La costruzione della Tour Eiffel in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Incisione dell’epoca.
IN QUESTA UNITÀ
CAPITOLO 18
La civiltà industriale e il movimento operaio
» DATE CHIAVE
• 1886: brevetto della prima automobile
• 1892: fondazione del Partito socialista italiano
Temi di cultura e società Biglietto di sola andata: vite migranti
» CONCETTI CHIAVE
• innovazioni tecnologiche favoriscono la Seconda rivoluzione industriale
• urbanizzazione e migrazione sono i principali fenomeni sociali dell’epoca
• la questione sociale porta alla creazione di sindacati e alla fondazione di partiti socialisti
CAPITOLO 19
Le potenze europee alla fine dell’Ottocento
• 1878: Congresso di Berlino
• 1894: inizio dell’affaire Dreyfus
CAPITOLO 20
L’Italia dalla Sinistra storica alla crisi di fine secolo
Educazione finanziaria
Le autorità di tutela del risparmio
• 1896: sconfitta a Adua, in Etiopia
• 1898: repressione dei moti di Milano
• 1900: uccisione di Umberto I
Educazione Civica La tutela dei lavoratori
CAPITOLO 21
Colonialismo e imperialismo alla fine dell’Ottocento
• 1884-85: Conferenza di Berlino
• 1899-1902: Guerra anglo-boera in Sud Africa
• Inghilterra e Francia rafforzano i loro sistemi democratici, mentre la Russia resta uno Stato autoritario
• l’imperatore tedesco Guglielmo II intraprende una politica di potenza
• la Sinistra storica avvia l’industrializzazione nel Nord e cambia alleanze internazionali
• la crisi economica e sociale di fine secolo sfocia in proteste popolari duramente represse dalle autorità
• gli imperi coloniali delle grandi potenze raggiungono le massime dimensioni
• emergono nuove potenze imperialiste: Giappone e USA
LA CIVILTÀ INDUSTRIALE E IL MOVIMENTO OPERAIO 18
UNO SGUARDO D’INSIEME
Un’epoca di migrazioni dall’Europa
Nella carta è raffigurato il massiccio movimento migratorio a partire dall’Europa tra Ottocento e Novecento. Possiamo notare:
• il flusso maggiore, diretto verso l’America del Nord
• un flusso quasi altrettanto intenso verso l’America del Sud
• consistenti flussi anche verso il Sudafrica e l’Oceania
Flussi migratori dall’Europa
Con ni degli Stati attuali
IN QUESTO CAPITOLO
» PROCESSI
La carta mostra il processo di abbandono migratorio del continente europeo al culmine della Seconda rivoluzione industriale
» SNODI
I principali snodi di questo processo furono:
• svolgersi della «transizione demografica» in Europa → par. 3
• «grande depressione» del 1873-96 in Europa → par. 1
• politiche di accoglienza da parte dei Paesi extraeuropei → par. 3
» CONSEGUENZE
Tra le conseguenze socio-culturali ricordiamo:
• integrazione culturale tra extraeuropei ed europei → par. 3
• crescita demografica ed economica dei Paesi d’accoglienza → par. 3
• rimesse dall’estero verso l’Europa → par. 3
SCAFFALE DIGITALE
Per avviare lo studio
• Video: L’imperialismo e la Seconda rivoluzione industriale
Per studiare
• Glossario storico: Depressione, Capitalismo, Urbanizzazione, Sindacato; Migrante
• HUB Maps: L’emigrazione tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo; Scioperi e agitazioni in Europa nella seconda metà del XIX secolo
Per approfondire
• HUB Library: A. Oriani, Ode alla bicicletta; E. De Amicis, L’imbarco degli emigranti; Il programma della Seconda Internazionale socialista; Il Partito operaio italiano; 1° maggio: l’appello dei socialisti; A. Briggs, P. Burke, Dalla bicicletta all’automobile: invenzioni che funzionano; E.J. Hobsbawm, Verso un’unica classe lavoratrice
Per ripassare
• Sintesi audio
• Presentazione
Per l’autoverifica
• HUB Test
La Seconda rivoluzione
industriale: l’età dell’acciaio e dell’elettricità
› ANTEPRIMA PER CONCETTI CHIAVE
• Cominciata negli anni Settanta dell’Ottocento, la Seconda rivoluzione industriale si caratterizzò per importanti novità nel campo dei materiali (acciaio), dei trasporti (motore a scoppio), dell’intrattenimento (fotografia e cinema), delle telecomunicazioni (telefono e radio), dell’energia (elettricità). Tutto ciò ebbe un impatto senza precedenti sulla società occidentale.
• Questa evoluzione coincise con la cosiddetta prima «grande depressione» dell’economia, che si protrasse sino alla fine del secolo. Fu una crisi di sovrapproduzione, riguardò sia l’agricoltura sia l’industria, comportò chiusura d’aziende e licenziamenti in massa.
• Per uscirne gli Stati ricorsero al protezionismo. Al contempo, la nascita di grandi cartelli monopolistici ridusse la concorrenza e permise di abbassare i costi di produzione, mentre le banche intervennero in maniera massiccia facilitando la finanziarizzazione dell’economia.
Una nuova stagione di sviluppo industriale • Dagli anni Settanta dell’Ottocento iniziò una nuova fase del processo di industrializzazione che gli storici hanno definito Seconda rivoluzione industriale. Questo fenomeno sarebbe durato circa un secolo, ossia fin quando l’irruzione dell’elettronica avrebbe prodotto un nuovo radicale salto tecnologico nel quale siamo ancora immersi. In realtà, tra la prima e la seconda fase dell’industrializzazione non si registrò un cambiamento risolutivo, bensì un cambio di passo in termini qualitativi e quantitativi. Questa nuova stagione si caratterizzò per l’introduzione di numerose e straordinarie innovazioni nei materiali (acciaio, nuove molecole organiche prodotte attraverso sintesi artificiali), nelle forme dell’energia (elettricità), nella locomozione e nel trasporto (dalla bicicletta al motore a scoppio, che avrebbe mosso – e muove ancora – navi, moto, automobili e aerei), nelle telecomunicazioni (telegrafo senza fili, radio e telefono), nella stampa ad alta tiratura (linotype e rotativa) e nell’intrattenimento (prima la fotografia e poi il cinema). Tali innovazioni non soltanto modificarono profondamente i procedimenti produttivi e l’organizzazione del lavoro industriale, permettendo un ulteriore abbassamento dei costi di lavorazione, ma ebbero anche un impatto senza precedenti sulla vita quotidiana delle persone.
Un clima di generale ottimismo alimentò questa stagione di novità e di progresso che accompagnò l’evoluzione della nuova civiltà industriale e dell’umanità in genere. Un’atmosfera che, nel corso della seconda metà dell’Ottocento, segnò l’affermazione a livello europeo del movimento filosofico e culturale del positivismo
L’avvio della Seconda rivoluzione industriale coincise peraltro con la prima grave crisi di sovrapproduzione del capitalismo occidentale, che provocò effetti depressivi sui
LINEA DEL TEMPO
»1871
Antonio Meucci brevetta il telefono »1873
Inizia la «grande depressione» di fine secolo »1875 Fondazione del Partito socialdemocratico tedesco »1876
Alexander Graham Bell brevetta il telefono »1886
Carl Benz brevetta la prima «carrozza» a motore »1889 Fondazione della Seconda internazionale
volumi di lavorazione e gli scambi commerciali. La crisi – la prima «grande depressione» (in attesa di quelle del Novecento e del nuovo millennio) – si prolungò dal 1873 al 1896 e fu determinata da una sofferenza nel sistema finanziario e bancario.
La «grande depressione» del 1873-96 • Questa depressione cominciò, in Europa, dalla crisi delle campagne, che stavano conoscendo notevoli trasformazioni. Da un lato, erano già partiti dei fenomeni migratori verso la città, dove si erano organizzati i primi nuclei industriali e una conseguente attività di tipo terziario (legata cioè a tutti quei servizi di supporto alla produzione: dall’amministrazione ai trasporti). Questo non significa che la popolazione rurale diminuisse in termini assoluti: il Vecchio continente, infatti, stava conoscendo una notevole crescita demografica, per cui il saldo naturale tra nascite e morti compensava le perdite dovute all’emigrazione.
Quanti erano rimasti a lavorare la terra furono colpiti dalla crescente concorrenza dei generi alimentari extraeuropei, in particolare del grano statunitense e russo, agevolata dalla rivoluzione dei trasporti (con il passaggio dalla vela al vapore e lo sviluppo della ferrovia). Ciò permise alle merci prodotte in certi Paesi di raggiungere mercati anche molto lontani provocando un abbassamento dei prezzi e un eccesso di competizione economica al ribasso che mandò in rovina tantissimi piccoli e medi imprenditori agricoli.
La crisi si propagò ben presto dal settore agricolo a quello industriale, perché le imprese cominciarono a produrre più merci di quanto il mercato fosse in grado di assorbire sotto forma di consumi.
La convergenza di tre fattori determinò questa crisi di sovrapproduzione:
• anzitutto il progresso tecnologico che favorì l’incremento della produzione dei beni;
• in secondo luogo l’ascesa e l’egemonia economica conquistata da nuove potenze industriali come gli Stati Uniti e la Germania imperiale;
• infine l’abbondanza di manodopera che indusse gli imprenditori a tenere bassi i salari riducendo, quindi, il potere di acquisto degli operai, i quali producevano merci in eccesso perché non avevano i soldi sufficienti per comprarle.
Il calo della domanda generò l’abbassamento costante dei prezzi (secondo il fenomeno della deflazione), e la sovrapproduzione delle merci che rimanevano invendute nei magazzini provocò un’ulteriore diminuzione dei salari e licenziamenti di massa, con un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e un calo dei consumi.
La prima «grande depressione», insieme con le esigenze finanziarie determinate dalle trasformazioni della produzione industriale (vedi oltre), provocò tre grandi conseguenze nei principali Stati occidentali, che modificarono il volto del capitalismo moderno: • i governi scelsero la strada del protezionismo, che comportò l’innalzamento di dazi e barriere doganali per limitare l’afflusso di merci estere, così da difendere i prodotti nazionali, e un maggiore intervento dello Stato nell’economia con l’incremento delle commesse pubbliche;
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L’imperialismo e la Seconda rivoluzione industriale per contestualizzare i contenuti del capitolo.
GLOSSARIO STORICO
Depressione
Quante volte l’Occidente è stato colpito, in età contemporanea, da una depressione economica? Per saperlo, consulta il glossario digitale.
»1891
Enciclica Rerum novarum
»1892
• Rudolf Diesel brevetta un motore a nafta o diesel
• Fondazione del Partito socialista italiano
»1895
• Fondazione della Confederazione generale del lavoro francese
• Prime proiezioni cinematografiche dei fratelli Lumière
»1899
La casa farmaceutica Bayer mette sul mercato l’aspirina
»1900
Fondazione del Partito laburista inglese
GLOSSARIO STORICO
Deflazione
Il termine indica una riduzione del livello generale dei prezzi, cioè il fenomeno opposto a quello dell’inflazione. Si verifica in una fase di contrazione delle attività economiche, dei livelli di occupazione e delle capacità di spesa. I produttori abbassano i prezzi di vendita delle merci, ma ciò provoca un’ulteriore diminuzione dei profitti e dei salari, che si ripercuote su tutto il sistema economico.
»1901
Guglielmo Marconi effettua la prima trasmissione a onde radio
»1903
Primi esperimenti dei fratelli Wright nel volo aereo
GLOSSARIO STORICO
Finanziarizzazione
Il termine indica l’incremento d’importanza delle operazioni finanziarie rispetto ai processi produttivi. Nel linguaggio corrente si riferisce, in senso negativo, al prevalere di spregiudicati calcoli finanziari di tipo speculativo sulla cosiddetta «economia reale», basata sull’effettiva produzione di beni e servizi concreti.
• si crearono grandi cartelli monopolistici (trust, secondo il termine inglese) sia pubblici sia privati, prodotto della fusione di gruppi più piccoli. Questa tendenza alla concentrazione provocò l’aumento della dimensione delle fabbriche e del numero degli addetti con una modifica delle strutture produttive dei singoli Stati. In base al principio che l’unione fa la forza, si ridusse la concorrenza e si arginò la tendenza all’abbassamento dei prezzi in modo da consentire investimenti massicci che potessero finanziare la ripresa;
• si modificarono i rapporti tra l’industria e la banca con una maggiore finanziarizzazione dell’economia. I grandi investimenti pubblici e privati resero necessario raccogliere e capitalizzare il risparmio delle masse con una nuova forma di istituto di credito, la cosiddetta «banca mista», che funzionava sia come banca d’affari, che investiva nelle imprese nazionali e internazionali, sia come banca commerciale, in grado di mettere a profitto il risparmio diffuso della popolazione.
Il rapporto tra scienza, tecnologia e produzione • I cambiamenti della struttura economica e il rapporto sempre più stretto tra la ricerca scientifica, il progresso tecnologico e lo sviluppo della meccanizzazione contribuirono a generare un evidente cambiamento nel modello organizzativo della produzione industriale. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, infatti, si fece sempre più intensa l’integrazione tra la ricerca scientifica e lo sviluppo di nuovi brevetti. Nello stesso tempo, la pianificazione del lavoro operaio divenne oggetto di studio e di riflessione teorica, permettendo di adottare i modelli organizzativi più efficaci dal punto di vista produttivo. Di questa sinergia con la ricerca si avvantaggiarono soprattutto la siderurgia, la meccanica, la chimica e l’elettrotecnica, ambiti che conobbero in questo periodo uno sviluppo eccezionale.
Il successo dell’acciaio e le sue molteplici applicazioni • L’introduzione di nuovi metodi per la produzione dell’acciaio (una lega di ferro e carbonio, a basso contenuto di carbonio, con straordinarie possibilità di impiego per le sue doti di resistenza, leggerezza rispetto ad altri materiali, elasticità, duttilità e malleabilità, conducibilità termica) e la rapida diffusione di tale materiale, divenuto ben presto uno dei simboli della nuova fase industriale, rappresentò il segno più evidente del cambiamento avvenuto nel campo siderurgico. Nella seconda metà dell’Ottocento si misero a punto metodi di produzione più efficaci, meno costosi e di più semplice applicazione. In virtù delle sue caratteristiche materiali, l’acciaio sostituì rapidamente il ferro in numerose applicazioni industriali, dalle rotaie ferroviarie agli scafi navali, dagli armamenti alla meccanica di precisione, dall’edilizia agli utensili di uso quotidiano. Prese sempre più piede nelle industrie siderurgiche e la sua produzione subì una crescita continua e vistosa, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti d’America. Si passò da meno di centomila tonnellate annue (1850) a oltre ventotto milioni (1900) prodotte a livello mondiale.
Una nuova forma di energia: l’elettricità • L’energia elettrica costituì l’altro grande simbolo della Seconda rivoluzione industriale. Non si trattava di una nuova fonte energetica, quanto piuttosto di una diversa forma di immagazzinamento e di trasporto dell’energia.
Dopo un lungo percorso di ricerche e di osservazioni teoriche tra il Settecento e l’Ottocento, nella seconda metà dell’Ottocento si passò all’applicazione pratica con la nascita dell’elettrotecnica. Tra gli anni Settanta e Novanta del secolo si svilupparono alcune tecnologie fondamentali: la dinamo, il motore elettrico, le centrali termoelettriche e idroelettriche e la lampadina a incandescenza, grazie alle quali l’energia elettrica cominciò a essere spostata e utilizzata.
Si aprirono così ampi spazi di applicazione, dall’illuminazione pubblica e privata alla movimentazione meccanica, dalle telecomunicazioni al trasporto. Di conseguenza, si costruirono le prime reti elettriche per rifornire i centri urbani e per elettrificare le case, gli uffici e le fabbriche.
La chimica sintetica • Il settore chimico divenne un terzo campo di fondamentale sviluppo tecnologico. La sua importanza risiedette soprattutto nella possibilità di mettere a disposizione degli altri settori industriali, a basso costo, materiali e sostanze difficili da reperire in natura o addirittura del tutto nuovi.
Anche in questo caso, vi era alle spalle un lungo periodo di ricerche e di studi, tra il Settecento e l’Ottocento, durante il quale gli scienziati avevano osservato le reazioni chimiche presenti spontaneamente in natura. Lo sviluppo di conoscenze e di tecniche che permisero di controllare e di riprodurre artificialmente quei processi naturali in laboratorio determinò la svolta grazie alla quale sorse la chimica sintetica
In questo modo si poté perfezionare la produzione di sostanze inorganiche, fondamentali per numerose altre lavorazioni, come il carbonato di sodio, l’idrossido di sodio (la soda caustica) e l’acido solforico. Tra gli anni Cinquanta e Ottanta dell’Ottocento iniziarono, inoltre, nuove produzioni chimiche, legate soprattutto a molecole di natura organica: i coloranti artificiali, le sostanze esplosive (nitroglicerina e dinamite), i farmaci sintetici, le prime materie plastiche e la gomma vulcanizzata.
Nello stesso periodo, infine, prese avvio anche il settore elettrochimico che, attraverso l’elettrolisi (un processo che provoca trasformazioni chimiche grazie all’apporto dell’energia elettrica), consentì di lavorare sinteticamente sostanze importanti come l’alluminio, il cromo, il manganese e il cianuro.
La crescita del settore bancario • Questo rapido e articolato sviluppo tecnologico richiese investimenti sempre più ingenti in termini di infrastrutture e di ricerca scientifica. Tale necessità fu alla base dello sviluppo del sistema bancario e finanziario e della sua integrazione sempre più stretta con il capitalismo industriale.
Anzitutto, l’industria assunse nuove forme organizzative, in particolare mediante la costituzione di società di capitali, che permisero di raccogliere interessi e investimenti di provenienza diversa, suddividendo i rischi e i profitti. In tal modo, si aprirono larghi
Operai addetti al laminatoio in un’industria siderurgica francese. Dipinto di Ferdinand Joseph Gueldry della seconda metà del XIX secolo. Nimes, Museo di Belle Arti. GLOSSARIO STORICO Capitalismo Negli ultimi secoli il capitalismo ha dimostrato di saper sempre rinnovarsi e rinascere dalle proprie crisi: in che modo? Rispondi dopo aver consultato il glossario digitale.
spazi di partecipazione finanziaria e cominciò un coinvolgimento diretto delle banche. In particolare, ebbero un ruolo fondamentale le banche d’affari o d’investimento. Si trattava di imprese finanziarie specializzate nella raccolta di grandi capitali, che impegnavano nel settore industriale. Questi istituti operavano mediante l’erogazione di prestiti a lungo termine oppure attraverso la partecipazione azionaria diretta (ovvero compravano e detenevano azioni di imprese industriali); in entrambi i casi, essi acquisivano un ruolo di peso nella società che riceveva i loro capitali, e potevano farlo valere orientandone le scelte.
Entro la fine dell’Ottocento accanto a queste banche operarono sempre più sul territorio anche altre tipologie di istituti. Si diffusero le banche commerciali, le casse di risparmio o di deposito e, come abbiamo accennato in precedenza, le banche miste. Le prime due si rivolgevano al risparmio privato di piccole e di medie dimensioni, con filiali e sportelli sparsi sul territorio a livello urbano o rurale, mentre quelle miste presentavano una forma ibrida che guardava tanto ai piccoli quanto ai grandi investitori.
La borsa valori • Le borse valori esercitarono un ruolo rilevante per garantire una raccolta efficace di capitali e, nello stesso tempo, per proporre strumenti di investimento e di profitto. In particolare negli Stati Uniti queste strutture finanziarie scaturirono da un’evoluzione dei tradizionali mercati di contrattazione all’ingrosso dei prodotti agricoli, mentre in Europa, per esempio a Londra e Amsterdam, derivarono dal finanziamento delle spedizioni marittime e delle grandi compagnie commerciali sviluppatesi fin dal Basso Medioevo. Il loro scopo era la negoziazione di quote di capitale nelle società per azioni e di altri strumenti finanziari.
Tale sistema consentì una partecipazione più ampia e offrì anche ai piccoli e medi risparmiatori la possibilità di investire e di ricercare un profitto, che poteva essere capitalizzato grazie all’eventuale aumento di valore dei titoli azionari o attraverso la partecipazione ai profitti societari
La prospettiva di guadagni facili e apparentemente sicuri spinse un numero crescente di investitori a rischiare, impegnando la propria liquidità nell’acquisto di azioni. In tal modo, i ceti medi urbani riversarono sul mercato una massa considerevole di capitali finanziari mediante le principali sedi borsistiche del mondo (New York, Londra, Parigi e Berlino).
È da notare che la «grande depressione» di cui abbiamo parlato sopra fu annunciata da due crisi finanziarie. La crisi in Europa ebbe avvio alla Borsa di Vienna il 9 maggio 1873, quando un’ondata di panico spinse i risparmiatori a vendere le loro azioni per paura di perdere gli investimenti. Nel settembre 1873 toccò agli Stati Uniti, dopo il fallimento di una grande banca di New York che aveva concesso ingenti prestiti nel settore ferroviario, e da lì la crisi rimbalzò come un’onda tellurica verso la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, dimostrando l’interdipendenza economica e finanziaria ormai raggiunta dal sistema capitalistico.
› VERIFICA PER CONCETTI CHIAVE
• Quando ebbe inizio la Seconda rivoluzione industriale?
• Quali furono le principali innovazioni e in quali campi?
• Cosa si intende per «grande depressione»?
• Quali fattori innescarono e poi aggravarono la crisi dell’economia?
• Perchè gli Stati occidentali scelsero la via del protezionismo?
• In che modo la nascita dei trust cambiò il volto del capitalismo occidentale?
Verso la modernità 2
› ANTEPRIMA PER CONCETTI CHIAVE
• Negli ultimi decenni dell’Ottocento, il fenomeno dell’inurbamento portò le città europee e statunitensi a crescere e trasformarsi in vere e proprie metropoli. Ciò comportò un profondo cambiamento urbanistico, con la ridefinizione degli spazi cittadini secondo un piano regolatore, la costruzione di nuovi quartieri e l’introduzione di strutture come le stazioni ferroviarie o le centrali di polizia.
• Produssero i loro effetti sulla vita dei cittadini anche numerose invenzioni: l’automobile, il telefono, la radio, il cinema, la fotografia furono le più rilevanti. Non meno importanti furono le innovazioni in campo medico e farmaceutico: basti pensare all’aspirina, al chinino, agli anestetici e alle vaccinazioni.
Un mondo in trasformazione • Se avessimo la possibilità, con una macchina del tempo, di visitare una delle grandi città occidentali degli ultimi trent’anni dell’Ottocento, scopriremmo gli uomini e le donne di allora in preda a un certo smarrito stupore, accompagnato da un sentimento di ottimismo e di speranza nel futuro, per la quantità di oggetti, utensili, strumenti, mezzi nuovi e rivoluzionari («diavolerie» si sarebbe detto ieri come oggi) che stavano cambiando in profondità la loro vita di ogni giorno – la sfera materiale e quella dell’immaginario – nel campo della mobilità, della comunicazione, della cura di sé, dell’assistenza medica, del divertimento e dell’estetica. Per prima cosa era in via di mutamento lo spazio che li circondava, in una fase storica in cui le principali capitali europee si trasformarono in veri e propri cantieri a cielo aperto, assumendo la forma e l’organizzazione urbanistica che sarebbe durata sino ai nostri giorni.
L’accelerazione del processo di inurbamento • Negli ultimi decenni dell’Ottocento, in coincidenza con la seconda fase dell’industrializzazione, il processo di inurbamento, già ben avviato nella prima metà del secolo, subì un’evidente accelerazione e una sostanziale generalizzazione a gran parte del continente europeo e degli Stati Uniti d’America.
Questo fenomeno rappresentò una diretta conseguenza del complessivo aumento della popolazione. Tuttavia, i centri urbani e le grandi città crebbero con un ritmo nettamente più sostenuto rispetto a quello della popolazione in generale.
Ciò significa che, come abbiamo già segnalato (→ par. 1), si verificò anche un intenso fenomeno di migrazione dalle campagne verso le realtà urbane. La crisi delle campagne derivò, oltre che dalle difficoltà produttive, dalla crescente richiesta di manodopera operaia a causa dell’espansione del fenomeno industriale e dalle maggiori opportunità di lavoro offerte dallo sviluppo dei servizi (il settore terziario).
Tra il 1850 e il 1900 la popolazione urbana triplicò e il tasso di urbanizzazione, ovvero la misura di quanti vivono in città sul totale degli abitanti di uno Stato, arrivò al 30%, con punte di oltre il 50% negli Stati maggiormente industrializzati (Gran Bretagna, USA, Francia e Germania).
Per questa ragione sorsero le prime grandi metropoli (Londra, Parigi, Berlino, New York), che moltiplicarono rapidamente la loro popolazione, superando di gran lunga la soglia del milione di abitanti.
Inoltre, sia nei Paesi europei sia negli Stati Uniti la crescita interessò anche i centri medio-grandi, con un aumento generale del numero di città con più di centomila abitanti, che a inizio Novecento divennero oltre centocinquanta.
GLOSSARIO STORICO
Urbanizzazione
Che differenza c’è tra urbanizzazione e urbanesimo? Scoprilo grazie al glossario digitale.
GLOSSARIO STORICO
Piano regolatore
Progetto urbanistico che le amministrazioni locali predispongono per regolare l’uso del territorio, assegnando determinate destinazioni (residenziale, commerciale, industriale, agricola ecc.) alle varie zone e prevedendo le infrastrutture necessarie (dalle strade al verde pubblico).
Le città cambiano volto: l’urbanistica ottocentesca • L’espansione demografica dei centri urbani impose una rapida e vistosa trasformazione della struttura urbanistica, soprattutto nel caso delle grandi capitali. Come abbiamo visto per Parigi (→ cap. 15.2), il sovraffollamento e la richiesta crescente di alloggi resero necessaria la costruzione di nuovi quartieri, l’ampliamento dei confini della città e, in alcuni casi, l’assorbimento e l’annessione amministrativa dei comuni della cintura urbana fino ad allora autonomi, costituendo un ampio tessuto cittadino privo di interruzioni.
Le aree di campagna, che per secoli avevano resistito anche attorno alle grandi città, iniziarono a ridursi fagocitate dall’avanzamento dei nuovi edifici destinati a ospitare gli operai e le fasce più povere della popolazione.
Nel frattempo, i nuclei storici dei centri urbani vennero significativamente rimaneggiati, mediante appositi piani regolatori, con l’inserimento di larghi viali al posto delle strette strade di origine medievale, con l’eliminazione di interi quartieri, considerati fatiscenti e antiquati, per fare posto a forme edilizie più moderne, e con l’abbattimento parziale o totale delle mura difensive.
Inoltre, nel tessuto urbano più centrale, si introdussero nuove strutture e nuovi spazi che rispondevano alle esigenze di una società in forte cambiamento. Sorsero così stazioni ferroviarie, quartieri borsistici e affaristici, aree commerciali e parchi, palazzi a destinazione amministrativa come tribunali, prefetture, centrali di polizia e ministeri. Questa complessa espansione rese necessario adeguare anche le infrastrutture cittadine per garantire igiene, salubrità, sicurezza e mobilità. Di conseguenza si estese la rete fognaria, si avviarono le prime forme di raccolta dei rifiuti, si costruirono reti ferroviarie e tranviarie metropolitane, si istituì un sistema di trasporti con grandi carrozze (omnibus), si edificarono posti di polizia, presidi antincendio e ospedali più grandi.
Il motore a combustione interna e le innovazioni nel campo dei trasporti • Il nuovo decollo dell’urbanizzazione rappresentò uno dei segnali più evidenti dell’ingresso del mondo occidentale (Europa e Stati Uniti) nella cosiddetta «modernità». La grande città costituì il primo teatro di queste trasformazioni, stimolate da altre innovazioni tecnologiche introdotte nel corso della Seconda rivoluzione industriale. Senza alcun dubbio una delle invenzioni più rilevanti – anche perché destinata ad avere una vita molto lunga, dal momento che ancora oggi la nostra mobilità a motore
LE IMMAGINI DELLA STORIA
Londra: una folla di persone assiste all’inaugurazione della prima linea elettrica della London County Council Tramways, nel 1903.
Questa immagine ha circa 120 anni e ritrae un ambiente urbano molto diverso da quello attuale. Osservala e poi prepara una tabella in cui classificare le differenze tra ieri e oggi, ad esempio per ciò che riguarda i mezzi di trasporto, l’illuminazione pubblica, l’abbigliamento della gente.
dipende largamente da una tecnologia di impianto ottocentesco – fu quella del motore a combustione interna (che cioè incorpora il processo di combustione senza ricorrere a una caldaia esterna). Messo a punto per la prima volta da due ingegneri italiani nel 1853, questo sistema meccanico generava movimento a partire dalla combustione di gas o carburanti derivati dal petrolio.
Nei decenni successivi, gli ingegneri tedeschi Nicolaus August Otto e Rudolf Diesel svilupparono l’idea e brevettarono, rispettivamente, il motore ad accensione elettrica alimentato a gas (1876), poi adattato alla benzina, e il motore ad autoaccensione alimentato a nafta o diesel (1892).
All’inizio tali invenzioni servirono a movimentare i macchinari industriali oppure le eliche delle navi. Tuttavia, già nel 1886, Carl Benz brevettò una carrozza mossa da motore a combustione interna, molto più leggero e versatile di quello a vapore. Così, dai primi anni del Novecento si rese possibile avviare la produzione di veicoli terrestri motorizzati come camion, autovetture e motociclette
La diffusione di questi nuovi mezzi di locomozione privati avvenne a partire dalle classi più elevate e in modo graduale. La bicicletta, che soltanto a fine Ottocento avrebbe preso la forma rimasta poi attuale, restò a lungo il primo e più popolare mezzo di trasporto meccanico di massa nei piccoli borghi come nelle grandi città (→ S62).
Tra il 1903 e il 1908, infine, il nuovo motore permise anche l’inaugurazione del settore aeronautico, grazie ai primi voli sperimentali dei fratelli Wright
Dal telegrafo al telefono • L’intensificarsi degli studi sull’elettricità e sull’elettromagnetismo portò diversi ricercatori e inventori a mettere a punto, tra gli anni Cinquanta e Settanta dell’Ottocento, degli apparecchi in grado di trasmettere la voce umana via cavo. In pratica si trattava di un’evoluzione del telegrafo, ideato nella prima metà del secolo (→ cap. 12.1). La paternità dell’invenzione del telefono è stata a lungo discussa e contesa tra l’italiano Antonio Meucci e lo statunitense Alexander Graham Bell, i quali depositarono degli appositi brevetti rispettivamente nel 1871 e nel 1876.
Questa innovazione si diffuse rapidamente per sostituire il telegrafo via cavo presso gli uffici telegrafici e le stazioni ferroviarie, e nel giro di pochi decenni trovò applicazione anche nelle attività commerciali e nelle abitazioni private, trasformando in modo radicale la possibilità di comunicare a distanza.
Le radiocomunicazioni • Gli studi sull’elettromagnetismo permisero anche di sperimentare, nell’ultima fase dell’Ottocento, nuovi sistemi di comunicazione via etere, senza l’uso di cavi.
Dopo numerose prove, nel dicembre 1901 ancora un italiano, Guglielmo Marconi, riuscì a effettuare una trasmissione di onde radio dalle coste inglesi a quelle statunitensi, aprendo una nuova strada nel settore delle telecomunicazioni. Questa tecnologia si diffuse rapidamente permettendo nel giro di pochi anni lo sviluppo di due apparecchiature di grande impatto: il telegrafo senza fili e la radio.
Il primo entrò in uso già negli ultimi anni dell’Ottocento per le comunicazioni tra le isole e la terraferma e per permettere alle navi di restare in contatto con i porti, garantendo maggiore sicurezza nella navigazione. Dal cognome dell’inventore italiano si affermò la figura professionale del «marconista», un tecnico presente a bordo di tutte le grandi imbarcazioni.
La radiofonia, che permetteva la trasmissione a distanza non soltanto degli impulsi ma della viva voce umana, sarebbe stata sperimentata nei primi due decenni del Novecento in Europa e negli Stati Uniti.
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Lggi il testo di A. Briggs e P. Burke Dalla bicicletta all’automobile: invenzioni che funzionano e svolgi le attività proposte.
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Leggi il testo di A. Oriani Ode alla bicicletta e svolgi le attività proposte.
Il pubblico assiste divertito a una delle prime proiezioni cinematografiche dei fratelli Lumière, a Parigi. Manifesto realizzato da Marcellin Auzolle nel 1896.
La fotografia e il cinema • Lo sviluppo delle conoscenze nel campo della chimica, dagli anni Settanta dell’Ottocento in poi, consentì un notevole salto di qualità alla tecnologia fotografica. La possibilità di imprimere un’immagine per azione della luce era conosciuta già dagli anni Trenta e aveva permesso la nascita della fotografia come forma artistica riservata alle illustrazioni dei libri o alla ritrattistica.
Nel 1871 si mise a punto una nuova tecnica che consentì uno sviluppo dell’immagine più rapido ed economico, aprendo la strada alla fotografia di massa a livello industriale. Negli anni Ottanta si diffusero i primi apparecchi fotografici portatili dotati di pellicola, permettendone l’uso a livello dilettantistico e giornalistico. Sorse così la cosiddetta «civiltà dell’immagine», basata sempre di più sull’impatto mediatico e comunicativo della fotografia, strumento in grado di fissare avvenimenti pubblici o ricordi personali. Le ricerche sulla pellicola favorirono il progresso anche di un’altra tecnologia dell’immagine fondamentale nel campo artistico, comunicativo e dell’intrattenimento: il cinema. Nel 1895 i fratelli francesi Louis e Auguste Lumière, dopo che nel 1889 era stato messo a punto il primo sistema per visionare una pellicola continua, effettuarono una proiezione pubblica con il cinematografo di loro invenzione. Si trattava del primo apparecchio in grado di riprendere, stampare e proiettare filmati continui. Le immagini, da fisse quali erano sempre state, ora si mettevano in movimento e ciò rappresentò una sfida per tutte le forme tradizionali di comunicazione e di produzione artistica.
La ricerca teorica e la pratica in campo medico • In questi anni la vita quotidiana di milioni di esseri umani migliorò anche per l’introduzione di nuove cure. La Seconda rivoluzione industriale, infatti, coincise con un periodo di forti innovazioni e progressi anche nel campo della ricerca medica, della pratica clinica e delle tecnologie terapeutiche. Le conoscenze teoriche sulle patologie umane si ampliarono significativamente grazie allo sviluppo della ricerca nel campo microbiologico. Con l’ausilio di microscopi sempre più avanzati, Louis Pasteur, Robert Kock, Hans Gram e Rudolf Virchow realizzarono nuovi importanti studi sui batteri, individuandone meglio le caratteristiche specifiche e migliorando le possibilità di contrastare alcune gravi malattie infettive allora largamente diffuse. Da queste ricerche si svilupparono la patologia generale e la medicina scientifica Negli ultimi anni del secolo, inoltre, si fecero passi in avanti nella conoscenza dei virus e si misero a punto nuove vaccinazioni, tra le quali, per esempio, quella antirabbica. Infine, si consolidarono le nozioni relative ai processi di fermentazione e di sterilizzazione, con la possibilità di rendere più efficaci le tecniche di conservazione dei cibi e delle bevande.
Nascita e sviluppo della chimica farmaceutica • Lo sviluppo della chimica permise anche di individuare, di sperimentare e di produrre sinteticamente alcune sostanze in grado di curare determinati sintomi o di alleviarne il dolore.
Un campo importante fu quello degli studi sull’acido salicilico e il chinino, due antipiretici naturali. L’acido salicilico iniziò a essere prodotto sinteticamente dal 1875 e, a fine secolo, l’azienda tedesca Bayer riuscì a combinarlo con l’acido acetico, generando l’acido acetilsalicilico. Questa nuova molecola permise la produzione dell’aspirina, un farmaco dotato di numerose proprietà terapeutiche messo in commercio nel 1899 e destinato a una straordinaria fortuna.
Il chinino, tratto dall’albero della china e importato in Europa dal Perù grazie ai missionari gesuiti nel corso del Seicento, si rivelò efficace contro una malattia endemica come la malaria, diffusa nelle zone acquitrinose e paludose infestate dalla zanzara anofele e con un elevato tasso di mortalità.
Gli anestetici generali e locali costituirono un altro settore di ricerca e di sviluppo della farmaceutica ottocentesca. Nel 1860 si isolò la cocaina (il principio attivo contenuto nelle foglie di coca, una pianta originaria del Sud America), usata come anestetico locale, mentre alla metà del secolo entrarono in uso l’etere etilico, il cloroformio e due derivati dell’oppio, la morfina e la codeina. Tutte queste sostanze anestetiche resero più semplici ed efficaci le attività chirurgiche (dai più comuni interventi odontoiatrici alla cura delle ferite da arma da fuoco e da taglio, alle amputazioni) e i parti, alleviando il dolore dei pazienti e migliorando la percezione sociale nei riguardi della chirurgia, che assunse un rilievo maggiore.
La Seconda rivoluzione
industriale
l’inurbamento e la trasformazione delle città
nuovi mezzi di trasporto (automobile) e comunicazione (telefono)
nuove forme di intrattenimento (fotografia, cinema)
un cambio radicale nelle abitudini di vita degli occidentali
protagonisti della nuova «civiltà dell’industria»
› VERIFICA PER CONCETTI CHIAVE
• Che cosa causò il forte inurbamento di fine Ottocento?
• Come si trasformò la struttura urbanistica delle città?
• Quali conseguenze ebbe l’invenzione del motore a scoppio?
• Chi erano Antonio Meucci e Alexander Graham Bell?
• Quali furono i miglioramenti in campo medico?
• Perché il chinino ebbe tanta importanza? favorisce introduce diffonde provocando che diventano sviluppa
IMPARA CON L’IA Prova il prompt
Chiedi a un chatbot: «Compila una tabella sulle cinque principali innovazioni tecnologiche di fine Ottocento, specificando gli ambiti di applicazione e perché furono importanti».
Valuta la risposta del chatbot: le invenzioni riportate nella tabella sono menzionate anche nel paragrafo che stai studiando? Prova quindi a integrare la tabella aggiungendo almeno un’altra innovazione.
Quali sono i rapporti tra Seconda rivoluzione industriale e modernità?
nuovi farmaci e cure in campo medico
EUREKA! INVENZIONI RIVOLUZIONARIE
TRASPORTI
IL MOTORE A SCOPPIO
Arriva l’automobile!
L’automobile fu inventata alla fine del XIX secolo. Nell’Ottocento si erano diffusi i treni e le ferrovie, ma gli spostamenti su strada rimanevano lenti e difficoltosi. Quando entrarono in commercio le prime automobili non tutti le apprezzarono, a causa della loro pericolosità, del rumore e del puzzo che le accompagnava. Nel giro di pochi decenni, tuttavia, divennero il mezzo di locomozione più diffuso al mondo perché consentiva di spostarsi in tempi rapidi e in completa autonomia. Le auto hanno trasformato la nostra vita quotidiana, le nostre abitudini e il nostro rapporto con l’ambiente.
Conseguenze socio-culturali del nuovo mezzo di trasporto
• Dall’inizio del Novecento l’auto è diventata protagonista in letteratura e in arte, grazie ad esempio ai futuristi, che la mitizzarono come simbolo del progresso, esaltandone la velocità e la modernità.
• Assieme ai vantaggi, la motorizzazione ha portato grandi problemi: l’inquinamento (secondo l’Agenzia europea dell’ambiente i trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni di CO2 in Europa) e la congestione del traffico
• Nel Novecento l’auto è diventata alla portata di tutti, grazie alla diffusione delle utilitarie, automobili di piccola cilindrata e prezzi contenuti. Le prime utilitarie furono messe in vendita negli anni Trenta dalla tedesca Volkswagen («macchina del popolo») e dall’italiana Fiat, che produsse la «Topolino».
IL MOTORE A SCOPPIO E LE PRIME AUTOMOBILI
1876: Alla base del funzionamento dell’automobile ci fu l’invenzione del motore a scoppio (o a combustione interna), capace di trasformare in energia meccanica l’energia termica di un processo di combustione, utilizzando come fluido motore i prodotti stessi della combustione. Il motore a scoppio fu inventato dal francese Étienne Lenoir che, intorno al 1860, lo installò su un triciclo. Aveva però il difetto di surriscaldarsi, con il rischio di bloccarsi. Nel 1876 il tedesco Nicolaus August Otto – commesso viaggiatore e meccanico – inventò un motore a combustione interna a quattro tempi, che utilizzava l’energia del gas. I primi motori alimentati a benzina risalgono al 1886, e furono opera dei tedeschi Gottlieb Daimler e Karl Benz
IL COMBUSTIBILE
1892: I primi motori erano ancora alimentati dal vapore, ma in breve tempo i combustibili più utilizzati furono sostanze derivate dal petrolio, soprattutto benzina e gasolio (come nel caso del motore inventato da Rudolf Diesel nel 1892). Il decollo dell’industria automobilistica portò a un sempre più esteso utilizzo del petrolio: oggi circa il 90% di tutti i trasporti e il 95% dei prodotti in commercio richiedono l’utilizzo di questa miscela, con pesanti e negative conseguenze sull’ambiente.
Linea del tempo TRASPORTI
Strumenti di navigazione: bussola, astrolabio, sestante
La proiezione di Mercatore (1569)
Navi a vapore (1807 ca.)
Treno (1825)
BACHECA
Approfondisci la storia dei trasporti con ulteriori spunti.
LE GARE AUTOMOBILISTICHE
1894: Subito dopo l’applicazione del motore a scoppio su un’automobile iniziarono le gare automobilistiche, che ebbero grande risonanza e servirono a pubblicizzare il nuovo mezzo di trasporto. La prima gara di «carrozze senza cavalli» fu, nel 1894, la Parigi-Rouen (17 delle 21 macchine che vi parteciparono andavano a benzina), percorsa in 6 ore e 48 minuti a una media di 18,53 km/h. Nel 1907 una vettura italiana raggiunse in due mesi Parigi, partendo da Pechino, dopo un viaggio di 16.000 chilometri.
LE INFRASTRUTTURE E L’ASFALTO
AUTO «ECOLOGICHE»
XX SECOLO: Grande importanza nel processo di motorizzazione ebbe lo sviluppo di infrastrutture adeguate alla circolazione delle automobili. Le strade di fine Ottocento erano sterrate e le auto si muovevano con difficoltà per la polvere, le buche e il fango. La copertura delle strade fu perfezionata tra Ottocento e Novecento grazie all’uso dell’asfalto, che permise una pavimentazione solida e scorrevole. Nel XX secolo la rete stradale si diffuse enormemente, con superstrade e autostrade che hanno reso più veloci e sicuri i trasporti.
Il motore a scoppio e le prime automobili (1853/1886)
Aereo (1903)
Sottomarino nucleare (1954)
XXI SECOLO: Negli ultimi decenni l’uso di benzina e nafta come combustibili per le auto è stato messo in discussione. Sono stati così proposti progetti di auto elettriche (le prime furono costruite già nel XIX secolo, poi abbandonate) e di auto ibride (dotate di due motori, uno a benzina o gasolio, l’altro elettrico), ma si stanno cercando anche carburanti meno inquinanti, come l’idrogeno e l’energia solare. Esistono poi progetti di auto che non prevedono alcun intervento del guidatore.
Container (1956)
Razzi per l’esplorazione spaziale (1957)
Auto elettriche
Aerei a idrogeno (2016)
HUB LIBRARY
Leggi il testo di E. De Amicis L’imbarco degli emigranti e svolgi le attività proposte.
Le grandi emigrazioni transoceaniche 3
› ANTEPRIMA PER CONCETTI CHIAVE
• A fine Ottocento, l’Europa contava circa 400 milioni di abitanti. Nonostante la recente crescita economica, si creò un notevole squilibrio tra risorse disponibili e popolazione. A compensarlo fu una massiccia ondata migratoria: tra 1850 e 1915 oltre 60 milioni di persone abbandonarono l’Europa, dirette in altri continenti.
• Meta principale furono le Americhe. Terra di partenza furono soprattutto l’Italia, l’Irlanda e la Germania. All’estero, i nuovi arrivati costituirono comunità coese e solidali, impegnate a integrarsi nel Paese d’accoglienza senza per questo perdere le proprie radici e spesso circondate dall’ostilità dei residenti.
Le conseguenze della transizione demografica in Europa • Il continente europeo fu interessato, sin dalla seconda metà del Settecento, da una nuova tappa della cosiddetta «transizione demografica», un’espressione utilizzata dagli studiosi per indicare il passaggio graduale e progressivo da una situazione demografica caratterizzata da alti livelli di natalità e di mortalità a un’altra contraddistinta, al contrario, da bassi livelli delle nascite e dei decessi (→ par. 4.1).
L’avvio di tale transizione dipese soprattutto dalla diminuzione del numero dei morti, in particolare a livello infantile, e dunque all’allungamento delle prospettive di vita per ragioni diverse tra cui la scomparsa della peste, i progressi agricoli con conseguente aumento delle risorse alimentari, il miglioramento delle condizioni igientiche nelle città. La diminuzione della mortalità unita a un tasso di natalità che rimase alto determinarano un continuo aumento della popolazione, a ritmi sempre più intensi.
Nel corso dell’Ottocento, la popolazione europea aumentò più del doppio (circa il 115%) e arrivò a superare, all’inizio del Novecento, quota 400 milioni, pari a un quarto di quella mondiale. Tale risultato si raggiunse anche grazie al contemporaneo aumento della speranza media di vita che, grazie ai progressi compiuti nella medicina, passò nell’arco del secolo da 35 a 50 anni.
Nonostante la crescita economica promossa dalla Rivoluzione industriale, un aumento demografico tanto rapido e pronunciato finì per provocare squilibri in termini di disponibilità di lavoro, distribuzione della ricchezza, accesso alle risorse primarie e tenore medio di vita.
Le principali aree di emigrazione e immigrazione • Per contrastare gli effetti negativi della crescita demografica e garantire migliori condizioni di vita e di lavoro, tanto più in una fase critica per l’economia e in modo particolare per quella rurale (→ par. 1), in alcune aree d’Europa si mise in moto un massiccio processo migratorio, che probabilmente ha rappresentato il più grande movimento di popoli della storia dell’umanità.
Rispetto ai secoli precedenti, l’intenso sviluppo dei mezzi di trasporto e una più capillare circolazione di informazioni e di notizie tra le diverse zone del pianeta resero più accessibile e agevole questa possibilità. Si aggiungeva una circostanza da tenere ben presente: le frontiere erano aperte perché la libera circolazione delle merci su scala globale era coerentemente accompagnata dal libero movimento degli esseri umani, spesso incentivato dagli stessi governi.
I processi migratori interessarono le aree europee coinvolte con maggiore ritardo dall’industrializzazione, che disponevano di minori risorse finanziarie e naturali, di
margini di sviluppo inferiori e dove la crisi delle condizioni di vita nelle campagne non aveva ancora trovato uno sbocco coerente nelle nuove realtà urbane, industriali e terziarie.
I flussi furono intraeuropei ed extraeuropei, ma le migrazioni transoceaniche costituirono senza dubbio il fenomeno più sorprendente. Interessarono quasi tutti gli Stati europei ma, in modo particolare, l’Italia, l’Irlanda e la Germania. La meta di emigrazione di gran lunga privilegiata furono gli Stati Uniti d’America, che beneficiarono di un ulteriore margine di crescita demografica grazie all’apporto proveniente dall’Europa. È stato calcolato che tra la metà dell’Ottocento e il primo quindicennio del Novecento circa 35 milioni di europei emigrarono negli Stati Uniti e 5 in Canada. A questi, si aggiunsero oltre 12 milioni di persone che si recarono in America meridionale (Brasile e Argentina) e oltre 5 in Australia e Nuova Zelanda. Il totale delle migrazioni transoceaniche sfiorò quindi i 60 milioni di persone in circa settant’anni.
Il Paese europeo che in proporzione alla popolazione ebbe più migranti fu l’Irlanda, abbandonata da oltre due milioni di abitanti nel periodo successivo alla «grande carestia» degli anni 1845-49, dovuta alla distruzione di gran parte del raccolto di patate a causa di un fungo infestante (→ cap. 13.1).
Le migrazioni transoceaniche (1821-1920)
Canada
Stati Uniti
California
oceano Pacifico
1,7 milionidi scandinavi
4,1 milioni di irlandesi
12,7 milioni di inglesi
5 milioni di tedeschi
2 milioni di italiani
2 milioni di russi verso gli Stati Uniti
33, 6 milioni tra 1821 e 1920 oceano
Emigrazione dall’Europa
Emigrazione dall’India
Emigrazione dalla Cina
Emigrazione dal Giappone
HUB MAPS
Esplora la carta L’emigrazione tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e svolgi le attività proposte.
Giappone Siam Birmania
oceano Pacifico
oceano Atlantico
2 milioni di inglesi verso
Australia e Nuova Zelanda
La carta riproduce i flussi migratori globali nel corso dell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento:
1. la popolazione di gran lunga più mobile fu quella europea: a milioni si spostarono da Germania, Italia, Irlanda, Scandinavia, Regno Unito, Russia verso, in particolare, Stati Uniti e America meridionale, ma anche, in misura minore, verso Australia e Nuova Zelanda; 2. in Asia l’emigrazione interessò i Paesi più popolosi: gli indiani si spostarono in Sud Africa, a Mauritius e nel Sud-Est asiatico; i cinesi andarono in Indocina e negli Stati Uniti; i giapponesi verso la costa occidentale degli Stati Uniti; 3. il continente americano fu la destinazione principale dei migranti, tanto che i soli Stati Uniti ne accolsero circa 33,6 milioni tra 1821 e 1920, con enormi benefici in termini di crescita demografica e sviluppo economico.
GLOSSARIO STORICO
Rimesse
Le «rimesse dall’estero» sono i trasferimenti di denaro che un lavoratore straniero effettua dal Paese in cui si trova verso il Paese d’origine, a beneficio di familiari, parenti o amici. Hanno una grande importanza economica, a livello individuale e anche per il bilancio degli Stati, dato che vengono registrate nella bilancia dei pagamenti.
Anche in Italia i flussi migratori ebbero un rilievo enorme, con un contributo eccezionale dell’Italia meridionale e delle regioni settentrionali del Veneto e del Friuli: negli ultimi decenni dell’Ottocento partirono complessivamente oltre cinque milioni di residenti. Un fenomeno migratorio che assunse le proporzioni di un esodo, soprattutto se confrontato con le cifre del censimento del 1900, secondo cui la popolazione italiana ammontava a circa 33 milioni. Le molteplici ragioni che spinsero queste masse di persone a lasciare i propri affetti e la propria terra e a intraprendere lunghi viaggi, durante i quali molti trovavano la morte prima di arrivare a destinazione, per andare incontro all’ignoto sono ben sintetizzate nelle parole attribuite a un emigrante italiano del XIX secolo: «Cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa di infelici? Piantiamo grano, ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere del proprio lavoro?» (C. Ianni). Le comunità all’estero tra razzismo, integrazione e conservazione delle radici • Il massiccio flusso migratorio contribuì ad alleggerire la pressione demografica in Europa e, nello stesso tempo, agevolò il processo di sviluppo economico e di insediamento umano in aree ancora poco sfruttate, come il continente americano e quello oceanico. Il progressivo arrivo di individui e di famiglie provenienti dallo stesso Paese o dalla stessa regione favorì la formazione di comunità solidali che occupavano specifici quartieri nelle città di accoglienza. La presenza di tali comunità a sua volta agiva come elemento per attrarre ulteriore immigrazione della medesima origine, dal momento che garantiva un minimo di accoglienza e assistenza. Infatti, l’unico punto di forza dello straniero era la «catena migratoria», ossia la rete di familiari, amici, compaesani e connazionali che, avendo già vissuto l’esperienza dell’esodo, erano in grado di guidare i nuovi arrivati in ogni fase dell’espatrio e di facilitarne l’inserimento nel nuovo Paese.
La dimensione di ogni comunità variava molto a causa della convivenza tra l’immigrazione temporanea e quella definitiva. In molti casi si spostavano soltanto i capifamiglia con l’intento di guadagnare il più possibile, inviare le rimesse in patria e, dopo un certo numero di anni, rientrare nei luoghi di origine. In altri casi, invece, migrava l’intero nucleo familiare oppure avveniva un ricongiungimento successivo e, allora, era più facile che la scelta di trasferirsi diventasse definitiva.
Le difficoltà di inserimento per i neo immigrati erano molteplici: rifiuto razzista e xenofobo, generica diffidenza nei riguardi dello straniero, differenze di lingua, religione, tradizioni, cultura, legislazione e sistema istituzionale. Le comunità di conterranei garantivano possibilità di assistenza anzitutto per il lavoro e l’alloggio e, nel contempo, permettevano di ritrovare un ambiente conosciuto e familiare. Vi era, infatti, la tendenza a una significativa conservazione e ripetizione dei caratteri originari del Paese e della regione di provenienza (→ S63), con una gelosa difesa delle proprie radici, un riflesso identitario conseguenza di un ambiente estraneo e il più delle volte avverso. Questo forte conservatorismo da parte delle comunità di migranti ne rese ancora più difficile l’integrazione con la popolazione locale e creò un clima di ostilità, che spesso sfociava in episodi di violenza, con i migranti di altre nazionalità.
Dal canto loro, i residenti percepirono gli immigrati come una minaccia per il benessere che avevano acquisito. Anche all’interno del movimento operaio organizzato la diffidenza superò spesso la solidarietà, dal momento che gli immigrati erano considerati disposti a lavorare a qualsiasi condizione, e quindi una minaccia per i diritti conquistati dai lavoratori locali. Allo stesso modo, le autorità dei Paesi d’accoglienza agirono frequentemente con forte pregiudizio verso i nuovi arrivati, di cui pure spesso avevano
incentivato l’ingresso. Un caso emblematico fu quello di Ellis Island, la «porta d’ingresso» negli Stati Uniti a partire dal 1892. Ellis Island è un’isola situata nella parte alta della baia di New York dove gli immigrati, al termine del lungo viaggio transoceanico, venivano sottoposti a visite mediche per accertarsi che non avessero disabilità fisiche o mentali. Dopo avere superato la selezione medica, erano fotografati e registrati in un apposito ufficio e solo allora potevano iniziare la loro avventura sul suolo americano. Si calcola che Ellis Island abbia accolto oltre 12 milioni di immigrati provenienti da tutto il mondo tra il 1892 e il 1954, anno in cui questa stazione di ispezione venne chiusa. Oggi vi si trova l’Ellis Island Immigration Museum, che testimonia e racconta le storie di milioni di persone che tra il XIX e il XX secolo lasciarono la fame, la miseria, la guerra, alla ricerca disperata di una terra in cui realizzare i propri sogni (→ S61).
S61 | J. Baur, L’immigrazione è un’esperienza socialmente unificante?
Nel testo proposto, lo storico e curatore museale Joachim Baur prende in esame tre musei dell’immigrazione (New York, Halifax e Melbourne) e spiega come e perché questi presentino il fenomeno migratorio come elemento unificante per i Paesi di destinazione.
Nel rappresentare l’immigrazione come esperienza socialmente unificante, i musei costruiscono un Meistererzählung 1 della migrazione e in questo modo lavorano alla revisione della imagined community 2 della nazione. Da impulso per la messa in discussione della nazione, il fenomeno essenzialmente transnazionale della migrazione diventa il principio della sua costituzione narrativa.
Punto di partenza di questa argomentazione è una problematica dibattuta da John Tunbridge e Gregory Ashworth definita con l’espressione “heritage dissonance” 3. Con un’attenzione particolare al contesto canadese, essi espongono le difficoltà emergenti nella società di insediamento, tra cui anche Stati Uniti e Australia, relativamente alla costruzione di un’identità nazionale basata sulla storia e sul patrimonio culturale. La situazione di base è una profonda frammentazione in heritage identities in cui, idealmente, si contrappongono tre gruppi sociali, anch’essi frammentati. Da un lato vi sono le cosiddette società dei Padri Fondatori, che tradizionalmente dominano il racconto nazionale e pongono i miti delle origini. In epoca più recente queste vengono contestate soprattutto su due fronti: da un lato dalla popolazione autoctona che spinge per il riconoscimento della propria visione della colonizzazione del paese, per l’ammissione dei crimini coloniali e, non ultimo, per il risarcimento materiale; dall’altro, dagli immigrati di epoca successiva e dai loro discendenti che vogliono vedere rispettato il proprio patrimonio culturale e la loro storia accolta nel Meistererzählung nazionale. […].
L’istituzione di un nuovo museo dell’immigrazione può essere quindi intesa come risposta a questa situazione e come tentativo di un suo parziale appianamento, poiché […] la caratteristica principale del museo consiste nel rappresentare la storia dell’immigrazione come racconto globale e in grado di creare integrazione.
(da J. Baur, Il museo dell’immigrazione, in “Nuova museologia”, 22, 2010, pp. 2-8)
› VERIFICA PER CONCETTI CHIAVE
• Che cosa si intende con «transizione demografica»?
• Quanti europei abbandonarono il Vecchio continente tra 1850 e 1914?
• Perché il processo migratorio interessò in particolare Paesi come Italia e Irlanda?
• Quali erano le condizioni di vita degli immigrati nei Paesi d’accoglienza?
1. In inglese master narrative, cioè una rappresentazione storica coerente e univoca.
2. «Comunità immaginata», intesa come fondamento della nazione.
3. Eredità, tradizioni o memorie contrapposte, dissonanti.
EUREKA!
INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
TELEGRAFO
E TELEFONO
Comunicare a distanza e in tempo reale
Nella storia dell’umanità da sempre si sono cercati sistemi per comunicare a distanza informazioni relative agli affari di Stato o agli scambi commerciali, ordini agli eserciti, articoli di giornale, notizie ai familiari. Fino alla metà dell’Ottocento, però, i messaggi impiegavano molto tempo per arrivare a destinazione. Il servizio postale funzionò dapprima con i cavalli, poi col treno o con le navi. Grazie a telegrafo e telefono fu possibile comunicare direttamente a distanza, in tempo reale, anche senza trovarsi nello stesso luogo. Fu una svolta epocale.
Conseguenze dell’uso di telegrafo e telefono
• La messa in opera di connessioni via cavo, terrestre e sottomarina, rese possibile collegare i vari continenti, dapprima con il telegrafo e il telefono, poi con le reti telematiche.
• Nel corso del Novecento il telefono divenne uno status symbol. Negli anni Duemila, anche possedere uno specifico modello di smartphone rappresentò il segno tangibile di una determinata condizione sociale.
• La diffusione dei cellulari e degli smartphone ha cambiato radicalmente il nostro modo di relazionarci e di vivere, grazie alle loro molteplici funzioni e alla possibilità di accedere velocemente a una gran mole di informazioni. La nostra vita passa sempre di più dall’uso di questi strumenti, in un contesto in cui siamo sempre connessi e sempre reperibili e in cui diminuisce la privacy. Inoltre, diminuiscono i contatti diretti, con rischi di isolamento sociale.
IL TELEGRAFO E L’ALFABETO MORSE
1836 Il telegrafo, un dispositivo che trasmette a distanza, sotto forma di impulsi elettrici, segnali corrispondenti alle lettere dell’alfabeto, fu una delle prime invenzioni a utilizzare l’elettricità. Diversi scienziati parteciparono alla sua realizzazione e nel 1836 l’americano Samuel Morse ne fabbricò il primo esemplare: la trasmissione si basava su un codice (l’alfabeto Morse) i cui segnali sono costituiti da emissioni brevi (punti) e lunghe (linee) intervallate; una determinata serie di punti, linee e intervalli corrisponde a un carattere. Le linee telegrafiche si svilupparono parallelamente a quelle ferroviarie in quanto il nuovo apparecchio era in grado di trasmettere, in tempo reale, le informazioni necessarie per i movimenti dei treni.
IL TELEFONO, TRA MEUCCI E BELL
1871 Il telegrafo permetteva una comunicazione scritta, non ancora una conversazione in tempo reale questa si dovette attendere il telefono, che con sentì di «portare la voce a distanza». La pa ternità di questa invenzione è contesa tra l’italiano Antonio Meucci e lo scozzese, na turalizzato statunitense, Alexander Graham Bell, che presentarono due brevetti di apparecchi simili, rispettivamente, nel 1871 e nel 1876. Fu solo il secondo a godere dei profitti dell’invenzione, dando vita alla prima compagnia telefonica.
Stampa a caratteri mobili (1450 ca.)
(1836)
Telefono (1871-76)
BACHECA
Approfondisci la storia di informazione e comunicazione con ulteriori spuntti.
L’EVOLUZIONE DELL’APPARECCHIO
XX SECOLO Il telefono si diffuse velocemente (alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento negli USA si contava già un milione di apparecchi), inizialmente in banche, fabbriche, uffici pubblici, poi anche nelle case private. I primi telefoni erano di legno, pesanti e ingombranti, ed erano composti di due parti, un ricevitore e un microfono; inoltre, c’era bisogno di un centralino per smistare le chiamate e mettere in collegamento gli utenti. Poi divennero più leggeri, più pratici e più affidabili e ricevitore e microfono furono uniti in un unico apparecchio. A lungo la loro collocazione nelle case fu obbligata: erano appesi al muro, spesso nel corridoio, là dove era possibile collegarli alle linee; per farli funzionare si faceva ruotare una corona numerata.
LA TELEFONIA MOBILE
ANNI NOVANTA Negli anni Novanta del secolo scorso l’era del «telefono fisso» iniziò a declinare: inizialmente nelle case comparvero i cordless, apparecchi senza fili che potevano essere portati nelle varie stanze. Poi si diffusero i telefoni cellulari (il primo prototipo è del 1973, il primo apparecchio in commercio del 1983), dapprima apparecchi ingombranti e pesanti, dotati di antenne estraibili, poi sempre più sofisticati e più piccoli, i cui collegamenti sono assicurati da satelliti. Ma la vera svolta si ebbe con l’invenzione dello smartphone (il «telefono intelligente», commercializzato nel 1993), che combina le funzioni di un cellulare con quelle di un computer palmare grazie a un’interfaccia touch screen: oltre a telefonare, si possono fare fotografie, ascoltare musica, navigare in Internet, inviare messaggi, leggere libri in pdf, consultare mail.
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Esplora la carta Scioperi e agitazioni in Europa nella seconda metà del XIX secolo e svolgi le attività proposte.
Il movimento operaio e il cattolicesimo sociale in Europa 4
› ANTEPRIMA PER CONCETTI CHIAVE
• Nella seconda metà dell’Ottocento i lavoratori di tutta Europa si organizzarrono in associazioni che, non appena la legge lo consentì, confluirono in grandi sindacati nazionali, come la Confederazione generale del lavoro francese.
• Nel contempo nacquero i partiti di ispirazione marxista, primo dei quali il Partito socialdemocratico tedesco. Obiettivo comune era sostenere le rivendicazioni operaie, ma costante fu ovunque il dibattito tra minimalisti, fautori di una linea gradualista e parlamentare, e massimalisti, fautori della rivoluzione e della dittatura del proletariato.
• Una strada parallela venne percorsa dal movimento sociale di ispirazione cristiana, guidato dalla nuova apertura della Chiesa cattolica alla modernità. Il sindacalismo cattolico rifiutò il marxismo e sostenne il solidarismo interclassista.
Le origini delle organizzazioni sindacali • L’intensificarsi del processo di industrializzazione in tutta Europa e la crescente complessità dell’organizzazione del lavoro nelle fabbriche resero indispensabile, per il mondo operaio, elaborare forme di tutela e di rappresentanza adeguate (→ F53). La fondazione, in tutti i principali Stati europei, di società di mutuo soccorso, di associazioni operaie e organizzazioni sindacali locali ispirate alle numerose correnti del socialismo costituì il primo e più importante passo. Nella seconda metà dell’Ottocento, questo complesso universo di associazioni iniziò progressivamente a federarsi e coordinarsi a livello nazionale, per creare organizzazioni trasversali alle diverse categorie produttive, in grado di rafforzare la solidarietà operaia e la difesa dei diritti dei lavoratori. Tale fenomeno si accompagnò a una crescente egemonia del socialismo marxista (→ cap. 12.3). Entro la fine dell’Ottocento questa dottrina divenne dominante all’interno del movimento operaio europeo – con l’eccezione di quello inglese – e condizionò le scelte di base delle federazioni sindacali. Pose in primo piano lo sciopero come strumento privilegiato di lotta anticapitalistica e la rivoluzione come obiettivo finale dello scontro di classe tra borghesia e proletariato.
I sindacati generali nazionali • Una serie di leggi che in tutti i Paesi negavano la libertà di associazione e di sciopero frenò a lungo la fondazione di grandi sindacati generali e nazionali. Soltanto negli ultimi anni dell’Ottocento la progressiva attenuazione o l’abolizione di queste limitazioni normative aprì la strada alle nuove organizzazioni sindacali.
GLOSSARIO STORICO
Sindacato
Quali grandi sindacati si sono affermati in Italia dopo la Confederazione generale del lavoro? Trovi la risposta nel glossario digitale.
In Francia i lavoratori fondarono nel 1886 la prima Federazione nazionale dei sindacati e nel 1895 la Confederazione generale del lavoro, struttura destinata a coordinare tutti i sindacati di ispirazione marxista.
In Germania, dopo le dimissioni di Bismarck e la fine della legislazione antisocialista (→ cap. 19.4), si istituì nel 1890 una Commissione generale dei sindacati tedeschi, fortemente legata al Partito socialdemocratico. Il medesimo processo avvenne in gran parte degli Stati europei e portò, entro la fine del secolo, alla nascita di sindacati generali che contavano centinaia di migliaia di iscritti e si ispiravano al marxismo.
In Italia il percorso seguì un cammino più complesso. Dalle organizzazioni di rappresentanza locale presero corpo, nel 1891, le Camere del lavoro, istituzioni sempre a base territoriale, sorte per difendere i diritti dei lavoratori, favorirne il collocamento e promuovere l’istruzione di operai e contadini. Sulla base di questa esperienza, nel 1906
si fondò la Confederazione generale del lavoro, organizzazione di ispirazione marxista con compiti di rappresentanza nazionale e trasversale alle varie categorie lavorative (→ cap. 20.3).
La nascita dei partiti socialisti • Parallelamente al processo di formazione dei sindacati generali nazionali, in Europa si verificò anche la fondazione dei primi partiti ideologicamente legati al socialismo marxista, che avevano l’obiettivo di garantire una rappresentanza politica al movimento operaio e guidare la lotta del proletariato. Questa scelta rispondeva a una specifica indicazione emersa proprio da Marx, il quale aveva privilegiato lo strumento politico del partito per promuovere la consapevolezza di classe e porre le basi della successiva rivoluzione. Inoltre, il consolidamento, dopo il 1848, di sistemi parlamentari in quasi tutti gli Stati europei creò uno spazio di azione che in prospettiva il movimento operaio non avrebbe potuto ignorare, anche se in quegli anni il suffragio universale maschile esisteva in ben pochi Paesi e gli operai e le classi popolari continuavano a essere largamente esclusi dal diritto di voto, che nei sistemi liberali rimaneva ancora legato al grado di istruzione e al censo dell’elettore.
I partiti di orientamento socialista marxista si organizzarono per la prima volta in Germania. Ne vennero fondati due: il primo nel 1863, su posizioni moderate, e il secondo nel 1869, di indirizzo rivoluzionario. Dopo un lungo dibattito tra i due punti di vista, nel 1875 si operò una fusione in occasione del Congresso di Gotha e nacque il Partito socialdemocratico tedesco (denominazione assunta ufficialmente nel 1890), a tutt’oggi il più antico partito socialista d’Europa (noto anche come SPD, secondo il suo acronimo). Tale operazione segnò un compromesso tra la posizione riformista, maggioritaria, e quella rivoluzionaria, minoritaria. La principale caratteristica di questo partito fu il collegamento molto forte con le organizzazioni sindacali e la scelta prioritaria della legalità parlamentare e del «gradualismo» riformista (della necessità, cioè, di procedere «per gradi», attraverso riforme, senza ricorrere allo scoppio rivoluzionario) (→ F52).
Altri Paesi europei ripresero questo modello, con la fondazione di partiti socialdemocratici in Austria, Svezia, Paesi Bassi, Norvegia, Finlandia e Danimarca.
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Leggi il testo di E.J. Hobsbawm Verso un’unica classe lavoratrice e svolgi le attività proposte.
Lo sciopero degli operai degli stabilimenti metallurgici Schneider di Le Creusot, in Francia, nel 1899. Dipinto di Jules Alder del 1899, conservato all’Écomusée di CreusotMontceau.
FONTI
F52 | SPD, Il programma del Partito socialdemocratico tedesco
Durante il Congresso di Erfurt del 1891, il partito della SPD adottò il seguente programma. Pur riconoscendo, nella prima parte, l’ineluttabilità della lotta di classe e della rivoluzione, si individuava una serie di obiettivi da raggiungere attraverso la partecipazione politica legale.
Il partito socialdemocratico di Germania non lotta […] per nuovi privilegi di classe e diritti speciali, ma per l’eliminazione del dominio di classe e delle classi stesse e per uguali diritti e uguali doveri di tutti senza differenze di sesso e origine. Partendo da queste concezioni nell’attuale società esso combatte non solamente lo sfruttamento e l’oppressione del lavoratore salariato, ma ogni tipo di sfruttamento e oppressione, che si rivolga contro una classe, un partito, un sesso o una razza.
Partendo da questi principi il partito socialdemocratico di Germania chiede per prima cosa:
1) diritto elettorale e di voto universale, uguale, diretto con votazione segreta […] senza differenza di sesso per tutte le elezioni e votazioni. Sistema elettorale proporzionale […]. Indennità per gli eletti. […]
2) Legislazione diretta da parte del popolo per mezzo del diritto di proposta e di rigetto. […]
3) Educazione alla difesa militare, esercito popolare al posto dell’esercito esistente, decisione su guerra e pace della rappresentanza popolare. Composizione di tutti i contrasti internazionali per mezzo di arbitrati.
4) Abolizione di tutte le leggi che limitano o opprimono la libera espressione delle opinioni e il diritto di associazione e riunione.
5) Abolizione di tutte le leggi che svantaggino le donne rispetto agli uomini nei rapporti pubblici e privati.
6) Dichiarazione che la religione è questione privata. […]
7) Laicità della scuola. Frequenza obbligatoria delle scuole elementari. Gratuità dell’insegnamento […].
8) Gratuità dell’amministrazione della giustizia e del patrocinio legale […].
9) Gratuità delle prestazioni mediche […].
10) Tasse sul patrimonio e sul reddito che crescono gradualmente per sostenere le spese pubbliche, nella misura in cui esse si devono coprire con tasse. […].
(da Programma di Erfurt 1891, in F. Cammarano, S. Cavazza, B. Covili, M.S. Piretti, Documenti e fonti della storia politica europea. 1815-1968, Baiesi, Bologna 1997, pp. 268-269)
Il caso inglese • La Gran Bretagna invece ebbe un percorso del tutto diverso perché il socialismo non seguì il modello marxista, bensì subì il condizionamento delle Trade Unions (→ cap. 12.3). Nel corso della seconda metà dell’Ottocento queste organizzazioni di categoria si strutturarono a livello nazionale per promuovere le rivendicazioni dei lavoratori in ambito salariale e legislativo.
Anche il movimento del fabianesimo favorì un atteggiamento più gradualistico e riformatore di quello rivoluzionario marxista, incentrato sulla conflittualità tra capitale e lavoro. Il fabianesimo sorse nel 1884 intorno alla Fabian Society, un’associazione socialista di ispirazione riformista che si pose l’obiettivo di elevare le condizioni delle classi lavoratrici mediante un atteggiamento pragmatico e temporeggiatore (avevano preso il loro nome dalla tecnica militare attendista adottata dall’antico romano Quinto Fabio Massimo). Il fabianesimo, adottando un’ottica revisionista del pensiero marxista, influenzò sia la nascita delle Trade Unions sia quella dello stesso Partito laburista tra il 1900 e il 1906.
La difficile costruzione di partiti unitari • Il caso tedesco testimonia il problema fondamentale di gran parte dei partiti socialisti europei, vale a dire la difficile convivenza tra una corrente moderata, detta riformista o minimalista, e una radicale, detta rivoluzionaria o massimalista. I motivi di contrasto riguardavano soprattutto le modalità e la tempistica con le quali promuovere la coscienza di classe e realizzare la rivoluzione del proletariato.
I riformisti (o «minimalisti») credevano necessario operare in modo graduale e pacifico, promuovendo riforme a favore dei lavoratori mediante gli strumenti legali offerti dal sistema parlamentare, un’istituzione borghese nella quale, però, bisognava entrare per condizionarla da dentro.
I rivoluzionari (o «massimalisti») sostenevano, invece, la necessità di mettere in atto, il prima possibile, la rivoluzione e la dittatura del proletariato, attraverso il ricorso alla violenza e l’abbattimento delle istituzioni parlamentari liberali.
Questo complesso dibattito caratterizzò anche il panorama francese e italiano. In Francia, dopo un primo partito organizzato nel 1876 e afflitto da scissioni e scontri, si arrivò solo nel 1905 alla fondazione della Sezione francese dell’internazionale operaia (SFIO), il primo partito socialista unitario del Paese.
In Italia si fondò nel 1882 il Partito operaio italiano che, quello stesso anno, riuscì a far eleggere il primo deputato socialista, Andrea Costa. A partire da questa esperienza, nel 1892 a Genova si arrivò alla fondazione di un partito nazionale unitario di ispirazione marxista che, tre anni dopo, assunse il nome ufficiale di Partito socialista italiano (PSI). Tra i fondatori ricorrono i nomi del rivoluzionario Andrea Costa e del riformista Filippo Turati (→ cap. 20.3).
Dalla Prima alla Seconda internazionale • La progressiva organizzazione del movimento operaio in Europa mediante i sindacati, e, soprattutto, i partiti socialisti, portò con sé una nuova spinta in senso internazionalistico. Poiché la lotta operaia era considerata transnazionale, si sentì ben presto la necessità di un coordinamento unico dopo il fallimento della Prima internazionale. Per tale ragione, nel 1889 fu fondata a Parigi la Seconda internazionale, un’organizzazione che riuniva i rappresentanti dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti d’Europa.
Andrea Costa, primo deputato socialista al Parlamento italiano, risponde al ministro Francesco Crispi durante la seduta della Camera dei Deputati del 21 marzo 1890. Tavola tratta da “Il Secolo Illustrato”, 1890. Milano, Biblioteca Ambrosiana.
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Leggi il testo Il Partito operaio italiano e svolgi le attività proposte.
GLOSSARIO STORICO
Minimalisti / Massimalisti Termini che designano, rispettivamente, le correnti riformista e rivoluzionaria del socialismo ottocentesco. In attesa che maturassero le condizioni adatte all’obiettivo «massimo», cioè la rivoluzione, i partiti socialisti dovevano impegnarsi in un programma «minimo», ovvero riformista, e ottenere misure a favore della classe operaia. Dal XIX secolo, i due termini indicano la contrapposizione tra radicali e moderati in seno alle organizzazioni del movimento operaio.
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Leggi il testo
Il programma della Seconda Internazionale socialista e svolgi le attività proposte.
La Seconda internazionale operò fino allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914 e costituì un terreno di incontro e di dialogo tra le principali forze politiche che si proponevano di rappresentare il mondo operaio. La sua stessa fondazione e le sue modalità organizzative dimostrarono il successo della posizione marxista, che assegnava ai partiti la guida del movimento, a differenza di quanto auspicato dall’anarchismo di Bakunin (→ cap. 12.3). Tuttavia, questo non significò che vi fosse un’unità di punti di vista e non impedì le divisioni. Anche all’interno della Seconda internazionale si ripropose, infatti, il dibattito tra riformisti e massimalisti. Il modello egemone e di gran lunga più influente fu quello gradualista e riformista della socialdemocrazia tedesca (che comunque adottava ufficialmente la dottrina marxista e continuava a sostenere un ideale rivoluzionario, benché proiettato in un futuro indefinito), ma non mancarono le posizioni di tipo più radicale e massimalista. Le maggiori divisioni emersero di fronte al colonialismo, all’imperialismo e al nazionalismo militarista che caratterizzarono la politica europea negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del secolo successivo (→ cap. 21.1).
Una nuova sensibilità sociale cattolica: l’enciclica Rerum novarum • La questione sociale, le condizioni di vita e di lavoro degli operai, il rapporto tra lo sviluppo capitalistico e la solidarietà non lasciarono indifferenti nemmeno la Chiesa cattolica e i movimenti ispirati ai principi cristiani, nonostante la condanna del mondo moderno espressa da Pio IX nell’enciclica Quanta cura (1864) e nell’allegato Sillabo, una sorta di elenco degli «errori del secolo». Oltre all’importanza morale, religiosa e sociale di questi temi, vi era anche la necessità di non lasciare tale campo esclusivamente alle forze e alle organizzazioni di stampo marxista.
Nel 1878 la morte di Pio IX e l’elezione del suo successore, Leone XIII (1878-1903), aprirono la strada a un superamento della precedente ostilità verso la modernità e a una nuova attenzione verso i problemi della società in via di industrializzazione. Da questo percorso si generò la lettera enciclica intitolata Rerum novarum, pubblicata da Leone XIII nel 1891, con la quale si inaugurò la dottrina sociale della Chiesa cattolica.
Quali sono le caratteristiche dei partiti operai?
I partiti operai
nascono per rivendicare
dall’esigenza dei lavoratori di organizzarsi
i propri diritti
e si diffondono
in tutti i maggiori Paesi d’Europa
• salari più alti
• riduzione dell’orario di lavoro
che sono basandosi dividendosi
sulla dottrina marxista
• possibilità di scioperare
in un’ala riformista e in un’ala rivoluzionaria
Questo documento riconobbe il valore del progresso scientifico e tecnologico allora in atto ma, nello stesso tempo, mise in luce i pericoli insiti nel capitalismo, in modo particolare lo sfruttamento del lavoro. Nell’indicare le possibili soluzioni, il papa condannò le dottrine socialiste e qualsiasi visione basata sull’antagonismo di classe e sull’abolizione della proprietà privata, richiamando invece l’attenzione sulla solidarietà sociale, sulla collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro, sull’intervento correttivo dello Stato. Riconoscendo le dure condizioni di vita del proletariato, la Chiesa cattolica auspicava, dunque, una revisione del capitalismo attraverso il rispetto degli ideali cristiani (→ F54).
Il movimento sociale cristiano • L’enciclica del 1891 segnò una significativa apertura della Chiesa cattolica a proposito della modernità e delle trasformazioni economiche e sociali in corso. Quella scelta rilanciò le attività del movimento sociale di ispirazione cristiana, che operava in Europa già dai decenni precedenti e che ricevette finalmente una legittimazione papale e una cornice di valori ufficiali nella quale muoversi.
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento si erano costituite, nei principali Paesi di confessione cattolica, società di mutuo soccorso, associazioni professionali e organizzazioni sindacali di orientamento cristiano, in modo particolare nel mondo rurale. Promuovevano la cooperazione tra i lavoratori applicando gli insegnamenti evangelici della solidarietà e della carità verso i più deboli. Intorno a questi principi prese forma anche l’esperienza italiana delle casse rurali, ossia degli istituti bancari di livello locale che raccoglievano il risparmio privato per sostenere, tramite prestiti, i piccoli proprietari terrieri e i contadini.
In Italia, questo movimento trovò voce all’interno della più importante associazione cattolica, l’Opera dei congressi, e portò alla nascita delle leghe bianche, organizzazioni sindacali locali che, a inizio Novecento, contavano più di 150 rappresentanze con oltre 50.000 lavoratori.
Tutte queste istituzioni rifiutavano il principio della lotta di classe e ritenevano che una correzione e un miglioramento del sistema capitalistico potesse arrivare soltanto mediante una collaborazione tra i lavoratori e gli imprenditori nell’ambito di un’ottica interclassista, ponendo al centro dell’attenzione la dignità della persona. Si trattava di un punto di vista autonomo e alternativo a quello socialista di ispirazione marxista con il quale sarebbe iniziata una sfida, alimentata dalla concorrenza ma anche da una reciproca attrazione incentrata sui comuni valori della solidarietà e della fratellanza umana, che avrebbe attraversato tutto il secolo successivo.
› VERIFICA PER CONCETTI CHIAVE
• Come nacquero i grandi sindacati nazionali?
• Quali furono i maggiori partiti socialisti d’Europa?
• Che cosa differenziava il laburismo inglese dal socialismo continentale?
• Di cosa dibattevano le due correnti dei minimalisti e dei massimalisti?
• Qual era il contenuto della Rerum novarum?
• A quali valori si ispirava il sindacalismo cattolico?
Papa Leone XIII legge la Benedizione nel grammofono Illustrazione di Achille Beltrame per “La Domenica del Corriere”, 29 marzo 1903.
PRESENTAZIONE
Ripassa i contenuti del capitolo con la presentazione
FONTI
LABORATORIO DELLO STORICO
F53 | Da Tempi difficili.
La città industriale di Coketown
Il romanzo Tempi difficili (1854) dello scrittore inglese Charles Dickens è ambientato in una fittizia città industriale, indicata come Coketown: l’autore denuncia, nel brano proposto, lo squallore dell’ambiente e le tristi condizioni di vita degli operai. A questo ambiente e a queste condizioni si ribellò il movimento organizzato dei lavoratori.
Era una città di mattoni rossi, o meglio, che rossi sarebbero stati se fumo e ceneri l’avessero consentito. Stando così le cose, però, era una città di un colore innaturale, rosso e nero, come la faccia dipinta di un selvaggio. Era una città di macchinari e alte ciminiere, dalle quali continuavano a uscire interminabili serpenti di fumo avvolti in spire che mai si districavano. Un nero canale l’attraversava, e un fiume che scorreva rossastro di nauseabonde tinture; poi enormi agglomerati di edifici bucati da innumerevoli finestre, scossi tutto il giorno da tremiti per i pistoni delle macchine a vapore che lavoravano monotonamente all’interno, in su e in giù, come il capo di un elefante vittima di una malinconica follia. V’erano diverse strade larghe tutte simili l’una all’altra e molte strade più piccole ancora più simili l’una all’altra, abitate da persone ugualmente simili, che uscivano e rientravano alla stessa ora, producevano lo stesso rumore sui marciapiedi, facevano lo stesso lavoro e per le quali ogni giorno era lo stesso di ieri e di domani, e ogni anno era l’immagine del precedente e del seguente. […] Non si vedeva niente a Coketown che non fosse conforme a una severità lavorativa. Se i membri di una corporazione religiosa vi costruivano una chiesa – i membri di diciotto corporazioni ne avevano costruita una propria – la tiravano su come un pio capannone di mattoni rossi, in cima al quale (ma questo nei rarissimi esempi di uno stile ornato) ponevano a volte la nicchia di una campana. […]. Tutte le scritte pubbliche della città erano dipinte allo stesso modo, in severi caratteri in bianco e nero, né le sparute decorazioni appiccicate agli edifici potevano impedire di confondere la prigione con l’ambulatorio, l’ambulatorio con la prigione, il municipio con l’uno o l’altra, o con entrambi, o con qualsiasi altra cosa. Fatti, fatti, fatti; […] dall’ospedale di maternità al cimitero, tutto quanto era un fatto, e ciò che non si poteva esprimere in cifre, o che non si poteva dimostrare acquistabile di qua a buon mercato e rivendibile di là a caro prezzo, né esisteva né sarebbe mai esistito, da nessuna parte. Amen. (da C. Dickens, Tempi difficili, in AA.VV., I magnifici 7 capolavori della letteratura inglese, Newton Compton, Roma 2013)
› LAVORARE SULLE FONTI
COMPRENDERE E ANALIZZARE
1. Quali espressioni usa Dickens per trasmettere la bruttezza della città industriale? Individuale nel testo.
2. Che descrizione dà l’autore degli abitanti di Coketown?
INTERPRETARE
3. Coketown è un nome parlante. Fai una ricerca sul suo significato.
4. Come spiegato nell’introduzione, Coketown è una città fittizia. A quale città realmente esistente si ispirò Dickens? Fai una breve ricerca.
F54 | Dalla Rerum novarum.
Il cristianesimo promuove l’armonia tra le classi
Il papa Leone XIII promulgò il 15 maggio 1891 l’enciclica Rerum novarum, il primo e basilare documento del movimento sociale cattolico. La Chiesa prendeva le distanze sia dal socialismo sia dal liberalismo classico. Contro queste ideologie il papa affermava il ruolo della Chiesa nella promozione di un progresso terreno temperato dai valori cristiani, basato sui diritti naturali (in primo luogo la proprietà), su gerarchie stabili e sul mutuo rispetto tra le classi sociali (ognuno al proprio posto, ma a ciascuno il suo).
L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine congenere 1 dell’economia sociale. […] Nella presente questione lo sconcio maggiore è questo: supporre l’una classe sociale nemica naturalmente dell’altra; quasi che i ricchi e i proletari li abbia fatti natura a battagliare con duello implacabile fra loro. Cosa tanto contraria alla ragione e alla verità, che è invece verissimo che, siccome nel corpo umano le varie membra si accordano insieme e formano quell’armonico temperamento che chiamasi simmetria; così volle natura che nel civile consorzio armonizzassero tra loro quelle due classi, e ne risultasse l’equilibrio. […]
E primieramente tutto l’insegnamento cristiano, di cui è interprete e custode la Chiesa, è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi e i proletari, ricordando agli uni e agli altri i mutui doveri, incominciando da quelli che impone giustizia. Obblighi di giustizia, quanto al proletario e all’operaio, sono questi: prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti, né mai trasformarla in ammutinamento; non mescolarsi con uomini malvagi, promettitori di cose grandi, senz’altro frutto che d’inutili pentimenti e di perdite rovinose.
Dei capitalisti poi e dei padroni sono questi i doveri: non tenere gli operai in luogo di schiavi; rispettare in essi la dignità dell’umana persona, nobilitata dal carattere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede non è il lavoro che degrada l’uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di campare con l’opera propria onestamente la vita: quello che veramente indegno dell’uomo, si è abusarne, come di cosa a scopo di guadagno […]. È obbligo perciò dei padroni lasciare all’operaio agio e tempo che basti a compiere i doveri religiosi; non esporlo a seduzioni corrompitrici e a pericolo di scandalo; non alienarlo dallo spirito di famiglia e dall’amor del risparmio; non imporgli lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti coll’età e col sesso.
Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede 2 […]: in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che né le divine, né le umane leggi permettono opprimere per utile proprio i bisognosi e gl’infelici, e trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa sì enorme, che grida vendetta al cospetto di Dio.
(da F. Gaeta, P. Villani, Documenti e testimonianze. Antologia di documenti storici, Principato, Milano 1972, pp. 802-809)
› LAVORARE SULLE FONTI
COMPRENDERE E ANALIZZARE
1. A quali doveri il papa richiama gli operai?
2. Quali sono invece, secondo il pontefice, i doveri dei padroni?
INTERPRETARE
3. Qual è il senso del paragone tra corpo umano e società proposto da Leone XIII?
1. Analogo. 2. Il giusto compenso.
4. Chi sono, secondo te, gli «uomini malvagi, promettitori di cose grandi» da cui il papa mette in guardia gli operai?
STORIOGRAFIA
S62 | Stefano Pivato, La diffusione della bicicletta in Italia
Nonostante l’invenzione del motore a scoppio e le grandi trasformazioni dei mezzi di comunicazione, tra fine Ottocento e inizio Novecento la bicicletta rimase il principale e più popolare mezzo di trasporto. In questo capitolo, tratto dal suo libro Storia sociale della bicicletta, lo storico Stefano Pivato parla della sua diffusione in Italia.
Certamente negli anni di fine Ottocento e d’inizio Novecento il numero delle biciclette circolanti in Italia non è così elevato come per la realtà francese, dove all’inizio del secolo i velocipedi sfiorano il milione. Le prime sommarie statistiche le fanno ascendere, nel 1896, a circa 30.000. Le prime statistiche, disponibili a partire dalla fine dell’Ottocento, segnalano che la città con la più alta concentrazione di biciclette in rapporto alla popolazione è Milano: 163 su 1.000 abitanti. Seguono Torino (113), Bologna (80), Firenze (74), Roma (62), Verona (57). In coda alla classifica Napoli (7), Cagliari (4) e Bari (3). In totale i ciclisti nel 1900 sono 109.019 su una popolazione di circa 23 milioni.
Le cifre mostrano la rara presenza della bicicletta a sud di Roma. […]. In realtà, a prestar fede alle cronache ciclistiche della città partenopea, diffusa è la convinzione che «l’andare in bicicletta sia poco serio». La modernità non appartiene in quegli anni di fine secolo alla cultura meridionale, che appare condizionata da una mentalità ancora refrattaria al progresso. E l’antimodernità è una categoria dentro la quale stanno gran parte delle motivazioni che si oppongono alla bicicletta. Vi è la paura delle genti di campagna quando vedono per la prima volta il mostro meccanico; così come è il timore della chiesa per il ridicolo e la mancanza di decoro cui si espongono i preti che montano le due ruote. Dentro l’antimodernità ci sta anche la tutela della pudicizia che è alla base delle limitazioni e dei divieti posti alle donne. E così pure l’iniziale rifiuto del movimento operaio per la bicicletta considerata «un prodotto del capitalismo borghese». E il rifiuto finisce per generare anche un sentimento di paura. L’esiguità delle cifre, comparativamente ad altri paesi europei, indica che in Italia la bicicletta costituisce ancora un utensile «di lusso». I modelli più costosi (Bianchi o Raleigh) toccano – ancora all’inizio del Novecento – le 500 o le 600 lire. […]. Si tratta di cifre certamente elevate se rapportate al salario medio giornaliero di un operaio appena assunto, che si aggira in quegli anni attorno a 1 lira e 50 (che corrisponde più o meno al costo di un’ora di noleggio di una bicicletta). [Ma] l’appropriazione da parte delle classi popolari della bicicletta è favorita anche dalla progressiva diminuzione del suo costo. Attorno al 1905-1906 il prezzo dei modelli più popolari scende a 150-200 lire. […].
(da S. Pivato, Storia sociale della bicicletta, il Mulino, Bologna 2019)
› LABORATORIO STORIOGRAFICO COMPRENDERE
1. In quali città d’Italia è maggiormente diffusa la bicicletta a fine Ottocento?
2. Perché in Italia meridionale la bicicletta è poco diffusa?
3. Quale fattore contribuisce soprattutto a un aumento della diffusione della bicicletta?
ARGOMENTARE
4. Secondo l’autore, il movimento operaio rifiuta la bicicletta perché la considera «un prodotto del capitalismo borghese»: che cosa intende dire? Rispondi riferendoti alle posizioni ideologiche dell’epoca.
S63 | Alberto Grandi, Daniele Soffiati, La cucina nelle comunità degli italiani all’estero
Nel loro libro, lo storico del cibo Alberto Grandi e il giornalista Daniele Soffiati (autori del podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata) spiegano come le origini della cucina italiana contemporanea siano da rintracciarsi nelle comunità di italiani emigrati in America e come fu proprio la cucina a contribuire a creare un’identità italiana all’epoca assente.
Tra i quindici e i venti milioni di italiani, lo abbiamo visto, lasciarono il nostro Paese nel periodo che va dal 1870 al 1914. L’emigrazione di massa all’estero, e verso l’America in particolare, aveva un unico motivo: la fame. […]
Arrivati oltreoceano, per i nostri connazionali – nonostante i disagi iniziali – la vita cambia. […] All’interno delle tante Little Italy, gli italiani del Nord, del Centro e del Sud finiscono per conoscersi molto più di quanto non potessero fare nel loro Paese d’origine, dove povertà e mancanza di mezzi di trasporto rendevano praticamente impensabili spostamenti che non fossero di pochi chilometri. Le varie comunità italiane, così distanti nella madrepatria, si mescolano e di fatto creano una sorta di cultura nazionale, che in Italia ancora non esiste.
A contatto con nuove disponibilità, gli emigrati in Argentina, Brasile, Stati Uniti e Canada modificano i loro comportamenti alimentari. Le migliorate condizioni economiche e l’accessibilità a prodotti che nelle aree di partenza non esistevano o erano destinati a pochi fanno sì che la cucina diventi più varia, più ricca. Si fondono usi locali diversi, che mai in patria si sarebbero incontrati, con l’aggiunta di alcuni cibi tipici del Paese ospitante. Nelle Americhe i contadini iniziano a familiarizzare con carne, uova, latte, formaggi, liquori e caffè. […]
La nostra cucina dunque si plasmò in America […]. Iniziò a crearsi un intreccio tra una parte e l’altra dell’Atlantico. Solo per fare un esempio eclatante, gli spaghetti (chiamati ancora “maccheroni”) a Napoli erano cibo di strada per antonomasia, mangiati quasi sempre con le mani e rigorosamente in bianco: pensate all’immagine di Pulcinella ancora presente sulle confezioni della pasta Voiello. Da un certo momento in poi, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, gli spaghetti divennero rossi e successivamente un cibo da mangiare a tavola. Risulta facile intuire allora come queste nuove modalità di consumo, che potremmo definire “riscatto sociale dei maccheroni”, si siano diffuse in America prima di fare ritorno nella terra natale. […] L’affermazione, il riscatto sociale, l’identità degli immigrati passarono dunque principalmente dalla cucina.
(da A. Grandi, D. Soffiati, La cucina italiana non esiste. Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici, Mondadori, Milano 2024)
›
LABORATORIO STORIOGRAFICO
COMPRENDERE
1. Perché nelle Little Italy sono possibili scambi tra comunità italiane maggiori di quanto avvenisse nella madrepatria?
2. Quale cibo, dapprima diffuso solo in una precisa area italiana, divenne di largo consumo tra gli emigrati in America?
ARGOMENTARE
3. Perché la cucina divenne un elemento unificante per gli italiani?
4. Sono numerosi i piatti «tipici» della cucina italiana con un’origine dibattuta e probabilmente influenzata dalla cucina estera. Il caso più noto è quello della carbonara. Fai una ricerca online sulle origini di questo piatto.
STUDIO ATTIVO
MAPPA
SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
nuove tecnologie: acciaio, elettricità, chimica, chimica farmaceutica
una forte crescita economico-sociale
Quali furono le cause della «grande depressione»? Spiegalo grazie a una mappa concettuale.
milioni di europei a emigrare oltreoceano
diffonde
nuove invenzioni e ritrovati: radio, motore a scoppio, cinema, vaccini
provocando e rafforzandosi
un radicale mutamento nello stile di vita occidentale
nonostante la grande crisi economica detta «grande depressione» (1873-96)
che spinge
gli Stati sulla strada del protezionismo concentrazione dell’industria e finanziarizzazione dell’economia
mentre nascono
sindacati e partiti socialisti in difesa dei lavoratori
Che accoglienza trovarono e che vita fecero i migranti europei oltreoceano? Illustralo alla classe con una breve presentazione multimediale.
Anche la Chiesa ebbe un suo movimento in difesa dei lavoratori: quali erano le sue caratteristiche? Spiegalo in un testo scritto di circa 20 righe.
Seconda rivoluzione industriale e «grande depressione» economica Negli anni Settanta dell’Ottocento prese avvio la Seconda rivoluzione industriale. Innovazioni di materiali (acciaio) e fonti energetiche (elettricità), nuove tecnologie (motore a scoppio), nuovi settori delle scienze applicate (chimica sintetica) innescarono la crescita e l’espansione dell’industria. Tale evoluzione coincise però con la «grande depressione» dell’economia, che si protrasse dal 1873 al 1896. Fu una crisi di sovrapproduzione, riguardò sia l’agricoltura sia l’industria, comportò chiusura d’aziende e licenziamenti in massa. Gli Stati scelsero per uscirne il protezionismo. Al contempo, la nascita di grandi cartelli monopolistici fra imprese ridusse la concorrenza e permise di abbassare i costi di produzione, mentre nasceva la «banca mista», favorendo la finanziarizzazione dell’economia e la diffusione delle borse valori.
Crescita delle città e nuove invenzioni La società industriale mutò il volto delle città: il processo di inurbamento accelerò, provocando la crescita e la trasformazione in metropoli di molte città europee e statunitensi. Gli spazi urbani vennero ridefiniti attraverso i piani regolatori, nacquero nuovi quartieri e strutture come le stazioni ferroviarie. Innovazioni nei trasporti urbani, il telefono e la radio, la nascita del cinema e la diffusione della fotografia segnarono l’ingresso di Europa e Stati Uniti nella «modernità». Anche la medicina compì una svolta con l’introduzione di nuovi vaccini e lo sviluppo della chimica farmaceutica. Nel complesso, lo stile di vita dei cittadini occidentali mutò radicalmente rispetto al passato.
I flussi migratori europei I cambiamenti economici e la crescita demografica continua determinarono un innalzamento dei flussi migratori europei, dalle aree depresse a quelle in espansione del continente, oppure verso i Paesi d’oltreoceano o l’Australia, che offrivano più opportunità. Nonostante i progressi di fine Ottocento, si creò infatti un pesante squilibrio tra le risorse disponibili e la popolazione d’Europa, che al sorgere del XX secolo toccò i 400 milioni. A compensare lo squilibrio fu una massiccia ondata migratoria: tra 1850 e 1915 oltre 60 milioni di persone abbandonarono il Vecchio continente. Meta principale furono le Americhe. Terra di partenza furono soprattutto l’Italia, l’Irlanda e la Germania, ma consistenti flussi lasciarono ogni Paese d’Europa. All’estero, gli emigrati costituirono comunità coese e solidali, impegnate a integrarsi nel luogo d’accoglienza senza per questo perdere le proprie radici e spesso circondate dall’ostilità dei residenti.
Il movimento organizzato dei lavoratori L’espansione dell’industria comportò la crescita della classe operaia, che creò associazioni confluite poi in grandi sindacati nazionali, come la Confederazione generale del lavoro francese. Sorsero anche i partiti socialisti, profondamente influenzati dalla dottrina di Karl Marx: il primo fu il Partito socialdemocratico tedesco. Obiettivo di tali formazioni era sostenere le rivendicazioni operaie, come un salario più alto e un minore numero di ore di lavoro. Costante fu anche la divisione tra minimalisti, fautori di una linea gradualista e parlamentare, e massimalisti, sostenitori della rivoluzione e della dittatura del proletariato. Nonostante le divisioni ideologiche e strategiche venne fondata a Parigi, nel 1889, la Seconda internazionale dei lavoratori. Anche la Chiesa, a partire dall’enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, varò una dottrina sociale che ispirò il movimento cristiano in difesa dei lavoratori. Sua peculiarità fu il rifiuto del marxismo e la promozione del solidarismo interclassista.
SINTESI
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STUDIO
VERIFICA
› CONOSCENZE
1. Tempo Associa a ciascuna data un fenomeno o un evento del secondo Ottocento, fra quelli proposti sotto.
a. XVII–XIX secolo
b. 1850–1900
c. 1873–1896
d. 1850–1915
e. 1889–1914
1. Si sviluppa la «grande depressione» economica.
2. La Seconda internazionale si costituisce a Parigi e opera per oltre un ventennio.
3. Circa 35 milioni di persone emigrano negli Stati Uniti e in Canada.
4. La popolazione urbana nel mondo triplica.
5. Continua la transizione demografica.
HUB MAPS
L’emigrazione tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo
HUB TEST
Rispondi a ulteriori domande su HUB Test.
2. Spazio L’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo mette a disposizione alcune infografiche sul tema delle migrazioni oggi (https://www.atlanteguerre.it/infografiche/). Analizzate in classe i dati disponibili online e metteteli a confronto con quelli mostrati dalla carta L’emigrazione tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo su HUB Maps. Quali analogie e differenze notate tra le due serie di dati?
3. Concetti chiave Rispondi alle seguenti domande.
a. Quali furono i settori trainanti della Seconda rivoluzione industriale?
b. Quali tecnologie fondarono la cosiddetta «civiltà dell’immagine»?
c. Quali conseguenze ebbero le innovazioni in campo medico e farmaceutico della seconda metà dell’Ottocento?
d. Perché nacque e come si sviluppò la «grande depressione»?
e. Che cosa portò alla nascita dei grandi trust di fine secolo?
f. Quali politiche abbracciarono i governi di molti Stati occidentali dopo la crisi?
g. Quali cause favorirono le grandi ondate migratorie ottocentesche?
› COMPETENZE
4. Lessico Inquadra nel suo contesto storico il fenomeno migratorio della seconda metà del XIX secolo utilizzando i seguenti vocaboli o espressioni e aiutandoti col Glossario storico: pressione demografica, flusso migratorio, catena migratoria, difficoltà d’integrazione, rimesse, migrante.
GLOSSARIO STORICO
Migrante
5. Scrittura Perché nel secondo Ottocento il settore bancario assunse un’importanza sempre crescente? Spiega in un testo di tipo espositivo-argomentativo di 300 parole il fenomeno della finanziarizzazione dell’economia, delle borse, e l’affermarsi delle banche miste. Rifletti inoltre sull’attualità e sul ruolo della finanza oggi. Ritieni che sia ancora centrale?
6. Collegamenti interdisciplinari – Biologia e Filosofia La scoperta della microbiologia ha stravolto la medicina e archiviato gran parte delle idee maturate nei secoli attorno allo studio delle patologie. Metti a confronto le concezioni filosofiche e pseudoscientifiche che conosci, a partire per esempio da quelle aristoteliche, con i contributi della biologia. Prepara una mappa concettuale da esporre in classe.
7. Fonti storiche Leggi su HUB Library il testo 1° maggio: l’appello dei socialisti del Partito socialista francese e rispondi alle seguenti domande.
a. Quale rivendicazione immediata viene sostenuta nell’appello?
b. Quale squilibrio si riconosce nella società dell’epoca?
c. A quale fine viene strumentalizzato il patriottismo?
8. Esposizione orale In un discorso di 4 minuti, spiega l’evoluzione del movimento operaio, sviluppando i seguenti punti:
• la nascita dei grandi sindacati generali in Francia, Germania e Italia;
• il caso inglese: il socialismo riformista dalle Trade Unions al Partito laburista;
• il Partito socialdemocratico tedesco: il «gradualismo» riformista;
• il Partito socialista italiano;
• il movimento sociale cristiano e la posizione della Chiesa: la Rerum novarum, le leghe bianche e l’Opera dei congressi.
9. Orientamento Nel capitolo hai studiato quali erano le condizioni di lavoro a fine Ottocento, contrassegnate per tante professioni da orari molto lunghi, che lasciavano ai lavoratori pochissimo tempo libero. Oggi, almeno in Occidente e per quanto riguarda alcune professioni, l’equilibrio tra lavoro e vita privata è molto migliorato rispetto a oltre un secolo fa, ma la questione resta comunque aperta. Rifletti: per ciò che riguarda la tua futura carriera lavorativa, quanto conterà l’equilibrio lavorovita privata? Prova a valutare, da 1 a 5, l’importanza di questo fattore rispetto alla tua scelta professionale. Motiva quindi la tua risposta in una presentazione di massimo cinque slide.
10. Intelligenza artificiale – Scrivi il prompt Basandoti su quanto studiato nei parr. 1 e 2, genera, attraverso un chatbot, l’immagine di una città industriale di fine Ottocento. Per ottenere un buon risultato, imposta il prompt seguendo queste indicazioni:
• circoscrivi l’epoca in cui vuoi che l’illustrazione sia ambientata;
• illustra il soggetto dell’immagine con il maggior numero di dettagli possibile: quale parte della città vuoi che venga rappresentata? Quali elementi caratteristici dell’epoca devono essere presenti?
• indica chi è il destinatario dell’immagine e a quale scopo viene prodotta;
• specifica lo stile in cui deve essere creata l’immagine. Una volta ottenuta il primo esito, valuta se lo trovi soddisfacente, altrimenti dialoga con il chatbot per apportare eventuali miglioramenti. Quindi scrivi una didascalia e presenta l’immagine ai tuoi compagni di classe.
HUB LIBRARY
1° maggio: l’appello dei socialisti.
BIGLIETTO DI SOLA ANDATA: VITE MIGRANTI
Mamma mia, dammi cento lire, che in America devo andar. Cento lire io te le do, ma in America no no no… Con queste parole comincia una famosa canzone popolare italiana del tardo XIX secolo. Oggi, chi la canta spesso ricorda solo le prime strofe e la considera un inno, anche un po’ scherzoso, all’emigrazione italiana nelle Americhe. Eppure, come molte canzoni popolari, anche questa ha un finale tragico: convinta dai fratelli a partire per l’America, la ragazza protagonista della storia disubbidisce alla madre e decide di partire, ma il suo viaggio avrà una fine amara. Il bastimento sul quale viaggia, infatti, non arriva a destinazione, sprofondando in mezzo all’oceano. Le ultime parole della canzone sono quindi un monito ai migranti che cercano fortuna oltremare: il consiglio della mia mamma l’era tutta la verità, mentre quello dei miei fratelli resta quello che m’ha ingannà.
I pericoli del viaggio e le molte difficoltà di ambientamento nei Paesi di destinazione, tuttavia, non frenarono in alcun modo la cosiddetta grande migrazione italiana, che fu un fenomeno di enormi proporzioni: fra il 1861 e il 1914 più di 10 milioni di italiani, su una popolazione che, a inizio Novecento, si attestava sui 33 milioni circa, lasciarono il proprio Paese cercando migliori condizioni di vita all’estero.
Nelle pagine che seguono illustreremo i motivi all’origine di questo processo storico, come gli italiani vennero percepiti all’estero, e in particolare negli Stati Uniti d’America, e infine i racconti di chi, rientrato in Italia dopo molti sacrifici e qualche successo, sfatava, o confermava, i miti fioriti intorno alle lontane mete d’emigrazione.
Le ragioni della partenza: la povertà
I motivi per cui milioni di italiani e italiane decisero di abbandonare il proprio Paese per cercare fortuna altrove sono moltissimi. Un grande peso ebbero le difficili condizioni di vita dei contadini e delle classi lavoratrici in patria, in particolare dopo la crisi del 1873. Proprio la povertà e, insieme, la dignità dei contadini italiani, che costituivano la maggior parte della popolazione, divennero i soggetti preferiti dai pittori divisionisti, come Giovanni Segantini (1858-99) e Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907).
Le ragioni della partenza: una terra promessa
Date le difficili condizioni di vita dei contadini italiani si diffusero veri e propri miti sulla fertilità delle terre d’emigrazione. Soprattutto l’America veniva descritta nei termini di una «terra del latte e del miele» dove i polli erano più
alti degli esseri umani e i cocomeri grossi come una capanna. Alcuni artisti visionari decisero allora di rendere «reali» questi miti attraverso la tecnica del fotomontaggio, come nel caso dell’americano William H. Martin.
› STORIA E… ARTE
• Quali somiglianze noti, per tecnica pittorica, nelle opere dei divisionisti Giovanni Segantini e Pellizza da Volpedo? Rispondi aiutandoti con il manuale di storia dell’arte.
• Fai un confronto tra i due dipinti: che rapporto c’è tra la tecnica pittorica usata e la rappresentazione delle condizioni di vita nelle campagne?
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Le ragioni della partenza: le motivazioni politiche
Oltre alle difficoltà economiche e al mito della terra promessa migliaia di italiani emigrarono per problemi di natura politica. La repressione del movimento operaio, e in particolar modo di quello anarchico, spinse infatti molti militanti a cercare riparo all’estero. Il movimento fra i due lati dell’Atlantico,
tuttavia, funzionava in entrambe le direzioni. A seguito della repressione dei moti per il pane del 1898, infatti, un anarchico italiano emigrato negli Stati Uniti, Gaetano Bresci, decise di rientrare in Italia per vendicare i morti delle giornate milanesi. Quando il generale Bava Beccaris aveva dato l’ordine di aprire il fuoco contro il popolo che manifestava, il sovrano Umberto I (da quel momento soprannominato «Re Mitraglia») non solo non si era opposto, ma lo aveva insignito del titolo di Grande Ufficiale. Proprio per vendicare questo affronto alla memoria dei caduti Bresci decise di rientrare in Italia e attentare alla vita del re, riuscendo infine a ucciderlo nel luglio 1900 a Monza.
L’assassinio del re Umberto I a Monza, nella sera del 29 luglio. Copertina di Achille Beltrame per “La Domenica del Corriere” del 5 agosto 1900.
Il viaggio
Quale che fosse il motivo per cui si decideva di partire, le condizioni del viaggio erano ugualmente drammatiche. Nonostante i costi proibitivi della traversata, le navi che conducevano i migranti in America o in Australia erano perlopiù vecchie e malandate. Inoltre, per aumentare i guadagni, spesso i capitani accoglievano a bordo viaggiatori clandestini che venivano stipati nelle stive già stracolme. Probabilmente proprio per accogliere a bordo un gruppo di migranti privi di documenti per l’espatrio il piroscafo Sirio, il pomeriggio del 4 agosto 1906, si avvicinò alla costa spagnola nei pressi di Capo Palos, scontrandosi con uno scoglio e affondando. Il naufragio ebbe un’enorme eco sui giornali del tempo, portando alla ribalta l’inumanità delle condizioni di viaggio dei migranti. Qui di seguito la copertina dedicata all’avvenimento dalla ”Domenica del Corriere”.
Naufragio del vapore italiano “Sirio” presso la costa orientale di Spagna: il salvataggio. Copertina di Achille Beltrame per “La Domenica del Corriere” del 19 agosto 1906.
Il naufragio del Sirio nella cultura popolare
Tutti i principali giornali diffusero la notizia e, presto, si creò una narrazione fantasiosa, costruita intorno a una serie di elementi ricorrenti e di grande impatto. In particolar modo, ad avere grande successo fu l’immagine dei vescovi che, in ginocchio sulla tolda della nave che affonda, lan-
ciano un’ultima disperata invocazione a Dio. Questa immagine subì diverse rielaborazioni e, come si vede dalla canzone popolare dedicata alla tragica vicenda, entrò a far parte del senso comune dell’epoca. Le vittime del naufragio furono circa 500.
Il tragico affondamento del Sirio (1906)
E da Genova in Sirio partivano per l’America varcare, varcare il confin e da bordo cantar si sentivano tutti allegri del suo, del suo destin.
Urtò il Sirio un terribile scoglio, di tanta gente la misera fin: padri e madri abbracciavan i suoi figli che sparivano tra le onde, tra le onde del mar.
Più di centocinquanta annegati, che trovarli nessuno potrà; e fra loro un vescovo c’era dando a tutti la sua benedizion.
(da G. Vettori, Il folk italiano: canti e ballate popolari, Newton Compton, Roma 1976)
Angelo Tommasi, Gli emigranti, 1896. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Gli italiani sono bianchi?
Abbandonata la terra natia verso un futuro ritenuto migliore, stanchi per le terribili condizioni del viaggio, una volta arrivati nei Paesi di destinazione i migranti venivano accolti con sospetto e diffidenza, quando non con aperta ostilità. Negli Stati Uniti, per esempio, organizzati socialmente secondo rigide gerarchie razziali, gli italiani si trovarono a fare i conti con l’ostilità della popolazione bianca
(che li considerava razzialmente simili agli africani) e con la diffidenza di quella nera (con cui gli italiani entrarono presto in competizione per chi dovesse occupare il gradino più basso della scala sociale). Insomma, come ricordato da Jennifer Guglielmo e Salvatore Salerno non era affatto scontato rispondere alla domanda: gli italiani sono bianchi?
La percezione dei migranti italiani in America
«Gli italiani sono negri con la memoria corta». Nel 2002, alla fine di giugno, il deejay africano americano Chuck Nice, della stazione radio WAXQ-FM di New York, lasciò cadere in modo casuale questa osservazione durante una trasmissione del mattino. Nel giro di pochi giorni arrivò la risposta. L’Order of the Sons of Italy in America (OSIA), la più grande e più antica organizzazione di italiani americani negli Stati Uniti, annunciò che «era sconcertata da una simile affermazione e dal rifiuto della stazione radio di trasmettere le proprie scuse. Sappiamo che il signor Nice è africano americano, ma non riusciamo a capire perché sia sbagliato che una persona bianca chiami un africano americano in quel modo, mentre invece non ci sia nulla da obiettare se lo stesso termine viene usato da un africano americano per descrivere i bianchi». Ciò che il portavoce dell’organizzazione considerava tanto offensivo non era l’intera frase, solo l’epiteto, cosa priva di senso dato che veniva usato da un africano americano per descrivere dei bianchi. Quello che apparentemente non venne compreso, però, era che il conduttore radiofonico stava chiamando in causa gli italiani a proposito della particolarità della loro bianchezza: gli italiani non sono sempre stati bianchi, e la perdita di questa memoria è una delle tragedie del razzismo in America. […]
Gli Stati Uniti che gli immigrati italiani conobbero erano una nazione fondata su un processo di colonizzazione, espropriazione e schiavitù e pertanto percorsa da profonde fratture causate da gerarchie di disuguaglianza basate sulla razza. Ancora oggi, il persistere della privazione dei diritti civili, della segregazione, della ghettizzazione, del profiling e di altre forme di razzismo strutturale continua a ribadire i sostanziali benefici della bianchezza. Democrazia, libertà e altri ideali che gli americani considerano sacri non sono un dato di fatto, ma il risultato di una lotta condotta dal basso, spesso da quelli maggiormente esclusi. Praticamente tutti gli immigrati italiani sono arrivati negli Stati Uniti senza essere consapevoli dell’esistenza della linea del colore. Ma impararono in fretta che essere bianchi significava riuscire a evitare molte forme di violenza e di umiliazione, assicurarsi, tra gli altri privilegi, l’accesso preferenziale alla cittadinanza, al diritto di proprietà, a un’occupazione soddisfacente, a un salario con cui si poteva vivere, ad abitazioni decorose, al potere politico, allo status sociale e a un’istruzione di buon livello. «Bianco» era sia la categoria nella quale erano più frequentemente collocati, sia una consapevolezza che adottarono e respinsero allo stesso tempo.
(da Gli italiani sono bianchi? Come l’America ha costruito la razza, a cura di J. Guglielmo, S. Salerno, Il Saggiatore, Milano 2006, pp. 16-18)
C. Pavese, I mari del sud
Camminiamo una sera sul fianco di un colle, in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo mio cugino è un gigante vestito di bianco, che si muove pacato, abbronzato nel volto, taciturno. Tacere è la nostra virtù.
[…]
Mio cugino ha parlato stasera.
[…]
Vent’anni è stato in giro per il mondo.
Se n’andò ch’io ero ancora un bambino portato da donne, e lo dissero morto. Sentii poi parlarne da donne, come in favola, talvolta; ma gli uomini, più gravi, lo scordarono. Un inverno a mio padre già morto arrivò un cartoncino con un gran francobollo verdastro di navi in un porto e augurî di buona vendemmia. Fu un grande stupore, ma il bambino cresciuto spiegò avidamente che il biglietto veniva da un’isola detta Tasmania circondata da un mare più azzurro, feroce di squali, nel Pacifico, a sud dell’Australia. E aggiunse che certo il cugino pescava le perle. E staccò il francobollo. Tutti diedero un loro parere, ma tutti conclusero che, se non era morto, morirebbe.
Il ritorno in Italia
Eppure, non tutte le storie di emigrazione si risolsero in un completo fallimento. Molte persone trovarono effettivamente migliori condizioni di vita in un nuovo Paese. Ciononostante, molti italiani mantennero un forte legame con la terra d’origine, spesso decidendo, magari arricchiti e sicuramente invecchiati, di tornare a casa. Fu questo il caso del cugino di Cesare Pavese, che lo immortalò nella poesia I mari del sud, nella quale emerge tutta l’ambiguità di chi, pur tornato in patria, continua a sentirsi migrante.
Poi scordarono tutti e passò molto tempo. […]
Mio cugino è tornato, finita la guerra, gigantesco, tra i pochi. E aveva denaro. I parenti dicevano piano: “Fra un anno, a dir molto, se li è mangiati tutti e torna in giro. I disperati muoiono così”.
[…]
Mio cugino non parla dei viaggi compiuti. Dice asciutto che è stato in quel luogo e in quell’altro.
[…]
Solo un sogno gli è rimasto nel sangue: ha incrociato una volta, da fuochista su un legno olandese da pesca, il Cetaceo, e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole, ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia. Me le accenna talvolta. Ma quando gli dico ch’egli è tra i fortunati che han visto l’aurora sulle isole più belle della terra, al ricordo sorride e risponde che il sole si levava che il giorno era vecchio per loro.
(da C. Pavese, Lavorare stanca, Edizioni di Solaria, Firenze 1936)
› COMPITO DI REALTÀ
MIGRAZIONI IERI E OGGI
› STORIA E… LETTERATURA
• Nella poesia di Pavese si intrecciano le aspettative di chi emigra e di coloro invece che restano in patria: in quali passaggi ti sembrano emergere?
• Commenta gli ultimi versi della poesia: che cosa vuol dire «il sole / si levava che il giorno era vecchio per loro»?
• Pavese era un esperto di letteratura americana, che fu tra i primi a portare in Italia. A quale celebre romanzo alludono i versi sul «Cetaceo»?
Emigranti europei sul ponte di un transatlantico diretto in Nord America, 1900 circa.
Gli esseri umani si sono sempre spostati fra diversi territori alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nonostante questi viaggi, ieri come oggi, siano spesso pericolosi, molti migranti hanno lasciato testimonianze dirette della propria esperienza, spesso in forma di lettere ai familiari. Dal confronto tra le lettere si possono ricostruire le vite di queste persone e, allo stesso tempo, i contesti di partenza e di arrivo dei loro viaggi.
Fase 1 La classe si divide in gruppi e, con l’aiuto dell’insegnante, seleziona alcune lettere di migranti italiani traendole dal database del progetto Memoria e migrazioni (http://www.memoriaemigrazioni.it/prt_lettere.asp).
Fase 2 Ciascun gruppo prepara una presentazione in cui mette in evidenza gli elementi ricorrenti fra le diverse lettere che ha analizzato, e in particolare: il porto di partenza e di arrivo; le sensazioni provate alla partenza e all’arrivo; la nostalgia di casa.
Fase 3 Dopo che ciascun gruppo ha svolto la propria presentazione, la classe prepara un documento di sintesi in cui vengono inseriti gli elementi che ricorrono con più frequenza fra le diverse esperienze di viaggio.