Focus Storia n.148 - Febbraio 2019

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

n°148

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Febbraio

DA CESARE A NAPOLEONE, DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE A QUELLA RUSSA, PERCHÉ LE COSE SUCCEDONO (ALMENO) DUE VOLTE

QUANDO LA STORIA SI RIPETE

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LISBONA KO

COME UN TERREMOTO DISTRUSSE LA CITTÀ. E TANTE CERTEZZE.

IL LEONE SVEVO

LA SCALATA AL POTERE DI MANFREDI, IL RE CHE SFIDÒ BEN TRE PAPI.

CHE BARBA!

VIRILITÀ, SAGGEZZA, FORZA: TUTTI I MESSAGGI SCRITTI IN FACCIA.


Febbraio 2019

focusstoria.it

Storia

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ittature, crac economici, “uomini forti” che prendono il potere, sfide fra superpotenze: niente di quello che accade oggi suona nuovo. Segno che la Storia è scivolata nei secoli proponendo sempre le stesse ricette? Il filosofo Gian Battista Vico sosteneva che la Storia ha un andamento ciclico, gli eventi dunque tendono a ripetersi in un susseguirsi di “corsi e ricorsi”. Tesi che non trova d’accordo tutti gli studiosi ma, dibattito a parte, resta l’evidente incapacità, tutta umana, di fare tesoro degli errori del passato. Di fronte alle sfide del futuro siamo disarmati perché, come spiega lo storico Franco Cardini, «i “gruppi umani”, fin dalla notte dei tempi, fanno sempre e comunque le stesse cose». Vediamoli, dunque, questi corsi e ricorsi. Il nostro dossier vi racconterà come i pregiudizi, da sempre, condizionino anche le politiche di uno Stato; come ci si infili in una grave crisi economica, e se ne esca; come ci si affidi a persone carismatiche ma troppo ambiziose, e se ne paghino le conseguenze. Emanuela Cruciano caporedattore

RUBRICHE 4 FLASHBACK 6 LA PAGINA DEI LETTORI

8 NOVITÀ & SCOPERTE

11 TECNOVINTAGE 12 MICROSTORIA 71 RACCONTI REALI COVER: GRZEGORZ PĘDZIŃSKI

72 COLD CASE 74 DOMANDE & RISPOSTE 110 FOTO FATTO 112 AGENDA

MONDADORI PORTFOLIO

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CI TROVI ANCHE SU:

In copertina: Giulio Cesare e Napoleone.

IN PIÙ...

14 IlANTICHITÀ triumviro nababbo

Come Crasso si alleò con Pompeo e Cesare e affondò la Repubblica.

Mussolini e Hitler nel 1937: due uomini “forti” che scatenarono l’inferno.

COSTUME 20 Che barba!

Credo religioso, ceto sociale: i significati della barba.

26 IlMEDIOEVO leone di Svevia

Manfredi, il figlio illegittimo dello Stupor mundi che diventò re.

GLI EVENTI STORICI SI RIPETONO? 34 50

Corsi & ricorsi

Il primo crac finanziario

La Storia è “maestra di vita” e ci aiuta a non fare sempre gli stessi errori? Lo abbiamo chiesto allo storico Franco Cardini.

Nel Medioevo le grandi famiglie fiorentine prestavano soldi ai sovrani d’Europa. Ma nel XIV secolo ci fu un grosso tracollo.

38 Potenze in trappola

54 Sono io l’uomo forte

Quando un Paese emergente insidia una superpotenza, 75 volte su 100 scatta la “trappola di Tucidide” e scoppia una guerra.

Cesare fu il primo. E da allora molti “cesaristi” hanno sedotto le masse promettendo di risolvere da soli crisi e disordini.

42 Le età dell’oro

60 Da un regime all’altro

In certi periodi e in alcuni luoghi si sono create condizioni eccezionali grazie alle quali alcune civiltà hanno vissuto il loro apogeo.

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Amici-nemici

Efficienti loro, creativi e inaffidabili noi. I luoghi comuni su tedeschi e italiani hanno sempre influenzato i rapporti tra i due Paesi.

Come si conclude una rivoluzione? Non tutte nello stesso modo: alcune con la dittatura altre con un governo più democratico.

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La caduta degli imperi

Quali sono i fattori (politici, economici e non solo) che concorrono alla morte di una civiltà? E il fenomeno è inevitabile?

CULTURA 76 Gertrude Stein

Scrittrice, poetessa e musa: la vita di un’americana a Parigi.

SETTECENTO 82 Sisma filosofico

Le conseguenze del terremoto di Lisbona del 1755.

NOVECENTO 88 Jan Palach

Il giovane che, nel 1969, si dette fuoco per protesta contro i carri armati sovietici.

92 IARTEsurrealisti

Sogno e realtà nelle opere di questi artisti dei primi del ’900.

STORIE D’ITALIA 98 Irriducibile

Il sacerdote emiliano che si scontrò con i giacobini (1796-1799).

GRANDI TEMI 102 Prove di

Olocausto

Nel 1904 la Germania sterminò 100mila indigeni africani. 3

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NEMICI

PRIMO PIANO

Loro precisi ed efficienti. Noi creativi ma inaffidabili. I luoghi comuni sulle differenze fra tedeschi e italiani hanno influenzato ciclicamente i rapporti fra i due Paesi.

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ermania e Italia continuano a “prendersi” poco. Gli italiani invidiano l’efficienza e la solidità dei loro alleati nella Nato, nonché co-fondatori del progetto di unificazione europea, ma niente altro. D’altro canto i tedeschi, che pure amano l’Italia, fanno fatica a entrare in sintonia con i suoi abitanti. Eppure, tra i due popoli la frequentazione è di vecchia data, almeno quanto la ricorrente rivalità. Nel Medioevo Italia e Germania facevano parte dello stesso impero. Certo, il sovrano era tedesco, ma il Belpaese con le sue città, i mercanti, i banchieri, gli artisti e i letterati, era la locomotiva d’Europa. Non per niente Teodorico, re degli Ostrogoti, nel V secolo disse: “Un barbaro di successo vuol essere un romano; solo un povero romano vorrebbe essere un barbaro”.

IL DISPREZZO DI LUTERO. A incrinare i rapporti fu sicuramente la decadenza conosciuta dall’Italia dopo il Cinquecento, a causa della dominazione straniera. Ma di certo 44

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Scontro epocale

INTERFOTO/ALAMY/IPA

AMICI

SCALA

Nel quadro La battaglia di Legnano (29 maggio 1176), dipinto nel 1831, è rappresentato il Carroccio. Si trattava di un grande carro intorno al quale si raccoglievano e combattevano le milizie dei Comuni medievali. Lo scontro tra i Comuni e l’Impero Germanico fu reinterpretato in chiave indipendentista nel Risorgimento. Sopra, Federico Barbarossa (1122-1190), imperatore del Sacro Romano Impero.


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PRIMO PIANO

a un regime all’altro

a cura di Federica Ceccherini e Riccardo Michelucci

I Khmer rossi entrano a Phnom Penh, il 17 aprile del 1975. Ha inizio il regime comunista di Pol Pot in Cambogia.


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l grande avvenimento del Ventesimo secolo è stato l’abbandono dei valori della libertà da parte dei movimenti rivoluzionari”, lo affermò, suscitando un certo scalpore, lo scrittore francese Albert Camus nel 1951. La frase, apparsa in uno dei suoi saggi più noti (L’uomo in rivolta), scatenò la polemica con un altro intellettuale dell’epoca, Jean-Paul Sartre. Quella di Camus era una provocazione politica, riferita al contesto sovietico. Sul piano storico è però indubbio che la

sospensione della libertà non sia stata una prerogativa dei soli rivoluzionari del ’900. Anche nei secoli precedenti molte sommosse si sono trasformate in dittature, basti pensare alla Guerra civile inglese della metà del ’600 e al Terrore giacobino nel XVIII secolo. Ma se è vero che i movimenti rivoluzionari hanno spesso prodotto regimi tirannici basati sulla repressione, vi sono stati molti altri casi in cui le sollevazioni hanno favorito la nascita di Stati democratici.

Non tutte le rivoluzioni si sono concluse nello stesso modo. Alcune hanno portato a dittature altre a governi democratici e liberali.

«Poiché ciascuna rivoluzione ha bisogno di stabilizzarsi, la scelta di una soluzione autoritaria può maturare a seconda degli obiettivi generali e del singolo contesto politico», afferma Simone Neri Serneri, docente di Storia contemporanea all’Università di Firenze. «La tirannia divenne per esempio funzionale alla stabilizzazione nel caso della Rivoluzione bolscevica, che attraversò una molteplicità di conflitti interni ed esterni. Ma non è possibile stabilire un nesso causale tra dittatura e rivoluzione, tanto che la maggior parte degli Stati autoritari non sono nati da sollevamenti e rivolte».

CONDIZIONAMENTI. Esemplare fu l’ascesa in Cambogia dei Khmer rossi di Pol Pot, i militanti del partito comunista, che nel 1968 facevano parte dell’Esercito popolare vietnamita. Quella cambogiana fu una delle dittature più sanguinarie del ’900, instaurata il 17 aprile 1975, poco prima della fine della guerra in Vietnam. «A fare la differenza non è soltanto l’ideologia assolutistica delle classi dirigenti rivoluzionarie. Pesano molto anche i contesti interni dei singoli Paesi», prosegue Neri Serneri. «La libertà che scaturì dalla Rivoluzione americana dipese dalla cultura dell’Illuminismo che era già stata assimilata dagli Stati Uniti del ’700. Al contrario, la Russia sovietica nacque dopo il regime zarista, in un Paese privo di alcuna esperienza liberale o parlamentare. Anche le recenti “primavere arabe” hanno avuto quasi tutte un esito autoritario perché quei Paesi non dispongono ancora di una cultura politica democratica e la società civile non è riuscita a darsi solide regole di convivenza e mediazione». Gli esiti della rivoluzione possono essere poi motivati da interventi esterni. Per esempio quella iraniana (19781979), inizialmente non ebbe sviluppi autoritari ma poi la situazione precipitò per l’aggressione da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, che avvantaggiò i radicali con l’avallo degli Usa. Insomma, quel processo intento a rovesciare le istituzioni al potere e a instaurare un nuovo ordine sociale, chiamato “rivoluzione”, nella Storia non sempre si è concluso nello stesso modo: a volte ha portato a una svolta autoritaria, altre volte a riforme o a governi democratici. Nelle pagine successive gli esiti di alcune delle rivoluzioni più importanti. • 61

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CULTURA Scrittrice, mecenate e musa di Picasso, Gertrude Stein fu un’anticonformista con una passione sfrenata per le avanguardie artistiche del XX secolo.

UN’AMERICANA

A PARIGI

76

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ARCHIVE PL / ALAMY / IPA

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Parigi, nei primi anni del Novecento, le visite del sabato sera al numero 27 di Rue de Fleurus erano un appuntamento culturale e mondano imperdibile. I padroni di casa, i fratelli Gertrude e Leo Stein (lei scrittrice e poetessa, lui critico d’arte), aprivano le porte alle penne più brillanti e offrivano il meglio della produzione artistica del momento: acquerelli di Cézanne, quadri di Henri Matisse, tele di Auguste Renoir, André Derain e Georges Braque. Il piatto forte? Troneggiava sopra il letto della padrona di casa: il suo ritratto, firmato nel 1906 da Pablo Picasso e riconosciuto dagli storici dell’arte come il primo passo dell’artista verso lo stile cubista. Lo spagnolo non fu l’unico a trovare ispirazione nei lineamenti poco convenzionali della modella: Gertrude Stein è stata fotografata o ritratta da numerosi artisti. Cosa aveva di speciale? Il fascino dell’intelligenza, della cultura e della libertà di pensiero, che la resero musa ispiratrice delle avanguardie artistiche e letterarie di quegli anni.

Gruppo di famiglia in un interno

GETTY IMAGES

Gertrude Stein (a destra) e la compagna Alice B. Toklas ritratte nel famoso salotto della loro casa parigina (1940): alla parete, un Cézanne e un dipinto cubista. In alto a destra, la Stein sulla copertina della rivista Time nel 1933.

SENZA LIMITI. Nata nel 1874 ad Allegheny, Pennsylvania, da due ebrei tedeschi, Daniel e Amelia Keyser Stein, Gertrude rimase orfana della madre a 11 anni, del padre a 17. Da lui, un dirigente delle ferrovie che portò la famiglia a vivere prima a Parigi e poi a Vienna, Gertrude ereditò la natura cosmopolita e l’amore per la conoscenza. Eppure non lo amò mai, al punto da sintetizzare così la sua perdita: “Poi cominciò una nuova vita senza nostro padre. Una vita molto piacevole”. 77

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NOVECENTO Cinquant’anni fa, Jan Palach si diede fuoco per protestare contro i carri armati che soffocarono la “Primavera di Praga”. Dopo di lui, arsero altre sette vittime.

IL FUOCO

GETTY IMAGES

DELLA RIVOLTA


avrebbe visto nascere due repubbliche: la Ceca e la Slovacca. Sarebbe stata questa l’unica riforma sopravvissuta a quella stagione, anche se per trasformarla in realtà si dovette aspettare il crollo del comunismo nel 1993. Iniziata il 5 gennaio 1968, la “Primavera di Praga” durò fino al 20 agosto, giorno in cui i soldati del blocco sovietico entrarono nella capitale. Qualche anno prima era toccato all’Ungheria: nel 1956 la rivoluzione antisovietica fu soffocata dai carri armati dell’Armata Rossa.

L’INVASIONE. Jan Palach, iscritto a Filosofia e studioso di Storia, come tanti aveva seguito con partecipazione il riformismo del presidente Dubcek. E

Reagite!

A sinistra, Jan Palach che all’epoca del suo gesto estremo studiava filosofia. Sullo sfondo, Piazza San Venceslao, in uno scatto del 1989, anno in cui crollò il regime comunista. Fu in questa piazza, nel centro di Praga, che lo studente si diede fuoco.

AFP/GETTY IMAGES

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orire a 20 anni. Per la libertà. Un gesto potente, eroico, degno di un film ma tristemente vero. Il 16 gennaio 1969 un ragazzo cecoslovacco decise di darsi fuoco, “come i monaci buddhisti in Vietnam per protestare contro quel che succede qui”. Così disse ai medici che l’accolsero in condizioni disperate all’ospedale di Praga. Ma che cos’era successo? La sua città era stata invasa dai carri armati del Patto di Varsavia, che avevano messo fine alla stagione di libertà sbocciata con le riforme del governo di Alexander Dubcek (1921-1992). Riforme che andavano dall’economia alla libertà di stampa, all’assetto politico del Paese che

visse con uno sconforto inconsolabile la fine di quel sogno. In particolare rimase scioccato quando un soldato russo rispose alle sue invettive dicendo che gliela avevano portata loro la libertà, con quei carri armati, come avevano fatto 12 anni prima a Budapest. Da quel momento il suo desiderio di fare qualcosa di concreto per svegliare le coscienze del suo Paese, che pareva rassegnato a subire, divenne un’ossessione. Che lo condusse a quel drammatico gesto finale. Il pomeriggio del suicidio, dopo essere arrivato in piazza San Venceslao, Jan depose il suo zaino lontano da sé, si cosparse il corpo di benzina versandola da una tanica, e si diede fuoco con un accendino. Nello zaino furono trovati tutti i suoi appunti, gli articoli, le lettere, fra cui quella resa pubblica come atto di denuncia. Palach resistette per tre giorni, poi quel che restava del suo corpo quasi totalmente divorato dalle fiamme cedette. Prima di chiudere gli occhi volle sapere se il governo avesse accettato qualcuna delle sue richieste. Nessuna. Le istanze erano in una lettera che non solo rivendicava il suo suicidio, ma ne annunciava altri. “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per questa causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la messa al bando della diffusione di Zpravy (Notiziario delle forze di occupazione sovietiche, ndr). Se le nostre richieste non saranno accolte entro 5 giorni e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”. E così fu: poco dopo un altro giovane, Jan Zajíc, si diede fuoco, fedele all’impegno di morte deciso dal gruppo cui appartenevano i due studenti.

TORCE UMANE. Imitando i monaci buddhisti vietnamiti (v. riquadro nella pagina successiva), il gruppo studentesco aveva infatti deciso di darsi fuoco pubblicamente, stabilendo per estrazione i nomi di chi si doveva sacrificare. Palach fu il primo, e il suo gesto fece il giro del mondo. Poi fu la volta di Jan Zajíc: si diede fuoco il 25

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I GRANDI TEMI LE GUERRE HERERO

PROVE GENERALI DI

OLOCAUSTO

MONDADORI PORTFOLIO/AKG

Nel 1904, ben prima dei campi di concentramento nazisti, la Germania sterminò 100mila indigeni africani.


si aprirono un varco per scappare nel deserto di Omaheke. Ma furono braccati e sterminati senza pietà dalla cavalleria del Secondo Reich il cui motto era “ripulire, impiccare, fucilare fino a quando non saranno spariti tutti”. E quelli che non furono uccisi subito – perlopiù donne e bambini – vennero rinchiusi in campi di concentramento dove, in nome dell’igiene razziale, furono impiegati come cavie per esperimenti letali. Tre anni dopo, nel 1907, il bilancio di quell’orrore parlava di circa 100mila morti, pari all’80% della popolazione Herero e al 50% dell’etnia Nama.

TRISTE PRIMATO. Intenzionale, unilaterale, sistematico e rivolto a un gruppo ben definito: sono queste

le caratteristiche che deve avere un massacro per diventare, secondo il diritto internazionale, un genocidio. E lo sterminio avvenuto in Namibia all’inizio del XX secolo, lo è stato a tutti gli effetti, anche se dimenticato per decenni. Solo nel 1985 un rapporto delle Nazioni Unite l’ha inserito tra i primi genocidi del Novecento. «Nelle colonie africane si verificarono spesso insurrezioni contro le dominazioni europee, ma soltanto in Namibia la rivolta si trasformò in un genocidio», spiega lo storico Marcello Flores. «La causa principale fu l’amministrazione coloniale tedesca, che confiscava le terre ai nativi riducendoli in schiavitù. Il tutto aggravato dall’idea che esistessero razze inferiori che non meritavano neanche di vivere».

BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO

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uella che venne combattuta l’11 agosto 1904 sull’altopiano del Waterberg, in Namibia (che da fine Ottocento era una colonia tedesca), non fu una battaglia ma un massacro. Le tribù native degli Herero e dei Nama, insorte da mesi contro il dominio tedesco nella regione, attendevano fiduciose nei loro accampamenti l’avvio di negoziati di pace. Ingenuamente avevano commesso l’errore di deporre le armi in cambio di una promessa: avere salva la vita. Così le truppe tedesche, al comando del generale Lothar von Trotha, accerchiarono su tre lati le tribù radunate in un villaggio e compirono una strage a colpi di mitragliatrice. I pochi sopravvissuti

Al massacro

Le truppe coloniali tedesche attaccano gli Herero durante la battaglia di Onganjira del 1904. Nell’altra pagina, a sinistra, il generale Lothar von Trotha. 103

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