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BETWEEN MILAN AND THE DIGITAL

LO SCIAMANO TUXAUA JOÃO SOFFIA LO YÃKOANA NELLE NARICI DI UN GIOVANE ALLA FINE DEL FESTIVAL REAHU, CATRIMANI, RORAIMA, 1974.

IL GIOVANE WAKATHA U THËRI, VITTIMA DEL MORBILLO, CURATO DA SCIAMANI E ASSISTENTI DELLA MISSIONE CATTOLICA, CATRIMANI, RORAIMA, 1976.

LookINg AROUND ExhibitionS

UNO SGUARDO DIVERSO

Da un’inedita collaborazione tra Fondation Cartier pour l’art contemporain e Triennale Milano, nasce un primo progetto espositivo, la mostra dell’attivista e fotografa brasiliana di origine svizzera Claudia Andujar sul popolo e la cultura degli Yanomami

OSPITE DECORATO CON PIUME DI FALCO E AVVOLTOIO PER UNA FESTA. FOTOGRAFIA IN SOVRAIMPRESSIONE, CATRIMANI, RORAIMA, 1974.

La Fondazione Cartier e la Triennale di Milano inaugurano una collaborazione che li vedrà partner nella realizzazione di mostre a Milano e a Parigi, con un’importante esposizione delle opere fotografiche dell’attivista brasiliana Claudia Andujar, in programma alla Triennale fino febbraio. Trecento scatti illustrano il percorso di avvicinamento di due culture diverse, affratellate da un lato dal bisogno di sostegno politico alla lotta per la sopravvivenza del popolo Yanomami, dall’altro dalla solidarietà culturale e umana, ben oltre una

DIAPOSITIVE DELLA PROIEZIONE AUDIOVISIVA, 1989/2018.

semplice e ottusa relazione da antropologi alla deriva, che la fotografa di origine svizzera ma naturalizzata brasiliana ha stabilito attraverso decenni di convivenza con questa popolazione. Tra di loro si erge l’inquietante e oscura figura dell’attuale presidente del Brasile, che ha più volte dichiarato pubblicamente la sua intenzione di far sparire dalla faccia della Terra il piccolo popolo degli Yanomani. O quanto meno dalle ricche (di materie prime e di fertili territori) foreste amazzoniche. Se il furto è ancora considerato materia per i tribunali, rubare le terre ai loro legittimi proprietari, legittimi in quanto da secoli parte di quel territorio, dovrebbe essere considerato un crimine da portare all’attenzione del mondo, qualsivoglia sia la cultura tradizionale di riferimento di questa popolazione. Cultura che va preservata e garantita da e contro qualsiasi ingerenza neo-colonialista. Infine, che dire del lavoro fotografico della Andujar? Troviamo indubbiamente un deciso tentativo di rinnovare un linguaggio fotografico, quello del reportage, che ha visto nel lavoro di Salgado una sorta di vertice emozionale. Tentativo, a mio giudizio, non sempre pertinente al soggetto rappresentato. L’estetica del dolore ha spesso contorni ambigui, che si riflettono forse in una ricerca di consenso più personale, meno dedicata all’importante tema di questo lavoro. La ricchezza di un nuovo linguaggio espressivo non dovrebbe mai, a mio parere, deviare troppo dalla chiarezza del riferimento ai suoi contenuti umani e culturali, che peraltro sovrastano di molto le pur buone intenzioni della fotografa. Come dire che il lavoro dell’autore ha forse un po’ oscurato lo straordinario impegno e lavoro dell’attivista, producendo un’immagine che si trova sospesa a metà tra le necessità di un’estetica della rappresentazione e la diretta documentazione della vita degli

Yanomami. ■ Maurizo Barberis

ANTÔNIO KORIHANA THËRI, GIOVANE SOTTO L’EFFETTO DELLA POLVERE ALLUCINOGENA YÃKOANA, CATRIMANI, RORAIMA, 1972-'76.

INTERNO DI UNA CASA COLLETTIVA NEI PRESSI DEL RIO CATRIMANI, RORAIMA, 1974.

CATRIMANI, RORAIMA, 1972-'76.

LookINg AROUND Exhibitions

1. ENIGMA-2019 DI FEDERICA MARANGONI. 2. AUTORITRATTOQUESTION-MARK-2020, NEON, VETRO E METALLO. 3. LEGGERE È UN RISCHIO, SIGN-NEON-ROSSO.

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La galleria milanese C|E Contemporary propone una rivisitazione dell’opera dell’artista veneziana Federica Marangoni, come una Wunderkammer della memoria

L’ENIGMA COME FORMA SIMBOLICA

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“Egli vedeva la vita come un enorme nodo che la morte scioglie; però considerava pure la morte come un nodo rifatto che la nascita scioglieva a sua volta; il sonno era per lui il doppio nodo; lo scioglimento completo del nodo stava secondo lui nell’eternità che trovasi al di fuori della vita e della morte...” (Giorgio de Chirico, Ebdòmero). Enigma è parola ambigua che trova memoria soprattutto nel destino di Edipo, mito molto celebrato nell’arte dell’Otto e del Novecento, e caro ai simbolisti, rappresentato da De Chirico in due famosi dipinti, L’Enigma dell’ora e Edipo e la Sfinge. Il riferimento non è alla memoria di un oscuro passato e neppure alla preveggenza di un possibile futuro, bensì all’idea del viaggio finale che ci attende e della ragione ultima della nostra presenza nel mondo. Domanda che atterrisce gli animi di quanti pensano alla vita come a una casuale concatenazione di eventi micro-atomici. Federica Marangoni, protagonista di una mostra curata da Viana Conti e Christine Enrile, non sembra affatto intimidita dalla questione e affronta il tutto con vigoroso cipiglio veneziano, traslando fatti e concetti da mondi lontani e

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1. LIGHT, FERRO E NEON. 2. ARTIFICIO, 2020. VETRO E NEON. riproponendoli in un sapiente metissage che combina Freud, Jung, Escher e i roghi di Farenheit 451. Il risultato sorprende e la memoria si fa concreta rivisitazione di esperienze passate, trasformando in immagine la materia del ricordo. L’affermazione vagamente apodittica che campeggia sull’opera, dominata dalla rossa luce di un neon, ci

invita perentoriamente a riconsiderare la lettura come una forma di attività particolarmente rischiosa. Il che è voluttuosamente vero, come appare dall’indice dei cataloghi delle maggiori case editrici, e dal livello incredibilmente modesto del comune sentire, appiattito dall’uso smodato dei media informatici. Ma il senso che Federica dà all’apodittica affermazione è un diretto j’accuse nei confronti di un metafisico e orwelliano potere che sembra temere sopra ogni altra cosa la carta stampata. Acqua passata, or non è più. Il cuore della mostra è viceversa dato, a mio parere, da un piccola scatoletta a forma di casa, sostenuta da un trespolo di metallo e sormontata da un foro a forma di buco della serratura, allusione, forse, al sesso femminile, e probabile citazione di un’opera famosa di Duchamp conservata a Filadelfia. Poggiando l’occhio sulla fessura sorprende lo sguardo un gioco di specchi che rimanda all’infinito la semplice forma della casetta, ma, ben più performante, la scritta, di freudiana memoria, Unheimliche. Parola che viene tradotta normalmente come perturbante o spaventoso, e nasconde in sé il termine Heimliche, segreto. Dunque lo

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spaventoso è un segreto svelato e rimosso. Edipo diviene cieco. Lo svelamento di un segreto, di un desiderio celato, nel caso di Edipo l’incesto, porta a galla lo spaventoso e la necessaria conseguenza di una cecità che presuppone uno sguardo lontano dal mondo, dal mondo degli uomini. Metafisica, appunto. ■

Maurizio Barberis

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