Bibliotechina, Gli uomini dai capelli rossi

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Stefano Bordiglioni

Gli uomini dai capelli rossi Illustrazioni di

Marco Bregolato

CON AUDIOLIBRO



Stefano Bordiglioni

Gli uomini dai capelli rossi Illustrazioni di Marco Bregolato Apparato didattico a cura di Anna Rossi


© 2019 by Mondadori Education S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati www.mondadorieducation.it Prima edizione: aprile 2019 Edizioni 10 2023

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Coordinamento Redazione Impaginazione Copertina Illustrazioni

Maria Cristina Scalabrini, Alessia Vecchio Anna Rossi Silvia Bianchin Silvia Bianchin Marco Bregolato

Contenuti digitali Audiolibro

Elisa Califano

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Aramak l'Inutile

Saliva piano, Aramak l’Inutile, sulla montagna che portava alle conchiglie di pietra. Queste si trovavano in un posto che conosceva solo lui, dove si arrivava arrampicandosi lungo una scarpata. Era una salita difficile già per un uomo in buone condizioni, ma per Aramak risultava estremamente pericolosa. L’Inutile, infatti, non aveva il braccio destro dal gomito in giù e muovendosi denunciava una certa rigidità della gamba destra.

denunciava: mostrava, rendeva evidente.

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Aramak era stato vittima della carica di un bisonte durante una battuta di caccia. Fra tutti gli uomini che lo circondavano urlando e bersagliandolo con le loro lance, l’animale aveva scelto di gettarsi proprio contro di lui. L’aveva colpito sul fianco destro e l’aveva scagliato lontano. L’avrebbe anche calpestato a morte, se avesse potuto, ma la lancia pesante di Ubuk, l’Uccisore di Lupi, il capo del clan, aveva fermato la sua corsa per sempre. Aramak si era salvato, però aveva perso parecchio sangue e il suo braccio destro, dal gomito in giù, penzolava in modo innaturale, con le ossa spezzate. I suoi compagni avevano riportato Aramak alla caverna che fungeva da campo principale del clan di Ubuk. Lì, la Madre delle Erbe l’aveva medicato e fasciato stretto con strisce di pelle di renna ammorbidite con i denti dalle donne del clan. Tutti speravano che le erbe e la fasciatura sarebbero bastati per guarire il braccio ferito, ma le cose non andarono così: Aramak aveva continuato a sentire dolori molto forti e la sua mano destra aveva cominciato a diventare nera.

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clan: tribù, gruppo di persone che vivono insieme, dove ognuno contribuisce per quello che può alla sopravvivenza del gruppo.


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La Madre delle Erbe, la sciamana del clan, era stata allora costretta a togliere le fasce di pelle e a tagliare il braccio all’altezza del gomito. Il cacciatore ferito aveva sopportato quell’orribile operazione senza un lamento: nel suo mondo il sangue e la morte erano cose di tutti i giorni e Aramak non aveva voluto mostrare agli altri cacciatori e alle donne la paura che provava. Era la paura del domani, di chi non avrebbe probabilmente potuto più uccidere un uro o partecipare alla caccia a un bisonte. Un cacciatore che non poteva più cacciare, al clan non serviva più a niente. Proprio per questo, da quel giorno il capo del Clan, Ubuk, l’Uccisore di Lupi, l’aveva chiamato l’Inutile. Tuttavia, benché Aramak non potesse più cacciare, nessuno nel clan aveva mai neppure lontanamente pensato di escluderlo dalla divisione delle prede: la tradizione degli uomini dai capelli rossi voleva che nessuno fosse lasciato indietro. Aramak l’Inutile avrebbe fatto quello che gli era possibile per il clan, e gli altri lo avrebbero aiutato fino all’ultimo dei suoi respiri.

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sciamana: donna capace di guarire. uro: grande bovino ormai estinto.


Da quel giorno erano ormai trascorse molte lune e Aramak l’Inutile aveva trovato un modo nuovo per essere utile agli uomini dai capelli rossi, il suo clan: camminava. Si spostava col suo passo zoppicante per chilometri nelle valli attorno al campo principale, per controllare le mandrie di passaggio e poterle segnalare in tempo ai cacciatori. Grazie alle sue segnalazioni, più di una caccia alle renne e ai cavalli era stata molto fruttuosa.

molte lune: gli uomini calcolavano il passare del tempo osservando i cambiamenti della luna nel cielo: da quando è piena (cioè tonda), a quando sparisce, fino a quando ritorna piena.

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Quel giorno però Aramak non si arrampicava sulla montagna delle conchiglie alla ricerca di prede per il clan. Quello che gli interessava raccogliere erano certi rostri pietrificati, strane punte allungate che una volta dovevano essere state anche loro le conchiglie di qualche animale marino. All’Inutile riusciva difficile comprendere come potessero esserci lì, su una montagna, conchiglie di pietra esattamente uguali a quelle che il suo clan trovava quando si spostava, con la bella stagione, verso il mare. Uomini e donne del clan, una trentina in tutto, restavano accampati un paio di lune sulla spiaggia e facevano tesoro dei doni che il mare inviava loro. Aramak ricordava ancora quando, molte lune prima, il clan aveva trovato sulla battigia un grosso delfino morto da poco: le sue carni avevano nutrito la gente di Ubuk per un’intera settimana. Quando non c’erano regali così meravigliosi, le donne e i bambini potevano comunque raccogliere, nell’acqua bassa, centinaia di grosse conchiglie. Queste, una volta aperte coi coltelli di selce, rivelavano all’interno un cuore carnoso, grasso e nutriente come la carne d’orso.

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rostri: sporgenze appuntite che sembrano dei becchi. battigia: parte di spiaggia dove si infrangono le onde. selce: pietra molto dura e resistente.


Mentre ancora pensava al delfino spiaggiato, l’Inutile arrivò finalmente nel posto delle conchiglie di pietra. Con il suo coltello di selce staccò dalla roccia una decina dei rostri appuntiti che avevano così colpito la sua immaginazione e li infilò nella borsa di pelle di renna che portava a tracolla. Avrebbe voluto portarseli via tutti, ma la pericolosa discesa che lo aspettava lo indusse alla prudenza. Facendo grande attenzione a dove metteva i piedi, Aramak cominciò a tornare indietro.

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La Madre delle Erbe

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Quando lo videro entrare nella grande caverna che era il loro accampamento principale, le donne e i bambini lo salutarono con grida di gioia. Ubuk invece gli fece solo un cenno con la testa e poi gli chiese: – Dove sei stato Aramak? Che cosa ci porti?


L’Inutile mostrò al suo capo e agli altri i rostri che aveva staccato dalla roccia e tutti li osservarono con grande curiosità. L’Uccisore di Lupi, però, non parve né troppo interessato a quegli oggetti né troppo contento: – Che ci facciamo con questi sassi, Aramak? Non si mangiano questi! Hai visto bisonti o renne in giro? L’Inutile non aveva visto mandrie, però una buona notizia ce l’aveva comunque. Non lontano dal posto delle conchiglie di pietra, ben nascosto fra gli alberi, aveva potuto osservare un grande orso delle caverne che si rifugiava dentro una grotta. Il capo della tribù degli uomini dai capelli rossi accolse la notizia con un sorriso aperto: se quella grotta era il rifugio dell’orso, sicuramente sarebbe andato lì a trascorrere in letargo i mesi freddi, non appena la neve e il freddo avessero fatto ritorno. E Ubuk sapeva che non mancava che una sola luna all’arrivo di quei giorni difficili. I cacciatori avrebbero potuto sorprendere nel sonno il grande orso delle caverne e ucciderlo senza correre alcun rischio. – Bravo Aramak! – disse allora l’Uccisore di Lupi tutto soddisfatto. – Non sei poi così inutile. Fatti dare un po’ di miele dalla Madre delle Erbe: te lo sei meritato. Aramak non se lo fece dire due volte e zoppicò svelto svelto verso l’interno della grande

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caverna, dove la Madre delle Erbe riponeva i suoi tesori. Questa lo accolse con un sorriso e si avvicinò a toccare con la sua testa quella dell’Inutile in segno di affetto. Era stata lei a curarlo quando il bisonte l’aveva ferito e per questo si sentiva un po’ sua madre. La vera madre di Aramak era morta quando non aveva ancora vent’anni e lui era ancora un bambino. Era stato l’intero clan a prendersi cura di lui, e la Madre delle Erbe più degli altri. – Ti ho portato un regalo – disse l’Inutile porgendo alla vecchia sciamana uno dei rostri di pietra strappati alla roccia. – Bello! – esclamò lei – Ma che cos’è? – Non lo so – rispose sincero Aramak. – L’ho trovato sulla montagna, in mezzo a conchiglie che sembrano quelle che vediamo al mare… Come è possibile?

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La Madre delle Erbe non parve meravigliarsi troppo: – Le storie che gli antichi ci hanno tramandato dicono che veniamo da un posto molto lontano, di là dal mare. Ma quando i nostri antenati sono passati, il mare non c’era: è venuto dopo. – E questo che cosa significa, Madre delle Erbe? – Significa che quello che oggi è una montagna, ieri poteva essere mare. E dove oggi c’è il mare, fra moltissime lune crescerà forse una montagna… Al povero Aramak, l’idea di un mare che diventava una montagna faceva girare la testa. Per fortuna la vecchia sciamana trovò subito il modo di distrarlo e toglierlo dall’imbarazzo.

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– Tieni un po’ di miele, Aramak, te lo sei meritato – disse la donna. Poi con la valva di una conchiglia raccolse una generosa dose della dolce delizia delle api, che conservava in una zucca scavata ad arte. Quella del miele non era la sola zucca vuota che custodiva la Madre delle Erbe: ne aveva tutt’intorno una decina e dentro ci teneva anche le erbe che usava come medicine per la gente del clan. – Verrai con noi donne a raccogliere rane domani? – chiese a un tratto la sciamana. L’Inutile sapeva che, se fosse stato ancora un abile cacciatore, la Madre delle Erbe non gli avrebbe mai proposto una cosa del genere. Ma lui non aveva più buona parte del braccio destro e non sarebbe più riuscito a correre veloce. Per cui rispose, senza sentirsi offeso, che avrebbe partecipato volentieri alla raccolta del giorno dopo. La sciamana per ringraziarlo gli porse una radice scura. – Ti farà dormire bene e ti darà forza – gli spiegò. Aramak si allontanò masticando la radice scura: dopo il miele la trovò amara come il veleno. Comunque quella notte, sul suo letto di erba secca, dormì benissimo. 14

valva: ciascuna delle due parti che formano una conchiglia.


Lemming, rane e lumache

Il giorno dopo, una decina di donne del clan, con la Madre delle Erbe in testa e i bambini più grandi al seguito, lasciavano la caverna per andare a caccia di rane. Gli uomini erano partiti qualche ora prima per andare a caccia grossa: renne, cavalli, bisonti… Il clan aveva un grande bisogno di carne e non c’era animale, per quanto grande, che riuscisse a soddisfare a lungo questa esigenza. Le storie degli antichi raccontavano che loro, gli uomini dai capelli rossi, avevano ucciso anche i pericolosi rinoceronti lanosi e i grandi mammut, animali enormi e pericolosissimi. Questi però non c’erano più nella regione dove cacciava il clan di Ubuk: forse si erano spostati più a Nord, in cerca della protezione della neve e del freddo. Forse erano semplicemente stati uccisi tutti. Qualunque cosa fosse successa, per fortuna c’erano ancora grandi animali da cacciare, nelle steppe, sulle montagne e nelle foreste attorno alla grande caverna, la casa del clan. Certo, a volte bisognava camminare per giorni per scovare le prede, ma i cacciatori erano resistenti e pazienti.

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Ogni cacciatore portava uno spiedo, una lunga lancia, sulla testa della quale era stata legata una pietra appuntita e tagliente, preparata ad arte da Nasak, l’Uomo delle Schegge. Aramak l’Inutile si munì di un bastone appuntito, così come facevano le donne, per poter cacciare le rane e, se li avessero trovati, i lemming. Il gruppo abbandonò la caverna e s’infilò nel bosco: la meta era un laghetto paludoso che si trovava a qualche ora di cammino. La Madre delle Erbe restava spesso indietro, perché si fermava a raccogliere bacche, erbe e cortecce che avevano particolari capacità curative. Era una sapienza che le aveva tramandato sua madre e che lei avrebbe dovuto passare a sua volta a una donna del clan. Mentre attraversavano il bosco scoprirono numerose tane di lemming, e così Aramak, le donne e perfino i bambini, si misero a inseguire i piccoli roditori. Ne uccisero un buon numero, prima di arrivare alla palude. Qui c’erano rane in tale numero che il loro gracidare riempiva l’aria con un incredibile frastuono. Non fu difficile per le donne della tribù di Ubuk riempire le loro borse di pelle fino a scoppiare.

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spiedo: bastone appuntito. lemming: piccoli roditori.


Aramak scoprì in quell’occasione che anche con la sola mano sinistra era piuttosto preciso, e catturò abbastanza rane e lemming da poterne andare orgoglioso. I bambini più piccoli non raccoglievano le rane, ma le grosse lumache che pascolavano sulle foglie più basse degli alberi.

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Tornando indietro, uno dei bambini vide un alveare nel tronco di un albero cavo. L’apertura non era troppo in alto, così la sciamana decise che avrebbero raccolto loro il miele, senza aspettare il ritorno degli uomini. Accese il fuoco con foglie secche e con le scintille che scaturivano da due pietre battute una contro l’altra. Quando la fiamma fu consistente, le donne fecero delle torce con rametti ed erba ancora verde. Dalle torce si sprigionò un fumo denso, che convinse le api a fuggire dall’alveare. – Pensano che il bosco stia bruciando e così vanno a cercarsi un’altra casa – spiegò la Madre delle Erbe ai bambini. Poi raccolsero il miele in grande quantità e si affrettarono a lasciare la zona prima che le api tornassero.

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Quando furono alla caverna le donne poterono finalmente considerare quanto fosse consistente il bottino della loro caccia: se anche gli uomini non avessero catturato una grossa preda, per quella sera e anche per il giorno successivo nessuno avrebbe patito la fame.


Un compagno per Quka

Gli uomini tornarono solo dopo due giorni, ma portavano in spalla due grosse renne. La tribù li accolse con grida di gioia e tutti si diedero da fare perché la cena che avrebbero consumato insieme fosse una vera festa. – Abbiamo ucciso due renne – disse uno dei cacciatori – ma avremmo potuto ucciderne altre due o tre se le nostre lance fossero state migliori. In effetti le lance degli uomini di Ubuk potevano passare come spiedi ma, se lanciate, spesso cadevano di traverso. E quando colpivano, a volte la punta di pietra si staccava perché le fibre e i tendini di animale che venivano usati per legarla all’asta di legno, col tempo si allentavano. Aramak l’Inutile registrò nella sua mente quelle notizie e cominciò a pensarci sopra: ora che non poteva più andare a caccia con gli altri, gli capitava più spesso di pensare e di osservare. tendini: filamenti resistenti che uniscono i muscoli alle ossa.

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Era come se l’osservazione e il pensiero stessero piano piano prendendo il posto di tutta l’azione che gli era impedita dalle sue ferite. Il clan consumò le due renne attorno ai fuochi accesi nella caverna. Fuori, nel buio della notte che stava scendendo, si sentiva lo scalpicciare di lupi, iene e sciacalli, attirati dall’odore della carne di renna che arrostiva sul fuoco. Le belve restavano però lontane dall’entrata, perché il fuoco incuteva loro timore.

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consumò: mangiò. scalpicciare: rumore dei passi.


– Venite lupi, che vi uccido tutti! – gridava Ubuk verso le ombre che si muovevano nel buio. Lui, lo sapevano tutti, una volta ne aveva uccisi un paio: uno con una pietra, e l’altro con le mani nude. Gli aveva stretto il collo con le sue dita possenti e, benché l’animale scalciasse e lo graffiasse, l’aveva lasciato andare solo quando non si muoveva più. Ubuk aveva mani forti come tenaglie. La gente del clan spolpò con cura le ossa delle renne, poi con le pietre le spaccarono per succhiare il midollo, una vera ghiottoneria. Gonek il Suonatore riuscì a farsi dare un femore di renna intero per poterne ricavare un flauto a quattro buchi. Gli piacevano i suoni che riusciva a ricavare da quello strumento. Quando il banchetto volgeva ormai al termine, Ubuk si rivolse ad Aramak e lo informò che il giorno dopo avrebbe dovuto accompagnare sua figlia Quka presso la tribù degli uomini del Nord, perché era ormai nell’età di fare figli e doveva per questo lasciare la sua tribù. Una saggezza antica voleva infatti che i figli nati da persone appartenenti a due clan diversi fossero più sani e forti. Per questo Quka doveva andare a vivere col clan del Nord, così come qualche anno prima era successo che due ragazze di quel clan fossero venute a vivere nella caverna di Ubuk.

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Aramak disse che aveva capito, ma Ubuk lo trattenne ancora: – Mi raccomando – gli sussurrò sottovoce – cerca di capire se mia figlia si troverà bene in quel clan. Se ti pare che non sia possibile, riportamela… Aramak l’Inutile era perplesso: in che modo avrebbe capito che Quka sarebbe stata felice nel nuovo clan? Per questo motivo, quando il giorno dopo partì con Quka, era in imbarazzo: non sapeva come se la sarebbe cavata.

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La lancia e il catrame

L’Inutile e la figlia di Ubuk camminarono per più di dieci giorni per giungere nel territorio del clan del Nord. Di notte si rifugiavano in qualche anfratto che trovavano e accendevano il fuoco per difendersi dagli animali feroci. Quando finalmente arrivarono all’accampamento principale degli uomini del Nord, furono accolti dapprima con diffidenza e le lance puntate. Poi però, una volta riconosciuti, ricevettero sorrisi e saluti amichevoli. A sera banchettarono con carne di cavallo, insieme ad Ainak, la donna che era a capo del clan del Nord. Fu un pasto ricco, e Aramak notò che Quka era così impegnata a parlare e a sorridere al giovane alla sua sinistra, che mangiò pochissimo. Era un giovane bello, non tanto alto, senza mento e con la fronte bassa, come tutti gli uomini dai capelli rossi. Aveva arti corti e poderosi e nell’insieme dava l’impressione di una grande forza fisica. Doveva essere un cacciatore formidabile! Aramak pensò che Quka aveva fatto davvero un’ottima scelta. anfratto: stretta rientranza del terreno e delle rocce. poderosi: molto forti.

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Alla fine del pasto, quasi sicuro di non dover riportare indietro la figlia di Ubuk, l’Inutile si buttò a dormire su un pagliericcio che avevano preparato per lui in un angolo dell’accampamento. Il giorno dopo, quando si svegliò, fu contento di vedere che Quka era già vicina al proprio compagno e perfettamente felice. Sentendosi ormai libero da qualunque impegno, l’Inutile cominciò a girare nell’accampamento del clan del Nord per osservare quello che uomini e donne facevano. Lo colpì in particolare il lavoro di un uomo che stava costruendo una nuova lancia per la caccia. L’uomo aveva scelto un lungo ramo dritto, che però aveva un’estremità più larga e pesante. E proprio a quell’estremità l’uomo incise profondamente il legno per preparare l’incasso che avrebbe accolto la punta di pietra.

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Aramak si sedette vicino a lui e provò a fare qualche domanda. – Perché quella parte dell’asta è più spessa e pesante? – chiese. L’uomo lo guardò appena: – Dalla parte pesante metterò la punta di pietra che ho preparato. In questo modo, quando la lancerò, cadrà sempre sulla preda con la punta in avanti. La renna morirà al primo colpo… Aramak l’Inutile non dovette fare un grande sforzo d’immaginazione per capire che l’uomo aveva ragione: la lancia sarebbe volata alta e sicura, senza sbandare. Se fin lì l’abilità dell’uomo l’aveva meravigliato, quello che vide in seguito lo stupì addirittura. L’uomo incastrò una pietra affilatissima, scheggiata ad arte, nell’incasso nel legno, legandola poi con i tendini di qualche animale. Poi prese da una zucca un fango nero, puzzolente e appiccicoso che spalmò in abbondanza sopra ai tendini. – Che cos’è quello? – chiese Aramak. – Lacrime della terra, servono a fissare bene la punta – rispose l’uomo. Le lacrime della terra altro non erano che catrame, che il clan del Nord raccoglieva da alcune pozze a cielo aperto vicino all'accampamento. catrame: un liquido nero dall’odore molto forte prodotto principalmente da legno e da radici di pino e legni ricchi in resina.

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Il catrame, una volta spalmato sui tendini, si comportava come una colla potente, saldando la punta di pietra all’asta. Tutto contento per quello che aveva imparato, l’Inutile trovò una zucca, ne svuotò l’interno e poi la riempì di catrame. Con quella fantastica novità, Aramak si accinse a compiere il viaggio di ritorno. Anche se la zucca piena di catrame lo appesantiva un poco, l’Inutile impiegò lo stesso tempo che all’andata, tanta era la voglia di mostrare a Ubuk e agli altri quello che aveva imparato.


La caccia agli uri

Ubuk, l’Uccisore di Lupi, aveva accolto con iniziale perplessità l’idea di una lancia più pesante in testa. E poi quella fanghiglia nera e puzzolente che Aramak aveva portato da lontano come una cosa preziosa, non gli piaceva per niente. Del resto, Ubuk guardava con sospetto tutto quello che era una novità rispetto alla vita che conosceva. Ci volle tutta la capacità di persuasione della Madre delle Erbe per convincere il capo del clan a far costruire una lancia nel modo in cui Aramak aveva visto fare nel clan del Nord. Il compito fu affidato a Nasak, l’Uomo delle Schegge, che era sì bravo con le pietre, ma se la cavava benissimo anche col legno. L’uomo trovò e ripulì un ramo d’albero della lunghezza e della forma giusta, vi legò in cima la pietra più tagliente e poi ricoprì col catrame le fibre che tenevano ferma la punta. Così assemblata, la lancia volava che era un piacere e colpiva immancabilmente con la punta il bersaglio.

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Ubuk ne fu entusiasta e ne fece subito preparare altre quattro, perchÊ il giorno dopo la tribÚ tutta intera avrebbe partecipato a una pericolosa caccia agli uri. Ne era stata infatti avvistata una mandria che pascolava non lontano dalla montagna della caverna, e i cacciatori avevano pensato che avrebbero potuto provare a spingerla verso la zona delle doline, trappole naturali nascoste dalla vegetazione. Il giorno dopo l’intera tribÚ di Ubuk si mise in marcia sulle tracce degli uri. I grossi bovini avevano corna affilate e un pessimo carattere, ma temevano il fuoco.

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doline: buche profonde presenti nel terreno.


Per questo motivo, oltre alle lance, i cacciatori si portavano dietro delle torce da accendere al momento opportuno. Le donne invece seguivano con coltelli di pietra affilati, per macellare in fretta la preda che fosse stata catturata. Un uro era un bestione più alto di un uomo e più pesante di dieci uomini. Se i cacciatori fossero riusciti a ucciderne uno, le donne avrebbero dovuto cominciare a macellarlo subito, perfino con la caccia ancora in corso, perché l’odore del sangue avrebbe richiamato in poco tempo iene e lupi in quantità. Quando finalmente giunse in vista della mandria, la gente del clan si accorse che, con un pizzico di fortuna, il loro piano avrebbe potuto anche funzionare.

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C’erano solo due vie di fuga per gli uri: una scendeva verso la palude e una saliva invece verso la montagna. Quella era cosparsa delle micidiali doline, le trappole sulle quali contavano i cacciatori. In un paio di minuti un uomo accese il fuoco e subito dopo tutte le torce bruciavano. Gridando e agitando le fiamme che portavano, uomini e donne cominciarono a incalzare la mandria. Gli uri erano animali estremamente aggressivi, e se avessero attaccato gli uomini di Ubuk ne avrebbero fatto strage. Ma il terrore che suscitava il fuoco impediva loro di pensare ad altro che alla fuga. La mandria si lanciò al galoppo verso la salvezza, e per un attimo ai cacciatori parve che le loro prede sfuggissero. La mandria puntava infatti dritta verso la palude. La gente di Ubuk gridò ancora più forte, stavolta per la delusione. Poi però, come per un’ispirazione improvvisa, gli animali in testa piegarono improvvisamente verso la montagna e imboccarono in pieno il sentiero delle doline. Fu cosa di un attimo: ben cinque uri furono inghiottiti dalle invisibili buche nel terreno. Il resto della mandria si allontanò senza forse neppure accorgersi di quanto era successo.

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incalzare: spingere.


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La gente del clan di Ubuk esultò, perché non si aspettavano un successo del genere. Certo, non sarebbe stato facile scendere nelle doline per macellare gli animali, ma gli uomini dai capelli rossi erano abituati da migliaia di generazioni ad affrontare difficoltà anche peggiori di quelle. Cacciatori e donne scesero con grande attenzione nelle profonde cavità e fecero rapidamente il loro lavoro. L’unico che rimase in superficie, a fare da sentinella, fu proprio Aramak l’Inutile, che con le sue menomazioni non sarebbe riuscito a scendere indenne. Non passò neppure un’ora, prima che iene e lupi si facessero vedere. Aramak diede l’allarme e dalle doline cominciarono a uscire uomini e donne carichi di tutta la carne, la pelle e le ossa che erano riusciti a prendere agli uri.

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menomazioni: danni, problemi fisici. indenne: senza ferite, senza farsi male.


Quando tutti furono usciti, fu la forza stessa del loro numero a proteggerli dagli attacchi degli animali. Mentre camminavano verso la loro caverna, Ubuk era raggiante per il successo della caccia: – Le tue nuove lance sono state fantastiche! – disse ad Aramak, poi fece una bella risata. Infatti, nemmeno una sola lancia si era macchiata del sangue degli uri, che si erano uccisi precipitando nelle doline. Aramak l’Inutile comprese che quello non era un rimprovero per lui e rise a sua volta.

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Otto artigli per una collana

La carne degli uri sfamò la tribù per parecchi giorni. Aramak l’Inutile ebbe molto tempo libero per poter fare quello che gli piaceva di più: gironzolare qua e là in cerca di qualcosa di bello che potesse ornare il suo letto d’erbe o la sua pelliccia d’orso. Pensò di tornare a salire sulla montagna delle conchiglie, ma poi il caso mise sulla sua strada qualcosa che non si aspettava davvero: un’aquila morta. Il grande uccello era stato forse sorpreso a terra da un lupo che l’aveva ferito. Era forse riuscito a sollevarsi in volo e a fuggire, ma poi le forze l’avevano abbandonato ed era precipitato. Volpi e lupi avevano strappato via le penne all’animale per divorarne la carne. Aramak raccolse una decina di penne per metterle attorno al suo “letto”. Stava poi per abbandonare la carcassa dell’aquila, quando si accorse di quanto fossero belli gli artigli alle sue zampe. Pensò che avrebbe potuto legarli con un tendine di renna e farne una collana. 34

ornare: decorare, abbellire. artigli: grandi unghie.


Così li staccò tutti e otto, uno a uno, e li ripose con le penne nella sua borsa di pelle. Con quel piccolo tesoro, Aramak aveva già deciso di tornare alla caverna del clan, quando un filo di fumo attirò la sua attenzione. Lo vide salire sopra gli alberi della foresta, verso Est, là dove non doveva esserci nessuno. L’Inutile si chiese se fosse l’inizio di un incendio, ma non vedeva fiamme: solo un filo di fumo. Lui sapeva che, verso Est, il clan di uomini dai capelli rossi più vicino era a più di un’intera luna di cammino. Il fumo che vedeva saliva invece da una radura distante forse solo un giorno di viaggio. Se erano loro, che cosa li aveva spinti ad avvicinarsi tanto al clan di Ubuk da invadere il suo territorio di caccia? E se invece non erano loro, chi erano allora?

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Comunque Aramak pensò che forse era un fuoco spontaneo, e magari il giorno dopo non ci sarebbe stato più niente. E poi non vedeva l’ora di mettersi al collo la collana di artigli d’aquila. Così mise a tacere la sua curiosità e tornò alla caverna. Andò dalla Madre delle Erbe a chiedere un tendine di renna e poi si accomodò su una pietra, all’aperto, a cercare di fare nodi con una sola mano. Nasak, l’Uomo delle Schegge, lo vide impegnato in questa disperata impresa e s’incuriosì. Gli chiese che cosa stesse facendo e Aramak gli mostrò gli artigli d’aquila che avrebbero dovuto ornare la sua collana. Nasak, da bravo artigiano qual era, suggerì che sarebbe stato meglio forare gli artigli, uno a uno, e far passare nei fori il tendine di renna. Naturalmente sapeva che per Aramak quello era un lavoro impossibile, e così si offrì di farlo lui stesso, in cambio di qualche bella penna d’aquila. Con una scaglia di selce lucida e affilatissima, Nasak intagliò pazientemente gli artigli nella parte alta, là dove si inserivano nella zampa, per meglio poterli fissare al tendine di renna. Quindi legò gli otto artigli dell’aquila con nodi così precisi e sottili che anche Aramak si chiedeva come Nasak potesse riuscirci, con le sue dita grosse e poderose. Il risultato fu una splendida collana, che l’Inutile volle indossare subito.


Nel clan di Ubuk s’erano viste collane di conchiglie e di piccole ossa di animale, ma mai una di artigli d’aquila! L’oggetto che Aramak portava al collo suscitò negli altri grande ammirazione, ma anche qualche invidia. E purtroppo fra gli invidiosi c’era anche Ubuk, l’Uccisore di lupi. Questi fermò Aramak e gli disse, a brutto muso, che solo un capo poteva portare artigli d’aquila e che lui avrebbe fatto meglio a donargliela. Il povero Aramak, che per via dalla sua menomazione sopravviveva grazie all’aiuto degli altri, non poteva certo mettersi a litigare col capotribù. Quindi si tolse di malavoglia la collana e la consegnò a Ubuk. L’Uccisore di Lupi se la mise al collo e se ne andò in giro a pavoneggiarsi. a brutto muso: in modo brutale. pavoneggiarsi: vantarsi, darsi delle arie.

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Ubuk non si accorse nemmeno che, negli occhi della gente del suo clan, c’era un misto di ammirazione e di rimprovero. L’ammirazione era rivolta all’oggetto. Il rimprovero invece era tutto per il comportamento di Ubuk. La giovane Tanik, la seconda figlia di Ubuk, si avvicinò allora ad Aramak e gli consegnò un oggetto che lei aveva trovato durante una caccia ai lemming: era un dente di rinoceronte lanoso. Glielo mise in mano con un timido sorriso, quasi a scusarsi per il comportamento del padre e a volerlo in tal modo ricompensare in parte per la perdita della collana. L’Inutile aveva già visto denti come quello, ma mai così grandi. Quel dente, un molare, era tre volte più grande di quello di un rinoceronte adulto. Da quale enorme bestia poteva provenire? Gli occhi gli si illuminarono e ringraziò Tanik con un sorriso.

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Gli uomini dalle teste lunghe

Aramak il giorno dopo decise di rinnovare il suo letto d’erbe. Quelle sulle quali aveva dormito nell’ultima luna erano ormai secche e avevano perso la loro efficacia. Lui, come tutti gli altri del clan, le aveva scelte con cura fra quelle che tenevano lontane gli insetti grazie al loro odore pungente. Ogni tanto però andavano cambiate. Cercando le erbe gli capitò di trovare le penne di un corvo: c’erano solo penne, perché l’uccello probabilmente era già nella pancia di qualche volpe. Non erano belle come quelle di un’aquila, ma lui le raccolse ugualmente. Gli era venuta un’idea: con quelle penne si sarebbe adornato il capo. Riportò tutto alla caverna del clan, e mentre si accingeva a prepararsi un nuovo giaciglio, Ubuk lo chiamò per dargli un nuovo incarico. Prima che cadesse la nuova neve, Aramak sarebbe dovuto andare a prendere una borsa di magica terra rossa, quella che la Madre delle Erbe usava nelle cerimonie per dipingere il viso dei cacciatori. rinnovare: rendere nuovo, cambiare.

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Aramak l’Inutile obbedì senza protestare: in fondo lui non poteva far altro che camminare e guardare, prendere e portare, osservare e riferire. Lui purtroppo non era più un cacciatore… Con la sua borsa di pelle a tracolla si mise in cammino verso Est. Il posto della terra rossa non era lontano: se fosse partito al sorgere del sole, al tramonto avrebbe potuto essere già di ritorno. Camminando, l’Inutile pensava al suo copricapo di penne di corvo, quando qualcosa in lontananza attirò la sua attenzione: nel cielo saliva di nuovo il fumo che aveva visto il giorno prima. Questa volta Aramak non resistette alla sua naturale curiosità e, dopo aver riempito la sua borsa con la terra rossa, decise di scoprire chi aveva acceso il fuoco in quel posto remoto della foresta, dove non viveva nessuno se non gli animali. Camminò a lungo senza particolari precauzioni, ma quando capì di essere abbastanza vicino al misterioso focolare, si fece silenzioso e cercò di procedere solo dove la vegetazione poteva nascondere la sua figura. Improvvisamente gli giunsero alle orecchie grida e risate di bambini e voci di donne e uomini. Sporgendosi da dietro un cespuglio vide a qualche distanza un accampamento di… uomini. Che fossero uomini ne era assolutamente sicuro, tuttavia non ne aveva mai visti di simili:


erano magri e alti, con le braccia, le gambe e anche le teste lunghe; avevano i capelli neri e la pelle molto più scura della sua. In mezzo a quegli strani uomini c’erano anche tre lupi, e perfino i bambini sembravano non mostrare timore alcuno. A un tratto uno dei piccoli accarezzò addirittura un lupo sulla testa. Mentre Aramak guardava quello spettacolo a bocca aperta per lo stupore, lo sorpresero due teste lunghe che evidentemente erano di guardia. Tenendogli puntate addosso due lance, lo condussero al centro dell’accampamento. Tremando Aramak si guardò intorno: quegli strani uomini avevano alzato dei ripari fatti di rami e coperti di foglie. Avevano armi e c’erano pelli stese a seccare al sole. Sicuramente mangiavano carne e Aramak sperò che non fossero cannibali, che non volessero mangiare anche lui.

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Le teste lunghe lo osservavano incuriosite, lo toccavano con prudenza, come se fosse un animale strano. Molti sfioravano i suoi capelli rossi, che probabilmente non avevano mai visto. Uno di loro alla fine toccò la borsa di pelle di Aramak e disse qualcosa nella sua lingua. L’Inutile capì che lo straniero voleva vedere che cosa c’era dentro. Così aprì la borsa, si sporcò le dita con la terra rossa che conteneva e poi si tracciò due righe colorate sulla fronte. Gli uomini dalle teste lunghe, meravigliati da quel gesto, scoppiarono a ridere di gusto. Poi vollero che Aramak colorasse allo stesso modo anche le loro fronti. L’uomo dai capelli rossi si fece portare una ciotola d’acqua e con quella diluì la polvere d’ocra che aveva portato fin lì. Poi “pitturò” con quella le fronti e perfino le guance di tutte le teste lunghe, uomini, donne e bambini.

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ocra: tipo di terra che può essere gialla o rossa.


Questi gli offrirono cibo e l’Inutile dovette partecipare al banchetto che in fretta e furia organizzarono. Scoprì che anche quegli uomini mangiavano carne, ma anche frutta ed erbe. Uno di quegli uomini dai capelli neri suonò perfino un flauto d’osso, così come talvolta faceva nel clan Gonek il Suonatore. Quando lo lasciarono partire, Aramak donò loro tutta l’ocra rossa che gli era rimasta e gli uomini dalle lunghe teste lo abbracciarono come vecchi amici. Mentre tornava alla caverna, l’Inutile era sazio, ma terribilmente stanco per tutte le emozioni che aveva provato durante quello strano incontro. Nonostante la stanchezza dovette tornare al posto della terra rossa a prenderne ancora. Non avrebbe potuto non farlo. Prima che riuscisse a raggiungere il clan, calò la sera e la neve cominciò a cadere abbondante. La stagione fredda arrivava in anticipo e probabilmente sarebbe durata a lungo.

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Caccia all’orso delle caverne

Aramak, una volta al riparo della caverna, cercò Ubuk per raccontargli la sua straordinaria avventura, ma l’Uccisore di Lupi dormiva. L’Inutile raggiunse allora il suo giaciglio, sistemò i fasci d’erba alla meglio e si addormentò. Quando il giorno dopo parlò a Ubuk degli uomini alti e magri, dai capelli neri e dalle lunghe teste, questi lo guardò sospettoso: pensava a uno scherzo. Poi però, quando Aramak raccontò dei lupi che vivevano nel campo di quelle teste lunghe e dei bambini che li accarezzavano, il capo del clan non ebbe più dubbi: l’Inutile lo stava prendendo in giro. Prima si mise a ridere, ma un attimo dopo scoppiò in un accesso d’ira. Lo chiamò “orso senza testa”, “stupida iena” e in altri sgradevoli modi. Poi lo spedì a raccogliere rane con le donne, che tanto ormai non avrebbe più saputo fare altro. Aramak ingoiò l’insulto e obbedì, però un’idea cominciò a frullargli in testa. 44

alla meglio: in qualche modo, meglio che poté. accesso d’ira: attacco di rabbia.


Nei giorni successivi, l’Inutile, con l’aiuto di Nasak, l’Uomo delle Schegge, costruì un copricapo di penne di corvo sorrette da fibre vegetali. E quando questo fu terminato, si mise in marcia verso Est, nonostante la neve fosse ormai piuttosto alta, per raggiungere l’accampamento delle “teste lunghe”. Impiegò tutta la giornata, perché le sue calzature di corteccia di betulla si riempivano di neve e si doveva fermare spesso a vuotarle. Quando era ormai in vista dell’accampamento, Aramak si trovò improvvisamente di fronte un lupo che ringhiava e si preparava ad attaccare. Ma da una delle capanne giunse un fischio e il lupo si calmò all’istante e lo lasciò passare.

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Le teste lunghe accolsero Aramak come un amico e quando l’Inutile donò a Refet, il capo del villaggio, il suo copricapo di penne di corvo, sui volti di tutti si diffusero gioia e meraviglia. Le teste lunghe, intabarrate nelle loro pellicce, non parevano affatto a loro agio in mezzo a tutta quella neve, tuttavia invitarono Aramak a mangiare con loro e a passare la notte nei loro ripari. Durante il banchetto, a forza di gesti e di disegni sulla neve, Aramak riuscì a far capire ai suoi amici che avrebbe voluto che alcuni di loro lo seguissero alla caverna degli uomini dai capelli rossi. Ci volle un po’, ma alla fine tre degli alti cacciatori dai capelli neri si offrirono di seguirlo. Fra loro c’era anche Einit, l’unico figlio del capo Refet.

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intabarrate: avvolte.


Si presentarono il giorno dopo: due erano armati di lunghe lance dalla punta di pietra, ma Einit portava invece un arco e tre frecce. Aramak guardò stupito quella strana arma, perché non ne aveva mai vista una così fino a quel momento. Impiegarono tutta la mattina per raggiungere la caverna del clan e il loro arrivo provocò un certo trambusto. La gente di Ubuk non aveva mai visto uomini come quelli, così snelli, alti e con i capelli neri. Se non ci fosse stato Aramak con loro, si sarebbero spaventati, ma l’Inutile spiegò a tutti che gli uomini dell’Est erano amici. Ubuk era il più meravigliato di tutti. L’Inutile non aveva mentito. Per non dare soddisfazione ad Aramak però disse: – Le teste lunghe le vedo, ma i lupi dove sono?

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Poi, per darsi un tono, ordinò ai cacciatori di prepararsi: sarebbero andati a sorprendere l’orso in letargo che Aramak aveva segnalato loro. I tre stranieri, se volevano, potevano partecipare alla caccia. Guidati da Aramak, i capelli rossi e i capelli neri si arrampicarono sulla montagna, camminando nella neve, fino all’imboccatura della caverna dell’orso. Presero le torce ed entrarono nella caverna con le lance pronte a colpire. Era una caverna profonda e dovettero camminare a lungo in quella spaventosa penombra per trovare il giaciglio dell’orso. L’animale era enorme, ma totalmente indifeso, perché immerso in un letargo profondo.


Prima che riuscisse a svegliarsi, quattro lance e due frecce si conficcarono nel suo corpo uccidendolo. Ubuk ammirò stupito la forza e l’efficacia dell’arco di Einet, arma che gli era sconosciuta. Tornarono all’accampamento col cuore leggero: quella sera ci sarebbe stata carne in abbondanza per tutti, anche per i tre ospiti. Durante il banchetto Einet si sedette vicino a Tanik, la figlia di Ubuk, e le parlava sorridendo. La ragazza non capiva neppure una parola, tuttavia sorrideva anche lei: si vedeva che quel giovane straniero le piaceva molto.

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Un arco per un gioiello

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Il giorno dopo, prima che i tre uomini dell’Est partissero, Ubuk volle che si spalmassero bene addosso il grasso d’orso per proteggersi dal freddo, e donò loro le migliori calzature di betulla che Nasak aveva costruito. I tre ringraziarono nella loro strana lingua e ripartirono. Ubuk chiese allora al Tagliatore di Schegge di costruire per lui un arco come quello che aveva il giovane straniero. Nasak gli rispose che avrebbe potuto di certo provarci, ma se avesse avuto un modello da copiare sarebbe stato meglio. Ubuk cominciò allora a pensare che stavolta sarebbe dovuto andare lui stesso a fare visita alla tribù delle lunghe teste. La scusa buona gliela fornì dopo qualche giorno sua figlia Tanik, che lo informò che voleva come compagno il cacciatore con l’arco e che voleva trasferirsi nella tribù degli uomini dell’Est. L’Uccisore di Lupi e Aramak l’Inutile partirono così con Tanik per raggiungere la tribù delle teste lunghe. Li accompagnavano in quel viaggio Nasak e anche Gonek, il Suonatore.


Quando giunsero all’accampamento, Ubuk rimase senza parole vedendo i tre lupi che gironzolavano mansueti in mezzo agli uomini. E ancora di più si meravigliò quando li vide aiutare le teste lunghe nella caccia. Questa volta infatti toccò a loro fare da ospiti e assistere a una battuta. I tre lupi inseguirono un branco di renne manovrando in modo da separare gli animali più deboli e spingerli verso le lance e le frecce degli uomini dell’Est. Quattro renne caddero sotto i tiri precisi delle armi. Anche Ubuk e Nasak fecero la loro parte: le loro lance, appesantite nel primo terzo, volarono più lontano delle altre e caddero di punta uccidendo due delle quattro renne. mansueti: docili, non aggressivi.

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Nel banchetto che seguì la caccia, Ubuk e Aramak spiegarono perché erano venuti fin lì. Stavolta non fu troppo difficile, perché Tanik ed Einet non riuscivano a stare uno lontano dall’altra. Ubuk però a gesti chiese pure un arco e una freccia. Quando Refet, il capotribù, capì quello che gli veniva chiesto, si illuminò e con un bel sorriso toccò la collana di artigli d’aquila che Ubuk portava. Ubuk, per niente contento, fu costretto a consegnare la collana di Aramak per avere in cambio il prezioso arco. Dopo il banchetto gli uomini fecero un po’ di musica e Gonek il suonatore si esibì con il suo flauto d’osso a quattro buchi. Poi però si meravigliò molto dei suoni che riuscivano a ricavare le teste lunghe da flauti d’osso come il suo, però con sei buchi. Gonek decise che, tornato alla caverna, anche lui avrebbe costruito uno strumento così. Gli uomini dai capelli rossi trascorsero la notte nell’accampamento delle teste lunghe e, benché fossero abituati al freddo, si resero conto di quanto fosse più calda e accogliente la loro caverna rispetto alle capanne di quegli stranieri.

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Il freddo nella notte fu terribile e al mattino la tribù ebbe una brutta sorpresa: uno degli anziani più deboli non aveva resistito ed era passato dal sonno alla morte. Fra i pianti delle donne, gli uomini dell’Est dipinsero con l’ocra rossa il corpo dell’uomo, poi scavarono a fatica una fossa nel terreno ghiacciato e lo seppellirono insieme ad alcuni oggetti che erano appartenuti all’uomo. Ubuk osservò tutta la cerimonia con grande attenzione. Poi disse ad Aramak che, alla sua morte, anche lui voleva essere sepolto. Insieme al suo corpo nella fossa avrebbero dovuto essere deposte anche le sue armi. Quella non fu l’unica sua idea. Lui e Aramak, il mattino dopo, fecero capire agli uomini dell’Est che avrebbero potuto affrontare più agevolmente il freddo se si fossero acquartierati nella caverna dell’orso ucciso qualche giorno prima. Einit e i suoi amici avevano partecipato alla caccia e riuscirono a comprendere il difficile messaggio. La tribù degli uomini dai capelli neri raccolse tutte le sue cose e si mise in viaggio guidata dai quattro uomini coi capelli rossi. Raggiunsero la grotta dell’orso e lì si stabilirono per trascorrervi i mesi più freddi. acquartierati: accampati, sistemati.

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Ubuk e i suoi uomini li aiutarono a superare la brutta stagione e, quando il sole tornò a splendere, gli uomini dell’Est ripartirono alla ricerca di zone di caccia migliori. Quando, tempo dopo, ripassarono vicino alla caverna di Ubuk, con loro c’era anche un bel bambino alto e slanciato, ma con il mento sfuggente e i capelli rossi: il figlio di Einet e Tanik.

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Qualcosa in più Quelli che oggi chiamiamo Neanderthal (gli uomini con i capelli rossi) e Sapiens (gli uomini dell’Est, quelli con i capelli neri) si incontrarono in Asia e in Europa circa 40 mila anni fa e talvolta si aiutarono e si mescolarono fra loro. È per questo che, ancora oggi, in molti di noi discendenti dei Sapiens si trova in piccola parte il DNA di questi nostri antichi antenati. Il mondo degli Uomini dai capelli rossi 1 Chi sono i personaggi della storia? Collega ogni nome al cartellino giusto. Aramak

L’Uomo delle Schegge

Ubuk

Capo delle “teste lunghe”

Nasak

Capo del Clan

Gonek

L’Inutile

Refet

Seconda figlia di Ubuk

Quka

Il suonatore

Tanik

Prima figlia di Ubuk

Einit

Figlio di Refet

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2 Conchiglie di pietra: che cosa sono, secondo te?

■ Un tipo di conchiglie preistoriche. ■ Dei fossili. ■ Delle conchiglie molto dure. 3 Il clan di Aramak si sposta spesso. In quali posti si accampa?

■ ■ ■ ■

Sulla spiaggia. In una grande caverna. Nelle capanne nelle terre dell’Est. Nella caverna dell’orso.

4 Durante le sue esplorazioni, Aramak scopre alcuni oggetti. Collega ogni oggetto al popolo che ne fa uso. Arco e frecce Popolo del Nord Flauto a sei buchi

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Lancia con punta fissata con catrame

Uomini dalle teste lunghe


5 Segna con X nella tabella se le seguenti caratteristiche appartengono agli Uomini dai capelli rossi o agli Uomini dalle teste lunghe o a entrambi. Uomini dai capelli rossi

Uomini dalle teste lunghe

Mangiano carne

Mangiano frutti e erbe Dormono in ripari di legno e foglie Dormono dentro a delle grotte Si cospargono di grasso per proteggersi dal freddo Vivono insieme ai lupi

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6 Nel testo alcuni oggetti passano da un personaggio all’altro. Collega con una freccia ogni oggetto a chi l’ha donato e a chi l’ha ricevuto. I personaggi possono donare più cose e uno stesso oggetto può essere stato donato più volte. Chi dona

Oggetto

Chi riceve

Aramak

Copricapo di penne di corvo

Aramak

Refet

Collana di artigli di aquila

Refet

Terra ocra

Ubuk

Ubuk Miele

Sciamana

Dente di rinoceronte lanoso Rostri

Tanik 58

Arco

Sciamana Popolo teste lunghe


7 Secondo te, perché Ubuk chiede di essere sepolto con le sue armi alla sua morte? Puoi segnare più risposte e, se vuoi, aggiungerne una tu.

■ Perché l’idea di avere con sé le proprie ■ ■ ■ ■

armi gli faceva avere meno paura della morte. Perché gli era piaciuta la cerimonia di sepoltura. Perché non voleva separarsi dalle sue armi. Perché desiderava che il suo corpo fosse sotterrato e non abbandonato. Altro ……………………………………............................. …………………………………………………………….............. …………………………………………………………….............. ……………………………………………………………..............

8 Quali informazioni hai scoperto sui primi uomini? Quali ti hanno colpito di più? .........…………………………………………………………….............. .........…………………………………………………………….............. .........…………………………………………………………….............. .........…………………………………………………………….............. .........…………………………………………………………….............. .........…………………………………………………………….............. .........……………………………………………………………..............

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Indice

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3 10 15 19 23 27 34 39 44 50

Aramak l’Inutile La Madre delle Erbe Lemming, rane e lumache Un compagno per Quka La lancia e il catrame La caccia agli uri Otto artigli per una collana Gli uomini dalle teste lunghe Caccia all’orso delle caverne Un arco per un gioiello

55

Qualcosa in piĂš Il mondo degli Uomini dai capelli rossi


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