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EDITORIALE

GRAZIA EDITORIALE

LA DIRETTRICE DI GRAZIA SILVIA GRILLI

LA MIA NONNA E LE OLIMPIADI

Quando ero piccola e passavo le mie estati in una bellissima, ma bollente e spopolata cittadina della Romagna, le Olimpiadi erano un antidoto eccellente alla mia solitudine. Tutti i bambini della strada erano partiti per il mare, io invece rimanevo in casa davanti al televisore della nonna, la mia adorata Bice che mi preparava ogni pomeriggio il tè con i biscotti. Da allora, per me, le Olimpiadi evocano l’aroma di quelle merende, ma anche la rabbia che provavo nel vedere la nonna perennemente chinata a lavorare. Le vittorie delle campionesse olimpiche diventavano nella mia testa una specie di risarcimento per le fatiche di Bice, che io avrei voluto salvare dalla sua vita rassegnata. Da grande le mie intuizioni di bambina sono diventate consapevolezza femminista. So che anche guardare quelle gare mi ha aiutata a diventare la donna che sono e a dare a mia figlia nuove prospettive. Come scrive la storica Eva Cantarella, nel suo bellissimo saggio a pagina 31, l’idea della mancanza di competitività delle donne è stata forgiata nella Grecia antica per inchiodarci ai ruoli di riproduzione e cura dei bambini, dei vecchi, dei malati, della casa. Abbiamo dovuto aspettare il 1900, con la seconda edizione dei Giochi, per vedere consentita la partecipazione femminile. Oggi gli azzurri a Tokyo sono quasi pari: 171 maschi e 169 femmine. Ma molte sono ancora le sfide da vincere per le atlete, per esempio la paga identica agli uomini e il sostegno durante la gravidanza. Nello sport, come in altri settori, il mercato determina la parità economica. Un’atleta vale non solo per i risultati, ma anche per quanto riesca ad attirare gli sponsor. È per questo che abbiamo bisogno di campionesse che siano d’ispirazione alle ragazze di oggi e di domani, ma anche di più donne di potere nei luoghi dove si decide. Questo numero straordinario di Grazia è dedicato a loro, alle atlete e agli atleti che ci daranno il fremito di queste Olimpiadi e della vita che riparte. Ci faranno sentire i loro record e vedere un mondo migliore. Perché le Olimpiadi sono questo: impegno, rispetto, coraggio, realizzazione di sé, progresso del mondo, uguaglianza, pace, internazionalismo. E anche sogni più belli per le donne. Vero, nonna Bice? Ti vorrò sempre bene, nonnina mia.

Silvia Grilli

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LETTERE ALLA DIRETTRICE

Email di Antonella Carbone Cara Silvia, le scrivo in merito al suo editoriale “Il senso di un gesto” per dirle che l’Italia non è l’America. Non è necessario che i calciatori italiani si inginocchino sul campo di calcio contro il razzismo, perché noi non abbiamo massacrato, discriminato, violentato i neri come ha fatto l’America schiavista. Un caro saluto. «Cara Antonella, posso essere d’accordo con lei, anche se ho più di un dubbio sul fatto che nel nostro Paese non si discriminino i neri. Ma un gesto simbolico di tale importanza, come inginocchiarsi dopo l’Inno nazionale, lo si fa perché lo si condivide, non per solidarietà con la squadra avversaria. Ribadisco: in quel caso meglio non farlo, spiegando con chiarezza e fermezza le proprie ragioni. Però non inginocchiarsi mentre gli altri lo fanno sarebbe una scelta difficile, poco coreografica, andrebbe incontro a critiche. E allora è più facile e crea meno problemi cedere al conformismo».

Email di Elena Barioli Buongiorno, volevo segnalarle che uno shock mi ha colto quando ho letto la sua risposta. Che cosa intendeva ottenere quando ha paragonato l’episodio siciliano con la vicenda di Saman Abbas? Perché non potete condannare in modo assoluto un episodio gravissimo e la cultura che lo ha determinato, senza cercare sempre in qualche modo di stemperare i giudizi?

Email di Gianfranca Chittó Gentile Silvia Grilli, mi chiedevo, in merito alla risposta che ha dato alla lettera di una lettrice sull’omicidio di Saman Abbas, sul numero di Grazia del 17 giugno, se dobbiamo quindi aspettare altri 70 anni prima che in Pakistan, ma soprattutto in Italia, non si verifichino più uccisioni di ragazze da parte di genitori o parenti solo perché queste avrebbero scelto di vivere all’occidentale?

«Cara Elena, è totale la mia condanna del probabile omicidio di Saman (continuo a usare l’aggettivo “probabile” solo perché il corpo non è stato rinvenuto). Nessun settimanale quanto questo è sempre in prima linea nel condannare l’integralismo criminale che assassina i diritti

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umani ed espropria il corpo e il destino delle donne. Proprio per questo ho citato l’omicidio siciliano di 70 anni fa: il padre gettò la figlia sotto il treno cercando di cancellare l’onta al proprio tramandato senso dell’onore, dopo che il figlio maschio aveva abusato di lei e la ragazza era rimasta incinta. Succedeva da noi 70 anni fa e continua ad accadere in Italia in famiglie immigrate, che si portano dietro concezioni fuorvianti dell’onorabilità. Sullo scorso numero di Grazia abbiamo raccontato le nozze forzate di Hanane Chattabi, marocchina, costretta a 14 anni a sposare un amico del padre. Abbiamo scritto del suo percorso di liberazione dalla schiavitù e dalle violenze del marito, e del giorno in cui finalmente si è tolta il velo e ha cominciato a vivere. Cara Gianfranca, non so se dobbiamo aspettare 70 anni. So che dobbiamo aiutare queste ragazze a uscire dalla prigione in cui vivono. Un caro saluto a entrambe».

Email di Vanessa Pullo Questo senso di libertà mi è nuovo / Ho un’urgenza di vivere che prima ignoravo. La sensazione vivida di un momento in cornice / L’emozione che nasce ascoltando una musica e si connette al nostro udito / espandendo le sue frequenze / facendoci rabbrividire. Gli occhi che si posano sul cielo / alle striature di un tramonto / che non cessa mai / di farci sognare davanti ad un bicchiere di vino / come se fossi sempre al Faro di Portofino / Il vociferare allegro della gente intorno / e il sussurro nell’orecchio di quel ragazzo innamorato mentre stringe la mano alla sua amata / Le sue scarpe / rosse col tacco / e il mio sorriso beato. Allargo le narici sorpresa da un profumo di menta / Mentre un fascio di sole colpisce il cristallo e il solletico delle bolle nella bocca / diverte le mie papille / Senza l’oscurità la luce non ha senso di esistere / e forse in mancanza del dolore non potremmo capire l’amore / Nella speranza di poter dire addio ad un periodo / particolarmente difficile della nostra epoca / conservo ciò che può servire per un futuro che desidero immaginare migliore. «Grazie, Vanessa, per questo suo scritto sulle emozioni del ritorno alla normalità».

Email di Patrizio Pesce Senza turismo l’Italia rischia il collasso. Se siamo ancora in tempo, con tutti i mezzi (Ambasciate e Consolati compresi) bisogna far circolare la voce circa un’Italia accogliente verso i turisti stranieri, europei e non solo. E senza lacci e laccioli di documenti burocratici circa la salute, essendo questa un dato sensibile coperto dalla privacy. Al contempo si raccomandi self control e distanziamenti responsabili. Si spera che la stagione calda uccida il virus, ormai alla resa, senza condizioni. Così è sempre funzionato il mondo civile. Non cerchiamo di imbarbarirlo adesso consegnandolo alla dittatura sanitaria e a chi guadagna sulle disgrazie. «Caro Patrizio, se c’è un Paese che vive sul turismo è certamente il nostro. Dobbiamo garantire che i turisti vengano da noi e viaggino per l’Italia in sicurezza. In questo senso la certificazione verde europea Covid-19 permette di muoversi liberamente tra le regioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha sottolineato il ruolo essenziale di questo settore nella ripresa, ma ha affermato anche la necessità di renderlo più inclusivo, più sostenibile. Abbiamo bisogno di un turismo che protegga l’ambiente e le comunità locali. Dobbiamo però essere realistici. La pandemia non è finita, anche in considerazione delle nuove varianti del virus. Continuiamo ad applicare le misure di sicurezza necessarie per salvaguardare la nostra salute e quella degli altri. Un caro saluto».

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A cura di Lucia Valerio

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