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CAVIA

Ed è così che, per secoli, gli scienziati si sono trovati a fare esperimenti su se stessi: a usare il proprio corpo per verificare le proprie teorie, provare nuovi trattamenti, verificare gli effetti di procedure o sostanze e, addirittura, per trasportare malattie da un continente a un altro.

NORMALE PRASSI

L’autoesperimento cioè è stata prassi fino a pochi decenni fa, la cosa più normale che un ricercatore potesse fare. Perciò la storia degli autoesperimenti è una storia potenzialmente infinita, piena di aneddoti da inquadrare ciascuno in un contesto diverso, ma concentrata nell’arco di tre secoli: dalla rivoluzione scientifica (cioè da quando anche la medicina diventa sperimentale) agli anni Ottanta del secolo scorso. Dopodiché i metodi della ricerca e le riflessioni della bioetica hanno condotto verso un nuovo rigore nella sperimentazione, con l’esigenza di grandi numeri, statistiche ed esperimenti riproducibili. E a fare esperimenti sul proprio corpo nel nostro mondo occidentale sono rimasti in pochi, come gli hacker che giocherellano nei meandri del dark web o qualche artista in cerca di visibilità.

Chiunque abbia avvicinato la medicina, per lavoro o anche solo per curiosità, si è imbattuto almeno una volta in una storia strana, un po’ folle, a volte decisamente splatter. Ma è una questione di prospettive, perché nella maggior parte dei casi quella stessa storia, all’epoca in cui si è svolta, era una storia normale o quasi: niente di che scriverci un libro. Questo strano effetto ottico sulla medicina deriva dalla rapida e costante evoluzione del suo pensiero e del suo rapporto con il resto della società. La medicina, cioè, è un sapere in continuo cambiamento, che ogni giorno scopre qualcosa di nuovo e aggiusta le proprie teorie, e che di continuo dialoga con noi e si confronta con i nostri bisogni, le nostre idee, le nostre identità. Che cambiano senza che noi ce ne accorgiamo. Ecco perché, a volte, a vederla soltanto “a pezzetti”, notizia per notizia, la scienza medica finisce per sembrarci un’arida successione di prescrizioni, di “fa bene” e “fa male”.

La realtà è che la storia della medicina è fatta anche (o forse soprattutto) di tante idee sbagliate, scoperte casuali, grandi luminari che litigano tra di loro e fanno lo sgambetto alle giovani promesse: è fatta di persone (quasi tutte, ahimè, di sesso maschile) alle prese con problemi che, ad aver fortuna, sono quelli giusti al momento giusto, e che comunque si possono affrontare solo con gli strumenti in quel momento a disposizione.

Per me, quindi, raccogliere un percorso sugli autoesperimenti è stato un modo per dare alla medicina un racconto di spessore e far vedere come le cose che oggi diamo per scontate siano state frutto di ricerche appassionate, a volte dolorose, e mai dallo svolgimento lineare. E il gioco, in un certo senso, è stato facile: si trattava di cercare i primati. Non solo i primati delle idee (“Chi ha inventato l’anestesia spinale?”, per esempio): anche i primati delle cavie (“Chi è stato il primo a essere sottoposto ad anestesia spinale?”). Se i due primati coincidevano, se colui che aveva pensato l’idea era anche quello sul cui corpo era stata provata, e se tutto questo era stato documentato in un articolo scientifico, il gioco era fatto: autoesperimento!

INCOSCIENTE (E NAZISTA)

Si scopre così che nel 1929 un ambizioso specializzando in chirurgia, tedesco, provò su di sé, nonostante il parere fermamente contrario del suo professore, il cateterismo cardiaco, tecnica con cui oggi salviamo ogni anno migliaia di vite di persone che hanno avuto un infarto o che potrebbero averlo presto. Fu un’impresa da incoscienti, realizzata con la complicità di un’infermiera innamorata e con strumenti del tutto inadeguati. Ma fu anche la dimostrazione che era possibile intervenire sul cuore senza aprire il torace, e che rivoluzione per la cardiologia!

Si scopre però anche che quell’ambizioso specializzando si iscrisse al Partito nazionalsocialista dei lavoratori, cioè il partito nazista, e che quello che ha fatto negli anni della Seconda guerra mondiale è assai poco chiaro. Di certo finì a fare l’urologo nella Foresta Nera e fu lì che si trovava quando, nel 1956, gli venne assegnato il premio Nobel.

CATETERISMO CARDIACO

NUOVE VIE PER IL CUORE

Lo scienziato tedesco Werner Forssmann (a sinistra): da giovane, sperimentò su se stesso la tecnica del cateterismo cardiaco (sopra), che permetteva di raggiungere il cuore senza aprire il torace. Vinse il premio Nobel nel 1956.

COLPA DI UNA ZANZARA

A destra, foto di un quadro che celebra Walter Reed (premio Nobel, al centro) per la scoperta che la febbre gialla è causata da un virus portato da una zanzara tropicale (sopra). Contrariamente a quanto pensano in molti, però, a farsi pungere per dimostrarlo non fu lui ma un suo collega.

FEBBRE GIALLA

A fine ’800 molti chirurghi erano tossicodipendenti

Ma a fin di bene: lo facevano per testare gli anestetici

Quell’ambizioso specializzando si chiamava Werner Forssmann e la sua è una delle storie più complesse della medicina moderna, piena di chiaroscuri e con un gran finale che all’epoca nessuno mise in discussione.

Oppure prendete la storia di Jesse Lazear, che in America è raccontata come la storia di Walter Reed. Nel settembre del 1900, Lazear si fece pungere da una zanzara portatrice di febbre gialla, e ne morì. Si trattava di verificare se la malattia, un vero flagello, fosse trasmessa dagli insetti e l’autoesperimento di Lazear era stato disegnato insieme a Reed, il suo capo, che dirigeva la commissione inviata a Cuba dal governo americano. Solo che di Lazear nessuno ricorda nemmeno il nome, e quello famoso, anzi famosissimo, è diventato Reed. Il quale, a dispetto di quanto si crede e si dice, non fece nessun autoesperimento: la notte prima del giorno di inizio dei lavori, se ne andò. Partì,

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