Incredibili vacanze. Narrativa, 3^

Page 1

Vamba

Il giornalino di Gian Burrasca Illustrazioni di

Marco Bregolato

Einaudi scuola I CLASSICI


Luigi Bertelli detto Vamba

Il giornalino di Gian Burrasca Adattamento a cura di Silvia Scarpa Illustrazioni di Marco Bregolato Apparato didattico a cura di Nicoletta Monteforte Bianchi

Einaudi scuola


© 2015 by Mondadori Education S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati www.mondadorieducation.it

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specifcamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

Coordinamento Redazione Impaginazione Copertina Illustrazioni

Maria Cristina Scalabrini Nicoletta Monteforte Bianchi Silvia Bianchin Sergio Rossi, Silvia Bianchin Marco Bregolato

Contenuti digitali Audiolibro

Sidecar Studio di Elisa Califano

Per eventuali e comunque non volute omissioni e per gli aventi diritto tutelati dalla legge, l’editore dichiara la piena disponibilità. La realizzazione di un libro scolastico è un’attività complessa che comporta controlli di varia natura. Essi riguardano sia la correttezza dei contenuti che la coerenza tra testo, immagini, strumenti di esercitazione e applicazioni digitali. È pertanto possibile che, dopo la pubblicazione, siano riscontrabili errori e imprecisioni. Mondadori Education ringrazia fin da ora chi vorrà segnalarli a: Servizio Clienti Mondadori Education e-mail servizioclienti.edu@mondadorieducation.it numero verde 800 123 931



20 settembre

Ecco fatto. Ho ricopiato qui in questo mio giornalino il foglietto del calendario di oggi, che segna l’entrata delle truppe italiane in Roma e che è anche il giorno che son nato io. Ecco la nota dei regali avuti finora: 1. una pistola da tiro al bersaglio dal babbo; 2. un vestito a quadrettini da mia sorella Ada; 3. una stupenda canna da pesca da mia sorella Virginia; 4. un astuccio con l’occorrente per scrivere, da mia sorella Luisa; 5. questo giornalino che mi ha regalato la mamma e che è il migliore di tutti! Ma come farò a riempire tutte le tue pagine, caro giornalino?

3


Mi aiuterò con i disegni, e farò qui il mio ritratto come sono ora a nove anni finiti. Però in un giornalino bisognerebbe metterci pensieri e riflessioni. E se copiassi un po’ del giornalino di Ada, che giusto è fuori con la mamma? «Oh, se quel vecchiaccio del Capitani non tornasse più! E invece, è venuto anche stasera. La mamma ha detto che è molto ricco e che dovrei sposarlo. Ma io amo il mio caro Alberto De Renzis. Che peccato che sia solo un misero impiegatuccio… Che delusione la vita…». Stasera, verso le otto, è venuto il signor Capitani, un coso vecchio, brutto, grosso e rosso. Io ero in salotto col mio giornalino, quando lui mi dice: – Cosa legge di bello il nostro Giannino? Io gli ho dato il mio libro di memorie ed egli si è messo a leggerlo ad alta voce. Prima tutti ridevano come matti, ma poi, quando il signor Capitani ha incominciato a leggere il pezzo che ho copiato dal giornalino di Ada, si sono arrabbiati tutti con me e il signor Capitani se n’è andato via senza salutare. Bella educazione! 4

memorie: ricordi.


21 settembre Son proprio nato disgraziato! In casa non mi possono più sopportare, e non fanno che dire che per colpa mia è andato all’aria un matrimonio che per i tempi che corrono era una gran fortuna. Così a mezzogiorno sono andato a pescare. Ma, a un tratto, ho sentito dare uno strappone alla canna e... pùnfete, sono cascato in acqua. «Ecco,» ho pensato in quel momento, «i miei genitori e le mie sorelle saranno contenti ora di non avermi più tra i piedi! Non mi chiameranno più Gian Burrasca, che mi fa tanta rabbia!». Affondavo giù giù nell’acqua, e non capivo più nulla, quando mi sono sentito tirar su da due braccia fortissime: era Gigi il barcaiolo, che m’ha salvato e riportato a casa. Come ero contento di avere corso il rischio di affogare! La mamma piangeva, Luisa mi ha messo a letto, Ada mi ha portato del brodo; erano tutti intorno a me. Poi, lasciandomi infagottato nelle coperte, sono andati giù, raccomandandomi di non muovermi. Io naturalmente mi sono vestito e sono andato di sotto, a nascondermi in salotto. Luisa era seduta sul sofà, accanto al dottor Collalto. è andato all’aria: è saltato, nel senso che non ci sarà più.

5


– Ci vorrà almeno un anno – diceva il Collalto. – Il dottor Baldi mi ha promesso un posto, ma prima di dichiararci fidanzati in pubblico, voglio avere un lavoro sicuro. Poi entrarono le signorine Mannelli e tutti non facevano che domandare come stava il povero Giannino, quando la mamma si precipita in salotto, bianca da far paura, urlando che ero scappato. Allora sono uscito dal nascondiglio cacciando un urlo. Che paura hanno avuto tutti! – Come! Eri dietro la tenda? – mi ha domandato Luisa, di mille colori. – Certo. Mi raccomandate sempre di dire la verità, perché allora non dite che siete promessi sposi? – ho detto a lei e al dottore.

7 ottobre

6

Stamani morivo di noia, così sono andato in camera di Luisa a guardare le fotografie che tiene nella scrivania. Tanto le mie sorelle erano in salotto con la signorina Rossi. Che risate matte con quei ritratti! Su uno c’era scritto «Un vero imbecille». Su altri «Carino davvero!» o «Simpaticone» oppure «Ritratto di un asino!». Io mi sono impossessato di una dozzina di foto, poi ho richiuso per benino il cassetto.


Ma non avevo ancora voglia di ritornare nella mia stanza. «E se mi mascherassi da donna?» ho pensato a un tratto. Ho messo un busto e una sottana, e mi sono unto le guance con una pomata rosa che ho trovato nel cassetto di Luisa. Ero già in fondo alle scale quando la signorina Bice Rossi stava per andarsene. – Il mio vestito! – ha urlato Luisa vedendomi, smorta in viso. La signorina Bice mi ha preso per un braccio e mi ha detto: – Ma che belle gote rosse, eh, Giannino? Luisa mi ha fatto cenno di tacere, ma io ho risposto: – Ho trovato una pomata. E la signorina ha cominciato a ridere. Mia sorella, dopo, ha detto che Bice Rossi è una pettegola, che non le parrà vero di raccontare a tutti che mia sorella si tinge la faccia.

smorta: pallida.

7


8 ottobre

8

Ah, come mi son divertito oggi ad andare a trovare tutte le persone delle fotografie! Ho cominciato da Carlo Nelli, il padrone del negozio di moda. Il Nelli, appena mi ha visto, mi ha detto: – Oh, Giannino, come stai? Abbiamo chiacchierato e lui mi ha regalato una cravatta rossa. L’ho ringraziato e poi ho tirato fuori la sua foto: sotto c’era scritto «Vecchio macaco». Poi sono scappato perché il Nelli aveva un viso da far paura. Dopodiché sono andato in farmacia da Pietrino Masi. Com’è brutto, poveretto, con quella faccia brufolosa! – Oh Giannino! – mi ha salutato. – A casa tutti bene? – Sì, tanti saluti da tutti. Lui allora ha preso un bel barattolo di vetro e mi ha detto: – Ti piacciono le caramelle? Io le ho prese tutte, poi ho tirato fuori la fotografia. Pietrino Masi ha steso la mano e ha letto: «Ha chiesto la mia mano, ma fossi matta!». Io ho infilato la porta, e sono andato da Ugo Bellini, un avvocato di ventitré anni, che, a vederlo, pare chi sa chi. Mi sono affacciato all’uscio e gli ho detto: – Ehi, avvocato, ho una consegna per lei.


E gli ho dato il suo ritratto su cui era scritto «Che pallone gonfiato!». Ugo Bellini l’ha preso, e io via di corsa! Mentre scendevo le scale, l’ho sentito urlare. Ma quello che mi ha fatto ridere di più è stato Gino Viani, quando gli ho dato la sua fotografia, dove c’era scritto «Ritratto d’un asino». Poveretto! Gli son venute le lacrime agli occhi e ha detto con un filo di voce: – La mia vita è spezzata! Ma non era vero niente, perché se gli si fosse spezzata la vita non avrebbe potuto camminare in su e in giù per la stanza come faceva.

12 ottobre Caro giornalino mio, le mie sorelle stanno organizzando una festa da ballo. Ieri erano riunite a far la nota degli invitati, quand’ecco una grande scampanellata. Era la zia Bettina in pelle e ossa. Con una scusa le ragazze piantarono la zia con la mamma e andarono a riunirsi nella stanza da lavoro, e io le seguii. spezzata: rotta, rovinata. se gli si fosse spezzata la vita: qui Gian Burrasca con la parola vita intende la parte del corpo che sta sopra ai fianchi, all’incirca dove si mette la cintura. in pelle e ossa: il modo di dire corretto è in carne e ossa.

9


– Ah, brutta vecchiaccia! – disse Ada con gli occhi pieni di lacrime. – Io mi vergogno a presentare una zia così ridicola alla festa! – aggiunse la Luisa, disperata. La zia Bettina è ricca straricca, ma è così antica che pare uscita dall’arca di Noè, con la differenza che gli animali dell’arca vennero fuori a coppie, mentre la zia Bettina era venuta sola, perché non ha mai trovato nessuno che la volesse sposare. Bisognava salvare la situazione. Perciò l’altra sera presi da parte la zia e con tono serio le dissi: – Cara zia, vuol fare una cosa gradita alle sue nipoti? Vada via prima della festa. Capirà, lei è troppo vecchia e si veste in modo ridicolo, è naturale che non ce la vogliono. Non dica che gliel’ho detto io, ma dia retta a me, torni a casa, e le sue nipoti gliene saranno infinitamente grate. Ora domando io: doveva la zia, dopo che l’avevo pregata di non dir nulla, andare a spifferare ogni cosa a tutti, giurando che la mattina dopo, appena alzata, sarebbe ripartita? 10

gradita: apprezzata.


15 ottobre Ecco, caro giornalino, ti racconto com’è andata la festa. La casa era illuminata da mille fiammelle, c’erano fiori dappertutto, e in salotto si innalzavano montagne di pasticcini. Le mie sorelle erano felici e giravano dappertutto per vedere se ogni cosa era in ordine. Dopo un po’ c’erano già le signorine di nostra conoscenza, le Mannelli, le Fabiani, Bice Rossi, le Carlini e tante altre, ma di uomini non c’erano che il dottor Collalto e il pianista. Le mie sorelle avevano un’aria così triste… Finalmente una scampanellata! Ed ecco che entra Caterina con una gran lettera e la porge all’Ada. Ma non era una lettera: era una fotografia. Le mie sorelle son diventate di mille colori, e son cominciate le domande. Poi sono arrivati Ugo Fabiani ed Eugenio Tinti, che sono stati festeggiati più d’Orazio Coclite dopo la vittoria contro i Curiazi. In effetti sul ritratto del Fabiani c’era scritto: «Che caro giovane!» e su quello del Tinti: «Bello, bellissimo, troppo bello per questa terra!». Caterina: è la domestica di casa. Orazio Coclite… i Curiazi: qui Gian Burrasca fa una bella confusione: Orazio Coclite era un eroe leggendario dell’antica Roma; i Curiazi tre gemelli di un’antica città rivale di Roma che, secondo la leggenda, furono sconfitti dagli Orazi, tre gemelli romani.

11


Ma come potevano tre ballerini accontentare una ventina di signorine? Mentre passeggiavo per la sala, ho sentito Luisa che diceva al Collalto: – Ah, avessi almeno la soddisfazione di sapere chi è stato! In quel momento il Collalto si è fermato dinanzi a me e mi ha guardato fisso. Io mi sentivo il viso infocato. E, dopo essermi riempito le tasche di torrone, sono scappato su in camera.

16 ottobre È appena giorno e ho preso una grande decisione. Non c’è altra via, per me, che scappar di casa prima che tutti si sveglino. Andrò in campagna, dalla zia Bettina. Il treno parte alle sei e sono pronto per la fuga. Viva la libertà!

17 ottobre

12

Caro giornalino, ti devo raccontare l’avventura di oggi. Giunto alla stazione, mi diressi verso gli ultimi vagoni e mi fermai pensoso dinanzi all’ultimo, un carro per bestiame vuoto che aveva pure una torretta per il frenatore, vuota anch’essa. Mi arrampicai e mi misi seduto.


Dal finestrino, rotto proprio all’altezza della mia testa, dominavo tutto il treno, che correva nella campagna avvolta nella nebbia. Ma il cielo era scuro, e presto venne giù una pioggia fitta fitta. Il peggio fu quando incominciarono le gallerie. Il fumo si addensava sotto il tunnel, e dal finestrino rotto invadeva la torretta, impedendomi il respiro. Ormai per me era finita. Allora scrissi nel giornalino con un fiammifero spento che avevo trovato nel sedile: Muoio per la Libertà! Ma non potei finir la parola, perché in quel punto mi sentii un nodo alla gola e non capii più nulla. Fortunatamente di lì a poco arrivò la mia fermata. Volli scendere alla svelta, ma inciampai e caddi in ginocchio. nodo alla gola: soffocare.

13


Allora due facchini mi raccolsero e mi portarono dal capostazione. Ero lurido, con gli abiti strappati e fui costretto a dire da dove venivo e dove andavo. – Ah! – disse il capostazione. – Vai dalla signora Bettina Stoppani? Allora pagherà lei per te. Così, accompagnato dall’impiegato, mi avviai verso la casa della zia, e non vi so dire come rimase ella quando si vide recapitare uno straccione così sudicio e un conto da pagare. Intanto io guardavo Bianchino, il vecchio barboncino così caro alla zia Bettina, e alla finestra della villa il vaso di dittamo al quale ella è tanto affezionata. Nulla è cambiato dall’ultima volta che sono stato qui. Stamattina ho preso il vaso di dittamo, l’ho svuotato e al fusto ho aggiunto un bastoncino che ho ficcato nel vaso vuoto, attraverso quel foro nel fondo dei vasi. Poi ho riempito il vaso con la terra, l’ho rimesso al suo posto, e mi sono messo sotto il terrazzino tenendo il bastoncino. Ed ecco la zia Bettina che apre la finestra, e comincia: – Oh, caro, come stai? Poverino, hai una fogliolina rotta… 14

sucidio: sporco. dittamo: è una pianta che fa un fiore bianco o roseo.


Ed è andata a prendere le forbicine. Io allora ho spinto un po’ in su il bastoncino. – Eccomi, bello mio! – ha detto la zia tornando. Ma ha cambiato a un tratto il tono della voce e ha esclamato: – Oh bella! Mi sembri cresciuto! E sai cos’è che ti fa crescere? È l’acqua fresca che ti do tutte le mattine. Ed è andata a pigliar l’acqua. Io ho di nuovo spinto in su il bastoncino, e questa volta l’ho spinto parecchio. A questo punto ho sentito un urlo. – Ma è un miracolo! Ferdinando mio adorato… forse il tuo spirito è in questa cara pianta che tu mi regalasti? La sua voce tremava e, per farle più paura che mai, ho spinto più che potevo il bastoncino. Ma devo aver spinto troppo perché il vaso si è rovesciato ed è caduto, rompendosi ai miei piedi. Allora ho alzato gli occhi e ho visto la zia affacciata, con un viso che faceva paura. Sono qui, chiuso nel salotto, e sento di là la vociaccia stridula della zia che si sfoga con la moglie del contadino e ripete: – È un demonio! Finirà male! E perché? Per aver fatto chiasso coi figli del contadino, come fanno tutti i ragazzi di questo mondo. stridula: fastidiosa, acida.

15


E pensare che volevo che la zia finisse col pigliarci gusto anche lei allo zoo di bestie feroci, che m’era riuscito così bene. Una volta il babbo mi portò a vedere lo zoo del circo, e poi io ho molta passione per la storia naturale e a casa ho l’Enciclopedia dei Mammiferi illustrata. Così mi son messo d’accordo con Angiolino, il figlio del contadino della zia. – Ti voglio far vedere qui sull’aia com’è fatto lo zoo che ho visto con il babbo – gli ho detto. – Anch’io! – ha esclamato la Geppina che è sua sorella minore. – Anch’io! – ha detto Pietrino, che ha due anni e mezzo e non sa ancora camminare e si trascina per terra con le mani e con le ginocchia. I loro genitori e i fratelli maggiori eran tutti nel campo a lavorare, e noi siamo andati alla fattoria, dove avevo visto due barattoli di vernice. – Cominceremo con il leone – ho detto. A questo scopo avevo portato con me Bianchino, il vecchio barboncino della zia Bettina, e ho cominciato a tingerlo di rosso. Finito Bianchino, ho adocchiato una pecorella e l’ho dipinta in modo che pareva proprio una tigre del Bengala, a parte che non aveva quell’espressione feroce che faceva una così bella impressione in quella vera. 16

pigliarci gusto: divertirsi.


Poi ho sentito un grugnito, e ho domandato: – Avete anche un maiale? – Sì, ma è un maialino piccolo. Dopo aver riflettuto un po’, ho gridato: – Un coccodrillo! Sul carro c’era una copertaccia da cavallo. L’ho legata alla pancia del maialino, stretta stretta a uso salame, per rappresentare la lunga coda del coccodrillo, e ho tinto di verde maialino e coperta. L’illusione era perfetta. Poi ho visto l’asino. È bastato dipingerlo con tante strisce per ottenere una zebra sorprendente. Infine, siccome per rallegrare la scena mancava la scimmia, ho tinto la faccia di Pietrino che appunto urlava come una bertuccia, e con uno straccio gli ho anche fabbricato una splendida coda. Per rendere la cosa più naturale, ho infine messo Pietrino su un ramo, legandolo con una fune perché non cascasse. E ho cominciato la spiegazione. – Osservate, signori: questa bestia a strisce è la Zebra, un curioso animale fatto come un cavallo ma che non è un cavallo, che morde e tira i calci come gli asini ma che non è un asino. Quest’altra è la Tigre del Bengala, che abita in Asia, in Africa e in altri luoghi dove fa strage di uomini e di scimmie.

17


A questo punto Pietrino ha cominciato a piagnucolare. La fune con cui era legato al ramo s’era allentata e stava sospeso con gli occhi fuori dalle orbite per la paura. Pareva proprio una scimmia vera. – Avete udito, signori? La scimmia che vedete è una di quelle che chiamano di solito bertucce. Questi curiosi animali hanno il vizio di scimmiottare tutto quel che vedono fare, motivo per cui si chiamano scimmie. – Ed ecco il Leone, che è il carnivoro più carnivoro di tutti i carnivori, ma non ammazza per puro divertimento; è anzi un animale di cuore, e una volta, trovandosi a Firenze e avendo incontrato per strada un bambino che si era perso, lo prese delicatamente e lo riportò alla sua mamma.

18

allentata: mollata, allargata. fuori dalle orbite: spalancati. scimmiottare: imitare.


Poi passai al Coccodrillo. – Guardate, signori, questo terribile anfibio che abita sulle sponde del Nilo. Si chiama coccodrillo, perché ha il corpo ricoperto di grosse squame dure come le noci di cocco che si vendono nei bar. La caccia al coccodrillo, signori, è molto difficile, perché su quel groppone così duro le armi a punta si spuntano, e le pallottole rimbalzano. I cacciatori però hanno un metodo ingegnoso: usano un coltellino a due punte in mezzo alle quali è legata una corda. Allora ho preso un pezzo di legno, vi ho fatto le punte da tutt’e due le parti e vi ho legato uno spago nel mezzo; mi sono avvicinato al maialino, gli ho fatto aprire la bocca e vi ho introdotto l’arma.

anfibio: il coccodrillo è un rettile, non un anfibio!

19


– Ecco qua; il cacciatore aspetta che il coccodrillo sbadigli, cosa che succede spesso, dovendo vivere sempre sulle sponde del Nilo dove anche una bestia finisce per annoiarsi. Poi ficca il suo dardo nell’enorme bocca dell’animale che naturalmente si affretta a richiuderla. Ma, chiudendo la bocca, viene a infilarsi da sé le due punte nelle mascelle. Infatti il maialino s’era bucato e mandava certi urli che arrivavano al cielo. In quel momento, ecco il babbo e la mamma d’Angiolino, che venivano di corsa giù dal campo. Il contadino gridava: – Oh, il mio maialino! E la contadina sporgeva le braccia verso Pietrino e diceva: – Uh, il mio bambino!

17 ottobre Avevo appena smesso di scrivere, giornalino mio, che arrivò alla villa il mio babbo. – Cattivo, – mi ha detto – non puoi immaginare quanto ci hai fatto soffrire! – È un infame! – ha aggiunto la zia Bettina. – Guardate, povero Bianchino! È pittura a olio che non va più via! 20

dardo: lancia. infame: cattivo.


– Che male c’è? – ho borbottato io con voce piagnucolosa. – Lo chiamerà Rossino, d’ora in poi. Che ho fatto, dopo tutto? Ho spiantato la pianta di dittamo, ma non sapevo che gliel’avesse regalata il signor Ferdinando e che ora ci fosse dentro lo spirito… – Basta così! – ha gridato la zia. – Vattene, e non tornare mai più, capito? Ieri sera, alla stazione c’era una vera folla ad aspettarmi: parenti, amici, conoscenti, tutti erano lì per salutarmi. Mi pareva d’essere un soldato tornato dalla guerra. Non dico poi quel che successe a casa. La mamma singhiozzava, le mie sorelle non smettevano di baciarmi, e la Caterina si asciugava gli occhi. Ma c’è un’altra cosa che mi rende felice… mia sorella sposa il dottor Collalto, e ci sarà un gran pranzo di nozze con un’infinità di dolci! Il Collalto, stanco di aspettare che il dottor Baldi lo assumesse, aveva vinto un posto a Roma, e dovendo partir subito ha deciso di sposare mia sorella e andar via con lei.

21


18 ottobre Come sono contento! Ieri il dottor Collalto mi ha portato una splendida scatola di tempere, e mi ha detto: – Tieni: tu che sei così portato per il disegno, ti potrai esercitare.

19 ottobre Stamani Luisa mi ha regalato una moneta d’argento. Ho comprato dodici razzi col fischio, sei candele romane, quattro belle girandole e altri fuochi artificiali, coi quali festeggerò gli sposi la sera del matrimonio, in giardino.

24 ottobre

22

Ed eccoci al gran giorno. Oggi ci sarà lo sposalizio e stasera farò i fuochi, così potrò dimostrare a Collalto il mio affetto e la mia gratitudine per il regalo delle tempere che mi ha fatto. È arrivata anche la zia Bettina per assistere al matrimonio, e ha fatto la pace con tutti. Però, mentre la Luisa si aspettava in regalo quel paio di diamanti che ebbe in eredità dalla nonna, ha avuto invece una coperta che la zia aveva fatto con le sue mani. Luisa è rimasta malissimo.


Così ho detto alla zia: – Cara zia, vuole un consiglio? Riporti via quella copertaccia che ha regalato a Luisa e le regali invece i diamanti che tanto desiderava. Così mia sorella non avrà più ragione di trattarla da vecchia dispettosa! Ebbene, la zia deve aver capito di avere sbagliato, perché ha accettato il mio consiglio e se ne è tornata di corsa a casa sua, probabilmente per prendere i diamanti per Luisa. Giornalino mio, sono nella massima disperazione! Ma è colpa mia se stamani il Collalto ha ricevuto un telegramma ed è dovuto partire col treno delle sei, invece di trattenersi la sera come era stabilito? E io che avevo un bel progetto per fare i fuochi stasera in giardino! Così, non potendo farli di sera, avevo pensato di accendere almeno una girandola. E, quando gli sposi sono scesi dal Municipio, mi sono messo dietro di loro, ho attaccato la girandola al frac di Collalto e l’ho accesa. Che scena! Il dottore tremava e urlava, Luisa era quasi svenuta e gli invitati erano tutti impauriti… poi mio padre mi ha preso per un orecchio e a pedate mi ha accompagnato nella mia cameretta. frac: è un abito che gli uomini indossano in occasioni importanti.

23


Il peggio è che si fa sera e non ho né candela né fiammiferi. Zitti! Sento rumore all’uscio… Era Ada, che mi ha dato un panino col prosciutto, un involtino di confetti, una candela e Il corsaro nero del Salgari.

29 ottobre Stasera il babbo mi ha promesso di portarmi a teatro, a vedere il celebre prestigiatore Morgan. Ci verrà anche l’avvocato Maralli, quello con gli occhiali e con quel barbone: la mamma non lo può soffrire a causa delle sue idee politiche socialiste, mentre il babbo sostiene che è uno in gamba e che finirà certamente deputato.

30 ottobre Quando sarò grande farò il prestigiatore. Che bravo quel Morgan!

24

Il corsaro nero del Salgari: un libro di avventure scritto da Emilio Salgari. in gamba: bravo, che ha buone capacità. deputato: sarà eletto in Parlamento, quindi diventerà una persona importante.


Oggi ho dato una piccola rappresentazione in giardino ai miei amici Renzo e Carluccio e a Fofo e Marinella che sono i nostri vicini, i figli della signora Olga che scrive i libri stampati ed è sempre distratta. – Mi farebbe la gentilezza qualche signora – ho detto – di prestarmi un orologio d’oro? Lei? Così Marinella è corsa in casa ed è tornata in giardino con l’orologino d’oro della sua mamma. Io avevo con me un piccolo mortaio, vi ho buttato dentro l’orologio e ho cominciato a pestarlo come fa il Morgan. L’orologio era molto duro e non s’è tritato bene, ma il cristallo si è sbriciolato subito. – Come vedete, signori, – ho detto – l’orologio non è più riconoscibile. Ma noi lo faremo tornare come prima! Infatti ho rovesciato il mortaio in un fazzoletto dove ho legato i pezzi dell’orologio e mi son cacciato il fagottino in tasca. Poi, facendo finta di niente, ho preso un altro fagottino che m’ero preparato con l’orologio della mamma, e mostrandolo agli invitati ho detto: – E là, signori, ecco l’orologio di nuovo intatto! Tutti hanno applaudito e Marinella ha preso l’orologio intatto e l’ha messo a posto. mortaio: recipiente nel quale si frantumano gli ingredienti.

25


31 ottobre

26

Ieri sera volli dare una rappresentazione di giochi di prestigio nel salotto. – Cominceremo dal gioco della frittata – dissi io. Presi un cappello a caso e lo misi su una sedia, poi ruppi due uova e le versai nel cappello. – Attenti, signori! Ora prepareremo la frittata! Poi dissi all’avvocato Maralli: – Lei, signore, vuole avere la gentilezza di reggere il cappello per un minuto? L’avvocato acconsentì. Io, tutto contento, presi il candeliere e dissi: – Ecco: tenga il fuoco sotto al cappello. Bravo. Ora la frittata è cotta e spegneremo il fuoco con la mia pistola. Veramente il Morgan adopera un fucile; ma io ho solo una pistola da ragazzi. E, impugnata la mia arma, mi misi dinanzi al Maralli. In quel momento, molto importante per la riuscita dell’esperimento, fui distratto improvvisamente da due grida. Carlo Nelli, avendo a un tratto riconosciuto nelle mani del Maralli il proprio cappello, aveva smesso di ridere gridando: – Ma quel cappello è il mio! E l’avvocato Maralli, guardando la mia pistola, aveva esclamato: – Ma è forse carica? In quel momento lasciai andare il colpo, e si udì un urlo: – Ah, mi ha ammazzato!


Ho dormito e mi sento meglio. Ma un’idea terribile mi perseguita: quella del processo, della prigione, dei lavori forzati a vita. Povero me! Povera la mia famiglia! A un certo punto m’è venuto il dubbio terribile che il povero Maralli fosse morto. Zitti! Sento rumore… forse i carabinieri vengono ad arrestarmi per omicidio… Era la mamma. Ah, giornalino mio, che peso mi son levato dalla coscienza! L’avvocato non è morto, e non è neanche in pericolo di morte! Pare che tutto si ridurrà alla perdita dell’occhio, perché si è rovinato non so che nervo, e il Maralli tra una decina di giorni starà di nuovo bene! Ma la mamma era triste e mi ha detto: – Lo vedi, Giannino mio, quante disgrazie per colpa tua! Io allora, per consolarla, le ho risposto: – Ma se son disgrazie, scusa, che colpa ne ho io? Il signor Carlo Nelli rideva a crepapelle, prima, ma quando s’è accorto che il cappello era suo, ha detto che io ero un delinquente! E anche il Maralli rideva, perché il cappello non era il suo. Poi la disgrazia ha voluto che cogliessi lui vicino a un occhio, ed ecco che allora tutti si mettono a gridare che Giannino finirà in galera. Sempre così! Anche la zia Bettina ce l’ha a morte con me…

27


– E, in fondo, che avevo fatto? Avevo sradicato un dittamo da due centesimi. Ma siccome son nato disgraziato, per combinazione quella pianta le era stata data da un certo Ferdinando, e pare che ci sia dentro il suo spirito. A questo punto la mamma mi ha interrotto: – Come, come? Raccontami per bene: come ti disse la zia Bettina?

1° novembre Oggi è venuta la signora Olga a far visita alla mamma. Mi ha detto che ero cresciuto, che avevo gli occhi intelligenti, e molte altre cose che dicono le donne di noi ragazzi, quando discorrono con le nostre mamme. Dopo molti discorsi la signora Olga ha tirato fuori l’orologio e ha detto: – Mio Dio! Già le quattro! La mamma allora ha osservato: – Curioso! Lei ha un orologio simile al mio! Quando poi la signora Olga se n’è andata, Virginia, che ha sempre il vizio di ficcare il naso nelle cose altrui, ha esclamato: – Ma mamma! Non hai visto che aveva anche un ciondolo preciso al tuo? È strano! 28

discorrono: chiacchierano, conversano.


Dopo aver scoperto che l’orologio e il ciondolo della mamma erano spariti, Ada ha esclamato: – Questo è un caso di cleptomania! Io allora ho detto: – Sempre le esagerazioni… – ma Virginia mi ha zittito subito.

5 novembre In questi giorni non ho avuto tempo per scrivere, perché si sono riaperte le scuole, e io voglio studiare e farmi onore, come dice la mamma. Con tutto questo, caro giornalino, voglio proprio mettere qui il ritratto del professore di latino, che è così buffo, specialmente quando grida: – Tutti zitti! Tutti fermi! Guai se vedo muovere un muscolo del viso! Per questo noialtri gli abbiamo messo il soprannome di Muscolo.

cleptomania: è una malattia che spinge chi ce l’ha a rubare.

29


6 novembre Ieri, mentre studiavo latino, stando attento a quel che dicevano tra loro la mamma e Ada, ne ho sentita una carina. Si tratta della signora Olga e della sua cleptomania. Pare che la mamma abbia avvertito della cosa, con tutta la delicatezza possibile, il signor Luigi, marito della signora Olga. Il signor Luigi, con una scusa, ha poi fatto visitare sua moglie da un celebre dottore. Naturalmente io mi sono divertito molto. Così stamani ho preso l’oliera d’argento, sono andato in giardino a chiamare Marinella e, con una scusa, sono andato in casa sua e ho lasciato l’oliera nella sua sala da pranzo.

9 novembre

30

Ieri la mamma e Ada sono andate a trovare la signora Olga e quando son tornate ho sentito che dicevano fra loro: – Hai visto l’oliera d’argento? Ma come avrà fatto?


15 novembre Ieri sera l’avvocato Maralli, che ormai è molto migliorato e non perderà più l’occhio, ha chiesto al babbo la mano di Virginia. Questo ha creato un bel po’ di problemi in casa. La mamma s’è messa a urlare che sarebbe stato un delitto sacrificare una povera figliola nelle mani di un uomo senza principi e senza religione. Il babbo, invece, sostiene che il Maralli è un giovane giudizioso che farà carriera.

18 novembre Le bambine sono dei veri tormenti, e ora ne verrà una in casa nostra per una settimana. Ma la mamma, se sarò buono, mi ha promesso una bicicletta. È la sesta volta che mi promettono una bici, e, pare impossibile, tutte le volte è successo qualche cosa che mi ha impedito di averla. Speriamo che sia la volta buona! La bambina in questione è la nipotina del Maralli, il quale ha invitato qui da noi la signora Merope Castelli, sua sorella sposata che vive a Bologna, con la figlia Maria. ha chiesto al babbo la mano di Virginia: vuol dire che ha chiesto al papà di Giannino di sposare Virginia.

31


Ormai pare che per il matrimonio tutto sia concluso, e la mamma dopo una gran predica fatta dal babbo ha finito con l’acconsentire.

22 novembre

32

E anche questa volta, addio bicicletta! Pensare che avevo fatto di tutto per obbedire alla mamma che ieri, prima di uscire con le mie sorelle e con la signora Merope, mi aveva detto: – Cerca di far divertire Maria, mentre siamo fuori, e comportati bene. Io, dopo aver fatto con lei la cucina e qualche altro gioco, le ho detto: – Guarda, è quasi buio: vogliamo fare quel gioco che ti feci vedere ieri in quel bel libro di figure? Io sarò il signore e tu lo schiavo che io abbandono nel bosco. – Sì! Sì! – ha risposto subito. Così le ho messo il mio vestito di panno turchino, le ho tinto la faccia di marrone, ho preso un paio di forbici e le ho tagliato tutti i riccioli. Poi l’ho messa a sedere su una pietra, nel viale, dicendole che doveva far finta d’essersi persa. E mi sono avviato verso casa. In quel momento cominciavano a venir giù certi goccioloni…


Quando sono entrato in salotto tutti erano a tavola. – Oh, eccoli! – ha esclamato la mamma con sollievo. – Dov’è Maria? – Oh, qui vicino, nel viale dei Platani – ho risposto. Ma tutti sono scattati in piedi, come se la casa fosse stata colpita da un fulmine, mentre invece tuonava appena. – Scellerato! – ha esclamato Virginia. – Non la finisci mai con le birbonate? Ma… che cosa ti esce dalla tasca? – Oh nulla, sono i capelli di Maria. Non ho detto che l’ho travestita da schiavo, con i capelli corti e la faccia marrone?

Scellerato: disgraziato.

33


29 novembre Con oggi incomincia la nuova prova… e questa volta voglio proprio vedere se mi riesce d’acchiappare questa famosa bicicletta. A casa non ci siamo che io, Virginia e Caterina. I miei genitori con Ada sono andati una settimana da Luisa.

5 dicembre

34

Oggi è tornato il babbo, con la mamma e l’Ada, tutti di cattivissimo umore. È anche arrivata una lettera del Preside. Devi sapere che ieri avevo portato a scuola una boccettina d’inchiostro che avevo trovato sulla scrivania del babbo. Proprio quel giorno, alla mamma del Betti non viene in mente di mettergli un colletto inamidato di due metri? Basta. Non so come mi è venuta l’idea, e intinta la penna dalla parte del manico nell’inchiostro rosso, piano piano perché il Betti non sentisse, gli ho scritto sul colletto questi versi: Tutti fermi! Tutti zitti, Che se vi vede Muscolo Siete tutti fritti!


6 dicembre Scrivo dopo aver divorato tutte le mie lacrime. Il babbo ieri ha stabilito che la mia punizione debba consistere nel mangiare per sei giorni consecutivi sempre minestra, nient’altro che minestra.

7 dicembre È l’ottava minestra che mangio in due giorni… e tutte di capellini. Ma tutto ha un limite. Un’ora fa sono entrato in cucina e ho messo una manciata di sale nella pentola dello stufato. E oggi a pranzo c’è anche l’avvocato Maralli! Oggi non ho saputo resistere alla curiosità di vedere che effetto faceva lo stufato, e sono sceso. – Dunque, – diceva la mamma – dopodomani bisognerà alzarsi alle cinque! – Sicuro, – ha risposto il babbo, – la carrozza sarà qui alle sei precise, e per andar lassù ci vogliono almeno un paio d’ore. La funzione religiosa durerà una mezz’oretta, e così prima delle undici saremo di ritorno. – Io alle sei precise sarò qui – ha detto il Maralli. capellini: pasta lunga e sottilissima.

35


Poi ha messo in bocca un pezzo di stufato e s’è messo a tossire e a sbuffare come se avesse ingoiato un mulino a vento.

10 dicembre Stamattina ho sentito il babbo, la mamma, Ada e Virginia che scendevano dalle loro camere; poi è arrivato l’avvocato, e alla fine ha suonato il vetturino e tutti sono usciti. Allora io, come una saetta, sono uscito di casa, e via, dietro la carrozza. L’ho raggiunta poco distante da casa e son riuscito a sedermi dietro, dove nessuno mi vedeva. Cammina cammina, dopo molto tempo la carrozza s’è fermata e tutti sono scesi. Si era davanti a una chiesetta di campagna, nella quale erano entrati i miei genitori, le mie sorelle e il Maralli. – Che chiesa è? – ho domandato a un contadino lì fuori. – È la chiesa di San Francesco al Monte. Sono entrato anch’io, e ho visto all’altare l’avvocato Maralli e Virginia, e più indietro Ada, il babbo e la mamma. 36

vetturino: chi conduce la carrozza. come una saetta: veloce come un lampo.


Strisciando lungo la parete della chiesa mi sono avvicinato, e quando il prete ha domandato a Virginia e al Maralli se erano contenti di sposarsi e loro hanno risposto di sì, sono uscito dall’ombra e ho detto: – Sono contento anch’io, e allora perché non mi avete detto niente, brutti cattivi? La mamma e Virginia si sono messe a singhiozzare e mi hanno abbracciato e baciato; ma il Maralli, presomi per un braccio mi ha detto: – Bada bene, Giannino, che non ti scappi detto a nessuno, in città, quello che hai visto. Hai inteso?

15 dicembre Ieri sera Caterina, cercando non so che in un armadio, pescò un paio di pantaloni miei che non avevo più messo, e nelle tasche trovò un fazzoletto con dentro un orologio d’oro da donna ridotto in briciole. Allora vennero tutti da me per le spiegazioni. Appena ebbi finito il mio racconto fu un diluvio di rimproveri e di minacce. – Ora capisco! – gridava la mamma.

Bada bene: stai bene attento.

37


– E noi che abbiamo creduto a un caso di cleptomania! – urlava Ada. – E lo abbiamo fatto credere anche a suo marito! Che figura! E la nostra oliera d’argento…? – La portai io in casa della signora Olga per divertirmi. A questo punto è avanzato verso di me il babbo, esclamando con voce minacciosa: – Ah, tu ti diverti così? Ora ti farò vedere come mi diverto io!

16 dicembre

38

Oggi appena tornato da scuola sono andato dalla signora Olga a confessare e a chiedere perdono. Via via che procedeva il racconto, la signora Olga si interessava sempre di più, e da ultimo è scoppiata a ridere e ha esclamato: – Ah bella! Ah bellissima! Mi hanno fatto prendere delle medicine per guarire dalla cleptomania? Ma questo è un episodio degno di un romanzo! E tu, birichino, ti ci divertivi, eh? Chi sa quanto hai riso! Sfido! Mi ci sarei divertita anche io! E mi ha acchiappato e mi ha coperto di baci. Com’è buona la signora Olga! Che donna di cuore e intelligente, senza tutte le esagerazioni che hanno le altre donne!


17 dicembre Oggi a scuola Cecchino Bellucci mi ha chiesto: – È vero che tua sorella ha sposato quel buono a nulla dell’avvocato Maralli? – È vero, – gli ho risposto – ma presto sarà deputato. Il Bellucci ha soffocato una risata. – Ma non sai – ha detto – che per fare il deputato ci vogliono molti quattrini? Sai chi sarà deputato? Mio zio Gaspero, ma lui è commendatore, una persona importante! Lui è stato sindaco! E poi ha l’automobile, così può andare in giro a fare i discorsi, mentre il Maralli ci va a piedi! Dopo scuola l’ho raggiunto all’uscita dicendogli: – Ora facciamo i conti! Ma lui è montato sull’automobile di suo zio e s’è messo a suonare il clacson.

23 dicembre È quasi una settimana che non scrivo. Sfido! Come avrei potuto con il braccio sinistro ingessato? Ma oggi finalmente posso descrivere la tremenda avventura del 18 dicembre, data memorabile, perché fu un vero miracolo che non segnasse l’ultimo giorno della mia vita. facciamo i conti: facciamo a pugni e vedremo chi ha ragione.

39


Quella mattina, appena Cecchino Bellucci arrivò, lo trattai da vigliacco. Lui allora mi spiegò che in questi giorni era ospite di suo zio, che lo teneva sotto controllo, e che perciò non poteva trovarsi solo con me per fare a pugni. Così mi calmai, e ci mettemmo a discorrere dell’automobile. Il Bellucci mi spiegò tutto il meccanismo, dicendo che lui lo conosce benissimo e ci sa andare anche da solo. Io veramente ci credevo poco, e lui mi propose una scommessa. – Senti, – mi disse – l’autista oggi deve fermarsi alla Banca d’Italia per sbrigare una commissione che gli ha dato lo zio Gaspero, e io rimarrò solo sull’automobile. Tu fatti trovare sul portone della Banca; mentre l’autista si tratterrà dentro, tu monterai sull’automobile e io ti farò fare un giretto intorno alla piazza, e così vedrai se son capace o no. Va bene? Quel giorno, uscito da scuola, andai difilato alla Banca d’Italia. Poco dopo ecco l’automobile del Bellucci. L’autista scese, entrò nella Banca, e io montai. – Ora vedrai – mi disse Cecchino. L’automobile fece: putupum! e via di gran carriera. Io lì per lì mi divertii molto e mi misi a strombazzare guardando la gente sgambettar qua e là per scansarsi. 40

vigliacco: pauroso. scansarsi: spostarsi.


Ma capii ben presto che Cecchino non sapeva guidare, né frenare. – Suona, suona! – mi diceva. Uscimmo dalla città come una palla di fucile, e via per la campagna. E poi Cecchino svenne, bianco come un cencio. In seguito ho saputo che eravamo andati contro una casa, dopo un volo di una trentina di metri. A Cecchino ingessarono la gamba destra e a me il braccio sinistro.

24 dicembre Il dottore ha detto che il braccio tornerà come prima. Luisa, alla quale il babbo aveva scritto, ha proposto di mandarmi da lei a Roma, dove il dottor Collalto dice che c’è un suo amico specialista che mi farebbe la cura elettrica durante le vacanze di Natale. Io ho urlato dalla contentezza. Insomma, per Santo Stefano il babbo mi accompagnerà a Roma! come una palla di fucile: ad altissima velocità. bianco come un cencio: il cencio è uno straccio. Questa espressione significa che Cecchino era diventato bianco come uno straccio, cioè pallido. cura elettrica: una cura per il braccio rotto.

41


26 dicembre Parto per Roma fra due ore e c’è una novità: il babbo non viene ad accompagnarmi, ma mi affida al signor Clodoveo Tyrynnanzy, suo intimo amico che va nella capitale per affari. Che tipo buffo, il signor Clodoveo! S’è cambiato le i del cognome, che sarebbe Tirinnanzi, in tante ipsilon facendone un Tyrynnanzy, perché dice che, rappresentando le principali fabbriche d’inchiostri dell’Inghilterra, gli giova presentarsi ai clienti con le ipsilon.

27 dicembre Ieri, appena partiti, il signor Clodoveo mise in ordine la sua roba spiegando: – Vedi, ragazzo mio? Questa è la mia cassetta coi campionari. Guarda quante boccette e che varietà d’inchiostri! Poi ha avuto una pessima idea e ha detto: – Ora sta’ attento alle stazioni dove si ferma il treno; ti spiegherò l’importanza di tutte le città meglio della geografia, perché la pratica commerciale fa più di tutti i libri. 42

la pratica commerciale fa più di tutti i libri: il lavoro di chi va in giro a vendere le merci ti insegna di più dei libri.


E infatti a forza di spiegazioni mi sono addormentato profondamente e quando mi sono destato il signor Clodoveo russava. Il treno era fermo, e un altro treno era fermo di fronte a noi. È stato allora che m’è venuta un’idea terribile. Lo sguardo mi si è fermato sulla palla di gomma che avevo in valigia. Ho preso il temperino e ho fatto un buco nella palla; poi ho preso tre bottigliette d’inchiostro e sono andato in bagno, dove, stappate le boccette, ho versato il contenuto nella vaschetta allungandolo con l’acqua, ho sgonfiato la palla, e immersala nella vaschetta l’ho riempita. Quando son tornato nello scompartimento, il treno di fronte si muoveva e i viaggiatori erano tutti affacciati. Non ho fatto altro che sporgere le braccia fuori dal finestrino e stringere gradatamente la palla tra le mani, col foro rivolto in avanti.

43


Campassi mille anni non riderò mai quanto in quel momento. Guardavo tutti quei visi, all’inizio con una grande espressione di stupore e poi subito di rabbia, penzolar fuori in mezzo alle braccia che mi tendevano i pugni chiusi, mentre il treno si allontanava. Il signor Clodoveo dormiva come un ghiro e io ricominciavo ad annoiarmi, quando notai il manubrio del segnale d’allarme. Avevo sempre provato una grande tentazione di vedere che cosa succede in un treno quando si dà l’allarme. Così montai sul divano, infilai la mano nel manubrio, e tirai giù con quanta forza avevo. Il treno si fermò istantaneamente. Oggi, quando il signor Tyrynnanzy mi ha consegnato a Collalto, gli ha detto: – Tenga: glielo consegno intatto, ma darei dieci anni di vita piuttosto che essere nei panni di lei che è costretto, povero signore, a tenerlo per diversi giorni. Dio gliela mandi buona!

44

Campassi: vivessi. Dio gliela mandi buona: Dio la aiuti!


28 dicembre Il Collalto mi ha portato stamani da quel suo amico, il professor Perussi, che ha incominciato subito col massaggio elettrico, applicandomi la corrente con una macchina molto complicata, mentre io ridevo a più non posso. – Questa – ho detto – è la macchina per fare il solletico! Ci vorrebbe per il signor Tyrynnanzy che, dopo l’affare del segnale d’allarme, è diventato così serio! – Vergognati! – ha detto il Collalto; ma l’ha detto ridendo.

30 dicembre Oggi, a colazione, Pietro il cameriere è venuto a dire a Collalto: – Professore, c’è la marchesa Sterzi. Il Collalto ha sbuffato dicendo: – Questa vecchia civetta che parla col naso come un oboe, si è messa in testa che io possa farla guarire… Però è buona cliente, e va trattata bene. Dopo questo discorso mi è venuta naturalmente una voglia pazza di vedere questa signora. parla col naso: ha una voce nasale. oboe: è uno strumento musicale a fiato.

45


Così, con una scusa, sono andato nella sala d’aspetto, dove c’era una signora buffa con una mantella di pelliccia, che appena mi ha visto mi ha detto: – Ah, bel ragazzino… che fai? Io non ho saputo resistere, e ho risposto facendole il verso: – Io sto bene, e lei? Nel sentirmi si è turbata, poi mi ha guardato, e vedendo che stavo serio, mi ha detto: – Ah! Forse anche tu hai la mia malattia? E io, parlando col naso più che mai: – Sissignora! Allora mi ha abbracciato e ha detto: – Il professor Collalto è molto bravo, vedrai, ci guarirà tutti e due. In quel momento è entrato il Collalto che mi ha dato un’occhiata che pareva volesse fulminarmi.

31 dicembre La signora Matilde, cioè la sorella di Collalto, vive qui in casa, in un appartamentino separato. È molto brutta e molto noiosa, e non fa che sospirare e discorrere col gatto e col canarino. Però con me va d’accordo, e dice che in fondo sono un buon figliolo. 46

facendole il verso: parlando in modo ridicolo come lei. turbata: preoccupata.


Mi domanda sempre com’era Luisa da ragazza, e io le ho raccontato la storia delle fotografie e quella del vasetto di pomata rosa.

3 gennaio Dal professor Perussi c’è un vecchio marchese che fa i bagni di luce. Pare che il Perussi gli avesse raccontato il mio incidente in automobile, perché ogni volta che ci incontravamo mi diceva: – Ehi, giovanotto! Quando andiamo a fare una corsa in automobile? Il bagno di luce che fa il marchese consiste in una specie di cassa, dentro la quale il malato siede su un sedile, e rimane dentro con tutta la persona, meno la testa, che sporge da un’apertura rotonda nella parete superiore. Dentro questa cassa vi sono moltissime lampade rosse in cui dicono che il malato fa il bagno, mentre invece non si bagna per niente e resta asciutto. E lì in quella stanza, ieri si è svolta la mia giusta vendetta. Avevo con me una cipolla che avevo trovato in cucina. Dopo il mio massaggio, invece d’andar via, sgattaiolai nella stanza del bagno di luce dove c’era il marchese.

47


Egli mi guardò meravigliato, e poi, col solito risolino che faceva per prendermi in giro, mi disse: – Che fai qui? Perché non fai una passeggiata in automobile, oggi che è una bella giornata? Io tirai fuori la cipolla e gliela stropicciai sotto il naso e tutt’intorno alla bocca. E me ne andai, chiudendo la porta. Stamani ho saputo che, passata l’ora del bagno, gli inservienti andarono per levarlo dal cassone, e vedendolo rosso e in lacrime, chiamarono d’urgenza il Perussi che esclamò: – Questa è una crisi nervosa. Presto, fategli una doccia. Inutile dire che il professore, appena saputo quello che era davvero successo, si è affrettato a informare il suo amico Collalto, pregandolo di non mandarmi più a far la cura elettrica.

48


4 gennaio Stamani Collalto aveva scritto al mio babbo una lettera pregandolo di venirmi a riprendere. Ma poi la lettera non è stata imbucata e anzi mio cognato ha smesso il broncio e mi ha detto sorridendo: – Via, per questa volta ci passeremo sopra. Ma bada! La lettera rimane qui nel mio scrittoio, e alla prima che mi fai, l’aggiungo alle altre e le spedisco tutte insieme a tuo padre. Questo cambiamento di scena è avvenuto in seguito a un’altra mia birbanteria, che pare abbia fatto molto piacere a mio cognato. Oggi è venuta la marchesa Sterzi, quella che parla col naso. Stava seduta in una poltrona voltando le spalle alla porta. Mi sono avvicinato piano piano, mi son chinato perché non mi vedesse e ho gridato: – Marameo! La marchesa mi ha guardato con ammirazione, poi mi ha abbracciato, e ha detto commossa: – Oh caro! Che gioia, che grata sorpresa! Parla, parla ancora… La marchesa, sentendo che non discorrevo più col naso, mi credeva guarito. Così io, senza farmi pregare, ho ripetuto: – Marameo!

49


Ma proprio in quel momento stava per entrare il Collalto che, avendo sentito quella parola, mi ha allungato una pedata nel corridoio e ho sentito che diceva alla marchesa: – Perdonerà, signora marchesa, se quel ragazzaccio… Ma quella lo ha interrotto subito: – Che dice! Non può immaginare quanto confortante sia per me constatare i miracolosi effetti della sua cura… Quel ragazzo è guarito in pochi giorni!

5 gennaio

50

Stamani verso le dieci è venuto da mio cognato il professor Perussi, e si son chiusi tutti e due nello studio. Io mi son messo con l’orecchio al buco della serratura. Il professore, appena entrato nello studio, dando in una gran risata ha detto al Collalto: – Sai quel marchese che veniva da me a fare i bagni di luce? Dopo lo scherzaccio di tuo cognato, mi ha detto che in vita sua non era stato mai bene come quel giorno, e che certo doveva dipendere dalla cipolla che gli aveva sfregato sul viso durante il bagno… Conclusione: ora nel mio studio gli faccio una cura nuovissima, mai sentita nelle cronache scientifiche di tutto il mondo, che ho battezzato bagno di luce con massaggio facciale di cipolla.


A questo punto sono entrambi esplosi in una risata. Poi il Collalto ha raccontato il fatto della marchesa Sterzi, e qui daccapo a ridere come due matti.

8 gennaio Ieri il Collalto ha spedito la famosa lettera. Ieri mattina, mentre la signora Matilde era fuori di casa, andai nel suo salottino, dove avevo visto entrare Mascherino, il suo adorato gattone. Sul tavolino stava la gabbia col canarino. Poverino! Pareva che mi dicesse, come nel libro di lettura che avevo in seconda elementare: «Fammi gustare, anche per poco, la libertà che da tanto tempo m’è negata!». Così aprii la gabbietta, e lui uscì. Io intanto ero su una sedia, col gatto sulle ginocchia. Fosse l’emozione o altro, per prima cosa la povera bestiola sporcò un bel ricamo di seta che era sul tavolino. Il gatto, forse dando alla cosa una grande importanza, volle punire crudelmente l’infelice canarino. Mi saltò via dalle ginocchia, lo abbrancò e lo divorò in un boccone.

51


A mia volta volli punire però la crudeltà di Mascherino. Entrai in bagno e aprii l’acqua, poi afferrai il gatto per il collo e lo tenni con la testa sotto la doccia. A un certo punto non lo potei più reggere, e Mascherino si lanciò nel salottino, rompendo un vaso di vetro di Venezia. Io intanto cercavo di richiudere l’acqua. Il servitore del Collalto si chiama Pietro e ha un fare così serio e una voce così grave che mi dà una grande soggezione.

52

grave: profonda e seria. mi dà una grande soggezione: mi incute timore.


– Guardi, – mi disse con tono solenne, – cinque cose aveva la signorina Matilde che erano, si può dire, le cose che avesse più care al mondo: il suo canarino che aveva allevato lei, il suo bel gatto che aveva raccolto per la strada quando era piccino, il vaso di vetro di Venezia che era il ricordo di una sua amica d’infanzia che è morta l’anno scorso, il ricamo di seta al quale lavorava da sei anni e che voleva regalare all’altar maggiore della chiesa dei Cappuccini, e il tappeto del suo salottino da lavoro, un tappeto vero persiano che le aveva portato un suo zio da un viaggio che fece. Ora il canarino è morto, il gatto sta malissimo, il vaso è in briciole, il ricamo di seta è rovinato e il tappeto di Persia è scolorito dall’acqua. Proprio in quel momento Luisa mi agguantò per le spalle. – Disgraziato! Domani andrai a casa. Ma Giannino, Giannino mio! Come hai fatto a far tanti danni in pochi minuti? – Tanti danni? – risposi singhiozzando. – Io non ho fatto niente… È il mio destino infame che mi perseguita, perché son nato disgraziato! In quel momento entrò il Collalto che esclamò a denti stretti: – Disgraziato? Disgraziati son quelli che devono tenerti in casa!

53


Io scattai: – Sì, disgraziato! Oggi volevo dare un po’ di libertà a quel povero canarino! È colpa mia se ha sporcato il ricamo di seta? È colpa mia se Mascherino è troppo severo e si è mangiato il canarino? Quel gattaccio si meritava davvero una lavata di testa, che colpa ne ho se l’acqua gli ha fatto male allo stomaco? È colpa mia se poi ha rotto il vaso di vetro di Venezia? È colpa mia se, non riuscendo a chiudere il rubinetto, l’acqua ha fatto scolorire il tappeto di Persia? E poi ho sempre sentito dire che i tappeti veri di Persia non sbiadiscono. Se è sbiadito vuol dire che non era persiano. – Come non era persiano! – urlò in quel momento la signora Matilde entrando come una bomba. – Anche le calunnie! – Andiamo! – esclamò mia sorella. – Giannino non voleva certo mancar di rispetto a tuo zio… – Non è forse mancar di rispetto a mio zio il dire che mi ingannava regalandomi dei tappeti falsi? Sarebbe come se dicessi a te che hai le guance tinte col rossetto! – Eh no! – rispose piccata mia sorella. – Non è lo stesso perché il tappeto è scolorito, mentre io ho in faccia una tinta che non sbiadisce, e, grazie a Dio, non divento mai gialla! 54

calunnie: bugie cattive. piccata: arrabbiata.


Io corsi in camera mia, dalla quale sentii una gran lite tra le due donne che facevano a chi urlava di più, mentre la voce del Collalto cercava invano di calmarle. Più tardi venne Pietro a prendermi per andare a pranzo, durante il quale il Collalto e Luisa, tra i quali ero a sedere, mi tenevano a turno per la giacchetta come se io fossi un palloncino, e avessero paura che volassi via da un momento all’altro. Intanto Pietro mi ha detto che Luisa e la signora Matilde non si parlano più. E anche di questo si dirà che la colpa è mia, come se dipendesse da me il fatto di avere una sorella con la faccia troppo rossa e una cognata con la faccia troppo gialla!

9 gennaio Ieri mattina, il babbo venne a prendermi a Roma, e disse: – Ora il vaso è colmo. A casa la mamma e l’Ada mi hanno abbracciato tutte piangenti, poi il babbo mi ha accompagnato in camera e mi ha detto, serio serio, queste precise parole: – Ho già fatto tutti i documenti necessari e domani andrai in collegio. il vaso è colmo: hai combinato troppi guai, non possiamo sopportare altro.

55


Più tardi vennero l’avvocato Maralli e Virginia, e fecero di tutto per far cambiare idea al babbo. E così fu deciso: sarei stato allontanato da casa mia e tenuto in prova per un mese dal Maralli, dove avrei potuto dimostrare che non sono, in fondo, quell’essere insopportabile che dicono tutti. Virginia e suo marito abitano in questo quartiere che è molto comodo e centrale e dove mio cognato ha messo pure il suo studio d’avvocato. Io ho una cameretta piccola ed elegante, che dà sul cortile. In casa c’è anche il signor Venanzio, zio del Maralli, che passerà un po’ di tempo presso il nipote, perché dice che questo clima gli giova di più alla salute. Però la salute non si sa dove ce l’abbia: è un vecchio cadente, sordo al punto che bisogna parlargli col corno acustico, e ha una tosse che pare un tamburo. Dicono però che è ricco sfondato, e che bisogna trattarlo con tutti i riguardi. Domani ritorno a scuola.

56

corno acustico: è un apparecchio che aumenta i suoni fatto come un corno. Più avanti Giannino lo chiama trombetta.


10 gennaio Stamane appena sono entrato in classe si è sentito un gran brusio: tutti avevano gli occhi fissi su me. Certo è una soddisfazione l’essere stato il protagonista di un’avventura come quella dell’automobile, e io non stavo in me dalla gioia, e guardavo quella massa di ragazzi dall’alto al basso, perché nessuno di loro s’era mai trovato in un pericolo come il mio. Tranne uno… che uscì faticosamente dal suo posto, puntellandosi con le mani sul banco e poi reggendosi su una stampella. In un momento io e il Bellucci ci abbracciammo, tutti bagnati di pianto, singhiozzando, senza dire una parola. Tutti i ragazzi avevano le lacrime agli occhi e persino il professor Muscolo che aveva incominciato a dire: – Tutti fermi – rimase sulla effe che gli uscì di bocca come un lungo soffio, che finì in un pianto dirotto. Povero Cecchino… Malgrado tutte le cure gli è rimasta la gamba destra più corta e dovrà restare zoppo per tutta la vita.

57


13 gennaio Mio cognato è proprio una brava persona. Or ora mi ha sorpreso mentre avevo dinanzi a me il giornalino, e lo ha sfogliato guardando le figure che vi ho disegnato. – Ma sai – ha detto – che tu hai una grande disposizione per il disegno? Bravo Giannino! Faremo di te un artista! Voglio dimostrare a mio cognato quanto gli sono riconoscente, perciò ho deciso di fargli un regalo e, non avendo un soldo, ho pensato di ricorrere al signor Venanzio e di chiedergli in prestito un paio di lire.

58

Oggi il Maralli ha parlato ancora del mio giornalino. – Tu non l’hai mai visto? – ha domandato a Virginia. – No. – Faglielo vedere, Giannino! Io tutto contento ho preso il giornalino e ho mostrato a mia sorella le figure, ma a un certo punto Virginia ha esclamato: – Ah, guarda: qui c’è il nostro matrimonio di San Francesco al Monte! A queste parole mio cognato s’è slanciato sul giornalino e mi ha detto: – Senti, Giannino, mi devi fare un gran piacere. Devi permettermi di strappare dal tuo giornalino queste pagine.


Il Maralli, dunque, ha strappato le pagine del suo matrimonio, ne ha fatto una palla e l’ha buttata nel caminetto. Ma la fiamma s’è spenta subito. Più tardi ho raccattato dal caminetto la palla di carta, ho steso per bene le pagine e le ho riappiccicate al loro posto. Mia sorella è fuori, il Maralli è nel suo studio, e io ho afferrato la trombetta, l’ho ficcata in un orecchio al signor Venanzio e gli ho gridato: – Per piacere mi prestereste due lire? – Il paniere per partire? – ha risposto lui. Io ho ripetuto la domanda con quanta voce avevo, e allora ha risposto: – I ragazzi non devono aver mai quattrini. Allora io ho detto: – Ha ragione la Virginia a dire che lei è un grande avaraccio! A queste parole il signor Venanzio ha dato un balzo sulla poltrona, e ha cominciato a brontolare: – Ah, dice così? Brutta pettegola!

59


Io per consolarlo gli ho detto che per questo il Maralli l’aveva sgridata, e lui tutto contento mi ha domandato: – Ah, mio nipote l’ha sgridata? Volevo ben dire io! E che le ha detto? – Le ha detto: «È bene che lo zio sia avaro: così mi lascerà più quattrini». Il signor Venanzio è diventato rosso come un tacchino, e credevo gli venisse un colpo. – Si faccia coraggio, – gli ho detto – forse questo è il colpo che il Maralli dice sempre che un giorno o l’altro le deve venire. Egli ha alzato le braccia al cielo, ha borbottato altre parole e alla fine ha preso una moneta di due lire e me l’ha data dicendomi: – Eccoti le due lire. E te le darò spesso, ragazzo mio, a patto che tu mi dica sempre quello che dicono di me mio nipote e tua sorella. Tu sei un bravo ragazzo e fai bene a dir sempre la verità!

14 gennaio Ambrogio, il ragazzo che impara il lavoro nello studio del Maralli, è un imbranato che sta sempre nella stanza d’ingresso, seduto con lo scaldino tra le gambe, e scrive sempre. 60

scaldino: oggetto che un tempo si usava per riscaldarsi.


Oggi mio cognato era fuori, e Ambrogio a un certo punto mi ha detto: – Mi posso fidar di lei, signor Giannino, per un piacere? Io ho annuito e lui mi ha detto che andava un momento a casa dove aveva dimenticato certe carte importantissime, e che avrebbe fatto presto. – Mi raccomando però, non si muova di qui. Posso star sicuro, signor Giannino? L’ho rassicurato e mi son messo a sedere dove sta lui, con lo scaldino tra le gambe e la penna in mano. Di lì a poco è entrato un contadino, che ha chiesto del Maralli e ha detto: – Io son Gosto, contadino del Pian dell’Olmo, e mi chiamano Gosto lo sciocco. Ero venuto a sentire per quel processo dove son testimone. Io ho preso un’aria molto seria e gli ho detto: – Come andò il fatto? – Il fatto andò che quando noi ci si trovò di fronte ai soldati si cominciò a gridare, poi Gigi il Matto e Cecco di Merenda cominciarono a tirar sassate e allora i soldati spararono. Ma le devo dire queste cose al giudice? Hanno proprio ragione a chiamarlo Gosto lo sciocco! Ma come si fa a non sapere che in Tribunale i testimoni devono dire la verità, tutta la verità e niente altro che la verità? Quindi gli ho detto di dire le cose come stavano, che poi ci avrebbe pensato mio cognato. Sento proprio d’esser nato per far l’avvocato.

61


13 gennaio Il signor Venanzio è di una curiosità straordinaria. Stamani, per esempio, si è molto interessato ai soprannomi coi quali lo chiamano in casa, e io gliene ho detti parecchi. Mia sorella Virginia lo chiama vecchio spilorcio, sordo rimbambito, ospedale ambulante; il Maralli lo chiama zio Tirchio, zio Rudero, e spesso gli dice anche vecchio immortale perché non muore mai. Perfino la donna di servizio gli ha messo il soprannome: lo chiama Gelatina, perché trema sempre. – Meno male! – ha detto il signor Venanzio. – Fra tutti, la più gentile è la domestica. La ricompenserò! E s’è messo a ridere come un matto.

16 gennaio

62

Ho già pensato al regalo per mio cognato. Gli comprerò una bella cartella nuova invece di quella che ha ora, tutta strappata e sudicia. E poi comprerò un paio di razzi che manderò dalla terrazza in segno di gioia per esser finalmente diventato un bravo ragazzo come desiderano i miei genitori.


17 gennaio Ieri mattina, dopo aver comprato la cartella per il Maralli e i due razzi, passai dallo studio e vedendo che Ambrogio non c’era e che aveva lasciato lì lo scaldino, ci misi dentro i due razzi. Più tardi avevo visto Ambrogio andare in cucina per preparare lo scaldino e stavo attento a vedere che cosa succedeva. A un certo punto si è sentito un gran tonfo e un urlo, e allora mio cognato e due clienti si son precipitati nella stanza d’aspetto e son corse pure Virginia e la donna di servizio. Ma, quando tutti erano lì riuniti, scoppia nello scaldino un tonfo più grosso di prima, e allora via tutti come pazzi a scappar di qua e di là.

63


Allora ho voluto rassicurarli, dicendo: – Non è niente! Credo che siano i razzi che avevo messo lì per fare un po’ di festa. Mio cognato è diventato rosso dalla rabbia, e ha gridato: – Brutto delinquente! Io ho paura a tenerti in casa mia, perché sei un flagello, e prima o poi finiresti col farmi fuori! Io allora mi son messo a piangere e sono scappato in camera mia, dove poco dopo è venuta mia sorella che mi ha fatto una predica di un’ora. Poi però ha finito col perdonarmi e col persuadere il Maralli a non riportarmi a casa mia per esser mandato in collegio. Io, per dimostrare al Maralli la mia gratitudine, stamani prima che andasse nello studio, gli ho messo sulla scrivania la cartella nuova che gli comprai, e ho buttato quella vecchia nel caminetto. Ah, oggi, tanto per ridere, ho invertito le lenti degli occhiali del signor Venanzio con quelle della montatura di Ambrogio.

64

flagello: disgrazia, rovina. mi ha fatto una predica: mi ha rimproverato.


18 gennaio Ieri sera, appena Ambrogio ritornò al tavolino e si mise le lenti sul naso, restò meravigliato. Dopo averle rigirate e ripulite varie volte, cominciò a mugolare: – Oh Dio! Non ci vedo più. Forse è una conseguenza dello spavento di ieri! Stamani il signor Venanzio s’è messo nella poltrona per leggere come fa sempre il Corriere della Sera che, però, gli arriva la mattina. Ma appena s’è messo le lenti ha incominciato a dire: – Uh! Mi si appannano le pupille, mi si confonde la vista… Ci siamo! Chiamate il medico… e un notaio, mi raccomando! Allora in casa è successa una rivoluzione. Il Maralli è accorso al fianco dello zio e, ficcatogli il corno acustico nell’orecchio, ha cominciato a dirgli: – Coraggio, zio. Ci son qui io, non tema! Poi è arrivato il medico, che ha detto che il malato era in condizioni disperate. Per metter fine a questa scena tragica son corso a prendere le lenti d’Ambrogio per portarle al signor Venanzio. Ma quando son ritornato la porta era chiusa e fuori stavano mio cognato e Virginia, che parevano di buon umore. mugolare: piagnucolare.

65


Io, quando se ne sono andati tutti e il notaio è uscito, sono entrato in camera e ho gridato al signor Venanzio: – Non dia retta al dottore! Lei si è impaurito perché non ci vedeva più coi suoi occhiali. Provi questi d’Ambrogio che sono più forti. Il signor Venanzio allora, nel vedere che ci vedeva, s’è calmato subito, e abbracciandomi mi ha detto: – Ma tu, ragazzo mio, sei un portento! Tu hai un’intelligenza molto superiore alla tua età, e diventerai certamente qualcosa di grosso. E mio nipote dov’è? – Era lì fuori, ma ora è nel suo studio. – E che diceva? – Diceva che se lei si sbrigava presto col notaio era buon segno, perché significava che c’erano pochi eredi. A queste parole il vecchio ha dato in una tal risata che credo non ne abbia mai fatte di simili in tutta la sua vita, e poi ha esclamato: – Ah, non mi dispiace che di una cosa: di non potere, quando sarò morto, risuscitare per assistere all’apertura del testamento… Rimorirei dal ridere!

66

un portento: un genio, un fenomeno.


Poi è tornato Ambrogio, impensierito perché il medico gli ha detto che ha una nevrastenia acuta e gli ha ordinato di smettere di fumare e di mettersi in assoluto riposo. – Come faccio... – diceva quel pover’uomo, – come faccio a mettermi in riposo se ho bisogno di lavorare per vivere? E come farò a smettere di fumare… se non ho mai fumato in vita mia? Ma io gli ho detto: – Si provi un po’ queste lenti, e vedrà. Bisognava vedere la gioia d’Ambrogio!

19 gennaio Il Maralli da ieri è di umore terribile. Intanto non riusciva a spiegarsi il miglioramento delle condizioni di salute di suo zio. E stamani me ne ha dette di tutti i colori perché gli buttai nel caminetto la sua vecchia cartella tutta strappata, mettendogli invece sulla scrivania una cartella nuova. Pare che nella cartella vecchia vi fossero dei documenti importantissimi.

nevrastenia acuta: si dice così quando una persona, dopo aver lavorato tanto ed essersi affaticata, si sente molto stanca.

67


Quando son tornato da scuola mio cognato era anche più nero. Il signor Venanzio gli aveva detto che ero stato io a guarirlo con le lenti d’Ambrogio e Ambrogio gli aveva raccontato d’essere stato guarito pure da me con le lenti del signor Venanzio.

21 gennaio

68

Ieri, appena ritornato da scuola, presi in camera mia una lenza che mi ero fabbricato con uno spillo e un po’ di filo e andai nella stanza del signor Venanzio per farlo divertire. Disgraziatamente lo zio del Maralli dormiva, con la testa rovesciata sulla poltrona e con la bocca spalancata. Allora mi misi, per ridere, a pescare nella bocca del signor Venanzio. Disgraziatamente gli venne a un tratto da starnutire e, nello starnuto, l’amo gli si posò sulla lingua e, quando poi richiuse la bocca, io, per un semplice istinto di pescatore, detti uno strattone alla lenza tirando in su. Si udì un grido acutissimo, e vidi, con mia grande meraviglia, attaccato all’amo un dente con due radici. Nello stesso tempo il signor Venanzio sputava una boccata di sangue.


Dopo un’oretta è venuto mio cognato, che mi disse con una calma agghiacciante: – Sai? Ora son convinto anch’io che tu andrai in galera. Ora mio zio vuole andar via da casa mia, dove dice di non sentirsi sicuro, e, per causa tua, rischio di perdere una vistosa eredità. Ma c’è dell’altro! Tu parlasti quattro o cinque giorni fa con tale Gosto lo sciocco? – Sì! – risposi io tutto contento. – Gli dissi che in Tribunale doveva dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. – E infatti l’ha detta! E io ho perso la causa! Sei contento ora? Hai in mente altre rovine, altri cataclismi da compiere?

22 gennaio Ho appena due minuti per scrivere due righe. Sono a Montaguzzo, nel collegio Pierpaoli. Povera mamma, quanto ha pianto quando sono partito! Dopo due ore di treno e quattro di carrozza, sono arrivato qui, dove il babbo mi ha consegnato al signor direttore.

cataclismi: catastrofi.

69


29 gennaio È una settimana, giornalino mio, che non scrivo più una riga, ma qui, in questo collegio che sembra una prigione, non siamo mai soli, neppure quando si dorme. Il Direttore si chiama il signor Stanislao ed è un uomo secco secco e lungo lungo, con due baffoni brizzolati che quando s’arrabbia tremano tutti, e capelli nerissimi appiccicati sulle tempie che gli danno l’aria di un grand’uomo dei tempi passati. È un tipo militare, e parla sempre a forza di comandi e facendo gli occhi terribili. La Direttrice si chiama la signora Geltrude ed è la moglie del signor Stanislao, ma è un tipo tutto diverso. È bassa bassa e grassa grassa, con un naso rosso rosso, urla sempre e fa dei grandi discorsi per delle cose da nulla. Gli insegnanti sono tutti dipendenti dai direttori e paiono loro servitori. Noi collegiali siamo ventisei: otto grandi, dodici mezzani e sei piccoli. Io sono il più piccino. Si dorme in tre camerate, una accanto all’altra, si mangia tutti in un gran salone, due pasti al giorno e la mattina il caffè e latte col pane inzuppato, ma senza burro e sempre con poco zucchero. 70

brizzolati: grigi.


Ora sono sette giorni che sono qui e, meno l’altro ieri che era venerdì, si è sempre mangiato la minestra di riso due volte al giorno.

1° febbraio L’altro ieri, dopo colazione, mentre stavo chiacchierando con uno dei grandi, Tito Barozzo, un altro collegiale grande, tale Carlo Pezzi, gli si accostò e disse sottovoce: – Nello stanzino ci son le nuvole… E i due sparirono. Ma io li seguii. In una piccola stanzetta stavano quattro collegiali grandi che, nel vedermi, cercavano di nascondere qualcosa… Ma le nuvole dicevano tutto. La stanza era piena di fumo di sigaro toscano. All’improvviso il Del Ponte esclamò: – Calpurnio! E si precipitò fuori della stanza seguito dagli altri tre. Io feci per uscir dalla porticina, ma mi trovai faccia a faccia col signor Stanislao in persona. – Chi ha fumato? – mi chiese. – Io non lo so. – Non lo sai? Come! Ma se erano qui con te! E afferratomi per un braccio chiamò un bidello e gli disse: – In prigione fino a nuovo ordine!

71


La prigione è uno stanzino piccolo, con il soffitto alto. In cima c’è una finestra, con una barra di ferro che gli dà proprio l’aspetto di una prigione. Quando venne la signora Geltrude io continuai a dire che non sapevo niente, e che era meglio stare a pane e acqua che essere obbligati a mangiare la minestra di riso due volte al giorno. La mattina dopo, cioè ieri, mi svegliai di lietissimo umore. C’era qualche ragno nello stanzino, e cercai di ammaestrarne uno. Ma quel maledetto ragno faceva tutto il contrario di quel che gli dicevo, e alla fine lo schiacciai. Allora decisi di chiamare dalla finestra qualche passerotto, ma la finestra era così alta! Così trascinai il lettuccio sotto la finestra; poi presi un pezzo di corda che avevo in tasca, levai la cinghia dei calzoni e l’aggiunsi a quella. Poi mi levai la camicia e le mutande, le strappai a strisce, e le aggiunsi alla corda che avevo già. E finalmente mi arrampicai sulla finestra. Un buon odorino di soffritto veniva dal di sotto. La finestrina, infatti, dava sul cortiletto della cucina in cui c’era un’enorme caldaia piena d’acqua bollente. Era venerdì, il giorno della tanto attesa minestra di magro. 72

caldaia: pentolone. di magro: di verdure.


Da dove mi trovavo potei vedere lo sguattero immergere i piatti sporchi nell’acqua della caldaia e lasciarli lì un po’ a mollo. Poi li tirò fuori, li lavò e li mise a posto. Quando tirò su l’ultimo piatto dalla caldaia, esclamò: – Che brodo! Si taglia col coltello! – Benone! – disse il cuoco. – Perfetto per la minestra d’oggi. Lo sguattero sgranò tanto d’occhi: – Come…? – Sicuro! – spiegò il cuoco. – Questo è il brodo per la minestra di magro del venerdì. Qui ci son tutti i sapori. In questa caldaia si lavano i piatti dalla domenica al giovedì. Quando si arriva al venerdì l’acqua è un brodo da leccarsi i baffi. Ma tranquillo, il personale di cucina mangia la minestra speciale che si fa per il Direttore e per la Direttrice. Io mi tolsi la scarpa e la tirai nella caldaia, urlando. Il cuoco e lo sguattero si voltarono in su, come se avessero visto gli spiriti, e mi fissarono con una comica espressione di meraviglia e insieme di paura, poi si precipitarono in cucina. Pochi minuti dopo, la piccola porta della mia prigione si apriva e vi entrava di profilo (perché altrimenti non ci sarebbe potuta passare) la signora Geltrude, esclamando: – Ah disgraziato! Che fai lassù? sguattero: lavapiatti, il ragazzo che in cucina fa i lavori più semplici.

73


– Eh, – risposi – sto a veder preparare la minestra di magro alla casalinga. – Scendi, via! Non capisci che ero venuta per farti uscire? Di’ su: che volevi dire della minestra? Allora le raccontai tutto e con mia grande sorpresa la signora Geltrude esclamò: – La cosa è molto seria. Si tratta di far perdere il pane a due persone: al cuoco e allo sguattero… Pensaci: hai detto proprio la verità? – L’ho detta e la sostengo. – Allora vieni a raccontare tutto al signor Direttore! 74

far perdere il pane: far perdere il lavoro.


Difatti mi condusse nell’ufficio di Direzione dove stava il signor Stanislao, che convocò il cuoco e lo sguattero. Poco dopo, eccoli tutti e due; e io daccapo a ripetere il racconto. Ma i due scoppiarono in una grande risata, e il cuoco disse al signor Stanislao: – Mi scusi, signor Direttore, ma le pare possibile che si faccia tutto questo? Ho questo sguattero, che è nuovo del mestiere, e mi diverto un mondo a raccontargliene di cotte e di crude. Quello che ha raccontato il signorino è proprio vero: ma si trattava di parole dette per scherzo. Poco dopo andammo tutti a pranzo. La signora Geltrude non mi levava gli occhi di dosso. Intanto il Barozzo, il Pezzi, il Del Ponte e il Michelozzi mi facevano una gran festa, dichiarandomi che, benché io sia piccino, mi avrebbero ammesso nella loro Società segreta che si chiama: Uno per tutti e tutti per uno, presieduta dal Barozzo. A cena potei raccontare tutto al Barozzo, che prese la cosa molto sul serio e mi disse: – Vorrei sbagliare… Ma per me l’interrogatorio del cuoco e dello sguattero è tutta una commedia. Dobbiamo riunirci e parlarne… 75


La riunione della Società segreta è andata benissimo. Prima di tutto c’è stato un voto di approvazione per me, perché piuttosto che far la spia mi ero fatto condannare alla prigione. Poi un altro voto di approvazione per avere scoperto l’affare della minestra di magro… Insomma sono stato trattato da eroe. Dopo aver discusso ben bene, ci siamo trovati d’accordo su questo punto: per accertarsi se la minestra del venerdì era fatta con il risciacquo dei piatti degli altri giorni, ci saremmo serviti dell’anilina. L’altra sera, giornalino caro, per metterti a posto, mi ficcai dentro il mio armadietto, e sentii delle voci. Mi parve perfino di riconoscere la voce della signora Geltrude. Dietro l’armadietto ci dev’essere una parete sottilissima. 76

anilina: una sostanza chimica colorante.


2 febbraio Si incomincia la prova. – Capirai, – mi ha detto il Barozzo – anche se di qui a giovedì mettiamo un granellino di quell’anilina al giorno in ogni piatto, basta e avanza a colorare di rosso il brodo della minestra di venerdì. Il cuoco se ne accorgerà solo il venerdì mattina. Dovendo rimediare alla svelta, farà una minestra di riso… Ebbene: se venerdì non ci sarà la tradizionale minestra di magro alla casalinga, vorrà dire… che questa era proprio fatta col brodo della lavatura dei piatti, e allora noi insorgeremo. Che ingegno ha il Barozzo! Ora, giornalino mio, sai che faccio? Ho qui uno scalpello che ho trovato oggi nel cortile, e voglio fare un buco nella parete in fondo all’armadietto per capire da dove vengono le voci che sentii l’altra sera.

3 febbraio Oggi durante una riunione della nostra Società segreta abbiamo parlato della continuità di questa stomachevole minestra di riso. insorgeremo: ci ribelleremo. stomachevole: disgustosa.

77


Mario Michelozzi ha detto: – Io ho un’idea. Se mi riesce di procurarmi i mezzi per metterla in esecuzione ve la comunicherò, e domanderò l’aiuto del nostro bravo Stoppani.

4 febbraio Stanotte, dopo un lungo e paziente lavoro, son riuscito finalmente a fare un buco nella parete in fondo all’armadietto. Subito è apparso un chiarore dall’altra parte, ma un po’ coperto da qualcosa che ci deve essere al di là della parete, forse un quadro. Distinguevo molto bene le voci del signor Stanislao e della signora Geltrude. – Tu sarai sempre un imbecille! – diceva la signora Geltrude. Ma con chi parlava? È impossibile che il signor Stanislao si facesse trattare così. Oggi si è riunita la Società segreta, e io ho raccontato l’affare del buco nell’armadietto. Carlo Pezzi si è preso l’incarico di accertarsi che stanza fosse quella dalla quale venivano le voci del Direttore e della Direttrice.

78


6 febbraio Prima di tutto una lieta notizia: i convittori del collegio Pierpaoli non mangeranno minestra di riso per un pezzo! Ieri sera, quando tutti dormivano, io e il Michelozzi prendemmo un bottiglione di petrolio e sgattaiolammo in magazzino. A quella luce incerta vedemmo una fila di pacchi aperti, con della roba bianca‌ Era il riso, che io e il Michelozzi innaffiammo ben bene col petrolio. Evviva, evviva! Oggi a pranzo abbiamo avuto una eccellente pappa col pomodoro alla quale le ventisei bocche dei convittori del collegio Pierpaoli han rivolto con ventisei sorrisi il piÚ caldo e generale saluto.

convittori: collegiali, i ragazzi che vivono nel collegio.

79


Intanto Maurizio Del Ponte ci ha fatto una comunicazione molto importante. – Ho visto la stanza sulla quale il bravo Stoppani ha aperto il suo finestrino, che ci sarà utilissimo. È la sala particolare della Direzione, dove i direttori ricevono le persone più intime e importanti. In quanto al quadro che impedisce al nostro Stoppani di vedere bene nella stanza, è il grande ritratto del professor Pierpaolo Pierpaoli, benemerito fondatore di questo collegio, zio della signora Geltrude alla quale passò in eredità.

7 febbraio Ieri sera, appena i miei piccoli compagni si furono addormentati, saltai nel mio armadietto e appiccicai l’occhio al buchino che ero riuscito a fare nella tela del compianto professor Pierpaolo Pierpaoli. Vidi il signor Stanislao che diceva con tono quasi di preghiera: – Ma cara Geltrude, quest’affare del petrolio nel riso è inspiegabile… Possibile che ci sia tra i collegiali un tipo così coraggioso? In ogni modo farò di tutto per scoprirlo. La signora Geltrude disse: – Tu non scoprirai niente. Perché sei un imbecille! 80

benemerito: meritevole, bravo. compianto: rimpianto, caro.


8 febbraio Oggi è venerdì, e aspettiamo con ansia di vedere se il nostro trucco per scoprire se la minestra di magro è fatta con l’acqua di risciacquo dei piatti ha funzionato. E a un tratto eccola! I nostri colli si allungano, i nostri occhi seguono con grande curiosità le zuppiere… e, appena la minestra incomincia a riempire le scodelle, tutte le bocche si arrotondano in un lungo «Oooooh!» di meraviglia e un mormorio generale si leva nel quale son ripetute queste parole: – È rossa! Allora la signora Geltrude esclama sorridendo: – Si capisce! Ci sono le barbabietole rosse, non vedete? – E ora che si fa? – dico piano al Barozzo. – Ora si fa così! – mormora egli con gli occhi che brillano di sdegno. E alzatosi in piedi, girando lo sguardo intorno ai compagni, esclama con la sua voce energica: – Ragazzi! Nessuno mangi questa minestra rossa… È avvelenata! – Tu… proprio tu… – ha detto sconvolta la Direttrice indicando il Barozzo, e l’ha spedito giù in Direzione. Il Barozzo non fu visto per tutto il giorno. La sera ricomparve a cena, e pareva un altro.

81


Aveva gli occhi rossi e infossati e sfuggiva gli sguardi dei compagni, specialmente di noi della Società segreta. Che cosa era accaduto? Ieri sera appena potei mi ficcai dentro il mio armadietto. La signora Geltrude diceva: – Sei un perfetto imbecille! Ed è colpa tua se abbiamo accettato in collegio il Barozzi, che sta qui praticamente gratis e che rovinerà l’istituto! – Calmati Geltrude – rispondeva il signor Stanislao. – Ricordati che il suo tutore fece venire qui in collegio altri tre convittori a retta intera. E poi il Barozzo ignorava di esser tenuto qui a patti speciali. È rimasto così male quando l’ha saputo che ha giurato che non farà né dirà mai niente contro il collegio! – E tu, imbecille, ti fidi? E lo Stoppani? – Lo Stoppani è un bambino e le sue chiacchiere non possono nuocere alla buona fama dell’istituto. A questo punto la signora Geltrude alzò le braccia al cielo ed esclamò: – Ah! Tu sei un idiota come non ve ne sono mai stati! Poi gli afferrò i capelli con rabbia. La chioma corvina del direttore rimase nelle grinfie della direttrice, che agitava la parrucca in aria, furiosa.

82

tutore: una persona che si prende cura di lui. retta: somma fissa che si deve pagare per stare in collegio. chioma corvina: capigliatura nera. grinfie: mani, artigli.


La scena era così ridicola che non potei trattenere le risa. I due coniugi si voltarono stupiti verso il ritratto.

9 febbraio Stamani c’è stata la riunione. Appena ci siamo raccolti in circolo, il Barozzo, pallido da fare impressione, ha sospirato: – Assumo la presidenza dell’assemblea per l’ultima volta. Allora gridai con quanto fiato avevo: – Invece tu non ti dimetterai! – E chi può vietarmi di seguire la voce della coscienza? – disse il Barozzo con molta dignità. – Ma che voce della coscienza! – risposi io. – La voce che ti ha turbato è stata quella della signora Geltrude! E raccontai tutta la scena avvenuta in Direzione e che non era vero che lo tenessero in collegio per compassione, mentre anzi ci avevano trovato il loro guadagno. Il Barozzo però non cambiò la sua decisione. Strepitosa notizia! Ieri sera dal mio osservatorio ho scoperto che il Direttore, la Direttrice e il cuoco sono spiritisti. spiritisti: fanno le sedute spiritiche durante le quali credono di poter entrare in contatto con gli spiriti.

83


Quando ho messo l’occhio al solito forellino, erano riuniti attorno a un tavolino tondo e il cuoco diceva: – Ora viene! Eccolo! – Eccolo davvero! – esclamò la signora Geltrude. Infatti il tavolino s’era mosso. Chi doveva venire era lo spirito del compianto professor Pierpaolo Pierpaoli. – Domandagli se vuole parlare con me! – disse la signora Geltrude.

84


Il cuoco si concentrò e pose la domanda. Il tavolino ricominciò a scricchiolare. – Ha detto di no – rispose il cuoco. E il signor Stanislao esclamò con giubilo: – Hai visto? La signora Geltrude si voltò verso di lui inviperita e gli rivolse la solita offesa: – Sei un imbecille! – Ma Geltrude! – rispose egli imbarazzato. La timida protesta di quel pover’uomo mi commosse e volli vendicarlo. Perciò con voce rauca esclamai: – Ah!… I tre si voltarono di botto verso il ritratto, pallidi, tremanti di paura. Poi il cuoco esclamò: – Sei ancora Pierpaolo Pierpaoli? Io feci un sibilo: – Sssssss… Il cuoco continuò: – Ti è concesso di parlare con noi? Mi venne un’idea. E risposi: – Mercoledì a mezzanotte! Stamani, appena riposto il mio giornalino, mi sono accorto che uno dei miei compagni era sveglio. Gli ho fatto cenno di stare zitto, e del resto lo sarebbe stato lo stesso, perché si trattava di un amico fidato, tale Gigino Balestra. giubilo: grande gioia. inviperita: infuriata.

85


Gigino Balestra è un ragazzo serio, e ormai ho potuto verificare in più circostanze che posso contare su di lui. Prima di tutto siamo concittadini. Egli è figlio del famoso pasticciere Balestra, dal quale si serve sempre mio padre e che è molto amico del Maralli, perché è anche lui un pezzo grosso del partito socialista. E poi anche lui è disgraziato come me e mi ha raccontato tutta la storia delle sue sventure. – Campassi mill’anni – mi diceva Gigino – non mi scorderò mai del primo maggio dell’anno passato. In quel giorno – io stesso me ne ricordo benissimo – c’era una grande agitazione, perché i socialisti avrebbero voluto che tutti i negozi fossero chiusi, mentre molti bottegai volevano tenere aperto. Anche nelle scuole c’era una certa agitazione, perché alcuni babbi di scolari, essendo socialisti, volevano che il Preside desse vacanza, mentre molti altri babbi non ne volevano sapere. Naturalmente i ragazzi si schierarono tutti dalla parte dei socialisti. Io pure feci sciopero, infatti il babbo mi fece stare tre giorni a pane e acqua. 86

pezzo grosso: persona importante. primo maggio: è la festa dei lavoratori.


Al povero Gigino Balestra però successe di peggio. Egli, a differenza di me, aveva fatto sciopero col consenso di suo padre; anzi suo padre lo avrebbe obbligato a far vacanza se, per un’ipotesi impossibile ad avverarsi, Gigino avesse voluto andare a scuola. – Oggi è la festa del lavoro – gli aveva detto il signor Balestra – e ti do il permesso di andare fuori porta con i tuoi compagni. Sta’ allegro e comportati bene. Così Gigino, con alcuni amici, era andato a far visita a certi compagni che stavano in campagna. Arrivati sul posto, tutti insieme si misero a fare chiasso. A un certo punto Gigino, che si dava delle arie per essere il figlio di uno dei capi del partito socialista, parlò del primo maggio e della giustizia sociale. Ma uno della comitiva, un ragazzaccio tutto strappucchiato, gli rivolse all’improvviso questa noiosa domanda: – Tutti bei discorsi, ma è giusto che tu abbia una bottega piena di pasticcini, mentre noi poveri non si sa neppure che sapore abbiano? fuori porta: in campagna, fuori dalla città. giustizia sociale: cioè l’eliminazione della povertà, e in generale di tutte le situazioni che costringono alcune persone a vivere in situazioni molto difficili. strappucchiato: con i vestiti tutti rovinati, pieni di strappi.

87


Gigino, mortificato, voleva ribattere, quando gli venne un’idea che gli apparve l’unica che potesse salvare la reputazione sua e di suo padre. – Ebbene! – gridò. – A nome mio e di mio padre vi invito tutti nel nostro negozio ad assaggiare le nostre specialità. – Evviva Gigino Balestra! Evviva il suo babbo! E tutti gli andarono dietro, diretti al negozio.

88

mortificato: che ci era rimasto male.


– Lì per lì – mi raccontò Gigino – mi parve che il numero dei miei compagni continuasse a crescere. Il negozio era addirittura invaso da una vera folla, le paste sparivano e ogni tanto qualcuno gridava: «Evviva il socialismo! Evviva il primo maggio!». Ma a un certo punto la musica cambiò e una voce terribile, quella di mio padre, rimbombò nel negozio, gridando: «Ah, razza di cani, ora ve lo do io il socialismo!».

89


Oggi ho proposto a Gigino di entrare nella nostra Società segreta e i miei amici l’hanno accolto benissimo. Alla riunione ho raccontato la scena della seduta spiritica. Domani ci riuniremo per eleggere il nuovo presidente e per decidere sull’intervento dello spirito del compianto professore Pierpaoli.

12 febbraio Ora registrerò qui due notizie importanti. Prima: oggi Carlino Pezzi ha trovato il modo di entrare nel salone di Pierpaolo. In un attimo ha poggiato una scala vicino al ritratto e, arrampicatosi fin lassù, con un coltellino gli ha fatto due buchi negli occhi. Seconda notizia. Tito Barozzo mi ha detto: – Senti, Stoppani. Dal giorno in cui ebbi a patire nella stanza del Direttore la grande umiliazione che sai, un solo pensiero mi ha dato la forza di resistere: la fuga. Quello che avete combinato per stanotte può favorire il mio progetto. Vorresti aiutarmi?

90

patire: sopportare, soffrire.


13 febbraio Naturalmente ieri sera non mi sono addormentato. Alle undici e mezza entrai nel mio osservatorio. I tre spiritisti arrivarono e il direttore disse a bassa voce, guardando il ritratto: – Mi pare che stasera abbia gli occhi più neri… Poi l’orologio della chiesa suonò dodici tocchi e il cuoco disse: – Pierpaolo Pierpaoli! Puoi parlare? Incominciava la mia parte: – Ssssss… – Dove sei? – domandò poi il cuoco. – In Purgatorio – risposi con un fil di voce. – Ah zio… – esclamò la signora Geltrude. – Tu che eri così virtuoso! E per quali peccati? – Per uno solo – risposi io. – Quello di aver lasciato questo mio istituto a persone indegne! I tre si abbandonarono col capo sul piano del tavolino, distrutti dalla terribile rivelazione. Poi piantai gli occhi nei buchi fatti da Carlino Pezzi e incominciai a roteare le pupille e, ogni tanto, a fissarle sui tre spiritisti. Essi, che avevano rialzato lo sguardo al ritratto, poco dopo si accorsero che muoveva gli occhi, e caddero in ginocchio.

virtuoso: onesto, bravo. indegne: non degne, quindi che non lo meritavano.

91


92

– Ah, zio! – mormorò la signora Geltrude. – Pietà… Come potremo rimediare al male che abbiamo fatto? Era qui che l’aspettavo. – Togliete il lucchetto alla porta – dissi – perché io possa venire a voi. Spegnete il lume e aspettatemi in ginocchio! Gigino Balestra andò a dar l’avviso ai compagni della Società segreta, che erano pronti a entrare nel salone di Pierpaolo Pierpaoli e, armati di cinghie e di battipanni, vendicarsi delle cattiverie subite. Io sentii aprire l’uscio della sala, richiuderlo, e poi a un tratto le grida dei tre spiritisti sotto i primi colpi. – Ah! Gli spiriti! Pietà! Poi mi ritirai precipitosamente e andai nello stanzino che mi aveva indicato il Barozzo. Staccai la grossa chiave che trovai dietro la porta e corsi al portone d’ingresso del collegio. Tito Barozzo era lì. Aprì il portone e mi abbracciò. Poi, all’improvviso, Tito Barozzo non c’era più. Riposi la chiave e tornai in camerata. Dormivano tutti, tranne Gigino Balestra, che mi aspettava. Gli feci cenno di venir con me. Con molti sforzi ci mettemmo tutti e due nel mio osservatorio, stretti come due sardine.


La Direttrice piangeva e una voce tremula diceva: – Pierpaolo Pierpaoli… possiamo riaccendere il lume? Era il cuoco. Mi affrettai a rispondere col solito sibilo: – Sssssss… Poi finalmente un lume si accese. Le sedie e i tavolini erano rovesciati per terra. Il grande orologio e i candelabri erano in briciole. Da un lato, il cuoco, col faccione verde pieno di bitorzoli, guardava con occhi lacrimosi il ritratto. Dall’altra parte, accovacciata in un angolo, c’era la Direttrice, col viso graffiato, i capelli sciolti e le vesti strappate. Lei, in preda al rimorso e al dolore, scoppiò in un pianto dirotto, balbettando: – Ah, zio! Hai avuto ragione di punirci! Non è vero, Stanislao? A un tratto venne fuori una lunga figura così comicamente fantastica che il cuoco e la direttrice non poterono frenar le risa. Il signor Stanislao pareva più secco e più allampanato di prima; la testa era lucida e bianca come una palla di biliardo, con un occhio tutto cerchiato di nero e con un’espressione così comica che tanto io quanto Gigino Balestra, malgrado i nostri più eroici sforzi, non potemmo frenare una risata. Fortunatamente ridevano anche il cuoco e la signora Geltrude, sicché non si accorsero di noi. allampanato: alto e magro.

93


Ma il direttore, che non rideva affatto, dovette udire qualcosa, perché volse l’atterrito occhio nero verso di noi… Non ho chiuso occhio tutta la notte, temendo che tutto fosse stato scoperto.

14 febbraio Si era già sparsa la notizia della fuga di Tito Barozzo e la Direzione aveva spedito telegrammi e avvisato le autorità di tutti i paesi vicini, mentre era aperta una severissima inchiesta per stabilire se nella fuga il Barozzo aveva avuto dei complici. C’era in giro anche la notizia che la Direttrice, appena scoperto il fatto, si era ammalata e che il Direttore aveva battuto un occhio in uno spigolo. 94

atterrito: terrorizzato.


A colazione apparve in refettorio il signor Stanislao, con una sciarpona nera intorno alla zucca completamente pulita (la parrucca era stata buttata in un luogo tale che, anche se l’avesse ritrovata, non se la sarebbe rimessa di certo). Più tardi si seppe che, a uno a uno, i collegiali erano chiamati in Direzione per subire un interrogatorio. In camerata mi aspettava la terribile rivelazione della nostra completa rovina. La tentazione di salire sull’armadietto alla fine aveva vinto e mi fece abbandonare ogni saggio consiglio di prudenza… Ma la parete in fondo era murata.

20 febbraio E veniamo dunque alle novità, la prima delle quali è questa: che io in questo momento sto scrivendo sul mio tavolino, in camera mia, di fronte alla finestra che dà sul mio giardino. La mattina del 14 avevo un triste presentimento, e il presentimento non mi ingannava. A un tratto venne un bidello che mi disse: – Il signor Direttore la desidera. Il signor Stanislao mi squadrò ben bene, mentre io giravo qua e là lo sguardo sugli scaffali pieni di libri.

95


Finalmente il Direttore mi domandò a bruciapelo: – Tu, Giovanni Stoppani, la notte tra il 13 e il 14 sei uscito verso mezzanotte dalla tua camerata. È vero? Io seguitai a far l’indiano, nonostante che lui continuasse a farmi domande. Poi comparve la signora Geltrude, che fece tre passi e mi disse: – Ah, non rispondi, eh? Pezzo di mascalzone! Chi è dunque che ha fatto scappare l’altra notte il tuo degno amico Barozzo? Abbiamo avvertito tuo padre di venirti a riprendere, e a quest’ora dev’essere per strada. Ero arrabbiato. Mi appariva chiara una cosa: che la risata mia e di Gigino Balestra ci aveva smascherato. E certamente le spie erano almeno due: una dei ragazzi grandi che aveva compromesso il Michelozzi, il Pezzi e il Del Ponte, e una dei piccoli che aveva compromesso me e Gigino Balestra. Un’altra cosa era chiara: che Calpurnio, certamente guidato dall’astuta moglie, aveva basato tutte le accuse contro di noi sulla nostra complicità nella fuga del Barozzo, non accennando neanche lontanamente al nostro complotto, dirò così, spiritistico, che era in realtà molto più grave ma che avrebbe, se ammesso e risaputo, fatto perdere il prestigio del Direttore e della Direttrice… e anche del cuoco! 96

far l’indiano: far finta di non capire, di non sapere niente. astuta: furba.


Però in mezzo a tutti questi tristi pensieri che mi frullavano nel cervello, un’idea buffa mi si riaffacciava continuamente: – Perché lo chiamano Calpurnio? A un certo punto vidi il Michelozzi e mi slanciai verso di lui. – Dimmi, – gli dissi rapidamente – perché «Calpurnio»? – Guarda nella Storia Romana! – rispose lui e fuggì. In quel momento passava un ragazzo della mia camerata, un certo Ezio Masi, che mi guardò con un lieve risolino maligno. Fu come una rivelazione. Lo presi per un braccio e lo spinsi in camerata. Poi lo invitai a sedere accanto a me col più bel sorriso del mondo. – Non aver paura, Masi, – gli dissi mellifluo – ti ho portato qui per ringraziarti. Non capisci che non ci volevo più stare qui dentro? Ora, giacché mi hai fatto questo piacere, me ne devi fare un altro. Vorrei salutare un mio amico e dargli la mia giacchetta per ricordo: puoi aspettarmi qui, e dire al bidello, nel caso venisse a cercarmi, che ritorno subito? Il Masi manifestò una grande contentezza di essersela cavata con così poco. mellifluo: fintamente dolce e gentile.

97


– Ma figurati! – mi disse. – Fa’ pure, sto qui io! E corsi via. Entrai in un’aula, stesi la mia giacchetta su un banco e col gesso scrissi sulla schiena della giacca la parola SPIA. Poi tornai in camerata. – Non ho trovato l’amico – dissi. – Pazienza! Ma poiché non ho potuto lasciar la mia giacchetta a lui, voglio lasciarla a te. E, appoggiata la giacchetta sul letto, lo aiutai a levarsi la sua e a mettere la mia, facendo in modo naturalmente che non vedesse la scritta sulla schiena. – Addio Masi, e grazie. E lo vidi allontanarsi per il corridoio recando dietro la schiena la parola infamante che s’era meritata. Mio padre arrivò con uno sguardo agghiacciante. Il suo silenzio fu rotto solo nell’entrare in casa.

98


– Eccoti di ritorno, – disse – ma è un cattivo ritorno. Il giorno dopo, cioè il 15, seppi dell’arrivo del Balestra, anche lui mandato via dal collegio per la congiura del 12 febbraio, data memorabile nella storia dei collegi d’Italia e forse d’Europa. E ieri poi ne ho saputa un’altra. Il signor Venanzio pare che stia molto male, poveretto, e mio cognato è in grande aspettativa per l’eredità. Ho anche saputo che il Maralli, appena ebbe la notizia del mio ritorno dal collegio, disse all’Ada: – Per carità, badate che non mi venga in casa, se no finisce che lo zio mi disereda davvero!

21 febbraio Oggi finalmente ho rivisto Gigino Balestra. A un certo punto mi s’è riaffacciata alla mente la faccenda di Calpurnio. Gigino ha preso una Storia Romana nel suo scaffale, e abbiamo letto: … uno dei consoli eletti, per l’anno successivo, che chiamavasi Lucio Calpurnio Bestia… – Ah! – gridai ridendo a crepapelle. – Ho capito! Lo chiamavano Calpurnio perché… – … perché anche se sentiva, – concluse Gigino – non avrebbe capito che gli si dava della bestia! congiura: complotto, accordo segreto. mi disereda: quando muore, mi toglie l’eredità.

99


Ho parlato con Gigino Balestra anche di un altro importante argomento: dei pasticcini. – Vedi se puoi passare domattina dal negozio, verso le dieci. Il babbo a quell’ora ha una riunione per le elezioni… Ti aspetto alla bottega. Infatti ho saputo che ci sono le elezioni politiche, e i nuovi candidati sono il commendatore Gaspero Bellucci, zio di Cecchino, e l’avvocato Maralli mio cognato. A sentir Gigino Balestra parrebbe che l’elezione del Maralli fosse sicura.

23 febbraio Stamani mi son purgato. Non ho mai potuto capire il perché i pasticcini che sono tanto buoni debbano far male e i purganti che son tanto cattivi debbano far bene. Il fatto è che di pasticcini ieri ne mangiai una ventina.

24 febbraio Stamani ci è arrivata in casa una triste notizia; il signor Venanzio è morto stanotte. 100

mi son purgato: ho preso una purga, una medicina che aiuta a pulire l’intestino.


25 febbraio È vicina la mezzanotte; tutti sono andati a letto e io sono solo, qui nella mia cameretta. Solo col mio segreto, col mio grande segreto, e piango e rido e tremo… Stamani, verso le nove e mezzo, mentre inzuppavo il terzo panino imburrato nel mio caffè e latte con molto zucchero, mi son sentito chiamare. – Guarda, Giannino, – mi ha detto subito la mamma – questa lettera è per te…

Signor Giovanni Stoppani, nella mia qualità di pubblico notaio incaricato dal defunto signor Venanzio Maralli, riporto qui di seguito le parole espresse dallo stesso signor Venanzio da lui pronunciate: «Desidero e domando che alla lettura di questo mio testamento, oltre agli interessati, e cioè mio nipote avvocato Carlo Maralli, Cesira Degli Innocenti sua donna di servizio e il commendatore Giovan Maria Salviati, sindaco della città, intervenga anche il giovinetto Giovannino Stoppani cognato del predetto Carlo Maralli, sebbene nessuna delle disposizioni testamentarie qui contenute lo interessino.

101


Desidero che il giovinetto Stoppani capisca dal mio testamento quanto poco siano importanti le umane ricchezze e quanto invece lo sia l’amore verso il prossimo. A tale scopo do espresso incarico al notaio cavaliere Temistocle Ciapi di mandare a prendere il detto Giovanni Stoppani dove si trova».

Temistocle Ciapi, Notaio

102

Quando sono entrato nello studio del notaio Ciapi c’era il sindaco, e poco dopo è arrivato mio cognato Maralli e poi la sua donna di servizio Cesira. Il notaio era seduto su una poltrona, davanti a un tavolino. Ci ha guardato tutti, ha suonato il campanello e ha detto: – I testimoni! Poi ha incominciato a leggere. Non ricordo le frasi precise, ma ricordo le cifre dei diversi lasciti, e ricordo anche che tutte quelle disposizioni testamentarie erano piene di ironia, come se il povero signor Venanzio nell’ultima ora della sua vita si fosse preso il divertimento di pigliare in giro tutti quanti. La prima disposizione era di dare diecimila lire alla Cesira, che, alla notizia di quella fortuna, svenne. Tutti le corsero attorno, tranne il Maralli che diventò pallido come un morto e guardava la sua donna di servizio come se la volesse mangiare.


Io lascio questa somma alla nominata Cesira Degli Innocenti prima di tutto per gratitudine, poiché ella si limitò a trattarmi col soprannome di gelatina. Inoltre, sono spinto a fare questo dalle giuste e sane teorie politiche e sociali di mio nipote, che ha sempre predicato che nel mondo non vi devono essere né servi né padroni e che, io credo, accoglierà benissimo questo mezzo che io offro a Cesira Degli Innocenti di non esser più serva in casa di lui.

103


L’avvocato Maralli sbuffava e il sindaco sorrideva come a prenderlo un po’ in giro.

Sempre per rispetto alle nobili teorie di altruismo nelle quali crede mio nipote, poiché mi parrebbe di recargli una profonda offesa lasciando del capitale a lui che fu sempre fortemente contrario alla ricchezza e ai suoi privilegi, lascio tutto il mio patrimonio ai poveri di questa città. Al mio amatissimo nipote, in ricordo del suo affetto, lascio per ricordo l’ultimo mio dente strappatomi dal suo piccolo cognato Giovannino Stoppani e che ho fatto espressamente rilegare in oro per uso di spillo da cravatta. Naturalmente mi scappò da ridere. Non l’avessi mai fatto! L’avvocato Maralli, che tremava per la rabbia, esclamò: – Canaglia! Ridi anche, eh? E c’era in queste parole tale accento di odio che tutti si son voltati a guardarlo e il notaio gli ha detto: – Si calmi, signor avvocato! E ha fatto per porgergli l’astuccio col dente del povero signor Venanzio, ma il Maralli l’ha respinto, esclamando: – Lo dia a quel ragazzo… glielo regalo! Poi ha firmato, ha salutato e se n’è andato via, come pian piano fecero tutti. 104

altruismo: generosità, bontà. capitale: ricchezza, composta da denaro, case, terreni ecc.


Ero rimasto solo nella stanza, quando il notaio ha preso una busta e mi ha detto: – Il defunto signor Venanzio Maralli era veramente una persona strana, ma a me non sta il giudicarlo, bensì seguire fino all’ultimo le sue volontà testamentarie, siano esse state espresse per iscritto o a voce. A voce dunque il signor Venanzio mi disse:

Io ho qui un pacchetto contenente mille lire in tanti biglietti di banca da cinque che desidero, dopo la mia morte, siano consegnati a mano e senza che nessuno venga a saperlo al cognato di mio nipote, Giovannino Stoppani, col patto che egli li prenda e li tenga con sé e ne disponga a suo piacere e non dica a nessuno di possedere tale somma.

26 febbraio Che bella soddisfazione avere una cassaforte con mille lire dentro! Un momento: ora non sono più mille lire, ma settecentotrentuno perché oggi ho speso la somma non indifferente di lire duecentosessantanove! Ma tutte spese giustificate e regolarmente registrate qui nel libro d’entrata e uscita che costa una lira.

105


Ereditato dal povero signor Venanzio Libro d’entrata e uscita Elemosine Cassaforte Pasticcini

106

ENTRATA 1000,00

USCITA 1,00 15,00 250,00 3,00

I quattrini peggio spesi sono stati quelli delle elemosine. Stamani appena uscito di casa ho trovato sugli scalini della chiesa di San Gaetano un povero cieco che chiedeva l’elemosina, così ho tirato fuori un biglietto da cinque lire e gliel’ho lasciato cadere dentro il cappello. Egli ha fatto un gesto di meraviglia e, preso velocemente il biglietto, lo ha messo contro la luce guardandolo attentamente. Poi mi ha chiesto: – Ma… non è mica falso, eh, signorino? Immediatamente un altro povero cieco che era dall’altra parte della scalinata è venuto a esaminare il biglietto e ha detto: – Ma non vedi che è buonissimo? E a me, signorino? Io, per non fare ingiustizie, ne ho dato uno anche a lui. In quel momento, uno zoppo che chiedeva l’elemosina sulla porta della chiesa è corso precipitosamente per godere dello stesso trattamento dei suoi due colleghi, e ho dato cinque lire anche a lui.


Ma, preso come ero in quel momento dalla mia grande generosità, non ho pensato al fatto stranissimo di quei due ciechi che vedevano e di quello zoppo che correva. Quando ho capito che cos’era successo, sono andato al negozio Balestra e mi son mangiato tre lire di pasticcini. Forse ne ho mangiati troppi, ma questa è stata una spesa fatta bene e non me ne pento. Un’altra spesa molto complicata è stata quella della cassaforte. Al primo negozio si son messi a ridere e mi hanno detto: – Bambino, levati che abbiamo altro da fare che star dietro ai tuoi scherzi In un altro negozio il commesso non mi ha voluto dar la cassaforte, scusandosi perché non poteva vendere ai bambini e bisognava che ci andassi col mio babbo. Per fortuna c’era un giovanotto che mi guardava mentre tiravo fuori i quattrini e che appena sono uscito mi ha detto: – Ma come son buffi! Per comprar la roba d’ora in avanti ci vorrà l’attestato di nascita! Ma lei che voleva comprare? – Una cassaforte piccola. Quel giovanotto era proprio gentile e mi ha procurato quel che mi occorreva. Ma ora son contento perché il mio capitale è al sicuro!

107


27 febbraio L’orizzonte si rannuvola. Oggi il babbo mi ha fatto una predica di un’ora, perché l’avvocato Maralli gli ha detto che era stato diseredato per colpa mia. Più tardi ho incontrato Gigino Balestra, al quale ho raccontato della sgridata avuta ed egli mi ha detto tutto meravigliato: – Ma se l’avvocato Maralli dice che è stato lui a chiedere a suo zio di lasciar tutto ai poveri! Gigino mi ha fatto vedere l’ultimo numero di un quotidiano che si chiama Sole dell’avvenire dove c’è un articolo intitolato Il nostro candidato contro il privilegio dell’eredità. Lì effettivamente si dice che fu il Maralli a rinunciare all’eredità e a convincere lo zio a lasciare tutte le sue ricchezze ai poveri. Io, quando ho letto quest’articolo, son cascato dalle nuvole, poiché ben sapevo com’erano andate le cose riguardo all’eredità del povero signor Venanzio. E, sapendo che il giornale era fatto dal babbo di Gigino, gli ho detto: – Ma come! Ma qui il tuo babbo ha sbagliato! – Che dici? Una parte dell’articolo l’ha scritta il Maralli stesso. 108

son cascato dalle nuvole: sono rimasto molto sorpreso.


1° marzo Queste elezioni incominciano a interessarmi davvero. Ieri, mentre ero fuori, ho sentito urlare: – Leggete, Signori, l’Unione Nazionale, con la vera storia dell’eredità del candidato socialista! Allora ho comperato subito questo quotidiano, che è scritto dagli avversari politici del Maralli. In un articolo si diceva che non era vero che il Maralli aveva rinunciato all’eredità a favore dei poveri, ma era stato il signor Venanzio che aveva diseredato il nipote. Ma si vede che nelle lotte elettorali le bugie sono all’ordine del giorno, perché anche l’Unione Nazionale ne dice parecchie, e una poi è così grossa che non la posso mandar giù. In seconda pagina, infatti, c’è un articoletto intitolato I nemici della religione, dove si dice che il Maralli non va mai in chiesa, mentre io mi ricordo benissimo (e ho registrato il fatto proprio qui nel mio caro giornalino) che mio cognato sposò mia sorella anche in chiesa, perché altrimenti il babbo e la mamma non avrebbero mai acconsentito al matrimonio. Sono rimasto così male per questa menzogna, che da ieri sto pensando se non sia il caso di andare alla Direzione del quotidiano per sistemare le cose.

109


2 marzo Oggi sono stato da Gigino Balestra, al quale ho confidato il mio progetto. Domattina alle undici andremo alla Direzione dell’Unione Nazionale e porteremo una rettifica (dice Gigino che si chiama così) all’articolo intitolato: I nemici della religione. Ed ecco la rettifica:

Onorevole Direzione, Leggendo l’articolo del numero scorso del suo pregiato giornale intitolato “I nemici della religione” mi credo in dovere di fare osservare alla Signoria Vostra che non è esatto affermare che l’avvocato Maralli mio cognato non va mai in chiesa. Posso garantire che è assolutamente falso avendo assistito io in persona al suo matrimonio che fu celebrato nella chiesa di San Francesco al Monte.

Giannino Stoppani Il direttore del giornale è stato molto gentile e quando ha letto la mia rettifica, ha detto: – Benissimo! La verità innanzi tutto… Ma ci vorrebbero delle prove… dei documenti… 110

rettifica: correzione per ristabilire la verità.


Allora gli ho riferito che tutto il fatto era descritto qui nel mio giornalino, in quelle pagine che fortunatamente avevo potuto salvare dal caminetto quando mio cognato aveva tentato di distruggerle. – Ah! Aveva tentato di distruggerle, eh? Insomma il direttore dell’Unione Nazionale ha detto che gli era necessario vedere questo mio giornalino con la mia firma.

111


Qui termina il giornalino di Gian Burrasca; ma a me, che ho pubblicato queste memorie, spetta l’obbligo almeno di completar la narrazione dell’avventura elettorale. Il direttore dell’Unione Nazionale accolse sì la rettifica di Gian Burrasca, ma nell’articolo che pubblicò poi nel suo giornale parlò del Maralli come di una persona falsa e che voleva sempre approfittare delle situazioni. In casa Stoppani la notizia di questa tragedia elettorale giunse di prima mattina. Il babbo di Giannino ricevette il numero dell’Unione Nazionale, con quel terribile articolo e con queste parole scritte nel margine dall’avvocato Maralli: «Vostro figlio, che mi aveva già rovinato come uomo facendomi perdere l’eredità di mio zio, e come professionista facendomi perdere una causa importante, è tornato in tempo dal Collegio per rovinarmi nella mia carriera politica…»

112

La tempesta scoppiò tremenda sul capo del povero Gian Burrasca... e anche più in giù. – Ma io ho detto la verità! – gridava egli. – Io credevo di far bene difendendolo da un’accusa ingiusta!… E il padre: – Disgraziato! I ragazzi non devono impicciarsi nelle cose che non possono capire! Birbante! Sei la rovina di tutta la famiglia!


Dopo che Giannino ebbe rovinato la posizione politica di suo cognato, il suo babbo si decise a rinchiuderlo in altro collegio, ancora più rigido e severo di quello nel quale era già stato, e la stessa decisione nello stesso tempo era stata presa dal babbo di Gigino Balestra, complice nella rettifica recata all’Unione Nazionale. Sotto questa terribile minaccia i due ragazzi organizzarono una fuga… Ma da questo punto si apre un altro periodo della storia di Gian Burrasca che vi racconterò un’altra volta.

Vamba

113


Qualcosa in più

Il giornalino di Gian Burrasca apparve per la prima volta a puntate su un giornale per bambini che si chiamava “Il giornalino della Domenica”. Il primo numero di questa rivista uscì il 24 giugno del 1906. Oggi per te è normale entrare in edicola o in libreria e trovare giornali e libri adatti a te: fumetti, riviste, storie di ogni tipo… Un tempo invece non era così. In Italia, le storie scritte per i “piccoli” erano poche: una delle prime fu Le avventure di Pinocchio, pubblicata a puntate a partire dal 1881. Più in generale gli adulti ignoravano i bisogni veri dei bambini: pretendevano da loro che fossero educati, che ubbidissero ai genitori, che rispettassero le regole, tutte cose giustissime, però non pensavano che, per esempio, i bambini hanno bisogno di amore e di attenzione, di stare con la mamma e il papà, di giocare, di fare amicizia, di sognare, di imparare, di andare a scuola.

114


Molti poi a scuola non ci andavano proprio ed erano analfabeti, cioè non sapevano né leggere né scrivere. Questo accadeva soprattutto nelle famiglie povere che abitavano nelle campagne: qui le scuole erano poche e i bambini spesso dovevano aiutare i genitori nel lavoro dei campi. La pubblicazione del “Giornalino della Domenica” fu quindi per l’epoca un evento straordinario: si trattava finalmente di un giornale pensato e scritto esclusivamente per i ragazzi dai sette ai quindici anni. Con il “Giornalino” collaboravano gli scrittori più famosi del tempo, vi si potevano leggere romanzi a puntate scritti per un pubblico giovanissimo, racconti e notizie di attualità. Vi erano illustrazioni colorate molto belle e c’era persino uno spazio nel quale venivano pubblicate le lettere e le fotografie dei lettori: qui i bambini avevano la possibilità di esprimere le loro opinioni e raccontare idee, sogni, desideri. Fu Vamba (il cui vero nome era Luigi Bertelli) a ideare “Il giornalino della Domenica”: egli amava scrivere per i più piccoli e pensava che con il giornalino i ragazzi si sarebbero divertiti e al tempo stesso avrebbero imparato… molto più che sui banchi di scuola (per chi ci poteva andare)! 115


Dentro la storia 1 Qual è il vero nome di Gian Burrasca? .............................................................................................. 2 Perché secondo te gli hanno dato questo soprannome? c Perché il giorno in cui è nato soffiava un vento fortissimo. c Perché è come la burrasca, un vento forte che distrugge tutto. c Perché corre veloce come il vento. 3 A lui piace essere chiamato Gian Burrasca? c Sì c No 4 Come descriveresti il suo carattere? Cerchia tre aggettivi. Sincero Timido Vigliacco Leale Creativo Fantasioso Curioso

Simpatico

Coraggioso Maleducato 116

Antipatico


5 Collega ciascuna marachella di Gian Burrasca con la sua… vittima! Viene accusata di essere cleptomane. Il suo cagnolino diventa… rosso!

la signora Matilde

Perde una causa importante in tribunale.

Vengono puniti dallo “spirito” del compianto Pierpaolo Pierpaoli.

il signor Stanislao e de la signora Geltru

la signora Olga

zia Bettina

In pochi minuti perde tutto ciò che ha di più caro: il gatto, il canarino, un bel vaso, un ricamo di seta e un tappeto persiano.

il Maralli

117


6 Dicono di lui‌ Scrivi il nome del personaggio che pronuncia le seguenti battute. con le isci mai he in f la n .c No te? Ma.. birbona dalla tasca? sce cosa ti e ........................... .... ................ Vattene, e non tornare ma i piÚ, capito? .................................................

ri rovine, alt re lt a e t n Hai in me i da compiere? cataclism ............................ .......... .................... I ragazzi n o nelle cose n devono impiccia rs che non p ossono ca i pire! B Sei la rovin irbante! a .................... di tutta la famiglia ! .................... .................... .....

118

arei intatto, ma d o n g se n o c ei Tenga: glielo che essere n o st o tt iu p a vit gnore, dieci anni di tto, povero si re st o c è e h i. panni di lei c r diversi giorn ...... a tenerlo pe .................. ........................... ... ... ... ... ... ... ... ... ...


7 Fra tanti… nemici, Gian Burrasca può contare su qualche vero amico. Chi è dalla sua parte? Colora i cartellini. il C ollalto Gigino il signor ra st le a B Venanzio Ezio il cuoco del M asi il prestigiatore collegio Morgan

la signora Geltrude

Tito Barozzo

8 Ma alla fin fine, il povero Gian Burrasca che cosa fa di male? Completa il suo pensiero con la parola corretta. Mi dite sempre che devo dire la ……………………, e poi, quando la dico, ve la prendete con me!

119


Indice

120

3 6 28 34 47 71 109

Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo

112

Nota dell’Autore

114 116

Qualcosa in piĂš Dentro la storia


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.