Capitolo campione 25 - Il lungo studio e ’l grande amore (Umanistica SS2)

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GIAN BIAGIO CONTE EMILIO PIANEZZOLA

Il lungo studio e ’l grande amore

Lezioni di letteratura latina

Capitolo campione

Dalle guerre civili all’età di Cesare

IL CONTESTO

È uno dei momenti di più violente trasformazioni politiche della storia repubblicana: scontri tra fazioni, guerre, processi e dibattiti animano Roma.

L’apice dell’imperialismo sotto la repubblica, convenzionalmente identificato con la distruzione di Cartagine nel 146 a.C., è ormai raggiunto: quello che segue sono decenni di progressiva tensione, che culminano con le guerre civili nella prima metà del I secolo a.C. Il violento quadro politico e sociale dell’età cesariana porta con sé, però, uno straordinario sviluppo culturale. Gli intellettuali, ricorrendo allo sterminato patrimonio filosofico e letterario greco, si sentirono sollecitati a riflettere sull’evoluzione turbinosa che Roma stava attraversando.

I TESTI

Le opere composte in questa stagione e giunte sino a noi sono moltissime. Alcune sono considerate capolavori. Spesso gli autori sono uomini coinvolti in prima persona nelle vicende politiche, per esempio:

• Marco Tullio Cicerone, uno dei più noti politici della storia repubblicana, con la sua sterminata produzione di opere oratorie, retoriche e di trattati;

• Cesare, presto capo di Roma, e Sallustio, autori di opere storiografiche. Appartengono a questa stessa stagione, però, anche autori che si dedicarono a forme di poesia soggettiva:

• Catullo, con i suoi epigrammi, elegie, giambi;

• Lucrezio, con la poesia epico-didascalica di argomento filosofico.

LE DOMANDE

In che modo reagirono gli intellettuali alla crisi della res publica?

IMPEGNO

per giustificare il proprio operato politico (su modello dell'autobiografia greca di Senofonte)

• Cesare T1, p. 364.

per divulgare progetti di rinnovamento politico e sociale (su modello dell’oratoria attica)

• Cicerone T1, p. 228.

per indagare le cause della crisi in corso (su modello della storiografia politica di Tucidide)

• Sallustio T1, p. 444.

Alcuni autori, impegnati in prima persona nel dibattito politico, intesero la letteratura come uno strumento

DISIMPEGNO

Altri autori, vollero prendere le distanze dall’impegno pubblico e intesero la letteratura come mezzo

per rivendicare un ideale di vita appartata, in linea con la filosofia epicurea (su modello del poema didascalico greco di ispirazione filosofica)

• Lucrezio T1, p. 524.

per cantare provocatoriamente la dimensione privata, contro l’idea dell’individuo subordinato allo Stato (su modello della lirica di gusto alessandrino)

• Catullo T1, p. 622.

Dai Gracchi alla fine della repubblica LA STORIA 12

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Le riforme dei Gracchi

Grandi cambiamenti socio-politici • Le conquiste nel Mediterraneo orientale del II secolo a.C. ebbero significative ripercussioni sull’assetto socio-economico e politico di Roma. L’enorme afflusso di ricchezze dovuto ai bottini di guerra, l’estensione dei terreni agricoli sotto il diretto controllo dello stato (l’ager publicus) e la riscossione dei tributi nelle nuove province, unito al gran numero di prigionieri che andarono ad aumentare significativamente la manodopera schiavile, incisero, infatti, in profondità sull’economia romana.

LESSICO

Ager publicus: l’insieme dei territori di proprietà statale, spesso acquisiti in seguito all’occupazione militare e alla confisca di terre ai popoli vinti. Poteva essere dato in concessione a privati dietro pagamento di un canone.

Riottoso: aggettivo che descrive un’indole litigiosa e pronta alla ribellione, insofferente a ogni tipo di ogni norma o consiglio.

CRISI DELLA REPUBBLICA

L’affermazione del latifondo e dell’economia schiavile • All’arcaico modello agro-pastorale basato sulla piccola proprietà terriera si sostituì sempre più la grande proprietà organizzata in latifondi (le villae rusticae), specializzati in colture redditizie ma costose da praticare (vigne e oliveti) e nell’allevamento del bestiame, che richiedeva grandi estensioni di terreno destinato a pascoli. I latifondisti, appartenenti perlopiù alla classe senatoria, trassero grande beneficio proprio dall’afflusso di un numero elevatissimo di schiavi di guerra, senza la cui manodopera gratuita un simile modello produttivo non sarebbe stato sostenibile.

La crisi della piccola proprietà terriera • L’affermazione del latifondo penalizzò definitivamente i piccoli proprietari, già provati dalle devastazioni provocate dalla guerra annibalica e dai lunghi anni di servizio militare in terre lontane: moltissimi si trovarono costretti a vendere i propri appezzamenti e a cercare fortuna a Roma, andando così ad alimentare le fila di una plebe urbana impoverita e riottosa, che sarebbe divenuta un fattore di considerevole instabilità politica nei decenni successivi.

FINE DELLA REPUBBLICA

58-52 a.C. ascesa di Cesare e conquista della Gallia

49-48 a.C. guerra civile tra Cesare e Pompeo

133-123 a.C. riforma dei Gracchi

88-82 a.C. guerra civile tra Mario e Silla

77-64 a.C. ascesa di Pompeo

63 a.C. congiura di Catilina

Cicerone 106-43 a.C.

Cesare 100- 44 a.C.

Lucrezio 96/94-52/50 a.C.

Sallustio 86-35/4 a.C.

Catullo 84-54 a.C.

44 a.C. morte di Cesare

L’ascesa della classe equestre • Alla crisi della piccola proprietà terriera fece da contraltare l’ascesa della classe equestre, la classe cioè di coloro che, pur non facendo parte della nobilitas senatoria e quindi non potendo accedere alle magistrature repubblicane, godevano comunque di un reddito medio-alto, sufficiente all’acquisto di cavallo e armi per poter militare nella cavalleria (secondo l’ordinamento centuriato, di base censitaria). Gli equites approfittarono appieno delle nuove opportunità offerte dall’espansione imperialista: si dedicarono ai commerci e alle connesse attività finanziarie e svolsero nelle province l’attività di publicani, cioè appaltatori (ovvero gestori per conto dello stato), di incarichi pubblici che riguardavano la riscossione dei tributi, la costruzione di infrastrutture ed edifici pubblici, e lo sfruttamento di miniere e dogane. In questo modo, si arricchirono enormemente. In concomitanza con l’accresciuto status economico, gli equites cercarono di aumentare anche il proprio peso politico: si assicurarono quindi innanzitutto il controllo del tribunale permanente preposto al giudizio sui reati di corruzione nella gestione delle province – cosa che diede loro un certo margine di controllo sulla classe senatoria, la quale puntava proprio alle magistrature provinciali per potersi arricchire tramite corruzione e malversazioni.

Due nuove fazioni politiche: gli optimates e i populares • A livello politico, i nuovi assetti sociali portarono alla creazione, all’interno della nobilitas senatoria, di due nuove fazioni: gli optimates e i populares. I primi, conservatori, miravano a mantenere lo statu quo e i privilegi della classe dirigente; i secondi, invece, appoggiavano politiche che estendessero anche alle classi popolari il benessere economico derivante dalle conquiste.

Tra i populares si contraddistinsero in particolare, negli anni immediatamente successivi alla terza guerra punica, i due fratelli Tiberio e Gaio Gracco (figli di Tiberio Sempronio Gracco e di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano), i quali cercarono di affrontare il problema rappresentato dalla crisi della piccola proprietà terriera attraverso progetti di riforma radicali.

Tiberio Gracco: la legge agraria • La legge agraria di Tiberio, tribuno della plebe nel 133 a.C., vietava

LESSICO

Malversazione: ogni appropriazione o utilizzo non legittimo di beni o denaro amministrati per conto di altri, spesso esercitata come abuso di potere dovuto al proprio incarico, alla posizione sociale o al ruolo politico rivestito.

il possesso di più di 500 iugeri di ager publicus a testa e sanciva la redistribuzione delle quote in eccedenza ai cittadini nullatenenti, in forma di piccole proprietà inalienabili (ovvero non rivendibili ai latifondisti). Sebbene la legge prevedesse forme di indennizzo per chi doveva restituire le terre in eccesso ed esonerasse dall’imposta tutti i proprietari di ager publicus, la riforma incontrò l’opposizione dell’aristocrazia senatoria, che reagì con grande durezza: Tiberio fu assassinato e i suoi sostenitori condannati a morte con giudizio sommario.

Le riforme tentate da Gaio Gracco • Tribuno negli anni 124-123, Gaio Gracco riprese il programma di riforme del fratello. Si assicurò l’appoggio delle masse popolari con una vendita del grano a prezzo calmierato ai cittadini più poveri e con un piano per la fondazione di colonie in territori trasmarini; guadagnò anche il favore dei cavalieri affidando loro l’appalto della riscossione delle tasse nella provincia d’Asia e il controllo dei tribunali permanenti, riservato prima ai senatori. Ma quando propose di estendere la cittadinanza romana alle popolazioni italiche, nel tentativo di assicurarsi anche il loro appoggio, perse il favore del ceto popolare, timoroso di vedersi sottrarre i propri privilegi; perciò le elezioni del 121 furono vinte dalla fazione conservatrice del senato, che abrogò subito la legge sulle colonie. Il partito graccano si rivoltò in armi e i suoi capi, a cominciare da Gaio, trovarono la morte nella repressione.

2 Mario e Silla: la prima guerra civile

Il consolato di Mario • Nei decenni successivi le tensioni tra optimates e populares andarono acuendosi soprattutto in merito a due questioni delicate: da una parte, l’estensione della cittadinanza anche ai popoli italici alleati di Roma; dall’altra, l’ampliamento dell’esercito anche ai nullatenenti, fino ad allora esclusi dalla leva militare.

È in questo clima di crescenti contrasti che si affermò Gaio Mario, homo novus (privo cioè di tradizione familiare nel consolato). Uomo d’armi, distintosi nella guerra contro Giugurta (l’usurpatore al trono nello stato alleato della Numidia) nel 107 a.C., sconfisse due popolazioni germaniche, i Teutoni e i Cimbri, rispettivamente ad Aquae Sextiae (oggi Aix-en-Provence, nella Francia meridionale) nel 102 e ai Campi Raudii (nell’attuale Piemonte) nel 101.

La riforma dell’esercito • Mario rinnovò l’esercito ampliando il numero degli effettivi con l’arruolamento anche dei nullatenenti. Questo provvedimento rese il mestiere di soldato una vera e propria professione, più o meno redditizia a seconda della generosità dei generali nei confronti dei propri uomini; d’altra parte, però, creò anche un pericoloso legame personale tra il comandante e il suo esercito, più fedele all’uomo che lo guidava che allo stato e all’interesse comune.

La guerra sociale • Nel 91 a.C. il tribuno della plebe Marco Livio Druso propose di concedere la cittadinanza agli alleati italici, in riconoscimento del loro fondamentale contributo alla potenza romana; ma quando le sue leggi furono annullate dal senato e lui stesso ucciso in un agguato, gli Italici diedero vita alla «guerra sociale» (cioè dei socii, «alleati»). Per far fronte al conflitto, Roma mise in campo i più valenti generali (tra cui Mario e Silla, suo ex questore, ma di orientamento filosenatorio): tuttavia, dopo le prime sconfitte venne varata una serie di leggi che estendevano la cittadinanza agli Italici. La rivolta rientrò nell’88 a.C.

La guerra civile tra Mario e Silla • In quello stesso anno il re del Ponto Mitridate invase la provincia d’Asia, facendo strage di Romani; Silla, in quanto console, assunse il comando della guerra, ma i populares glielo revocarono per assegnarlo a Mario. Silla allora marciò su Roma, costrinse Mario a fuggire in Africa e ripartì per sconfiggere Mitridate. Durante la sua assenza, Mario, rimpatriato, marciò a sua volta su Roma e si impadronì del potere, vendicandosi dei nemici con squadre di sicari; Silla stesso venne proscritto e i suoi beni confiscati. Eletto console per la settima volta nell’86, Mario morì dopo due settimane.

Tornato in Italia dopo la vittoria su Mitridate, Silla sconfisse i mariani alla Porta Collina, presso Roma, nell’82, e, proclamatosi dittatore, redasse le liste di proscrizione, che prevedevano l’uccisione dei nemici politici e la confisca dei loro beni.

La dittatura di Silla e l’ampliamento del senato • Durante la dittatura, Silla prese iniziative a favore della classe senatoria e a scapito di populares e cavalieri: in particolare, restituì il controllo delle corti giudiziarie ai

LESSICO

Proscrizione: messa al bando e confisca dei beni di un nemico politico, che chiunque poteva uccidere impunemente. In senso figurato, il termine è usato ancora oggi per indicare la condanna radicale di idee o azioni.

senatori, rese obbligatorio sottoporre al senato le proposte di legge dei tribuni della plebe e ampliò il senato stesso da trecento a seicento membri. Nel 79 a.C. depose volontariamente la dittatura e si ritirò quindi a vita privata; morì l’anno seguente, il 78.

3 L’ascesa di Pompeo, Crasso e Cesare

Pompeo e Crasso consoli nel 70 a.C. • Dopo la morte di Silla (78 a.C.) sulla scena politica romana si affermarono nuove figure. L’ex generale sillano Gneo Pompeo si mise in luce sconfiggendo nel 71 a.C. Sertorio, un fuoriuscito mariano che aveva creato uno stato indipendente in Spagna. Fu eletto console per il 70 insieme a un altro ex-sostenitore di Silla, Marco Licinio Crasso, che aveva fatto fortuna con varie speculazioni e che si era distinto per aver posto termine nel 71 alla rivolta di schiavi guidata da Spartaco. I nuovi consoli smantellarono le riforme sillane restituendo potere ai tribuni della plebe e assegnando di nuovo i tribunali anche ai cavalieri.

Le vittoriose campagne militari di Pompeo • Pompeo proseguì quindi la sua ascesa sconfiggendo i pirati del Mediterraneo nel 67 a.C. e riprendendo la guerra contro Mitridate nel 66, in seguito alla quale il Ponto venne ridotto a provincia insieme alla Bitinia; poi annetté la Siria e provvide a dare una sistemazione all’Asia Minore

La congiura di Catilina • Intanto a Roma Giulio Cesare, patrizio appartenente all’antica e illustre gens Iulia, legato ai populares non solo per interessi politici, ma anche per ragioni familiari (Mario ne era lo zio acquisito), dopo aver ricoperto l’incarico di questore in Spagna nel 68 a.C., si coalizzò con Crasso. Politicamente vicino al partito dei populares, era anche Lucio Sergio Catilina, che tentò invano di essere eletto console per il 65 e poi per il 63, ma fu battuto da Cicerone, che aveva saputo guadagnarsi il favore del senato. Nel 63, Catilina si candidò al senato per la terza volta con un programma incentrato sulla cancellazione generale dei debiti: nuovamente sconfitto, ordì una congiura, ossia un tentativo di colpo di stato per impadronirsi del potere. Il piano prevedeva l’uccisione dei consoli e altre violenze ai danni di molti cittadini di Roma. Il complotto fu però scoperto grazie alle indagini di Cicerone, che pronunciò in senato la prima orazione Catilinaria, una violenta accusa che costrinse

18 La poesia neoterica e Catullo

ANTEPRIMA

Agli inizi del 1300 alcuni studiosi veneti scoprono i versi di un poeta latino vissuto tra il 84 e il 54 a.C.: la poesia di Catullo, come scrisse uno di loro, “era stata resuscitata”. I versi erano a tratti corrotti, ma, trovata la chiave per decifrarli, se ne vide tutta la grandezza. Raccontavano di un animo appassionato, che aveva vissuto per l’amicizia, la poesia e, soprattutto, per una tormentata storia d’amore. Era difficile non commuoversi di fronte a versi così pieni di passione; eppure, era necessario uno sforzo critico. A una più attenta analisi, i versi mostrarono la loro vera natura: non la confessione spontanea di uno spirito innamorato e sofferente, ma un raffinatissimo gioco letterario. Quello che segue è uno dei suoi componimenti più celebri.

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamoci, e le maledicenze dei vecchi troppo rigidi consideriamole tutte quante un soldo. I giorni possono tramontare e ritornare: noi, una volta che la nostra breve vita è tramontata, dobbiamo dormire una sola notte senza fine. Dammi mille baci, e poi cento, poi mille altri, poi ancora cento, poi ancora altri mille, e poi cento. Quindi, una volta che ne avremo totalizzato molte migliaia, li rimescoleremo, per non conoscere quanti sono o perché nessun maligno possa gettarci il malocchio, quando sappia quanto è grande il numero dei baci.

LA NOVITÀ

Catullo vive in un periodo di violente e rapide trasformazioni politiche Nasce negli anni del conflitto tra Mario e Silla e muore, giovanissimo, mentre Cesare sta conquistando la Gallia e scalando il potere a Roma.

Quello che si legge è un componimento poetico breve, di argomento amoroso, molto curato nei dettagli: sono evidenti, anche in traduzione, le immagini evocative e i raffinati giochi di parole

Stupisce la scelta del genere poetico: i contemporanei di Catullo (Cicerone, Cesare, Sallustio) si stavano dedicando a opere in prosa (retoriche, storiografiche, ecc). Perché questa scelta? Stupisce anche il contenuto: il poeta invita la sua amata a ignorare le parole degli anziani, dunque ribalta la tradizionale esaltazione del mos maiorum, tema ricorrente della cultura latina.

||| Arianna e Dioniso, affresco dalla Villa di Arianna a Stabia, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
IL CONTESTO
IL TESTO

IL PERCORSO DELL’AUTORE

Da dove proveniva Catullo? Che cosa aveva letto e studiato? Il primo passo degli studiosi fu ricostruire il più fedelmente possibile i suoi studi, le sue conoscenze, il terreno di stimoli su cui fondò le sue opere.

1. Un poeta non di Roma

Catullo nasce nella Gallia Cisalpina, una provincia molto romanizzata, ma non ancora inclusa nell’Italia a livello amministrativo.

2. Il fermento culturale della Gallia Cisalpina

Le élites cisalpine erano però profondamente legate ai protagonisti della politica romana

Diplomatici spesso giravano queste terre e, spostandosi, portavano con sé libri, copisti, segretari e maestri greci.

3. Catullo scopre la letteratura greca

Probabilmente così Catullo scopre la letteratura greca ellenistica, Callimaco, Apollonio Rodio, ma anche poeti più recenti come il dotto Euforione o il difficilissimo Licofrone.

4. Catullo a Roma

Quando si trasferisce a Roma, ha accesso al mercato librario, alle collezioni di libri degli amici, al gran numero di intellettuali greci che tenevano lezioni sui capolavori recenti. Le opere della letteratura greca scoperte in provincia potevano ora essere lette in forma integrale e capite

5. Una poesia nuova

Una volta iniziato alla poesia ellenistica, il passo successivo era ovvio: provare ad esprimersi con le stesse forme ma in latino. Il proposito di dare origine a una poesia ellenistica romana poteva iniziare.

LESSICO

Tempèrie: il sostantivo temperie indica, in generale, il complesso delle condizioni climatiche o atmosferiche di un luogo. In senso figurato invece indica il particolare carattere di un ambiente o di un momento culturale e storico.

Contaminazione: in Terenzio (vedi p. 154), per contaminazione si intende la fusione di elementi provenienti da opere, generi o linguaggi comunicativi diversi. In Terenzio il fenomeno si concentra sulle trame delle commedie-modello, nei neòteroi, invece, è un’operazione più sistematica: sulle orme degli alessandrini i poetae novi mescolano tra loro generi e tecniche narrative di diversa provenienza, per ottenere così componimenti spiazzanti e di sofisticata raffinatezza.

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Una rivoluzione culturale

Tra innovazione e persistenze conservatrici • Un fenomeno generale di ellenizzazione dei costumi caratterizza la società romana nell’età della tarda repubblica. Questa trasformazione è la conseguenza delle grandi conquiste del II secolo a.C., che avevano messo a contatto l’arcaica società romana di contadini-soldati con la più raffinata cultura greca del Mediterraneo orientale (vedi p. 128). Il processo si accentua con le campagne di Silla ad Atene e in Oriente, che fanno conoscere ai Romani il lusso e la ricchezza, ma anche la vivacità culturale, del mondo ellenistico. La classe dirigente romana, di riflesso, adotta con crescente passione uno stile di vita alla greca, mentre intellettuali di origine greca si riversano a Roma e vi fanno fortuna. Alla metà del I secolo, questa progressiva ellenizzazione si esprime anche nel campo specificamente letterario, e in forme radicali. Non si cerca più di armonizzare tradizione romana e spinte innovatrici, come aveva fatto Ennio, ma si intende definire un nuovo tipo di cultura, in opposizione programmatica al modello fino ad allora dominante. Nasce un movimento così innovatore da suscitare la reazione infastidita di un intellettuale come Cicerone, che pure non nascondeva un raffinato filellenismo.

I poetae novi • In questa temperie, una nuova generazione di poeti, dei quali Catullo è il massimo rappresentante, impone nel panorama della letteratura latina un radicale rinnovamento estetico e letterario, ispirato agli sviluppi più recenti della poesia ellenistica di lingua greca. La novità rappresentata dal movimento fu ben sintetizzata da Cicerone in una definizione da lui concepita come denigratoria, ma che in seguito ha perso del tutto l’originaria accezione negativa: poetae novi (o neòteroi, alla greca), ovvero «poeti moderni», i quali, come vedremo, secondo il punto di vista conservatore della civiltà romana rappresentavano una involuzione rispetto ai grandi autori precedenti. Il fastidio di Cicerone nei loro confronti si manifesta anche in un’altra sua celebre definizione: cantores Euphorionis, dal nome del poeta greco Euforione di Calcide (III secolo a.C.), che era stato preso a modello dai neòteroi per la ricercatezza e la preziosa erudizione dei suoi versi. Tale esibito apprezzamento per un oscuro autore ellenistico era percepito da Cicerone come un atto provocatorio, perché esprimeva il rifiuto irriverente della tradizione letteraria romana, e in particolare di Ennio: il campione dell’epos era infatti un autore diametralmente opposto, per forma (il poema epico), temi (la guerra) e contenuti (la storia di Roma), alla rarefatta poesia di Euforione, che si esprimeva invece in componimenti brevi e curatissimi, dedicati a vicende mitologiche e, probabilmente, con l’amore come tematica centrale.

Una poesia disimpegnata • I neòteroi, infatti, contribuiscono in modo significativo al graduale indebolimento dei valori e delle forme della tradizione, quel mos maiorum che prescriveva agli uomini delle classi elevate di partecipare attivamente alla vita politica e militare. In linea con la contestazione del mos maiorum, abbandonarono anche i generi letterari politicamente e moralmente ‘impegnati’, come l’epica e il teatro; alla crisi dei generi tradizionali, per converso, corrisponde l’emergere di esigenze nuove, dettate dall’affinarsi del gusto e della sensibilità. Di veramente nuovo i poeti neoterici hanno non tanto la predilezione per la letteratura greca ellenistica, a cui comunque avevano guardato anche gli autori latini arcaici, quanto la decisa imitazione degli aspetti eruditi e preziosi che caratterizzavano appunto quella letteratura (vedi Raccordi, p. 636). I neòteroi riprendono dai poeti ellenistici il gusto per la contaminazione tra i generi, l’interesse per la sperimentazione metrica, la ricerca di un lessico e di uno stile sofisticati, infine il carattere decisamente disimpegnato della poesia

La crisi del mos maiorum • La poesia neoterica, dunque, segna il culmine, sul piano letterario, di una tendenza da tempo sensibile nella cultura latina, esito di due fenomeni correlati: da una parte, il crescente disinteresse per la vita attiva spesa al servizio dello stato, per i valori venerandi della tradizione, per il ruolo insomma del civis romano; dall’altra il contemporaneo affermarsi del gusto dell’otium, del tempo libero dedicato alle lettere e ai piaceri, alla soddisfazione dei bisogni individuali e privati. Tale rinnovamento letterario ed etico si riflette anche nella diffusione nella Roma tardo-repubblicana dell’epicureismo, la filosofia che sostiene il rifiuto dell’attività politica nel nome di una vita appartata e dedita all’amicizia. Trova così ulteriore conferma la crisi del mos maiorum, in coincidenza con i drammatici rivolgimenti politici contemporanei (vedi pp. 218-223).

2 Dai preneoterici ai neòteroi: una nuova poetica

Come nasce la poesia neoterica: i preneoterici • Preludio della rivoluzione neoterica è la comparsa nell’élite colta romana, a partire dagli ultimi decenni del II secolo a.C., di una poesia di tono leggero e destinata all’ambito privato, caratterizzata dalla brevità. Questi componimenti erano designati come nugae, «bagatelle», un termine che implicitamente ne riconosceva il carattere scherzoso e la natura disimpegnata, di semplice intrattenimento. Coltivata nella cerchia intellettuale che faceva capo all’aristocratico Q. Lutazio Catulo (vedi Per approfondire, p. 627), questa poesia, definita oggi preneoterica, è infatti frutto dell’otium, dello spazio sottratto agli impegni civili e dedicato alla lettura e alla conversazione dotta. Si tratta, però, di una deroga occasionale a una condotta di vita incentrata ancora sui doveri del civis: non a caso lo stesso Lutazio Catulo è scrittore anche di opere storiche, l’unico genere letterario che era considerato degno di un autore di rango senatorio (vedi anche il caso di Sallustio, p. 447).

Questi poeti, dunque, affiancano ai tradizionali obblighi sociali l’espressione delle proprie esigenze individuali, che si manifestano soprattutto nell’interesse per i sentimenti privati, come l’amore. Questo elemento di novità nel panorama poetico romano si salda, inoltre, con la ricerca di una raffinata elaborazione formale (lessico, metrica, impianto compositivo ecc.), che rivela un gusto educato dal contatto con la cultura e la poesia greca alessandrina, elaborata ad Alessandria d’Egitto nel corso dei due secoli precedenti.

LESSICO

Disimpegno: in letteratura, l’adozione di tematiche legate perlopiù alla vita privata e affettiva e il conseguente rifiuto di argomenti politici e sociali di più ampia portata, che rientrano invece nella sfera pubblica.

||| Lawrence Alma Tadema, Un mondo tutto loro, 1905. Cincinnati, Taft Museum of Art.

LESSICO

Labor limae: letteralmente, «lavoro di lima». Espressione figurata, creata da Orazio (Ars poetica, v. 290) per indicare il lavoro di rifinitura a cui deve essere sottoposta un’opera d’arte fino al raggiungimento della perfezione.

La svolta dei neòteroi • Poesia prodotto dell’otium, spazio ai sentimenti privati, attenzione alla cura formale: le prerogative della poesia preneoterica costituiscono il terreno da cui prende vita e si evolve l’esperienza dei neoterici.

Tuttavia, nonostante gli elementi di continuità, ben maggiore è la consapevolezza letteraria che la poesia neoterica possiede e assai più netto lo scarto che essa introduce rispetto alla tradizione poetica latina. I neòteroi, infatti, non concedono all’otium e ai suoi piaceri, tra cui quelli del banchetto e delle discussioni letterarie in compagnia degli amici letterati, solo uno spazio limitato, ma li collocano al centro dell’esistenza, ne fanno i valori assoluti, le ragioni esclusive. Tra questi valori assoluti, tema privilegiato della poesia e sentimento irrinunciabile per l’uomo, c’è l’amore, che dunque concorre a dar forma a un nuovo modo di vivere, ispirato appunto dal culto dell’eros e delle passioni e dalla dedizione alla poesia che di esse si alimenta.

È proprio questo aspetto, la centralità dell’amore, a distanziare la poetica neoterica e l’epicureismo, che pure convergono nella scelta dell’otium come ideale di vita: per gli epicurei, infatti, il fine a cui tendere è l’atarassìa, il piacere senza turbamenti, mentre l’eros è nient’altro che una malattia insidiosa, da fuggire come fonte di angoscia e di dolore (basta pensare al libro IV di Lucrezio, vedi cap. 17, T16).

La poetica callimachea • I neòteroi, in realtà, non costituiscono una vera e propria scuola, ma condividono affinità di gusto e, in molti casi, una comune provenienza geografica dalla Gallia Cisalpina; ciò si traduce in contatti, incontri, discussioni e letture comuni, cioè in un’attività critico-filologica che accompagna la pratica poetica vera e propria e le fa da supporto. I neòteroi scambiano tra loro spunti e compiono un lavoro di reciproca verifica, dando una valutazione dei versi prodotti all’interno della loro cerchia.

La cura scrupolosa della composizione e il paziente lavoro di lima sono infatti il tratto distintivo primario della loro poetica, ispirata a Callimaco, il poeta ellenistico assurto a emblema degli ideali di poetica alessandrina (vedi Per approfondire, p. 630).

Brevitas e labor limae • Sulla scorta della poetica callimachea, fondata su brevitas (il componimento di piccole dimensioni) e ars (il meticoloso lavoro di cesello), i neòteroi prendono a irridere gli stanchi imitatori di Ennio (come Callimaco e gli alessandrini lo facevano degli imitatori di Omero, vedi Per approfondire, p. 602), i pomposi cultori dell’epica tradizionale, celebrativa delle glorie nazionali, estranea ormai al gusto contemporaneo sia per la trascuratezza formale (T3) che per i contenuti antiquati.

Apprezzano invece altri generi, più adatti all’accurato lavoro di cesello, al labor limae: l’epigramma (vedi Raccordi, p. 666), brevi composizioni particolarmente versatili per contenuti; oppure l’epillio (vedi Raccordi, p. 636), il poema mitologico in miniatura, che consente al poeta di fare sfoggio della propria preziosa erudizione, raccontando antichi miti di soggetto erotico, vicini perciò alla sensibilità moderna, e di attuare raffinate strategie compositive, come racconti a incastro, narrazioni cucite insieme che si rispecchiano vicendevolmente ecc.

||| I neòteroi: tra preneoterici ed epicureismo

Otium Amore

preneoterici ha spazio limitato accanto ad attività proprie del civis

epicurei viene scelto come rifiuto della vita impegnata (negotium)

neòteroi diventa il centro dell’esistenza

è un interesse privato e un motivo letterario

è una passione da evitare (mette a rischio l’atarassìa)

è sentito come una ragione di vita, che condiziona anche la poesia

T3
T16

Un linguaggio poetico ‘moderno’ • I principi ispiratori della poetica di scuola callimachea danno luogo all’elaborazione di un nuovo linguaggio poetico e segnano più in generale una svolta decisiva nella storia del gusto letterario a Roma. Il neoterismo costituirà d’ora in poi come una barriera di modernità, una linea di demarcazione tra gli autori precedenti, ormai considerati ‘arcaici’, e gli autori successivi, che ne subiranno tutti l’influenza, compresi quelli più legati alle forme tradizionali.

PER APPROFONDIRE

Una rivoluzione nel gusto e nei versi: preneoterici e

neòteroi

Lutazio Catulo, il precursore • Tra i precursori dei neòteroi propriamente detti un posto di rilievo spetta a Quinto Lutazio Catulo. Potente aristocratico impegnato nella vita politica e autore anche di opere storiche, Lutazio Catulo riserba all’otium e alla poesia di intrattenimento solo il tempo libero dagli impegni pubblici. Così, nel frammento 1 Morel (= Buechner), rielaborazione di un epigramma (vedi p. 666) di Callimaco sul motivo dell’eros paidikòs, l’«amore per gli adolescenti», l’amore appare semplice pretesto letterario a una dotta ‘variazione sul tema’:

Il cuore mi è fuggito; come al solito – credo –è andato da Teotimo. Proprio così: è là che ha il suo rifugio.

Che mai accadrebbe se non gli avessi fatto divieto di dar ricetto a quel fuggiasco, se non gli avessi imposto di scacciarlo? Andrò a cercarlo. Ma ho gran paura d’essere io stesso catturato. Che fare? Dammi tu, Venere, un consiglio.

Valerio Edituo: gli epigrammi erotici • Attorno a Lutazio Catulo si raccoglie un gruppo di letterati accomunati dal nuovo gusto per la poesia leggera di intrattenimento. Tra questi, ricordiamo almeno Valerio Edituo e Levio. Valerio Edituo è autore, come poi Catullo, il capofila dei neòteroi, di epigrammi erotici di manierata fattura alessandrina, uno dei quali (fr. 1 Morel = Buechner) rielabora un celebre tema di Saffo, ripreso anche da Catullo nel carme 51 ( T11):

Quando io tento, Pànfila, di dirti la pena del mio cuore e quello che desidero da te, restano le mie labbra prive di parole e d’improvviso, in una vampa, il petto mi si bagna di sudore: così muto, avvampante, me ne sto vergognoso, qui, a morire.

Gli Erotopaegnia di Levio • Di Levio, invece, si sa che doveva essere vissuto più o meno al principio del I secolo a.C. Dei suoi Erotopaegnia («Scherzi d’amore») restano circa una cinquantina di versi, dove i miti più famosi della tradizione epica, le storie di Ettore, Elena, Circe, Protesilao (il primo greco caduto durante la guerra di Troia) e Laodamìa (l’amata di Protesilao), diventavano soprattutto temi d’amore raccontati con tratti talora di morbida sensualità. Levio era famoso anche per la relativa libertà che si prendeva nel coniare composti lessicali inediti e nello sperimentare forme metriche inusitate.

Valerio Catone, il poeta-filologo • Una figura di spicco, quasi un caposcuola, delle nuove tendenze poetiche è poi Valerio Catone. Originario della Gallia Cisalpina, nacque probabilmente agli inizi del I secolo a.C.: venne a Roma, dove visse come grammatico e maestro di poesia. Lettore e critico temuto di poesia, è autore di due epilli: la Lydia, probabilmente incentrato sulla donna amata, e la Dyctinna, o Diana

Varrone Atacino: Leucadia e Argonautae • Poeta neoterico, ma anche autore di poemi epico-storici, è Varrone Atacino, che aderisce al nuovo gusto poetico in un’opera intitolata Leucadia, dal nome della donna amata; i poeti elegiaci la indicheranno fra i primi esempi di poesia erotica latina. Di Varrone Atacino va però soprattutto ricordato il poema epico Argonautae, libera traduzione in esametri latini delle Argonautiche del poeta ellenistico Apollonio Rodio: egli prosegue così la tradizione latina dei poeti-traduttori e insieme manifesta la preferenza per temi come l’eros e le sue complicazioni psicologiche (nel racconto dell’innamoramento di Medea per Giasone), secondo un approccio caratteristico dei poeti nuovi.

Cinna e Calvo, gli amici di Catullo • Ma le due figure di maggior rilievo, a noi note soprattutto grazie a Catullo, che fu loro amico, sono i due poeti Elvio Cinna e Licinio

Calvo. Cinna, originario di Brescia, partecipò con Catullo a un viaggio in Bitinia, regione dell’Asia Minore, nel 57 a.C. C’è chi lo identifica con il Cinna che avrebbe portato a Roma al proprio seguito il poeta greco Partenio di Nicea, le cui elegie, basate sul racconto di infelici amori del mito, riscossero grande successo tra i poeti nuovi. Si conserva una sua operetta in prosa, intitolata Erotikà pathèmata («Sofferenza d’amore»): è un prontuario di vicende erotiche dall’esito tragico, ad uso degli scrittori che volessero trattarle in latino.

La Zmyrna di Cinna • Ispirata ai componimenti di Partenio doveva essere la Zmyrna di Cinna, storia dell’amore incestuoso di una fanciulla (appunto Zmyrna, più nota come Mirra) per il proprio padre, Cìnira. La Zmyrna richiese nove anni di laboriosissime cure ( T2), e per

Lutazio Catulo

PRENEOTERICI

Valerio Edituo

densità di dottrina doveva essere talmente impenetrabile da avere bisogno di un commento esegetico, come ci informa il biografo di fine I secolo d.C. Svetonio.

Io: l’epillio di Licinio Calvo • Licinio Calvo (82-47 a.C.) era di Roma, discendente da un’illustre famiglia plebea e celebre oratore ( T6). Di lui ci restano pochissimi versi (soprattutto di soggetto amoroso). Compose un dolente epicedio (canto funebre) per la moglie Quintilia. Un’altra sua opera, Io, era, invece, un epillio sulla storia dell’eroina amata da Giove (e perseguitata per questo da Giunone), che la trasformò in giovenca. Il tema stesso della metamorfosi era molto caro ai poeti alessandrini, perché soddisfaceva il loro gusto per il paradossale e dava loro modo di cimentarsi in descrizioni che richiedevano grande virtuosismo.

• nugae

• opere storiche il precursore

amico di Catulo

Levio l’anello di congiunzione

Valerio Catone il caposcuola

Varrone Atacino tra i primi elegiaci

NEÒTEROI

Cinna amico di Catullo

• epigrammi erotici di gusto alessandrino

• storie mitiche di argomento amoroso

• sperimentazioni metriche e linguistiche

rielaborazione, e non imitazione, dei modelli greci

Licinio Calvo amico di Catullo

• maestro e critico di poesia

• poema storico di stampo enniano (Bellum Sequanicum)

• poemetto erotico (Leucadia)

• traduzione delle Argonautiche di Apollonio Rodio

alla ricerca di un nuovo linguaggio poetico

• epillio Zmyrna erudizione e labor limae

• epillio Io

• epicedio per la moglie morta

Catullo, il massimo interprete della nuova poesia

3.1 La biografia di un poeta d’amore

Una vita breve • Gaio Valerio Catullo nacque a Verona, nella Gallia Cisalpina, certamente da famiglia agiata, come si può dedurre dal fatto che ebbe l’onore di ospitare Cesare a casa sua. La data di nascita non è certa: Girolamo, che si rifà a Svetonio, la fissa nell’87 a.C. e colloca la morte trent’anni dopo, nel 57; ma il poeta era certamente ancora vivo almeno nel 55 a.C., come provano alcuni accenni, nelle sue poesie, ad avvenimenti di quell’anno. Se è vera la notizia che Catullo visse trent’anni, si dovrebbe quindi abbassare, con quella della morte, anche la data della nascita e collocare così la sua vita tra l’84 e il 54 a.C.; altrimenti, mantenendo l’87 come data di nascita, si dovrà supporre che il poeta sia vissuto qualche anno più di quanto attesta Girolamo.

Amicizie, amori e viaggi • Trasferitosi a Roma, Catullo conobbe e frequentò personaggi di spicco dell’ambiente politico e letterario della capitale: dal celebre oratore Ortensio Ortalo ai poeti Cinna e Calvo; da L. Manlio Torquato, console nel 65 a.C., al giurista e futuro console Alfeno Varo; dallo storico Cornelio Nepote a Gaio Memmio, il dedicatario del De rerum natura di Lucrezio (vedi p. 529).

Qui ebbe inoltre una relazione d’amore con Clodia (cantata nei suoi versi con lo pseudonimo di Lesbia), quasi certamente da identificare con la sorella mediana del tribuno P. Clodio Pulcro e moglie di Q. Cecilio Metello, console nel 60. Di questa Clodia ci resta un celebre ritratto, a tinte fosche, nella Pro Caelio di Cicerone, l’orazione in difesa di M. Celio Rufo, ex amante della donna e da lei più tardi tratto in giudizio con l’accusa di venefici (vedi p. 239, T7)

Probabilmente nel 57, Catullo andò in Bitinia (T8), per un anno, come membro dell’entourage del governatore Gaio Memmio; in occasione di questo viaggio visitò la tomba del fratello, morto e sepolto nella Troade (vedi il famoso carme 101, T19).

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a Sirmione, litografia del XIX secolo. Collezione privata. T7 T8, T19

Catullo nella sua villa

PER APPROFONDIRE

Callimaco e la poesia alessandrina

Un erudito alla corte di Alessandria • Callimaco è una delle figure di spicco del rinnovamento letterario nell’età ellenistica, il periodo che segue alla morte di Alessandro (323 a.C.).

Originario di Cirene, nell’attuale Libia, Callimaco (315-240 ca. a.C.) operò nell’Alessandria dei Tolomei, la dinastia regnante dell’Egitto. Stipendiato dalla corte, lavorò alla Biblioteca, il grande centro culturale finanziato dai sovrani, dove promosse una monumentale opera di catalogazione dei testi conservati presso i sovrani (Pìnakes, «Tavole»). Erudito e poeta, compose gli Àitia, in quattro libri (ma giuntici solo in frammenti), una raccolta di componimenti in distici elegiaci sulle «Cause» (questo il significato del titolo), ovvero sulle origini di feste, nomi e tradizioni.

Il prologo degli Àitia: un testo programmatico • ll prologo degli Àitia è un testo particolarmente significativo per comprendere la poetica di Callimaco: questi versi, infatti, contengono una dichiarazione programmatica fondamentale, celata dietro un linguaggio figurato e immagini fortemente allusive. Callimaco definisce così chiaramente i parametri di ciò che considera una ‘buona poesia’ da divenire il principale punto di riferimento per la poetica raffinata dei successivi poeti ellenistici; e come tale sarà poi adottato anche dai neòteroi romani. Il prologo si apre con un’aspra invettiva contro i Telchini, maligni e invidiosi demoni mitologici con cui il poeta rappresenta i propri avversari. I Telchini, invisi alle Muse, attaccano Callimaco perché non ha cantato le gesta di re ed eroi in un unico componimento continuo, di molte migliaia di versi. A queste accuse Callimaco replica che la sua poesia si esaurisce nella forma breve perché non va giudicata con la «pertica persiana» (unità di misura per grandi lunghezze), ma in base alla tèchne, cioè l’abilità poetica (ars in latino), l’unica in grado di garantire alla creazione artistica quella leptòtes, «raffinatezza», che è la cifra caratteristica della produzione callimachea. Apollo in persona, infatti, dio della poesia, ha ordinato al poeta: «La vittima, dilettissimo cantore, occorre allevarla il più grassa possibile, ma la Musa, mio caro, sottile (leptalèen)»

Rinnovamento formale e raffinata dottrina • Dietro il linguaggio allusivo, comprensibile al pubblico dotto dell’epoca, il bersaglio della polemica è il lungo poema epico degli epigoni (cioè gli imitatori) di Omero. Di fronte alla ‘crisi’ delle forme letterarie tradizionali Callimaco opta dunque per il componimento breve, ma stilisticamente elaborato e ricco di erudizione mitologica e an-

tiquaria (ossia relativa alla cultura antica), di cui gli Àitia ci offrono appunto l’esempio.

L’investitura poetica dalle Muse • Subito dopo il prologo contro i Telchini, Callimaco racconta di essere stato trasportato in sogno sull’Elicona, il monte sacro alle Muse, con allusione all’investitura poetica che il poeta greco Esiodo inscena all’inizio della Teogonia (una scena ripresa, tra i latini, da Ennio, vedi cap. 7). I primi due libri degli Àitia sono quindi strutturati in forma di dialogo tra il poeta e le Muse stesse, le divinità ispiratrici del canto. All’interno di questa cornice si susseguono i quesiti di erudizione che sono argomento dei singoli carmi: temi peregrini, curiosità antiquarie, versioni poco note di celebri miti. Tradizione e innovazione si trovano così poste l’una accanto all’altra, in un insieme originale che sarà d’esempio per gli autori latini.

I Giambi • Della produzione callimachea fanno parte anche i Giambi, componimenti ispirati al poeta arcaico Ipponatte (VI secolo a.C.), nei quali a motivi di invettiva l’autore alessandrino accosta temi di polemica letteraria e di mitologia.

Le altre opere callimachee • Con il poemetto mitologico Ecale, di immensa fortuna letteraria, Callimaco è poi tra i fondatori del nuovo epos di brevi dimensioni, il cosiddetto ‘epillio’ (vedi Raccordi, p. 636). Callimaco esercitò la sua poetica della leptòtes anche in molti epigrammi, alcuni dei quali poi confluiti nell’Antologia Palatina (un’ampia raccolta di epigrammi databili tra il VI sec. a.C. e la prima età bizantina), un genere di poesia breve che in età ellenistica conobbe la sua stagione di massima fioritura. Raffinatezza e originalità sono le caratteristiche anche dei sei Inni (A Zeus, Ad Apollo, Ad Artemide, A Delo, I lavacri di Pallade, A Demetra), composizioni dedicate a specifiche divinità e forse legate in parte a perfomances pubbliche.

||| Callimaco e i neòteroi : una poetica comune

che cosa non comporre carmi lunghi i generi da praticare l’epillio, gli epigrammi che cosa comporre carmi brevi i contenuti mitologia, erudizione

il genere da rifiutare l’epica che imita Omero

il tratto stilistico leptòtes / labor limae

3.2 Il Liber

I carmi del Liber catulliano • Di Catullo abbiamo 116 carmi (per un totale di quasi 2.300 versi) raccolti in un Liber che si suole suddividere sommariamente, su base metrica, in tre sezioni, come vediamo nel seguente prospetto:

Carmi 1-60 nugae («bagatelle», «passatempi») o polimetri

Carmi 61-68 carmina docta

Carmi 69-116 epigrammi

componimenti brevi e di carattere leggero

carmi più lunghi e stilisticamente elaborati

metri: vari (non esametri)

metri: vari (in prevalenza esametri e distici elegiaci)

carmi generalmente brevi metro: distico elegiaco

Una raccolta postuma e incompleta • È controversa la questione relativa a chi decise l’ordinamento dei carmi all’interno del Liber catulliano: se qualche studioso ritiene che fu il poeta stesso a curare la distribuzione dei componimenti nella raccolta, i più tendono a credere che questo ordinamento sia opera di altri, perché risponde a criteri unicamente metrici, tipici del metodo di lavoro dei filologi. Per questo è verosimile pensare che la raccolta che ci è giunta fosse stata approntata dopo la morte del poeta, in occasione di un’edizione postuma dei suoi carmi. Non doveva però essere un’edizione integrale dell’opera catulliana. Alcuni carmi, infatti, ne devono essere rimasti esclusi, perché abbiamo per tradizione indiretta (ovvero tramite citazioni in altri autori) versi attribuiti a Catullo che non compaiono nei componimenti del Liber.

4 La poesia dei sentimenti privati: i carmi brevi

Una poesia delle piccole cose • Alla scelta di dare centralità alla dimensione intima e ai sentimenti privati, scelta che caratterizza la rivoluzione neoterica, risponde in modo più evidente quella parte della produzione poetica di Catullo che si suole indicare come «carmi brevi», cioè l’insieme dei polimetri (i carmi 1-60) e degli epigrammi (i carmi 69-116).

L’estensione esigua presuppone già in se stessa due aspetti fondamentali di questi componimenti: la modestia dei contenuti, che corrispondono a occasioni e avvenimenti della vita quotidiana, e il fatto che si prestino bene a un paziente lavoro di cesello da parte del poeta, alla ricerca della perfezione formale.

Affetti, amicizie, odi, passioni, aspetti minori o minimi dell’esistenza sono l’oggetto di questi carmi catulliani: uno scherzoso invito a cena (T4), il benvenuto a un amico che torna dalla Spagna (T7), le proteste per un gesto poco urbano o per un dono malizioso ricevuto dal poeta (T3) sono solo alcune di queste occasioni.

La cerchia dei neòteroi • Nei carmi brevi Catullo raffigura negli aspetti più minuti e quotidiani la vita all’interno del suo gruppo di amici letterati. Questi, condividendo gusti e scelte di vita, si ritrovano insieme, spesso a banchetto, per discutere di buoni e cattivi poeti; si sottopongono a vicenda i propri versi, a volte ingaggiando vere e proprie gare di poesia (carme 50); intrecciano, infine, su un piano più personale, rapporti di profondo affetto reciproco, sanciti da patti d’amicizia fondati solennemente sulla fides, in modo non diverso dal tipo di rapporto amoroso che Catullo immagina per sé e per Lesbia (carmi 30 e 38).

Viaggi in terre lontane • La vita di otium intellettuale all’interno della cerchia degli amici rende gravoso a Catullo intraprendere qualsiasi incarico ufficiale che la sua condizione di giovane aristocratico gli impone di assolvere. Così, all’interno dei carmi brevi assume un

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T4, T7, T3

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Esplora la villa di Catullo a Sirmione: un luogo dell’anima.

rilievo tutto particolare una delle poche esperienze che movimentarono la vita, altrimenti sedentaria, del poeta: il viaggio in Bitinia al seguito del governatore Gaio Memmio, nel 57 a.C. Dell’avventura in Asia Minore Catullo ci racconta, in un celebre carme (carme 101; (T19), soltanto un episodio, particolarmente toccante: la visita nella Troade alla tomba del fratello, che era morto in solitudine lontano da casa. Per il resto, in riferimento a quell’esperienza, il poeta si sofferma sulle sensazioni miste di sollievo e di rimpianto al momento di ripartire alla volta dell’Italia (carme 46, T8); sul sollievo e la gioia provati all’arrivo alla casa paterna a Sirmione, sul lago di Garda (carme 31); infine sulla profonda disillusione, non priva di autoironia, nel realizzare quanto poco fosse riuscito a ottenere per sé nel corso della missione appena conclusa (carme 10).

Le invettive • Se gli affetti rientrano nella cerchia degli amici neòteroi, gli odii che ricorrono nei numerosi carmi di invettiva vengono indirizzati invece contro tipi umani contrari alle scelte di vita e alle preferenze artistiche proprie di quella cerchia. Tra i principali bersagli delle invettive, che a volte presentano toni di particolare crudezza, si trovano arrivisti senza scrupoli, come Veranio e Fabullo, che si legano a notabili politici e comandanti militari con il solo intento di far carriera (carme 28); poetastri che ancora assumono a modello la sciatta produzione dei poeti arcaici, in primis Ennio, e si fanno vanto di sciorinare versi su versi in rapida sequenza, ma senza alcun lavoro di rifinitura, con risultati quindi di livello infimo (carme 36, contro Volusio); personaggi, infine, di dubbia origine che vivono ai margini della Roma elegante frequentata da Catullo e dai suoi sodali, coprendosi di ridicolo per inadeguatezza intellettuale e totale mancanza di savoir faire (carme 12, contro Asinio Marrucino).

Il ciclo di Giovenzio • In questo quadro di vita mondana ha spazio infine anche una relazione pederastica tra Catullo e un giovinetto di nome Giovenzio: a lui il poeta dedica un piccolo ciclo di composizioni, contrassegnate a volte da una tenerezza e un trasporto passionale non minori rispetto a quelli espressi per Lesbia (per es. carme 48).

4.1 La cerchia degli amici neoterici e la poesia del lepos

Un’ingenuità solo apparente • Dall’occasionalità dei temi risulta un’impressione di immediatezza che ha dato luogo, nella storia della critica, a un equivoco tenace: che questa poesia sia ingenua e spontanea, libera dai vincoli della morale e dai filtri della cultura (vedi p. 624). In realtà, la celebrata spontaneità catulliana è la veste che questa poesia si costruisce, ma è un’apparenza ricercata e ottenuta grazie a un ricco patrimonio di dottrina: anche i componimenti che sembrano più occasionali, riflesso immediato della realtà (come il biglietto di invito a cena per l’amico Fabullo T4), hanno i loro precedenti letterari (per esempio in epigrammi greci). Nondimeno, l’aggancio a un preciso spunto occasionale garantisce ai carmi catulliani una freschezza del tutto peculiare.

Tra spontaneità e ars • Nella complessa elaborazione stilistica della poesia catulliana entrano, dunque, precise risonanze letterarie, che tuttavia non hanno mai valore puramente esornativo, non servono cioè soltanto a impreziosire il dettato poetico, come accadeva nella poesia preneoterica. Esse, però, sono dissimulate sotto l’apparenza di uno slancio passionale o di un’immediatezza giocosa, che conferiscono alla poesia catulliana quella spontaneità frutto, in realtà, di solide strutture formali. Bisogna quindi sottrarsi ai rischi del biografismo, la convinzione cioè di poter ricostruire fedelmente la vita del poeta sulla base dei suoi carmi, e verificare di volta in volta la genesi complessa di questa poesia intessuta di dottrina: non si tratta di negare l’importanza davvero insolita che l’esperienza biografica assume in Catullo, ma di vedere come tale esperienza venga rimodellata in base alle influenze della tradizione.

I destinatari della poesia catulliana • Non si deve dimenticare, del resto, che il destinatario d’ogni carme è per lo più rappresentante di una cerchia raffinata e colta e si attende, quindi, un prodotto letterario con una veste stilistica e una fattura formale di livello adeguato.

Lo sfondo della poesia di Catullo, infatti, è costituito dall’ambiente letterario e mondano dell’Urbe, di cui fa parte il gruppo degli amici neoterici, accomunati dagli stessi gusti, da uno stesso linguaggio, da un ideale di grazia e brillantezza di spirito: lepos (la «piacevolezza», propria di chi sa commisurare i toni ai diversi contesti), venustas (l’«eleganza» del dettato poetico, rifinito a regola d’arte), urbanitas (la «compostezza» dei modi, propria di chi è abituato a frequentare gli ambienti eleganti della capitale) sono i princìpi che fondano questo codice etico e insieme estetico, un codice cioè che governa comportamenti e rapporti reciproci ma ispira anche il gusto letterario e artistico.

4.2 L’amore per Lesbia, ragione di vita e di poesia

Lesbia: al centro del mondo poetico catulliano • Sullo sfondo di questo raffinato ambiente mondano campeggia e risalta la figura di Lesbia, la donna amata da Catullo, incarnazione della devastante potenza dell’eros e protagonista indiscussa della sua poesia. Il nome di Lesbia, in realtà, è uno pseudonimo sotto cui si cela Clodia, moglie del console Quinto Cecilio Metello Celere (e sorella del Publio Clodio della Pro Caelio di Cicerone, vedi p. 230); questo pseudonimo rievoca Saffo, la poetessa greca di Lesbo vissuta tra il VII e il VI sec. a.C., ed è sufficiente a creare attorno alla donna come un alone idealizzante: oltre alla grazia e a una bellezza non comune, a farne il fascino sono soprattutto intelligenza, cultura, modi raffinati, spirito brillante.

L’eros contro il mos maiorum • Gioie, sofferenze, tradimenti, abbandoni, rimpianti, speranze, disinganni scandiscono le vicende di questo amore che è vissuto da Catullo come l’esperienza capitale della propria vita (T9-T17). All’eros non è più riservato lo spazio marginale che gli accordava la morale tradizionale (come a una debolezza giovanile, tollerabile purché non infrangesse le convenienze sociali), ma l’esperienza amorosa diventa centro dell’esistenza e valore primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana (celebre, l’invito del carme 5: Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, T11). Il totale coinvolgimento di Catullo nella propria vicenda d’amore lo induce a sottrarsi ai doveri civici previsti dal mos maiorum: non prende parte così alle travagliate vicende politiche tardo-repubblicane, limitandosi a esprimere tutto il proprio disprezzo persino nei confronti di figure di primo piano come Cesare (carme 29) o di avventurieri arroganti e corrotti (per esempio il Mamurra del carme 57).

I valori dell’eros: fides e pietas • Il rapporto con Lesbia nasce essenzialmente come adulterio (la donna infatti era sposata), come amore libero e basato sull’eros, ma diviene poi oggetto esclusivo dei sentimenti del poeta, che tende perciò, paradossalmente, a riconfigurarlo nelle sue aspirazioni come un tenace vincolo matrimoniale. Nei carmi, infatti, il poeta esprime frequenti recriminazioni contro Lesbia per la violazione, da parte della donna, del foedus amoris, il solenne «patto d’amore» imperniato su due valori fondamentali della società romana: la fides, che garantisce il patto stipulato vincolando moralmente i contraenti (vedi p. 677), e la pietas, virtù propria di chi assolve ai suoi doveri nei confronti degli altri, specialmente dei consanguinei, nonché della divinità.

Il foedus infranto • Catullo cerca di rendere quella relazione irregolare un aeternum ... sanctae foedus amicitiae («eterno patto di un sacro amore», carme 109, v. 6), nobilitandola con la tenerezza degli affetti familiari (pater ut gnatos diligit et generos, «come un padre

LESSICO

Lepos: «piacevolezza, grazia». Indica il carattere piacevole, per forma e contenuti, di componimenti brevi e disimpegnati, rivolti a un pubblico competente, dai gusti raffinati.

T9-T17
T11

LESSICO

Epigono: dal greco «nato dopo», ha sfumatura semantica negativa. Indica il seguace troppo pedissequo di un modello, dal quale non si distingue a sufficienza.

ama i figli e i generi», carme 72, v. 4). Tuttavia, l’offesa ripetuta del tradimento produce in lui una dolorosa dissociazione fra la componente sensuale (amare) e quella affettiva (bene velle): celebre esempio di questo conflitto interiore è il carme 72 (T16), che analizza con lucida amarezza la scomparsa di ogni stima e affetto per quella donna che continua, ancora più intensamente, ad accendere la passione dell’innamorato (iniuria talis / cogit amare magis, sed bene velle minus, «un’offesa tale costringe ad amare di più, ma a voler meno bene», v. 7 s.). E celeberrimo è il carme 85, che condensa in un ossimoro (odi et amo) la dolorosa sensazione del poeta stupito di fronte al dissidio che lo lacera (T17).

La consolazione del ricordo • La speranza sempre frustrata di un amore fedelmente ricambiato si accompagna in Catullo alla consapevolezza di non aver mai mancato al foedus d’amore con Lesbia, alla gratificante certezza della propria ‘innocenza’. Il carme 76 ( T18), nel quale il poeta rivolge una preghiera agli dèi affinché lo liberino dal sofferto amore per Lesbia, esprime compiutamente questo sentimento consolatorio: Catullo prova piacere (voluptas) nel riportare alla memoria l’integerrima fedeltà, da parte sua, alla parola data e questo ricordo lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni terreni. Questa consapevolezza della sua buona coscienza risulterà essere la sola soddisfazione sicura che l’amore per Lesbia gli potrà dare.

5 La poesia dotta di matrice alessandrina: i carmina docta

Due manifesti di poetica: i carmi 1 e 95 • Lepidus, novus, expolitus («piacevole, nuovo, rifinito»): così, presentando il suo libellus nel carme dedicatorio (carme 1 T1), Catullo ne descrive contemporaneamente il supporto (il volume di papiro lavorato raffinatamente) e i contenuti, improntati alla poetica callimachea del labor limae stilistico e della piacevolezza formale.

Questa poetica rivela apertamente la sua ascendenza alessandrina, meglio ancora callimachea, soprattutto nel carme 95, in cui il poeta annuncia la pubblicazione del poemetto dell’amico Cinna (vv. 1-2; 7-10, T2):

La Smirna del mio Cinna dopo nove messi e nove inverni da che è cominciata vide la luce […].

Gli Annali di Volusio periranno alla foce del Po e serviranno spesso da tuniche ampie per gli sgombri. A me stiano a cuore i brevi grandi testi dell’amico; quanto al popolo, si goda le gonfiaggini di Antimaco.

L’epillio contro l’epica tradizionale • Brevità, eleganza, dottrina sono i canoni di un gusto cui Catullo aderisce senza riserve, in polemica contrapposizione alla torrenziale faciloneria degli epigoni di scuola enniana che entusiasmano il pubblico incompetente. I veri intenditori apprezzeranno invece la nuova epica elaborata dai poeti neoterici: l’epillio, il poemetto breve (poche centinaia di esametri) che con le sue stesse dimensioni favorisce il paziente lavoro di rifinitura stilistica e che, sul piano dei contenuti, permette al poeta di fare sfoggio della sua preziosa dottrina. Gli epilli, infatti, trattano per lo più di vicende mitologiche peregrine e dai risvolti patologicamente passionali.

Dottrina e impegno stilistico (oltre a una maggiore ampiezza dei componimenti) sono particolarmente evidenti nella sezione dei carmi che, per tale motivo, sono noti come carmina docta («carmi dotti» 61-68), dove Catullo sperimenta con raffinatezza anche nuove forme compositive.

T2

Io lirico, io storico

Chi dice ‘io’ in poesia? L’amore di Catullo

Una prima persona ingannevole

Siamo sicuri che la voce in prima persona di un componimento lirico coincida automaticamente con il poeta? Possiamo attribuire all’autore tutto quello che l’Io parlante dice in un carme? Quando un poeta scrive «io», si sta esprimendo senza filtri, o piuttosto interpreta un ruolo che ha costruito con cura? Il caso di Catullo è esemplare. Quasi tutti i suoi carmina sono in prima persona e danno un’impressione di immediatezza e sincerità. Ma è davvero così? Come si è detto (vedi p. 624), questo effetto è frutto di un’attenta strategia artistica. I carmi di Catullo sono pensati per nascondere la loro natura di raffinati prodotti letterari.

Una trama di modelli

Anche un testo schietto e potente come il carme 85 (Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. / Nescio, sed fieri sentio et excrucior. «Io odio e amo. Ma come, dirai. Non lo so, / sento che avviene e che è la mia tortura.» T17), se scomposto nei suoi elementi, si rivela una studiata costruzione poetica. Esiste una lunga serie di precedenti greci – dalla lirica arcaica (Anacreonte) all’epigramma ellenistico – che descrivono la passione come un misto paradossale di amore e odio e che Catullo potrebbe aver consapevolmente imitato. Insomma, persino uno dei testi più coinvolgenti del Liber non nasce (solo) dal cuore del poeta, ma (anche) dalle sue letture

Dottrina e passione

Ciò che è, tuttavia, proprio di Catullo è il modo personale in cui i modelli letterari, con i loro luoghi comuni retorici, sono rivissuti e trasformati in qualcosa di nuovo. Nessuno dei precedenti greci ha l’asciutta efficacia di odi et amo. Il distico catulliano, d’altra parte, non ‘suona’ come l’imitazione di un epigramma ellenistico, ma sembra nato sul momento, dalla scoperta di un sentimento conflittuale e inspiegabile. Il merito è dell’intensità, autentica, con cui Catullo vive la sua passione: un’urgenza tale da dare forza inedita anche agli ‘stereotipi’ letterari con cui Catullo, per formazione, è portato a esprimersi. La grandezza di Catullo, in breve, sta nel riuscire a fare una poesia dotta, ma carica di sincera emozione. Mentre imita e riscrive i suoi modelli greci, costruendo una storia d’amore che è una grande ‘sceneggiatura’, la anima con il contributo unico della sua passione.

Catullo ‘storico’ e ‘lirico’

La figura storica dell’autore non va perciò confusa con il personaggio con cui si presenta nei suoi testi (l’io ‘lirico’ che parla nei carmi). La stessa vicenda di amore con Clodia, moglie di Q. Metello Celere, difficilmente coinciderà del tutto con le ‘tappe’ narrate nel Liber – al punto che ci si è spinti a dubitare persino della realtà storica di Lesbia. Eppure, quel che conta è che, nell’universo parallelo della letteratura, questa vicenda sia percepita come credibile: anche se dettagli, episodi e personaggi possono essere inventati, l’amore descritto dal poeta è vero.

ALTRE LETTERATURE L’amore di Petrarca nel Canzoniere

Qualcosa di simile si osserva nei Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca. La Laura ‘storica’ è del tutto eclissata dal personaggio di ‘Laura’, che è una creazione del poeta. Il Canzoniere è il frutto di un lavoro minuzioso di disposizione dei testi, condotto da Petrarca per tutta la vita con modifiche, aggiunte o tagli di carmi, spostamenti, ritocchi continui. La storia narrata nelle versioni provvisorie del Canzoniere è sempre diversa: uno splendido saggio di Marco Santagata (I frammenti dell’anima, Il Mulino, Bologna 1992) ricostruisce tutte le fasi di formazione del liber di Petrarca, mostrando come sia possibile immaginare ‘a tavolino’ una storia d’amore e insieme cantarla con autentico sentimento.

LESSICO

èkphrasis: digressione all’interno di un’opera letteraria, contenente la descrizione di un oggetto d’arte, che talvolta dà lo spunto per introdurre un ulteriore piano narrativo.

5.1 L’epillio: le nozze di Peleo e Teti e la vicenda di Attis

Il carme 64: un modello per l’epillio • Come altri poeti neoterici (Cinna con la sua Zmyrna, Valerio Catone con la Dictynna, Calvo con l’Io, Cecilio, un poeta ricordato da Catullo, con la Magna Mater) anche Catullo si cimenta nel nuovo genere epico, l’epillio (vedi oltre): il carme 64 ne costituirà quasi il modello esemplare per la cultura latina. Questo celebre poemetto (di 408 esametri) narra il mito delle nozze di Peleo e Teti, ma nella vicenda principale contiene – incastonata mediante la tecnica alessandrina dell’èkphrasis e della digressione – un’altra storia, che figura ricamata sulla coperta nuziale, quella dell’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo (T21).

Il foedus d’amore: due esempi mitici • L’intreccio delle due vicende d’amore, l’amore infelice di Arianna e l’amore felice di Peleo e Teti, istituisce una serie di relazioni che hanno il nucleo nel tema della fides, il rispetto per patti solenni garantiti dagli stessi dèi. Nella parte finale del carme, infatti, le Parche – le divinità da cui dipende il destino degli uomini – intonano un canto profetico che saluta le nozze di Teti con Peleo come modello di reciproca fedeltà dei due sposi. Il mito si fa, qui come altrove, proiezione e simbolo

LATINO E GRECO RACCORDI

L’epillio, un genere caro ai neòteroi

Il «piccolo epos» di argomento mitologico • Il significato di epillio – un termine introdotto dalla critica moderna, non attestato nell’antichità – è, alla lettera, «piccolo epos»: si definisce così un poemetto generalmente in esametri (il metro della poesia epica), di argomento mitologico e di estensione variabile ma in ogni caso contenuta, che conobbe una grande popolarità presso i poeti ellenistici e gli autori latini neoterici.

La matrice alessandrina: erudizione e cura formale • Questo tipo di componimento si sviluppò in linea con lo sperimentalismo della poesia alessandrina, aperta all’innovazione e alla variazione, nel tentativo di differenziarsi rispetto ai grandi classici del passato. Questo sperimentalismo condusse alla ricerca di miti rari, o di oscure varianti di vicende più note, e a un’elaborazione stilistica assai raffinata. A questi principi risponde anche il poemetto breve di tema mitologico, appunto l’epillio.

La scelta di miti ‘borghesi’ nel solco dell’Ecale • L’epillio si differenzia dai poemi epici tradizionali non solo per le dimensioni più contenute, ma anche per la scelta delle vicende da narrare. Una prima differenza tematica deriva dall’attenzione per le figure umili, per le vicende quotidiane e ‘borghesi’: nell’epillio grande importanza poteva essere data anche a personaggi minori, che aiutano o ospitano l’eroe di turno. Callimaco, per esempio, compose un poemetto su un’impresa di Teseo (l’uccisio-

ne del toro di Maratona) in cui notevole rilievo è dato alla figura della vecchia Ècale, che ospitò l’eroe lungo il suo viaggio, al punto che il titolo dell’opera è proprio Ecale.

Storie d’amore infelice: Mosco, il mito di Io e il ratto di Europa • Tuttavia il tema dell’epillio che avrà più diffusione nella poesia latina è senz’altro quello erotico, legato per lo più alle vicende di sventurate eroine, carico di venature patetiche e con una certa inclinazione al patologico e al mostruoso. Il poeta greco Mosco (II secolo a.C.) compose un poemetto su Europa rapita da Zeus in forma di toro; all’interno di questa linea narrativa l’autore incastona la vicenda di un’altra fanciulla, Io, anch’essa amata da Zeus, che poi la trasformò in giovenca per proteggerla dall’ira della moglie Era. Questo secondo nucleo narrativo è introdotto tramite la descrizione (èkphrasis) di una raffigurazione artistica, lo stesso espediente impiegato anche da Catullo nel carme 64 (vedi sopra).

La struttura a incastro e la narrazione commentata • Quest’uso di combinare ‘a incastro’ due storie che presentano elementi comuni o speculari, tramite una parentesi descrittiva, consente di definire l’epillio come una ‘narrazione commentata’. Nel componimento il flusso narrativo non procede in modo lineare, come nell’epica classica, ma opera una serie di accelerazioni e di tagli: in particolare, l’inizio e la fine sono spesso assai sintetici, mentre le scene sono

delle aspirazioni del poeta (T20), del suo bisogno perennemente inappagato di ancorare l’amore per Lesbia, così precario, a un foedus duraturo. Tuttavia, Catullo riconosce, con amarezza, l’illusorietà di tali speranze, perché nel mondo contemporaneo (ipostatizzato dalla vicenda di Arianna e Teseo) il valore della fides non viene più rispettato come nell’antichità (Peleo e Teti), ma anzi è continuamente violato, insieme agli altri valori religiosi e morali della tradizione.

Il carme 63: l’epillio di Attis • Anche il carme 63 è considerato un epillio, sebbene al più consueto esametro si sostituisca un altro metro (il galliambo, proprio dei canti in onore della dea Cìbele, i cui sacerdoti erano chiamati appunto Galli e che è in parte oggetto del carme). Il componimento si ispira alla vicenda del giovane frigio Attis che, desideroso di farsi sacerdote della dea Cìbele, la Grande Madre, si evira durante uno sfrenato rito in onore della divinità, e una volta libero dall’invasamento lamenta il folle gesto. Oltre che per il nucleo narrativo della struggente vicenda di Attis, Catullo mostra qui un interesse profondo, misto di attrazione e paura, per i nuovi culti orientali, tra cui appunto quello di Cìbele che, introdotto a Roma dall’Asia Minore nel 205-204 a.C., aveva destato scalpore per il carattere efferato dei suoi riti orgiastici, accompagnati da musica e danze cruente.

semplicemente giustapposte, senza parti di transizione e raccordo; a questa concisione si oppone, con un effetto generale di asimmetria, la dilatazione di particolari momenti, come la descrizione di oggetti d’arte o l’analisi dei sentimenti dell’eroina, che sfocia spesso in un appassionato monologo e ubbidisce a un gusto moderno per l’introspezione psicologica.

Pathos ed eros mostruoso nell’epillio latino • Gli epilli rappresentano i componimenti più ambiziosi in cui si cimentarono i poeti neoterici. Di queste opere (a parte il carme 64 di Catullo e, secondo alcuni, anche il più breve carme 63, pur se non in esametri) ci sono rimasti scarsissimi frammenti; ma anche soltanto i titoli rivelano la tendenza a privilegiare le storie d’amore, meglio se ricche di elementi fantastici, di metamorfosi (per esempio la fanciulla Io trasformata in giovenca, cantata da Calvo) o di pathos estremo e di scandalo innaturale (l’amore di Mirra per il proprio padre Cìnira nell’epillio di Cinna). Per quello che i frammenti ci lasciano intuire, l’approfondimento dell’analisi delle passioni e l’inclinazione al tono patetico (che si esprime per esempio attraverso la ricchezza delle apostrofi ai personaggi) distinguono l’epillio

• poeti alessandrini

• erudizione; raffinatezza formale; tecnica a incastro

• neòteroi

• caratteristiche alessandrine + componente erotica e patetismo

latino da quello alessandrino, più freddo e manierato.

Ciris e Culex: il tramonto dell’epillio • Esauritasi la spinta dell’intenso sperimentalismo neoterico, l’epillio come testo a sé stante divenne raro. Ci sono giunti poemetti quali la Ciris (dedicato al mito di Scilla, innamorata del re nemico Minosse e alla fine trasformata in uccello marino, e datato dopo Ovidio) o il Culex (la narrazione eroicomica dell’uccisione di una zanzara; datato alla tarda età augustea): sono da considerarsi alla stregua di omaggi giocosi tributati alla poetica alessandrina, ormai non più sentita come rivoluzionaria sul piano estetico o morale.

L’eredità dell’epillio nell’epica augustea • All’interno di opere di maggior respiro è però possibile isolare dei nuclei che presentano i caratteri tipici dell’epillio. È questo il caso del finale delle Georgiche di Virgilio, dove viene raccontato il mito di Aristeo, che fa da cornice a quello di Orfeo ed Euridice, e di moltissimi episodi all’interno delle Metamorfosi di Ovidio: la stagione neoterica si era esaurita ma aveva lasciato un insegnamento profondo, che i poeti augustei seppero mettere a frutto.

• Virgilio; Ovidio

• episodi inseriti in poemi maggiori

• Ciris; Culex

• tributo giocoso alla tradizione

La fioritura
L’arrivo a Roma L’eredità augustea Il tramonto

5.2

Omaggio ai modelli greci:

gli epitalami e la Chioma di Berenice

L’epitalamio a Roma: i carmi 61 e 62 • Epitalami, cioè canti nuziali, sono i carmi 61 e 62. Si tratta di un genere letterario di origine greca, attestato dall’epoca di Saffo fino all’età alessandrina, che Catullo romanizza inserendovi una serie di elementi tipicamente italico-romani, sia per quanto riguarda il rito nuziale sia sul piano etico-sociale. Mentre il carme 61 fu scritto in occasione delle nozze dei due nobili romani Lucio Manlio Torquato e Vibia Aurunculeia (T22), il carme 62 non fu composto per un’occasione reale: anche se qui non mancano accenti di sensibilità romana, il componimento rivela una più marcata adesione ai caratteri greci propri del genere.

La Chioma di Berenice • Nel ciclo dei carmina docta è compreso anche un componimento (carme 66) che è un vero e proprio omaggio a Callimaco: si tratta della traduzione in versi latini di una celebre elegia del poeta greco, nota come Chioma di Berenice, che doveva occupare la parte finale del IV libro degli Àitia e che a noi è rimasta in forma mutila e frammentaria.

In questo componimento Callimaco celebrava in versi la trovata encomiastica escogitata da Conone, l’astronomo alla corte di Tolomeo III Evèrgete, re d’Egitto, che aveva identificato una nuova costellazione da lui scoperta con il ricciolo offerto come ex voto dalla regina Berenice per il ritorno del marito dalla guerra, ricciolo poi misteriosamente scomparso. Nel tradurre liberamente la vicenda del catasterismo, cioè della trasformazione del ricciolo di Berenice in costellazione, Catullo introduce o accentua temi centrali della sua poetica, che inaspettatamente, dato il carattere meno occasionale e ‘biografico’ di questi componimenti, sono invece particolarmente insistenti nei carmina docta: esaltazione della fides, della pietas, condanna dell’adulterio e celebrazione delle virtù eroiche. Alcuni di questi temi, in particolare i primi due, sono presenti anche nel carme 67, in cui la porta di un’abitazione racconta le vicende non proprio edificanti di cui è stata protagonista la singolare famiglia che abita in quella casa.

5.3 L’amore e l’archetipo mitico: il carme 68

La difficile interpretazione del carme 68 • Rilevante è anche il carme 68, che riassume i temi principali della poesia di Catullo, come l’amicizia, l’amore, l’attività poetica, il dolore per la morte del fratello. Qui il ricordo dei primi amori, furtivi, del poeta con Lesbia sfuma nel mito: Catullo, infatti, adombra nella vicenda di Protesilao e Laodamìa

||| I carmina docta

Carme 61 epitalamio

Carme 62 epitalamio

Carme 63 epillio (evirazione di Attis)

Carme 64 epillio (Peleo e Teti vs Teseo e Arianna)

Carme 65 dedica a Calvo del carme 66

Carme 66 traduzione della Chioma di Berenice

Carme 67 una porta racconta che cos’è successo nella casa

Carme 68 mito di Protesilao e Laodamia

(unitisi prima che fossero celebrate le nozze e perciò puniti con la morte di lui appena sbarcato a Troia) quella sua e di Lesbia, un coniugium («unione») anch’esso imperfetto e precario. Il carme risulta tuttavia problematico: si discute persino se questo testo, trasmesso come unico nei codici, si debba in realtà distinguere in due componimenti, e quale sia in tal caso la relazione che li lega.

Un’elegia ante litteram • Il carme 68, inoltre, merita una menzione particolare per il suo destino nella storia letteraria latina: il largo spazio concesso al ricordo e alla vita vissuta, proiettata miticamente, l’uso del distico elegiaco e uno sviluppo piuttosto ampio dovevano farlo apparire come il progenitore della futura elegia soggettiva latina.

6 Lingua e stile

Una pluralità di influenze • Quella di Catullo, si è detto, è una cultura letteraria ricca e complessa, in cui accanto all’influsso dominante della letteratura alessandrina, con la sua eleganza talora preziosa, è sensibile anche quello della lirica greca arcaica, dell’intensa passionalità di Archiloco e di Saffo. Nei componimenti catulliani ci si aspetterebbe, dunque, una lingua puramente letteraria, risultato della sapiente emulazione dei modelli. In realtà, la lingua di Catullo ha una fortissima cifra di originalità, risultato della combinazione di linguaggio letterario e sermo familiaris (il linguaggio d’uso quotidiano negli ambienti raffinati frequentati dal poeta): il lessico e le movenze del parlato vengono assorbiti e filtrati da un gusto aristocratico che li raffina e li impreziosisce, senza però isterilirne le capacità.

Volgarismi e sermo familiaris • Il gusto ricercato non produce un’eleganza delicata, ma lascia spazio, per esempio, alla cruda espressività di certi volgarismi: questi non vanno intesi come un tratto di lingua autenticamente popolare, ma ricondotti allo snobistico compiacimento di un’élite colta che ama esibire il turpiloquio accanto all’erudizione più raffinata. Particolarmente frequenti, fra i tratti di sermo familiaris, i diminutivi, che nella loro stessa mollezza fonica e formale (flosculus, labella, turgiduli ocelli, molliculus, pallidulus, tenellulus ecc.) sembrano rivelare l’adesione a quell’estetica del lepos, della grazia, che accomuna la cerchia degli amici.

Una grande varietà stilistica • Uno stile composito, insomma, e sempre vitale, con un’ampia gamma di modalità espressive: lo sberleffo irridente e scurrile; le morbidezze del linguaggio amoroso; la baldanza giovanile che dilata le immagini in iperboli; infine, la grazia leggera, la pacata malinconia, gli abbandoni di certi momenti elegiaci, soprattutto nei carmi più tardi.

Lo stile prezioso dei carmina docta • La vitalità del linguaggio affettivo e l’intensità del pathos non sono assenti nemmeno nei carmina docta: giustamente la critica ha smentito da tempo l’idea di una netta distinzione fra i carmi brevi, più vivacemente espressivi e dove è dominante la componente affettiva e autobiografica, e i componimenti maggiori, dove più evidenti sono i tratti alessandrini dell’erudizione (la doctrina) e dell’elaborazione stilistica (il labor limae), ma in cui ricorrono comunque temi ed espressioni chiave dei carmi autobiografici, su tutti i concetti di fides e foedus amoris. Ma se la distinzione non va troppo marcata, non va tuttavia nemmeno annullata: vari elementi, come la selezione di un lessico generalmente più ricercato e la presenza di stilemi e movenze della poesia «alta», della tradizione enniana (come gli arcaismi, i composti, le clausole allitteranti ecc.), concorrono a dare ai carmina docta un carattere più spiccatamente letterario rispetto ai componimenti brevi.

L’autore in sintesi

LA VITA

Un poeta a Roma • Originario della Gallia Cisalpina, dove nasce a Verona nell’87 a.C. (o forse un paio d’anni dopo), Catullo frequenta i personaggi più in vista dell’ambiente politico e culturale romano. Massimo rappresentante della nuova poesia, ha tra i suoi amici più cari i poeti neoterici Licinio Calvo ed Elvio Cinna

L’evento centrale della sua vita è la storia d’amore con Clodia, cantata dal poeta sotto lo pseudonimo di Lesbia, sorella del tribuno P. Clodio Pulcro e moglie di Q. Cecilio Metello, console nel 60 a.C. Probabilmente nel 57 a.C. Catullo fa un viaggio in Bitinia al seguito del governatore Gaio Memmio. Muore dopo il 55 a.C.

IL GENERE

La poetica • La dimensione ridotta dei carmi brevi (1-60 + 69-116) si coniuga con l’orizzonte quotidiano e privato dei contenuti (affetti, amicizie, passioni, aspetti minori e minimi della vita) e favorisce d’altra parte la ricerca della perfezione formale. La poesia, fittiziamente spontanea, dei carmi brevi rivela in realtà un alto tasso di letterarietà, frutto di un ricco patrimonio di doctrina; si rivolge a un pubblico di intenditori, gli amici della cerchia neoterica. Lepos, venustas, urbanitas, «grazia, eleganza, umorismo raffinato», sono le parole chiave di un codice estetico ed etico condiviso, che governa i comportamenti e il gusto artistico all’interno della cerchia di amici poeti

I valori • I carmi brevi comprendono tematiche varie ma afferenti a una dimensione intima: i rapporti di amicitia con gli esponenti della cerchia e la fides che li caratterizza oppure gli attacchi nei confronti di mediocri rivali in poesia o verso nemici personali. Vi trova posto anche un piccolo ciclo di carmi pederotici indirizzati a Giovenzio

L’amore • Nell’universo privato dei carmi brevi domina l’amore con Lesbia e l’evoluzione del rapporto tra il poeta

SINTESI E MAPPA

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della sintesi e scarica la mappa modificabile

LE OPERE

Il Liber • Abbiamo un Liber di carmi divisi in tre sezioni: i polimetri (1-60), detti anche nugae («bagatelle», «passatempi»), componimenti brevi in vari metri; i carmina docta (61-68), di maggiore estensione e impegno stilistico; gli epigrammi (69-116), carmi brevi in distici elegiaci. Questo ordinamento fondato su criteri metrici non risale a Catullo, ma a un’edizione postuma della sua opera.

||| Lawrence Alma Tadema, Catullo legge i suoi poemi nella casa di Lesbia, 1870. Collezione privata.

e la sua puella, da fonte di gioia a causa di dolore dopo la rottura del foedus da parte della donna. Gioie, tradimenti, promesse, disinganni di questo amore sono vissuti dal poeta – in rottura con il ruolo marginale attribuito all’eros dalla morale tradizionale – come l’esperienza irripetibile e totalizzante della vita

I carmina docta • Nei «carmi dotti» (61-68) Catullo si cimenta soprattutto nel nuovo genere di epos in scala ridotta, l’epillio, caratterizzato da raffinata elaborazione stilistica e dottrina preziosa, componendo un modello esemplare per la poesia latina, il carme 64, il mito delle nozze di Peleo e Teti, che contiene, incastonato al suo interno, il lamento di Arianna abbandonata. Un epillio è anche il carme 63, l’evirazione di Attis invasato dalla dea Cìbele. All’interno dei carmina docta troviamo inoltre due epitalami (cc. 61-62); una traduzione da Callimaco, la Chioma di Berenice (c. 66), preceduta da un biglietto di dedica (c. 65); le confessioni di una porta che racconta l’immoralità dei padroni di casa (c. 67); e il carme 68, dove nel mito infelice di Protesilao e Laodamia si rispecchia la storia d’amore di Catullo e Lesbia.

Guida allo studio

Ripassa i contenuti del capitolo e prepara la tua esposizione Aiutati con la mappa e la traccia proposte.

CATULLO (87-55 a.C.)

PRESENTAZIONI

Ripassa con le presentazioni modificabili: Vita e opere di Catullo; L’amore per Lesbia; L’amicizia e gli affetti familiari.

vive a compone si ispira a dove si lega a

Roma Liber poetica neoterica

personaggi dell’ambiente politico romano e poeti neoterici: Licinio Calvo ed Elvio Cinna

e stringe una relazione con che è

raccolta di carmi divisi in: le nugae (1-60); i carmina docta (61-68); gli epigrammi (69-116).

che si caratterizza per che ha come che professano

MODELLI poeti alessandrini (Callimaco)

Clodia, pseudonimo Lesbia

Traccia per l’esposizione

• Quando e dove vive Catullo?

• Come è organizzato il suo Liber?

TEMI

attenzione alla sfera privata, ai sentimenti

• Quali sono i temi più ricorrenti e qual è la struttura della raccolta?

• Esponi i caratteri principali della lingua e dello stile di Catullo

• Quali sono le caratteristiche della poesia neoterica? Indica modelli letterari, caratteri stilistici e contenuti.

• In che cosa consiste la rivoluzione morale dei neoterici?

STILE ricerca della perfezione formale

• disimpegno politico

• eleganza formale

• brevità dei componimenti

PAROLE DA USARE E RICORDARE

• In che cosa consiste il foedus amoris proposto da Catullo a Lesbia?

• Che cosa si intende per labor limae?

• Che cosa vuol dire lepos e che importanza ha nella poetica di Catullo?

LESSICO ITALIANO

Prova a utilizzare nella tua esposizione le parole: disimpegno e contaminazione.

ANTOLOGIA

LO STILE DI CATULLO

Un raffinato connubio tra lingua letteraria e lingua quotidiana

sermo familiaris

• locuzioni colloquiali: esse aliquid, «avere un qualche valore»; non est mi male, «non me la passo male»; simul esse (tecum), «stare insieme a te»; non assis facio, «me ne frego» ecc.

• diminutivi affettivi: libellus, versiculi, ocelli, labella, misella (della donna innamorata), solaciolum, lectulus, sacculus ecc.

• volgarismi: moecha, lutum (epiteti ingiuriosi); ilia rumpens ecc.

• parole di origine non latina: basium (per osculum) e basio (per osculor)

• espressioni ridondanti, come le coppie sinonimiche di avverbi bene ac beate e mimice ac moleste

• termini che afferiscono all’area semantica del lepos: lepidus; bellus; delicatus; deliciae; dulcis; elegans; facetiae; iocus, iucundus; mollis; sal, salsus; tener (designa il poeta d’amore); venustus

registri stilistici ‘alti’ (poetismi ed espressioni ricercate)

• perifrasi epiche: Tritonis era (Atena), Rhamnusia virgo (Nemesi)

• aggettivi composti epici: caelicola; letifer; sagittifer; septemgeminus

• grecismi, per esempio cinis femminile,come in greco

• aggettivi dotti: Thyiadas; Eous

STRUMENTI

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• HUB Library per leggere altri testi;

• i Glossari di metrica e retorica e di mitologia, per scoprire o approfondire figure retoriche o personaggi del mito.

Una poesia ironica, erudita, aggraziata. Una poesia nuova

Nel periodo repubblicano la società di Roma fu profondamente conservatrice: ogni deviazione dal mos maiorum era percepita come una forma di decadenza e un potenziale pericolo per la stabilità sociopolitica interna. Considerata come un’attività indegna di un civis romano, che doveva profondere tutto il suo impegno al servizio dello stato, la letteratura era accettabile solo nella misura in cui risultasse utile alla causa della grandezza di Roma. La crisi politica e sociale del I secolo a.C. aveva tuttavia incrinato questo quadro: se, da un lato, scrittori come Cesare e Cicerone mettevano la letteratura al servizio delle proprie ambizioni, dall’altro lato, i neòteroi cercavano un’evasione dall’attualità violenta e traumatica, rifugiandosi nell’amicizia e nell’attività letteraria.

La ‘rivoluzione’ neoterica attuata da Catullo e dalla sua cerchia propone provocatoriamente un ideale poetico opposto rispetto al modello, per esempio, di Ennio (vedi p. 129). In luogo dell’impegno civile, la gioventù a cui Catullo dà voce celebra valori diversi: il gioco, l’umorismo brillante, la raffinatezza nello stile di vita e nell’espressione, l’interesse per contenuti spiritosi, leggeri e mai banali, unito alla ricerca di soggetti eruditi e all’accumulo di allusioni colte alla letteratura greca. Per Catullo e i suoi amici la poesia è il collante che tiene strettamente unita la cerchia. Con esibita complici-

tà intellettuale, i neòteroi si incontrano per poetare e discutere di poesia, si sottopongono vicendevolmente i propri versi, cercando l’incoraggiamento di persone con cui si condividono gusti e convinzioni ( T1). Si impegnano a formulare con la massima chiarezza le istanze fondamentali della loro poetica, in testi programmatici pensati per avere l’impatto di un manifesto poetico: i modelli di buona ( T2) e cattiva ( T3) poesia sono proposti come esempi da seguire o da respingere completamente. Piccoli capolavori di metaletteratura (poesia sulla poesia), molti carmi difendono le scelte artistiche della cerchia neoterica e pubblicizzano i testi simbolo della nuova poetica. In tale ottica, anche i momenti quotidiani in apparenza più banali, come un semplice invito a cena ( T5), assumono un valore programmatico: incarnano, infatti, uno stile di vita colto e raffinato che rispecchia la poesia elegante dei neòteroi.

T1 Un libriccino per Cornelio carme 1 LATINO T2 Un esempio della nuova poesia carme 95 LATINO T3 Un esempio di poesia scadente carme 14 LATINO T4 Un invito a cena carme 13 LATINO

||| Stepan Vladislavovich Bakalovich, Catullo legge le sue poesie, 1885. Mosca, Tretyakov Gallery.

T1 Un libriccino per Cornelio

(carme 1)

Con questo carme Catullo dedica all’amico storico Cornelio Nepote una raccolta di poesie di tono leggero e breve estensione (nugae), che potrebbero coincidere in parte con gli attuali carmi 2-60 della raccolta a noi pervenuta. Il componimento ha la funzione programmatica di presentare i princìpi dell’estetica neoterica; e nell’affermare il lepos, il labor limae, la doctrina come canoni della nuova poesia, il piccolo carme di Catullo ce ne offre al tempo stesso un esempio ammirevole.

Quasi a sottolineare la dimensione privata e disimpegnata della nuova poesia, il breve testo omette qualsiasi accenno alla realtà politica di quegli anni convulsi (sono gli anni della congiura di Catilina, del primo triumvirato, della campagna di Cesare in Gallia): una totale assenza di contestualizzazione che marca la rottura rispetto alla poesia ‘civile’ di gusto enniano e, allo stesso tempo, suggerisce la volontà di evasione da un presente difficile.

METRO: endecasillabi faleci

Cui dono lepidum novum libellum arida modo pumice expolitum?

Corneli, tibi: namque tu solebas meas esse aliquid putare nugas, 5 iam tum cum ausus es unus Italorum omne aevum tribus explicare cartis, doctis, Iuppiter, et laboriosis.

Quare habe tibi quicquid hoc libelli, qualecumque: quod, <o> patrona virgo, 10 plus uno maneat perenne saeclo.

vv. 1-2 Cui … expolitum?: «A chi dedicare il nuovo elegante libretto or ora lisciato dall’arida pomice?» • dono: in una domanda deliberativa come questa, in cui cioè ci si interroga sul da farsi, ci si aspetterebbe un congiuntivo dubitativo; qui Catullo sceglie invece l’indicativo probabilmente per rimarcare come abbia pochi dubbi su Cornelio come dedicatario.

• pumice: comunemente maschile, qui pumex è femminile. • expolitum: expolio significa lisciare con una pietra, la pumex appunto, gli orli di un papiro.

vv. 3-4 Corneli … nugas: «Cornelio, a te: e infatti tu eri solito credere che i miei scherzi poetici valessero qualcosa»

• Corneli: Cornelio Nepote (vedi p. 354), storico ed erudito, era originario come Catullo della Gallia Cisalpina e a lui legato – a quanto risulta dai versi che Catullo gli dedica – da amicizia di lunga data, basata su comuni interessi letterari. • esse

aliquid: espressione colloquiale. vv. 5-7 iam … laboriosis: «già allora quando tu, primo tra gli Italici, osasti illustrare la storia universale in tre volumi, dotti, per Giove, e laboriosi» • unus Italorum: Cornelio è il primo fra gli scrittori in lingua latina a comporre una storia universale (Chronica, in tre ponderosi libri, andati perduti). • tribus … cartis: carta, propriamente il foglio di papiro, indica per metonimia l’intero rotolo; explicare ha in sé l’idea dello svolgere tematicamente, cronologicamente, e anche concretamente, srotolando i volumina • Iuppiter: è esclamazione della lingua parlata. • laboriosis: l’aggettivo significa qui «duro, difficile, che richiede fatica»: è accezione rara del termine (che ha come significato primo «laborioso, diligente»).

v. 8 Quare … libelli: «Perciò, eccoti questo libretto» • Quare: la congiunzione conclusiva è riferibile al registro prosastico

GLOSSARIO DI RETORICA

qualecumque esprime una figura retorica detta enjambement, effetto che nasce quando la frase continua oltre la misura del verso. Con l’aiuto del Glossario di retorica on line approfondiscine caratteristiche e funzioni.

ma è comune nella poesia epigrammatica, satirica ed elegiaca. • habe tibi: «prenditi», formula tecnica del linguaggio giuridico: Catullo si sdebita degli apprezzamenti di Cornelio ‘cedendogli in proprietà’ il suo nuovo libellus • quicquid hoc libelli: = hunc libellum (libelli è genitivo partitivo), espressione di modestia.

v. 9 qualecumque … virgo: «qualunque sia il suo valore: o vergine mia protettrice» • qualecumque (sott. est): l’aggettivo indefinito è collocato nel verso successivo rispetto a quicquid hoc libelli, con cui è collegato (enjambement). Questo è l’unico enjambement del carme, dove altrimenti l’unità metrica del singolo verso coincide con l’unità di senso. • patrona virgo: si tratta di una delle Muse.

v. 10 plus … saeclo: «possa durare più di una generazione»; saeclum è forma sincopata per saeculum, «generazione» (sempre in questo senso in Catullo).

COMPRENSIONE

L’omaggio a un amico letterato • Il libretto, terminato da pochissimo (vv. 1-2), viene inviato a un amico, lo storico Cornelio Nepote (autore dei Chronica, perduti, a cui qui allude Catullo, e delle biografie raccolte nel De viris illustribus, vedi p. 362), che già ha mostrato da tempo di saper apprezzare i carmi leggeri (nugae) del poeta (vv. 3-4) e che è a sua volta esperto di fatiche letterarie, seppure d’altro genere (vv. 5-7). I vv. 5-7 mettono in rilievo ciascuno un aspetto dell’opera di Nepote: l’originalità (v. 5), il tema e l’estensione (v. 6), il carattere erudito e l’impegno dell’autore (v. 7).

Dopo il riferimento elogiativo all’opera dell’amico, i vv. 8-10 ribadiscono il gesto della dedica attraverso una rete di riprese formali: la ripetizione di libellus (vv. 8 e 1) e del pronome tibi (vv. 8 e 3); il motivo del deprezzamento giocoso delle nugae (vv. 8-9 e 4).

Una composizione ad anello • La ripresa nel finale della dedica già espressa all’inizio va a realizzare

ANALISI: LA LINGUA E LO STILE

Un manifesto di poetica • Al di là del gesto cortese verso il destinatario, il carme ha la funzione di proemio all’intera raccolta: oltre il tono colloquiale e l’impressione di (calcolata) spontaneità, infatti, l’incipit del libellus per Cornelio si propone al lettore come una dichiarazione programmatica sulle scelte letterarie dell’autore. Il sermo familiaris (cioè il registro stilistico che riproduce i modi della lingua colloquiale nel contesto di un’opera letteraria) ostentato da Catullo corrisponde infatti a uno strato sociale e culturale ben preciso: si tratta della lingua parlata all’interno della cerchia neoterica, nella quale ricorrono termini che connotano gli ideali estetici e letterari condivisi dal gruppo.

Cui dono lepidum novum libellum? • Così il v. 1 mette a fuoco l’oggetto del dono: non un liber ma un libellus («libretto, piccolo libro»). Il diminutivo, posto in rilievo a livello fonico dall’omoteleuto (nome e aggettivi hanno cioè identica terminazione), ha valore vezzeggiativo-affettivo; al tempo stesso, in rapporto al destinatario, il diminutivo è (apparentemente) deprezzativo: un piccolo libro di nugae, niente a che vedere con la poderosa opera storica di Cornelio. I

una composizione ad anello. Negli ultimi due versi, tuttavia, Catullo ottiene un effetto di sorpresa rivolgendosi non più, come nella prima parte, a Cornelio, bensì alla Musa protettrice dei poeti. Questo appello, infatti, indica un improvviso rovesciamento nell’atteggiamento assunto da Catullo: alla modestia espressa nei versi precedenti subentra qui la consapevolezza di un poeta sicuro dei propri mezzi e che per questo aspira a conquistare una fama eterna per la propria opera.

Si può, alla fine, individuare la struttura seguente:

vv. 1-2 domanda e presentazione della nuova opera

vv. 3-4 dedica a Nepote e atteggiamento di Nepote verso l’opera di Catullo

vv. 5-7 ammirazione di Catullo per l’opera di Nepote

vv. 8-10 ripresa del tema iniziale ma con la ‘sorpresa’ finale dell’invocazione alla Musa

due aggettivi novus e lepidus si riferiscono all’aspetto esteriore curato e invitante del prodotto librario finito, ma non solo. Lepidus annuncia una raccolta di carmi brevi improntati al lepos («grazia, eleganza»), termine da cui l’aggettivo deriva, canone dell’estetica neoterica. Lepos, lepidus designano il fascino di una vivacità colta e mai volgare, di un umorismo che, anche se mordace, non travalica i limiti dell’urbanità e del buon gusto. Novus è il libellus appena èdito anche e soprattutto per gli elementi di innovazione che la poesia neoterica introduce nella tradizione letteraria.

Arida pumice expolitum • Il gesto di lisciare gli orli del volume con la pomice eliminando ogni imperfezione e asperità (v. 2) richiama uno dei cardini dell’estetica neoterica: il labor limae. L’eleganza, il lepos, è frutto di un’attenta cura dei dettagli, di un lavoro assiduo di correzioni e rifiniture che spesso si cela dietro un tono di apparente spontaneità.

Le nugae di Catullo… • Per i neòteroi la poesia è lusus, «gioco», l’atto del comporre è ludere, «giocare, scherzare» (carme 50, vv. 2 e 5). Nugae è denominata per tradizione la prima parte del Liber (carmi 1-60):

GUIDA ALL’ANALISI

anche se Catullo impiega il termine soltanto qui, altrove ricorre però a termini analoghi, come ineptiae, «sciocchezze» (carme 14a). Le poesie donate a Cornelio sono presentate come nugae, con dovuta, educata espressione di modestia e in contrasto con i Chronica dello stesso Cornelio, un’impresa invece titanica. Per sottolinearlo, Catullo ricorre a due parole lunghe, di quattro (Italorum) e cinque sillabe (laboriosis), che, in chiusura dei versi 5 e 7, insistono sull’idea della fatica e dell’impegno.

… e le cartae doctae et laboriosae di Cornelio • Sull’opposizione tra le nugae di Catullo e i Chronica

INTERPRETAZIONE

Fuga nella dimensione privata • Per assimilare l’opera di Cornelio alla poetica neoterica, Catullo sorvola su alcuni aspetti dei Chronica. La cronologia universale di Nepote, infatti, tracciava una storia degli imperi che si erano succeduti nel tempo e ne mostrava i limiti. In un momento in cui la società romana era in crisi anche per le conseguenze delle conquiste nel Mediterraneo, l’opera di Nepote invitava a riflettere su un problema attuale: può una grande potenza distruggersi dall’interno? Questo risvolto è taciuto da Catullo, che riduce i Chronica a un esercizio di sintesi ed erudizione, nella tradizione alessandrina. Le ragioni di tale scelta sono chiare: Catullo può attribuire anche al suo dedicatario un atteggiamento tipico dei neòteroi come la fuga in una dimensione privata, lontano da un presente spaventoso e da una prassi politica per cui prova indiffe-

di Cornelio si innesta, però, anche una serie di corrispondenze: la novitas (v. 1) del libellus è ripresa al v. 5 dall’orgogliosa affermazione del primato letterario di Cornelio (ausus es unus Italorum); il riconoscimento del labor e della doctrina al v. 7 richiama, pur nella distanza tra le due opere, principi fondamentali dell’estetica neoterica. La doctrina è un requisito primario per fare poesia, secondo i canoni della poetica alessandrina: la necessità di possedere un notevole bagaglio di conoscenze e poi di raggiungere un elevatissimo grado di levigatezza e nitore formale fanno della letteratura un impegno lungo e faticoso.

||| Un calamaio in bronzo con stiletto, un rotolo di papiro con sigillo e due tavolette cerate; dettaglio di un affresco della Casa di Iulia Felix a Pompei, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

renza o, al massimo, disprezzo. Persino un poeta che rifiuta il coinvolgimento attivo nella vita politica, come l’epicureo Lucrezio, inserisce accenni all’attualità – in particolare, alle guerre civili che travagliano Roma – in apertura del suo poema (vedi p. 546 T1). In Catullo, invece, ogni riferimento al contesto storico è omesso con cura, con la volontà di ridurre lo scambio con Cornelio a una discussione di poetica fra amici, l’unica cosa che conta secondo l’ideale dei neòteroi. Paradossalmente, quest’atto di rimozione fa percepire con forza ancora maggiore il clima politico incerto in cui si sviluppa la nuova poesia: il silenzio di Catullo sulle vicende della Roma contemporanea si fa assordante e la drammaticità del momento si coglie proprio nella scelta di non parlarne.

Traduzioni a confronto

Metti a confronto le due traduzioni del carme 1 T1 e svolgi le attività.

Dedicarlo a chi questo libretto, moderno passatempo, che scabra pietra pomice ha terminato or ora di [rasare ai bordi?

Ma a te, Cornelio! Proprio tu andavi ripetendo che le mie poesiole valevano qualcosa, fin dal giorno in cui arditamente hai affrontato, [unico fra gli Itali, la storia universale in tre volumi, eruditi - per Giove! - e travagliati. Di conseguenza accetta questo modesto libretto, anche se vale poco. Ed esso possa vivere, o vergine [dea che mi proteggi, di anno in anno, ben oltre la mia generazione.

(trad. di F. Della Corte, 1977; con adattamenti)

COMPRENSIONE

Leggi le due traduzioni e sottolinea le differenze più evidenti. Individua tutte le parole italiane che non conosci e cerca il loro significato sul dizionario.

LINGUA

• Come è stato reso dai due traduttori l’anomalo indicativo dono, con valore di congiuntivo dubitativo? Quale soluzione rende meglio l’idea di una piccola incoerenza sintattica?

• Quale traduzione ricalca più da vicino la sintassi latina? Quale ha preferito adottare un andamento più libero e spezzato? Fra le due possibilità, quale rende meglio il tono informale del carme?

LESSICO

• Come è stato reso, nelle due traduzioni, il termine chiave nugae? Quale scelta ti piace di più?

• Nei due brani gli attributi di libellus sono tradotti in modo diverso: sapresti spiegare come cambia la presentazione del dono, a seconda della resa?

• Con l’aiuto del vocabolario rifletti sul senso del

A chi dono il nuovo, grazioso libretto, appena lisciato con l’asciutta pomice?

A te, Cornelio. Infatti, tu solevi pensare che le mie sciocchezze valessero qualcosa già allora, quando osasti, solo tra gli Italici, dispiegare il corso di ogni epoca in tre libri, libri dotti, per Giove, e faticosi.

Perciò tieniti questo libretto, per quanto piccolo e di poco peso sia; ma possa durare, o vergine Musa, mia protettrice, per più di una generazione, anno [dopo anno.

(trad. di A. Pittà)

verbo latino explicare. Quali strade diverse hanno seguito i traduttori per ‘scioglierlo’ in italiano?

STILE

• In particolari punti del carme, il livello stilistico si alza: quali? Come è resa nelle due traduzioni l’alternanza di registro medio-basso e registro medio-alto?

INTERPRETAZIONE

• Quali tratti distintivi del libretto donato a Cornelio sono messi in rilievo nelle traduzioni?

• Quale resa sottolinea in maniera più esplicita gli aspetti programmatici del carme (vedi Guida alla analisi)?

• Riesci a cogliere i tratti di lingua colloquiale nelle due traduzioni? Quale ti sembra più efficace nel riprodurre le movenze di una conversazione giocosa tra amici?

• Devi usare una delle due traduzioni per preparare la tua esposizione su Catullo. Quale sceglieresti? Motiva la tua risposta.

Seguono i testi T2-T8

Le due facce dell’amore

La scoperta dell’interiorità e la creazione di un intero sistema di valori, fondato su fiducia reciproca, comunanza di passioni e affetto disinteressato, già importanti nei carmi sull’amicizia, diventano centrali nella poesia catulliana d’amore: anche in questo caso, e in modo ancora più radicale, il poeta si pone in contrasto con la moralità tradizionale, che dava all’amore, inteso come piena esperienza sentimentale, ben poca importanza. Catullo fa invece dell’amore il cuore pulsante dell’intera esistenza. La relazione con Lesbia, oggetto del ciclo più ricco e più celebre di componimenti, diventa, per il poeta, principale ragione di vita e quindi oggetto privilegiato del suo canto. Al rapporto con la puella amata, assolutamente illecito per i costumi romani perché adulterino, Catullo cerca di applicare nuove norme morali, che recuperino in una chiave nuova alcuni dei valori della tradizione. Tra questi spicca in particolare la fides, il rispetto della parola data, sulla quale Catullo fonda il solenne patto d’amore (foedus amoris) stretto con Lesbia nei giorni felici dell’innamoramento. Ma presto la puella, con continui tradimenti, viene meno agli impegni presi. La separazione, pur difficile e dolorosa, diventa allora inevitabile: a Catullo non rimarrà altro che l’amara consapevolezza di essere sempre rimasto fedele, senza venir mai meno alla parola data.

Queste due condizioni inconciliabili, cui corrispondono opposti stati d’animo del poeta, si traducono in due maniere antitetiche di fare poesia. Se l’esaltazione dell’amore felice adotta, come suo registro ideale, uno stile brillante e giocoso, il pianto per l’amore tradito assume i toni disperati del lamento funebre.

||| L’amore felice: una bruciante passione

T 9 Coprimi di baci… e non pensiamo agli invidiosi! carme 5 LATINO

T 10 Lesbia non ha rivali carme 86 LATINO

T 11 Sintomatologia della passione carme 51 LATINO

T 12 Acme e Settimio, una coppia felice carme 45 ITALIANO (E LAT.)

T 13 La fides incrollabile di Catullo carme 87 LATINO

||| L’amore infelice: tradimento e discidium

T 14 Un messaggio di addio carme 11 LATINO

T 15 Il tramonto dell’amore carme 8 LATINO

T 16 Amare e bene velle carme 72 LATINO

T 17 Odiare amando carme 85 LAT. – IT.

L’amore felice: una passione bruciante

Anche nei momenti di maggiore intesa tra i due amanti, la passione per Lesbia è vissuta da Catullo come un sentimento destabilizzante, un ‘assalto’ emotivo così intenso da privare il poeta del controllo su se stesso ( T11). L’amore comporta però anche un fortissimo slancio vitalistico, che va contro ai pregiudizi del mos maiorum; l’esperienza inedita della passione è così intensa da dare all’esistenza una pienezza prima inconcepibile ( T9).

La natura eccezionale di Lesbia, vista da Catullo come incomparabile per bellezza, cultura, fascino e acume ( T10), suscita nel poeta pretese di esclusività: si illude

di aver sottoscritto con l’amata un patto d’amore fondato sulla fides e considerato vincolante tanto quanto un regolare matrimonio ( T13). Finché l’illusione dura, Catullo vive, con esaltato entusiasmo, i giorni dell’amore felice: giorni che il poeta si augura durino per sempre, come per sempre sembra destinato a durare il giuramento di fedeltà reciproca che, nel carme 45 ( T12), si scambiano tra loro Acme e Settimio, i giovani innamorati nei quali Catullo vede rispecchiato il proprio rapporto con Lesbia, ancora ricco di speranze.

T9 Coprimi di baci… e non pensiamo agli invidiosi!

(carme 5)

Catullo invita Lesbia a sfidare le convenienze codificate nel mos maiorum in nome di un ideale nuovo che identifica la vita pienamente vissuta con l’amore. È forse questo il carme nel quale Catullo rappresenta la storia d’amore con Lesbia al suo apice: sono ancora giorni felici e appaganti, senza le ombre della gelosia e dell’approssimarsi della separazione. Ma un’ombra più fatale e ineludibile, quella del tempo che trascorre e della morte, si staglia comunque all’orizzonte, con il risultato di rendere ancora più intensa e urgente l’esortazione alla vita e all’amore.

METRO: endecasillabi faleci

Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis.

Soles occidere et redire possunt:

5 nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.

Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum.

10 Dein, cum milia multa fecerimus, conturbabimus illa, ne sciamus, aut ne quis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum.

vv. 1-3 Vivamus … assis: «Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci, le maldicenze dei vecchi troppo rigidi stimiamole tutte quante un soldo» • vivamus … amemus: due congiuntivi esortativi. − vivo ha qui un valore forte («viviamo per davvero», «godiamo la vita»). • severiorum: il comparativo assoluto è utilizzato qui anche per comodità metrica. • omnes … assis: unius … assis è genitivo di stima; unı˘us ha la penultima breve come quasi sempre in Catullo; l’asse era una moneta di poco valore, quindi «non teniamone conto per nulla». vv. 4-6 Soles … dormienda: «I giorni possono tramontare e risorgere: noi invece, una volta che la nostra breve vita è tramontata, dobbiamo dormire per un’unica notte senza fine». • Soles: è metonimia per dies («giorni»), ma non perde del tutto il senso proprio (occidere richiama l’immagine del tramonto); la stessa ambivalenza in lux («luce del sole» e «vita», per metafora). • nobis: dativo d’agente retto da dormienda («a noi tocca dormire…»). vv. 7-10 Da … fecerimus: «Dammi mil-

le baci, e poi cento, poi altri mille, poi una seconda volta cento, poi ancora altri mille, poi cento. Quindi, una volta che ne avremo totalizzate molte migliaia»

• mi: forma contratta di mihi • dein: forma sincopata di deinde, usata solo davanti a consonante. • usque: «di seguito, senza sosta». • milia multa: sottintende basiorum, genitivo partitivo. • facio: è usato nell’accezione tecnica della lingua finanziaria di «fare il totale», «totalizzare». • fecerı¯mus: futuro anteriore; la quantità della -i- era lunga nel latino arcaico.

v. 11 conturbabimus … sciamus: «li scombineremo, per non sapere quanti sono»

• conturbabimus: ancora una metafora tratta dalla contabilità: conturbare (sottinteso rationes) significa «scombinare i conti» e nel linguaggio finanziario, indica la bancarotta fraudolenta e, in concreto, l’atto di alterare i registri dei conti. • ne sciamus: determinare con esattezza il numero dei baci esponeva gli amanti felici all’invidia e al malocchio.

vv. 12-13 aut … basiorum: «oppure af-

finché nessun malintenzionato ci possa gettare il malocchio, sapendo che i baci sono così tanti» • invidere: «guardare con ostilità», ha qui il significato originario di «gettare il malocchio». • tantum … basiorum: nesso del pronome neutro con il genitivo partitivo (= tot basia).

||| John William Godward, Il cuore sulle labbra e l’anima negli occhi, 1904. Collezione privata.

COMPRENSIONE

Un invito ad amare • Il carme ha una struttura tripartita, come mostra il seguente prospetto. vv. 1-3 l’esortazione a vivere accogliendo l’amore diventa un invito a non curarsi delle convenzioni sociali vv. 4-6 pausa riflessiva sulla caducità della vita umana in opposizione al tempo ciclico della natura è motivo sentenzioso che spiega l’invito precedente, ancorandolo a un fondo di meditazione filosofica vv. 7-13 l’invito si fa più pressante si trasforma in un frenetico slancio vitalistico, in un crescendo parossistico di baci

ANALISI: LA LINGUA E LO STILE

Non ti curar di loro… • La struttura del v. 1, che reca al centro il nome di Lesbia ed è incorniciato dai congiuntivi esortativi, dichiara con enfasi che vivere equivale ad amare. Contro il perentorio invito di Catullo niente possono le critiche malevole dei senes severiores («vecchi troppo rigidi»): allitterazione sillabica e omoteleuto (senum severiorum), insistenza sui suoni r e s (percepiti come sgradevoli dagli antichi) concorrono a dare rilievo fonosimbolico ai rumores («le maldicenze»), in un verso che inizia e finisce con la cupa sillaba -rum. Il contrasto con lo slancio vitalistico del primo verso non potrebbe essere più evidente. Al v. 3 le critiche sono liquidate con una vivace espressione della lingua d’uso, assis aestimare («stimare un soldo»), sottolineata dall’antitesi sprezzante omnes unius.

La breve luce della vita, il buio eterno della morte • Il motivo della caducità della vita umana, in opposizione all’eterno ciclo della natura, è sviluppato attraverso un raffinato sistema di antitesi nei vv. 4-6. I cardini di questa opposizione, soles e nox, sono collocati in posizione enfatica a inizio di verso; occidere riferito al sole al v. 4 è ripreso in poliptoto da occidit riferito alla breve giornata dell’uomo al v. 5, una ripetizione che mette in rilievo l’antitesi

ANALISI: I TEMI

Un contrasto generazionale • I senes erano tradizionalmente i portatori del mos maiorum, che ammetteva le sbandate erotiche della giovinezza entro precisi limiti di ordine sociale: le uniche relazioni tollerate erano quelle con le cortigiane o le schiave, e anche queste purché non recassero danno al patrimonio e al buon nome del giovane romano; le filiae e le uxores non potevano essere toccate in quanto pro-

tra il tempo ciclico della natura (occidere et redire) e quello limitato (brevis lux) della vita umana (semel, perpetua, una sottolineano l’unicità e l’irrevocabilità dell’esperienza). La collocazione a fine verso di lux dà rilievo fonico e metrico alla brevità del tempo a disposizione. L’antitesi tra lux e nox si estende ai rispettivi aggettivi: brevis si oppone a perpetua una Questi ultimi costituiscono una coppia sinonimica: l’asindeto (manca infatti una congiunzione copulativa come et = perpetua et una) accentua l’uniformità senza fine del sonno della morte, ed è messo in rilievo anche dall’incontro delle vocali cupe dovuto alla sinalefe in perpetu(a) una.

Baci, baci, e ancora baci • Il catalogo dei baci si sviluppa per tre versi (vv. 7-9): la ripetizione delle cifre (mille … centum), introdotte dall’anafora deinde … dein, la collocazione di centum alla fine dei tre versi (e membri sintattici) successivi (= epifora) conferiscono all’elenco un ritmo ossessivo. Al v. 10, cum … fecerimus tira le somme dell’elenco segnando il passaggio al motivo conclusivo (anch’esso sviluppato in tre versi) dell’invidia dei maligni, che possono gettare il malocchio sulla coppia degli amanti felici: di qui la necessità di tenere nascosto il numero preciso dei baci.

prietà del padre o del marito

Dal punto di vista etico e giuridico, dunque, il legame di Catullo con Lesbia era definibile come stuprum, adulterio punibile con pene molto severe. Ma qui Catullo va ancora oltre: proclamando che “vivere è amare”, egli giunge a identificare l’amore come il fine della vita, segnando il punto di massimo distacco dal mos maiorum.

Intelligenza artificiale

La poesia di una macchina

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Abbiamo chiesto a un chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico di scrivere una poesia simulando lo stile di Catullo. Leggi il testo e svolgi l’analisi guidata. Lo scopo di questa attività è imparare ad applicare il metodo di analisi dei testi letterari a qualsiasi tipo di testo, anche testi di questo tipo, invitandoti a riflettere in modo critico sul risultato.

Lesbia, dai baci più dolci, le stelle invidiano il tuo sguardo.

Amore scivola tra le labbra, un incantesimo che non può essere ignorato.

In questo giardino di sentimenti, fiorisce il nostro segreto amore.

Tra risate e sussurri rubati, ogni istante è un canto di splendore.

Come l’ebbro marinaio, sotto il cielo di notte stellato, mi perdo nei tuoi abbracci, sospeso tra cielo e terra, incantato.

I nostri baci, luci scintillanti, tracciano sentieri nell’oscura notte.

Lesbia, con te ogni ora è un eterno istante, dove l’amore danza, lieve e forte.

COMPRENSIONE

Leggi attentamente il testo e cerca di individuare:

• parole che sembrano più importanti di altre;

• personaggi coinvolti;

• eventuali elementi poetici, come immagini o metafore.

ANALISI

• SIGNIFICATO Riesci a individuare un unico motivo portante, sviluppato con coerenza dall’inizio alla fine? Oppure hai l’impressione che il componimento sia costruito su ‘quadri’ autonomi?

• SIGNIFICATO Se togliessi una frase a scelta dal testo, il senso generale cambierebbe?

• SIGNIFICATO La rappresentazione dei sentimenti ti sembra autentica? La poesia ti sembra tradurre un’emozione sincera? Motiva la tua risposta.

• STILE Nel testo ci sono espressioni che ritornano a breve distanza. Quali ripetizioni aggiungono qualcosa e quali sembrano dei ‘doppioni’?

• STILE Riconosci elementi stereotipati, cioè ripetitivi, rigidi ed eccessivamente semplificati?

• STILE Il programma, per comporre la poesia, è certamente partito da alcune parole chiave di Catullo (come i baci) che ricorrono più frequentemente. Sai individuare altre parole ricorrenti nei carmina di Catullo?

INTERPRETAZIONE

• Nel testo ci sono immagini, espressioni, idee, modi di dire anacronistiche rispetto all’epoca in cui scriveva Catullo. Sapresti individuarli?

• Quali elementi ti porterebbero a dire che non si tratta di un testo di Catullo?

CONDIVISIONE E DISCUSSIONE

Condividete con la classe le vostre osservazioni e confrontatevi sulle riposte. In particolare, provate a domandarvi: che cosa determina la qualità di un componimento poetico?

T10

Lesbia non ha rivali

(carme 86)

A Roma le donne belle, intelligenti e spiritose non mancano, ma nessuna, a detta di Catullo, può vantare tutte queste doti a un livello così perfetto come Lesbia: è lei che, letteralmente, ha sottratto ogni attrattiva a qualsiasi altra donna – tanto più alla Quinzia, bella ma priva di fascino, che qualcuno ha osato paragonare a Lesbia. Catullo traccia un iperbolico ritratto dell’amata, tutto costruito su divertenti esagerazioni. Ne nasce un delizioso epigramma, che mostra come i modi della poesia del lepos e la tematica erotica possano felicemente coniugarsi.

METRO: distici elegiaci

Quintia formosa est multis. Mihi candida, longa, recta est: haec ego sic singula confiteor.

Totum illud formosa nego: nam nulla venustas, nulla in tam magno est corpore mica salis.

5 Lesbia formosa est, quae cum pulcherrima tota est, tum omnibus una omnis surripuit Veneres.

vv. 1-2 Quintia … confiteor: «Quinzia è bella, a giudizio di molti. A parer mio, ha la pelle candida, è alta, è dritta: queste doti isolate, prese così singolarmente, gliele riconosco» • multis: dativo di relazione, come il successivo mihi • singula: in antitesi con totum del v. 3, si riferisce alle tre qualità di Quinzia (candida, longa, recta) citate prima, che il poeta è disposto ad ammettere.

vv. 3-4 Totum … salis: «è la valutazione complessiva, ‘bella’, che io nego: in un corpo così grande non c’è infatti alcun fascino, nemmeno un granello di sale»

• totum illud: l’espressione si riferisce a formosa del v. 1 e anticipa allo stesso tempo la ripresa di formosa al v. 3 (letteralmente: «quel giudizio generale – ‘bella’ – io lo nego», ossia «che sia bella nel complesso, questo non lo accetto»). • mica: il termine indica una particella minima di cibo, una ‘mollica’ di pane o, come qui, un ‘granello’ di sale. • sal: ha il consueto valore metaforico in Catullo («umorismo spiritoso e intelligente» cfr. 13.5). vv. 5-6 Lesbia … Veneres: «Lesbia sì che è bella! Lei, oltre ad essere tutta bellissima, ha anche, lei sola, sottratto a tutte le altre donne tutte le loro seduzioni» • cum … tum: congiunzioni correlate («non solo … ma anche»). • tota: ha valore pre-

dicativo («complessivamente»). • Veneres: il nome della dea Venere (Venus) può essere sostantivato, a indicare il fascino di una donna (per così dire, tutte le qualità seduttive a lei concesse da Venere); qui, al plurale, si riferisce appunto alle varie qualità, fisiche e intellettuali, che possono

rendere una ragazza interessante – e che Lesbia possiede tutte al massimo grado. Questa esaltazione di Lesbia, presentata come la somma perfetta di tutte le attrattive che può avere una donna, chiude il carme con una palese esagerazione (iperbole).

||| Lawrence Alma Tadema, Il poeta preferito, 1888. Collezione privata.

L’epigramma tra Grecia e Roma

Da iscrizione su pietra a forma letteraria • Quando si parla di epigramma nel mondo classico si intende un componimento poetico caratterizzato da brevità e varietà di argomenti. In origine l’epigramma (dal greco, lett.: «iscrizione») era un breve testo in versi (esametri o distici elegiaci, ma non solo), iscritto su tombe, monumenti, offerte votive. A volte era il defunto che si rivolgeva al viandante raccontandogli la propria storia, altre era l’oggetto dedicato in voto che dichiarava la sua destinazione. Con il tempo, la funzione originaria si ampliò e l’epigramma divenne una vera e propria forma letteraria in miniatura, non più connessa all’incisione illustrativa su pietra o altro supporto materiale, ma aperta ai più vari argomenti e funzioni.

Coltivato già nel V secolo a.C., l’epigramma conobbe la stagione della sua massima fioritura nell’età ellenistica (III secolo a.C.), quando poeti alessandrini come Callimaco e Teocrito contribuirono a portarlo a un notevole livello di raffinatezza formale. Vediamo di seguito quali sono i principali tipi di epigramma.

L’epigramma sepolcrale • L’epigramma sepolcrale, concepito originariamente per essere inciso sulle tombe a commemorazione dei defunti, nella sua veste letteraria risaliva almeno al poeta greco Simonide (VI-V secolo a.C.). L’ellenismo e l’età successiva continuarono a produrne, sia da iscrivere effettivamente sulle tombe, sia come composizioni fittizie: ne sono tramandati a centinaia nel VII libro dell’Antologia Palatina. A questa altezza, il genere era ormai altamente codificato, con un repertorio ben definito di forme e immagini ricorrenti, per cui la maestria degli autori si rivelava soprattutto nel proporre variazioni ingegnose attorno a temi e motivi consolidati.

L’epigramma votivo • L’epigramma votivo conobbe invece un particolare sviluppo con Leonida di Taranto (morto nel 260 a.C.), autore di composizioni fittizie in cui contadini, cacciatori o pescatori consacrano gli strumenti di lavoro al dio che presiede alla loro attività.

L’epigramma epidittico ed erotico • Accanto all’antica tematica funeraria e votiva si sviluppò l’epigramma epidittico, o ‘illustrativo’, che descriveva cioè, con virtuosistiche variazioni di immagini e motivi, opere d’arte, bellezze paesaggistiche e curiosità di varia natura.

Si affermò inoltre l’epigramma erotico: spesso ambientato nella cornice del simposio, presentava un ampio repertorio di immagini e metafore; tra queste ebbe par-

ticolare successo, anche nella poesia d’amore romana, la rappresentazione di Eros come un dio bambino, che armato di arco e frecce infligge per capriccio atroci ferite agli innamorati infelici.

L’epigramma scommatico • Già prima dell’età ellenistica, i rancori personali avevano trovato espressione nell’epigramma scommatico (dal greco skòpto, «dileggio»), composto per lo più nel metro del giambo; nella tradizione della lirica greca arcaica in giambi si erano espressi infatti grandi poeti (come Archiloco, vissuto nella prima metà del VII secolo, e Ipponatte, posteriore di un secolo), di norma aristocratici che disprezzavano il popolo, personaggi politici e nemici personali, ai quali rivolgevano attacchi violentissimi. Lo stesso nome del metro (gr. ìambos, lat. iambus) veniva connesso nella tradizione scolastica con il verbo «scagliare, colpire» (gr. iàpto, lat. iacio) e il verbo iambìzein significava «insultare, schernire».

I ‘giambi’ di Catullo • Nonostante Orazio si vanti di essere stato il primo, con gli epodi, a introdurre sul suolo latino Archiloco (Epistole, 1,19, vv. 23-25: «Per primo rivelai al Lazio i giambi di Paro [patria del poeta] continuando di Archiloco la musica e il cuore…», trad. di E. Mandruzzato), da tempo si è riconosciuto come il vero Archiloco romano, per la violenza verbale dei suoi attacchi personali, sia stato piuttosto Catullo, che chiamò ‘giambi’ anche i suoi endecasillabi faleci (truces … iambos, carme 36, v. 5) quando avevano funzione di invettiva. Bersaglio privilegiato delle aggressioni dei poetae novi sembra essere stato Cesare e il suo entourage: ci è rimasto un celebre ciclo di epigrammi satirici di Catullo dedicato a Cesare e Mamurra, suo stretto collaboratore (carmi 29, 54, 57, 93), che si distingue per il tono particolarmente osceno e aggressivo.

LATINO E GRECO RACCORDI
||| Epigramma sepolcrale, III secolo a.C. Los Angeles, The J. Paul Getty Museum.

T11 Sintomatologia della passione

(carme 51)

Le prime tre strofe di questo famosissimo carme traducono, con significative variazioni, un’ode di Saffo (fr. 31 Lobel-Page = Voigt), la poetessa greca vissuta a Lesbo nel VII-VI secolo a.C. La quarta strofa, che fu ritenuta da alcuni estranea al carme, costituisce piuttosto il suggello personale del poeta latino. Catullo osserva un uomo che se ne sta seduto di fronte a Lesbia senza mostrare segni di turbamento, perfettamente padrone di sé pur in presenza di una donna tanto affascinante. Il poeta, al contrario, appena la vede, avverte i sintomi di un malessere fisico che sfocia nella perdita dei sensi. La quarta strofa commenta dall’esterno la situazione con un tono moralistico: è l’otium, ovvero l’inattività e il disimpegno, che conduce alla rovina Catullo, lasciandolo in balia della passione.

METRO: strofa saffica minore

Ille mi par esse deo videtur, ille, si fas est, superare divos, qui sedens adversus identidem te spectat et audit

5 dulce ridentem, misero quod omnis eripit sensus mihi: nam simul te, Lesbia, aspexi, nihil est super mi

vv. 1-2 Ille … divos: «Quello mi sembra essere pari a un dio, anzi superare gli dèi». • Ille … videtur: è quasi una citazione del modello greco di Saffo («Mi sembra pari agli dèi quell’uomo»); mi = mihi • si fas est: letteralmente «se è lecito dirlo». vv. 3-5 qui … ridentem: «che sedendo davanti a te incessantemente (identidem) ti guarda e ti ascolta ridere dolcemente». • adversus: è aggettivo, in funzione predicativa del soggetto qui, mentre te è l’oggetto di spectat et audit • identidem … spectat: sottolinea la durata del processo verbale (specto è verbo frequentativo, che indica azione prolungata e ripetuta nel tempo) in antitesi con simul te … aspexi (vv. 6-7). • dulce: accusativo singolare neutro con valore avverbiale. • ridentem: participio predicativo dell’oggetto. vv. 5-7 misero … super mi: «cosa che a me infelice ha sottratto completamente (omnis = omnes) i sensi: infatti non appena ti vedo, Lesbia, non mi resta niente»

• quod: non si riferisce all’intera scena fin qui descritta (intendendo così sarebbe la gelosia per il presunto rivale a sconvolge-

re Catullo) ma alla sola immagine di Lesbia «che ride dolcemente». • simul te … aspexi: «infatti, non appena ti vedo»; il perfetto aspexi indica qui un’azione istantanea («non appena ti scorgo») e ripetuta («non appena» = «tutte le volte che ti scorgo»). Il verbo aspicio presenta il prefisso ad- che conferisce all’azione un carattere momentaneo, mentre la congiunzione simul indica iterazione: a Catullo, ogni volta che Lesbia ride, basta uno sguardo fugace per provare le sensazioni illustrate nei versi successivi. • est super: tmesi (il prefisso è separato dal verbo) e anastrofe per superest («non mi resta niente»).

v. 8: non è tràdito nei codici: sono state proposte varie integrazioni, che aggiungono tutte l’elemento della perdita della voce alla vista della donna, introducendo un genitivo partitivo vocis retto da nihil del verso precedente.

||| William-Adolphe Bouguereau, Una fanciulla si difende da Amore, 1880. Los Angeles, The J. Paul Getty Museum.

LETTURA METRICA

lingua sed torpet, tenuis sub artus

10 flamma demanat, sonitu suopte

tintinant aures, gemina teguntur lumina nocte.

Otium, Catulle, tibi molestum est: otio exultas nimiumque gestis: 15 otium et reges prius et beatas perdidit urbes.

vv. 9-12 lingua … nocte: «ma la lingua è intorpidita, una fiamma tenue si insinua nelle membra, le orecchie rimbombano di un suono interno, entrambi gli occhi si coprono di tenebre» • torpet: indica uno stato (anche se non permanente), rispetto al corrispondente incoativo torpescit (che ha valore ingressivo = «si intorpidisce»).

• demanat: propriamente detto di liquidi, significa «scorre verso il basso», con sub +

accusativo indicante moto di penetrazione all’interno del corpo. • sonitu … aures: l’origine interna del suono per cui ronzano le orecchie è sottolineata dalla forma raddoppiata del possessivo suopte; tintin(n)are (o tintinnire) è un verbo onomatopeico. • gemina … nocte: gemina è attributo di nocte, mentre per senso si riferisce a lumina (enallage).

vv. 13-16 Otium … urbes: «L’ozio ti è dan-

GLOSSARIO DI RETORICA

tintinant esprime una figura retorica detta onomatopea, effetto prodotto dall’imitazione dei suoni naturali attraverso mezzi linguistici. Con l’aiuto del Glossario di retorica on line approfondisci caratteristiche e funzioni di questa figura.

noso, Catullo: a causa dell’ozio ti esalti e troppo di agiti. L’ozio ha mandato in rovina re e città un tempo ricche». • prius: in anastrofe, è collegato a beatas, grammaticalmente riferito soltanto a urbes, ma da intendersi anche con reges: si allude ai favolosi regni orientali, proverbiali per le loro ricchezze ma anche per la mollezza e l’inattività (l’otium, appunto) che li condussero alla decadenza.

GUIDA ALL’ANALISI

COMPRENSIONE

Una traduzione infedele • Catullo, nel carme 51, offre la sua traduzione – o meglio, la sua personale interpretazione – di un’ode di Saffo molto famosa già nell’antichità (riportata, in traduzione, nella scheda Raccordi, p. 671). L’omaggio alla grande poetessa greca, condotto nelle forme della poesia colta e allusiva dei neòteroi, non è però un semplice esperimento letterario: Catullo trasfonde nei versi saffici tutta l’intensità del suo sentimento, finendo per dare al testo un significato nuovo rispetto al modello imitato. La traduzione, che sembra letterale nei primi versi, si allontana progressivamente dall’ode di Saffo, per introdurre motivi tipicamente catulliani: la coincidenza di vita, amore e poesia; lo stupore di fronte a una

vv. 1-2

vv. 3-4

passione che non si può controllare; il velato senso di colpa per essersi abbandonato a un amore inconciliabile con la morale tradizionale.

Una struttura incalzante • Il componimento si sviluppa in crescendo, a partire dalla marcata antitesi iniziale, per mostrare i sintomi progressivamente sempre più gravi e alienanti della passione amorosa: di strofa in strofa, la crisi d’identità del poeta emerge con forza sempre maggiore. Quando il pathos ha raggiunto il suo culmine, l’ultima strofa rallenta il ritmo in modo brusco, proponendo una malinconica riflessione finale. L’articolazone del carme si può schematizzare così:

Un personaggio maschile, non meglio definito, sembra al poeta persino superiore agli dèi per autocontrollo e possesso di sé.

Prima strofa

• traduzione abbastanza fedele di Saffo, con esagerazione di alcune immagini del modello Costui, infatti, è seduto di fronte a Lesbia (te), può osservarla e sentirla parlare, senza esserne sconvolto in alcun modo.

v. 5 (prima metà)

vv. 5 (seconda metà) e 6

vv. 7-12

vv. 13-16

Lesbia sorride in modo seducente: dettaglio che non turba minimamente l’uomo che la guarda. Il primo movimento del carme si chiude qui.

Catullo, invece, alla vista dell’amata perde la ragione: una passione incontrollabile si impossessa completamente di lui.

Basta uno sguardo a Lesbia perché il poeta sia colto da un completo sconvolgimento fisico e psichico. Il poeta offre la sintomatologia completa del fenomeno: confusione, incapacità di parlare, intorpedimento, brividi e vampate, rimbombo alle orecchie, offuscamento della vista.

Il poeta rintraccia nell’otium la causa del suo malessere, che lo porta a vivere in maniera tanto totalizzante l’esperienza amorosa. Una riflessione finale proietta la vicenda personale su un piano universale: l’otium ha annientato tanti regni felici, e allo stesso modo potrebbe sopraffare Catullo.

ANALISI: LA LINGUA E LO STILE

Un uomo imperturbabile • Il rapporto del carme con il modello greco è segnalato con grande evidenza dal fatto che il v. 1 è una traduzione letterale dell’incipit dell’ode di Saffo. Ma già al v. 2 Catullo introduce un concetto originale: con un’amplificazione retorica, dice che l’uomo che sta di fronte a Lesbia non è semplicemente pari (par) a un dio, ma addirittura supera (superare), per resistenza e autocontrollo, tutti gli dèi (il passaggio dal singolare al plurale, deo … divos, accresce la statura eroica del personaggio). Abbiamo così una climax (cioè una progressione ascendente): l’idea, dal v. 1 al v. 2, è formulata in modo più intenso, così da esaltare l’uomo. L’effetto è accresciuto dall’anafora di ille (assente in Saffo).

Il paragone con il dio non è dovuto alla fortuna di poter essere accanto alla donna amata (come in Saffo), ma alla straordinaria imperturbabilità dell’uomo, ancora più ‘divina’ a confronto della passione travolgente che coglie invece Catullo.

Due diversi modi di guardare • Nella descrizione della scena (vv. 3-5) Catullo mette in risalto l’azione dell’uomo, che «guarda e ascolta» Lesbia (mentre in Saffo «ascolta» soltanto), per sottolinearne, di nuovo,

Seconda e terza strofa

• traduzione abbastanza fedele di Saffo, con resa diversa dei sintomi descritti; a cambiare è, però, la situazione di fondo: Catullo non è geloso dell’altro uomo, ma piuttosto stupito del fatto che lui riesca a guardare Lesbia restando tranquillo

Quarta strofa

• innovazione rispetto al modello di Saffo, che, probabilmente, chiudeva l’ode in modo diverso, con un’esortazione a sopportare la passione

il dominio di sé, mentre la donna è colta più di sfuggita (si limita a ridere dolcemente, mentre in Saffo «parla dolcemente e amorosamente ride»). Questo avviene perché Catullo non riesce a sostenere la vista dell’amata per più di un attimo: simul … te aspexi (vv. 6-7); è normale, quindi, che Lesbia sia colta in un solo momento fugace. La rapidità dell’effetto della vista dell’amata, su Catullo, è posta in ricercata antitesi con identidem te spectat, detto dell’uomo: se a Catullo basta una rapida occhiata per essere preda della passione, l’altro riesce invece a osservare Lesbia con attenzione e «incessantemente» (identidem, assente in Saffo), senza esserne turbato.

Catullo privo di sensi… • Così mentre ille è par … deo, Catullo è miser (v. 5): la prima parola che sposta l’attenzione sul poeta è l’epiteto (miser appunto) indicante il coinvolgimento amoroso; in posizione di rilievo all’inizio della frase grazie all’anastrofe di quod, l’aggettivo è in perfetta simmetria con il termine di riferimento mihi, che chiude la frase stessa al verso seguente. Il turbamento della passione è espresso attraverso una serie di enjambements (omnis … sensus e simul te … aspexi), in contrasto con la compostez-

za dei vv. 1-2, ognuno in sé concluso (a sottolineare l’autocontrollo dell’altro uomo).

… e malato d’amore • Catullo elenca quindi ai vv. 9-12 i sintomi della propria malattia d’amore. La lingua che si è paralizzata (v. 9) condensa e attenua la violenza del testo greco («non riesco ad emettere voce ma la lingua si è spezzata», fr. 31, v. 9). La fiamma (v. 10) non è la metaforica fiamma d’amore (topos della poesia erotica ellenistica) ma il sintomo fisico di una febbre che, definita «sottile» per la sua capacità di penetrazione, si insinua in profondità (mentre in Saffo si propaga più genericamente «sotto la pelle»). Il ronzare delle orecchie è reso con il raffinato gioco fonico di sonitu suopte (v. 10) rafforzato dall’onomatopea tintinant, a compensare la maggiore violenza del greco «rombano». Per il sintomo finale, l’oscurarsi della vista, Catullo impreziosisce l’efficace semplicità di Saffo («con gli occhi non vedo nulla») con l’enallage geminā nocte (per gemină lumina) e con la raf-

INTERPRETAZIONE

Otium e mos maiorum • Individuare nell’otium la causa profonda della malattia d’amore rappresenta un paradossale ritorno da parte di Catullo alla morale tradizionale. In origine l’otium era un concetto positivo, che indicava la pace interna dello stato (mentre pax definiva l’assenza di guerre con gli stati esteri). Trasferendosi successivamente dall’ambito sociale a quello individuale, otium passò a indicare la negotii inopia, la «mancanza di occupazioni» (la definizione è di Cicerone). Il termine otium diventò quindi una vox media, acquistando un valore positivo o negativo a seconda dell’uso: positivo se l’otium era finalizzato a una temporanea e rigenerante pausa dall’attività politica; negativo se monopolizzava la vita del civis sottraendolo al servizio dello stato. Appunto in questo senso negativo il termine è usato qui da Catullo. L’otium in quanto vita disimpegnata e dedita alla soddisfazione di pulsioni e desideri individuali è tradizionalmente descritto come generatore di passioni. Dopo aver confessato la propria soggezione al dominio irrazionale dell’amore, Catullo se ne dà paradossalmente una spiegazione nei termini tipici della morale tradizionale.

Perché Clodia diventa Lesbia • Il carme 51 ci offre la spiegazione del soprannome Lesbia. Catullo chiama così la destinataria della poesia (e della passione) di Saffo, che proveniva dall’isola greca di Lesbo. La

finata antitesi del v. 12, lumina nocte (lumina, metonimia della lingua poetica per oculi, fa pensare alla luce; nocte al buio), mentre l’immagine stessa della notte che ricopre gli occhi evoca tradizionalmente la morte (a partire da Omero). L’elenco dei sintomi si chiude così con un sovraccarico di pathos.

L’origine della malattia • Nella quarta strofa, dopo la descrizione dei sintomi del male, Catullo passa a spiegarne le cause: con effetto di sorpresa, si rivolge a se stesso chiamandosi per nome, con uno ‘sdoppiamento di voci’ che dà forma alla riflessione di Catullo anche altrove (vedi per esempio il carme 8, v. 1 T15, e il carme 76, v. 5 T20). L’analisi è scandita dalla triplice anafora del sostantivo otium (in poliptoto al v. 14): definito come molestum, l’otium provoca un senso di allegria euforica e conseguente irrequietudine nel poeta (v. 13), ma tra le vittime dell’otium Catullo cita anche, in una conclusiva climax ascendente, interi regni un tempo floridi.

donna amata è Lesbia in riferimento alla bellezza, alla raffinata eleganza delle fanciulle cantate da Saffo, ma soprattutto è Lesbia in virtù dell’identificazione di Catullo con Saffo, che viene qui formalizzata attraverso l’esibita ripresa dell’ode della poetessa greca (vedi Raccordi, p. 671): Clodia diventa Lesbia perché è oggetto di una passione irrazionale e travolgente come quella descritta da Saffo in quell’ode famosa.

||| Medaglione raffigurante una donna con un tetraptychon e stilo, detta Saffo, affresco da Pompei, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Lucrezio e Catullo a confronto con Saffo

Gli effetti dell’amore • Nel carme 51 Catullo propone un’analisi dettagliata dei sintomi dell’innamoramento, assimilandolo a una vera e propria malattia, che sconvolge corpo e mente dell’innamorato. È noto che in questi versi Catullo si ispira a un celebre precedente, la cosiddetta ‘ode della gelosia’ della poetessa greca Saffo (fr. 31 V.), che visse sull’isola di Lesbo nel VII secolo a.C. Ne riportiamo qui di seguito il testo.

Mi sembra pari agli dèi quell’uomo che siede di fronte

a te e vicino ascolta te che dolcemente parli e ridi di un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire, ma la lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie e su me sudore si spande e un tremito mi afferra

tutta

e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa.

Ma tutto si può sopportare, poiché…

(trad. di F. Ferrari)

Morire di gelosia • In versi di grande intensità emotiva, Saffo confessa il turbamento profondo che la prende assistendo a una scena a due fortemente connotata in senso erotico: una ragazza del tìaso, la scuola femminile che la poetessa dirige a Lesbo, è in compagnia di un uomo e intrattiene con lui una conversazione. Alla scuola di Saffo le ragazze imparavano a cantare e a danzare e acquisivano un’educazione raffinata. In questa formazione svolgeva un ruolo importante anche il rapporto omoerotico che costituiva una vera e propria ‘educazione sentimentale’: le ragazze imparavano, attraverso il rapporto amoroso con la maestra, a riconoscere e ad accettare gli affetti (amicali o erotici), con le loro ripercussioni emotive e anche fisiche. In questo senso, il tìaso di Saffo svolgeva una funzione pubblica riconosciuta: qui le ragazze si preparavano alle nozze e alla vita matrimoniale. Nell’ode ripresa da Catullo, Saffo descrive dunque con precisione analitica i sintomi innescati in lei da un moto di gelosia destinato necessariamente a rimanere inespresso, perché il rapporto affettivo tra maestra e allieva si concludeva con il matrimonio della giovane. Tuttavia l’ode non è soltanto un puro sfogo lirico: il movimento finale, dove si interrompe il testo giunto fino a noi, la-

scia intendere che la poetessa stia sottoponendo la propria esperienza alla riflessione del tìaso, in modo che le ragazze siano in grado di riconoscere cosa sia l’amore e quali siano i suoi ‘sintomi’.

La versione di Catullo • Il carme 51 di Catullo non è una semplice ‘traduzione’ di un modello greco: ripetere i versi di Saffo significa per Catullo dichiararsi allo stesso modo preda di una passione devastante che conduce sulle soglie dello smarrimento di sé e, come poeta, farsi cantore di quella passione. Non tutto ciò che è presente nel testo di Saffo corrisponde alla situazione di Catullo o interessa al suo discorso: il poeta sceglie liberamente di scartare alcuni elementi del modello, di utilizzare o rielaborarne altri.

Un diverso contesto • Una prima differenza notevole consiste nella diversa caratterizzazione della situazione iniziale. Catullo è attento a sopprimere gli elementi che in Saffo connotano la scena come un quadro di seduzione. Nel testo greco, infatti, l’uomo ascolta «da vicino», in una conversazione molto intima, sussurrata all’orecchio, le parole della ragazza, che a propria volta ride di un riso «che suscita desiderio». A differenza di Saffo, Catullo non osserva una coppia affiatata, sentendosi escluso da quella felicità: la sua attenzione si concentra sulle opposte reazioni che la donna suscita in lui e nell’uomo che le siede di fronte.

Variazioni sul tema • L’adesione al modello è più marcata nelle prime due strofe, ma non mancano variazioni significative (vedi anche la Guida all’analisi). In particolare, non trovano corrispondenza nel testo greco i seguenti elementi: l’intero v. 2, che inserisce un rincaro nel paragone con gli dèi; l’avverbio identidem («senza sosta, continuamente») del v. 3, che accentua il senso dei due verbi spectat e audit e si colloca in antitesi rispetto a simul … aspexi dei vv. 6-7; l’aggettivo miser (v. 5), che designa proprio a partire da Catullo la soggezione dell’innamorato alla passione irrazionale d’amore; il nome proprio della donna, Lesbia.

Dal linguaggio medico a uno stile ricercato • Un’altra variazione, particolarmente vistosa, consiste nella soppressione della quarta strofa del modello. In Saffo l’elenco dei sintomi è molto preciso e secco, con una tendenza ad appropriarsi della terminologia concreta e della tecnica espositiva dei trattati di medicina, caratterizzata dall’e-

LATINO E GRECO RACCORDI

lencazione paratattica. Catullo smorza l’aspetto ‘tecnico’ del modello, eliminando la parte più sconvolgente della descrizione del malessere amoroso (il dato realistico del sudore, il pallore «più verde dell’erba») e inserendo invece qualche tratto stilisticamente alessandrino e ricercato nella terza strofa. Riepiloghiamo le principali differenze (vedi anche la Guida all’analisi): la lingua in Saffo «si spezza», in Catullo torpet (v. 9), «si intorpidisce»; il rombo delle orecchie viene reso in latino con una maggiore attenzione agli effetti di suono, ma con termini meno forti del greco «rimbombano»; infine, al semplicissimo «gli occhi non vedono più nulla» Catullo sostituisce una metafora densa e raffinata («una doppia notte ricopre gli occhi») che assimila la perdita dei sensi alla morte.

Un attacco di panico secondo Lucrezio • Per la sua precisione ‘scientifica’ la sintomatologia descritta da Saffo rappresenta un modello importante anche al di fuori della poesia d’amore. Nel De rerum natura di Lucrezio, che aspira a coniugare la correttezza scientifica con la potenza evocativa del linguaggio poetico, la reazione dell’uomo alla paura è descritta proprio attraverso il filtro dell’ode di Saffo (De rerum natura, 3, vv. 152-158). Il brano di Lucrezio ci offre un utile termine di confronto con il carme 51 di Catullo: le diverse scelte operate dai poeti latini nella ‘resa’ del modello sono in funzione della diversa natura e destinazione dei loro testi.

Vero ubi vementi magis est commota metu mens, consentire animam totam per membra videmus sudoresque ita palloremque existere toto corpore et infringi linguam, vocemque aboriri, caligare oculos, sonere auris, succidere artus, denique concidere ex animi terrore videmus saepe homines…

Ma quando la mente è sconvolta da un più grande terrore, vediamo che l’anima tutta se ne fa partecipe attraverso le nostre membra: così,

si diffondono sudore e pallore su tutto il corpo, e la lingua si spezza, la voce muore, gli occhi si annebbiano, le orecchie risuonano, le membra si accasciano; infine, spesso vediamo persone che soccombono a questo terrore dell’animo.

(trad. di F. Giancotti)

La precisione scientifica di Lucrezio • Rispetto a Catullo, Lucrezio si mantiene più fedele all’originale greco, pur variando in parte l’ordine di elencazione dei sintomi; il catalogo ha un andamento più secco, che procede privo di aggettivazione e artifici, tramite un semplice ed efficacissimo accostamento paratattico.

La selezione stessa dei sintomi segue criteri diversi rispetto al carme 51. Dei quattro fenomeni registrati da Catullo – l’intorpidirsi della lingua, la fiamma che penetra nelle membra, il ronzio delle orecchie e l’annebbiarsi della vista – Lucrezio sopprime il sintomo dell’alterazione febbrile, troppo specifico della passione amorosa. Gli altri tre sintomi sono poi descritti da Lucrezio in uno stile asciutto ed essenziale che riconduce alla chiarezza ‘scientifica’ dell’ode di Saffo: lo «spezzarsi» della lingua è ripreso alla lettera con il verbo infringi (v. 155), molto più forte del catulliano torpet; la vista semplicemente «si annebbia», mentre in Catullo lo stesso sintomo è indicato con la densa metafora della «doppia notte»; le orecchie «risuonano», mentre in Catullo si dice che «tintinnano di un suono interno», con un ricercato effetto fonosimbolico (le parole, cioè, hanno un suono che evoca quello descritto). Altri sintomi descritti nella quarta strofa dell’ode di Saffo, scartata da Catullo, sono ripresi invece da Lucrezio: il pallore, il sudore e, infine, l’esplicito riferimento all’eventualità della morte. Da queste osservazioni possiamo concludere come scopo di Lucrezio non sia comporre una raffinata poesia d’amore ma fornire una chiara e dettagliata descrizione scientifica; egli non rifugge quindi nessun particolare realistico che possa risultare utile a questo fine.

gelosia

• visione della ragazza amata sedotta da un uomo genera smarrimento

• precisa sintomatologia medica passione

• visione della donna amata suscita coinvolgimento emotivo

• sintomatologia medica più sfumata panico

• visione spaventosa che genera terrore nella mente

• precisa e dettagliata sintomatologia medica

Saffo (fr. 31 V.)
Catullo (c. 51)
Lucrezio (De rerum natura 3, vv. 152-158)
Modello Imitazione

T12 Acme e Settimio, una coppia felice (carme

45)

Acme e Settimio sono giovani e innamorati, così innamorati da promettersi reciprocamente eterna fedeltà. I loro buoni propositi ricevono l’esplicita approvazione del dio Amore in persona. Catullo tratteggia di questa coppia fortunata un ritratto quasi fiabesco, sospeso nel tempo: un’utopia amorosa che sembra incarnare perfettamente l’ideale del foedus.

METRO: endecasillabi faleci

Settimio, tenendo in grembo Acme, il suo amore, «Mia Acme1

FINESTRA DI LATINO

Acmen Septimius suos amores tenens in gremio ‘mea’ inquit ‘Acme’1

– le disse – se non è vero che ti amo perdutamente e non sono pronto ad amarti sempre, per tutti gli anni

5 a venire, quanto chi muore d’amore, voglio affrontare da solo in Libia o nell’India torrida un leone dagli occhi verdi2». Così disse, e Amore starnutò da sinistra, come prima da destra, in segno d’assenso3 . 10 Acme, piegando dolcemente la testa, e baciando con la bocca purpurea gli occhi ebbri del suo soave ragazzo, disse: «Settimio, vita mia, vorrei che potessimo servire sempre a questo solo padrone4 , 15 come è vero che molto più aspro e più forte mi brucia il fuoco nelle midolla».

1. Settimio ... Mia Acme: Catullo qualifica Acmen con l’apposizione suos amores, così da caratterizzarla immediatamente come l’oggetto del desiderio di Settimio. L’espressione suos amores è variata, al v. 2, in mea Acme (un vocativo): il cambio di caso grammaticale indica che il poeta cede la parola a Settimio, lasciando che sia il personaggio a dichiarare la propria passione. I nomi dei due amanti, nella prima metà del v. 1, formano un’unità inseparabile, sottolineata dalle allitterazioni a chiasmo (Acmen Septimius suos amores). L’ultima parola del v. 2 (Acme) richiama, in poliptoto, la prima parola del v. 1: Acme è sempre

al centro dei pensieri di Settimio; il ritorno del possessivo suos amores ~ mea … Acme crea un’eco fra i due versi e rafforza l’idea di tenens (Settimio non cede la “sua” Acme).

2. nell’India ... verdi: nell’antichità i leoni erano diffusi anche in Asia, qui indicata per metonimia con India, così come Lybia sta per l’intera Africa.

3. Amore ... d’assenso: la serie di starnuti da sinistra verso destra era considerata di buon auspicio.

4. questo solo padrone: è Amore personificato.

||| Frederic Leighton, Acme e Settimio, 1868 circa. Oxford, Ashmolean Museum.

Segue il testo T13

EDUCAZIONE CIVICA

Fides, impegno inviolabile

La fides, fondamento dell’etica romana

La fides è uno dei princìpi cardine su cui si fonda l’etica dei Romani: regola su un piano di affidabilità e correttezza il rapporto fra due parti (patrono e cliente, uomo politico e cittadino, giudice e imputato, Roma e popoli sottomessi, uomini e dèi), stringendo i contraenti nel vincolo reciproco di un impegno inviolabile. Cicerone, nel De officiis (1, 23), sottolinea questo aspetto della fides, proponendo una paretimologia che fa derivare fides dal verbo fieri (nel senso di «compiersi»): il valore avrebbe tratto il suo nome dal fatto che quanto promesso viene effettivamente realizzato, in accordo alla parola data. A dimostrazione della sacralità di questo principio, a metà del III secolo alla Fides divinizzata fu eretto un tempio al centro dell’Urbe, presso quello di Giove Capitolino.

La fides in ambito politico

Sulla scena sociale e politica, sono improntati alla fides i rapporti di clientela. Il patrono gode di grande potere sui clienti che si affidano a lui, ma è tenuto a esercitarlo secondo giustizia e correttezza: l’ottenere la fiducia di terzi è elemento che conferisce potere ma che allo stesso tempo vincola moralmente alla lealtà. La fides si configura così nell’ambito della relazione clientelare soprattutto come coerenza negli impegni presi.

In ottica più ampia, il pensiero politico (soprattutto di ispirazione stoica) poneva la fides come fondamento dell’intera società civile (la societas hominum): nel momento in cui si formano le prime comunità umane, il rispetto reciproco della fides fa sì che si mantengano le gerarchie all’interno del gruppo, evitando il ricorso alla violenza e il ritorno allo stato di natura. In altre parole, più persone possono convivere pacificamente solo quando c’è la fides a regolarne i rapporti.

Il fondamento dell’amicizia e del matrimonio

Nell’ambito familiare e individuale, la fides comprovata garantisce la credibilità del vir bonus (il ‘cittadino rispettabile’), insieme ad altre caratteristiche come il patrimonio, la fama, il valore, l’onore, la gloria, la giustizia, la temperanza. La fides regola i rapporti fra i cittadini rispettabili e gli amici (per il significato di amicus, vedi p. 686) di pari grado o i familiari. In particolare, la fides fra coniugi è vista come il cardine dell’unione matrimoniale. Per la mentalità romana il matrimonio è, molto più che un atto d’amore, un negozio giuridico: un contratto che vincola due persone, in vista della

produzione di eredi. La fiducia reciproca, vista come un impegno sancito dalla legge e tutelato dagli dèi, diviene perciò essenziale per la stabilità del vincolo.

La fides nei rapporti internazionali

Dalle relazioni sociali e politiche interne, il modello della clientela si trasferisce al rapporto fra Roma e i popoli sottomessi (Cicerone, De officiis, 1,35 definisce i Romani patroni delle nazioni sconfitte). In politica estera, il motivo si diffonde come giustificazione dell’espansionismo romano quanto e più di quello, affine, della clementia (la clemenza nei confronti del nemico che si è arreso, vedi p. 432), ed è presente negli storici fin da Fabio Pittore, il primo annalista (vedi p. 139): un atteggiamento ligio alla fides forniva solidità alle conquiste, garantiva la fedeltà dei sudditi e serviva da punto di partenza per ulteriori espansioni.

Fides e ius iurandum

Un particolare risvolto ha, in ambito internazionale, il legame fra fides e giuramento solenne. Un principio cardine dell’etica romana prescriveva di attenersi ai giuramenti prestati ai nemici, anche qualora questo avesse esiti rovinosi per chi aveva giurato. Il giuramento, infatti, non vincolava il solo contraente, ma l’intero popolo romano: se un generale romano lo avesse trasgredito, avrebbe tradito la fides publica, ossia avrebbe messo in dubbio la credibilità del popolo romano nel complesso.

L’exemplum di Attilio Regolo

Un celeberrimo episodio storico fu presto trasmesso come una vicenda esemplare (exemplum), venata di leggenda, che invitasse a rispettare sempre un giuramento, a prescindere dalle conseguenze. Durante la prima guerra punica, Marco Attilio Regolo (console nel 256 a.C.) sbarcò in Africa, nel tentativo di marciare su Cartagine, ma fu sconfitto e catturato dai Cartaginesi. Dopo un periodo di prigionia, fu inviato a Roma per trattare la resa, sotto stretto giuramento di fare ritorno a Cartagine una volta compiuta la sua ambasceria. Parlando in Senato, però, Regolo esortò i Romani non ad arrendersi, ma a proseguire la lotta a oltranza; compiuta la sua relazione, partì immediatamente per Cartagine, per tener fede al suo giuramento, pur sapendo che i Cartaginesi lo avrebbero certamente giustiziato.

Una nuova società

Con i rapidi mutamenti sociali, politici ed economici avvenuti in età tardo-repubblicana, questo modello ideale di fides è però messo in crisi. Le impressionan-

CHE COSA RESTA?

COLLEGA PASSATO E PRESENTE

Scegli il valore della fides come punto di partenza per una riflessione sul tempo presente. Quali concetti vale la pena ricordare del testo che hai letto? Quali ti inducono a pensare alla realtà attuale?

ESTENDI IL RAGIONAMENTO

Divisi in due gruppi, provate a stabilire se esiste per la legge e la società italiana un corrispettivo della fides romana in ambito pubblico e privato. C’è qualcosa che abbiamo ereditato di questo antico valore? Leggete per esempio i seguenti articoli della Costituzione italiana:

Art. 54 – Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Art. 143. – Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Con l’aiuto dell’insegnante, provate a stabilire quali somiglianze e quali differenze ci sono tra il nostro concetto giuridico di fedeltà e la fides romana.

ti conquiste nel Mediterraneo stravolgono le norme tradizionali di condotta e creano interessi inconciliabili con la fides. Lo si può osservare anche nella politica estera. Secondo la mentalità arcaica, come si è detto, i rapporti fra Roma e le popolazioni sconfitte replicavano su scala maggiore quello fra un patrono e i suoi clienti. Ma la presa di Cartagine, nel 146 a.C., aveva già segnato un’infrazione di questo principio: pur essendosi rimessi alla fides del vincitore, i Cartaginesi non trovarono clemenza.

La crisi della fides

In modo sempre più grave, i decenni successivi videro acuirsi l’indifferenza dei ceti dominanti verso la fides, per ambizione e avidità. Con lo scoppio delle guerre civili del I secolo a.C., la fides publica è sostituita dagli interessi personali dei vari signori della guerra (Mario, Silla, Pompeo, Cesare) in competizione per la conquista del potere assoluto: in tale contesto, se c’è ancora fedeltà, è solo quella che lega le truppe – ormai al soldo di singole fazioni – al loro comandante.

NON FERMARTI

C’è qualcosa che ancora non ti è chiaro e vorresti approfondire? Fai una breve ricerca e condividi i risultati con la tua classe.

||| Andries Cornelis Lens, Attilio Regolo ritorna a Cartagine, 1791. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.

L’amore infelice: tradimento e discidium

Lesbia non ha ricambiato la fedeltà di Catullo. Il sospetto, già accennato nel carme 87( T13), che Lesbia non stia rispettando con pari dedizione il loro patto d’amore, diviene presto tragica certezza. La stagione dell’amore felice si conclude in modo traumatico e irrimediabile.

In modo stridente rispetto alla rivendicazione della fides da parte del poeta, il carme 11 ( T14), che sigla la rottura definitiva (in latino discidium), ci presenta l’immagine cruda della donna che tiene avvinti in un sordido abbraccio i suoi innumerevoli amanti.

T14 Un messaggio di addio

L’infedeltà di Lesbia fa nascere in Catullo un conflitto interiore tra la componente affettiva e quella sensuale dell’amore. È il contrasto che il poeta denuncia nel carme 72 ( T16) e poi polarizza nel carme 85 ( T17) nella coppia antitetica odi et amo Per superare questo conflitto, Catullo rivolge a se stesso un accorato appello a resistere nei suoi propositi di rottura e a considerare come ormai del tutto perduti i giorni dell’amore felice con Lesbia, un’esperienza di vita tanto intensa quanto irripetibile ( T15).

(carme 11)

Il carme è considerato l’annuncio definitivo della fine dell’amore per Lesbia. A lei Catullo manda a dire, tramite gli amici Furio e Aurelio, di non contare più sul suo amore. La procedura è di tipo legale e si modella sul divortium per nuntium, «separazione per mezzo di un messaggero», in base a cui il marito ripudiava tramite intermediari la moglie adultera. Come il patto d’amore trovava in parte espressione in termini della lingua giuridica (fides, foedus), altrettanto avviene ora, al momento del discidium definitivo.

METRO: ode saffica minore

Furi et Aureli, comites Catulli, sive in extremos penetrabit Indos, litus ut longe resonante Eoa tunditur unda,

v. 1 Furi … Catulli: «Furio e Aurelio, che sareste disposti a essere compagni di viaggio di Catullo»; l’aggettivo comites (sott. futuri) funge da apodosi della lunga protasi costituita dal catalogo con le possibili mete.

v. 2 sive … Indos: «sia che raggiungerà gli Indiani posti ai confini del mondo»; il nome del popolo indica per metonimia la regione.

vv. 3-4 litus … unda: «dove la spiaggia viene colpita dall’onda orientale che risuona per un lungo tratto» • ut: in anastrofe (= ut litus…), sta per ubi. • longe resonante: «molto risonante», epiteto di unda, come Eoa, lett.: «dell’aurora», quindi «orientale».

||| Una città di mare, frammento di mosaico, II secolo d.C. Tunisi, Museo del Bardo.

5

sive in Hyrcanos Arabasve molles, seu Sagas sagittiferosve Parthos, sive quae septemgeminus colorat

aequora Nilus, sive trans altas gradietur Alpes, 10 Caesaris visens monimenta magni, Gallicum Rhenum, horribilesque ultimosque Britannos, omnia haec, quaecumque feret voluntas caelitum, temptare simul parati, 15 pauca nuntiate meae puellae

non bona dicta: cum suis vivat valeatque moechis, quos simul complexa tenet trecentos, nullum amans vere, sed identidem omnium 20 ilia rumpens; nec meum respectet, ut ante, amorem, qui illius culpa cecidit velut prati ultimi flos, praetereunte postquam tactus aratro est.

v. 5 sive … molles: «sia che (raggiungerà) gli Ircani e gli Arabi effemminati»; gli Ircani abitavano lungo la sponda meridionale del Mar Caspio. • in Hyrcanos … molles: i due complementi di moto a luogo sono retti da penetrabit (v. 2). • Arabasve molles: Arabas è un accusativo con desinenza alla greca (per la forma latina Arabes); sono detti molles perché tradizionalmente ritenuti dediti al lusso ed effeminati. v. 6 seu … Parthos: «sia che (raggiungerà) gli Sciti e i Parti armati di frecce»; i Sagae erano un popolo ai confini nordorientali del regno persiano (la regione del Pamir), assimilato agli Sciti. I Parti abitavano la regione tra l’Eufrate e l’Indo; sono rappresentati nella poesia latina come provetti cavalieri e arcieri (di qui l’epiteto sagittiferi). vv. 7-8 sive … Nilus: «sia che raggiungerà il mare che il Nilo dalle sette foci rende torbido»; Catullo si riferisce al fatto che il mare davanti alla costa egiziana era tinto dalle acque limacciose del Nilo fino a una grande distanza dal delta. • colorat: non «colora» ma «rende scuro». v. 9 sive … Alpes: «sia che valicherà le

alte Alpi» • trans … gradietur: tmesi (verbo composto, in cui la preposizione viene staccata).

v. 10 Caesaris … magni: «per visitare le tracce delle imprese di Cesare» • visens: participio presente, sta per visurus, participio futuro con valore finale o desiderativo, «per visitare, desideroso di visitare» (il verbo è frequentativo di video).

vv. 11-12 Gallicum … Britannos: «il Reno, in Gallia, e i terribili e remoti Britanni»; sono apposizioni epesegetiche di monimenta, indicando i luoghi che sono stati il teatro delle imprese di Cesare. vv. 13-16 omnia … dicta: «qualsiasi cosa, qualsiasi destino porti la volontà degli dèi, pronti a visitare insieme a me ogni luogo, riportate alla mia ragazza alcune parole poco gentili». • quaecumque: non è collegato a omnia (oggetto di temptare), ma retto da feret in una parentetica. • temptare: equivale qui a visere • bona dicta: «parole gentili», è espressione della lingua d’uso.

v. 17 cum … moechis: «stia bene, si diverta con i suoi amanti» • vivat valeatque:

formula allitterante di congedo, di tono colloquiale; i congiuntivi esortativi vanno intesi in senso sarcastico. • moechis: grecismo radicato nella lingua parlata.

v. 18 quos … trecentos: «che tiene stretti tra le braccia trecento alla volta»

• trecentos: la marcata iperbole indica una quantità elevata e imprecisabile; i tradimenti di Lesbia sono moltiplicati a un livello parossistico. • simul: «insieme», anticipa identidem («senza posa») del verso seguente.

vv. 19-20 nullum … rumpens: «senza amarne veramente nessuno, ma rompendo i fianchi a tutti loro, senza pausa».

v. 21 nec … amorem: «non si volga indietro verso il mio amore (cioè non speri in una riconciliazione), come in passato»

• nec: con il congiuntivo esortativo (in luogo di ne) è colloquiale.

vv. 22-24 qui … est: «che per colpa sua è caduto come un fiore al margine del prato, dopo che è stato falciato dall’aratro che ha poi proseguito»

GUIDA ALL’ANALISI

COMPRENSIONE

Il viaggio in terre lontane • Il carme si divide in due parti di tre strofe ciascuna. Nella prima (vv. 1-12) Catullo si rivolge a Furio e ad Aurelio, apostrofandoli come amici disposti ad accompagnarlo ovunque: s’introduce così il tema del viaggio in terre lontane, elencate in un catalogo scandito dall’anafora sive/seu secondo lo stile alto degli inni e dell’epos. L’intonazione è solenne, ricca di nessi e termini di colore epico e di nomi che dovevano suonare favolosi. La prima e l’ultima delle terre menzionate rappresentavano infatti i confini del mondo conosciuto: l’India (Indos, v. 2), cui era giunto con il suo esercito Alessandro Magno, e la Britannia (Britannos, v. 12), da poco conquistata da Cesare. I due popoli sono entrambi accompagnati da un aggettivo che ne sottolinea la favolosa distanza: a extremos (v. 2) corrisponde ultimos (v. 11). L’elenco si sviluppa così dall’estremo Oriente

ANALISI: LA LINGUA E LO STILE

Un sapore epico • Dopo un attacco in tono amichevole, che accosta ai nomi dei destinatari quello di Catullo, le prime tre strofe sono caratterizzate da

all’estremo nord-ovest, secondo un ‘percorso’ abbastanza continuo.

Il ritorno alla realtà • Dopo il catalogo epico, nella quarta strofa, il poeta torna a rivolgersi ai destinatari, richiamando nei vv. 13-14 i due versi iniziali del carme. Inizia qui un nuovo movimento (vv. 13-24), in netto contrasto con l’intonazione alta e solenne delle prime tre strofe. Dopo la prima strofa che contiene, a sorpresa, la richiesta di Catullo, le altre due riportano il messaggio da riferire a Lesbia, i pauca … non bona dicta dei vv. 15-16: la prima (vv. 17-20) in tono secco e brutale e con un lessico volgare; la seconda chiude invece la composizione con la delicata immagine del fiore che cade appena sfiorato dall’aratro: così il sentimento di Catullo è stato schiacciato dall’insensibilità di Lesbia.

aggettivazione preziosa (registro epico)

uno stile uniforme e ricercato, intessuto di elementi che rimandano al registro epico. Ecco gli espedienti stilistici usati da Catullo.

longe resonante (v. 3), calco di un epiteto omerico riferito al mare (poly`floisbos, «molto risuonante»)

Eoa (v. 3), grecismo letterario

gli aggettivi composti sagittifer (v. 6) e septemgeminus (v. 7), anche questo calco dal greco probabilmente coniato da Catullo (esisteva tergeminus, «triplice»)

termine arcaico caelites, coniato da Ennio sull’omerico Uranìones, «abitanti del cielo» (v. 14)

il sintagma temptare simul parati (v. 14), ricorrente nell’epica come esortazione rivolta dall’eroe ai compagni prima della battaglia o del pericolo

Tanto più sorprendente, quindi, giungerà l’effetto di ‘caduta’ dei vv. 17-20, che stigmatizzano l’immoralità di Lesbia, in un registro stilistico crudamente realistico e a tratti volgare.

L’abiezione di Lesbia • Il contrasto tra omnia e pauca, entrambi in rilievo all’inizio dei vv. 13 e 15, sottolinea lo scarto ironico tra le fatiche in capo al mondo che i due amici sarebbero pronti ad affrontare per Catullo, e il compito lieve che viene loro affidato: poche

parole da riferire alla sua donna. La litote non bona (v. 16) dissimula ironicamente la violenza verbale della strofa seguente. Al v. 18 il numero iperbolico degli amanti è in rilievo per l’allitterazione con tenet e l’iperbato quos … trecentos, che fa troneggiare Lesbia al centro del verso, circondata dagli innumerevoli amanti che lei, come un mostro libidinoso, tiene avvinti a sé in un abbraccio indifferenziato, tutti insieme (simul) e incessantemente (identidem), senza amarne nessuno ma prosciugando le energie vitali a tutti.

T15 Il tramonto dell’amore

(carme 8)

La fine della storia con Lesbia è ormai giunta: non si parla qui di rivali né della vita libertina della donna, semplicemente iam illa non volt, «lei non vuole più». Davanti a questo inappellabile rifiuto, Catullo reagisce con risentito orgoglio, cercando di convincersi ad abbandonare i tormenti della passione e ad accettare con fermezza la fine dell’amore.

METRO: coliambi

Miser Catulle, desinas ineptire, et quod vides perisse perditum ducas.

Fulsere quondam candidi tibi soles, cum ventitabas quo puella ducebat

5 amata nobis quantum amabitur nulla.

Ibi illa multa tum iocosa fiebant, quae tu volebas nec puella nolebat, fulsere vere candidi tibi soles.

Nunc iam illa non volt: tu quoque inpotens noli,

10 nec quae fugit sectare, nec miser vive, sed obstinata mente, perfer, obdura.

Vale, puella. Iam Catullus obdurat, nec te requiret nec rogabit invitam.

At tu dolebis, cum rogaberis nulla.

15 Scelesta, vae te, quae tibi manet vita?

Quis nunc te adibit? Cui videberis bella?

Quem nunc amabis? Cuius esse diceris?

Quem basiabis? Cui labella mordebis?

At tu, Catulle, destinatus obdura.

vv. 1-2 Miser … ducas: «Povero Catullo, smetti di essere folle, e ciò che vedi che è perduto, consideralo davvero perduto» • desinas: congiuntivo esortativo. • ineptire: sinonimo di delirare o insanire, deriva dall’aggettivo ineptus, che indica chi non si comporta in modo conseguente alla realtà.

v. 3 Fulsere … soles: «Un tempo splendettero per te giorni luminosi» • fulse¯re: forma arcaica per fulse¯runt • candidi … soles: soles è metonimia per dies, «giorni»; candidi, «splendenti, luminosi», quindi «felici».

v. 4-5 cum … nulla: «quando andavi dove la ragazza ti guidava, amata da me quanto nessuna sarà amata» • ventitabas: è frequentativo di venio e indica l’andare frequentemente; anche l’imperfetto esprime consuetudine. • quo: avverbio di moto a luogo. • nobis: plurale per il singolare; si tratta di un dativo d’agente.

v. 6 Ibi … fiebant: «Allora avvenivano molti giochi d’amore»; ibi in unione con tum è avverbio temporale.

v. 7 quae … nolebat: «che tu desideravi e la ragazza non rifiutava» • nec … nolebat: litote, a sfumare l’intensità dell’espressione.

v. 9 Nunc … noli: «Ora lei non vuole più: tu, pur non riuscendo, non volerlo a tua volta» • volt = vult • inpotens: ha valore concessivo: «per quanto non riesca a dominarti».

v. 10 nec … vive: «non inseguire ciò che fugge via, né vivi da infelice»; Il verbo vivo equivale qui a sum • nec … sectare (sott. eam): è un imperativo negativo, costruito con nec + imperativo invece che con ne + congiuntivo perfetto; sector è frequentativo di sequor, «seguire con ostinazione». vv. 11-14 sed … nulla: «ma resisti con mente irremovibile. Addio, fanciulla. Ormai Catullo resiste; e non ti cercherà

GLOSSARIO DI RETORICA

nec … nolebat è una lìtote, figura retorica che consiste nell’affermare qualcosa mediante la negazione del contrario. Con l’aiuto del Glossario di retorica on line approfondiscine caratteristiche e funzioni.

e non ti pregherà se tu non vuoi. Ma tu soffrirai, quando non sarai più desiderata per niente»

vv. 15-18 Scelesta … mordebis?: «Sciagurata, guai a te, ora chi ti raggiungerà? A chi sembrerai bella? Chi ora amerai? Di chi si dirà che sei? A chi morderai le labbra?»

• Scelesta: significa «Sventurata, disgraziata», ma propriamente scelestus è chi si macchia di scelus, e quindi anche chi causa la rottura di un foedus come quello che Catullo pone alla base del suo rapporto con Lesbia. • vae te: vae con l’accusativo in luogo del dativo è molto raro. • bella: colloquiale per pulchra v. 19 At … obdura: «Ma tu, Catullo, resisti con fermezza» • destinatus: con valore predicativo («saldamente»), costituisce una variazione rispetto a obstinata mente del v. 11; solamente qui Catullo usa questo aggettivo riferito a una persona, al posto del più comune obstinatus

T16 Amare e bene velle

(carme 72)

Le dichiarazioni roboanti di Lesbia, che diceva di preferire il suo Catullo allo stesso Giove, non hanno avuto seguito. La donna, infatti, ha tradito colui che l’aveva amata come il padre ama i propri figli e questo tradimento (iniuria) produce nel poeta una reazione quasi paradossale: venuta meno ogni forma di stima e rispetto, persiste tuttavia in lui un’attrazione erotica ancora più intensa di prima, in un contrasto davvero doloroso tra amare, da una parte, e bene velle, dall’altra.

METRO: distici elegiaci

Dicebas quondam solum te nosse Catullum, Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem. Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam, sed pater ut gnatos diligit et generos.

5 Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror, multo mi tamen es vilior et levior.

Qui potis est, inquis? Quod amantem iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus.

vv. 1-2 Dicebas … Iovem: «Un tempo, Lesbia, dicevi di conoscere soltanto Catullo, e che non avresti voluto abbracciare Giove al mio posto» • quondam: è l’avverbio che segna l’avvenuto discidium, collocando nel passato («un tempo») i giorni dell’amore felice. • nosse (= novisse): qui significa «conoscere» in senso erotico. • tenere: qui nel senso di «tenere stretto, abbracciare».

vv. 3-4 Dilexi … generos: «Allora io ti amai non tanto come il volgo ama un’amica, ma come un padre ama i figli e i generi». • vulgus: funge da soggetto generico, rendendo l’espressione pressoché impersonale («come si ama un’amica»).

• amica : qui nel senso di «amante». • generos: nell’antica Roma i generi erano considerati come figli acquisiti.

vv. 5-6 Nunc … levior: «Ora so chi sei: perciò, anche se brucio più intensamente, tuttavia tu sei per me molto più vile e inaffidabile» • cognovi: qui il perfetto ha il senso risultativo di «sono venuto a sapere». • uror: «brucio»; indica qui il fuoco della passione amorosa. vv. 7-8 Qui … minus: «Com’è possibile, mi chiedi? Perché un tale tradimento spinge l’innamorato ad amare di più, ma a voler bene di meno» • qui (= quomodo): «in che modo?», avverbio interrogativo.

• iniuria: la violazione dello ius, il diritto divino su cui si fondava il patto d’amore tra Lesbia e Catullo. • amare: qui indica l’attrazione erotica di Catullo per Lesbia. • bene velle: «stimare», «apprezzare», come un padre i suoi figli.

||| Lawrence Alma Tadema, Un silenzio eloquente, 1890. Collezione privata.

COMPRENSIONE

Il passato d’amore • Il carme si presenta come un monologo interiore di Catullo, che, rivolgendosi a Lesbia, cerca di mettere meglio a fuoco i sentimenti contrastanti suscitati in lui dal tradimento ormai conclamato della donna. Gli avverbi di tempo quondam («un tempo», v. 1) e nunc («ora», v. 5) marcano la divisione del componimento in due parti. Nella prima (vv. 1-4),

il poeta rievoca i giorni, ormai irrimediabilmente perduti, nei quali la donna dichiarava a Catullo un’esclusiva preferenza nei suoi confronti, in termini però così iperbolici da risultare, con il senno di poi, sospetti (vv. 1-2). Da parte sua, Catullo rivendica invece di averla amata di un amore diverso da quello, volgare, di un uomo per la sua amante (amica): egli l’ha amata, piuttosto,

GUIDA ALL’ANALISI

dell’amore che un padre prova per i figli, in linea con il principio tutto romano della pietas, il rispetto sacro dei legami familiari, ai quali in questo modo Catullo assimila il foedus amoris con Lesbia (vv. 3-4).

Un presente contrastato • La lapidaria frase nunc te cognovi («ora sì che ti conosco») introduce, al v. 5, la seconda parte del carme, con il totale rovesciamento provocato nell’animo del poeta dalla scoperta dei continui tradimenti della donna. Catullo vede prodursi in sé una forma di vera e propria dissociazione

T17 Odiare amando

emotiva: da una parte si sente sempre più bruciare di passione per la donna; dall’altra, la stima per lei è venuta meno del tutto, perché la percepisce come incostante (levis) e moralmente abietta (vilis). Lesbia ha infatti commesso una vera e propria iniuria, ha violato il patto d’amore.

L’ultimo verso, infine, riassume efficacemente la condizione quasi schizofrenica in cui si ritrova il poeta: sempre più attratto fisicamente da Lesbia (amare) ma al contempo sempre meno affezionato a lei (bene velle).

(carme 85)

In un solo distico Catullo sintetizza il suo conflitto interiore: l’opposizione dei due verbi (Odi et amo) rispecchia l’opposizione bene velle / amare provocata in lui dal tradimento del patto d’amore da parte di Lesbia T16. Questa di Catullo è la constatazione fenomenologica di uno stato d’animo, senza alcun tentativo di spiegazione psicologica.

METRO: distici elegiaci

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Io odio e amo. Ma come, dirai. Non lo so, sento che avviene e che è la mia tortura.

(trad. di E. Mandruzzato)

GLOSSARIO DI RETORICA

Odi et amo è un ossimòro, figura retorica basata sull’accostamento di parole antitetiche che sembrano escludersi reciprocamente. Con l’aiuto del Glossario di retorica on line approfondiscine caratteristiche e funzioni.

ANALISI:

LA LINGUA E LO STILE

Un conflitto interiore • Al v. 1, la lapidarietà della dichiarazione iniziale (Odi et amo) ha un fortissimo effetto patetico; l’antitesi dei due verbi è messa in rilievo dall’ellissi dell’oggetto e di qualsiasi altra determinazione: Catullo lascia da parte la figura di Lesbia per concentrarsi, con dolore e stupore, sull’analisi introspettiva. Analisi che porta, inevitabilmente, alla constatazione di una scissione paradossale del proprio animo, espressa con efficacia dall’ossimoro (i due verbi, dal significato antitetico, sono accostati).

Rispetto a “amo e non amo” (vedi Raccordi, p. 685), la resa “odio e amo” ha un impatto molto più forte: in Catullo coesistono, essendo vissuti con pari intensità, l’amore e la sua radicale negazione. I due opposti convivono senza armonizzarsi; al poeta lacerato non

resta che osservare, con stupito sgomento, l’assurdità della propria condizione. Al v. 2 fieri si oppone al suo attivo faciam, significativamente posto sulle labbra di un interlocutore fittizio (un amico di Catullo, oppure il poeta stesso, in un dialogo interiore): ciò che accade non è qualcosa che Catullo possa controllare, ma solo subire, sperimentandone i dolorosi effetti. Anche la forma medio-passiva excrucior, che rimanda alla crocefissione, una punizione riservata esclusivamente agli schiavi e agli stranieri, sottolinea la sensazione di impotenza rispetto al processo emotivo che è in corso dentro di lui: l’analisi razionale non conduce al dominio dei sentimenti, ma solo alla loro osservazione, all’ammissione di trovarsi in loro balìa.

GUIDA ALL’ANALISI

Amore e odio

Chi l’ha detto prima di Catullo? • Sono stati rintracciati molti testi nella precedente letteratura greca e latina che in qualche misura anticiperebbero la formulazione

di un sentimento conflittuale d’amore. Nel prospetto che segue ne riportiamo alcuni, segnalando analogie e differenze rispetto al distico catulliano.

«Io odio e amo. Ma come, dirai. Non lo so / sento che avviene ed è la mia tortura» (carme 85)

(poeta lirico greco, VI secolo a.C.)

«E di nuovo amo e non amo, e sono pazzo e non sono pazzo» (fr. 93)

Teognide (poeta lirico greco, VI secolo a.C.)

«Il mio cuore è in pena per amor tuo: non posso né odiarti né amarti e capisco com’è difficile odiare quando c’è un vincolo d’affetto, ma com’è difficile amare chi rifiuta» (vv. 1091-1094)

Sofocle (tragediografo greco, 496-406 a.C.)

«Sappi che tu sei l’uomo che in un sol giorno più ho odiato e più ho amato» (Elettra, vv. 1362-1363)

Catullo odia Lesbia per il tradimento del patto d’amore, ma continua a provare per lei un forte desiderio erotico

l’amore, visto come forma di pazzia, è contrapposto alla mancanza d’amore, non al suo contrario, come in Catullo

incertezza tra amore e odio

amore e odio non sono compresenti ma si alternano nel tempo, anche se nel breve spazio di un giorno

Catullo
Anacreonte
||| Lawrence Alma Tadema, Una richiesta, 1878. Collezione privata.

LESSICO

Parlare d’amore

«Amare e odiare» o «bruciare di desiderio» suonano come formule familiari. Eppure, quando furono espresse per la prima volta a Roma, sconvolsero. Con Catullo la poesia latina dà voce agli affetti, coniando una lingua nuova. Molti termini della sfera sentimentale entrarono nel lessico della letteratura colta, per divenire un patrimonio comune dei lettori.

Qualità

(di amans)

• miser, «infelice»

• misellus, «poveretto»

• tener, «delicato»

• tenellus, «carino»

• venustus, «grazioso»

• cupidus «voglioso»

(di puella)

• mea, «mia»

• mellita, «dolce come il miele»

• deliciae, «delizia»

• bella, «bella»

• lepida, «spiritosa»

• nitens , «splendente»

• pulcherrima, «bellissima»

Persone

• amans, «innamorato»

• puella, «ragazza»

Immagini figurate

• ardeo, «bruciare d’amore»

• ignis, «fuoco d’amore»

• pereo, «morire d'amore»

• perditus, «innamorato da morire»

• spinosus, «coperto di spine» (detto del mal d'amore)

Stati d’animo

• voluptas, «piacere»

• impotentia, «mancanza di freni»

• furor, non «rabbia» ma «follia»

• affectus, non «affetto» ma «passione»

• passio, non «passione» ma «emozione»

• cura, «male d’amore»

Azioni

• amo (o amare), «amare»

• desidero (o desiderare), «soffrire la mancanza di»

• cupio (o cupe˘re), «desiderare»

• bene velle, «voler bene»

• diligo (o diligere), «amare con affetto»

• libet, «aver voglia di»

• iocare, «scherzare, in senso di giochi d'amore»

• amare amari, «essere ricambiati»

Parole perdute

• savia, «baci tra amanti»

• oscula, «baci tra parenti»

Luoghi (sedi del sentimento d’amore)

• cor, «cuore»

• medullae, «viscere»

• pectus, «petto»

• sinus, «seno»

Concetti

• amicitia, «amicizia»

• foedus, «patto, alleanza»

• fides, «fedeltà, lealtà»

• bene facta, «buone azioni»

Questioni di genere

• amicus, «sostenitore, alleato»

• amica, «amante occasionale»

DAL LATINO ALL’ITALIANO

• amare

IN LATINO Nel carme 72 ( T16) amo ha più il senso dell’italiano «desiderare»; indica la brama di possedere qualcosa, un desiderio carnale e irrazionale a cui è impossibile resistere: è il verbo dell’eros passionale. È usato anche per passioni intellettuali o artistiche: si possono amare e adamare («amare moltissimo») opere d’arte o letterarie, persino le piante del proprio giardino, sempre ponendo l’attenzione sui tratti eccessivi, quasi fanatici, di questo attaccamento.

IN ITALIANO al contrario amare è il verbo che per eccellenza definisce il legame sentimentale: un rapporto che va oltre l’aspetto fisico, per fondarsi sull’affinità di gusti e la volontà di condividere esperienze. Anche in italiano, tuttavia, si può usare «amare» (così come adorare, termine nato nell’ambito della religione) a proposito di una passione artistica o intellettuale; resta però una piccola sfasatura: l’espressione non sarà presa alla lettera e verrà intesa come un’esagerazione scherzosa, mentre i latini la usano in senso letterale.

• desiderare

IN LATINO paradossalmente, una sfumatura sentimentale ha il verbo desidero, che significa «soffrire la mancanza di qualcosa»: il desiderium latino è la «nostalgia» o il «rimpianto» di qualcuno; di qui l’espressione idiomatica per cui si chiamano (nell’italiano corrente) desiderata gli obiettivi da raggiungere, in un progetto di gruppo, o le lacune da colmare.

IN ITALIANO desiderare, invece, indica la volontà di possedere a tutti i costi qualcosa che non si ha (e non si è mai avuto), piuttosto che la sofferenza per la perdita o la lontananza di qualcosa che si aveva. Anche per questo motivo, desiderio è spesso caratterizzato in senso sensuale e carnale, in contrasto con la sfumatura più ‘romantica’ del latino.

• furor

IN LATINO furor è la «follia» di chi perde il controllo, sopraffatto da un’emozione troppo forte. Non si tratta di una «pazzia» che fa sragionare: chi è preda del furor non dice cose assurde né perde il contatto con la realtà, ma è così dominato da una passione (la brama amorosa, ma anche la sete di potere o di vendetta) da fare di tutto per appagarla, senza riflettere sulle conseguenze. Il furiosus è pronto a danneggiare gli altri e se stesso pur di ottenere quello che gli sembra, con un calcolo errato, l’unico bene possibile. Il che non vuol dire che debba agire per

forza con violenza: Arianna, ad esempio, nel carme 64 ( T21) è vittima del furor amoroso, che sfoga però soltanto con lamenti.

IN ITALIANO furore mantiene la stessa carica eccessiva, ma si specializza nel senso di ira violenta: per noi agire con furore vuol dire avere una reazione sproporzionata di fronte a un torto (vero o presunto), al quale si risponde con cieca e sfrenata violenza.

• ardeo

IN LATINO ardeo lett. «bruciare» (costruito con in + ablativo): «ardere d’amore per qualcuno», lett. «in qualcuno»).

IN ITALIANO Il fuoco d’amore rimane un’immagine abbastanza viva in italiano, data la sua lunga tradizione poetica, anche se oggi la si trova più facilmente in contesti come la pubblicità. Nell’italiano parlato oggi bruciante si riferisce in genere a esperienze negative, non tanto ‘in atto’ quanto già avvenute, che lasciano un pessimo ricordo: può essere bruciante una sconfitta, una delusione, una bocciatura

• amica e amicus

IN LATINO Da amor derivano sia amica sia amicus, che si specializzano in senso diverso in base al genere: amica è di norma un’amante occasionale; per es., Catullo nel carme 43 (v. 5) deride una rivale di Lesbia, bollandola come «l’amica», cioè l’amante occasionale di un losco figuro, di bassissimo rango. Un amicus, invece, indica l’amico, nel senso esteso che il termine amicitia ha per i latini (vedi p. 654: un amico, per i latini, non è per forza un confidente, ma può essere anche uno sponsor, un sostenitore, un patrono letterario, un protettore).

Anche in questo caso, Catullo opera una scelta rivoluzionaria: è lui a dare al termine amicitia un senso nuovo, applicandolo al campo dell’amore, per indicare un rapporto ‘sano’, fondato sulla fiducia e reciprocità.

• basia, savia, oscula

IN LATINO Per noi un bacio è un bacio, che sia di affetto o di amore, che si scambi fra fratelli, amici o amanti: è il contesto a distinguerlo. I latini, invece, usano tre nomi diversi per indicare i baci, a seconda che siano più o meno marcati in senso erotico. Eccoli, disposti in scala decrescente per intensità:

• savia: baci appassionati, i più ‘spinti’ in assoluto;

• basia: i baci che chiede Catullo ( T9); si scambiano fra amanti, ma sono meno intensi dei savia;

• oscula: i baci casti, dati fra parenti.

Seguono i testi T18-T22

Guida al ripasso

1. LA VITA E LE OPERE

CONOSCERE

Ripassa la vita e la produzione letteraria dell’autore. Usa la linea del tempo e l’elenco dei nomi come traccia per l’esposizione

86 a.C. morte di Mario

82-79 a.C. dittatura di Silla

70 a.C. consolato di Pompeo e Crasso

84 a.C. Catullo nasce

2. LA POETICA

ARGOMENTARE

A Roma incontra Cornelio Nepote, Gaio Memmio, P. Clodio Pulcro, Clodia, Q. Cecilio Metello

63 a.C. consolato di Cicerone

57 a.C. Catullo va in Bitinia

54 a.C. Catullo muore

44 a.C. morte di Cesare

Dimostra in che cosa consiste la rivoluzione morale e culturale attuata dai neòteroi e da Catullo.

• Ripassa le pagine di profilo: dove si parla di questa rivoluzione?

• Appuntati gli eventi significativi della vita di Catullo e dei più noti poetae novi.

• Appuntati le date e gli eventi storici significativi degli anni in cui vivono Catullo e i neòteroi

• Riassumi le principali caratteristiche della nuova poesia neoterica in tre parole chiave

• Elenca almeno tre possibili argomenti per sostenere la tesi che Catullo e i neòteroi attuano una rivoluzione culturale e morale.

• Scegli almeno tre esempi, tratti dai testi, che possano supportare le tue argomentazioni.

• Prevedi possibili obiezioni

• Prepara una conclusione a effetto.

3. LE PAROLE

LESSICO

Svolgi le seguenti attività

1. Indica la risposta corretta.

a. La donna amata è una puella amica

b. Se provi furor per la tua amata, sei pazzo furioso folle d’amore

c. Se hai cura per la tua amata, vuol dire che te ne prendi cura soffri per amore.

2. Rifletti sulla differenza tra bella, lepida e formosa. Proponi la tua traduzione e la tua spiegazione di ciascuna parola.

Un passo in più Nel carme 5 (T9) Catullo definisce Lesbia desiderium meum: in questo carme, che riflette l’amore felice, Lesbia-desiderium è “oggetto della passione” di Catullo. Se incontrassi desiderium in uno dei carmi sull’amore infelice, invece, come lo tradurresti?

4. I TEMI: AMORI PRIVATI

LAVORARE CON GLI ALTRI

Questa è un’attività individuale e collettiva formulata secondo le strategie del ‘pensiero visibile’ (thinking routines): per aiutarti a diventare consapevole dei meccanismi che regolano la tua capacità di imparare. Ti proponiamo un componimento in cui Lesbia ha appena giurato amore eterno al poeta. Nonostante questa appassionata dichiarazione, Catullo nutre dei dubbi sulla fides della donna: di qui la preghiera che Lesbia non tradisca mai il loro patto d’amore.

Analizza il testo secondo la strategia THINK-PAIR-SHARE (Pensa, Confronta, Condividi): ti aiuterà a comprendere individualmente i contenuti e a condividerli con gli altri.

O vita mia, tu mi prometti che questo nostro amore sia sempre tra noi felice e che duri per sempre.

O grandi dèi, fate in modo che possa prometterlo sul serio, e che dica ciò sinceramente e dal fondo dell’anima, 5 affinché ci sia lecito prolungare per tutta la vita questo eterno patto di sacro amore.

(carme 109)

PENSA

Analizza individualmente il carme proposto, aiutandoti con le domande guida.

• Cerchia le parole più significative e prova a sintetizzare in due righe il tema principale del carme.

• Come esprime Catullo le emozioni legate a questo tema? A quale fase della sua relazione con Lesbia è riconducibile questo componimento?

• Ci sono elementi linguistici che attirano la tua attenzione?

CONFRONTA

In coppia, condividete le vostre riflessioni. Confrontatevi sulle interpretazioni, cercando di trovare punti di accordo e di discussione. I punti su cui discutere sono:

• il significato del testo;

• il tema del carme in relazione alla poetica dell’autore;

• il contesto in cui il carme viene composto;

• gli Elementi linguistici significativi.

Dopo la discussione, ogni coppia condivide brevemente le sue riflessioni con il resto della classe.

CONDIVIDI

Dopo le presentazioni delle coppie, avviate una discussione collettiva

• Ci sono diverse interpretazioni del medesimo carme?

• Come la prospettiva personale influisce sulla comprensione di Catullo?

• Quali elementi linguistici o poetici sono stati particolarmente significativi?

ORIENTAMENTO

Analizza le competenze sviluppate, i tuoi punti di forza e di debolezza. Impara a scoprire interessi, attitudini, risorse personali Scarica le domande.

Prepararsi all’Esame di Stato

PRIMA PROVA (TIPOLOGIA A) - Analisi del testo

T1 Il passero di Lesbia (carme

3)

In uno dei suoi carmi più noti, Catullo piange la morte del passero domestico di Lesbia, l’uccellino che deliziava la sua padrona con giochi e scherzi innocenti. Il lamento funebre, nonostante una sottile vena ironica, trae da un evento ‘minimo’ di vita quotidiana una riflessione malinconica: le cose più care ai poetae novi – bellezza, grazia, giovinezza – sono di breve durata.

Piangete, o Veneri e voi Amorini, e quanti sono disposti all’amore.

È morto il passero alla mia ragazza, il passero, tesoro della mia ragazza; 5 lei lo amava più dei propri occhi, perché era dolce come il miele e la riconosceva così come una bimbetta la sua mamma; mai che si scostasse dal suo grembo e, saltellando intorno qua e là,

10 cinguettava sempre, solo rivolto alla sua padrona.

Ora procede per una strada oscura, là donde si dice che nessuno torni. Maledizione a voi, maledette oscurità infernali, che inghiottite ogni cosa graziosa:

15 un passero così carino voi m’avete rapito. Che brutta azione! Che passerotto infelice!

Ora per colpa tua, gonfi di pianto, sono arrossati gli occhi soavi della mia ragazza.

COMPRENSIONE E ANALISI

1. A quale soggetto è dedicato il carme?

2. Da che punto di vista viene commentata la morte del passero?

3. Chi è invitato a unirsi al poeta nel compianto?

4. Quali azioni, nel carme, sono riferite al passato? Quali al presente?

5. Come reagisce il poeta alla morte del passero?

6. Chi è accusato di aver causato la morte del passero?

7. In che modo, all’inizio e alla fine del carme, Lesbia è messa in relazione al passero?

8. In che fase del rapporto tra Catullo e Lesbia credi si possa collocare questo carme? Rispondi argomentando con opportuni riferimenti al testo.

9. LESSICO • Individua nel testo tutti i termini che hanno una sfumatura affettiva e quelli che fanno rientrare il componimento nella poesia d’amore.

10. STRUTTURA • Prova a dividere il carme in sezioni, ciascuna dedicata a un tema specifico. Quante sezioni ottieni? In che modo queste sono collegate fra loro?

INTERPRETAZIONE

11. Quale concezione della vita e dell’amore ti sembra emergere dal carme? Rispondi facendo opportuni riferimenti anche ad altri componimenti di Catullo di tua conoscenza.

PRIMA PROVA (TIPOLOGIA B) - Il testo argomentativo

T2 Catullo traduttore di Callimaco

Nel brano seguente Luigi Galasso prende in considerazione le modalità in cui Catullo traduce in latino un celebre epigramma di Callimaco, appropriandosi del modello greco in chiave originale. La ripresa del testo ellenistico non è un semplice gioco letterario (come nel caso degli esperimenti di traduzione dei ‘preneoterici’), ma un completo adattamento del modello alla sensibilità di Catullo, accesa da una passionalità nuova e segnata dall’esperienza, unica e irripetibile, dell’amore per Lesbia.

«Nessuno la mia donna dice di preferire come marito

se non me, neppure se Giove stesso la chiedesse in sposa.

Lo dice: ma ciò che dice una donna all’amante bramoso va scritto nel vento e nell’acqua che tutto trascina».

(Catullo, c. 70; trad. G.B. D’Alessio)

«Giurò Callignoto a Ionide che mai più di lei avrebbe avuto caro un amico o un’amica.

Giurò. Ma dicono bene: i giuramenti d’amore non raggiungono l’orecchio degli dèi.

Ora lui d’amore per un ragazzino brucia, e della povera fanciulla, come dei Megaresi, non si fa conto né stima1.»

(trad. G.B. D’Alessio)

Lesbia si pronuncia in dichiarazioni di fedeltà che suonano del tutto iperboliche: nemmeno Giove, se si presentasse a chiedere i suoi favori, potrebbe averla; il suo amore sarà solo per Catullo. Il poeta ascolta queste parole tanto incoraggianti, ma rimane scettico sul loro valore: i giuramenti d’amore di una donna (lo esplicita) sono cosa talmente effimera e poco affidabile da poter essere paragonata a parole scritte sull’acqua o nel vento. La vanità delle promesse d’amore è un luogo comune della poesia erotica: forse Catullo aveva presente in particolare anche Meleagro2 (AP 5,83), dove appare l’immagine dell’acqua che porta via i giuramenti d’amore. Catullo inserisce ciò che gli accade in una legge universale di comportamento umano e assume un atteggiamento riflessivo e malinconico, ma che lascia trasparire un’esperienza intensa della passione. Qui dovremmo pensare a un momento della storia con Lesbia in cui lei ha già dato prova di qualche leggerezza e il tono di questo epigramma può, forse, essere paragonato a quello del finale del carme 68 (vv. 135-140), dove Catullo si mostra disposto a una certa tolleranza verso gli eventuali tradimenti, purché occasionali, della sua donna, che non è ancora arrivata, possiamo supporre, agli eccessi descritti con espressionistica crudezza nei carmi 11 e 584. Già però nel carme 725, dove riprende questo componimento e mostra di aver realmente creduto alle promesse di Lesbia, appare profondamente ferito dalla rivelazione della vera natura della donna che ama, anche se non sa come liberarsi della passione. Nel carme 1096 di nuovo lei promette, e allora lui si sforza di credere, magari anche immaginando un intervento divino. Certo, l’asimmetria tra quello che ha in mente Lesbia, un amore piacevole, e quello che vuole Catullo, un patto eterno di amicizia consacrata, suggerisce chiaramente un esito triste della vicenda.

1. come dei Megaresi … né stima: un responso delfico, rimasto proverbiale, diceva che della città greca di Megara il dio Apollo non si curava affatto.

2. Meleagro: poeta greco, originario di Gadara, del II-I sec. a.C. I suoi epigrammi, in gran parte erotici, sono raccolti nell’An-

tologia Palatina (una grande collezione di epigrammi in greco, che vanno dall’età classica a quella bizantina).

3. AP 5,8: la citazione fa rifermento all’epigramma 8 del libro quinto dell’Antologia Palatina, in cui al v. 5 leggiamo: «Adesso lui [il ragazzo amato] dice che i nostri passati

giuramenti se li porta via l’acqua».

4. carmi 11 e 58: per il carme 11, vedi T14; nel carme 58 Catullo lamenta che la donna da lui un tempo amata alla follia sia arrivata a prostituirsi in modo vergognoso.

5. carme 72: vedi T16

6. carme 109: vedi p. 633.

Il modello principale è costituito da Callimaco, come è reso evidente, fra l’altro, anche dalla ripresa della ripetizione «giurò… giurò… ma…» tramite dicit… dicit… sed: l’unica differenza è che anche il primo «giurò» in Callimaco è in apertura di verso, mentre il dicit di Catullo è all’interno, sia pur messo in rilievo dalla cesura semiquinaria7. Questo esibito rapporto con Callimaco, con il suo ironico distacco, che ha bisogno della sua esplicita conclusione (mentre Catullo presagisce la vanità delle promesse d’amore, ma non la vede già in atto sotto i propri occhi), rende più intensa e percepibile la passionalità della ripresa, che adatta il motivo galante a una condizione fortemente sentita e attuale8

(da L. Galasso, Profilo generale, in La letteratura latina in età ellenistica, pp. 83-85)

7. Il modello … semiquinaria: testo latino:

Nulli se dicit | mulier mea nubere malle

8. Questo esibito … attuale: in altre paro-

COMPRENSIONE E ANALISI

le, l’epigramma di Callimaco funziona perché le premesse del primo distico sono smentite dal tradimento descritto nell’ul-

1. Riassumi il contenuto del passo, mettendo in luce la linea argomentativa adottata dall’autore. Soffermati in particolare sui seguenti punti:

a. in quali carmi Catullo rielabora l’epigramma 25 Pfeiffer di Callimaco?

b. quali somiglianze e quali riprese letterarie si colgono fra l’epigramma callimacheo e la sua traduzione da parte di Catullo?

c. quali importanti differenze si possono cogliere fra i due testi? In che modo Catullo innova il modello di Callimaco?

d. quale concezione della passione e dell’amore spinge Catullo a modificare, nello spirito, l’epigramma di Callimaco?

e. come si inserisce il carme 70 all’interno della storia fra Catullo e Lesbia?

2. Contestualizza il testo, ricostruendo brevemente il ruolo giocato dal foedus amoris, giurato e vincolato alla protezione degli dèi, nella storia d’amore tra Catullo e Lesbia. Fa’ riferimento a testi del poeta di tua conoscenza.

3. Analizza la lingua e il lessico del brano, in particolare:

a. trova tutti i termini che si riferiscono a Catullo e alla sua produzione poetica: su quali aspetti della poetica catulliana si sofferma maggiormente Galasso?

b. distingui le espressioni usate per definire la poesia di Callimaco e quelle impiegate per illustrare la poesia di Catullo: in che modo le scelte lessicali aiutano a cogliere le innovazioni che Catullo apporta al suo modello?

PRODUZIONE

timo distico; il carme di Catullo, invece, lascia sfumata la conclusione della vicenda.

4. Il brano si sofferma su un tema più volte discusso nel corso del capitolo: la ‘sincerità’ di un poeta che presenta in termini lirici la propria vita emotiva e sentimentale. Galasso dimostra come Catullo, pur traducendo quasi alla lettera un modello greco, sappia animarlo di uno spirito nuovo, infondendovi tutta la propria passione. Discuti di questo tema in un testo argomentativo di 20 righe, nel quale metti a confronto il caso di Catullo con quello di altri poeti a te noti (per esempio, della letteratura italiana) che parlano di sé in prima persona.

||| Ritratto su affresco, da Pompei, 20 a.C. – 20 d.C. circa. Londra, British Museum.

Il colloquio orale

SPUNTI PER LA DISCUSSIONE

L’amore in letteratura, fra realtà e invenzione

Salve, ragazza dal naso non piccolo, dai piedi non belli, dagli occhi non neri, le dita non affusolate, la bocca non asciutta, la parlata non elegante, 5 amica del bancarottiere di Formia!

E i provinciali dicono che sei bella?

Ti confrontano con la mia Lesbia?

Che mondo volgare e stupido!

(carme 43, trad. di G. Paduano)

PERCORSI INTERDISCIPLINARI

Esercitarti ancora nel collegamento tra le discipline con il percorso interdisciplinare L’intellettuale e il potere

FASE 1 ANALISI E COMMENTO DEL MATERIALE

1. Nel carme riportato sopra Catullo deride una ragazza che ha osato paragonarsi alla sua Lesbia. Con il suo fascino e la sua cultura, Lesbia incarna l’ideale estetico della cerchia neoterica. Esponi sinteticamente il modo in cui Catullo descrive Lesbia e come questo rispecchia la concezione che i neòteroi hanno dell’amore e dell’esistenza.

2. Ricostruisci, con opportuni riferimenti a testi a te noti, le varie fasi del rapporto d’amore fra Catullo e Lesbia.

FASE 2 LAVORARE SUI COLLEGAMENTI

3. Non c’è epoca o cultura che non abbia sviluppato la sua poesia d’amore. Come tutti i generi letterari, anche la poesia erotica ha i suoi motivi convenzionali e le sue forme canonizzate. Prova a sviluppare, a partire da questi temi, dei collegamenti pluridisciplinari. A titolo di esempio sono citati di seguito alcuni spunti possibili.

LETTERATURA ITALIANA

Il Canzoniere di Francesco Petrarca

STORIA

La società delle corti nel Medioevo e l’ideale dell’amor cortese

STORIA DELL’ARTE

Le Veneri nella statuaria greco-romana

Oppure Venere di Urbino di Tiziano

LETTERATURA GRECA

I libri 5 e 12 dell’Antologia Palatina

Oppure

La lirica erotica di Anacreonte

LETTERATURA FRANCESE MEDIEVALE

I romanzi cortesi di Chrétien de Troyes

FILOSOFIA

Platone: il Simposio

Laboratorio di orientamento

IL CORAGGIO DI CICERONE

Nel processo contro Verre per concussione (de repetundis, vedi p. 235), Cicerone dimostra coraggio: benché giovane e alle prime esperienze, non ha paura di accusare un uomo potente, che può contare su amicizie influenti e sulla difesa del più grande oratore dell’epoca, Quinto Ortensio Ortalo. Dopo il primo discorso di Cicerone (actio prima in Verrem), Verre, schiacciato dall’evidenza delle testimonianze, fugge da Roma in volontario esilio; nei mesi successivi Cicerone scrive e pubblica l’actio secunda in Verrem, composta da cinque orazioni (vedi p. 266).

AConoscere se stessi

OBIETTIVI

• Riflettere sui comportamenti e sulle emozioni a partire dalle parole

• Comunicare ed esprimere idee

• Ricercare e selezionare informazioni

• Produrre artefatti scritti, grafici e multimediale

• Orientarsi per esprimere un talento

Non importa se a spingere Cicerone a sostenere l’accusa contro Verre sia stato un nobile senso di giustizia o l’ambizione di dare una svolta alla propria carriera forense. Cicerone era ben consapevole dei rischi a cui andava incontro: l’imputato era un uomo che non nascondeva ma ostentava le proprie malefatte, sicuro com’era di restare impunito. Affrontarlo richiedeva dunque un atto di coraggio

IN ITALIANO La parola italiana ‘coraggio’ è composta da: cor, «cuore» + habeo, «ho» (per altri da cor, «cuore» + ago, «agisco»). Coraggio è, quindi, avere la forza d’animo di compiere ciò che il cuore prescrive, impone e spinge a fare a dispetto di difficoltà e rischi.

Discussione

IN LATINO Il coraggio rientra nell’ambito della virtus: non corrisponde al generico significato filosofico di «virtù», ma assume il senso pregnante di «valore militare», «coraggio», appunto. È una dote spirituale, diversa dalla «forza fisica», vis, la dote fisica che caratterizza il vir, l’«eroe». Il coraggio è effetto della fortitudo, «forza», che è «grandezza d’animo» (Cicerone, De officiis 1,19 ss.), «disprezzo del pericolo» in guerra e nella vita civile; la fortitudo, a sua volta, è indissolubilmente legata in parte all’honestum, l’«onesto», che combina onore, distinzione e bellezza, in parte alla iustitia («giustizia»), perché la forza d’animo deve avere come obiettivo l’utilità pubblica e non il vantaggio individuale: i fortes non commettono offese, ma le impediscono o, come nel caso di Cicerone, si adoperano perché gli ingiusti siano puniti. Di ingiustizia (opposto di iustitia) esistono due tipi: quella di chi offende e quella di chi non difende gli offesi; Verre si è macchiato del primo tipo di ingiustizia e Cicerone non ha voluto macchiarsi del secondo.

Come abbiamo visto, è impossibile trovare un corrispondente latino univoco alla parola italiana ‘coraggio’: è la dote (virtus) di chi è forte (fortitudo) perché guidato dal senso dell’onore (honestum) al servizio degli altri (iustitia). Parti dalle parole per organizzare una discussione sul tema, da moderare con l’aiuto delle domande-guida.

• Le parole latine citate per definire il coraggio si sono conservate tutte in italiano? Hanno mantenuto lo stesso significato del latino?

• Il coraggio è sia un valore sia un’emozione: perché?

• Pensi che oggi il coraggio sia un valore individualistico o presuppone la dimensione della collettività? Motiva le risposte.

• Ci sono altre parole italiane che associate al coraggio?

• Cerca l’etimologia di honestum: a quale termine si riconduce? Perché?

honestum, «senso dell’onore» iustitia, «utilità pubblica»

determinano che genera

fortitudo, «grandezza d’animo» virtus

LE PAROLE

LE ESPERIENZE

Adesso guarda dentro di te. Racconta un’esperienza personale in cui, come Cicerone, ti sei esposto a rischi per difendere quello che hai ritenuto un principio di giustizia

Istruzioni

• Scegli la modalità espressiva che preferisci (presentazione, video, racconto, componimento musicale, poesia, opera d’arte, fotografia).

• Concentrati sulle emozioni che hai provato e sui valori che ti hanno mosso (sono gli stessi valori del mondo latino?).

• Se non trovi una esperienza personale, il protagonista della storia può essere un tuo eroe (reale o immaginario, proveniente dal mondo della politica, dello sport, della musica, dai film, dai libri, dai videogame, ecc.).

I PUNTI DI VISTA

TRE CONSIGLI PER IMPARARE A CONOSCERSI

1. Definisci il tuo protagonista con quattro aggettivi (che descrivano non l’aspetto fisico ma la struttura psicologica).

In che modo hanno a che fare con te?

2. Redigi degli appunti iniziali sulla tua storia e osserva le parole ricorrenti: quali sono?

Ti rappresentano?

3. Scrivi un motto, uno slogan che sintetizzi il senso della storia. Lo useresti come frase per definirti?

Dopo aver lavorato su di te, confronta la tua esperienza con quella degli altri. Debate La classe si divide in gruppi (squadra pro, squadra contro, giuria) e discute di uno dei due spunti nella modalità del debate.

Spunto 1 Il coraggio è una dote innata e non è una colpa non essere coraggiosi. Spunto 2 Avere coraggio non significa non avere paura: coraggioso non è colui che non prova paura, ma colui che non si fa condizionare da essa.

Materiali di lavoro

SPUNTO 1

• «[…]. I carabinieri mi hanno assegnato una scorta. Non avrei più guidato la mia auto, nemmeno per accompagnare a scuola i bambini. Non ho potuto dare ai miei figli le cose normali che ogni bambino ha il diritto di chiedere alla mamma: […] non c’è stato un giorno in cui non mi sia chiesta se fosse giusto far vivere loro una vita così. Ma, nel mio modo di vedere la vita, sono convinta che sia questa l’unica possibilità che ho per difendere i miei bambini, la loro libertà: continuare a non piegare la testa». (Federica Angeli, cronista per «la Repubblica», sotto scorta per le sue inchieste di mafia dal 17 luglio 2013).

• Aristotele, Etica Nicomachea, III, 9 (definizione di coraggio); III, 10 (coraggio, temerarietà e viltà); III, 11 (cinque forme improprie di coraggio).

AUTOVALUTAZIONE

SPUNTO 2

• «Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno» (Martin Luther King).

• «L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, ma incoscienza» (Giovanni Falcone).

Confrontate questa idea di coraggio espressa dal giudice Falcone con la definizione aristotelica di coraggio quale via mediana «nel dominio delle paure e degli ardimenti» (Etica Nicomachea, II, 7; III, 9): per il filosofo peccano sia coloro che non hanno paura, ovvero chi eccede nell’essere audace, sia coloro che non hanno alcun coraggio, ovvero chi eccede nell’essere vile.

• Al termine di queste attività, redigi un breve resoconto personale, in cui fai emergere se questa attività ti ha aiutato a conoscerti meglio e a sviluppare il tuo orientamento riflessivo.

BCercare la propria strada

A partire dallo studio del processo di Cicerone contro Verre, hai l’occasione di scegliere, in base ai tuoi interessi e alle tue attitudini, quali aspetti del tema approfondire tra tre ambiti possibili: è una scelta utile a capire che cosa ti attrae maggiormente. Ti forniamo alcune domande-guida e dei testi per orientarti nella ricerca.

RICERCA E SELEZIONE: SCEGLI CHE COSA APPROFONDIRE

AREA UMANISTICA

E SOCIOLOGICA

Di quali artisti celebri parla Cicerone nelle

Verrine? Di che periodo sono? Sono autori di opere greche o romane? Sono copie romane o originali greci? Nei testi che vi proponiamo sono citate opere ancora oggi conservate? Che valore aveva, in generale, l’arte per i Romani?

FONTI

• Cicerone, Verrine Actio secunda, 4,5-6

• Sallustio Cat. 11.6; 20.12: opere d’arte greche come sintomo della corruzione della classe dirigente.

• Plinio il Vecchio NH 35-36: storia dell’arte antica, con attenzione a scultura e pittura. Caso particolare; l’imperatore Vespasiano trasforma il Tempio della Pace in un museo per preservare i capolavori greci portati a Roma da Nerone (34,84).

PER FARNE UN MESTIERE

Cerca le opere d’arte ancora oggi conservate. Visita i siti e gli enti che le hanno in custodia e annotati nomi e titoli di studio dei direttori di enti e musei. Che percorso accademico hanno compiuto?

||| Michelangelo, David, 1501-1504. Firenze, Galleria dell’Accademia.

Un paradossale caso di associazione tra arte e corruzione dei costumi è scoppiato recentemente negli Stati uniti: per la scuola americana il David di Michelangelo è pornografico? https://q3.hubscuola.it/h32y

AREA

SCIENTIFICO-TECNOLOGICA

Su che mezzi viaggiavano le opere d’arte? Statue e dipinti venivano restaurati quando danneggiati? Con quali tecniche? Ci sono oggi metodi per ricostruire le tecniche antiche?

FONTI

• Cicerone, Verrine, Actio secunda, 4,54: Verre fa creare un’officina che stacca i rilievi decorati dagli arredi sacri e li incastona di nuovo nelle coppe da banchetto – un caso particolare, ed empio, di riuso e restauro ‘violento’ di opere d’arte.

• Plinio il Vecchio, NH, 35,99-100: un caso di restauro non riuscito: l’imperatore Nerone fa coprire d’oro un originale greco di Alessandro Magno, ma lo rovina.

PER FARNE UN MESTIERE

Attraverso le risorse della rete raccogli informazioni sulla digitalizzazione 3D dei beni culturali. Visita la pagina dell’Accademia di Belle Arti di Roma e visiona i corsi accademici di primo livello in 15 campi dell’arte, del design e delle nuove tecnologie.

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AREA GIURIDICO-ECONOMICA

• A chi appartengono le opere d’arte? Erano proprietà privata?

• Chi ne difendeva la proprietà?

• Che funzione avevano i tesori dei templi?

• Come funzionava l’import-export delle opere d’arte? I Bronzi di Riace, per esempio, viaggiavano in una nave cargo di opere d’arte, poi affondata.

FONTI

• Cicerone, Verrine Actio secunda, 4,30-31: descrizione dei due trafficanti d’arte che fungevano da consulenti e ricettatori per Verre.

• Cesare: Bellum civile 1,6: i Pompeiani saccheggiano i templi, per procurarsi fondi per la guerra; 3.105: il pompeiano Tito Ampio prova a fare qualcosa di simile a Verre.

• Cicerone, Episulae ad Atticum, 1,4; 1,9: Cicerone vuole alcune statue per ornare la sua villa e chiede una consulenza ad Attico, cercando di non spendere troppo.

LA PRODUZIONE DI UN ARTEFATTO

PER FARNE UN MESTIERE

Visiona lo speciale di Rai Scuola sulla tutela del patrimonio italiano https://q3.hubscuola.it/l1jz quindi approfondisci le seguenti tematiche:

• l’articolo 9 della Costituzione Italiana e la sua modifica con la Legge costituzionale dell’11 febbraio 2022 relativa alla salvaguardia dell’ambiente

• il rapporto tra art. 9 e art. 32

• il concetto di educazione alla bellezza anche in relazione alla fragilità del territorio italiano

Nel video è citato il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano: fai una ricerca sulle iniziative di questa fondazione e sulle aziende italiane che vi collaborano con l’obiettivo di sviluppare progetti di Corporate Social Responsability

Continua a navigare sulla pagina di Rai Scuola sopra indicata: troverai video sul patrimonio naturale, sul patrimonio innaturale, sull’interscambio culturale e sulla tutela dell’arte per le future generazioni.

Una volta raccolto il materiale, confrontati sui risultati. Prepara una performance oratoria di 15 minuti con un supporto multimediale di immagini.

TRE CONSIGLI

1. lasciati ispirare: a seconda dell’argomento scelto, trova in rete esperti del settore da cui trarre ispirazione: per es. storici dell’arte, divulgatori, informatici.

2. costruisci una traccia: appuntati la struttura del discorso, seleziona le immagini.

3. lavora sulle parole: Raccogli le parole più tecniche che hai appuntato nella fase di ricerca, approfondiscile e utilizzale al momento dell’esposizione o della produzione.

AUTOVALUTAZIONE

Al termine di queste attività, redigi un breve resoconto personale, in cui fai emergere:

• se una strada, anche tortuosa (crisi, cambiamenti, ripensamenti, nuovi approdi) si sta profilando davanti a te;

• se le attività proposte ti hanno aiutato a chiarirti le idee sulle tue scelte future;

• se uno dei prodotti elaborati può essere il tuo capolavoro;

• se si sono chiarite le idee sui tuoi interessi e le tue attitudini e se questo ti aiuta ora a fissarti degli obiettivi.

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