Jules Verne Adattamento a cura di
Stefano Bordiglioni e Manuela Badocco
Viaggio al centro della Terra Illustrazioni di
Marco Bregolato
CON AUDIOLIBRO I CLASSICI
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Coordinamento Redazione Impaginazione Copertina Illustrazioni
Maria Cristina Scalabrini, Alessia Vecchio Anna Rossi Silvia Bianchin Silvia Bianchin Marco Bregolato
Contenuti digitali Audiolibro
Sidecar Studio, Verona
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Indice
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Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21
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Qualcosa in piĂš Alla scoperta dei segreti del testo Comprensione
Jules Verne
Viaggio al centro della Terra Adattamento a cura di Stefano Bordiglioni e Manuela Badocco Illustrazioni di Marco Bregolato Apparato didattico a cura di Anna Rossi
Capitolo 1
Tutto ebbe inizio ad Amburgo, domenica 24 maggio 1863. Mio zio rientrò verso mezzogiorno e mi chiamò a gran voce: – Axel, Axel, vieni qua. Spicciati! Mio zio non era cattivo, ma aveva modi bruschi e impazienti. Il suo nome era Otto Lidenbrock. Era professore di mineralogia ed era uno scienziato un po’ bizzarro. Insegnava al liceo ed era in grado di classificare qualunque minerale. Per quanto riguarda me, nella mia doppia veste di nipote e di orfano, vivevo nella sua casa ed ero il suo aiutante. In quella casa vivevano anche l’anziana cuoca Marta e la diciassettenne Graüben, figlioccia del professore. Lo zio mi aveva trasmesso la sua passione per la geologia e con i miei sassi trascorrevo ore felici. All’ennesimo, spazientito richiamo, mi affrettai nello studio: questo era pieno di campioni di roccia, e spesso avrei preferito spolverare quelle meraviglie, anziché andare a zonzo con i ragazzi della mia età! mineralogia: scienza che studia i minerali. figlioccia: è come una figlia. Per la religione cattolica, la figlioccia è la bambina di cui si è stati padrino o madrina durante il battesimo. Il padrino o la madrina hanno il compito di seguire il bambino o la bambina durante la sua crescita. geologia: scienza che studia la crosta terrestre e i suoi movimenti.
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Quel giorno trovai lo zio seduto con in mano un libro che sfogliava con grande soddisfazione. Non capivo tutto quell’entusiasmo per quello che sembrava solo un vecchio libro. Ma lui mi disse che l’aveva trovato in una bottega di antichità e che era un volume che aveva ben settecento anni! Mi snocciolò titolo e nome dell’autore con parole impronunciabili, almeno per me. Il libro era di un autore islandese del dodicesimo secolo e raccontava la storia dei principi norvegesi che avevano regnato in Islanda. Gli domandai in che lingua fosse scritto e lo zio, che conosceva molte lingue, mi rispose che era un manoscritto in caratteri runici, in antico islandese. Mi spiegò che la leggenda attribuiva l’invenzione di quell’antico alfabeto addirittura a Odino, dio della mitologia nordica.
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snocciolò: disse velocemente, con sicurezza. caratteri runici: antico alfabeto islandese. mitologia: l’insieme dei miti di un popolo.
All’improvviso, dalle pagine spuntò l’angolo di una vecchia pergamena su cui spiccavano dei segni trasversali raggruppati in tre colonne.
Mio zio decise che avrebbe saltato il pranzo e anche la cena fino a quando non fosse riuscito a decifrarne il significato. – Sono caratteri runici come quelli del manoscritto. Si tratta di un crittogramma, un messaggio cifrato, capisci Axel? – mi disse. Cercai di fingermi interessato, ma in quel momento Marta, la cuoca, annunciò che il pranzo era servito. – Non intendo perdere tempo con il pranzo! – gridò mio zio. Era la prima volta che accadeva una cosa del genere e, francamente, non me la sentivo di appoggiarlo in questa scelta. Una zuppa al prezzemolo e una deliziosa omelette aspettavano in sala da pranzo e io non volli farle attendere a lungo. crittogramma, messaggio cifrato: messaggio segreto in cui ogni lettera è sostituita da un’altra lettera, in base a un preciso codice. Per comprendere il messaggio, cioè decifrare, bisogna conoscere il codice.
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Capitolo 2
Mentre io gustavo la zuppa al prezzemolo, attraverso un esame dei caratteri mio zio giunse alla conclusione che la pergamena era di almeno duecento anni successiva al libro. Cercando un modo per decifrarla, mi dettò in successione le lettere del nostro alfabeto che corrispondevano a quei caratteri islandesi. Lavorai con attenzione e lui esaminò a lungo il foglio su cui avevo scritto, senza però trovare la soluzione dell’enigma. Esaminò il libro con una lente d’ingrandimento e trovò una macchia d’inchiostro che, a uno sguardo più attento, si rivelò essere il nome di un alchimista islandese del Cinquecento: Arne Saknussemm. Lo zio, completamente preso da quel mistero, dichiarò che non avrebbe più mangiato né dormito finché non fosse venuto a capo di quel messaggio cifrato. – E anche tu farai come me – aggiunse. A quelle parole, io cominciai a preoccuparmi seriamente. Cercando la chiave per svelare il messaggio, mio zio mi fece provare a incolonnare in diversi modi i caratteri per vedere se ne potessero uscire parole e frasi che avessero un senso.
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alchimista: persona che praticava l’alchimia, un’antica disciplina che mescola scienza e magia.
Ma non ci fu niente da fare: ne uscirono soltanto cose prive di senso e lo zio uscì di casa borbottando. Al rumore della porta sbattuta, Marta accorse. La cuoca era disperata al pensiero che nessuno in casa avrebbe più mangiato fino alla soluzione del mistero. Io, per distrarmi, misi via la pergamena e pensai di classificare una collezione di pietre che ci era stata inviata di recente. Dopo un’ora quei minerali erano etichettati e allineati nelle vetrine. Ricominciai a pensare al foglio su cui avevo tracciato la serie di lettere che lo zio mi aveva dettato e che corrispondevano ai caratteri islandesi del messaggio in codice. Lo presi e provai a cercare ogni combinazione possibile, ma mi girava la testa e le lettere sembravano svolazzarmi davanti agli occhi. Mi sentivo soffocare. Avevo bisogno di aria e cominciai a sventolarmi con il foglio, in modo che le due facciate si alternavano al mio sguardo. Dritto, rovescio, dritto, rovescio. Rimasi allibito nell’accorgermi che apparivano delle parole latine. Improvvisamente il senso del messaggio mi fu chiaro e un vero e proprio terrore si impossessò di me: – Ah, no! Devo tacere! – dissi solennemente a me stesso – Se lo zio sapesse… Vorrebbe andare anche lui! Mi porterebbe con sé e non torneremmo mai più! Afferrai il foglio e la pergamena per gettarli fra le fiamme del caminetto. Ma la porta si aprì e riapparve mio zio. latine: il latino era la lingua degli antichi Romani. All’epoca in cui è ambientata la storia, era usata dagli scienziati.
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Capitolo 3
Promisi a me stesso di tenere per me la mia scoperta, ma le ore passavano e lo zio lavorava in silenzio. Scriveva, cancellava, riscriveva e ricominciava da capo. Io aspettavo con le braccia incrociate, deciso a custodire il segreto. Ma un imprevisto mi fece cambiare idea: quando Marta volle uscire per andare a far la spesa, trovò la porta chiusa, e la chiave non era nella serratura. Neppure provammo a chiederla al professore e così aspettammo. In casa le provviste erano finite e la fame cominciava a farsi sentire. I miei propositi iniziarono a vacillare. Dopotutto era possibile che il professore sarebbe arrivato anche da solo a decifrare il messaggio. In quel caso il mio digiuno non sarebbe servito a nulla! Alla fine dissi allo zio che possedevo la chiave. – Quale chiave? Della porta? – chiese lui. – Ma no, – gridai. – La chiave del documento! Lo zio ascoltò le mie parole e poi lesse la pergamena risalendo dalle ultime lettere alle prime.
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Ecco che cosa c’era scritto: Discendi nel cratere di Yocul dello Sneffels che l’ombra dello Scartaris viene a lambire prima delle calende di luglio, viaggiatore ardito, e perverrai al centro della Terra. E questo ho fatto io. Arne Saknussemm. Solo allora lo zio dichiarò che aveva fame e che saremmo andati a tavola. Marta andò di corsa al mercato e fu così brava che preparò un ottimo pranzo in meno di un’ora. Lo zio mi ringraziò per averlo aiutato e disse che avrebbe diviso con me la gloria che sarebbe derivata dall’impresa meravigliosa che stavamo per intraprendere. Come Arne Saknussemm, avremmo raggiunto insieme il centro della Terra e per questo mi raccomandò grande segretezza. Cercai di non mostrare il mio terrore mentre accampavo argomenti scientifici per dissuaderlo da quella assurda decisione di partire. Provai a esporgli le mie obiezioni. Gli feci notare che Yocul, Sneffels e Scartaris era nomi sconosciuti. Mi rispose che yocul vuol dire vulcano, lo Sneffels è un monte islandese e lo Scartaris è uno dei suoi picchi. lambire: sfiorare. calende: il primo giorno del mese. accampavo: sostenevo, spiegavo. dissuaderlo: convincerlo a cambiare idea.
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Obiettai che al centro della Terra la temperatura raggiungeva probabilmente i duemila gradi. Replicò che si trattava di supposizioni per nulla comprovate da dati scientifici. Era convinto che, se la Terra avesse avuto un nucleo fuso al centro, questo sarebbe stato soggetto all’attrazione lunare, esattamente come le maree, e si sarebbero verificate maree interne due volte al giorno. Maree che avrebbero sollevato la crosta terrestre e provocato terremoti periodici. Cominciai timidamente a condividere il suo entusiasmo.
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obiettai: replicai, risposi.
Capitolo 4
Dopo un’ora di pensieri vorticosi mi sentivo stordito e uscii per schiarirmi le idee. Mi ritrovai a passeggiare dall’altra parte della città, ad Altona, dove si trovava in quei giorni la mia cara Graüben, in visita ad alcuni parenti. Io ne ero innamorato e lei ricambiava il mio amore. La incontrai vicino al porto mentre stava tornando a casa. Le raccontai dello strano viaggio che lo zio intendeva compiere insieme a me. Graüben mi ascoltò con attenzione e rifletté in silenzio. Poi mi incoraggiò: – Sarà un bel viaggio, Axel! E io ti aspetterò. Tornammo insieme a casa tenendoci per mano. Io mi consolavo pensando che le calende di luglio erano ancora lontane, fortunatamente.
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Arrivammo che era ormai buio e mi accolse la voce dello zio che gridava: – Sbrigati, disgraziato! Dobbiamo partire dopodomani e non hai ancora preparato i bagagli! Trascorsi una notte insonne e al mattino Graüben mi riferì di aver parlato a lungo con il professore. Le aveva illustrato il suo progetto e le aveva assicurato che, al nostro ritorno, sarebbe stato lieto di acconsentire al nostro matrimonio. Ne fui rincuorato, ma continuavo a non capire tutta quella fretta di partire. Lo zio mi spiegò che per andare da Copenaghen a Reykjavik, in Islanda, c’era una nave di linea che partiva il 22 di ogni mese. – E allora? – domandai senza capire. – Per poter arrivare in tempo per vedere l’ombra dello Scartaris lambire il cratere dello Sneffels non possiamo aspettare il 22 giugno, – mi disse. – Quindi dobbiamo partire al più presto per Copenaghen! Dopo un commosso abbraccio a Graüben e un saluto a Marta, partimmo. Una carrozza ci condusse alla stazione di Amburgo. Sul treno mi sentivo agitato e cercavo conforto negli alberi e nelle case che sfilavano placidi, incorniciati dal finestrino. Dopo tre ore arrivammo a Kiel dove un battello a vapore ci avrebbe imbarcati per condurci su un’isola della Danimarca.
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placidi: tranquilli.
Arrivati sull'isola, salimmo su un altro treno e lo zio era così impaziente che dava l’impressione di spingere con i piedi il vagone per aiutarlo ad andare più veloce. Al nostro arrivo a Copenaghen, andammo in albergo in carrozza, seguiti dai nostri bagagli. Lo zio domandò indicazioni per raggiungere il Museo delle Antichità del Nord: intendeva incontrarne il direttore. Aveva in tasca una lettera di presentazione per lui e gli disse che volevamo visitare l’Islanda. Lui si disse disposto ad aiutarci a trovare un mezzo di trasporto, e così fece. Ci accordammo con il capitano di una goletta, la Valkyrie, per partire il 2 giugno. Destinazione: Reykjavik, la capitale dell’Islanda. A Copenaghen lo zio volle impiegare l’attesa che ci separava dalla partenza esplorando la città e impartendomi lezioni per abituarmi alle grandi altezze. Lezioni davvero insolite che lui chiamava esercizi di abisso. Ci arrampicammo in cima a un campanile salendo una scala interminabile: pensavo che conducesse diritta in cielo. Quando tornammo a terra il mondo smise di girare attorno a me e per cinque giorni ci dedicammo agli sguardi dall’alto. Le mie vertigini migliorarono notevolmente. goletta: nave con due alberi.
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Capitolo 5
Alle sei del mattino del 2 giugno eravamo a bordo della Valkyrie che trasportava grano e carbone. Attraverso il Mare del Nord ci dirigemmo verso le isole Faer Oer. Proseguendo la navigazione nell’Atlantico, incontrammo anche le balene, ma lo zio era tormentato dal mal di mare e fu costretto a rimanere chiuso in cabina. Quando arrivammo nel porto di Reykjavik, la capitale islandese, uscì sul ponte, pallido ma con gli occhi luccicanti di soddisfazione. Il governatore dell’isola ci accolse insieme al sindaco e a un professore di scienze naturali, il signor Fridriksson, che ci offrì alloggio in due stanze della sua casa. Conversavo con lui in latino, l’unica lingua che conoscevamo entrambi. Lo zio volle andare subito in biblioteca per cercare informazioni utili alla nostra impresa. Io me ne andai in giro per la città. Le casette di legno rosso o giallo rallegravano un po’ la tristezza del paesaggio: non c’era infatti nessun albero, nessuna aiuola o cespuglio.
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In periferia vidi capanne di torba, sui tetti delle quali, per effetto del riscaldamento interno, crescevano piccoli prati. Quell’erba era preziosa e veniva raccolta e conservata per nutrire gli animali domestici. Ovunque odore di merluzzo secco, ragazzine con le trecce e donne che portavano in testa un fazzoletto colorato. Al ritorno trovai lo zio che conversava amabilmente con il signor Fridriksson. Parlavano un islandese mescolato al tedesco e il signor Fridriksson aggiungeva frasi in latino perché anch’io potessi comprendere il senso della discussione. Poi mio zio disse al signor Fridriksson che aveva bisogno di consultare alcuni libri. Ma quando Fridriksson sentì il nome di Arne Saknussemm, disse che non esisteva alcuno dei suoi testi in biblioteca perché era stato accusato di eresia e le sue opere erano state bruciate nel 1573. Il signor Fridriksson pregò quindi lo zio di esaminare piuttosto le ricchezze naturali dell’isola, come montagne, ghiacciai, vulcani. Per esempio lo Sneffels, un vulcano con un cratere spento da più di cinquecento anni. Mio zio disse allora che avrebbe volentieri scalato lo Sneffels e il signor Fridriksson si offrì di procurarci una guida, una persona affidabile e competente.
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torba: materiale formato dalla decomposizione di vegetali sul fondo di laghi e paludi. eresia: pensiero contrario ai principi della religione cattolica.
Capitolo 6
La nostra guida era un uomo alto e robusto con occhi chiari e intelligenti. Il signor Fridriksson ce lo presentò: il suo nome era Hans ed era un cacciatore di anatre. I cacciatori non uccidono gli animali, ma raccolgono il piumino nei nidi vuoti: è un materiale prezioso, caldo, soffice e leggero che rappresenta una delle maggiori ricchezze dell’isola. Hans e mio zio si misero subito d’accordo: in sette o otto giorni di cammino avremmo raggiunto le pendici del vulcano. Avremmo avuto quattro cavalli, due per noi e due per i bagagli, mentre Hans sarebbe andato a piedi. Preparammo bussole, cannocchiale, cronometro e tutti gli strumenti che ci sarebbero serviti. Disponemmo in un altro involto gli attrezzi: picconi, zappe, scala di corda, bastoni, ascia, martello, chiodi e corde. In seguito ci occupammo delle provviste: gallette, carne secca e borracce che avremmo riempito d’acqua alle sorgenti. Infine la farmacia da viaggio: stecche per fratture, cerotti, forbici e altre cose che mi facevano venire l’ansia. .piumino: piccole piume molto soffici. involto: pacco, fagotto. stecche per fratture: bacchette resistenti usate per tenere fermo un arto spezzato.
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Preparammo anche sei paia di scarpe, impermeabilizzate con catrame, e una cintura nella quale erano sistemate parecchie monete. Il nostro ospite, il signor Fridriksson, donò allo zio una carta d’Islanda molto ben disegnata, davvero preziosa per noi. Alle sei del mattino del giorno fissato lo salutammo e partimmo. Mi sentivo tranquillo e mi godevo la cavalcata. Pensavo che avremmo esplorato un cratere spento e che non esisteva nessuna galleria che conducesse al centro della Terra. Nel pomeriggio arrivammo in un fiordo, dove le onde battevano sugli scogli con fragore. Alle sei salimmo su una barca piatta e mezz’ora piÚ tardi sbarcammo sani e salvi a Gardar.
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catrame: liquido nero che, quando si solidifica, diventa impermeabile. fiordo: insenatura lungo una costa con pareti molto ripide.
Capitolo 7
Era sera ma non faceva buio, perché in Islanda nei mesi di giugno e luglio il sole non tramonta mai. Era freddo, avevo fame e fui felice quando un contadino ci accolse nella sua casa. Era una casa semplice, ma la nostra stanza era ampia, con il pavimento in terra battuta e due letti in legno rosso, con paglia asciutta e pulita. Il contadino e sua moglie ci salutarono, mettendo la mano sul cuore e baciandoci sulle guance. Il saluto significava “siate felici”. La coppia aveva diciannove figli e ci ritrovammo a cenare in un’atmosfera allegra e gioiosa. Mangiammo zuppa di licheni, pesce secco, latte acido con biscotti e finalmente venne il momento di fare un bel sonno sul nostro letto di paglia. Il mattino seguente partimmo presto, dopo che lo zio ebbe insistito parecchio per far accettare ai nostri ospiti un compenso. La loro gentilezza mi convinse che, in qualunque posto, trovare persone amabili fa bene al cuore. Attraversammo terreni fangosi e piccoli corsi d’acqua. Senza vegetazione alcuna, il paesaggio trasmetteva una profonda malinconia. Attraversammo piccoli fiordi e pernottammo in una capanna abbandonata, gelida e sferzata dal vento. licheni: vegetali formati da funghi e alghe. latte acido: latte fermentato, come per esempio lo yogurt.
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Il 19 giugno il terreno divenne rugoso e solcato da cordoni di lava solidificata. Qua e là si alzavano i vapori fumosi di qualche sorgente calda. Erano tutte prove di violente eruzioni vulcaniche. Proseguendo, incontrammo una zona di piccoli laghi e a un certo punto apparvero le due cime dello Sneffels. Sabato 20 giugno raggiungemmo Budir, un piccolo borgo sul mare, e furono i familiari di Hans a offrirci ospitalità. L’indomani riprendemmo la marcia, che in quattro ore ci condusse a Stapi. Questo era un villaggio di pescatori, un piccolo gioiello incastonato in un fiordo spumeggiante. Alte colonne di basalto a picco sul mare facevano da sfondo a un gruppo di capanne. Hans ci aveva guidati fin qui, alla base del vulcano, e qui lo informammo delle nostre intenzioni di esplorare l’interno dello Sneffels fin dove sarebbe stato possibile. Lui acconsentì comunque ad accompagnarci. Hans ci presentò tre islandesi che avrebbero trasportato i nostri bagagli fino al fondo del cratere al posto dei cavalli, poi sarebbero tornati indietro. Io temevo che il vulcano addormentato potesse risvegliarsi proprio allora e non osavo immaginarne le conseguenze. Quando ne parlai a mio zio, rimase in silenzio.
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cordoni: rilievi lunghi e stretti di lava. basalto: roccia formata dalla lava indurita.
– Ci ho riflettuto, – disse poi – ma sono giunto alla conclusione che lo Sneffels non si risveglierà. Le eruzioni sono sempre precedute da fenomeni precisi. Vedi quelle fumarole che filtrano attraverso le fessure del terreno? Quando il vulcano è sul punto di eruttare, scompaiono del tutto o aumentano in maniera esponenziale. In conclusione: non ci sarà nessuna eruzione! Quegli argomenti mi convinsero che sarebbe andato tutto bene. La notte, però, feci sogni spaventosi nei quali mi ritrovai trasformato in lapillo e lanciato nello spazio. La mattina del 23 giugno ripartimmo. Hans aveva aggiunto alle nostre scorte un otre pieno d’acqua e ne fui rassicurato.
fumarole: fuoriuscita di vapore dal sottosuolo.
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Capitolo 8
Salendo sullo Sneffels procedevamo in fila indiana su stretti sentieri. La mia curiosità superava la preoccupazione ed esaminavo il terreno con interesse. Ora stavamo camminando su pietre che rotolavano nei burroni. Incontrammo una specie di scala naturale che ci facilitò l’arrampicata e a sera avevamo salito duemila gradini. Il freddo era terribile. Ero molto stanco e chiesi di poterci fermare, ma Hans fece segno di proseguire, indicando un turbine di polvere di pietra pomice che avanzava verso di noi. Proseguimmo il più velocemente possibile e raggiungemmo il versante opposto della montagna appena in tempo per evitare di esserne travolti. Continuammo a salire. Ero stanco, affamato e intirizzito. Quando stavo ormai per abbandonarmi allo sconforto, arrivammo in vetta. Erano le undici di sera. Cercammo rifugio all’interno del cratere. Dopo un pasto leggero ci sistemammo nei nostri giacigli di roccia.
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pietra pomice: pietra di origine vulcanica, molto leggera perché piena di buchi. Si sbriciola facilmente creando una polvere molto fine. intirizzito: molto infreddolito. sconforto: scoraggiamento, disperazione.
Il mattino seguente ci svegliammo con il sole: la vista lasciava senza fiato per la sua bellezza. Lo zio indicò una sagoma nebbiosa a Ovest. – La Groenlandia – disse. – A volte gli orsi bianchi vengono qui, camminando sui lastroni di ghiaccio. Ma ciò che conta è che siamo sullo Sneffels. Come si chiama questa cima, Hans? – Scartaris – rispose prontamente la nostra guida. Cominciammo la discesa nel cratere che sembrava un gigantesco imbuto. Sulle pareti c’erano chiazze ghiacciate e dovevamo fare attenzione. In qualche punto Hans ci legò con una corda per far sì che, se uno di noi fosse scivolato, sarebbe stato trattenuto dai compagni. A mezzogiorno arrivammo sul fondo del cratere da dove potevamo scorgere, in alto, uno scampolo di cielo. Tre camini si aprivano accanto ai nostri piedi e lo zio li esaminò. camini: gallerie del vulcano da cui esce la lava.
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All’improvviso lanciò un grido: aveva trovato su una roccia un nome in caratteri runici: Arne Saknussemm. Poco dopo le tre guide islandesi tornarono indietro e noi trascorremmo la prima notte all’interno del cratere. Il mattino vidi che il cielo era scuro, come il viso del professore. C’erano tre camini, dunque tre strade possibili. Secondo il crittogramma, la via giusta doveva essere indicata dall’ombra dello Scartaris che l’avrebbe sfiorata negli ultimi giorni di giugno. Senza sole, non avremmo avuto nessuna ombra e nessuna indicazione. Era il 25 giugno e speravo che il cielo si sarebbe mantenuto nuvoloso fino alla fine del mese, così avremmo dovuto rinunciare all’impresa. Lo zio scrutava il cielo senza parlare, ma il suo sguardo pieno di rabbia era eloquente. Nei due giorni seguenti ci furono pioggia e neve, ma domenica 28 giugno il sole riapparve. A mezzogiorno, l’ombra sfiorò il camino centrale.
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eloquente: evidente, molto chiaro.
Capitolo 9
Mi sporsi per guardare nell’apertura e un senso di vertigine mi assalì. Evidentemente non avevo eseguito abbastanza esercizi di abisso. Lo zio stabilì che avremmo usato una scala di corda, girandola intorno a una sporgenza della parete, a metà della sua lunghezza. Ci saremmo calati giù afferrando con le mani entrambi i capi della scala, in modo che non potesse sfilarsi. Una volta scesi, tirandone un solo capo, l’avremmo recuperata con facilità. Dividemmo gli oggetti fragili del bagaglio in tre sacchi e il resto venne lasciato cadere sul fondo. Preferisco non ripensare al rumore sordo che produsse. Ciascuno di noi si legò sulle spalle il suo sacco e cominciammo a scendere. Nel silenzio si sentiva solo il rumore dei sassi che precipitavano di tanto in tanto.
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Dopo mezz’ora Hans tirò un capo della scala e la fissò nuovamente. Nella discesa non facevo caso alle stratificazioni del terreno, badavo solo a tenere la corda più saldamente che potevo. Lo zio, invece, esaminava la roccia con attenzione e si disse sempre più certo che la teoria del calore al centro della Terra non fosse corretta. Intanto l’apertura in alto diventava sempre più piccola e il buio aumentava intorno a noi. Pensavo che non ci saremmo più fermati, quando Hans gridò: – Alt! Eravamo arrivati in fondo al camino. Aprimmo il sacco dei viveri e mangiammo, poi ci disponemmo a riposare su quel letto di pietra lavica. Su un lato si apriva una lunga galleria. Prima di addormentarmi vidi brillare, in cima al camino appena disceso, una stella. Un raggio di sole mi svegliò alle nove del mattino seguente. Lo zio calcolò che avevamo raggiunto il livello del mare. Ne rimasi meravigliato, ma quando consultai il barometro vidi che era proprio così. Trovammo il bagaglio che avevamo lanciato, impigliato in una sporgenza, e Hans lo recuperò. Facemmo colazione con gallette e carne secca e lo zio prese il suo taccuino. Vi annotò data, ora, pressione atmosferica, temperatura e direzione. La direzione era indicata dalla bussola. Hans e lo zio portavano ciascuno un apparecchio in grado di generare elettricità per alimentare una lanterna.
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barometro: strumento usato per misurare la pressione atmosferica, che cambia in base all’altitudine. Per questo, in base alla pressione puoi capire a quale altitudine ti trovi.
Riprendemmo i nostri sacchi e diedi un ultimo sguardo a quel pezzetto di cielo. La galleria era in discesa e avanzavamo con prudenza. In certi punti la lava aveva formato dei cristalli di quarzo: parevano lampadari che si accendevano al nostro passaggio. La sera ci fermammo a mangiare in una specie di grotta piena di spifferi. Ero troppo stanco per chiedermi da dove venisse quell’aria. Ero anche preoccupato perchÊ non avevamo incontrato nessuna sorgente d’acqua e la nostra scorta era ormai dimezzata.
cristalli di quarzo: roccia trasparente.
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Il giorno seguente, poco dopo mezzogiorno, ci trovammo a un crocevia. Lo zio indicò un punto a Est e proseguimmo in quella direzione. Più in là fummo costretti a scivolare strisciando in bassi cunicoli. A sera mangiammo e ci addormentammo senza quasi dire una parola, avvolti nelle nostre coperte da viaggio. Ci svegliammo riposati e proseguimmo il nostro cammino. Mi parve che la galleria salisse invece di scendere e fantasticavo di tornare presto in superficie. A mezzogiorno le pareti di roccia cambiarono: negli strati sedimentati ora potevo vedere resti di piante e di conchiglie. Li mostrai a mio zio per convincerlo che si era sbagliato a indicare la direzione Est. Era evidente che avevamo abbandonato il tunnel di lava e che non saremmo arrivati al focolare dello Sneffels. – Abbiamo lasciato il tunnel di lava, – mi rispose – ma ciò non significa che mi sia sbagliato. Lo sapremo soltanto quando arriveremo all’estremità di questa galleria. Quando gli feci notare che ero preoccupato per la mancanza d’acqua, mi rispose che l’avremmo razionata.
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strati sedimentati: strati di roccia che si sono accumulati nel tempo. focolare: in un vulcano è la parte più profonda, dove si trova il magma. razionata: consumata in modo ridotto e controllato.
Capitolo 10
In quel terreno non avremmo trovato acqua e la nostra provvista scarseggiava. Sulle pareti, magnifiche lastre di marmo grigio, screziate di bianco o di rosso, con impronte di pesci, testimoniavano il periodo di transizione: stavamo tornando indietro nel tempo, fino alle origini dei primi animali. Giunse la sera e non accadde nulla. Il venerdÏ mi svegliai con il tormento della sete. Dopo aver camminato per altre dieci ore, mi accorsi che eravamo entrati in un corridoio di carbon fossile. Ci fermammo e mangiammo un po’, bevendo pochissimo. Era rimasta mezza borraccia d’acqua in tutto e non riuscii a dormire.
transizione: passaggio da una condizione a un’altra. carbon fossile: roccia formata dalla fossilizzazione di piante e vegetali.
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Il sabato raggiungemmo un’ampia caverna. Su quelle pareti scure era rappresentata la storia del periodo carbonifero: strati di carbone separati da strati di arenaria o di argilla. In quel periodo la superficie terrestre era paludosa e ospitava una vegetazione ricca e fiorente. Quando le piante morivano non si decomponevano, ma venivano ricoperte di acqua e subivano un processo di fossilizzazione. Ebbero origine così i primi giacimenti di torba, che si compattarono per opera dei movimenti della crosta terrestre, del gas e del calore dei vulcani. La torba subì poi un processo di mineralizzazione e divenne carbon fossile.
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periodo carbonifero: periodo preistorico durante il quale si è formato il carbon fossile. arenaria, argilla: rocce che si sgretolano con molta facilità. processo di fossilizzazione: processo di formazione di un fossile, cioè impronte o resti di piante o animali conservati negli strati di roccia. processo di mineralizzazione: processo che porta alla decomposizione degli organismi viventi trasformandoli in minerali come il carbon fossile.
Continuavo a camminare in compagnia di queste considerazioni geologiche, quando ci imbattemmo in una parete senza via d’uscita: non ci restava che tornare sui nostri passi. Feci notare allo zio che ci sarebbe mancata l’acqua. – E il coraggio? Anche quello ci mancherà? – mi chiese lui, di rimando. Tacqui. Ripartimmo il mattino per tornare al crocevia che avevamo incontrato cinque giorni prima. Soffrimmo molto durante il percorso a ritroso ma io fui l’unico a lamentarmi. Fummo costretti a bere il gin, dal momento che l’acqua era finita, e quel liquore mi bruciava la gola. Mi trovai più di una volta sul punto di lasciarmi cadere a terra e non andare oltre, ma lo zio e Hans mi offrivano conforto. Finalmente martedì 7 luglio giungemmo stremati al punto d’intersezione delle due gallerie. Mi distesi al suolo e mi addormentai di colpo. Mi risvegliai mentre lo zio mi avvicinava la borraccia alla bocca. Che meraviglia! Rimasi tuttavia costernato quando appresi che lo zio aveva conservato quell’ultimo sorso in fondo alla sua borraccia per me, resistendo mille volte alla tentazione di berla lui stesso. Non ci restava che tornare indietro, dunque, sperando di aver la forza necessaria a risalire il cratere! Lo zio non volle saperne. Provai a convincere Hans, ma inutilmente. Alla fine, il professore mi chiese un solo giorno. Se entro un giorno non avessimo trovato nessuna sorgente, saremmo tornati indietro.
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Capitolo 11
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Imboccammo la nuova galleria e trovammo presto una roccia durissima, il granito, con stratificazioni di materiali depositati nelle ere geologiche più remote. Pietre in cui brillavano venature di rame, di platino o d’oro. Pareva di camminare dentro a un’immensa gemma preziosa. Nessun geologo aveva mai avuto la possibilità di osservare quelle meraviglie nascoste a tale profondità e questo le aveva protette dall’avidità degli uomini! Accompagnato da questi pensieri, non dimenticavo però di tendere l’orecchio per cogliere l’eventuale rumore di una sorgente. Ma quello che udivo era solo silenzio. Verso sera la sete divenne insopportabile. A un certo punto sentii le forze abbandonarmi. Caddi a terra e l’ultima cosa che vidi fu un lampo nello sguardo di mio zio. Forse di rabbia, o di delusione. Quando mi svegliai, vidi che lo zio dormiva, avvolto nella sua coperta e mi sembrò di scorgere Hans che se ne andava. Anziché cercare di riposare, discendeva la galleria. Per quale motivo? Aveva forse sentito qualcosa che io ancora non riuscivo a distinguere?
Rimasi a lungo immobile, formulando le ipotesi più disparate per cercare di capire il comportamento di Hans. Quando finalmente tornò, si chinò sul professore e lo svegliò: – Vatten – disse. Io, non so come, compresi quella parola pur non conoscendo la lingua danese: – Acqua, acqua! – cominciai a gridare. Ora tutto era chiaro. La nostra guida aveva trovato una sorgente e noi ci preparammo a seguirlo. Dopo circa un’ora di marcia eravamo scesi sensibilmente e sentimmo un rumore provenire dal muro di granito. Sembrava un tuono ed era il rombo di un corso d’acqua sotterraneo. Affrettammo il passo. Non sentivo più la spossatezza di poco prima e toccavo le pareti di roccia sperando di trovarle umide. Purtroppo ci rendemmo conto che continuando ad andare avanti il rumore diventava più debole. Ci stavamo allontanando dal torrente sotterraneo. Ci fermammo e Hans accostò l’orecchio alla parete per individuare il punto in cui il rombo si udiva più forte. Una volta che lo ebbe localizzato, impugnò il piccone e colpì il granito con calma una, due, tre volte, praticandovi un foro: un getto d’acqua schizzò fuori dal buco. La toccai e non potei trattenere un urlo. Era caldissima e stava formando un ruscello nel corridoio pieno di vapore. Quando si fu un po’ raffreddata, potemmo bere e riempire otre e borracce. Così rinfrancati nel corpo e nello spirito, ci addormentammo profondamente.
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Capitolo 12
Il giorno seguente avevo dimenticato sete, stanchezza e sconforto e riprendemmo la discesa. Il corridoio continuava con una lieve pendenza e il ruscello ci faceva compagnia. Ero di ottimo umore e pieno di entusiasmo. Lo zio consultava la bussola con impazienza e protestava per la scarsa pendenza che ci costringeva a un cammino più lungo. La sera del giorno dopo ci imbattemmo in un pozzo e ci organizzammo per calarci al suo interno con il sistema della scala di corda. Il pozzo era una specie di frattura che si era formata nella roccia. Il ruscello era diventato una piccola cascata e continuammo a scendere. Verso mezzogiorno del 13 luglio il pozzo divenne meno verticale e potemmo avanzare con maggior facilità. Mercoledì 15 luglio ci trovavamo a sette leghe sotto terra. Eravamo in salute, anche se stanchi. Che cosa potevamo chiedere di più? Lo zio continuava ad annotare i suoi dati e quando me li comunicò misurai con il compasso la carta geografica. Secondo me ci trovavamo sotto l’oceano.
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leghe: unità di misura della distanza usata nel passato. Corrisponde a circa 4 chilometri.
Tre giorni più tardi, sabato 18 luglio, raggiungemmo un’ampia grotta. Decidemmo che la domenica ci saremmo riposati. Fu piacevole svegliarsi la domenica senza l’assillo della partenza. Dopo colazione lo zio riordinò i suoi appunti. Calcolando gli angoli di pendenza e consultando la bussola, concluse che avevamo percorso ottantacinque leghe dalla partenza. Eravamo sotto l’Atlantico. Chissà, forse in quel preciso istante c’era una nave in balia di una tempesta, proprio sopra di noi. O magari delle balene che si rincorrevano fra le onde. – Ci troviamo quindi a ottantacinque leghe dalla base dello Sneffels verso Sud-Est, – disse lo zio – e dovremmo essere a sedici leghe di profondità. Come vedi, Axel, la temperatura è di ventisette gradi circa. Questo smentisce la teoria che sostiene l’aumento della temperatura man mano che si scende. In tal caso dovremmo avere qui una temperatura di millecinquecento gradi! Fui d’accordo, naturalmente. Tuttavia espressi un dubbio: sotto la latitudine dell’Islanda il raggio terrestre è di circa milleseicento leghe. Ne avevamo percorse dodici in venti giorni. Quindi avremmo impiegato duemila giorni, cioè quasi cinque anni e mezzo a compiere tutta la discesa. Lo zio mi intimò di tacere, dal momento che già qualcun altro aveva compiuto quell’impresa.
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Capitolo 13
Nelle due settimane successive continuammo a scendere in profondità. Hans si rivelò prezioso e ci aiutò in alcuni passaggi davvero impervi e pericolosi. Era sempre silenzioso e anche noi tacemmo, forse contagiati da lui o forse per le condizioni in cui ci trovavamo, chiusi nelle viscere della Terra. Il 7 agosto è una data che non dimenticherò. Stavamo procedendo nella galleria e io mi trovavo in testa. Quando mi voltai, non vidi nessuno e tornai indietro, pensando di aver camminato troppo velocemente. Dopo un quarto d’ora ero ancora solo. Chiamai ma nessuno mi rispose. Con i brividi che mi scuotevano dissi a me stesso che dovevo mantenere la calma. La strada era una, perciò prima o poi avrei ritrovato gli altri. Continuai a camminare in quel silenzio che mi pareva diventato sinistro. Ricordavo che Hans si era fermato a risistemarsi i bagagli sulle spalle e a quel punto io avevo proseguito per la mia strada. E ora? Ecco come avrei fatto: dovevo seguire il corso del ruscello e avrei ritrovato i miei compagni. Ma prima mi sarei sciacquato il viso. Quando mi chinai per raccogliere un po’ d’acqua, scoprii che il ruscello era scomparso.
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impervi: difficili da attraversare.
Mi sentivo schiacciato da quella scorza terrestre sopra di me. Ero disperato. Non avrei più rivisto Amburgo e la casa in cui vivevo. Non avrei più rivisto la mia dolce Graüben! Mi tornarono alla mente i ricordi dell’infanzia e le carezze di mia madre, che avevo perso troppo presto. Mi rivolsi a Dio e lo pregai di aiutarmi. Questo mi calmò e cercai di ragionare. Avevo provviste di cibo per tre giorni e la mia borraccia era piena. Ma dovevo salire o scendere? Ma certo: dovevo salire per ritrovare il punto in cui avevo lasciato il ruscello senza accorgermi che ero giunto a un bivio. Dopo aver camminato per mezz’ora mi trovai davanti un muro senza via d’uscita e caddi a terra. Ero perduto. Mi aspettava un sorte terribile e faticavo a respirare. Nella caduta la mia lampada si era rotta e la sua luce stava diminuendo. Come avrei fatto al buio, da solo? Quando l’ultimo barlume della lanterna si spense, gridai forte. Corsi con le braccia tese davanti a me. Fuggii senza sapere dove. Urlai, piansi e mi disperai. Urtando contro le pareti, mi ferii il viso. Sentivo il tepore del sangue che scorreva sulle mie guance. Dopo molte ore, caddi perdendo i sensi.
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Capitolo 14
Quando mi ripresi il mio viso era bagnato. Lacrime, sangue o entrambi? Dovevo solo aspettare la morte. All’improvviso un rumore forte mi colpì l’orecchio. Da dove proveniva? Si trattava forse di un crollo? O di un’esplosione di gas? Tesi l’orecchio, ma il silenzio era sceso di nuovo nell’oscurità. Poi di colpo, vicino alla parete, un altro suono. Un mormorio lontano, come di voci. Stavo sognando? Appoggiai l’orecchio alla roccia e sentii delle parole indistinte. – Aiuto! – gridai forte. – Aiuto! Pensai che la densità dell’aria rallenta la velocità di propagazione del suono, però aumenta la sua intensità. Aspettai. Dopo alcuni istanti mi giunse una voce: – Axel, sei tu? Risposi, spiegando che avevo rotto la lampada e perso il ruscello. Lo zio disse che mi aveva cercato, risalendo e discendendo la galleria. Aveva anche sparato alcuni colpi con la carabina.
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Ora voleva calcolare la distanza che ci separava, cronometrando il momento in cui mi avrebbe parlato e confrontando il dato con il momento in cui io avrei ripetuto le sue parole, dopo averle ascoltate. Appoggiai l’orecchio alla parete e, non appena sentii il mio nome, lo ripetei immediatamente. Aspettai. – Quaranta secondi – disse lo zio. – Il suono impiega dunque venti secondi a salire. A mille e venti piedi al secondo, sono ventimilaquattrocento piedi, cioè una lega e mezzo e un ottavo. Pensi di farcela, Axel? Dovrai scendere! Noi ci troviamo in una caverna dalla quale si diramano tante gallerie. Alzati e comincia ad andare, coraggio! – Quando sarò partito, zio, le nostre voci non si incroceranno più. Addio! – Arrivederci, Axel, arrivederci! Mi lasciai scivolare giù per la pendenza che diventava sempre più ripida. A un certo punto mi mancò il suolo sotto i piedi, caddi in un pozzo e svenni. Quando mi svegliai, lo zio era chino su di me. – Sei salvo, ragazzo mio – mi disse abbracciandomi. – Ti ho messo un impacco bagnato sulla testa e ora devi dormire. Cercai di obiettare, ma ero debole e ammaccato e lo zio promise che l’indomani mi avrebbe raccontato tutto. Hans mi salutò con un’espressione di muto sollievo. Chiusi gli occhi e scivolai nel sonno. piede: unità di misura che corrisponde a 30,48 cm.
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Il giorno seguente, 10 agosto, mi svegliai con l’urgenza di sapere. Ero disteso nella penombra. A terra c’era una sabbia finissima e alle pareti splendide stalattiti. Potevo percepire una strana luminosità tutt’intorno e rumori che somigliavano a quelli della risacca e della brezza sul mare. Mi venne spiegato che ero precipitato in una galleria quasi verticale, insieme a una quantità di grosse pietre. Ero atterrato contuso e dolorante quasi fra le braccia di mio zio. L’intervento di Hans era stato prezioso: mi aveva curato con pomate islandesi a base di erbe e licheni, che avevano favorito la cicatrizzazione delle ferite. Non ero del tutto convinto di essere proprio sveglio, perché vedevo la luce del giorno, sentivo soffiare il vento e il rumore di onde che s’infrangevano su una spiaggia. Stavo sognando? Lo zio mi gettò una coperta sulle spalle e uscimmo dalla caverna.
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stalattiti: rocce dalla forma allungata che si formano sul soffitto di una grotta. risacca: movimento di ritorno di un’onda quando incontra un ostacolo.
Capitolo 15
Ero talmente abituato all’oscurità che i miei occhi faticarono a mettere a fuoco ciò che ora stava davanti a noi. Quando si furono riabituati alla luce, gridai meravigliato: – Il mare! Si trattava del mare Lidenbrock, chiarì il professore, certo di esserne stato lo scopritore e di aver dunque il diritto di attribuirgli il suo nome. Minuscole conchiglie costellavano la riva sabbiosa e la distesa d’acqua si increspava al soffio di un vento leggero. Enormi massi formavano promontori rocciosi e una luce strana, intensa e splendente, si diffondeva intorno, vibrando. Era sicuramente uno sconosciuto fenomeno elettrico. In alto vedevo una specie di cielo, o meglio uno strato di nebbie iridescenti, che mi ricordava l’aurora boreale. E poi un freddo intenso e una volta di granito che incombeva sopra di noi. E poi una foresta di funghi giganteschi e felci grandi come alberi. Che spettacolo grandioso! Sentivo le guance arrossate e i miei polmoni pompavano ossigeno a pieno ritmo. si increspava: si riempiva di onde. iridescenti: se colpite dalla luce, riflettono i colori dell’arcobaleno. aurora boreale: fenomeno naturale in cui si vedono nel cielo scie luminose di colori e forme diverse.
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Passeggiando sulla riva scoprimmo, fra le rocce, nuvole di vapore che si alzavano dalle sorgenti calde. Scorgemmo al suolo delle ossa di animali: mascelle, femori e denti di mammut e di altri mammiferi preistorici da tempo estinti sulla Terra. Tremai al pensiero che uno di essi fosse sopravvissuto e potesse sbucar fuori da un momento all’altro da quella strana foresta. Il giorno dopo mi sentivo molto meglio e, dopo un bagno nelle acque di quel mare, mi dedicai all’ottima colazione che Hans aveva preparato. Ora che potevamo disporre di acqua e di fuoco, bevemmo perfino una tazza di delizioso caffè. Lo zio annunciò che intendeva studiare il fenomeno della marea. Mi stupì il fatto che il sole e la luna esercitassero la loro forza di attrazione fino a questa profondità. Ma, pensandoci bene, non c’era alcuna legge fisica che lo impedisse. Secondo i calcoli, ci trovavamo a trentacinque leghe di profondità e a trecentocinquanta leghe dall’Islanda, in orizzontale. Tuttavia l’ago della bussola, anziché inclinarsi verso il polo Nord come accade nell’emisfero boreale, stranamente si raddrizzava al contrario. Rimandammo la ricerca di una spiegazione del fenomeno perché, per il momento, dovevamo prepararci ad attraversare quel mare sotterraneo.
emisfero boreale: la metà del globo terrestre a Nord dell’equatore.
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Quando mi guardai intorno, alla ricerca di un’imbarcazione, lo zio mi fece cenno di andargli dietro. Seguendo la provenienza di un rumore di colpi di martello, trovammo Hans impegnato nella costruzione di una zattera. Aveva utilizzato della lignite, un legno di pino, abete e altri alberi, che si era fossilizzato nel tempo per azione dell’acqua di mare. Ora stava fissando una barra a una specie di timone: ci avrebbe permesso di dirigere l’imbarcazione, una volta in mare. La sera del giorno dopo, la zattera era ultimata.
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Capitolo 16
Il mattino del 13 agosto salpammo e il professore propose di dare un nome al piccolo approdo che stavamo lasciando. – Che ne dite di Porto Graüben? – chiesi. E così il nome della mia dolce amica entrò a far parte del nostro avventuroso viaggio. Le coperte, fissate a due pali, fungevano da vele e la zattera filava, sospinta dal vento. Quando fummo al largo ci imbattemmo in giganteschi banchi di alghe. Il giorno seguente iniziai a compilare un diario di bordo. Scrivevo la data e le note relative al vento, alla velocità, alla luce, all’orizzonte, alla temperatura e alle condizioni del mare. Hans usò un’esca di carne e un pezzo di corda per cimentarsi nella pesca. Tirò su un pesce che non aveva occhi, né coda. Apparteneva a una specie estinta da secoli e conosciuta grazie ai resti fossili giunti fino a noi. Due ore più tardi, una discreta quantità di pesci si era aggiunta alla nostra scorta di viveri. Riflettendo su quegli strani pesci, la mia immaginazione, unita alle mie conoscenze di paleontologia, mi giocò uno strano scherzo.
cimentarsi: impegnarsi in qualcosa.
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Scrutando i bagliori all’orizzonte vidi tartarughe preistoriche galleggiare sulle acque con i carapaci lucenti. Vidi una riva sulla quale passavano mammut dalle zanne ricurve e, alzando lo sguardo, distinsi uno pterodattilo con il becco appuntito e le ali da pipistrello. Mi rannicchiai sul fondo della zattera e rividi le fasi dell’evoluzione terrestre e di trasformazione di animali, piante e minerali. Le rivissi a ritroso fino ad arrivare alla Terra che era solo una massa di gas. Il mio corpo si rimpiccioliva, io stesso mi stavo trasformando in un atomo. – Credo che presto toccheremo terra! – disse lo zio, riportandomi alla realtà. Sabato 15 agosto annotai sul diario le solite cose. Niente terra in vista e mio zio tornava a essere l’impaziente professore che aveva mostrato qualche barlume di umanità solo quando ero stato male.
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carapaci: i gusci delle tartarughe. atomo: la più piccola parte di ogni elemento.
Ora scrutava l’orizzonte con il cannocchiale, indispettito per la lunga durata del viaggio in mare. Voleva arrivare al centro della Terra, non certo perder tempo! Domenica 16 agosto legò a una lunga corda, che fece scorrere in mare, un piccone che poi lanciò in acqua. Ne risultò una profondità molto maggiore di quanto non credesse. Quando ci accorgemmo che il piccone portava impresse delle scalfitture a forma di denti, controllai spaventato le nostre carabine. Intanto il mare da liscio divenne agitato e avvertivo un’ansia sempre più forte. Di colpo la zattera si sollevò come se fosse stata lanciata, per poi ricadere violentemente. Ci sembrò di vedere tra le onde un coccodrillo mostruoso, una balena, un serpente marino, una gigantesca tartaruga e un grosso lucertolone. Erano tutti di dimensioni gigantesche e si stavano avvicinando! carabine: fucili.
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Imbracciai la carabina e stavo per sparare quando cominciarono a lottare fra loro, sollevando colonne d’acqua. In un turbinio di squame, code, pinne e mascelle armate di denti, la zattera rischiò di rovesciarsi. Eravamo terrorizzati e restammo immobili. Dopo un tempo che ci parve interminabile, ci accorgemmo che i mostri marini erano soltanto due: un ittiosauro e un plesiosauro. L’ittiosauro era un rettile marino con denti di coccodrillo e occhi grossi come la testa di un uomo. Il plesiosauro era un serpente con il corpo rivestito da un guscio, le zampe a forma di remi e un lunghissimo collo. Entrambi erano vissuti negli oceani primordiali ed erano estinti sulla Terra. Nel furibondo combattimento, l’ittiosauro ebbe la meglio e scomparve nelle profondità marine lasciando il suo avversario a dibattersi, per poi ricadere immobile.
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Capitolo 17
Con il vento a favore ci allontanammo dal luogo del combattimento. Il 19 agosto non accadde nulla, ma preferivo questa monotonia al pericoloso furore dei mostri. Il 20 agosto udimmo un rumore lontano. Hans si arrampicò sull’albero per individuarne la provenienza ma non vide niente. Procedendo nella navigazione il rumore divenne un boato. E se si fosse trattato di una cascata che ci avrebbe scagliati in un abisso? Gettai una bottiglia in acqua per verificare cambiamenti nella corrente ma non ne scoprii alcuno. Poco dopo il cannocchiale di mio zio inquadrò un immenso getto d’acqua. Non riuscivo a immaginare quale mostro marino potesse espellerne una tale quantità e con tale forza. Quando fummo più vicini scoprimmo che si trattava di un isolotto e il getto d’acqua non era altro che un geyser, una sorgente di acqua bollente.
monotonia: noiosa ripetizione di una situazione.
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Il suo getto saliva urlando fino alle nuvole e Hans dovette fare molta attenzione per evitarlo, perché, se ci fossimo avvicinati troppo, avrebbe fatto affondare la zattera. Sbarcammo sulla roccia e con un termometro misurammo la temperatura del geyser: centosessantatre gradi! Temevo che d’ora in poi avremmo incontrato luoghi con temperature sempre più elevate e guardai lo zio inarcando un sopracciglio. La mia muta domanda ricevette una secca risposta: – Vedremo! Dopo aver dato all’isolotto il nome Axel, il professore diede ordine di imbarco. Ci allontanammo dall’isolotto in un’aria carica di elettricità a tal punto che in cima all’albero della barca brillava a tratti un piccolo fuoco azzurrino. Lo zio mi spiegò che era dovuto al fatto che l’aria si carica maggiormente di elettricità vicino agli oggetti appuntiti. Quel bagliore viene chiamato fuoco di sant’Elmo. Scrutando le nuvole basse e scure che incombevano sulla superficie immobile del mare, chiesi allo zio di ammainare la vela. Rifiutò: preferiva essere trascinato via dall’uragano piuttosto che continuare a navigare senza arrivare da nessuna parte. La furia della tempesta si scatenò all’improvviso: pioggia, grandine e un vento che scuoteva violentemente la zattera. Il mare ribolliva sotto lampi di luce e i tuoni erano talmente potenti che le nostre
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ammainare la vela: tirare giù la vela.
orecchie sanguinavano. Hans era impassibile e dai suoi capelli si sprigionavano minuscole scintille. Dopo due giorni l’uragano continuava ancora, implacabile. Anzi, la sua forza aumentava e fummo costretti a legarci alla zattera, insieme ai bagagli. Apparve vicino a noi un disco di fuoco e un odore strano ci bruciava in gola. Gli oggetti metallici che avevamo a bordo si muovevano e tintinnavano: era un lampo globulare e il globo elettrico che aveva formato li aveva calamitati. La tempesta ci strappò via l’albero e la vela della zattera. Era cosÏ violenta che non ricordo nulla dei due giorni successivi.
lampo globulare: scarica elettrica che forma una sfera luminosa.
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Capitolo 18
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Infine la zattera urtò contro degli scogli e venni scagliato fra le onde, da dove il braccio robusto di Hans mi ripescò, salvandomi da morte certa. Ci ritrovammo tutti e tre su una riva, stremati e tremanti sotto la pioggia battente. Hans era riuscito a salvare parte dei nostri viveri, ma non riuscii a mangiare nulla e caddi in un sonno profondo. Quando mi svegliai, ero in uno stato di dolorosa disperazione. Dato che la tempesta aveva gettato la zattera verso Est, ci trovavamo probabilmente sotto la Germania, forse sotto la nostra cara Amburgo. Ma un muro di durissimo granito mi separava dalla mia cara Graüben! Chissà se l’avrei mai rivista! – Siamo arrivati, Axel! – disse lo zio. Credetti che si riferisse al termine della nostra impresa e gli chiesi quando avremmo intrapreso il viaggio di ritorno. – Ritorno? – replicò stizzito. – Siamo arrivati al termine del nostro viaggio per mare. Ora entreremo nelle viscere della Terra, che diamine! Il coraggioso Hans aveva salvato la maggior parte dei nostri strumenti e avevamo provviste sufficienti per quattro mesi. Potevamo inoltre riempire otre e borracce con l’acqua della pioggia caduta. Lo zio chiese ad Hans di aggiustare la zattera come meglio poteva.
– Anche se credo che non ci servirà più, – aggiunse – sono convinto che non torneremo per la stessa via dalla quale siamo arrivati. Nonostante l’uragano ci avesse impedito di annotare velocità e direzione, lo zio calcolò approssimativamente che ci trovassimo sotto il Mediterraneo. Ne era quasi certo, dal momento che il vento non sembrava aver mai cambiato direzione. Consultò la bussola per averne conferma e rimase stupefatto, facendomi cenno di guardare. L’ago della bussola indicava il Nord dove avevamo creduto fosse il Sud!
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Evidentemente non ci eravamo accorti di un cambiamento del vento e ora ci trovavamo sulla riva che credevamo di aver lasciato dietro di noi. Espressioni di stupore e di collera si alternavano sul viso del professor Lindenbrok. Poi si riscosse, annunciando la sua intenzione di esplorare quel tratto di costa e riprendere la navigazione l’indomani. Camminammo nello spazio compreso fra la riva del mare e la parete rocciosa, calpestando conchiglie di ogni forma e dimensione. Più in là il terreno diventava sconnesso e una distesa di ossa si rivelò ai nostri occhi. C’erano interi scheletri di animali antichissimi e a un certo punto, pieni di meraviglia, ci trovammo a fissare qualcosa di rotondeggiante. Era un cranio umano. Dopo lo sbigottimento iniziale, il professore si accorse che, pochi passi più in là, giaceva a terra un corpo umano, fossilizzato, che ci fissava con le orbite vuote. Le particolari caratteristiche del terreno avevano fatto sì che si conservasse per tutto quel tempo. Altri corpi dormivano il loro sonno eterno, lì intorno, su quel suolo antico. Chissà quante altre meravigliose scoperte avremmo fatto in quell’immensa caverna!
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Capitolo 19
Dopo un lungo cammino ci trovammo davanti una foresta. C’erano palme, pini e cipressi con fitti intrecci di liane. Le foglie e i fiori erano scuri, senza colore e senza profumo a causa della mancanza del calore del sole. La luce tutt’intorno era uniforme e non proiettava ombre. Lo zio si addentrò nella foresta e lo seguii. Ma quelle piante costituivano senza dubbio ottimo cibo per i mammiferi dell’epoca e io temevo di incontrarne qualcuno. Notammo con stupore che c’erano alberi di ogni parte del globo: querce accanto a palme, abeti norvegesi intrecciati a eucalipti australiani, betulle del Nord appoggiate a sequoie della Nuova Zelanda. Mi fermai di colpo e, con una mano, trattenni lo zio. Mi era parso di notare qualcosa muoversi sotto gli alberi. Non mi ero sbagliato: una mandria di mammut stava cibandosi di erbe e foglie e ora potevamo udire il rumore delle zanne sui tronchi. Restammo immobili, fino a quando una nuova visione ci lasciò letteralmente senza fiato. Appoggiato al tronco di un’enorme sequoia, a sorvegliare quella mandria di bestioni, stava un uomo. Non un corpo fossilizzato, ma un uomo gigantesco, vivo e vegeto, con in mano una clava!
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Fortunatamente, lo zio si lasciò trascinare via e fuggimmo. Corremmo per un quarto d’ora, fino a quando non ci sentimmo al sicuro. Vidi qualcosa brillare nella sabbia e lo raccolsi: era un pugnale arrugginito. – È una daga di trecento anni fa, – disse lo zio. – Speriamo che chi l’ha perduta l’abbia usata per incidere il suo nome da qualche parte. Ci indicherebbe la via da seguire… Esaminando le rocce, arrivammo in un punto in cui la spiaggia si restringeva. In uno stretto passaggio fra due massi, notammo una cavità che si rivelò essere l’ingresso di una galleria. Proprio lì, sopra un lastrone di granito, erano incise due lettere: “A.S”.
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daga: spada dalla lama molto corta, simile a un pugnale.
Avrei dovuto ormai essere abituato alle sorprendenti scoperte che il nostro viaggio ci riservava, ma quelle due lettere mi riempirono di meraviglia: Arne Saknussemm! Ecco dunque una prova ulteriore che il professore aveva avuto ragione nel credere che stessimo ripercorrendo le tracce lasciate da quell’uomo tre secoli prima. L’entusiasmo del professore mi stava contagiando. Benedicemmo l’uragano che, riportandoci indietro, ci aveva dato la possibilità di scoprire quelle iniziali incise sulla pietra e stabilimmo che quel promontorio si sarebbe chiamato Capo Saknussemm, in onore del coraggioso esploratore. Hans ci stava aspettando e tutto era pronto per riprendere la navigazione. Seguimmo la costa, cercando di tenerci scostati dalle pareti rocciose con i nostri bastoni. Ogni tanto eravamo costretti a fare un lungo giro per evitare qualche scoglio insidioso. Tornammo così all’imbocco della galleria che avevamo scoperto qualche ora prima. Entrammo nell’oscurità ma ci imbattemmo in un masso che ostruiva completamente il passaggio. – Lo faremo saltare con l’esplosivo! – gridai. Ormai pensavo solo a raggiungere il centro della Terra e nient’altro aveva importanza. Hans preparò una lunga miccia e racchiuse in un fagotto di tela della polvere da sparo. Poi scavò una nicchia in cui posizionò il fagotto e srotolò la miccia fino all’esterno della galleria. Era mezzanotte passata e rimandammo all’indomani il momento di far brillare la carica.
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Capitolo 20
Alle sei del mattino successivo, chiesi di poter essere io ad accendere la miccia. Era stato calcolato che dovesse bruciare per dieci minuti prima di provocare l’esplosione. Avrei avuto il tempo di tornare sulla zattera e ci saremmo allontanati dalla riva per non correre rischi. Con una certa trepidazione e una lanterna accesa entrai nella galleria e diedi fuoco a un’estremità della miccia. Tornai correndo alla zattera dove lo zio e Hans mi aspettavano. Filammo via mentre lo zio consultava il cronometro e faceva il conto alla rovescia. Quattro minuti, tre, due, uno… Non sentimmo quasi il rumore dell’esplosione, ma la zattera si sollevò su un’altissima ondata e le tenebre ci avvolsero. Evidentemente l’esplosione aveva aperto una voragine attraverso la quale il mare scorreva, come un immenso tumultuoso torrente, trascinando nell’abisso noi e la zattera.
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Scendevamo a gran velocità, urtando di tanto in tanto la parete rocciosa. Hans riuscì ad accendere una lanterna e vedemmo che avevamo perso quasi tutti gli strumenti e gli attrezzi. Ci rimanevano unicamente la bussola, il cronometro e viveri per un solo giorno. Quando la lanterna si spense, l’oscurità divenne assoluta. Continuavamo a essere trascinati dalla corrente verso gli abissi e, dopo un tempo che mi parve molto lungo, la velocità raddoppiò. Hans e lo zio mi trattenevano saldamente per le braccia. All’improvviso la zattera si arrestò e fummo inondati da una massa d’acqua. Per fortuna durò pochissimo e, dopo qualche istante, potemmo tornare a respirare.
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Il silenzio prese il posto di quel boato scrosciante che ci aveva accompagnato per tutto il giorno, durante quella folle discesa. Avevamo l’impressione di stare risalendo e Hans accese la torcia, ultima nostra possibilità di fare un po’ di luce. Ci trovavamo in un pozzo che si stava riempiendo d’acqua dal fondo e noi salivamo man mano che il livello si alzava. Come se non bastasse, la temperatura continuava a salire e doveva aver raggiunto i quaranta gradi. – Se non moriremo di fame o schiacciati dalla pressione o fracassati, abbiamo buone possibilità di morire bruciati – dissi allo zio. – Fino a quando i nostri cuori batteranno, – mi rispose – conserveremo la speranza. Dobbiamo nutrirci con quel poco che abbiamo e cercare di recuperare le forze. Dividemmo carne e gallette in tre parti e mangiammo mentre continuavamo a salire. Saliva anche la temperatura e il caldo ci costrinse a toglierci la giacca. L’acqua scottava e, quando guardai la bussola, stentai a credere ai miei occhi.
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Capitolo 21
L’ago della bussola girava da un Polo all’altro, come impazzito. Intorno a noi si udivano tuoni e boati e faceva sempre più caldo. Il professore disse che secondo lui ci trovavamo nel camino di un vulcano in attività, e sorrise. Affermò che questa era una fortuna, perché ci offriva l’unica possibilità di far ritorno sulla Terra. Ero sconvolto dalle sue parole: eravamo sul punto di essere eruttati insieme a fuoco e fiamme e lo zio ne era soddisfatto! La risalita continuò per tutta la notte. Probabilmente sotto le acque bollenti scorreva un fiume di lava incandescente. Il fracasso assordante e l’insopportabile calore non impedivano ai miei pensieri di andare a ruota libera: eravamo forse tornati sotto l’Islanda? Oppure ci trovavamo sotto la costa Nord occidentale dell’America? Qual era il nome del vulcano che stava per lanciarci fuori dal suo cratere? Non avevo risposte, potevo solo aspettare. Intanto nella galleria cominciarono a balenare riflessi rossastri e lingue di fuoco. La mattina il movimento di risalita si fermò di colpo e la zattera rimase immobile. Si trattava di una pausa, spiegò lo zio: era un vulcano a eruzioni intermittenti. Infatti il movimento riprese per poi fermarsi di nuovo.
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Non ricordo quante pause e quante riprese ci furono. Il ruggito del fuoco, un senso di soffocamento e la sensazione di un movimento rotatorio della zattera ad altissima velocità sono i soli ricordi che conservo della nostra risalita alla superficie terrestre. Svenni, e quando ripresi coscienza, di fianco a me c’erano Hans e lo zio. Non ero ferito seriamente, ma ammaccato e contuso. Mi aspettavo di vedere un paesaggio innevato e invece eravamo su una montagna arsa da un sole accecante. Chiesi se ci trovassimo in Islanda, ma Hans rispose di no. Occorse un po’ di tempo perché i nostri occhi si riabituassero alla luce e, quando questo accadde, vedemmo sopra di noi il cratere di un vulcano da cui fuoriusciva una colonna di pietre pomice, lava e cenere. Alla base del vulcano c’erano olivi e vigne e, ancora più in là, l’azzurro di un mare stupendo. Scendemmo lungo le ripide pareti della montagna, scivolando nella cenere ed evitando i ruscelli di lava.
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rotatorio: circolare, in tondo.
Dopo un paio d’ore, la natura che ci circondava ci offrì dei dolci grappoli d’uva e una sorgente d’acqua limpida e fresca. Si avvicinò a noi un bambino che sembrava intimorito. Lo zio gli domandò in tedesco: – Come si chiama questa montagna? Non ottenendo risposta, provò a riformulare la domanda in inglese, in francese e infine in italiano: – Come si chiama questa isola? – Stromboli – rispose il ragazzino e fuggì via. Rimanemmo sbigottiti. Eravamo scesi nel cratere di un vulcano spento, lo Sneffels, in Islanda, lasciandoci alle spalle ghiaccio e neve, ed eravamo risaliti attraverso un vulcano attivo, lo Stromboli, sotto il cielo blu del Mediterraneo! Quando arrivammo al porto, ci presentammo come naufraghi e preferimmo tralasciare il racconto del nostro incredibile viaggio. Hans si lasciò andare a un gesto incredibilmente espansivo per lui: sfiorò le nostre mani e sorrise. I pescatori dell’isola ci diedero cibo e abiti, e il 31 agosto una barca ci condusse a Messina. Il 4 settembre ci imbarcammo per Marsiglia e il 9 settembre arrivammo ad Amburgo. Non ci sono parole per descrivere l’immensa gioia che provai nel rivedere la mia cara Graüben, che sorrideva mentre le lacrime le scorrevano sul viso. Anche Marta ci sorrideva, felice del nostro ritorno: non aveva resistito alla tentazione di raccontare a tutti dove eravamo andati e ora che eravamo tornati, in tutto il mondo non si parlava d’altro. Dapprima molti erano increduli, ma poi la
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testimonianza di Hans e molte informazioni dall’Islanda convinsero l’opinione pubblica della veridicità del nostro racconto. Lo zio fu festeggiato pubblicamente e invitato a tenere conferenze. Raccontò esattamente tutto ciò che avevamo vissuto. Tutto, tranne il mistero della bussola. Dopo sei mesi, mentre riordinavo dei minerali in laboratorio, mi accorsi che l’ago indicava il Sud e non il Nord. Lanciai un grido e il professore accorse. – Com’è possibile? – chiese. Io però forse avevo capito che cos’era accaduto: durante l’uragano, l’elettricità dei lampi aveva evidentemente disorientato la bussola. Eliminato quell’ultimo tarlo che ci tormentava, nulla più ostacolava la nostra perfetta felicità. Il professor Lidenbrock era uno scienziato entusiasta e io un uomo immensamente appagato dall’aver preso in moglie la mia adorata Graüben.
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tarlo che ci tormentava: pensiero che non ci faceva stare tranquilli.
Qualcosa in più Viaggio al centro della Terra è il primo libro di successo di Jules Verne. È anche uno dei primi romanzi di fantascienza: oltre a essere fantastico, frutto cioè della fantasia di Verne, è ricco di argomenti e temi scientifici. All’epoca in cui fu scritto, infatti, erano state formulate nuove teorie che vengono riprese nel romanzo: alcuni scienziati ritenevano che il centro della Terra fosse incandescente ed era da poco nata la geologia, cioè la scienza che studia la formazione e l’evoluzione della superficie terrestre. Nelle due pagine seguenti puoi osservare la mappa del viaggio compiuto da Axel, dal professore e da Hans verso il centro della Terra. Aiutati con la legenda.
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Percorso che scende fno a Porto Graüben. Percorso compiuto da Axel quando si perde. Percorso compiuto da Axel, dal Professore e da Hans per tornare in superfcie. Punto di ingresso dei viaggiatori nelle viscere della Terra. Punto in cui Axel prende un bivio sbagliato e si perde. Punto da cui i viaggiatori ritornano in superfcie.
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Alla scoperta dei segreti del testo
1 Per raggiungere il vulcano Sneffels partendo da Amburgo, Axel e lo zio utilizzano molti mezzi di trasporto: scrivi per ogni tappa il o i mezzi di trasposto corretti. battello a vapore • treno • cavallo • goletta Amburgo ➛ Kiel .............................................................. Kiel ➛ Isola della Danimarca ...................................... Isola della Danimarca ➛ Copenaghen .................. Copenaghen ➛ Reykjavik ........................................... Reykjavik ➛ vulcano Sneffels .................................... 2 Quali sono i personaggi che partecipano alla spedizione al centro della Terra? Segnali con una X.
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Axel Professor Otto Lindenbrock Graüben Arne Saknussemm Signor Fridriksson Hans Marta
3 Collega questi strumenti alla loro funzione. bussola
guardare lontano
cannocchiale
orientarsi
cronometro
misurare la pressione atmosferica
barometro
misurare il tempo Comprensione
4 Cap. 1 “Doppia veste di nipote e di orfano”: che cosa significa?
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Axel certi giorni si sentiva nipote, certi giorni orfano. Axel indossava sempre due vestiti. Axel era andato a vivere con lo zio perché aveva perso i genitori.
5 Cap. 4 Prima della partenza, lo zio fa fare a Axel esercizi di abisso. Perché?
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Per metterlo in forma. Per abitualo alle grandi altezze e non soffrire così di vertigini. Per abituarlo al buio e al chiuso.
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6 Cap. 6 Che cosa viene messo nel bagaglio per partire? Cancella i due intrusi. picconi tenda
fornello
borraccia bastoni
martello
zappe
cerotti chiodi e corde
scala di corda ascia
gallette
7 Cap. 11 Dopo giorni senza bere, la spedizione finalmente trova l’acqua. Segna con una X le affermazioni vere.
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Trovano un torrente che scorre in un cunicolo. Sentono il rumore dell’acqua al di là di una parete. Per trovare l’acqua devono picconare la parete. L’acqua che sgorga è fresca.
8 Cap. 14 Axel si è perso. Come fa lo zio a capire quanto distante si trova?
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Chiama a gran voce Axel. Calcola, grazie alla velocità del suono, quanto tempo impiega la voce ad arrivare ad Axel. Misura la distanza tra lui e Axel.
9 Cap. 16 Quale scherzo gioca l’immaginazione a Axel? Che cosa pensa di vedere?
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Alcuni dinosauri. L’evoluzione della vita sulla Terra dai dinosauri a ritroso fino alla nascita della Terra. L’evoluzione della vita sulla Terra dalla sua nascita fino alla comparsa dei mammut.
10 Cap. 16 Collega i nomi al disegno corretto. plesiosauro
ittiosauro
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11 Cap. 18 Dopo il nubifragio e dopo aver abbandonato la zattera, quale direzione indica la bussola?
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Sud
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Est
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Ovest
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Nord
12 Cap. 21 Alla fine, dopo essere tornati in Germania, si scopre che in realtà la bussola indicava:
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Sud
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Est
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Ovest
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Nord
13 Cap. 21 Che cosa spinge i protagonisti verso la superficie terrestre?
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Un terremoto. L’eruzione di un vulcano. Un fiume sotterraneo.
14 Piacerebbe anche a te fare un viaggio speciale? Dove vorresti andare? Racconta. .................................................................................................. .................................................................................................. .................................................................................................. .................................................................................................. .................................................................................................. .................................................................................................. ................................................................................................... ................................................................................................... ................................................................................................... ...................................................................................................