
Ma ignoro chi mi ha sconfitto e ingabbiato qui secoli fa. E perché. Finchè la mia piena coscienza non tornerà sono bloccato. Per ora. Ma tutto ha una fine. E le mie energie stanno tornando. Le sento. Ho atteso così tanto. Sto venendo a prendervi ragazzi, chiunque voi siate. Cap. due Davanti. Nero. Ma non il buio della notte. Orizzonte assolutamente monocromatico. Il suo mondo è diventato questo nero. Lui lo osserva. Ultimo della sua specie. Forse. Poco tempo. Energieprestoricaricherannocorpostanco Pensieriflussodentromeluimieitantisesconnessi Riordino flusso Infinitimondinfinitipiani Osservo. Questo piano di realtà che potrebbe essere il mio mondo originario Ma chi potrebbe dirlo con certezza dopo millenni? Stanco. E solo. Altri come me? Se la distruzione ha risparmiato altri suoi simili deve iniziare la ricerca. Concentro le mie poche energie per sondare più possibile intorno a me. Niente. Se altri sono sopravvissuti. Strutture megalitiche occludono la vista. Altelarghe infinitamente. Nere. Spigolidentrospigolidentrocurve. Macchine. Nere. Distesedimacchine Costruisconolestrutture. Che ci tolgono il potere.
E ci danno la morte. Presto tutto il multiverso sarà ridotto così. Il mio nome … I miei molti nomi … Una visione prende forma nella mia mente. Non ricordo questo volto. Eppure in lui sento qualcosa di familiare. Le macchine bloccano i miei poteri. I miei ricordi. Come sono arrivato qui? E perché? Altre immagini scorrono adesso affiancate dentro di lui. Altri volti. I suoi simili. Molti di loro sono morti. Altri in catene. Dentro le macchine. Grendor … Resisti fratello … liberaci. Il suo nome. Adesso parziali frammenti di esistenze passate e future. Vieni dentro le macchine. Solo tu puoi farlo. Solo i tuoi poteri. Tu sei il più forte di noi. Ricorda. Flussoininterrotto Dipensieri Distorie Didolore Cercadiconcentrarsiper ricorda ricorda Ondedienergia Affluiscono Dentro di Lui. Strutturesustrutture Crescono iniziano Attorno Mi alzo di scatto. Ma che cazzo? Mi ritrovo circondato di prospettive tubolari Angoliincrociatisucurveelinneeimpossibili. Tutto Intorno a me nerosunero Senza nessuna via di scampo. Ogni Livello macchina Nuovo prende Energia Mi dissangua. Alzo una difesa Energetica Senzamemoria Non ricordomolto Dei Miei Poteri. Devo fuggire da questa dimensione. Chiudo gli occhi mentre i tentacoli robotici si avvinghiano attorno a me. Spengomestesso. E sparisco.
Cap. tre Paola mi aspetta sotto casa. La vedo mentre osservo i ballatoi tutt’ intorno a noi. Alla fine anche qui il tempo è passato. Della storia non è rimasto più niente, seppellito dalle ristrutturazioni per la giovane borghesia rampante italiana. Paola mi sorride. E l’unica in Italia che sa tutto di me. Ma adesso anche la sua età sta diventando un problema. E lei lo sa. Passeggiamo sulla darsena sotto il sole primaverile. <<Stanotte ho scoperto nuovi … ehm … elementi.>> <<Ancora non ti senti a tuo agio? Ah ah …>> <<Tu lo saresti?>> <<Ma certo. In fondo sono io quella che … >> <<Mi dispiace.>> <<Su su … siamo in grado di agire adesso?>> <<Non ancora. Devo sentire alcuni miei … diciamo amici prima.>> <<Altri … come te?>> <<Si , mmm … più o meno.>> <<Voglio esserci, capito? Voglio che tu lo faccia prima che io ….>> <<Si … stanotte ho visto … non so come chiamarle. In quella dimensione mi veniva solo un nome: le Macchine. A centinaia. O a milioni. Un mondo intero.>> <<Che mondo?>> <<Forse, mmm … non so ma potrebbe essere il mio … insomma dove sono nato, o creato, diciamo così.>> <<Le Macchine vanno fermate.>> <<Sì.>> <<Ma non è tutto, vero?>> <<C’è qualcuno che le governa … >> <<Chi?>> <<Non lo so ancora>> <<Uno come te?>> <<Forse. O forse … più potente.>> <<Allora siamo nella merda sino al collo.>> <<Mi sembra una buona sintesi.>> <<Prossima mossa?>> <<Riunire la truppa. E spaccare un pò di culi.>> <<Amen.>>
eleven by giulio rotelli
anf
anf
anf
anfanf
ok, ho capito... salto!
le cronache di
scritto da
Luigi Chialvo
illustrato da
Pietro Rotelli
vedo che hai trovato uno dei nostri rifugi.
agGrapPati!
tienilo tu, può esSerti utile.
resta alLe mie spalLe, ci penso io.
... specie quando ne afFronti uno isolato.
sono agGresSivi, ma vigliacChi...
scapPano facilemnte, devi solo far atTenzione...
... ad evutare il suo sputo: è tosSico.