3 AGOSTO 2019 d TRIMESTRALE
N.34 d OTTOBRE 2019
SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI
250 ANNI FA NASCEVA IN CORSICA L’UOMO CHE AVREBBE SCONVOLTO L’EUROPA
ALESSANDRO L’armata macedone che nel IV secolo a.C. conquistò il mondo
NAPOLEONE CON LUI LA GUERRA NON FU MAI PIÙ LA STESSA
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
€ 6,90
I PONTIERI
ABBASIDI
CENTRO NATO SFA
Il 2° reggimento del Genio e le sue imprese
Un esercito, una bandiera nera, le mille e una notte
A Cesano si prepara la Security Force Assistance
NAPO
PRIMO PIANO
L’IMPERATORE
Il ritratto che gli fece Ingres mostra Napoleone (Ajaccio, 15 agosto 1769-S. Elena, 5 maggio 1821) a 37 anni, nelle vesti di Giove olimpico, con le insegne imperiali (le api e l’aquila) e le regalie, la mano di Giustizia e la spada ispirata alla Gioiosa, l’arma leggendaria di Carlo Magno.
LEONE FU COSÌ
?
GRANDE A 250 ANNI DALLA SUA NASCITA, CI CHIEDIAMO ANCORA CHI FU IL GENERALE BONAPARTE E QUALI FURONO LA GRANDEZZA E I LIMITI DELLA SUA ARTE DELLA GUERRA di Gastone Breccia
L’
Europa del XVIII secolo amava le regole, la capacità della ragione umana di dominare il mondo in tutti i suoi aspetti. Anche la guerra era stata trasformata in un sistema geometrico: logistica accurata, fortezze, assedi ed eserciti professionali dipendenti da depositi e magazzini. Un equilibrio tra uso della forza militare e perseguimento di scopi politici che sembrava destinato a durare. Non fu così: sotto l’ordine dell’Illuminismo ribollivano le aspettative di classi sociali fino ad allora emarginate, le rivendicazioni di popoli che cercavano un’identità collettiva autonoma dagli interessi delle dinastie regnanti. Jacques-Antoine-Hippolyte de Guibert, in una pagina del suo trattato Difesa del sistema della guerra moderna (1779), aveva profetizzato l’avvento di “un uomo, forse fino ad oggi perso nell’oscurità della folla”, che avrebbe “preso il controllo delle opinioni, delle opportunità e della fortuna” e sfruttato la dirompente energia delle masse per rovesciare il vecchio ordine del mondo. Sedici anni dopo – il 13 vendemmiaio dell’anno quarto della Rivoluzione francese, 5 ottobre 1795 – un simile personaggio si impose all’attenzione di Parigi, e presto dell’Europa intera, disperdendo con una scarica di mitraglia una folla di sediziosi: Napoleone Bonaparte,
un oscuro ufficiale di artiglieria còrso, fisicamente insignificante ma dotato di un carattere di ferro, di un’ambizione smisurata e una fiducia in se stesso ben oltre i limiti razionali suggeriti dalla sua educazione settecentesca. La guerra, il caso, il genio. “Il genio è quella dote naturale capace di dare una regola all’arte […] è il talento di creare qualcosa per cui non può essere stabilita alcuna regola determinata” (Immanuel Kant, Critica del giudizio). Sono parole emblematiche, che segnano il passaggio filosofico dall’età della ragione a quella del sentimento, dell’imponderabile, del caso dominato dall’ispirazione. Napoleone le fece proprie alla lettera: la guerra, si legge in una delle sue Massime, “è fatta da nient’altro che accidenti; pur tenendone a mente i principi generali, un generale non dovrebbe mai perdere di vista tutto ciò che può consentirgli di trarre profitto da questi accidenti: questo è il segno del genio”. Si sono scritti volumi sulle capacità militari di Napoleone, giudicato da alcuni un maestro dell’arte della guerra, stratega audacissimo e tattico dotato di un colpo d’occhio fenomenale, da altri un fortunato massacratore di eserciti, colpevole nel lungo periodo di non aver saputo adeguare le risorse disponibili ai propri obiettivi politici. 11
NAPOLEONE LA GRANDE ARMÉE
I SOLDATI
DI BONAPARTE
LA LEVA IN MASSA, LA MOTIVAZIONE, LA POSSIBILITÀ DI ELEVARSI SOCIALMENTE FACEVANO DI QUESTI UOMINI IL MIGLIOR ESERCITO D’EUROPA, PRONTO A BATTERSI PER L’A MBIZIONE DI UN SOLO UOMO
di Giorgio Albertini
gna, sotterrare. Una quantità che ci mostra con chiarezza qual era la vera forza di quel mondo. La scalata. Sembrerà una banalità, ma il mondo napoleonico si basava sull’esercito. La forza di un impero mondiale come quello di Napoleone Bonaparte poggiava saldamente sulle gambe di quella moltitudine di soldati, su quell’armata di popolo consapevole e, per la maggior parte, orgogliosa della propria rilevanza. “Con questi uomini e un tale spirito nessuna forza, né potenza, potevano resistere. Se il nemico fosse stato anche dieci volte più numeroso, sarebbe stato schiacciato allo stesso modo”.
AD AUSTERLITZ
Reenactment della battaglia di Austerlitz. Si distinguono i granatieri della Guardia, con il colbacco di pelo e placca d’ottone.
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GETTYIMAGES
Q
uando Napoleone Bonaparte nel 1812, all’apice della sua parabola di condottiero, si apprestava a invadere la Russia, se avesse voluto guardare in faccia i suoi soldati, avrebbe avuto di fronte circa un milione e 200.000 uomini; un numero immenso di soldati abbigliati in colori sgargianti, quasi un decimo della popolazione europea di allora (senza contare la Russia ovviamente), con pochi paragoni nel corso della storia precedente. Un vastissimo gruppo di uomini da vestire, armare, sfamare, rifornire, acquartierare, retribuire, disciplinare, curare e, alla biso-
LE GUERRE DEL MEDIOEVO
SOTTO LA BANDIERA DELL’ISLAM I CALIFFI OMAYYADI E ABBASIDI DOMINARONO UN TERRITORIO CHE ANDAVA DAI CONFINI DELL’INDIA ALLA SPAGNA. A RACCONTARCI LE LORO GUERRE ANCHE NOVELLE INSOSPETTABILI
di Raffaele D’Amato
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ESERCITI DELLE
MILLE E UNA NOTTE
Che cosa c’è dietro una bandiera nera
LA CITTÀ DEL CALIFFO
Minareto a spirale della grande moschea di Samarra, capitale abbaside fra l’836 e l’892. Fondata da Al-Mutasim sulla sponda orientale del Tigri, venne abbandonata quando la capitale fu riportata a Baghdad.
SOLDATO DI FANTERIA ABNA Nella Baghdad dell’850 questo soldato faceva parte della fanteria d’élite (abna) dell’esercito del califfo al-Mutawakkil. Abiti ed equipaggiamento riflettono le origini arabokhorasanite della sua unità. Sotto il turbante indossa un elmo (khud) iraniano in ferro e bronzo, mentre il corpo è protetto da una corazza lamellare (tannür) e dalla maglia di ferro. Oltre alle sue armi, impugna uno stendardo abbaside con le scritte del Corano, attaccato a un’asta dalla punta (taraf) in ferro, un ampio scudo di legno e vimini di tradizione orientale o iraniana, con la sola differenza che gli scudi abbasidi erano spalmati sulla fronte da bitume.
L’
esercito abbaside innalzava vessilli neri. Le scritte che comparivano sui loro stendardi sono le stesse che ritroviamo oggi sulle bandiere dell’Isis. Riproducevano la prima e la seconda parte della Shahadah (la testimonianza di fede del musulmano) e cioè i versi “ilàha illa Allàh” e “Muhammad rasùl Allàh”: “Non c’è altro Dio che Allah” e “Maometto è il suo profeta”. L’inizio dell’Egira. Lo stendardo nero (in arabo ar-rāyat as-sawdā), conosciuto anche come “bandiera dell’Aquila” (alrāyat al-’uqāb) o come “la bandiera” (ar-rāyah), fu uno dei vessilli innalzati da Maometto all’inizio dell’ Ègira . Venne ripreso da Abu Muslim nella sua insurrezione che portò al potere la dinastia abbaside, nel 747, ed è storicamente associato al califfato abbaside. Poiché, tuttavia, divenne anche un simbolo dell’escatologia islamica (per “escatologia” si intende la dottrina che preannuncia l’avvento del Mahdi, l’ultimo difensore dei credenti, il quale giungerà con Isa – Gesù – a sconfiggere le forze dell’Anticristo) è stato riutilizzato dalla jihad, la “guerra santa” combattuta dai terroristi, sin dagli anni ’90. Una variante è quella usata dall’Isis (l’acronimo sta per “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”). Ègira. L’abbandono della Mecca da parte di Maometto e il suo trasferimento a Medina (622 d. C.), avvenimento decisivo per le origini dell’Islam. Da qui inizia l’era musulmana.
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REPARTI E ORGANIZZAZIONI
MISSIONE IL DIRETTORE
CORTESIA NATO SECURITY FORCE ASSISTANCE
Sopra, il colonnello Franco Merlino, direttore del Centro di Eccellenza Security Force Assistance (SFA COE) di Cesano. Foto grande, un soldato della KFOR NATO di guardia all’aeroporto di Pristina (2008).
PEACE-KEEPING LA SICUREZZA, LA FORZA, LA PACE : ECCO PER COSA LAVORA IL CENTRO NATO DI SECURITY FORCE ASSISTANCE DI CESANO, UN’ECCELLENZA ITALIANA di Beatrice Veglianti - LUISS, Roma
A DOVE SI STUDIANO GLI SCENARI INTERNAZIONALI
Il colonnello Franco Merlino, direttore del Centro di Eccellenza per la Security Force assistance (NATO SFA COE) di Cesano, interviene nella sala conferenze del NATO Defence College.
eroporto di Pristina, Kosovo, alba di un giorno d’estate. Un C-130 della 46a Aerobrigata finisce di rullare lungo la pista lucida di pioggia. I ragazzi della LUISS si preparano a mettere piede a terra: hanno dormito poco, hanno salutato i loro familiari molto prima del sorgere del sole, ma l’eccitazione per l’esperienza che li aspetta li tiene svegli e allegri. Salgono sui VM-90; un blindato scorta il piccolo convoglio fino alla base militare italiana di Belo Polje, una quindicina di chilometri a nordest della città. Le cicatrici della guerra sono ancora ovunque, fin troppo evidenti. Villaggio Italia è la base delle operazioni della Kosovo Force West, di cui fanno parte militari di Italia, Austria, Slovenia e Moldavia, a sua volta inquadrata nella Kosovo Force (KFOR) della NATO, il contingente internazionale che opera in quest’area dal 12 giugno 1999. Su mandato delle Nazioni Unite, la KFOR agisce per ristabilire l’ordine e la pace nella regione della ex Iugoslavia a maggioranza etnico-linguistica albanese, sconvolta dalla guerra iniziata nel 1996. Il Kosovo ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. L’Italia è tra i Paesi più coinvolti nella soluzione della crisi kosovara per evidenti ragioni sia storiche che geografiche. Pristina è nel cuore della penisola balcanica, ma da Bari la separano meno di 400 km in linea d’aria: guerra in Kosovo significa guerra ai nostri confini, aggravata da questioni religiose e da possibili infiltrazioni del terrorismo islamico globale: una possibilità che va scongiurata a tutti i costi. Un ponte tra i militare e i civili. Nelle aree in crisi ciò che viene subito a mancare è la sicurezza. Quando intervengono le missioni di peace-keeping militari di tanti Paesi diversi si ritrovano catapultati in una nazione i cui usi e costumi sono diversi dai loro. Come ci si rapporta con la popolazione? Come si interagisce con le forze di polizia o con i militari locali? Come si affiancano gli operatori internazionali? L’obiettivo comune è quello di soccorrere e ricostruire, certo, ma per farlo occorre agire di concerto. Diventa essenziale, quindi, addestrare e preparare specialisti che affianchino la componente militare a stabilire le dovute sinergie con gli attori civili locali e internazionali. Questa funzione viene esercitata dal Gruppo multinazionale di cooperazione civile-militare (Multinational CIMIC Group), la cui guida è affidata all’Italia. L’interazione tra le forze militari e le componenti civili presenti nelle aree di crisi è delicata e non sempre facile per molti motivi – modalità operative, finalità, diverso ap73
UNIFORMOLOGIA
USÒ LA FALANGE MACEDONE E L’ESERCITO EREDITATO DAL PADRE FILIPPO PER CONQUISTARE UN IMPERO di Raffaele D’Amato con le illustrazioni di Giorgio Albertini
L’ARMATA DI
ALESSANDRO MAGNO A
ll’epoca della battaglia di Cheronea contro i Greci, l’esercito macedone riformato da Filippo II (382-336 a.C.) era la più temuta e letale forza combattente al mondo. Con questa nuova potenza militare il sovrano della Macedonia e poi suo figlio Alessandro (356-323 a.C.), meglio conosciuto come “il Grande”, conquistarono un impero mondiale, rivoluzionando il modo di condurre le guerre dell’antichità. Le truppe di fanteria greca dell’epoca si dividevano fra opliti armati alla pesante e peltasti armati alla leggera. Questi ultimi erano una imitazione dei peltasti traci ideata dal generale ateniese Ificrate. La fanteria macedone era divisa nella fanteria pesante degli hétaïroi (compagni) – il cui insieme costituiva la falange – e quella più leggera degli hypaspistai (portatori di scudi), 3.000 uomini divisi in tre chiliarchie (unità di 1.000 soldati); tra loro era reclutata l’agema, o guardia reale. Sebbene inizialmente gli hypaspistai fossero scelti fra gli schiavi che portavano lo scudo del re, in seguito questo termine venne usato come titolo onorifico per il soldato macedone che formava la guardia del monarca. Erano infatti reclutati in base all’abilità militare e al fisico, perciò fra i migliori combattenti. È da questo corpo che si formarono i famosi argyraspides o “scudi d’argento”, le guardie del corpo reali, ritenuti i più temibili fra i combattenti macedoni. I falangiti (pezhetairoi) e gli hypaspistai erano anche chiamati hétaïroi a piedi. Accanto ai falangiti, la struttura contava anche personale di supporto: i segnalatori, i trombettieri, gli araldi, gli aiutanti e gli ufficiali della retroguardia. La cavalleria era l’altro elemento portante. Filippo, che all’inizio si era trovato con soli seicento hétaïroi, sviluppò ulteriormente i suoi effettivi, creando una vasta forza di cavalleria armata alla pesante: la sua base era lo squadrone, chiamato ile, formato da circa 210-215 uomini sotto un iliarca. Lo squadrone era diviso in 4 tetrarchie di circa 49 uomini ciascuna, comandate da un tetrarca. Quattro o sei squadroni, forti di ottocento-mille uomini scelti fra gli aristocratici macedoni, costituivano i reggimenti reali a caval76
lo dei compagni del re, gli hétaïroi. Uno di questi squadroni formava la guardia reale a cavallo, forte di circa 300 uomini. Accanto a questi cavalieri armati alla pesante, Macedoni di lingua greca, vi erano i prodromoi (esploratori, con funzioni di ricognizione o di osservazione), armati alla leggera, nonché altra cavalleria non macedone, i Peoni e i Traci, che, unitamente ai famosi cavalieri tessali, spesso servivano sotto Parmenione sull’ala sinistra. I prodromoi (anche chiamati sarissoforoi, cioè “portatori della lunga lancia”, la sarissa) erano con ogni probabilità quasi tutti Macedoni. Erano divisi in quattro ilai, usualmente forti di 150 uomini cadauna. I Peoni e i Traci formavano una sola ile. Mercenari. Oltre ai Macedoni l’esercito di Alessandro comprendeva truppe fornite dalle città greche e truppe mercenarie. I soldati greci erano prevalentemente opliti. I veterani mercenari formavano una unità separata, e venivano distinti con l’aggettivo xenoi (stranieri), in opposizione a mystophoroi (mercenari). I fianchi della falange erano protetti dai peltasti, una sorta di fanteria leggera trace. Alle loro ali erano schierati gli altri fanti leggeri (psiloi), gli arcieri, specialmente cretesi, e i frombolieri, o i lanciatori di giavellotto. A partire dall’epoca di Ificrate queste truppe avevano incominciato a giocare un ruolo crescente nelle battaglie e a modificare le regole del combattimento tradizionale. Tra le truppe leggere vi era un misto di lanciatori di giavellotto e frombolieri agriani, particolarmente fedeli ad Alessandro per l’amicizia che lo aveva legato al loro re Langaro. Tra gli altri fanti balcanici, gli Illiri e alcuni dei Traci si impegnavano nelle scaramucce: a Gaugamela combatterono due unità di lanciatori di giavellotto, sotto Balakros e Sitalkes, e una di fanteria, probabilmente peltasti, con il bagaglio da traino. A Isso erano presenti due corpi di arcieri, probabilmente forti ciascuno di cinquecento uomini: a Gaugamela d essi erano distinti fra Greci e Macedoni.
332 A.C. MÉGAS ALÉXANDROS
Alessandro III di Macedonia (meglio noto come Alessandro Magno, Mégas Aléxandros) è qui effigiato nelle vesti di βασιλεύς (Basileus, il sovrano) dei Macedoni sulla base del Sarcofago di Abdalonymus, re di Sidone, nella divisa di comandante dei prodromoi. Si notino il suo elmo (κράνος, o kranos) favorito, di forma leonina, la lunga lancia da cavalleria (xyston) e il mantello (chlamis) decorato con la stella macedone. Questa lunga asta, realizzata in forte legno di corniolo e lunga 3,6 m, dava il nome ai cavalieri xystophoroi.
I servizi ausiliari
U
na parte importante dell’armata era costituita dall’artiglieria, con i suoi scorpioni, baliste e altre catapulte, di cui Alessandro disponeva diversamente da suo padre Filippo; il celebre assedio di Tiro è passato alla Storia come un esempio di perfezione tecnica nella poliorcetica (arte dell’assedio). I soldati del genio dovevano costruire e azionare le macchine da guerra in loco, come gli arieti per aprire brecce nelle mura degli assediati, o gettare ponti sulle rive dei fiumi. Questi ponti erano semplici battelli semoventi smontabili e trasportati da un fiume all’altro, a pezzi staccati. Nel bagaglio a traino vi erano tutti gli strumenti indispensabili per la loro costruzione. All’armata si affiancavano poi i servizi sanitari, composti dai medici dell’esercito e dai loro aiutanti. C’era anche chi si occupava del tesoro, cioè del soldo delle truppe e infine chi gestiva l’intendenza e l’amministrazione. Ogni esercito dell’antichità aveva il suo seguito, e quello di Alessandro non faceva eccezione: mercanti fenici con donne e bambini, bestie da soma e carri, indovini, maghi e astronomi, prostitute e lenoni, cuochi e vivandieri, schiavi e serventi formavano il pittoresco e colorato codazzo che costituiva un convoglio separato dell’esercito, che spesso doveva prendere un altro itinerario. Erano i soldati stessi che si trasportavano il bagaglio: armi, materiali, utensili, provviste e indispensabili macine per il grano.
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