Ceramica. Storia di un’Arte Dalle materie prime ai modelli produttivi. Dai reperti archeologici alle fonti ai manufatti artistici. Mostra sulla storia, la lavorazione e la diffusione della ceramica nella provincia di Cosenza e in Calabria.
Ceramica. Storia di un’Arte Dalle materie prime ai modelli produttivi. Dai reperti archeologici alle fonti ai manufatti artistici. Mostra sulla storia, la lavorazione e la diffusione della ceramica nella provincia di Cosenza e in Calabria
La mostra Ceramica. Storia di un’Arte è promossa dalla Provincia di Cosenza con il patrocinio della Soprintendenza ai beni archeologici della Calabria e della Soprintendenza a Beni Storici Artistici ed Etnoandropologici della Calabria. è resa possibile grazie ai gentili prestiti dell’Archivio di Stato di Cosenza, dell’Associazione Nazionale Città della Ceramica, del Museo di San Bernardino di Amantea, del Museo archeologico di Tortora, del Museo archeologico dei Brettii e del mare di Cetraro, del Museo archeologico di Serra d’Aiello, nonché grazie alla collaborazione dell’Università della Calabria – Dipartimento di Studi Umanistici.
20 Marzo 12 Aprile 2014 Museo delle Arti e dei Mestieri della Provincia di Cosenza
Curatore della mostra, della didattica e del catalogo Anna Cipparrone Albo dei prestatori Archivio di Stato di Cosenza, Associazione Nazionale Città della Ceramica, Museo di San Bernardino di Amantea, Museo archeologico di Tortora, Museo archeologico dei Brettii e del mare di Cetraro, Museo archeologico di Serra d’Aiello Albo degli artigiani Raffaela Caruso di Lappano, Francesca Russo di Saracena, Maurizio Russo di Altomonte, Ceramiche Parrilla di Cropalati, Fornace Parrilla di Cropalati, Ceramiche Renda di Corigliano, Telemaco Tucci di Rogliano, Domenico Fontana di Bocchigliero, Rossana Gerbasi di Mendicino, Ceramiche Pirri di Bisignano, il gruppo dei detenuti del carcere di Rossano impegnati nella lavorazione della ceramica, Roberta Proto di Trebisacce, Francesco Malomo di Cassano Ionio e Leonardo De Dominicis di Cariati Autori del catalogo Anna Cipparrone, Gregorio Aversa, Franco Froio, Fabrizio Mollo, Franca Papparella, Guglielmo Genovese, Cinzia Altomare, Ivana Donato, Manuela Alessia Pisano, Luigi Orsino, Simone Marino, Elena Dal Prato Pannelli didattici della mostra Anna Cipparrone
Servizio didattica al pubblico Jessica Petrasso, Maria Teresa Romeo, Alessandra Scaramuzzo, Laurea Magistrale in Storia dell’Arte - Dip. Studi Umanistici, Università della Calabria Laboratori artigiani Roberta Proto Leonardo De Dominicis Pietro Parrilla Progetto espositivo e allestimento Anna Cipparrone Fiorino Sposato Progetto video e installazioni Pino Iannelli Progetto grafico Dino Grazioso Stampa Grafica Florens, San Giovanni in Fiore Promozione e comunicazione Mariuccia de Vincenti Traduzioni Laura Verta
ISBN 978-88-908163-5-2
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a mostra Ceramica. Storia di un’Arte sigla per il Museo delle Arti e dei Mestieri della Provincia di Cosenza un importante traguardo, auspicato al principio della sua attività e perseguito con caparbietà e attenzione in una strategia culturale che ha fatto della ricchezza artigiana del territorio cosentino, nonché del suo profondo radicamento storico, la sua grande forza e peculiarità. Le mostre del nostro Museo si caratterizzano per una spiccata attenzione allo studio della vicenda storica, storico-artistica e storico-artigianale della provincia cosentina e hanno, in meno di due anni, affrontato temi importanti sia dal punto di vista culturale che economico, quali l’arte tessile, l’arte orafa, la lavorazione del legno, la pittura dell’800 fiorita sotto l’egida della nostra Istituzione. Oggi il Museo delle Arti e dei Mestieri accende i riflettori su una delle più importanti voci dell’artigianato d’eccellenza italiano: la ceramica che da una dimensione semplice e utilitaristica assurge a opera d’arte. Artigiani di Cosenza, Rogliano, Bisignano, Cariati, Cropalati, Mendicino, Altomonte, Schiavonea, Rossano, Lappano, Cassano Ionio, Bocchigliero, Trebisacce e Saracena espongono al MaM, a testimonianza del fatto che quest’arte tradizionale si sia radicata profondamente nella provincia di Cosenza e sviluppata in ogni suo angolo in modo forte e tangibile. Riscoprire il lavoro faticoso che i nostri artigiani compiono nelle loro botteghe, comprendere le difficoltà del procedimento artigianale-artistico e presentare al pubblico la variegata e ricca produzione locale è l’intento precipuo di questa esposizione con la quale il Museo delle Arti e dei Mestieri continua a offrire un chiaro e concreto rapporto con tutte le realtà territoriali, umane e artistiche della nostra grande provincia. on. Gerardo Mario Oliverio Presidente della Provincia di Cosenza
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he exhibition Pottery. History of an art marks for the Arts and Crafts Museum of the Province of Cosenza an important goal, hoped and pursued since its opening with doggedness and attention in a cultural strategy that made of Cosenza’s territory crafts’ richness as well as of its strong historical roots, its strength and peculiarity. Our Museum’s exhibitions are characterized by a deep attention to province of Cosenza’s historical, historicalartistic and historical-craft study and, in less than two years faced important topics both from the economical that the historical point of view such as textile arts, goldsmith’s art, wood’s working, nineteenth century painting bloomed under our institution’s aegis. Nowadays the Arts and Crafts Museum directs the spotlight on one of the most important voices of Italian excellence productions: pottery that from a simple and utilitarian dimension becomes work of art. Artisans from Cosenza, Rogliano, Bisignano, Cropalati, Mendicino, Altomonte, Schiavonea, Rossano, Lappano, Cassano Ionio, Bocchigliero Trebisacce and Saracena exhibit near the Arts and Crafts Museum (MaM) testifying that this traditional art is deeply rooted in province of Cosenza as well as developed all over it in a strong and tangible way Rediscovering the fatiguing work made by our artisans in their workshops, understanding how complex is the craftartistic process and presenting to public the varied and rich local production it’s the main aim of this exhibition with which the Arts and Crafts Museum goes on offering a clear and concrete relation with all territorial, human and artistic realities of our great province. Hon. Gerardo Mario Oliverio President of the Province of Cosenza
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ono lieto che l’Associazione Italiana Città della Ceramica (AiCC), che rappresento come Presidente, contribuisca con il prestito di alcune importanti opere all’arricchimento della mostra sulla Ceramica. Storia di un’Arte. Le opere ceramiche che concediamo con entusiasmo in mostra al Museo delle arti e dei mestieri di Cosenza appartengono alle collezioni dell’AiCC, che fin dal 2006 ha deciso di promuovere l’immagine della ceramica artistica e tradizionale italiana a livello nazionale ed internazionale, predisponendo due “Mostre di Rappresentanza” itineranti: una di Ceramica Tradizionale ed una di Ceramica Moderna, Innovativa e di Design. Obiettivo delle due Mostre è la realizzazione di un valido strumento di conoscenza, valorizzazione e promozione dell’alto livello di qualità della ceramica artistica e tradizionale italiana, sia nelle sue forme più classiche legate alla storia e alle tradizioni del territorio, sia nelle sue forme più innovative e di ricerca del design. Le opere in mostra provenienti dai Comuni di antica tradizione ceramica offrono un’ampia visione di quella che è la produzione ceramica di qualità italiana, dal nord al sud alle isole, mettendo così in evidenza la ricchezza e la diversità di storia, di tradizioni e di stili propri dei centri di antica tradizione ceramica. Promuovere e tutelare la ceramica italiana significa premiare l’impegno di artigiani-imprenditori che attraverso il loro ingegno artistico contribuiscono quotidianamente sia alla crescita economica del nostro Paese, sia alla salvaguardia di un eccellente e prestigioso patrimonio artistico. Sen. Stefano Collina Presidente AiCC
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’m proud that the Italian Association Towns of Ceramics (AiCC), which I represent as President, can give its contribution in enriching the exhibition on Pottery’s history and production in province of Cosenza loaning some important works of art. The works of art that we loan with enthusiasm for the exhibition at the Arts and Crafts Museum of Cosenza belong to AiCC collections that, since 2006 decided to promote traditional and artistic Italian pottery at national and international level preparing two traveling “representative exhibitions” : one on traditional pottery and one on innovative, modern and design pottery. Aim of both exhibitions is realizing an efficient instrument of knowledge, exploitation and promotion for Italian traditional and artistic pottery high quality levels both in its classical shapes tied to history and territorial tradition and in its most innovative and design ones. The works on exhibition arrive from the Municipality of old pottery tradition and offer a wide vision of the quality’s pottery italian production, from north to south islands included, pointing out the richness and the diversity of history, tradition and styles typical of the centers with an old tradition for pottery. Promoting and safeguard italian pottery means repay the commitment of the artisans- entrepreneurs that through their artistic skills contribute everyday both in the economical growth of our country both in safeguarding an excellent and fine artistic heritage. Sen. Stefano Collina AiCC’s President
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’Associazione Italiana Città della Ceramica (AiCC) è un’associazione senza fini di lucro, nata nel 1999, alla quale aderiscono 34 Comuni di 15 Regioni: Albisola Superiore, Albissola Marina, Ariano Irpino, Ascoli Piceno, Assemini, Bassano del Grappa, Burgio, Caltagirone, Castellamonte, Castelli, Cava dei Tirreni, Cerreto Sannita, Civita Castellana, Deruta, Este, Faenza (che la presiede fin dalla fondazione), Grottaglie, Gualdo Tadino, Gubbio, Impruneta, Laterza, Lodi, Mondovì, Montelupo Fiorentino, Nove, Oristano, Orvieto, San Lorenzello, Santo Stefano di Camastra, Sciacca, Sesto Fiorentino, Squillace, Urbania, Vietri sul Mare. L’Associazione ha sviluppato una rete nazionale delle città ove storicamente è venuta a svilupparsi una significativa attività ceramica ed opera per la valorizzazione della ceramica italiana, promuovendo un patto di amicizia fra i centri di antica tradizione ceramica. Gli obiettivi fondanti dell’Associazione sono quelli di tutelare la documentazione inerente alla tradizione ceramica; sostenere, da un lato, musei, centri di ricerca, soggetti pubblici e privati, finalizzati alla salvaguardia e allo studio della ceramica, e, dall’altro, la divulgazione della conoscenza della tradizione delle città della ceramica, nonché mostre ed eventi sulla ceramica contemporanea e valorizzare, infine, scuole d’arte e centri professionali. Tuttavia si può dire che l’Associazione, nella sostanza, abbia avviato le prime attività fin dal 1980, attraverso la creazione del “Segretariato dei Comuni Ceramici”, nato per salvaguardare le produzioni della Ceramica artistica italiana. A quella idea di partenza, nel corso degli anni, sono venute ad aggiungersi nuove esigenze, maturate progressivamente attorno alle problematiche del settore ed affrontate nel 1990 dalla Legge 188 che tracciava e definiva un sistema di promozione e di tutela della Ceramica artistica in Italia. L’AiCC si costituisce perciò di fatto nel 1999, a fronte di una migliore e più matura coscienza e consapevolezza dei benefici che la Legge 188 poteva concretamente rappresentare a favore della produzione, del settore e degli artigiani. L’Associazione nei suoi quindici anni di attività ha saputo perseguire con efficacia i propri scopi sociali: dalla tutela alla promozione, dalla valorizzazione delle produzioni all’affermazione dell’originalità della cultura della ceramica italiana ed ha contribuito al percorso di nascita, in altre nazioni europee, di ulteriori associazioni delle città della ceramica: attualmente sono attive in Europa l’AiCC in Francia, che raccoglie 24 città, la AiCC in Spagna, con 36 soci, e la AiCC in Romania, con 10 adesioni. Le quattro associazioni collaborano attivamente su progetti di sviluppo e promozione congiunti ed in particolare hanno dato di recente origine ad un Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) “Città della Ceramica” (Agrupacion Europea Ciudades de la Ceramica - AECC limitada, abbreviato in AiCC) nella forma prevista dall’ordinamento giuridico europeo, nella quale sono riconosciute complessivamente oltre cento città di antica tradizione ceramica. Associazione Italiana Città della Ceramica
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he Italian Association “Towns of Ceramics” (Associazione Italiana Città della Ceramica A.I.C.C.) is a non-profit association set up in 1999, to which endorse 34 Municipality of 15 Regions: Albisola Superiore, Albissola Marina, Ariano Irpino, Ascoli Piceno, Assemini, Bassano del Grappa, Burgio, Caltagirone, Castellamonte, Castelli, Cava dei Tirreni, Cerreto Sannita, Civita Castellana, Deruta, Este, Faenza (che la presiede fin dalla fondazione), Grottaglie, Gualdo Tadino, Gubbio, Impruneta, Laterza, Lodi, Mondovì, Montelupo Fiorentino, Nove, Oristano, Orvieto, San Lorenzello, Santo Stefano di Camastra, Sciacca, Sesto Fiorentino, Squillace, Urbania, Vietri sul Mare. The Association developed a national network of the towns with an historical and documented tradition for pottery and works to exploit Italian pottery promoting a friendship agreements between the centers with ancient pottery tradition. Main aims of the association are safeguarding all the documents on pottery tradition; supporting, on the one hand, museums, research centers, public and private entities, which aim is safeguarding and studying pottery and, on the other hand, spreading the knowledge on pottery’ town tradition as well as exhibitions and events on contemporary pottery and exploiting, at last, school of art and professional centers. Anyway it is possible to say that the Association started its activities in 1980 through the creation of a Secretariat of the Municipalities of Pottery created to safeguard Italian artistic pottery’s production. To that starting idea, with time, have been added new needs, related to sector’ problems and faced in 1990 thanks to the Law 188 which defined a promoting and safeguard system for Artistic ceramics in Italy. The AiCC sets up, de facto, in 1999, against a better and wiser consciousness of the benefits that the Law 188 could concretely represent for production as well as for whole sector and the artisans. In its fifteen years of activity the Association knew how to pursue with strength its own social aims: from safeguard to promotion, from products exploitation to the success of Italian ceramics culture originality and contributed to the setting up steps, in other European nations, of other Towns of Ceramics association: in Europe at the moment there are the AfCC in France an association made up by 24 towns, the AeCC in Spain, with 36 members and the ArCC in Romania, with 10 members. The four association cooperate on joined development and promotion projects and, in particular, have recently established a Territiorial Cooperation European Group (TCEG) “Tows of Ceramics” (Agrupación Europea Ciudades de la Cerámica - AECT limitada, which acronym is A€uCC) established up to the European legal order, it counts with more than one hundred members towns with the tradition of ceramics. Italian Association Tows Of Ceramics
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roseguendo nell’ambito delle sue iniziative culturali, volte al recupero e alla conoscenza delle peculiari tradizioni del territorio, la Provincia di Cosenza, tramite il Museo delle Arti e dei Mestieri, ancora una volta costituisce un esempio della fruttuosa collaborazione fra Istituzioni che ha già portato alla realizzazione di progetti di ricerca comuni, in linea con le più recenti tendenze nel campo della cultura e più in generale della storia dell’evoluzione tecnologica. A nome dell’Archivio di Stato di Cosenza, che mi onoro di dirigere, esprimo il più vivo apprezzamento per la realizzazione e l’allestimento della mostra, dedicata alla storia e alla lavorazione della ceramica nella nostra provincia. La redazione del Catalogo, a cui è affidata la funzione di raccogliere gli elementi della mostra con i dovuti approfondimenti e integrazioni significative, è un imprescindibile strumento per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale locale. I documenti archivistici a supporto del materiale esposto, testimoniano la presenza di manufatti in ceramica nel territorio cosentino in età moderna e costituiscono un segmento importante per l’offerta culturale e preziosa testimonianza di esperienze passate, che attraverso la nostra storia e tradizione rinverdiscono ora il nostro presente. Anna Maria Letizia Fazio Direttore dell’Archivio di Stato di Cosenza
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oing on the sphere of its cultural initiatives, aiming at recovering and knowing territorial peculiar traditions, the Province of Cosenza, through the Arts and Crafts Museum represents, once again, an example of the fruitful cooperation between Institutions that has already brought to the realization of common research projects, in line with the most recent trends in culture and, above all, technological evolution’s history. On behalf of Cosenza State Archive, that I feel privileged to manage, I express all my appreciation for this exhibition focused on pottery in our province. The catalogue to which is entrusted the function of collecting all exhibition elements with deepened studies and important integrations, it’s a unavoidable tool for local cultural heritage safeguard and exploitation. Archive documents in support of the exhibited material, testify the presence of pottery’s products in Cosenza also in modern age and constitute an important segment for the cultural offer as well as a precious testimony of paste experiences that through our history and tradition renew or present. Anna Maria Letizia Fazio Manager of Cosenza State Archive
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’Amministrazione comunale di Cetraro contribuisce con vivo entusiasmo alla realizzazione dell’esposizione temporanea promossa dal Museo delle Arti e dei Mestieri della Provincia di Cosenza, concedendo in prestito tre anfore da trasporto di età antica conservate nel pertinente Museo dei Brettii e del Mare, quest’ultimo ospitato nelle sale di Palazzo Del Trono nel centro storico di Cetraro. Poiché recuperate nel tratto di mare compreso tra i paesi di San Lucido e Belvedere Marittimo, le anfore concesse si prefigurano all’interno del presente spazio espositivo - incentrato sulle dinamiche storiche della ceramica cosentina - come importanti testimonianze archeologiche degli antichi commerci marittimi che in passato interessarono l’area del medio Tirreno cosentino. Altresì, la loro presenza alla mostra costituisce un nuovo momento di godibilità ed apprezzamento dei contenuti del Museo dei Brettii del Mare oggidì considerato, per l’autenticità dell’offerta museale, tra i più innovativi e funzionali musei del meridione, nonché, modello di riferimento per le nascenti strutture museali locali. Attraverso la sua realizzazione l’Amministrazione comunale ha inteso evidenziare il ruolo fondamentale rivestito dalle istituzioni museali all’interno dei nuovi processi di sviluppo socio-culturale e turistico del territorio. Non a caso, esso rappresenta il coronamento di un lungimirante e qualificato programma di valorizzazione e recupero delle risorse culturali ed ambientali, che il Comune di Cetraro ha da tempo attuato attraverso interventi innovativi compiuti grazie anche al coinvolgimento di giovani realtà private dotate di adeguate capacità operative. La partecipazione alla mostra, inoltre, traduce nei fatti la volontà di perseguire i principi di sinergia museale, costantemente sostenuti dalla Rete Museale Provinciale, al fine di conferire nuovi impulsi ai processi di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale presente sul vasto territorio cosentino. Infine, auguriamo alla presente mostra un pieno successo. Ing. Fabio Angilica Assessore alla Cultura Comune di Cetraro Prof. Giuseppe Aieta Sindaco di Cetraro
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etraro Municipal Administration contributes with real enthusiasm to the temporary exhibition promoted by the Arts and Crafts Museum of the Province of Cosenza loaning three amphoras by freight belonging to archaic age and kept near the Museum of Brettii and Sea this last one hosted in th halls of Palazzo Del Trono in Cetraro historical centre. Being recovered in the sea’s stretch between Sean Lucido and Belvedere Marittimo, the amphoras must be considered in this exhibition- focused on Cosenza’s territory pottery and its historical dynamics- as important archaeological statements of the ancient sea commerce that in past interested the area of Cosenza’s middle Tyrrhenian. Besides, their presence on exhibition constitutes a new moment to enjoy and appreciate the Museum of Brettii and Sea nowadays considered, for its offer authenticity, between the most important and innovative in Southern Italy as well as a referential model for future local museums. Opening it the municipal Administration wanted to points out the main role played by museums in the territorial socio- cultural and touristic development processes. It’s no coincidence that, it represents the crowning achievement of a qualified and farsighted exploitation and recovery’s program on cultural and environmental resources that, Cetraro Municipality as long since putted in action through innovative interventions realized also thanks to young private realities having suitable operative abilities. Participating to the exhibition, besides, translates into facts the will of going on museum synergies principles, constantly supported by the Provincial Museums Network, with the aim of giving band new impulses to cultural heritage enjoyment and fruition’ processes on Cosenza’s territory. Besides, we wish for exhibition’ success. Eng. Fabio Angilica The Town Councillor for Culture Prof. Giuseppe Aieta The Mayor
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Sommario (Index)
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pag. 24 pag. 25 pag. 30 pag. 31 pag. 38 pag. 39
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Anna Cipparrore Pottery. History of an art. Introduction to the exhibition Ceramica. Storia di un’arte. Introduzione alla mostra (Pottery and Archaeology. Pottery’s production and circulation from Proto history to ‘400) Ceramica e archeologia. Produzione e circolazione di manufatti in ceramica dall’età Protostorica al ‘400 Gregorio Aversa Abstract, Potteries productions and use in Calabria’s High Tyrrhenian Produzioni ceramiche e loro impiego nell’alto Tirreno calabrese Franco Froio Abstract, The pottery set discovered in the Iron Age Necropolis’ Tomb 10 in Chiane place near Serra d’Aiello Il corredo ceramico della Tomba 10 della necropoli dell’età del ferro di località Chiane di Serra d’Aiello Fabrizio Mollo Abstract, Cosenza’s middle Tyrrhenian and Cetraro’s museum of Brettii and Sea: stories of potteries production and circulation between Hellenistic period and Late Antiquity Il medio Tirreno cosentino ed il Museo dei Brettii e del Mare di Cetraro: storie di produzione e circolazione di ceramiche fra età ellenistica ed epoca post-antica Guglielmo Genovese Abstract, Production models, interpretative schemes, circulation factors and cultural archetypes to analyze pottery’s iconography in Northern Italy Modelli produttivi, schemi interpretativi, fattori di circolazione e archetipi culturali per un’analisi iconografica della ceramica nella Calabria settentrionale Franca Papparella Abstract, Middle Ages and post Middle Ages pottery in province of Cosenza: a state of researches La ceramica medievale e postmedievale nella provincia di Cosenza: stato degli studi (Pottery and sources. Cosenza’s pottery from ‘500 to ‘700 through Cosenza State Archive documents) Ceramica e fonti. La ceramica cosentina dal ‘500 al ‘700 attraverso i documenti dell’Archivio di Stato di Cosenza Cinzia Altomare Abstract, Local and imported Potteries and porcelains in Cosenza between the XVI and the XVIII Century Ceramiche e porcellane locali e di importazione nella città di Cosenza tra il XVI e il XVIII (Pottery, art and collecting. Potteries production and artistic careers in Calabria between ‘700 and ‘900) Ceramica, arte e collezionismo. Manufatti in ceramica e carriere artistiche tra ‘700 e ‘900 in Calabria Ivana Donato Abstract, Art’s fruition in Cosenza between the XVII and the XVIII century: potteries and paintings Il consumo d’arte a Cosenza tra XVII e XVIII secolo: materiali ceramici e dipinti
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Manuela Alessia Pisano Abstract, For a history of Calabrian Nineteenth century pottery. The cases of Andrea Cefaly and Giuseppe Costanzo Per una storia della ceramica dell’Ottocento in Calabria. I casi di Andrea Cefaly e Giuseppe Costanzo (Pottery’s path. Arts products from the towns of pottery) Le vie della ceramica. Manufatti d’arte dalle città della ceramica Elena Dal Prato Abstract, Pottery civilization. A travel along the italian towns with an old pottery’s tradition La civiltà della ceramica. Viaggio nelle città italiane di antica tradizione ceramica
La mostra (The Exibition) (Section 1) Sezione 1 Italian pottery: the production of the National Association Towns of Ceramics Ceramica italiana: i manufatti dell’Associazione Nazionale Città della ceramica Schede delle opere (Section 2) Sezione 2 Pottery and archaeology. Cosenza’s pottery tradition’ origins Ceramica e archeologia. Le origini della tradizione ceramica cosentina Schede dei reperti e Schede dei Musei (Section 3) Sezione 3 Pottery and Sources. Cosenza’s pottery from ‘500 to ‘700 through the documents of Cosenza State Archive Ceramica e fonti. La ceramica cosentina dal ‘500 al ‘700 attraverso i documenti dell’Archivio di Stato di Cosenza (Section 4) Sezione 4 Pottery’ Masters in province of Cosenza. Heirs and followers of an ancient artistic tradition I maestri della ceramica nella provincia di Cosenza. Eredi e continuatori di un’antica tradizione artistica Schede delle opere e Schede degli artigiani
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Pottery. History of an art. Introduction to the exhibition From raw material to productive models. From archaeological finds to sources to artistic production. Exhibition on Pottery’s history, production and use in province of Cosenza and in Calabria Anna Cipparrone Manager of the Arts and Crafts Museum of the Province of Cosenza The Arts and Crafts Museum it’s Province of Cosenza1 quality’s artistic craft and it has been opened with the clear mission of exploiting old jobs, or Arts, still present on the territory and once main local economical source. An aim that distinguishes it from all the others museums together with the cultural strategy of exploiting, through the dialogue with the museums part of the Provincial Network, the archaeological and historic-artistic stratification of this our peripheral geographical area to reconnect local micro history’s pieces to well known national cultural paths (www.retemuseale.provincia.cs.it). In Arts and Crafts Museum (MaM) exhibition has always been of primary importance a widening on Masters weavers fascinating work and on the first examples of rudimental looms in Cosenza’s territory (IX century b.C.); have been clarified goldsmiths art’ episodes and the evolution surveying on local mimes exploitation, stylistic features, classical derivations and the loans due to the relation between craftwork and contemporary art in a continuous relation between tradition and innovation, have been recalled wood’s uses and all the ways in which it is worked, the processes, raw materials’ extraction areas, the Arts that bloomed just using this simple raw material. Now we finally arrived at the exhibition on pottery’s history, production, circulation and working processes starting from proto history and arriving until nowadays, keeping, as for previous exhibitions, a taste for craft-artistic process re appropriation although of the object itself, with the ploy of installations, videos and crafts workshops. The exhibition is made up by four sections going from the National pottery produced in the well known Towns of Ceramics devoted to this art (Deruta, Vietri, Caltagirone, Faenza and so on) to the reconstruction of the historical, as well as, historic- archaeological episode concerning pottery’s production and circulation in province of Cosenza since Proto History. In the archaeological section, infact, all the finds loaned by Cosenza’s territory Museums permitted showing the evidence of ancient kilns for local clay, stating that terracotta and potteries production has been one of the activity strongly linked to human civilization. From utilitarian good (vases, small vases, saucepans, amphoras and so on) to sumptuous good: the documentary section, apart exploiting the remarkable Cosenza’s State Archive’ heritage, points out the presence of critari, figulari, pignatari and potters in Cosenza’s territory during the period going from the 1500 to the 1700, revealing the remarkable quantity of pottery arriving not just from local workshops but also from the most important national realities, and part of collections and inventories of the local high class society. That’s how we arrive until nowadays, through an installation on clay and on the ancient potter’s workshop, to province of Cosenza artisans. Artisans, but in many cases artists, committed in the fatiguing attempt of save this art from darkness bringing it in again, as it was once, as local economy’s source. Styles, languages, patterns make of Cosenza’s artisans real pottery’s masters.
1 Cipparrone A., Un Museo per l’artigianato artistico, in “Predella” on-line Journal of the Università di Pisa, n.32 2013
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Introduzione alla mostra Ceramica. Storia di un’Arte Dalle materie prime ai modelli produttivi. Dai reperti archeologici alle fonti ai manufatti artistici. Mostra sulla storia, la lavorazione e la diffusione della ceramica nella provincia di Cosenza e in Calabria Anna Cipparrone Direttore del Museo delle Arti e dei Mestieri della Provincia di Cosenza Il Museo delle Arti e dei Mestieri è il Museo dell’artigianato artistico di qualità della Provincia di Cosenza1 ed è nato con la specifica missione di valorizzare gli antichi mestieri, o Arti, ancora oggi presenti sul territorio e un tempo fonte dell’economia locale2. Una finalità che lo contraddistingue dagli altri musei di questo ambito grazie soprattutto alla strategia culturale che ha assunto, ovvero quella di valorizzare, attraverso il dialogo con i Musei della Rete Museale Provinciale (www.retemuseale.provincia.cs.it), la stratificazione archeologica e storico-artistica di questa nostra periferica area geografica per riconnettere tasselli di microstoria locale ai più noti sentieri della cultura nazionale. Si è proposto, nelle mostre del MaM, un approfondimento sull’affascinante lavoro dei maestri tessitori e sulle prime attestazioni di rudimentali telai nel territorio cosentino (IX secolo a.C.); si sono chiarite le vicende e le evoluzioni dell’arte orafa indagando sullo sfruttamento delle miniere locali, sugli stilemi, le derivazioni classiche e gli innesti dovuti al connubio tra artigianato e arte contemporanea nel continuo rapporto fra tradizione e innovazione; sono stati ricordati e riproposti gli usi del legno e le sue molteplici lavorazioni, le modalità e le aree di estrazione della materia prima, le Arti che sono fiorite dallo sfruttamento di questo semplice elemento naturale. Si è per la prima volta chiarito il ruolo della Provincia di Cosenza nel sistema di promozione delle arti attraverso la collezione di dipinti del ‘800. Giungiamo adesso alla mostra sulla storia della produzione, della circolazione e lavorazione di manufatti in ceramica dall’età protostorica ad oggi, mantenendo come nelle precedenti occasioni espositive una spiccata predilezione verso la riappropriazione del procedimento artigianale-artistico, ancorché dell’oggetto finito, con l’espediente delle installazioni, dei video e dei laboratori artigiani. Ricca di manufatti ceramici è la provincia di Cosenza, tuttavia le massime produzioni ceramiche regionali si attestano, fin dall’antichità, nelle città di Squillace e Seminara. La storia di questa arte, a Squillace, è legata alla fondazione della città quando Cassiodoro primo ministro di Teodorico re dei Goti, la ritenne un’attività da salvaguardare per la sua pubblica utilità. Seminara, di origini medievali, ha sempre vantato fornaci vitali producendo i noti fischiotti, le borracce, i fiaschi antropomorfi o le maschere apotropaiche, annoverando la maiolica fra le massime produzioni dal Settecento. Infine Gerace, pienamente calata nell’atmosfera classica della vicina Locri legata alla produzione di pinakes, ove sono custoditi esemplari del Seicento di eccezionale pregio. L’intento che informa la mostra -visibilmente dedicata ai nostri meritevoli artigiani e alle ben note Città della Ceramica giunte a Cosenza sotto l’egida della omonima Associazione- è chiaramente quello di approfondire lo studio dei manufatti ceramici presenti nel nostro territorio o perché ivi prodotti o perché giunti da scambi commerciali e culturali remoti, delineando contemporaneamente quel sottile ma importantissimo passaggio dell’oggetto da manufatto artigianale, destinato al quotidiano utilizzo, a oggetto artistico. Nel fare ciò abbiamo pensato di individuare e presentare al visitatore le caratteristiche della materia prima come la si trova nel nostro territorio, le modalità estrattive e quelle di lavorazione, le tecniche artigiane e le destinazioni delle ceramiche in quattro sezioni espositive e una installazione, e con il consueto espediente delle proiezioni video lungo il percorso museale.
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Tramite i reperti archeologici provenienti dai Musei della rete museale provinciale ci è stato possibile ricostruire (pur rattristandoci per importanti assenze) il quadro della produzione e circolazione di manufatti ceramici dal IX secolo a.C. al XIII d.C,. occupandoci anche della loro iconografia quale fonte per la ricostruzione di uno specifico periodo storico. Essa -ampiamente trattata da Guglielmo Genovese che trasferisce al lettore il senso della varietà e della ricchezza, nonché la valenza comunicativa, delle ceramiche antiche del nostro territorio- mutua temi dalla madrepatria greca e ne desume altri dal sostrato socio-culturale di ogni singola micro realtà locale. Archeologi specializzati nelle epoche oggetto dell’esposizione hanno proposto i rispettivi studi in un volume che si presenta come un importante tassello nella storiografia sull’argomento. Dell’epoca arcaica è stato messo in risalto, attraverso gli esempi di manufatti in ceramica dall’età Protostorica a quella brettia, il rapporto tra i beni di locale produzione e quelli di importazione lasciando evincere la fitta rete di scambi , ancor più tangibile nel caso delle anfore da trasporto rinvenute sulla costa tirrenica e trattate approfonditamente da Fabrizio Mollo, e le contaminazioni tra le nostre realtà territoriali e le aree geografiche di maggiore tradizione ceramica. Molto utili, nella direzione di un’indagine sul patrimonio archeologico ceramico della provincia di Cosenza sono i contributi di Gregorio Aversa e Franco Froio. Pur affondando nella civiltà greca e ivi raggiungendo il suo apogeo, l’arte nostra della ceramica ha subito anche la forte influenza della civiltà araba in epoca altomedievale -periodo storico di pertinenza degli studi di Franca Papparella- di cui si espongono in mostra i bacini un tempo murati sopra il portale nella facciata del convento di San Bernardino di Amantea. Erano disposti a forma di croce e proponevano stilizzazioni di animali, motivi floreali e elementi di una nave. La presenza di bacini in ceramica come elemento decorativo architettonico è molto insolita nel nostro territorio, acquisendo perciò una ulteriore importanza nel patrimonio culturale e per la definizione degli antichi rapporti commerciali delle nostre coste, tale da suggerire una maggiore tutela e visibilità. Di notevole interesse risulta la sezione documentaria della mostra. È evidente che le diversificate attività ceramiche del cosentino e i vari usi cui il prodotto fu destinato nel corso dei secoli, trovano accurato riscontro nelle fonti archivistiche utili a determinare gli estremi cronologici, gli ambiti di diffusione, gli scambi commerciali con realtà più evolute e affermate, l’organizzazione professionale in età moderna. Per i secoli dal XIV al XVIII le fonti notarili dell’Archivio di Stato di Cosenza e il Catasto Onciario testimoniano la presenza di mastri critari, figulari, pignatari e vasai nel territorio cosentino, denotando la tangibile affermazione di opere in ceramica nelle collezioni d’arte della nobiltà ed evincendo lo straordinario passaggio da bene necessario a bene suntuario. Lo studio dei documenti è stato affrontato da Cinzia Altomare e Ivana Donato che ci restituiscono un quadro quanto mai variegato e ricco di spunti di riflessione circa la presenza di mastri, di oggetti di uso comune e di manufatti ceramici artistici nel territorio provinciale per le suddette epoche. I documenti riguardano perlopiù la città di Cosenza, ove la produzione di terrecotte e ceramiche è molto documentata. Già presente nella Carta della Biblioteca Angelica del 1592 il Borgo dei Pignatari4riforniva, secondo un documento del 1598, il vicino monastero di Santa Maria di Loreto (oggi San Francesco di Paola) di 48 urzulilli in cambio del permesso di estrarre la creta in un terreno di pertinenza dell’edificio ecclesiastico5. L’area che abitavano i pignatari a Cosenza era l’attuale zona di Sant’Agostino, abbastanza vicino al Crati ove era possibile rifornirsi d’acqua e ricca di fornaci per la cottura degli urzulli, carusielli, salaturi, pignate e quanti altri oggetti erano necessari all’uso domestico6. Il fattore più interessante, di certo centrale nella tipologia degli oggetti e dei documenti prescelti per la mostra, è quel sottile passaggio o meglio quella elevazione dell’oggetto in ceramica, sorto per soddisfare un’esigenza quotidiana, ad opera d’arte. Se per tutto il Seicento la ceramica fu utilizzata dalla nobiltà calabrese, oltre che napoletana, per la decorazione ed il rivestimento di pareti, cortili, chiostri e monasteri7, nei secoli a seguire divenne la più frequente voce di inventari e testamenti post mortem, imponendosi quale bene di lusso delle nobili famiglie locali. Un fenomeno assai interessante che mi preme sottolineare, oltre a quello che sapientemente hanno fatto emergere le indagini di Cinzia Altomare e Ivana Donato circa la presenza di ceramiche
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negli inventari e riguardo gli scambi commerciali con le città a maggior evocazione ceramica come Faenza e Montefusco, è quello del mecenatismo artistico della nobiltà cosentina in età moderna, determinato dalla condizione sociale e dagli interessi economici delle famiglie. Quello che altrove è stato analizzato come fenomeno della “gerarchia delle dimore” determinato dal loro “potenziale abitativo” in un contesto latifondista la cui condizione di perifericità fu alimentata dalla forte concentrazione della vita nella capitale del regno, Napoli, suggerisce quali fossero le attitudini della committenza calabrese tra Seicento e Ottocento8. Essa, vuoi per la mobilità delle famiglie a causa dei continui avvicendamenti di potere, vuoi per la conseguente geografia dei feudi e per i frequenti trasferimenti di beni, per le vendite, le cessioni e gli scambi, fu chiaramente interessata all’accumulo di beni mobili quali l’arredamento ligneo, i marmi, le piccole sculture e soprattutto la ceramica che risultavano facilmente trasportabili, vendibili e perciò molto presenti negli inventari e nei contratti come lussuosa merce di scambio. Interessante e ricco di declinazioni storiche e storico-artistiche è il tema della ceramica in epoca borbonica, affrontato da Manuela Alessia Pisano nel suo contributo dal quale fuoriesce un contesto del tutto nuovo, quello della produzione seriale e industriale, oltre che specificamente artistica, in singoli episodi determinati dal rapporto fra centro e periferia e dall’eredità delle Reali Fabbriche Napoletane in un contesto, quello calabrese, privo di esperienze formative concrete e durature. L’indagine sulla ceramica ottocentesca in Calabria ci permette di delineare i rapporti, le derivazioni e le autonomie rispetto al contesto produttivo della Capitale del Regno9. Di tutte le manifatture borboniche le due fabbriche di porcellana, quella di Capodimonte voluta da Carlo di Borbone e quella di Napoli promossa dal figlio Ferdinando IV, furono le più conosciute e proficue insieme a quelle degli Arazzi e delle Pietre Dure. L’edifico nel bosco di Capodimonte fu commissionato dal Sovrano all’architetto Ferdinando Sanfelice nel 1743; vi furono impiegati arcanisti, addetti alla composizione della pasta, miniatori, modellatori, addetti al tornio, fornaciari e, nel ruolo di massimo risalto, il pittore. Nel repertorio figurativo si annoverano le scene galanti di tipico gusto rocaille, le battaglie, le nature morte, i paesaggi, il decoro floreale, i motivi ornamentali ecc. La Manifattura giunse al suo apogeo nel 1757 con la commissione del celebre Salottino di porcellana, oggi a Capodimonte, primo tassello della ambizione sovrana di realizzare un’intera stanza tuta in porcellana10. Sulla scia della precedente esperienza, nel 1773 Ferdinando IV intraprese, dopo averla condotta segretamente, la creazione della Real Fabbrica di porcellana di Napoli rimasta operativa fino al 1806. In tale congiuntura è evidente che l’Ottocento fu il secolo in cui grande attenzione fu tributata nel nostro territorio alle arti decorative ed alla ceramica in misura maggiore. Pur non trattandosi di un episodio del territorio cosentino, di straordinaria importanza appare il caso del pittore e ceramista Giuseppe Benassai11. Nel suo opuscolo Le Arti, lo Stato e le Industrie Nazionali del 1868, Benassai ricorda l’importanza degli operai che producevano stoffe a Lione, composizioni di porcellana a Sèvres, tappeti e arazzi, e si pose come l’antesignano di un movimento che qualche anno più avanti condusse alla nascita degli istituti d’Arte Industriali. Costui spinse la Calabria verso la splendida arte del fuoco e sul suo insegnamento operarono Andrea Cefaly e Achille Martelli. Il nuovo secolo registra invece l’attività del ceramista De Gattis12 e, a Cosenza, l’imporsi della fabbrica Aletti. Un passaggio -quello precedentemente delineato della terracotta da bene utilitaristico e d’uso comune a bene suntuario- che si ripete all’inverso nella vicenda produttiva cosentina della fabbrica Aletti, con cui si riconferma l’uso della creta e del mattone nell’edilizia e nella vita quotidiana13. L’attività dell’impresa Aletti, tra la fine del XIX e la metà del XX secolo coincise perlopiù con lavori edili, ferroviari e idraulici; l’azienda possedeva una fornace a Rende e una a Trebisacce ove produssero laterizi e manufatti in argilla come mattoni e formelle per pavimenti, costituendo uno dei fiori all’occhiello della produzione industriale e dunque dell’economia locale. L’ultima sezione della mostra è dedicata ai maestri ceramisti oggi attivi nella provincia di Cosenza; essi arrivano da Cosenza, Rogliano, Bisignano, Cropalati, Mendicino, Altomonte, Schiavonea, Rossano, Lappano, Cassano Ionio, Bocchigliero, Trebisacce Cariati e Saracena ed espongono al MaM in un felice e positivo dialogo con le opere provenienti dalle Città della Ceramica (Deruta, Faenza, Squillace, Caltagirone, Vietri sul mare ecc.) sotto l’egida dell’omonima Associazione14.
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Precipuo intento delle nostre mostre è, difatti, la riappropriazione delle radici storiche di ciascuna categoria artigianale, la riscoperta delle isole artigianali d’eccellenza attive sul territorio e il dialogo, o meglio, lo scambio e la contaminazione con le altre realtà nazionali in una perfetta e originale sintesi di esperienze umane e repertori figurativi e stilistici. Il MaM ha inteso collocare la produzione cosentina nel solco delle realtà italiane di massima vocazione ceramica perfettamente delineate nel contributo di Elena Dal Prato, ricongiungendo la stratificazione archeologica oggetto della mostra, la fitta mole di documenti e i singoli casi di lavorazione artigianale del territorio cosentino, ai più conosciuti sentieri delle vie della ceramica. La ceramica costituisce un’opera di eccezionale pregio nel novero dei beni artistici tradizionali italiani; garantirne la conoscenza e la ricostruzione storica rappresenta il nostro contributo a certificarne l’esistenza e a garantirne la tutela e la diffusione. Gli artigiani protagonisti della mostra sono gli effettivi eredi di questa tradizione artistica millenaria, investiti della speciale grazie e compito di esserne i continuatori. Incontriamo casi di aziende consolidate ma anche molte micro realtà difficili da scoprire. Nelle loro opere si attestano repertori figurativi desunti dal passato e dalle civiltà che hanno abitato il nostro territorio introducendovi l’arte della ceramica, ma vi si rinvengono anche i segni della forte connotazione mistica e simbolistica locale. Nelle loro lavorazioni si assiste al passaggio fra tradizione e innovazione, tra manualità antica e nuove sperimentazioni. Si producono in queste botteghe laterizi, formelle, mattonelle ma anche oggetti di uso domestico e quotidiani abbelliti dall’estro del maestro, fino ad oggetti propriamente artistici. Un capitolo a sé della produzione ceramica locale è quella delle maschere che, in un diretto scambio con la vicina produzione siciliana nella quale esse rievocano un passato mitico e cavalleresco15, costituisce un fattore di unione fra la lavorazione artigianale e il sostrato storico pregno di simbolismi, del nostro territorio. Se oggi i ceramisti sono attivi in ogni angolo del territorio cosentino, sono i centri di Bisignano, Altomonte, Paola, Marzi e Cariati quelli che un tempo costituivano i luoghi di massima concentrazione di artigiani della ceramica. In essi consistente era la lavorazione dell’argilla nelle sue diverse sfaccettature. Già Gabriele Barrio, nel 1571, aveva stilato una mappa delle attività in questione e delle aree di massimo sviluppo economico omettendo però Cariati e Bisignano. Lo storico aveva individuato sette località a vocazione fittile nella provincia di Cosenza, a fronte dei venti regionali complessivi16. Oltre ai rinvenimenti archeologici, si ha notizia dei vasai bisignanesi dal 1276 quando compaiono nella Platea del vescovo Ruffino in cui si fa menzione di Magister Johannes Figulus, Petrus Figulus e altri17. Con il passare dei secoli essi costituirono la maggiore fonte produttiva del territorio arrivando a identificare una intera zona del paese con le proprie ferventi botteghe18 e, nel 1573, in una enunciazione di “fuochi”, essi si attestarono nel rione Piano e nel rione Santa Croce. In Santa Croce si trovava un elevato numero di fornaci, confermate nella Platea del Vescovo Franchi Piccolomini d’Aragona del 1506. In essa risulta che (…) la ecclesia sancta trinitatis quae dicitur monasterium monalium posita intus civitatem bininiani ubi dicitur li pignatari tenet eam Abatissa sor Angela19. Nella Platea redatta fra il 1727 e il 1731 risulta inoltre che la chiesa un tempo dedicata a Sant’Antonio di Vienna (al tempo San Domenico) era detta delli pignatari; infine il Catasto Onciario del 1749 sancì definitivamente le famiglie di pignatari bisignanesi: i Fazzinga, i Montalto e i Panza20. Oggi continuano quest’arte i Pirri, la famiglia Scuro e i Taranto. Intorno alla metà dell’Ottocento Leopoldo Pagano attestò 15 vasellai a Bisignano, ricordando la presenza di 8 fabbriche di vasi grossolani di terra cotta per dentro e pei luoghi vicini21. La mostra mette dunque in risalto il rapporto tra l’aspetto utilitaristico dell’artigianato della ceramica e la sua insita capacità di assurgere a manufatto artistico, riducendo quella sottile linea di confine tra arte e artigianato, artista e artifex. Un Museo esperienziale che, accanto alle manifestazioni temporanee di volta in volta dedicate ad una specifica categoria artigianale, mira alla riappropriazione del “sapere” tecnico, dei gesti antichi, dei rituali e delle esperienze di bottega che costituiscono il procedimento artigianale-artistico, tramite installazioni e con l’esperienza dei laboratori. Essi, strutturati in incontri con gli autori, prove tecniche e trasmissione delle esperienze e abilità del maestro ai partecipanti, sono finalizzati
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ad una capillare conoscenza degli antichi mestieri e della loro attuale esistenza, ma anche ad offrire nuove possibilità di conoscenza, apprendimento e creatività. L’intento che informa le mostre del Museo delle Arti e dei Mestieri è quello di considerare ogni singola opera d’arte (o di artigianato d’eccellenza) come emblema di una congiuntura culturale specifica, come segno tangibile di un tessuto sociale limitato nello spazio ma erede di antichissime tradizioni, tentando di annettere nuovi territori e nuove personalità ai più ampi e noti tracciati dell’arte e dell’artigianato nazionale. Il tutto nella consapevolezza che il mondo artistico e artigianale contemporaneo viva nel costante dialogo di tradizione e innovazione, rafforzandosi grazie alle contaminazioni ovvero agli scambi ed ai confronti artistico-artigianali e culturali tra le diverse realtà nazionali che il Museo promuove all’interno delle sue manifestazioni espositive. Le produzioni orafa, tessile, del legno, della ceramica, del ferro e della pietra sono identificabili con il reale patrimonio artigianale della provincia di Cosenza. Pur mancando, difatti, scuole di pittori e scultori fatta salva qualche breve eccezione, i cosentini si distinsero per le lavorazioni dei materiali direttamente estratti dal territorio (metalli, pietra, legno e ginestra) caratterizzandone l’economia.
1 Cipparrone A., Un Museo per l’artigianato artistico, in “Predella” rivista on-line dell’Università di Pisa, n.32 2013 2 Un luogo specificamente dedicato sulla’artigianato come auspicavano, anni or sono, gli autorevoli autori de “Il Brutium” negli articoli una mostra delle Arti decorative del Mezzogiorno, in “Brutium” 1927, anno vi n1-2; Per la casa dell’artigianato bruzio, in “Brutium” 1927, anno VI n 4. 4 De Bonis M., Toponomastica: aspetti storici e commerciali della città di Cosenza, in Raccontiamoci la città, Cosenza 2002 5 ASCS, Notaio Giovanni Andrea Manfredi n. 54, anno 1598, carta 281 6 De Bonis M. cit., p. 46-47 7 Cagliostro R.M., Contributo alla conoscenza del Settecento in Calabria: la villa Clemente (oggi Caristo) di Stignano, in “Brutium”, n. 4, 1980, pp.2-20; Dattola Morello R., La villa Caristo a Stignano, in “Calabria Sconosciuta”, anno I., n. 3, 1978, pp. 59-63; Donatone G., Ceramica antica di Calabria, Napoli 1983; Donatone G, Il chiostro maiolicato di Santa Chiara, Napoli 1995; Gli spazi della ceramica, a cura di G. Zampino, Napoli 1995 8 Cipparrone A., La pittura civile nei palazzi ca-
labresi dal Cinquecento al Novecento, Tesi di Dottorato a.a. 2010-2011 9 Sovrane fragilità. Le Fabbriche Reali di Capodimonte e di Napoli, Milano 2007; Mottola Molfino A., L’arte della porcellana in Italia, Busto Arsizio 1976; Atlante di ceramica e porcellana: tavole e testi, Milano 2005; Perrotti A., La porcellana delle fabbriche borboniche, Napoli; 10 Sovrane fragilità, cit., p.25 11 Giuseppe Benassai ceramista, in “Brutium”, anno XVII 1938, pp. 1-5 12 Per il ceramista F. de Gattis, in “Brutium” 1932, anno XI, pp. 1-2 13 Guarasci R., Carrera S., Aletti e C. La storia, l’archivio, le immagini di una famiglia di imprenditori, Cosenza 2000; Carbone A., Le vie dell’argilla, Cosenza 2009 14 Le città della ceramica, a cura di AICC, Milano 2001 15 Grazzini G., I tesori dell’artigianato: la ceramica, in “Epoca”, 1961 n. 535 gennaio 16 Savaglio A., La produzione artigianale a Bisignano in età moderna. Le famiglie di “pignatari” nel catasto onciario del 1749, in Archeologia e ceramica. Ceramica e attività produttive a Bisignano e in Calabria dalla Protostoria ai giorni nostri, Atti del convegno, Bisignano 2005, a
cura di Antonio La Marca pp.217 e ss.; Galasso G., Economia e società nella Calabria del Cinquecento, 1992; Barrio G, De antiquitate et situ Calabriae. 17 Loizzo S., L’arte del vasaio calabrese tra il vecchio e il nuovo e la sua influenza nel tessuto urbano: il caso di Bisignano, Tesi di Laurea a.a 1991-1992; Pellegrino L.F., Cultura materiale ad Altomonte. La lavorazione della ceramica tra quotidianità e tradizione, Tesi di Laurea a.a.2000-2001 18 Curia R., Tradizioni popolari in Bisignano, Cosenza 1994 p.74; Gallo di Carlo G., I vasai di Bisignano, in “Brutium” 1927 n.11 19 Loizzo S., cit. 20 Ibidem 21 Falcone L., Attività dei “Pignatari” di Bisignano attraverso alcune fonti edite e inedite di archivi pubblici e privati dal XIII al XVIII secolo, in Archeologia e ceramica, cit., p. 229
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Pottery and Archaeology Pottery’s production and circulation from Proto history to ‘400
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Ceramica e archeologia Produzione e circolazione di manufatti in ceramica dall’età Protostorica al ‘400
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Potteries productions and use in Calabria’s High Tyrrhenian Gregorio Aversa
The presence of pottery in ancient times all over province of Cosenza’s side is testified in all main archaeological contexts surveyed. To be true it represents the main fossil-guide for their chronological organization, besides for a settlements dynamics’ correct reconstruction in an area that can be considered as the hinge between Southern Italy’s different ethno-cultural basins. Starting from Bronze Age Impasto pottery (Grotta della Madonna in Praia a Mare) and the first Iron Age (necropolis of Chiane in Serra Aiello). In consequence of the Greek colonization from the VI century b.C. in indigenous areas settlements start the development of local production (burials of San Brancato in Tortora) together with the importation from the Aegean and Magna Graecia products in pure Hellenic contexts (necropolis of Campora San Giovanni). But between the IV and the III century b.C. Greeks are replaced by Lucans and Bretii’s kind warrior communities and their big shape vases heritage (necropolis of San Brancato in Tortora, settlement of Laos). Right the above mentioned communities suffered Roman invasion presence that, with the end of the second Punic War, reinforced even more its presence in the area above all after the founding the Colony of Blanda. It’s the Age in which potteries, also in this side of Calabria end with becoming part of the typical state of mind of a Romanized Mediterranean world.
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Produzioni ceramiche e contesti di riferimento nell’alto Tirreno calabrese Gregorio Aversa
La storia dell’uomo è strettamente legata all’utilizzo dell’argilla quale risorsa primaria per la realizzazione di strumenti, oggetti d’uso, arredi e quant’altro possa essere connesso alla vita quotidiana e non. Le grandi mitologie vicino-orientali ricordano questo legame tra materia e uomo, al punto da avere stabilito un’interconnessione costitutiva tra l’argilla, come elemento primordiale, ed il genere umano. Ben nota è la narrazione della nascita di Adamo (Genesi 2, 4-7) , plasmato con la creta da Dio che opera come un artigiano-vasaio e, grazie al suo soffio vitale, rende vita ad un essere altrimenti costituito di sola materia. Ma l’impiego dell’argilla è caratteristico di tutte le civiltà dell’antico Vicino Oriente e del bacino mediterraneo anche in architettura. Le ziqqurat babilonesi, ad esempio, sono enormi piramidi costruite con mattoni di argilla, moduli in terra cruda essiccata al sole entro stampi di legno facilmente componibili, anche senza uso di leganti, grazie alla loro forma essenziale e molto funzionali poiché dotati di resistenza e impermeabilità. Altro importante campo di applicazione dell’argilla nel mondo vicino-orientale fu quello della scrittura. In particolare, presso i più antichi regni della mezzaluna fertile la contabilità veniva tenuta su supporti costituiti da tavolette fittili, sulle quali venivano incisi i caratteri che indicavano le quantità numeriche delle merci stipate entro i palazzi. Insomma, il quotidiano era strutturalmente condizionato dall’impiego di un materiale facilmente recuperabile in natura come l’argilla, caratterizzata da estrema plasticità se combinata con l’acqua e per questo assai versatile, refrattaria una volta asciutta, ma anche resistente ed impermeabile una volta essiccata. Tutte qualità che le facevano attribuire certamente un valore rituale e sacro. Poter realizzare oggetti in ceramica appariva, infatti, un qualcosa di meraviglioso proprio perché l’artigiano riusciva a creare forme ed elementi funzionali dall’argilla informe. E ciò avveniva grazie alla combinazione della materia prima con l’acqua e attraverso il passaggio nel fuoco. Le caratteristiche intrinseche all’argilla ne fecero il materiale di maggiore uso nell’antichità, anche più del legno o del metallo che sono più facilmente deperibili o possono essere aggrediti dall’erosione del tempo. Proprio per questa ragione la ceramica costituisce il vero fossile-guida dell’archeologia, utile nello studio delle civiltà antiche perché fondamentale nel fornire un dato oggettivo per l’inquadramento cronologico dei contesti indagati. Lo studio di tali reperti, quindi, non solo aiuta nella conoscenza delle produzioni artigianali, ma anche nella corretta ricostruzione delle dinamiche insediative, particolarmente importante in un’area cerniera tra diversi bacini etnicoculturali dell’Italia meridionale come è quella tra il massiccio del Pollino ed il golfo di Policastro. Non a caso, i più antichi prodotti ceramici rinvenuti lungo la sponda tirrenica della provincia di Cosenza sono rappresentati da vasi di impasto costituiti cioè da argilla grezza sommariamente cotta, la cui presenza è accertata in siti a carattere probabilmente cultuale o comunque di grande suggestione come sono le grotte. Ceramiche d’impasto dell’Età del Bronzo sono state individuate, ad esempio, nella Grotta della Madonna a Praia a Mare, dove dagli anni Cinquanta del Novecento viene indagata un complesso palinsesto stratigrafico contenente reperti che risalgono al Paleolitico Superiore e giungono fino alla tarda età del Bronzo1. Tracce di frequentazione più recenti appartengono all’età romano-imperiale, ma gli orizzonti culturali più significativi sono quelli delle ceramiche a Bande Rosse, di Serra d’Alto, del tipo Diana-Bellavista e delle fasi Gaudo-Appenninico. Anche altri siti analoghi dovettero esistere in questa zona, i quali assicurano circa la frequentazione in epoche così remote da parte di comunità indigene interessate al controllo del territorio,
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ma ancor più ad attività di reciproco scambio con le altre comunità. Ad esempio, con quelle più distanti situate sulle isole Eolie, che con le coste tirreniche della Calabria dovevano commerciare l’ossidiana già in epoca neolitica. Un’altra area non meno importante nelle fasi protostoriche era posta più a Sud, presso gli attuali comuni di Amantea, Cleto, Serra Aiello, Nocera Terinese, San Mango d’Aquino. Essa è assai probabilmente da legare alla memoria della mitica città di Temesa citata da Omero (Odissea I, vv. 180-184), allorquando la dea Athena apparsa a Telemaco sotto le spoglie di Mente, re dei Tafi, vanta di barattare il ferro col bronzo proprio con gli abitanti di Temesa2. L’archeologia fornisce qualche elemento a questo suggestivo tema di ricerca. Nel 2004, infatti, in località Chiane di Serra Aiello è stata indagata una importante necropoli indigena, i cui corredi risalgono alla prima età del Ferro, databile tra la fine del IX e la seconda metà dell’VIII secolo a.C.3. Le 26 sepolture contengono inumati entro fossa terragna, salvo un unico caso di incinerato. Oltre a numerosi oggetti in bronzo (fibule nei casi delle tombe femminili e cuspidi di lance nelle tombe maschili), i corredi delle sepolture presentano anche oggetti in terracotta: vasi biconici, scodelle monoansate, boccalini, tazze-attingitoio, askòi, pesi da telaio e fusaiole di impasto. I confronti riportano sia al mondo enotrio della costa ionica sia all’area etrusco-villanoviana dell’Italia centrale, tanto da situare questa necropoli al crocevia del mondo mediterraneo di quel tempo. La prima età del Ferro coincide con il grande movimento coloniale che dal mondo euboicocicladico portò alla nascita di Cuma in Campania e dal mondo acheo alle fondazioni delle grandi poleis di Sibari e Crotone sulla costa del mar Jonio. Ma una successiva ondata coloniale sul Tirreno si ebbe intorno ai decenni centrali del VI secolo a.C. nel momento in cui coloni provenienti da Focea, in Asia Minore, fondarono la città di Velia, lungo le coste del Cilento. In conseguenza di questo fenomeno, dalla metà del VI secolo a.C. si assiste allo sviluppo di produzioni di ceramica locali attestate nelle zone di necropoli di occupazione indigena, ma nel contempo vengono registrate importazioni di manufatti magno-greci e prodotti ceramici dall’Egeo in contesti sepolcrali puramente ellenici. Nel primo caso, campagne di scavo eseguite negli anni Novanta del secolo scorso hanno portato alla luce decine di tombe pertinenti ad una vasta necropoli sviluppatasi tra la seconda metà del VI ed il IV secolo a.C. in località San Brancato di Tortora4. Alla fase più antica appartengono sepolture i cui corredi presentano crateri, olle, kantharoi, oinochoai di produzione certamente indigena accanto a kylikes, skyphoi ed anfore di importazione, ma comunque pertinenti perlopiù alla pratica del simposio5. La comunità di riferimento sembra essere legata ad uno dei numerosi insediamenti costieri di cultura enotria che si svilupparono tra Vallo di Diano e Lucania interna e che ebbero relazione stretta col mondo sibarita, dotato di un proprio status politico-amministrativo come sembra possibile inferire dalle monete a legenda SERD- e dal cippo parallelepipedo iscritto da San Brancato che cita la touta, l’entità politico-istituzionale locale, vale a dire la comunità, lo stato (quello che i Romani chiameranno civitas), ma successivamente anche il luogo stesso delle assemblee pubbliche della comunità. Questa comunità indigena, che Emanuele Greco propone di identificare con l’ethnos dei Seradaioi6, aveva bene assimilato la lezione dei ceramisti greci e, in totale autonomia, aveva sviluppato una produzione autonoma di ceramiche in cui prevale l’uso di decorazioni a carattere lineare geometrizzante che riporta a tradizioni elleniche di almeno un secolo più antiche, le quali tra VIII e VII secolo a.C. in Italia meridionale avevano goduto di grande successo anche tra le popolazioni indigene. Altro discorso occorre fare per i corredi dalla necropoli di Campora San Giovanni7. Qui le tombe, databili tra gli ultimi decenni del VI e la metà del V secolo a.C., testimoniano della presenza di una comunità assolutamente greca. Anzi, la caratteristica composizione dei corredi, costituiti in prevalenza dalla lekythos, il vaso-unguentario per eccellenza, portano a ritenere che le sepolture debbano riferirsi a membri appartenenti ad una polis crotoniate. La similarità con i corredi recuperati nella necropoli della Carrara di Crotone portano gli studiosi a ritenere che quello di Campora San Giovanni rappresenti il sepolcreto della città di Temesa di età arcaica, la stessa che le monete di alleanza con legenda TEM- raffiguranti da un lato il tripode dall’altro una testa
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elmata dichiarano essere stata in collegamento con Kroton8. I materiali ceramici sono peraltro analoghi a quelli recuperati nel santuario di località Imbelli, dove lo scavo condotto da Francesco Gioacchino La Torre ha messo in luce le fondazioni di un tempio di età arcaica di impronta acheo-coloniale, posto in relazione dallo scavatore con il culto locale dell’eroe-demone Polites-Alybas9. La presenza greca, sibarita prima e crotoniate dopo, influenzò per tutto il VI e il V secolo a.C. i territori costieri affacciati sul mar Tirreno, rappresentando la componente culturale di maggiore impulso anche nel campo dell’artigianato. Ma la crisi che conseguì da un lato agli scontri tra Crotone e Locri a sud, dall’altro alla pressione esercitata dalle popolazioni appenniniche dell’Italia centrale verso i territori di Taranto e di Thurii, più a nord, tra V e IV secolo a.C., nonché la concomitante presenza di componenti puniche e siceliote interessate ad interferire nelle vicende politiche della Magna Grecia di quegli anni, portarono al graduale ma ineluttabile sopravvento di nuove stirpi, i Lucani e i Brettii, nei territori tirrenici un tempo controllati dai greci di Laos, Skidros, Temesa e Terina. Al riguardo lo storico Diodoro Siculo (XIV 101, 1-3) esplicitamente dichiara come la città di Laos nel 389 a.C. fosse ormai saldamente in mano lucana. E gli scavi sul pianoro di San Bartolo di Marcellina hanno confermato la presenza nei luoghi un tempo in mano ai Sibariti di una città di impronta lucana, dove i nuovi occupanti assai probabilmente mantennero memoria dell’antico abitato greco10. Proprio il ricco corredo della famosa tomba a camera individuata nel 1963 a Marcellina conferma l’appartenenza di queste comunità al mondo italico dei Lucani. I grandi vasi figurati che la compongono sono, infatti, prodotti da officine apule, ma anche lucane operanti negli anni successivi alla metà del IV secolo a.C.11. Le medesime botteghe sono presenti nella meglio indagata necropoli di San Brancato di Tortora. Qui sono stati recuperati corredi relativi a sepolture databili tra la metà del IV e i primi decenni del III secolo a.C. poste a poche centinaia di metri dal probabile insediamento sul colle del Palecastro, in posizione strategica allo sbocco della valle del fiume Noce, importante arteria fluviale che si incunea nell’Appennino calabro. L’area sepolcrale trova affinità con buona parte delle necropoli del retroterra del golfo di Policastro (Roccagloriosa, Castelluccio sul Lao, Rivello) e presenta tombe prima nel tipo a fossa semplice (prima metà IV secolo a.C.), successivamente alla cappuccina e a grandi casse (seconda metà IV secolo a.C.). Tra queste, la tomba 113 costituisce la sepoltura numericamente più cospicua, con vasi che possono essere attribuiti a pittori apuli o apulizzanti. Al corredo della nobile donna lucana appartiene tra gli altri una grande hydria con profilo di testa femminile probabilmente da attribuire all’opera del “Pittore di Napoli 2585”, ceramografo dell’ultimo stadio delle produzioni pestane12. Ormai tra IV e III secolo a.C. ai Greci erano subentrate le comunità guerriere di stirpe osca, che con il loro ricco patrimonio di vasi dalle grandi dimensioni offrono un campionario molto peculiare di una delle più tipiche produzioni sviluppatasi attorno al golfo di Policastro. E proprio tali comunità finirono col subire a loro volta la pressione dell’invasore romano che, con la fine della seconda guerra punica (218-202 a.C.), rafforzò sempre più la propria presenza nell’area, soprattutto a seguito della fondazione della colonia di Blanda. Quest’ultima, col tempo, divenne uno dei poli più saldi della romanizzazione lungo il Tirreno calabrese, attorno al quale si formarono diversi piccoli insediamenti minori, tra i quali quello in località Cirella di Diamante. La diffusione della ceramica di età romana è ben inquadrabile grazie allo studio approfondito delle stratigrafie del Palecastro di Tortora, sede della colonia romana di Blanda Julia13. Alle sigillate italiche col tempo si sostituiranno quelle africane. E, allo stesso modo, col tempo le lucerne e le anfore di produzione centro-italica cederanno il campo a quelle provenienti dal nord Africa, come attestato dalla necropoli in località Tredoliche di Cirella14. Sebbene anche nel tardo impero romano le attestazioni ceramiche non manchino e possano dirsi non meno significative rispetto a quelle più antiche siamo ormai nell’epoca in cui le presenze ceramiche anche in questa parte della Calabria finiscono col rientrare nelle logiche più tipiche di un mondo mediterraneo ormai romanizzato.
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1 V. Tiné (a cura di), Praia a Mare. Guida Archeologica, Praia a Mare (CS) 2006. 2 A. Mele, “Per una rivisitazione di Temesa”, in G.F. La Torre (a cura di), Dall’Oliva al Savuto. Studi e ricerche sul territorio dell’antica Temesa, Atti del convegno (Campora San Giovanni, 15-15 settembre 2007), Pisa-Roma 2009, pp. 79-102. 3 R. Agostino – F. Mollo (a cura di), Alla ricerca di Temesa omerica. Primi dati dalla necropoli Chiane di Serra Aiello, Scilla (RC) 2007; L. La Rocca, “La necropoli dell’età del Ferro in località Chiane di Serra Aiello e il problema di Temesa”, in Dall’Oliva al Savuto cit., pp. 57-77. 4 R. Donnarumma, Luigina Tomay, “La necropoli di San Brancato di Tortora”, in G.F. La Torre, A. Colicelli (a cura di), Nella terra degli Enotri, Atti del Convegno di Studi (Tortora, 18-19 aprile 1998), Paestum 1999, pp.. 49-49. 5 F. Mollo, Archeologia per Tortora: frammenti dal passato. Guida della Mostra di Palazzo Casapesenna, Potenza 2001. 6 E. Greco, “Serdaioi”, in AION(archeol), 12,
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1990, pp. 39-57. 7 F. Mollo, “Nuove ricerche e nuovi dati sulla frequentazione di epoca arcaica tra Campora S.Giovanni di Amantea e Serra d’Aiello: un quadro preliminare”, in Dall’Oliva al Savuto cit., pp. 151-166. 8 A. Stazio, “Temesa. La documentazione numismatica”, in Temesa e il suo territorio, Atti del colloquio di Perugia e Trevi (30-31 maggio 1981), Taranto 1982, pp. 93-101; N. Parise, “Crotone e Temesa. Testimonianze di una monetazione d’impero”, ibidem, pp. 103-118. 9 F.G. La Torre, Un tempio arcaico nel territorio dell’antica Temesa, Roma 2002. 10 G. Aversa – F. Mollo, Il Parco di Laos. Guida all’area archeologica di Marcellina. Comune di S.Maria del Cedro, Scilla (RC) 2010. Sulle produzioni ceramiche della Laos lucana si veda anche P. Munzi Santoriello, “Les fours de potiers et la production céramique à Laos (Calabre)”, in J.-P. Brun (cur.), Artisanats antiques d’Italie et de Gaule. Mélanges offerts à Maria Francesca Buonaiuto, Napoli 2009, pp. 265-
283. 11 E. Greco – P.G. Guzzo (a cura di), Laos II. La tomba a camera di Marcellina, Taranto 1992. 12 D. Trendall, The Red-figured Vases of Paestum, Roma 1987, pp. 322-323 13 F.G. La Torre – F. Mollo, Blanda Julia sul Palecastro di Tortora. Scavi e ricerche (1990-2005), Soveria Mannelli 2006. 14 G. Aversa, Alla scoperta dell’antica Cirella. Guida alla mostra archeologica, Scilla (RC) 2013.
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The pottery set discovered in Iron Age Necropolis’ Tomb 10 in Chiane place near Serra d’Aiello Francesco Froio
During the last years, deepened surface researches putted in action by the Superintendence for Calabria’s arts and ethno anthropological heritage together with the Archaeological team Alybas, in Serra d’Aiello Municipality’s area, permitted identifying a wide settlement system that, developed since Neolithic all over the coastal terraces, centers near Serra d’Aiello ridge’ hills during Middle and Late Bronze Age. Hut’ ruins, numberless potteries fragments all over the area, tens of tombs gathered from the rag rock identical to Mycenaean tradition’s burial-place discovered in Sicily, represent what remains of the Bronze Age. But it’s during the Iron Age that the settlement reaches its maximum extent and richness. It’s the area in which begins the story of the ancient TEMESA settlement. In 2004 near Chiane in Serra d’Aiello Municipality is discovered an Iron Age Necropolis (IX – VIII century b. C.) in which, until now, have been excavated 26 terrestrial burial tombs. In tombs have been discovered potteries sets made up just by biconical vases, one handle bowls, jugs, cups and the Askòi to which are often added loom’s weight, spools and fusaroles to identify feminine burial. Rich are the metal kits: almost all the man tombs have spear’ cusps and the bronze sauroter, with buckles, above all twisting shape ones, typical of southern Italy production in bronze. Discovered ground goods richness , together with settlement’ extension an its strategic position especially in terms of defense, communication roads and control, joined also to the presence of the famous copper deposits, mentioned by Homer in his Odyssey, points out the importance of this Tyrrhenian community, the only one of the whole Iron Age between Pontecagnano and Tropea having relations with Oenotrians élites settled in the Sibaritide and above all, with Villanovan populations. The presence of princely tombs testifies community’s structure, an emerging aristocracy, able of affirming a relevant social status and resisting to Etrurian control and Euboaen Chalcis attempt of obtaining the territorial control form a commercial point of view. Realized impasto potteries are pretty common also to others Iron Age necropolis (Torre Galli, Torre Mordillo, Castiglione di Paludi, and so on). Relevant is the presence of a basic kit made up by the constant association of a closed piece used as container (Askòs, biconic, small vases) with two or more openings used to eat or drink (cup or soup plate). In some cases there are two soup plates, in others the cup is missing. In all feminine tombs there are elements referable to deceased’s activity, generally are elements tied to spinning such as spools, fusaroles and/or loom’s weight in different number. In some burials is present the ritual of the vase, often a soup plate, broken as the ritual asked. The tomb 10, which pottery’s ground good is on exhibition near the Arts and Crafts Museum, represents without any doubt, one of the most important burial of the whole necropolis. Ground good’s metal kit is made up by a big bracelet in bronze realized with the full casting technique, some rings in iron and bronze, a leech shape buckle with a rhomboidal section arch and a plate shape clamp in bronze, a buckle in iron with plate shape clamp and the eye of the needle in rock crystal and a series of small pearls in amber, of different shape and dimension, maybe part of a necklace, and by an oblong solitaire in amber, pierced and adorned with small concentric rings. The ground good’s pottery kit, placed at deceased’s feet is made up by a one handle bowl, a cup, an Askòs, seven spools for yarn all realized with the impasto technique and hand molded and by a kylix (small cup) apodal and realized in clay with the lathe. The kylix is the only find of the whole necropolis realized in figuline clay and it is, surely an imported object, probably Euboaen production, suggesting a early pre-colonial commercial activity that, joined with all the other important and rare artifacts surely Etruscan and Villanovan, underlines the already mentioned indigenous’ skill for commerce having relation with different civilizations.
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Il corredo ceramico della Tomba 10 della necropoli dell’età del ferro di località Chiane di Serra d’Aiello Francesco Froio
Fig. 1- Panoramica della necropoli Chiane
Il territorio della Temesa omerica e la necropoli Chiane L’area del comune di Serra d’Aiello (CS) costituita dalla successione di tre pianori, Cozzo Piano Grande, Cozzo Carmineantonio e Cozzo Serra Aiello, separati tra loro da strette selle di collegamento ed elevati circa 400 m. s.l.m. posti nel tratto costiero compreso tra i fiumi Oliva e Savuto, è un’area di estremo interesse storico-archeologico. E’ l’area in cui si snoda la storia insediativa dell’antica TEMESA. Negli ultimi anni, approfondite ricerche di superficie condotte dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria insieme al Gruppo Archeologico Alybas, hanno permesso di riconoscere un ampio sistema insediativo che, sviluppatosi dal Neolitico lungo i terrazzi costieri, si concentra nel Bronzo medio e recente sulle colline della dorsale di Serra d’Aiello. Resti di fondi di capanne, numerosissimi frammenti ceramici dispersi sulle pendici dell’area, decine di escavazioni funerarie ricavate nel banco roccioso friabile paragonabili alle identiche sepolture sicule di tradizione micenea, rappresentano ciò che resta dell’età del Bronzo. Ma è con la successiva età del Ferro che l’insediamento raggiunge la massima espansione e ricchezza. Tale dato insediamentale trova una forte conferma nel 2004 nella scoperta di una necropoli
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Fig. 2 - La tomba 10 in corso di scavo
dell’età del ferro (IX – VIII sec. a. C.) rinvenuta in località Chiane di Serra d’Aiello, in cui sono state scavate fino ad ora 26 sepolture del tipo ad inumazione terragna (fig 1). In alcuni casi le fosse sono ricavate direttamente nel terreno sabbioso o nel banco di arenaria, in altri casi la fossa di deposizione è rivestita e delimitata da ciottoli fluviali di medie e grandi dimensioni e da tumulo di copertura. Isolato, per il momento, il caso di un’incinerazione entro grande olla, all’interno della quale sono i resti del defunto ed il corredo metallico e ceramico. Le tombe presentano corredi ceramici limitati ai vasi biconici ed alle scodelle monoansate, ai boccalini, alle tazze-attingitoio ed agli askòi, cui spesso si affianca la presenza di pesi da telaio, rocchetti e fusaiole ad impasto a connotare i corredi femminili. Ricchi sono i corredi metallici: la quasi totalità delle tombe maschili presenta la cuspide di lancia ed il sauroter in bronzo, accompagnate da varie fibule, soprattutto di tipo serpeggiante meridionale in bronzo. Le tombe femminili in particolare, presentano in alcuni casi (Tomba n. 6 e tomba n. 14) ricchi e svariati ornamenti personali in bronzo, ferro ed ambra (falere, fibule a quattro spirali e ad arco serpeggiante in bronzo, collane con pendagli e vaghi in ambra e pasta vitrea, orecchini in ambra, fermatrecce, pettorali e pendagli in bronzo e ferro). Le forme ceramiche realizzate in impasto sono abbastanza comuni a quelle di altre necropoli dell’età del ferro (Torre Galli, Torre Mordillo, Torano, Castiglione di Paludi, ecc.). Si rileva la presenza di un servizio di base costituito dalla costante associazione di una forma chiusa utilizzata per contenere (Askòs, biconico, olla) con due o più forme aperte utilizzate per mangiare e bere (scodella, tazza). In alcuni casi le scodelle sono due, in altri non compare la tazza. In tutte le tombe femminili sono presenti elementi riferibili all’attività della defunta, normalmente legata alla filatura, come fusaiole, rocchetti e/o pesi da telaio in numero diverso. In alcune sepolture compare il rituale di un vaso, solitamente una scodella, rotta ritualmente. La ricchezza dei corredi, soprattutto per quanto riguarda i reperti metallici, unita con l’estensione dell’insediamento abitativo e la sua ubicazione strategica di difesa e controllo delle vie di comunicazione, unita anche alla presenza dei famosi giacimenti di rame menzionati da Omero nell’Odissea, sanciscono l’importanza di questa comunità tirrenica, l’unica nell’età del ferro tra Pontecagnano e Tropea capace di intrattenere rapporti in contemporanea con le élites enotrie della Sibaritide (come dimostrano le fibule, le falere ed altri importanti ornamenti tipici della facies enotria) e soprattutto con genti villanoviane (si pensi al pendente aureo della tomba 14, all’incensiere con una decorazione tipica della barca solare della tomba 6, alla spada ad antenne tipo Tarquinia, al pendente ornitomorfo, al frammento di fodero di spada tipo Veio, al frammento di elmo crestato rinvenuto nel santuario di Imbelli, a poche centinaia di metri da Cozzo Piano Grande). La presenza di tombe principesche (la n. 6 e la n. 14) testimonia la strutturazione della comunità, una aristocrazia emergente, capace di affermare uno status sociale rilevante e di resistere al controllo etrusco ed ai probabili tentativi euboici calcidesi di un controllo territoriale commerciale, cui la presenza di una coppetta di ceramica figulina nella tomba n.10 ne rappresenta un esempio di commercio precoloniale. La Tomba 10 La tomba 10 rappresenta, senza dubbio, una delle sepolture più importanti del sepolcreto. Si tratta di una sepoltura ad inumazione supina ricavata in una semplice fossa terragna scavata nel banco di arenaria ad una certa profondità (circa 1 metro dal piano di campagna), fatto che l’ha salvaguardata dall’impianto degli ulivi che la lambiscono. (fig. 2) La fossa, ampia circa 2,35x0,70x0,35 m, risulta riempita da arenaria di colore rossiccio, misto a qualche chiazza di terreno di colore scuro; essa è tagliata regolarmente nel banco di arenaria sui lati sud ed ovest, mentre risulta difficile seguirne l’andamento su quelli nord ed est, dove era localizzata una buca d’albero. Lo scheletro è poco conservato, fatta eccezione per alcuni frammenti all’altezza del petto. Il cranio doveva essere posto a NE. La composizione del corredo evidenzia come si tratti di un individuo di sesso femminile. Il corredo metallico è costituito da un grande bracciale a fusione piena in bronzo, da alcuni anelli
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digitali in ferro ed in bronzo, da una fibula a sanguisuga piena con arco a sezione romboidale e staffa a disco in bronzo, da una fibula in ferro con staffa a disco e con la testa dell’ago in cristallo di rocca, da una serie di vaghi in ambra di diversa forma e dimensione, componenti forse una collana, e da un vago di ambra solitario di forma oblunga, forato per la lunghezza e decorato a cerchielli concentrici. (fig. 3)
Fig. 3 - Vago di ambra con decorazione a cerchielli
Il corredo ceramico è posto ai piedi dell’inumata ed è costituito da una scodella monoansata, da una tazza attingitoio, da un askòs, da sette rocchetti per filo, tutto realizzato ad impasto e modellato a mano e da una kylix (coppetta) apode in argilla, realizzata al tornio. La scodella monoansata (fig. 4) ha il diametro all’orlo di 24,5 cm, il diametro al piede di 7,5 cm, e l’altezza di 8 cm. E’ stata realizzata a mano con un impasto scuro, presenta l’orlo assottigliato rientrante, la vasca profonda a profilo troncoconico terminante con un piccolo fondo a profilo concavo, l’ansa a bastoncello fortemente obliqua, quasi verticale. Questo tipo è attestato a partire dalla fase IIa di Torre Galli (Cronologia di M. Pacciarelli). In particolare si osservi l’associazione scodella monoansata – askòs della necropoli La Rota di Candidoni.
Fig. 4 - Scodella monoansata
La tazza attingitoio (fig. 5) ha il diametro all’orlo di 7,2 cm, il diametro al piede di 2,5 cm, l’altezza di 4,5 cm. Anch’essa realizzata a mano con un impasto di colore scuro, presenta l’orlo assottigliato verticale, raccordato alla vasca attraverso la spalla, poco pronunciata, la vasca a profilo convesso, poco profonda, il fondo ombelicato a profilo concavo, l’ansa a nastro insellata, sormontante l’orlo.
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Il profilo del corpo, globulare e continuo, e l’orlo indistinto verticale distinguono, pur in mancanza di un profilo calzante, una tipologia recenziore della forma, assimilabile alla fase II di Pontecagnano (Cronologia di P.Gastaldi – B. D’Agostino).
Fig. 5 - Tazza attingitoio
L’askòs (fig.6) ha il diametro all’orlo di 7,5 cm, il diametro al piede di 8 cm, l’altezza di 19,5 cm. Come i precedenti è realizzato a mano con un impasto scuro. Presenta un orlo con labbro assottigliato, svasato, tendente a ripiegarsi verso il basso, il collo conico, il corpo ovoidale schiacciato, il piede appena rilevato con fondo a profilo concavo convesso, l’ansa a nastro verticale, impostata inferiormente sulla spalla e superiormente sull’orlo. Il tipo, a differenza di un altro esemplare proveniente dalla stessa necropoli (Tomba 6), risulta essere leggermente più recenziore per la presenza dell’ansa prensile anziché di quella a linguetta forata. I confronti (ad es. necropoli Candidoni di Nicotera) portano l’esemplare ad essere datato all’incirca alla metà dell’VIII sec. a.C.
Fig. 6 - Askòs
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I sette rocchetti (fig.7) presentano una lunghezza variabile dai 3,3 cm con diametro estremità di 3 cm ai 4,5 cm con diametro estremità di 3,5 cm. Alcuni sono integri, altri scheggiati nelle estremità. Fatti a mano con un impasto di colore bruno scuro. I rocchetti di impasto, utilizzati per avvolgere il filo per cucire, sono molto comuni nelle sepolture dell’età del ferro. Indicatori del sesso femminile sono anche espressione della detenzione della funzione di attività sartoriale della defunta. Gli esemplari della T. 10 presentano le estremità di forma piana o leggermente concava ed alcuni sono dotati di foro passante.
Fig. 7 - Rocchetti
La kylix (coppetta biansata) (fig. 8) ha il diametro dell’orlo di 10 cm, il diametro al piede di 5 cm, l’altezza di 6 cm. Realizzata al tornio, in argilla depurata di colore nocciola. Presenta un orlo assottigliato quasi verticale, raccordato alla spalla da una piccola solcatura, la vasca bassa a profilo convesso, il piede appena rilevato con fondo a profilo piatto, le due anse a bastoncello orizzontali, leggermente revolute verso l’alto. Decorata a vernice nera a fasce a risparmio sulla parte bassa della vasca, con zone risparmiate o con decorazione ormai persa sulle spalle tra le due anse. Internamente è completamente a vernice nera. La coppetta è stata rinvenuta all’interno della tomba utilizzata come coperchio dell’askòs.
Fig. 8 - Kylix
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E’ l’unico reperto ceramico dell’intera necropoli che è realizzato in argilla figulina ed è chiaramente un oggetto di importazione, di probabile produzione euboica. Le caratteristiche formali, soprattutto l’orlo e la vasca, la decorazione geometrica a motivi lineari, lo spazio metopale tra le anse, ne fanno un esemplare di produzione tardo-geometrica richiamante il classico tipo con decorazione a chevrons (Veio, Laghetto di Tarquinia, Ficana, ecc.). Oltre che la forma, anche la tecnica stessa di realizzazione, i rapporti proporzionali, gli spessori, l’argilla, sembrano contrastare con l’ipotesi di assimilare il nostro esemplare con quello proveniente dalla necropoli di Torre Mordillo, come ipotizzato da P.G. Guzzo. Confrontando i due esemplari si denota subito la “finezza” dell’esemplare di Chiane rispetto a quello di Torre Mordillo. In linea più generale, e considerando altri reperti ceramici significativi, purtroppo frammentari e da ricognizione, di ceramiche figuline con decorazioni ondulate ed a fasce di produzione tardogeometrica, provenienti dal territorio di Temesa, si può facilmente ipotizzare una forte influenza formale delle necropoli anelleniche locresi oppure dei coevi insediamenti greci campani rispetto ai legami con la ceramica di matrice enotria che sembrano invece molto flebili, per non dire assenti del tutto. Ad influenze enotrio-ioniche si riescono invece facilmente a collegare molti degli aspetti relativi all’ornamentazione metallica delle sepolture femminili. La presenza della kylix della Tomba 10 quale testimone di una precoce attività commerciale precoloniale, unita alla presenza di altri importantissimi e rari manufatti di provenienza e fattura etrusco-villanoviana, e il perdurare di queste presenze allogene non solo nell’VIII sec. a.C. ma anche nel secolo successivo con la presenza di grandi quantità di ceramica di tradizione protocorinzia come le coppe a filetti e l’emblematica presenza di un frammento di kylix in bucchero etrusco sottile del tipo più antico (Rasmussen tipo 1a), denotano la già citata capacità delle comunità indigene del territorio di Temesa di intrattenere rapporti commerciali spazianti su molteplici direttrici, come se fosse una comunità centrale polarizzante rispetto ai centri culturali dell’epoca. E’ come se tutto ciò traducesse in significato concreto e pragmatica valenza commerciale lo scritto di Omero che codificava Temesa come il luogo dove i regnanti (Mente re dei Tafii) si recavano per scambiare ferro e bronzo.
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Cosenza’s middle Tyrrhenian and Cetraro’s museum of Brettii and Sea: stories of potteries production and circulation between Hellenistic period and Late Antiquity
The present research shows the human presence in the district on the coast of Cosentino Tyrrhenian sea between the cities of Belvedere at north and Fuscaldo at south, refers to the population of Brettii between the end of the fourth and the first half of the third century BC, to the very episodic presence of Romans, and especially to what happened post 1000 AD when Cetraro and its wide territory become possessions of the Montecassino’s abbey. These phases are collected and presented widely and teaching in the Museum of Brettii and the Sea of Cetraro, surfed Museum that tells and shows the peculiarities of a region morphologically very varied but underestimated the productive and economic potential. The analysis of settlement dynamics of ancient times allow us to outline the main prerogatives of production of the same area, prepared to subsistence farming, sheep farming, marketing of oil. Local pottery, whether they are in ceramic black paint Hellenistic or transport amphorae from various periods, that the present work analyzed in detail, shows the economic potential of the area of Middle Cosentino Tyrrhenian sea, certifying the capacity, especially in coastal and maritime view, of the people of the Tyrrhenian to fit in a full Mediterranean trade whit economic and social dignity. This aspect emerges, and this is a great news of the research, in all periods of history as well as two-way trade, as imports arrive on the Tyrrhenian numerous Greek, Phoenician-Punic and, African (also from Spanish area). So the analysis of ancient contexts highlights an unexpected vitality of the coast of the Middle Cosentino Tyrrhenian sea, the theatre of commerce, navigation, fishing and seafaring, aspects that are still the productive prerogative of this land. Translation by Fabrizio Mollo
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Il medio Tirreno cosentino ed il Museo dei Brettii e del Mare di Cetraro: storie di produzione e circolazione di ceramiche fra età ellenistica ed epoca post-antica Fabrizio Mollo
Il contesto di riferimento e le problematiche Il Museo dei Brettii e del Mare, nella splendida cornice del Palazzo del Trono nella piazza del Centro Storico di Cetraro, rappresenta il contenitore museale più importante dell’area del Medio Tirreno cosentino e raccoglie in tre sezioni tematiche le più significative testimonianze archeologiche provenienti dal territorio cittadino e dai comuni limitrofi1. Le ricerche effettuate negli anni, soprattutto nell’ultimo ventennio, hanno offerto un quadro abbastanza articolato delle presenze umane in diacronia nel territorio, fortemente influenzate dal contesto e dalla geomorfologia dell’area. (fig. 1) Si tratta, infatti, di un comprensorio che presenta una struttura orogenetica molto accidentata, con profili collinari molto mossi che dalla linea di costa, al cui fianco si dipana una ristrettissima area pianeggiante, in una continua ascensione, arrivano sino alle vette più alte della Catena Costiera, raggiungendo e superando anche i 10001200 m s.l.m. (fig. 2) Lo spartiacque rappresentato, dunque, dal sistema collinare e montuoso del segmento meridionale del Massiccio del Pollino verso nord (tra i comuni di Belvedere M.mo, Bonifati, Sangineto) e della Catena Costiera verso sud (in corrispondenza dei comuni di Cetraro, fig. 1 Veduta satellitare del Tirreno cosentino fig. 2 La vallata del fiume Aron
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Acquappesa, Guardia Piemontese, Fuscaldo) funge da cornice e di fatto ha reso questo settore di costa inaccessibile da est e ne ha marginalizzato la storia territoriale, legata in maniera imprescindibile, come vedremo, a pratiche di pastorizia, ad una piccola agricoltura di sussistenza, ad attività collegate allo sfruttamento delle risorse boschive delle aree più interne, senza perdere però una prospettiva costiera, marittima, commerciale a ridosso della costa tirrenica. E questa rappresenta senza dubbio una nuova prospettiva di ricerca emersa negli ultimi anni, ovvero il forte rapporto di questo comprensorio in tutte le epoche con il mare, con le sue risorse (la pesca), attraverso storie di commercio e di scambi che rappresentano un elemento forte di caratterizzazione delle popolazioni del medio Tirreno cosentino. Tutto ciò nonostante anche le difficili caratteristiche del profilo della costa e dei litorali, battuti da fortissime correnti, occidentali e nord-occidentali, con una batimetria altrettanto accidentata quanto l’altimetria, con fondali profondi, secche emergenti e temibili, in un contesto di linea di costa piatta, dritta, con pochi approdi naturali e per questo importuosa. In questo contesto territoriale, dunque, paradossalmente le difficili condizioni ambientali e geomorfologiche hanno visto il susseguirsi di fenomeni di antropizzazione discontinui nel tempo ma comunque significativi, forti e pregnanti, propri di un’identità culturale abbastanza caratterizzata anche nella produzione di manufatti ceramici, come vedremo. Il Museo dei Brettii e del mare in questa ottica riassume la complessa ed articolata storia insediativa del comprensorio tirrenico cosentino, offrendo uno spaccato significativo delle dinamiche culturali e socio-economiche della presenza brettia, dello sfruttamento costiero e del mare Tirreno in tutte le epoche attraverso profonde tracce di vitalità commerciale, ed in ultimo dell’importante storia basso medioevale e post-antica di un comprensorio tributario del grande monastero di Montecassino. fig. 3 Calabria. Principali siti ellenistici
fig. 4 Carta archeologica del Medio Tirreno cosentino in età ellenistica
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I Brettii nel Medio Tirreno cosentino: tracce di produzione e circolazione tra fine IV e prima metà III sec. a.C. Uno dei momenti più significativi della storia del territorio è rappresentato dalla fase di presenza italica, riferibile alla stirpe brettia. Le fonti ci raccontano dell’arrivo di popolazioni di stirpe osca dall’Abruzzo e dal Molise, i Lucani, in forma di ver sacrum (ovvero per l’allontanamento con la forza dei maschi spinti alla ricerca di nuove aree da occupare e sfruttare commercialmente e dal punto di vista agricolo) e dell’emancipazione di una tribù, quella dei Brettii, nel 356 a.C. (fig. 3) Tale popolazione andò ad occupare la parte settentrionale della Calabria, in particolare l’area del grande bosco, la Silua, ovvero l’odierna Sila, sfruttandone le possibilità produttive (soprattutto la pix, la pece, celebre nell’antichità quella brettia), organizzandosi intorno a due grandi capitali, Consentia e Petelia (l’odierna Strongoli) e presidiando gran parte delle aree collinari e paracostiere della costa tirrenica e soprattutto di quella ionica, dove si instaura un vero e proprio sistema di presidio militare e strategico delle aree e delle vie di comunicazione, con numerosi insediamenti fortificati, a poca distanza l’uno dall’altro, di cui sono tributari fattorie e piccoli villaggi disposti in forma sparsa e diffusa nelle aree collinari2. Cantoni territoriali forse organizzati in forma confederale, come emerge dalla monetazione, tra loro autosufficienti, popolarono il territorio e nel momento di massima espansione demografica e politica, intorno al 330 a.C., gruppi di Brettii si spostarono ad occupare capillarmente il territorio, anche le porzioni più difficili da antropizzare, tra cui anche la zona costiera tra Belvedere Marittimo e Paola3. I Brettii, rispondendo alle loro prerogative di tipo guerresco e mercenariale, allargarono i propri domini, entrando in contatto e scontrandosi con le città coloniali, soprattutto Thurii e Crotone, Hipponion e Terina. Essi resistettero tenacemente all’espansione romana in Magna Grecia sino alla guerra annibalica (219-202 a.C.), quando la gran parte della popolazione brettia assunse una posizione filo-cartaginese e per questo fu pesantemente punita. Questo atteggiamento determinò, inoltre, una pesante propaganda denigratoria da parte dei Romani, che modificarono la definizione etnica (Bruttii in luogo di Brettii), insistendo sulla rozzezza e sulla loro rusticità in chiave evidentemente di propaganda negativa. Le ricerche effettuate negli ultimi due decenni hanno permesso di elaborare un vero e proprio modello insediativo collegato alla presenza capillare nell’area del medio Tirreno cosentino a partire dal 330 e sino al 270/260 a.C. (fig. 4) Gli insediamenti individuati sono oltre settanta, afferenti
fig. 5 Il territorio di Bonifati. S. Candido
fig. 7 Planimetria della necropoli di Treselle di Cetraro
fig. 6 Manico peploforico in bronzo da Acquappesa
a due distinte tipologie, piccoli nuclei di necropoli o tombe singole e fattorie o piccoli villaggi, disposti sulle colline tra i 300 ed i 600 m s.l.m., in posizione riparata dai venti, ma con ottima esposizione al sole ed ampia vista sul litorale costiero, serviti da una viabilità di crinale e collegati alle principali risorse, idriche, boschive e pastorizia che il territorio poteva offrire. Lungo la costa tirrenica al momento non abbiamo individuato insediamenti fortificati e strutturati, ma le ricerche topografiche e le successive verifiche stratigrafiche ci permettono di conoscere un piccolo nucleo di necropoli (Treselle di Cetraro) ed almeno quattro strutture abitative (Aria del Vento, Chiantima e Martino di Acquappesa e S. Barbara di Cetraro), cui si aggiunge la documentazione raccolta nelle ricognizioni intensive effettuate in un’area campione del territorio di Acquappesa e Cetraro. Insediamenti collinari o anche costieri interpretabili come tombe (Pantana, Capo Tirone) oppure come fattorie (Santo Ianni, Trifari, Palazza) sono attestati nel territorio di Belvedere M.mo, in quello di Bonifati (locc. Crucicella, S. Candido, S. Vrasi, Piano del Monaco e S. Basile) e a Civita di Sangineto, tutto da indagare, verosimilmente un abitato fortificato, posto lungo la via di accesso al Passo dello Scalone e da lì verso la Sibaritide. (fig. 5) Maggiori dati, soprattutto nel senso della produzione, derivano dai corredi funerari individuati sulla Serra di Acquappesa, con tombe a cassa e alla cappuccina di rilevante interesse (fig. 6), e da quelli della necropoli di Treselle di Cetraro, 12 tombe indagate tra il 1997 ed il 1998 lungo la carreggiata in terra battuta della strada di collegamento Monte Serra-S. Angelo e nell’area a nord del tracciato4. (fig. 7) Le tombe, raggruppate per famiglie, esemplificano la vita quotidiana e l’immaginario socio-economico delle genti italiche, un significativo modello di indagine sulle pratiche funerarie brettie. Le tombe maschili presentano in genere armi, sia da difesa (i caratteristici cinturoni in bronzo) sia da offesa (punte di lancia, giavellotto) oltre allo strigile, legato al mondo degli atleti, in bronzo e ferro, connotati tipici dei guerrieri italici. La ceramica è limitata a vasi collegati al rituale del simposio, per bere (skyphoi, kylikes, coppe, coppette, patere) e per mangiare (piatti, patere). Il tipico set in piombo costituisce un richiamo simbolico ad un’altra pratica estremamente diffusa presso le popolazioni italiche, il banchetto di carne, ed è composto da spiedi, graticola e coppia di alari in piombo. Le tombe femminili sono caratterizzate dalla presenza di ornamenti personali di diversa tipologia, in oro, argento, bronzo e piombo (anelli, orecchini, bracciali, fibule) oltre a piccoli utensili o contenitori connessi alla cosmesi (lekythoi, unguentari, pissidi), soprattutto a figure rosse, legati al rituale del matrimonio o all’ambito domestico. (fig. 8)
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fig. 8 La tomba 1 di Treselle di Cetraro
fig. 9 Fattoria brettia. Ipotesi ricostruttiva
fig. 10 Olla in ceramica comune da Pantana di BelvedereM.mo
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Molti dati provengono anche dagli abitati ed in particolare dalla fattorie, abitazioni mono o bicellulari, di dimensioni ridotte e di tecnica edilizia modesta (strutture murarie costituite da uno zoccolo di fondazione in pietrame misto, un primo filare di ciottoli fluviali ed un secondo in laterizi, alcuni piatti e disposti in assise orizzontale, con legante di terra). In genere i vani sono di forma quadrangolare, presentano tetto costituito da materiali deperibili (frasche, legname in fascine, piccoli tronchi), mentre all’esterno non manca in genere una sorta di portico a “L” con copertura in laterizi, usato come deposito dei pithoi, contenitori di derrate ma anche come luogo per i culti domestici. I dati individuati nel corso delle ricerche ad Aria del Vento, Chiantima e Martino di Acquappesa e S. Barbara di Cetraro, sono tutti riferibili a fattorie databili tra fine IV ed inizi III sec. a.C. (fig. 9) Le fattorie così come le necropoli ci permettono di analizzare la cultura materiale del popolo brettio nel comprensorio tirrenico cosentino: poca ceramica a vernice nera, usata per mangiare e bere, affianca le produzioni da mensa e da cucina, i grandi contenitori, i louteria ed i bacini. Soprattutto dal punto di vista metodologico oggi gli approcci più completi suggeriscono di analizzare i materiali ceramici non solo dal punto di vista tipologico ma anche da quello funzionale, ovvero di individuarne il significato e l’utilizzo all’interno del contesti archeologici, valorizzandone l’uso alimentare e cercando, in questa prospettiva, di chiarire anche le modalità di realizzazione e cottura dei cibi, la tecnologia alla base di certe forme ceramiche, la funzione ‘sociale’ all’interno dei contesti5. La funzione dei differenti tipi ceramici spesso è recuperabile attraverso i molteplici fattori che hanno influenza sulla funzionalità di un contenitore e sugli indicatori del loro effettivo impiego ovvero forma, morfologia, caratteristiche chimico-fisiche dei contenitori stessi, tracce di uso e di usura, analisi dei contenuti residui e capacità metrica dei singoli recipienti (fig. 10). Partendo da questa prospettiva, possono essere fatte alcune riflessioni soprattutto per la ceramica comune, definita coarse ware perché ceramica domestica priva di rivestimento ed anche perché di produzione locale, ovvero per le caratteristiche comuni tale da far pensare a produzioni di ambito indigeno, prive di caratteristiche estetiche particolari o di elementi caratterizzanti quali decorazioni, iscrizioni o altro. La ceramica comune rappresenta senza dubbio la classe o la “categoria” di manufatti più diffusa in un contesto di scavo di abitato soprattutto per la facilità di produzione. La ceramica comune si analizza secondo criteri funzionali e morfologici, innanzitutto attraverso due sottoclassi funzionali (ceramica da cucina e ceramica da mensa) e al di sotto attraverso le
fig. 11 I principali tipi ceramici (da Munzi 1999)
fig. 12 Coppette a vernice nera dal medio Tirreno cosentino
categorie. Abbiamo, innanzi tutto, recipienti per conservare, costituiti da olle, anfore e situle, utilizzati nella conservazione e nello stoccaggio di liquidi e derrate. Tali recipienti sono pochissimo attestati nei contesti italici del medio Tirreno cosentino al contrario di quelli per preparare, vasi profondi e spessi, provvisti talvolta di un colatoio sull’orlo, adatti per frantumare, macinare e pestare i cibi. Abbiamo il mortaio, con ampia e bassa vasca, pareti spesse, in genere provvisto di un beccuccio di scolo, il bacile, vaso piuttosto profondo, forma aperta e dalla parete diritta e obliqua. Tali vasi sono legati ad usi molteplici in cucina, per impastare e pestare. (fig. 11) Un capitolo a parte meritano i vasi per cuocere, riconoscibili per l’annerimento della superficie del vaso dovuto al contatto con il fuoco e per il logico uso di impasto refrattario, ricco di inclusi di varia natura (quarzite, mica, piccoli inclusi litici) che favoriscono porosità ed evitano deformazione e spaccatura dell’argilla e ne agevolano, dunque, una maggior resistenza alle alte temperature durante la cottura prolungata dei cibi. Le forme in genere riconoscibili nei contesti della Magna Grecia sono la lopas, il tagenon, la caccabè, la chytra, l’olla, il clibano e il coperchio. Nel nostro contesto sono presenti tantissime forme di tradizione italica, come l’olla, poche forme di tradizione greca, ovvero le lopades e le chytrai, note già ad Atene a partire dal VI e soprattutto con il V sec. a.C., con il nome di ‘tegami’ o ‘casseruole’, recipienti capienti ma non troppo profondi, di forma, in genere, globulare o carenata, leggeri e maneggevoli, usati per cucinare, riscaldare l’acqua e bollire i cibi, soprattutto il pesce. Il battente per il coperchio ed il fondo arrotondato per diffondere in maniera il più possibile omogenea il calore caratterizzano, oltre alle lopades e le chytrai, anche vasi di tradizione fenicio-punica quali le caccabai, recipienti abbastanza profondi dal profilo globulare e dalla larga imboccatura, utilizzati per bollire e preparare zuppe e passati di verdure, stufati di carne e di pesce, sughi, dimostrando una particolare predilezione nei nostri contesti per i cibi che richiedevano una cottura prolungata a vapore. Non risultano attestati, infatti, i tagena, recipienti semplici dal fondo piano, come teglie e padelle, utilizzati per cuocere e soprattutto per friggere. Il secondo sottogruppo funzionale è quello del vasellame da mensa, comprendente recipienti per servire (piatto da portata, lekanis), per mescere (brocca e bottiglia) e per mangiare e bere (coppa, coppetta, patera, skyphos), sia a vernice nera che acroma. Anzi esiste una netta divisione tra quello utilizzato per la portata (per il servizio) e per la mescita, soprattutto vasi d’uso comune, e quello per il consumo dei cibi, con forme a vernice nera. Per quanto concerne i recipienti per mangiare/ bere, abbiamo tutte le forme legate tradizionalmente al consumo dei cibi, il servizio da banchetto: le caratteristiche omogenee dell’argilla, abbastanza depurata, e della vernice, quando presente, ci spingono ad ipotizzare fabbriche locali, che servivano i centri del medio Tirreno cosentino. (fig. 12) La coppetta è la forma più attestata, anche e soprattutto nei corredi funerari, ed insieme a patera, coppa e skyphos costituisce il set dei vasi utilizzato per il banchetto di vino ed il rituale del simposio, sicura-
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fig. 13 Anfora punica Ramon T. 4.2.2.7. dai fondali a largo di Cetraro
fig. 14 Piatto da pesce a figure rosse dalla tomba 6 di Cetraro
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mente mutuato in ambiente italico nel contatto con i coloni greci e le città italiote del Bruzio6. La pratica del consumo del vino è un momento centrale di queste popolazioni, che vivono in forme sparse e, almeno nel nostro comprensorio, con modalità produttive basate sull’autoconsumo e sulla sussistenza. Pertanto le ceramiche comuni da cucina e da mensa, siano esse a vernice nera o meno, rappresentano i prodotti di comunità sostanzialmente autosufficienti, che vivono dei propri beni agricoli e di pratiche connesse alla pastorizia. Per questo, almeno negli usi tradizionali e quotidiani, troviamo sostanzialmente utensili e vasellame prodotto in loco, anche se non manca una produzione (olle) e l’importazione (caccabai) di contenitori globulari per la cottura a fuoco lento, lontano dalla fiamma mediante i treppiedi, collegati ad una tradizione fenicio-punica e tirrenica che, come vedremo, ritornerà anche per altri elementi. Infatti, se analizziamo i contenitori da trasporto peculiari dell’antichità, ovvero le anfore munite di puntale per l’impilaggio sulle navi, non ci sfuggirà come, accanto alle tipiche anfore di tradizione magno-greca, MGS V e VI, prodotte soprattutto in diverse aree del Mediterraneo e con buona sicurezza anche in area brettia, annoveriamo numerose anfore del tipo T. 4.2.2.7., T. 6.1.2.1. e. T.7.1.2.1. della classificazione Ramon Torres, anfore databili tra fine IV e prima metà III sec. a.C., a forma di siluro e con imboccatura larga, capaci di trasportare vino ma soprattutto olio e salse/salagioni di pesce, di tradizione punica ma prodotte nella Sicilia nord-occidentale (Panormos, Mozia, Segesta, Lilibeo, etc.). (fig. 13) Ovvero emerge chiaramente, ed è questa una delle grandi novità della ricerca archeologica recentissima, come le popolazioni italiche che abitavano la costa tirrenica cosentina, la piana del Lao ma anche la zona tra Belvedere e Paola e oltre a sud, ovviamente, in un ampio settore di costa privo di colonie greche, vivessero indisturbati in proiezione costiera ed intrattenessero rapporti commerciali ed economici con le genti puniche che dalla Sicilia controllavano i traffici del Tirreno almeno sino alla fine della I guerra punica, quando Roma si affacciò sulla scena mediterranea ed inflisse una prima significativa sconfitta ai Cartaginesi. Il portato di questi rapporti, di ambito economico e commerciale, ma anche militare e mercenariale (ricordiamo che dopo la Pace di Lutazio Catulo del 241 a.C. i Romani interdissero le coste tirreniche calabresi ai Cartaginesi per evitare, come detto espressamente, l’arruolamento di mercenari italici e rapporti commerciali tra i due ethne) prevedeva uno scambio bidirezionale di uomini, di merci, di beni quali vino, olio, salagioni di pesce. In sintonia con quest’ultimo aspetto ed in linea con tradizioni culturali riscontrabili nel mondo brettio-italico della costa tirrenica in qualche modo apparentabili alla cultura fenicio-punica e cartaginese, le ricerche di recente compiute ci permettono di constatare la presenza, nelle tombe brettie di Cetraro e Belvedere Marittimo ma anche di numerosi altri contesti dell’area tra il golfo lametino e quello di Policastro, anche di un particolare manufatto deputato al consumo del pesce ed inserito ritualmente nelle sepolture, un piatto con omphalos centrale e vasca decorata da figure di pesci, il cosiddetto piatto da pesce7. (fig. 14) Tali ceramiche, prodotte anch’esse verosimilmente nelle cuspide nord-occidentale della Sicilia, appannaggio delle genti puniche, rappresentano una delle merci di accompagno dei grandi carichi di anfore che circolavano nel Mediterraneo, certificando un certo gusto artistico ed una determinata cultura figurativa che trovavano terreno fertile anche presso le piccole comunità italiche stanziate lungo le colline del medio Tirreno cosentino. La costa tirrenica cosentina: storie di commerci e navigazione tra epoca ellenistica e Medioevo Al mare è dedicata un’altra importante sezione espositiva, collegata in qualche modo ad una delle principali prerogative economiche di Cetraro, ancora oggi il più grande porto della costa tirrenica tra Salerno e Vibo Valentia. La sezione del Museo dei Brettii e del Mare dedicata al mare illustra, dunque, nella sua globalità le tecniche di navigazione e le imbarcazioni nel mondo antico, la pesca e la marineria nell’antichità, i trasporti ed i commerci antichi attraverso le anfore, da quelle di produzione greca sino a quelle medioevali e con esse i principali traffici commerciali che hanno interessato il Tirreno cosentino8.
fig. 15 Il porto di Diamante
Le anfore recuperate dai fondali in seguito a naufragi, relative a relitti di ogni epoca, rappresentano proprio il fossile guida di fenomeni commerciali significativi e di una grande vitalità di questo comparto territoriale. C’è da sottolineare, con estrema onestà, come, sebbene la ricerca archeologica lungo la costa tirrenica cosentina abbia mosso molti passi di recente sulla terraferma, lo stesso non possa dirsi per la ricerca subacquea, per la quale disponiamo di pochi rinvenimenti effettuati in maniera non scientifica (molti sono le consegne o i sequestri di anfore) e ancora minori sono le ricerche effettuate in mare. Pur tuttavia i recuperi di anfore da trasporto di diverse cronologie rappresentano il segno di una circolazione commerciale nei mari tirrenici protrattasi nel tempo senza soluzione di continuità, come dimostrano inequivocabilmente i numerosi rinvenimenti sporadici di anfore di cronologia diversa, databili tra il VI sec. a.C. ed il IX-X sec. d.C. Di recente abbiamo anche acquisito il dato proveniente dal costruendo porto di Diamante, dove sulla batimetrica dei 2/4 m è stato scavato e recuperato il materiale individuato a pochissimi metri dalla riva, relativo ad un deposito archeologico residuo, tenacemente concrezionato ed adeso al fondo marino ed a grossi blocchi rocciosi. (fig. 15) Si tratterebbe, in questo caso, dei resti di una nave onoraria che trasportava un carico di anfore da trasporto di tipo MGS V e VI, databili entro la metà del III sec. a.C., forse da e per le coste campane, a giudicare dai tipi anforici e dagli impasti relativi, contenenti olio/vino o più probabilmente la celebre pix bruttia, come sembra emergere dai residui di pece su alcuni frammenti anforici. Il relitto, ricostruito virtualmente in Museo, anche se conservato molto parzialmente, considerato che il deposito, su un fondale bassissimo, è stato compromesso dai natanti e depredato da sempre, rappresenta un documento capace di certificare la grande vitalità economica e commerciale di questo segmento di costa tirrenica in epoca ellenistica quando i Brettii erano stanziati sin sulla costa. Per il resto la costa diritta, priva di approdi naturali e di ampie insenature, senza strutture portuali stabili non ha favorito l’indagine ed il rinvenimento di realtà significative, se non fosse per i relitti affondati nei punti più insidiosi della costa stessa o presso i fondali rocciosi, in prossimità delle isole di Cirella e di Dino, di cui sappiamo soprattutto per recupero fortuito dei pescatori nelle pratiche di strascico dei fondali stessi. Per questo tratto dalla costa tirrenica si segnalano anfore di epoca arcaica, ellenistica e romana che ne testimoniano l’utilizzo in maniera continuativa. Le anfore, alcune delle quali esposte nel Museo dei Brettii e del Mare, che siano prodotte localmente o che provengano da vari contesti del Mediterraneo, testimoniano quanto significativo fosse l’utilizzo di questo tratto di mare in ogni epoca, con il commercio di vino ed olio, prerogative produttive nell’antichità della nostra regione. Il rinvenimento di un impianto di salagione del pesce di epoca romano-imperiale (I-III sec. d.C.), indagato di recente in loc. Porto di Cirella, a ridosso della spiaggia, ed il recupero di anfore che coprono il periodo che va dall’ellenismo alla tarda antichità (anfore Keay XXVb, Lamboglia 2 e di Late Roman), collegabili anche agli analoghi impianti di lavorazione del pesce a Capo La Secca e S. Ianni di Maratea, suggeriscono la presenza di un’attività commerciale significativa, la salagione del pesce, tonno o pesce spada, ancora oggi peculiarità economica delle aree tirreniche costiere9. Il ceppo di ancora in piombo esposto nel Museo e recuperato a largo di Capo Tirone di Belvedere M.mo, inoltre, si riferisce ad una nave oneraria di epoca tardo-ellenistica (II-I sec. a.C.) cui forse si possono associare alcuni esemplari di anfora Lamboglia 2. Il transito, non sappiamo se anche la
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sosta, di tale grande imbarcazione con il suo carico di vino/olio (?) è da connettersi ai traffici commerciali tirrenici, come sottolinea anche l’iscrizione presente sulla marra di destra in lettere greche “E P M H” con la dedica ad Hermes, divinità del pantheon greco-romano (Mercurio per i Romani), ambasciatore degli dei e abile oratore, e per questo protettore dei commercianti. (fig. 16) Il campionario delle anfore esposte presso il Museo dei Brettii e del mare di Cetraro comprende esemplari di produzione magno greca ed italica per vino o olio (IV-II sec. a.C.), le cosiddette MGS V e VI, le anfore Dressel 1 fig. 16 Iscrizione sul ceppo di ancora dai fondali a largo di Belvedere M.mo (II-I sec. a.C.) e Dressel 2/4 (I sec. a.C.- I sec. d.C.); sicuramente ad ambito tirrenico, forse campano, è ascrivibile l’anfora utilizzata per il trasporto della salagioni di pesce, la Dressel 21/22 (il tipo presente a Cetraro è databile tra I e II sec. d.C. e reca il bollo FE, probabilmente un certo Felix, proprietario di una bottega a Pompei). (fig. 17) Abbiamo, inoltre, anfore vinarie di produzione adriatica come la Lamboglia 2 (fine II-I sec. a.C.) e l’anfora di Forlimpopoli (I-III sec. d.C.). Senza dubbio di grande interesse è la presenza di anfore di tipo punico, trovate anche nei contesti brettii della terraferma del medio Tirreno cosentino, anfore di tipo Ramon T. 4.2.2.7. (fine IVinizi III sec. a.C.), forse deputate al trasporto delle salagioni di pesce a partire dalla costa della Sicilia nord-occidentale. Ma lungo il mare Tirreno arrivano e transitano anche anfore prodotte nell’antica Betica, provincia fig. 17 Dressel 21-22 dai fondali a largo di Cetraro fig. 18 Anfora Africana II dal Tirreno romana corrispondente oggi all’Andalusia, come suggerito dall’esemplare di anfora olearia Dressel 20, nonché anfore prodotte in Africa, come l’Africana II (III-IV sec. d.C.) (fig. 18), ad illustrare l’ampiezza dei traffici commerciali che interessano questo tratto di costa. Non mancano anche anfore di epoca altomedioevale a fondo piatto tipo Keay LII (IV-VI sec. d.C.) di produzione locale e tirrenica (di cui anche a Paola abbiamo le fornaci10) e anfore a fondo piatto di epoca bassomedioevale (XI-XII sec. d.C.). (fig. 19) Il rinvenimento di anfore da trasporto di ogni epoca autorizza, insomma, a supporre la continua frequentazione dei mari tirrenici, segno tangibile di una vitalità della Calabria tirrenica costiera che va al di là dei topoi letterari che fanno di questa regione in epoca post-coloniale una terra poco vitale ed improduttiva.
fig. 19 Anfora medioevale dal mare di Cetraro
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I possedimenti tirrenici dell’Abbazia di Montecassino tra basso medioevo ed epoca post-antica Questa attenzione e propensione verso il mare, i commerci marittimi e la pesca rimane inalterata nel tempo nel comprensorio del Medio Tirreno cosentino e di Cetraro in particolare, anzi si amplifica a partire dal Cinquecento, quando Cetraro fu sede di un importante cantiere navale e dimostrò una forte vocazione portuale, peraltro testimoniata già a partire da epoca basso medioevale, con una tradizione marinaresca vanto del territorio sino ai giorni nostri.
Se, infatti, il comprensorio medio tirrenico è stato abitato in maniera diffusa solo in epoca ellenistica (IV-III sec. a.C.), in maniera assolutamente sporadica in epoca romana e tardo-antica, altomedioevale e bizantina (se si eccettua una toponomastica in qualche modo riferibile alla presenza di predii ecclesiastici-I Masseti-, all’ascetismo e all’epoca basiliana, anche lungo ipotetici percorsi istmici verso l’interno-il Valico della Contessa e toponimi quali Serra dei Monaci, Timpone dei Monaci, Piano del Monaco, Cozzo del Monaco, I Monaci, L’Acqua del Monaco), il territorio ritornò ad essere centrale dopo l’anno 1000, in particolare, come ci dicono le fonti, a partire dal 1086, quando, alla morte del marito fig. 20 Il centro storico di Cetraro Roberto di Altavilla, detto il Guiscardo, Duca di Puglia e Calabria, la moglie Sikelgaita donò parte della sua dote, tra cui il territorio di Cetraro ed il suo porto, all’abbazia di Montecassino11. Nel periodo angioino-svevo i feudatari monastici imposero un vero e proprio regime feudale, non diverso da quello laico, presupponendo un ampio ed articolato sistema di sfruttamento agricolo delle estese campagne. Durante il regno aragonese e sotto il re Ferrante Cetraro rimase centro di importanza strategica per la difesa del Regno. La comunità continuò a vivere ed a prosperare anche nel ‘600 e ‘700, quando si dotò dei principali monumenti architettonici quali chiese e palazzi monumentali. Il sistema insediativo ruotava intorno al centro storico di Cetraro, sorto su uno sperone roccioso affacciato sul mare intorno ai 100 m s.l.m., da cui domina sulla foce del fiume Aron. L’aspetto munito del promontorio roccioso e la resistenza nella toponomastica moderna di tre famose porte, quella di Basso, quella di Mare e quella di Sopra lasciano supporre l’esistenza di un sistema difensivo strutturale, munito con ogni probabilità sia di torri che di un circuito murario di cui oggi non rimane alcuna traccia. (fig. 20) Tutt’intorno al centro storico Montecassino favorì la creazione di un vero e proprio sistema insediativo prediale, organizzato intorno a chiese rurali che sfruttavano le enormi risorse del territorio. Alcuni resti monumentali archeologici da aree rurali del territorio, riferibili a chiese (come da Treselle, S. Ianni e S. Iannello o S. Michele Arcangelo e S. Giuseppe di S. Angelo, antico ed importante nucleo abitativo del territorio), testimoniano le importanti fasi bassomedievali dell’area. (fig. 21) In parallelo il porto rafforzò il proprio ruolo strategico, come emerge dalle menzioni letterarie del 1086, 1090, 1114 e 1150. In epoca successiva Cetraro divenne un cantiere navale collegato alla produzione di galee per conto degli Spagnoli, con la consuetudine imposta alla civitas Citrarii dalla corona spagnola di fornire una galea armata almeno sino al 1482, quando per ordine di Ferdinando I di Aragona a Riccardo Daurepice, Commissario, Precettore e Procuratore per la Calabria, fig. 21 Pianta della terra del Cetraro e feudo di Fella seconda metà XVIII.
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venne invece inserito l’obbligo di corrispondere settecento ducati annui. Ma agli inizi del ‘500 il vicerè spagnolo Pietro de Toledo fu impegnato, per conto di Carlo V, a difendere le coste dalle incursione saracene e per questo si decise di far costruire nella Marina di Cetraro sei galee presso l’Arsenale, sintomo di un presidio permanente da parte degli Spagnoli. Le fonti, insomma, ci descrivono il più importante porto della costa tirrenica cosentina, tanto che sotto gli Aragonesi divenne il porto di riferimento per la pesca del tonno e del pesce spada, dogana per il deposito di sale e di ferro, per il commercio del legname e della seta, quest’ultima peculiare di tutto il Tirreno. L’incursione piratesca di Khair adfig. 22 Una fornace post-antica nell’area di S. Angelo di Cetraro Din, detto Barbarossa, con 80 vascelli, nel 1534, indebolì le potenzialità marinaresche della comunità stanziata a Cetraro e nel territorio, al pari delle incursioni del 1573 e del 1596. Il porto, forse da localizzare alla foce del torrente Aron, continuò a prosperare sino al 1734 e successivamente perse il suo ruolo propulsivo dal punto di vista commerciale, per rimanere soltanto sede di una delle flotte di pesca più attive di tutto il Tirreno calabrese, peculiarità che ha connotato la Marina di Cetraro sino ai giorni nostri. Anche nel Bassomedioevo ed in epoca rinascimentale, dunque, il comprensorio conservò un suo ruolo strategico nei commerci e nei sistemi di produzione via mare di un retroterra evidentemente ancora molto attivo se sugli ultimi contrafforti collinari, in corrispondenza dell’antica e popolosa frazione di S. Angelo, ancora tra ‘600 e ‘700 dovevano esistere fornaci per la produzione di laterizi come quella che recentissimamente le ricerche archeologiche compiute hanno messo in evidenza. (fig. 22) Si tratta di un segnale tangibile di un territorio complesso ed articolato, che conserverà nei secoli una sua autonomia culturale ed economica e con essa la capacità di produrre e commercializzare le enormi ricchezze di cui il comprensorio è ancora custode.
1 Per il Museo, per gli aspetti territoriali e geomorfologici si veda in ultimo Mollo F., Aversa G., Il Museo dei Brettii e del Mare, Reggio Calabria 2010 e Mollo F., Aversa G. (a cura di), Il Museo dei Brettii e del Mare. Guida all’esposizione di Palazzo del Trono, Quaderni del Museo dei Brettii e del Mare. 1, Cava de’ Tirreni 2013. 2 Per la topografia degli insediamenti brettii si veda Mollo F., Modelli insediativi di IV-III sec. a.C. nella Calabria italica, in “Studi e Materiali di Geografia storica della Calabria”, 3, Cosenza 2002, pp. 199-234 e Mollo F., Forme dell’insediamento italico nella Calabria ellenistica (IV-III sec. a.C.), in “Geographia Antiqua” X-XI, 2001-2002, pp. 121-129. 3 Per quanto riguarda le ricerche sulla fase brettia nel comprensorio si veda Mollo F., Nel cuore dell’antica Brettia: insediamenti ellenistici nel territorio di Cetraro. Catalogo dell’esposizione di Palazzo Del Trono di Cetraro, Soveria Mannelli 2001; Mollo F., Ai Confini della Brettìa. Insediamenti e materiali nel territorio tra Bel-
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vedere M.mo e Fuscaldo nel quadro del popolamento italico della fascia costiera tirrenica della provincia di Cosenza, “Società antiche 5”, Soveria Mannelli 2003; Mollo F., Presenze italiche sul versante tirrenico cosentino (IV-III sec. a.C.): il quadro archeologico, in AA. VV., Gli Italici del Metauros, Catalogo della Mostra. Reggio Calabria 2005, Agostino R. (a cura di), Reggio Calabria 2005, pp. 169-177; Mollo F., Modalità insediative e cultura materiale tra IV e III sec. a.C.: le komai brettie da Belvedere M.mo ad Amantea, in De Sensi Sestito G. (a cura di), La Calabria tirrenica nell’antichità. Nuovi documenti e problematiche storiche, “Atti del Convegno. Unical. Arcavacata di Rende 23-25 novembre 2000”, Soveria Mannelli 2008, pp. 387-406 ed in ultimo Mollo F., Dinamiche insediative e popolamento sparso in ambito brettio-italico: il quadro territoriale lungo la fascia tirrenica fra i fiumi Lao e Savuto, in Curti E.-Osanna M. (a cura di), Verso la città. Forme insediative in Lucania e nel mondo italico fra IV e III sec. a.C., “Atti del Convegno. Venosa 13-14 maggio 2006”, Venosa 2009,
pp. 195-213. 4 Mollo F., Nuove ricerche nel territorio di Cetraro (CS): scavo di una necropoli di epoca ellenistica in località Treselle, in “Quaderni di Archeologia”, 2, 2001, pp. 111-169. 5 Gli studi su questo tipo di problematiche sono innumerevoli. Cfr. Bats M., Vaisselle et alimentation à Olbia de Provence (a. 350-a. 50 aa. l.C.), Modèles culturels et categories céramiques, coll. Revue archéologique de Narbonnaise, suppl. 18, paris 1988; Bats M., La vaisselle culinarie comme marquer culturel: l’exemple de la Gaule méridionale et de la Grande Crèce (IV’ - I”’ s. a.C’), in Terre cuite et société. La céramique, document technique, économique, culturel,”XlV Rencontres Internationales d’Archéologie et d’Histoire d’Antibes, octobre1993”,Juan-les-pins1994, pp. 407-424 ed in ultimo Bats M., De la cuisine à la table du banquet entre Grecs et indigénes de Grande Grèce: aspects de l’usage et de la consommation du vin (Ve-IIIe s. av. J.C.), in La vigna di Dioniso: vite, vino e culti in Magna Grecia, ACT 49.
Taranto 24-28 settembre 2009, Taranto 2011, pp. 351-373. Per un quadro delle produzioni calabresi tirreniche vedi Munzi P., Laos: aspetti di vita quotidiana attraverso lo studio del materiale ceramico, in La Torre G.F., Colicelli A. (a cura di), Nella terra degli Enotri. Tortora e la valle del Noce nell’antichità, ‘Atti del Convegno, Tortora 18-19 aprile 1998”, Paestum 1999, pp. 91-98 ed ora Mollo F., Per un approccio funzionale allo studio delle ceramiche fini e comuni: alcuni esempi da contesti calabresi, in La Marca A. (a cura di), Archeologia e ceramica. Ceramica e attività produttive a Bisignano e in Calabria dalla protostoria ai nostri giorni, “Atti del Convegno. Bisignano 25-26 giugno 2005”, Quaderni de Il Palio IX, Rossano 2011, pp. 77-92. 6 Mollo F., Wine consumption and the symposium ritual in native-Enotrio world: some examples from the gulf of Policastro and Tortora (CS) area, in Russo N., Odoardi G. L. (a cura di), Wine universe through Science, Culture and Economy, “Atti del Convegno di Nocera Terinese (CZ) 30 marzo-1 aprile 2006”, 2008, pp. 203-218. 7 Mollo F., Tra Sicilia e Campania. Osservazioni sui contesti di provenienza e sull’iconografia dei piatti da pesce del basso Tirreno, in “Sicilia Antiqua”, IV, 2007, pp. 65-86; Mollo F., Attestazioni di piatti da pesce dal-
la Calabria meridionale: alcune riflessioni tra produzione ed iconografia, in Lena G. (a cura di), Ricerche storiche in Calabria: modelli e prospettive, “Atti del Convegno in onore di G. Azzimmaturo. Cosenza 24 marzo 2007”, Progetto Editoriale 2000, Cosenza 2008, pp. 131-142; Mollo F., La circolazione di ceramiche fini e di anfore tra i centri italici del Tirreno calabrese e la Sicilia punica tra IV e III sec. a.C.: rotte commerciali ed ateliers produttivi, in Intrieri M., Ribichini S. (a cura di), Italici e Punici in Magna Grecia, “Atti del Convegno. Arcavacata di Rende. 27-28 maggio 2008”, in “Rivista di Studi Fenici”, XXXVI, 1-2, 2008 [2011], pp. 233-246. 8 La Rocca L., Anfore da trasporto arcaiche sulla costa tirrenica cosentina: analisi della documentazione archeologica, in in La Marca A. (a cura di), Archeologia e ceramica. Ceramica e attività produttive a Bisignano e in Calabria dalla protostoria ai nostri giorni, “Atti del Convegno. Bisignano 25-26 giugno 2005”, Quaderni de Il Palio IX, Rossano 2011, pp. 15-24 ed ora Mollo F., L’area del Parco Marino Riviera dei Cedri: Anfore, Commerci, Porti, Approdi, Pesca e Marineria lungo la costa tirrenica tra Preistoria e Medioevo, in AA.VV., Il Parco Marino “Riviera dei Cedri”. Le condizioni ambientali, ruolo e politiche dell’Ente Gestore, Lagonegro 2011,
pp. 38-46. 9 Mollo F., Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico. Pesca, produzione e consumo del pesce e delle relative salse in Magna Grecia ed in Sicilia, in Bacarella A. (a cura di), Sicilia e Dieta Mediterranea, “Atti del Convegno. Palermo 27 novembre 2006”, OESASS 2007, pp. 42-53; Mollo F., Un impianto per la salagione del pesce di età imperiale a Cerillae (Diamante, Cosenza), lungo la costa tirrenica cosentina, in “Quaderni di Archeologia”, N.S. III, 2013, pp. 75-105. 10 Sangineto A.B., Un decennio di ricerche nel territorio di Paola (CS). Le Calabrie romane fra II sec. a.C. e VI d.C.., in Clausi B., Piatti P., Sangineto A.B. (a cura di), Prima e dopo San Francesco di Paola. Continuità e discontinuità, Catanzaro 2012, pp. 43-95. 11 Per queste fasi vedi Mollo F., Aversa G. (a cura di), Il Museo dei Brettii e del Mare, cit., passim.
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Production models, interpretative schemes, circulation factors and cultural archetypes to analyze pottery’s iconography in Northern Calabria Guglielmo Genovese
Producing pottery is one of craft’s most important and easier factors. Every community has always faced this need because of handiness, stated that pottery should keep the richness produced in fields for all the community since Prehistory. Another step is represented by proto history when the vase isn’t just the container but becomes essential to give other messages to the community. That’s why vase’s exterior decoration it’s of primary importance, it makes it likable and permits its interpretation from a socio-political and economical point of view. Community development importance is also stressed through the craft’s model that pottery represents and this is related to some iconographical rules well known in the community in which such products circulated but, above all, is pointed out in an even more complete and complex sphere represented by the whole Mediterranean area. Mediterranean plays its role of ideas’ receiver and peddler. In this case are indigenous élites such as Oenotrians, well known as community in the Mare Nostrum qualifying cultural presences framework not just as trades beneficiaries; they move, moving with them ideas and models just like Mycenaeans, Cypriots, Phoenicians, Greeks, Etruscans, Arameans, on equal terms. Their leaders ask and obtain from the groups of craftsmen working in the community that everything must correspond to well known and common rules. The first level in which this system has been identified is, without any doubt, the Mycenaean culture and in this case cannot be let aside the presence of pottery exalted not just by the flourishing trade system, in particular all along Calabria’s Ionian Coast, but also and above all in Siritide and in the area of Metaponto in which can be pointed out the presence of Mycenaeans craftsmen during proto history in indigenous centers maybe even because of marriages. The production analyzed until now have been, to be true, defined as italic- mycenaean pottery because produced with local clay. Mycenaean’s productions mark an important chronological lapse made of growth and development for the brand new mixed wielding communities. There are doubts on the Dark Age and how lots of the acquired competences in realizing potteries get lost, anyway since the IX century b.C. in oenotrian area, coinciding with northern Calabria and Basilicata territories, it is possible to state the bloom of indigenous style figuline potteries production, tied to a sort of autochthonous geometric that, not for a case, are called oenotrian geometric with the first appearance of dark stripes together with impasto production finding always better compositional solutions until the end of the VIII century b.C. The same observations can be referred also to centers of great productive importance such as Torre Mordillo in Spezzano Albanese or Francavilla Marittima in Calabria as well as Santa Maria d’Anglona recalling as an example the vase with funerary scenes in which are mixed indigenous geometric elements and greek traditional geometric. Of course at the beginning both experiences are different that’s why in a different way must be examined because oenotrian geometric, as all the other italics styles, won’t be erased by Grecian but will find other patterns to survive also during the VI and the V century b.C. Concerning greek production that arrives on Southern Italy coasts and exactly in the Crotoniatide, Sibaritide, Siritide and Metapontino covering all the Achaean context, significant is the presence of geometric production pottery with Thapsos style cups or sort of Thapsos style imitations belonging to colonial school; numerous are proto Corinthians and Corinthians potteries while others reflect a bit the taste of almost all eastern Greece and continental Greece productions.
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Modelli produttivi, schemi interpretativi, fattori di circolazione e archetipi culturali per un’analisi iconografica della ceramica nella Calabria settentrionale Guglielmo Genovese
Fig. 1 - Anfora italo micenea da Broglio di Trebisacce XII sec. a.C. Museo Nazionale della Sibaritide da, I Greci in Occidente, p. 113.
Fig. 2 - Tazza carenata da Broglio di Trebisacce XII sec. a.C. Museo Nazionale della Sibaritide da, Magna Grecia. Archeologia di un sapere, p. 296, n. II.166.
Produrre ceramica è una delle attività primordiali dell’essere umano non solo per la semplicità nel reperire la materia prima: l’argilla, ma soprattutto per l’agevolezza del processo produttivo che in sostanza abbisognava di acqua, fuoco, una certa abilità che si acquisiva con la pratica, e nel caso in cui non fosse realizzata a mano, di strumentazioni semplici, quali il tornio lento e successivamente veloce e strutture per l’essiccazione e la cottura1. La funzionalità del prodotto rendeva tutto ancora più allettante e lo stoccaggio dei materiali in grandi contenitori olle, pithoi e dolia prodotti a mano, era straordinariamente efficace al pari delle varietà tipologiche del vasellame da mensa2. Basti pensare al caso di Broglio di Trebisacce3 e la medesima cosa si può affermare per il rinvenimento dei siti preistostorici in Sila nelle località Cupone-Cuponello-Forche di Cecita4. Noto è il fatto che proprio l’elemento ceramico risulti essere il vero fossile guida per la datazione dei contesti archeologici, e al contempo, quindi, esso fosse l’unico idoneo a ricostruire la vita quotidiana sin dagli albori di una civiltà5. Ancor più determinante è lo studio della ceramografia, specie se consideriamo le novità proposte dall’archeometria, disciplina che ha aperto altri elementi di conoscenza e siamo certi ne offrirà altrettanti con il progredire della ricerca scientifica6. Fortunatamente il tema che affronteremo in questo contributo risponde ad esigenze ben precise che vertono su caratteristiche assai significative e strettamente connesse alla produzione ceramica, non tanto per l’aspetto funzionale del vaso in quanto contenitore, ma soprattutto per quello che concerne i modelli produttivi e gli schemi interpretativi che attraverso tali produzioni si è inteso portare a compimento da parte dell’artigiano. Vi è di fatto un momento in cui ad una produzione essenzialmente locale e diremmo legata alla componente femminile, entro piccoli gruppi umani, si passa successivamente ad una produzione più significativa che si caratterizza per la tecnica di un artigiano vasaio e ciò generalmente avviene quando il manufatto-vaso finisce di essere solo ed esclusivamente un contenitore per divenire qualche cosa di più e di diverso7. Spesso se non sempre, già a partire da un’epoca molto arcaica, come ad esempio quella micenea, il manufatto ceramico diviene veicolo di trasmissione di uno o più messaggi, mediante una serie di linguaggi non tutti a noi completamente comprensibili, ma che hanno almeno un aspetto più evidente ed evidenziabile degli altri: quello della decorazione ostentata e colorata nelle ceramiche figuline con decorazione dipinta presenti un po’ in tutto l’itinerario costiero dell’Italia meridionale da Scoglio del Tonno e Porto Perone a Taranto, A Santa Sabina di Brindisi, a Termitito di Matera, a Broglio di Trebisacce e Torre Mordillo di Spezzano Albanese, o a Briatico e Punta Zambrone di Vibo Valentia e oltre8 [figg. 1-4]. Ad un primo livello interpretativo la funzione estetica del vaso decorato è l’aspetto tangibilmente più interpretabile, ma molto spesso esso deve lasciare spazio a canali semantici e interpretazioni più complesse che sono quelle proprie dell’iconografia la cui esegesi ha bisogno di ulteriori specifici e articolati canoni ermeneutici9. Ciò accade quando la decorazione inizia a prendere il suo spazio e a rappresentare figure e scene di vita o del mito in senso esplicito o allegorico ma sempre autonomo e sorprendentemente in una fase di sopravvento10. Se dunque abbiamo il vaso, esso viene abbellito e successivamente il suo abbellimento diventa così importante da narrare o raccontare delle vicende per immagini ed esse possono essere mitiche o reali come emblematicamente accade per la scena di naufragio su un cratere pitecusano11 [fig. 5]. Ben inteso, in questo caso si assiste ad un salto di valenza del prodotto, che evidentemente implica anche una maturazione del produttore, quindi dell’officina ceramica in
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Fig. 4: Brocca da Termitito XII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale della Siritide, da Magna Grecia. Archeologia di un sapere, p. 296, II.163.
seno alla comunità che questi prodotti deve metabolizzare e valutare nel giusto modo, sulla base della propria scelta che è il segno di mutamenti di ordine civile e sociale in primis, ed essi conducono ad uno sviluppo della complessità sociale e all’emergere di articolazioni molto significative, le quali ben presto sfociano in un carattere elitario basilare per gli sviluppi comuni del gruppo che rappresentano12. Sono le élites con le loro ricchezze e con le loro predilezioni o preferenze che spingono gli artigiani alla produzione di nuovi modelli e nuovi schemi figurativi i quali non possono esimersi dall’essere in grado di rappresentarne costantemente lo status, magari alterandolo non di poco, ma sempre ponendosi in funzione esemplificativa. Non vi è altresì dubbio che tali processi che inevitabilmente portarono a progressi quindi a conquiste culturali rispondono ad esigenze in primo luogo di tipo sociale ed economico quindi politico. Il prodotto ceramico può in effetti essere concepito localmente ma può anche essere il segno di una intensa frequentazione culturale e soprattutto commerciale, specie in un ambito maturo e significativo come quello aperto a scenari di tradizione mediterranea che si caratterizzano per l’evolversi di tradizioni e innovazioni di straordinario rilievo come nel caso della cosiddetta coppa di Nestore in cui compare una iscrizione metrica segno della forte assimilazione di elementi fenici come l’alfabeto, ma al contempo di una netta relazione con tradizioni di stampo omerico [fig. 6], o con una coppa frammentaria da Lacco Ameno di Ischia, firmata dall’autore con iscrizione retrograda “inos m’epoiese[e]…”, raffigurante una immagine alata[fig. 7]. Non bisogna mai trascurare che il mondo miceneo aveva schiuso le porte ad innovazioni a cavallo tra il XIII ed il XII sec. a.C. con una circolazione di modelli e forme rispondenti, evidentemente, ad una ampia categorizzazione di gruppi etnici in grado di comprendere e comprendersi e che poteva evidenziare attraverso l’uso della ceramica una vitalità di intenti in molti ambiti differenti, ivi compreso l’Occidente, ben rappresentato dalle coste dell’Italia e in cui significative dovevano essere le evidenze presenti in quella aree che successivamente sarebbero divenute il metapontino, la siritide e la sibaritide13. Non è un caso che si possa parlare, a ragione, sui dati resi noti per la Calabria e la Basilicata di produzioni italo-micenee ben inquadrate dallo studio archeologico e archeometrico14 [fig. 8]. Ora l’acquisizione di valenza produttiva nel campo della ceramica in questa fase si è ritenuto abbia coinciso non solo con commerci e scambi ma con una più ampia mobilità di gruppi micenei in varie parti del mediterraneo ed in Occidente che presumibilmente hanno contemplato la possibilità, per nulla recondita, di matrimoni misti, con donne epicorie e il trasferimento e l’insediamento di maestri artigiani in comunità indigene con il conseguente inizio di una fase di acculturazione-interazione-integrazione e quindi l’acquisizione per la comunità ospitante di un bagaglio culturale non di poco conto. Difficile è comprendere, se mai, come tale patrimonio culturale possa essersi totalmente disperso nel corso dei secoli della Dark Age, considerato che un processo culturale non giunge mai ad esau-
Fig. - cratere da Pitecusa 725 a.C. Museo Archeologico di Villa Arbusto Lacco Ameno, da I Greci in Occidente, p. 135.
Fig. 6 - Kotyle rodia da Pitecusa 725 a.C. Museo Archeologico di Villa Arbusto Lacco Ameno, da I Greci in Occidente, p. 192.
Fig. 3: Giara a staffa da Porto Perone XII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale di Taranto da, Magna Grecia. Archeologia di un sapere, p. 294, II.151.
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Fig. 7 - Frammento di cratere da Pitecusa 725 a.C. Museo Archeologico di Villa Arbusto Lacco Ameno, da I Greci in Occidente, p. 193.
Fig. 8 - Calice italo miceneo da Termitito XII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale della Siritide, da I Greci in Occidente, p. 113
Fig. 9 - Coppa a chevrons da Cuma prima metà dell’VIII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale di Napoli, da I Greci in Occidente, p. 535.
Fig. 10 - Coppa da Capua prima metà dell’VIII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale di Napoli, da I Greci in Occidente, p. 535
Fig. 11- Cratere da San Marzano sul Sarno seconda metà dell’VIII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale della Valle del Sarno, da Vetulonia, Pontecagnano e Capua, p. 78 n. 16.
rirsi, ma antropologicamente e sociologicamente, tende a autorigenerarsi o a modificarsi se non a contemplare connotazioni o caratterizzazioni altamente artificiose come nel caso dei processi etnici o identitari15. Tutto ciò credo vada segnalato come questione da affrontare nella valutazione di un equilibrata lettura e interpretazione dello sviluppo della ceramografia in quelle che sono state identificate come le fasi proto-arcaiche e arcaiche in relazione a ciò che greco è, e dalla Grecia proviene, rispetto a quello che greco non è e che si produce in ambiente italico, ma ciò varrebbe per ogni tipo di produzione ceramica di ogni parte del mondo mediterraneo che con le sue caratteristiche può rispondere ad esigenze formali sociali economiche e politiche dell’ambito di produzione. Ciò anche e soprattutto se prodotto a scopo commerciale a canoni e valori facilmente interpretabili dalle realtà a cui questi prodotti sono destinati. La produzione ceramica, per molti versi, segue direttive differenti a seconda del carattere che essa deve avere e soprattutto cosa deve rappresentare per chi la acquisterà. Si acquista ciò che si comprende per cui sarà bene che l’iconografia raffigurata sul vaso sia interpretabile entro un sistema conoscitivo, quindi entro un vocabolario comune tanto a chi il manufatto produce quanto a chi lo acquista sotto forma di prodotto. A ben ragionare anche il canone del bello fine a se stesso nella rappresentazione figurata ceramica ha un suo risvolto socio-economico e politico non trascurabile nel senso che le classi più abbienti e significative possono e devono aver puntato al dato estetico per differenziarsi e differenziare la loro consistenza rispetto agli altri soggetti partecipi della comunità. Se questo appare evidente negli ambiti Micenei e post micenei a maggior ragione è eclatante nelle produzioni proto geometriche e geometriche attiche, come in quelle corinzie, rodie, euboiche e cicladiche prima in Grecia continentale e insulare e successivamente anche in Italia meridionale a partire dall’area campana e precisamente da Ischia-Pithecussai ma soprattutto Cuma e l’area della Valle del Sarno che coglie influssi pitecusani nel corso dell’VIII sec. a.C.16. Determinante per le regole del discorso che si sta facendo è il cratere tardo geometrico dalla tomba 232 di San Marzano sul Sarno, ma soprattutto l’olla dalla stessa tomba, con la presenza di uccelli acquatici, capri selvatici rampanti e albero della vita che in due differenti riquadri soggiacciono alla figura femminile con braccia alzate nell’evidente posizione ieratica della Potnia Theron17 [figg. 9-12]. Allo stesso modo non può essere sottovalutata l’articolazione produttiva che caratterizza il mondo etrusco e le sollecitazioni che da esso derivano nel mondo italico nelle stesse fasi cronologiche e che fanno si che si determini una offerta stilistica variegata e differenziata in tutta la penisola18. Tutto dipende da come stimoli e idee vengono recepiti in contesti differenti. Nel novero delle produzioni citate accomuno prodotti che certamente caratterizzano la loro fattura e diffusione in un momento di fermento specifico per il meridione d’Italia notoriamente riconosciuto come quello della nascita delle apoikiai, o più impropriamente con il termine di colonizzazione su cui si focalizzerà buona parte del nostro contributo valutando la cospicua presenza, in primis, di coppe tipo Thapsos e a filetti da Timpone Motta di Francavilla Marittima19 [figg. 13-14]. In definitiva volendo evidenziare le linee guida della nostra analisi possiamo dire che puntiamo a connotare i criteri salienti di uno studio iconografico della ceramica che da un lato mira a comprendere lo sviluppo dei fattori endogeni tipicamente legati ad una produzione artigianale di stampo enotrio, con individuazione di ambiti produttivi e schemi di diffusione locale, e dall’altro a una delineazione dei rapporti evincibili tra produzione ceramica e circolazione dei modelli esogeni. Ciò nel tentativo di definire e magari risolvere quelle attestazioni di derivazioni e scambi con la madrepatria greca o che comunque trovano origine in ambiti di tradizione più genericamente mediterranea. Evidente è il fatto che un discorso sulla ceramica antica non possa per forza di cose soffermarsi su un ambito territoriale definito ma debba rispondere alle esigenze di stimoli e impulsi che da una parte possono considerarsi allogeni in quanto caratterizzati dall’arrivo di genti nuove, nello specifico di tradizione achea, idonei a loro volta a veicolare vettori culturali e produttivi anche da parte di altre realtà, come ad esempio produzioni della componente euboica o più spiccatamente cumano-pithecusana, caratterizzando una sorta di mercato o commercio diffuso in tutta l’area mediterranea contrapponendosi, per certi versi, ad un quadro di riferimento produttivo autoctono, rispondente alle esigenze di una realtà per nulla sottovalutabile come è il milieu indigeno che
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nelle aree della Calabria settentrionale e della Basilicata meridionale appare ben connotata da una progredita componente enotrio-chonia20.
Fig. 12: Olla da San Marzano sul Sarno seconda metà dell’VIII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale della Valle del Sarno, da Vetulonia, Pontecagnano e Capua, p. 79, n. 15.
Aspetti iconografici e produttivi della ceramica nel milieu enotrio Non vi è dubbio che le popolazioni epicorie citate abbiano saputo elaborare in modo rapido e emblematico a livello elitario un patrimonio mitico e religioso di straordinaria valenza21, e ciò gli abbia consentito di connotarsi come referenti di qualità nel più ampio novero dei populi presenti nel contesto del Mediterraneo, al pari dei Greci, degli Etruschi, dei Fenici, degli Aramei e di molteplici altre etnie22. Soffermando il nostro interesse sulle componenti italiche, proprio la ceramica sembra essere in grado di presentare una serie di repertori figurativi e sintassi decorative che in schemi geometrici o in formule astratte rappresentano motivi antropomorfizzanti o teriomorfici di valenza straordinaria, sempre legati al culto o a riti funerari e che in alcuni casi paiono prospettare, forse in maniera più corsiva, meno organica o se vogliamo con maggiore astrazione, temi cari al geometrico che è la forma artistica più rappresentativa del mondo italico23. Nella ceramica figulina dipinta delle prime culture italiche del Bruzio e della Lucania non possono non ravvisarsi con estremo nitore gli stimoli tramessi dal commercio miceneo se non addirittura dalla già citata presenza di artigiani micenei, sebbene questa fase venga ben presto superata dalle ulteriori e sempre più proficue opportunità di incontro e scambio che nascono a partire dal IX sec. a.C. e culminano nell’VIII. La ceramica dipinta di tipo geometrico è specificamente riscontrabile proprio nell’Italia meridionale, coincide topograficamente con quelli che furono gli ambiti iapigi ed enotri e risponde a criteri locali, tenuto conto che la sua articolazione si ascrive sin nel corso dell’XI sec. a.C. e svolge la sua funzione sino a tutta l’età arcaica. Se è dunque vero che si tratti di un fenomeno produttivo assolutamente autonomo, non si può negare che nel corso dei secoli subì l’influenza del geometrico greco. Basti citare l’olla geometrica enotria, della classe a tenda, da Santa Maria d’Anglona presso Tursi, oggi al Museo Nazionale della Siritide, databile entro la prima metà dell’VIII sec.
Fig. 13 - Frammenti di coppe tipo Thapsos da Francavilla Marittima, seconda metà dell’VIII sec. a.C. Museo Nazionale della Sibaritide, da Parco Archeologico Lagaria, p. 101 n. 130.
Fig. 14 - Frammenti di coppe a filetti da Francavilla Marittima, prima metà del VII sec. a.C. Museo Nazionale della Sibaritide, da Parco Archeologico Lagaria, p. 101 n. 131.
a.C., in cui appare oltremodo evidente l’esigenza di rappresentare una scena di compianto funebre con figure umane che hanno il corpo a clessidra e che tengono le mani aperte e ben distese in alto in atteggiamento solenne. Al di la del fatto che Piero Orlandini l’abbia considerata «il più antico esempio di vaso dipinto con figure umane finora scoperto in Italia relativamente all’Età del ferro» si deve sottolineare la pressoché totale carenza di proporzioni nella resa delle mani troppo accentuate a cui si contrappone l’irrilevanza nelle proporzioni delle altre parti del corpo e specificamente del capo minuscolo di forma triangolare [fig. 15]. Risulta evidente come in questo caso non si tratti di una imperizia nel trattamento della figura umana ma di una scelta ben precisa dell’artigiano che punta a connotare la produzione nel ristretto ambito di appartenenza enotrio e intende dare esclusivo rilievo al sacro atto del penoso compianto funebre con i personaggi che interpretano la scena e dunque il rito. Ça va sans dire che in questo specifico caso l’atto è molto più importante di tutto quanto il resto e
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Fig. 15 - Olla a tenda da Santa Maria d’Anglona, Museo Nazionale della Siritide, da De Juliis 1996n p. 69 n. 67.
Fig. 16 - Figurina in terracotta da Francavilla Marittima Macchiabate, I metà dell’VIII sec. a.C., Museo Nazionale della Sibaritide, da Parco Archeologico Lagaria, p. 47, n. 45.
Fig. 18 - frammento superiore olla biconica da Timpone Motta di Francavilla Marittima, prima metà del VII sec. a.C., Museo Nazionale della Sibaritide, da Parco Archeologico Lagaria, p. 47 n. 48 a.
l’azione rituale è quella dell’implorazione a mani aperte e levate verso il cielo che perciò risultano sovradimensionate rispetto al resto24. Caratteristico della produzione e perciò espressiva del senso estremamente locale è la riconoscibilità della tipologia produttiva a tenda che anche recentemente è stata oggetto di un tentativo di classificazione entro i canoni del decorativismo geometrico autoctono25. La commistione con lo stile geometrico greco, difatti condurrà all’ingresso, nelle schematiche decorazioni a tenda peculiari delle fasi enotrie nel corso del VII e VI sec. a.C. di soggetti antropomorfi nei moduli geometrici e soprattutto nella determinazione di una sintassi, una trama o meglio un ordito esornativo assolutamente più complesso rispetto al passato26, in cui si evidenziano produzioni ceramiche del geometrico italico e sono senza dubbio ricorrenti i motivi con uccelli acquatici che appaiono come evidente rappresentazione di contatto ultraterreno fra la sfera celeste e gli inferi mantenendo una valenza tanto di protettori dello status quanto salvifica27. Questo vi è da credere può essere il motivo della presenza di idoletti coroplastici in tombe come la 69 di Francavilla Marittima28 o da Torre Mordillo di Spezzano Albanese29 [fig. 16]. Se vogliamo, del resto, la seriazione decorativa della ceramica figulina dipinta enotria è presente in toto nella necropoli di Torre Mordillo e in buona sostanza anche nelle tombe rinvenute nel territorio di Castrovillari sino ai cosiddetti stili: vuoto, a bande coprenti, e a frange che nel geometrico tardo, interagiranno con i già citati motivi geometrici greci. Per essere oltremodo espliciti in tal senso basti citare la stilizzazione antropomorfa nella decorazione a frange di un askos dalla tomba 14 di Francavilla Marittima, nel tipico atteggiamento ieratico con braccia levate e mano aperta similmente alla già citata olla da Santa Maria d’Anglona con scena di compianto funebre. Riten-
Fig. 17 - Askos da Francavilla Marittima Temparella, seconda metà dell’VIII sec. a.C., Museo Nazionale della Sibaritide, da Parco Archeologico Lagaria, p. 47 fig. 46 a-b.
Fig. 19 - frammento inferiore olla biconica da Timpone Motta di Francavilla Marittima, prima metà del VII sec. a.C., Museo Nazionale della Sibaritide, da Parco Archeologico Lagaria, p. 47 n. 48 b.
go significativo, inoltre, il fatto che il suddetto askos provenga da una tomba femminile e ciò è compatibile con la coerente definizione dei corredi per genere30. Sottolineo altresì che possano anzi debbano essere connesse a questa raffigurazione altre due la prima delle quali riferibile ad un askos e l’altra ad una brocca sull’acropoli del Timpone, in cui Marianne Kleibrink ha ritenuto di riconoscere la dea stilizzata31[fig. 17-19]. Più complessa è per molti versi più articolata è invece la raffigurazione di quella che la Kleibrik definisce la dea, nella medesima posa della fine dell’VIII o meglio del primo quarto del VII sec. a.C., con adoranti nella parte superiore del vaso e rappresentata singolarmente sul corpo del vaso, mentre uno
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studio specifico sulle produzioni coroplastiche enotrie come uno studio dei pesi fittili da telaio ci spingerebbe ben oltre il profilo del saggio che abbiamo inteso determinare in questa occasione. Direi che altrettanto essenziali per la comprensione dei moduli e delle formule decorative della ceramica enotria sono i vasi biconici e le coppe attingitoio nello stile a rete e a frange del periodo detto coloniale e lo stesso può essere riferito per la presenza di una olla kantaroide in stile bicromo. Nello specifico si tratta di una decorazione in rosso e bruno che riprende senza imitarli ma reinterpretandoli motivi peculiari delle cosiddette coppe tipo Thapsos e pseudo Thapsos. Una specificità da sottolineare è, infine, un lebes forma assolutamente greca, curiosamente decorata con tecnica indigena matt painted32. Non è da trascurare fra l’altro il fatto che dalla acropoli francavillese siano comparsi in maniera non del tutto inaspettata produzioni del tardo geometrico messapico33 e numerose coppette-scodelle enotrio euboiche sulla cui valenza culturale vi sarebbe da aprire un enorme dibattito che non può essere affrontato in questo saggio. Aspetti iconografici e produttivi della ceramica di produzione greca La seriazione tipologica e soprattutto iconografica delle produzioni greche arcaiche nella Calabria settentrionale e specificamente nella provincia cosentina trova uno scenario di enorme valenza, ancora una volta, a Francavilla Marittima, con produzioni tipo Thapsos, sub Thapsos, coppe a filetti e coppe a pannello di produzione protocorinzia. Senza contare tutto quello che è relativo all’ampia tradizione figurativa di fabbrica corinzia nelle differenti forme e tipologie quando non addirittura di imitazione coloniale34. Oltremodo indicativa è la cospicua presenza di ceramiche di altre tradizioni artigianali come ad esempio la ceramica attica, quella laconica, quella pontica, quella argiva35 e soprattutto la fondamentale ceramica di tradizione orientale, in epoca arcaica36, e quella di stile e tipologia achea37. Sulla varietà delle produzioni artigianali ceramiche riscontrabili sul Timpone della Motta di Francavilla Marittima, siamo informati dai risultati degli scavi che sono pubblicati o sono in corso di pubblicazione in appositi cataloghi ma anche e soprattutto dai lavori di risistematizzazione della molta ceramica trafugata dal sito di Francavilla e ora magistralmente recuperata. Ebbene questi recuperi consentono di definire un corpus ceramico di straordinario rispetto per l’Athenaion francavillese lungo tutto l’arco cronologico della fase arcaica sino al periodo classico. Appare evidente come il territorio sibarita risulti uno scenario commerciale senza pari e che Francavilla Marittima con il suo luogo di culto sia un altrettanto straordinario attrattore per i prodotti allogeni38. La cospicua presenza di ceramica coloniale e il prolungamento delle produzioni di ceramica locale indigena, sia pure sotto forma di ceramica ad impasto, non decorata, e soprattutto matt painted evidenzia il quadro di un ambiente assolutamente dedito all’interazione dei modelli culturali sotto il segno del divino come suggerito più volte da Marianne Kleibrink e da chi scrive, rendendo ancora più evidente la valenza della ceramica come indicatore socio-economico e politico. Ovviamente molte potrebbero essere le implicazioni che questo nostro discorso porta a fare a livello iconografico ma trattando una fase cronologica abbastanza ampia e densa di contenuti in tal senso ci limiteremo all’essenziale sottolineando i fattori di maggior impatto e senza dubbio più significativi. A partire da una pisside globulare decorata, senza coperchio, risalente alla fine dell’VIII sec. a.C., attualmente in collezione privata svizzera. Su di essa sono rappresentate due scene ai lati A e B. Nel primo una divinità assisa in trono di fronte ad una offerente che consegna con la mano sinistra una coppa per bere e nella mano destra trattiene una caraffa. Dietro l’offerente altre due figure femminili che tengono le braccia alzate in segno di preghiera. Sull’altro lato vi sono ben cinque figure maschili evidentemente nude impegnate in una danza. In relazione con questo vaso dovrebbe essere il frammento di coperchio rinvenuto sullo stesso Timpone della Motta, in cui si evidenzia la presenza di un guerriero che tiene per mano forse nell’atto di danzare una figura femminile anch’essa con hydria. La decorazione sebbene assolutamente fra le più arcaiche riconoscibili con nitore deve rappresentare una festa sacra che vede dediche e danze da parte dell’elemento maschile e di quello femminile alla divinità ed estremamente importante è la connotazione della dedica di acqua. Per ciò che concerne la produzione, a dire la verità molto discussa, nonostante paiano evidentemente ben ravvisabili elementi decorativi tardo geometri-
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Fig. 20: frammento di coperchio di pisside e pisside detta del Canton Ticino, da Parco Archeologico Lagaria, p. 98, n. 129.
ci di stampo beotico ritengo si possa valutare con molta più credibilità un suo inquadramento nell’ottica delle produzioni italiote o se si predilige coloniale che si prospetta caratteri allogeni ma risolve la decorazione secondo stilemi caratteristicamente locali. Credo, del resto, che un ulteriore supporto a quanto detto sia proprio nella similitudine che questa pyxis abbia con un cratere tardo-geometrico dall’Antiken Museum di Basilea, anch’esso evidentemente di ispirazione e produzione magnogreco39 [fig. 20] . Non possiamo, altresì, ignorare le presenze di quelle kotylai di produzione corinzia ascrivibili al tardo geometrico, imitazioni di coppe Aetos 666, e le produzioni a carattere estremamente locale: le cosiddette geometriche enotrie che si riscontrano in quello che può essere considerato il momento del tardo geometrico pitecusano, collocabile in un periodo immediatamente precedente se non addirittura coevo alla fondazione achea di Sibari. Vi sono contesti leggibili e interpretabili del Timpone della Motta di cui non mi sono certo dimenticato che segnalano importanti quantità di ceramica euboico-cicladica nonché l’evidenza di una ceramica di matrice enotrio-euboica, fermo restando l’esistenza della matt painted o enotriogeometrica, l’enotrio euboica richiamerebbe in specifiche situazioni alcune produzioni eretriesi la cui imitazione è presente anche a Pitecusa ma il cerchio si stringe e si chiude quando possiamo sottolineare che produzioni di questo tipo vengono a ritrovarsi a Amendolara, Torre Mordillo, in Siritide e anche ad Incoronata vicino Metaponto e sembra potersi delineare l’ipotesi per nulla preregrina che potesse esistere a Francavilla Marittima un quartiere produttivo con fornaci in cui lavorassero ceramisti euboici, ponendo una forte similitudine fra Francavilla e Pitecusa ben oltre quanto sin qui avanzato precedentemente. Deve essere posto in oggetto il fatto che anche a Sibari la produzione ceramica e assolutamente significativa e ad essa si affianca in modo pressoché paritetico la presenza di produzioni allogene nella stragrande maggioranza dei casi connessa al mondo corinzio nonché una minoritaria ceramica di tipo greco orientale. Nel corso del VII sec. a.C. ben si inquadrano le produzioni cicladiche e sono evidenti le coppe ioniche. In compenso riteniamo si possa dire con Luigina Tomay che sebbene la ricerca ceramologica su Sibari e sul suo comprensorio non sia ancora molto sviluppata si possono prospettare nuove formule di interpretazione in comparazione con il più esteso mondo di tradizione acheo che almeno a livello coloniale annovera Metaponto, Crotone, e Poseidonia, e in definitiva il confronto chiarirà quanto sino ad ora rimane oscuro40. La fase successiva alla nascita delle prime colonie è altrettanto ben evidenziata a livello della ceramica dalla cospicua presenza di manufatti di origine orientale oltre che da quelle già menzionate tipicamente legate a Corin-
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to41. Tali ceramiche rispondono a livello decorativo ad una variegata realizzazione pittorica a carattere naturalistico prodromo del proliferare di rappresentazioni teriomorfiche mediante la trasmissione tutta orientale di entità ibride e mostruose che traggono linfa da un portato mitico ampiamente mediterraneo e che viene ad impattare con lo schematismo geometrico di tradizione greco continentale. Le isole greche ebbero in effetti già modo di affrontare questa innovazione determinandola in nuovi canoni di esuberanza iconografica. Vero è che le rappresentazioni delle bird bowls e kotylai sono fortemente ripetitive nella determinazione della rappresentazione pittorica e lo stesso vale per le produzioni in wild goat style ma entrambe concorrono a caratterizzare le produzioni ceramiche greche di una esuberanza assai significativa42. La rappresentazione sovrabbondante e per molti versi eccessivamente animalistica e ridondante che tende al mostruoso impregnata di connotazioni mitiche fa nascere le rappresentazioni di sfingi, tifoni, chimere, gorgoni, grifi, sirene, arpie, per non palare di centauri, o altri esseri ibridi e mostruosi come l’idra43. É tutto un altro mondo, quello dell’orientalizzante, che risponde a nuove esigenze e che il pensiero greco si propone, dopo un primo momento in cui finisce con l’essere sommerso subendolo, di modificarlo ed assimilarlo all’interno delle sue regole e del suo ordine prestabilito, tutto in un fase cronologica che si conclude con il VI sec. a.C.44. In diverse occasioni ho avuto modo, del resto, di soffermarmi su un pregevole pithos a rilievo, proveniente da Colle Monco di San Marco Argentano in territorio di Sibari, oggi collocato in una sala del Museo Nazionale di Crotone. In esso è facilmente leggibile la scena di centauromachia. Eracle, in effetti, è accolto propiziamente da Folo che in suo onore apre il dolium entro cui è contenuto il preziosissimo vino donato da Dioniso ai centauri. L’apertura del contenitore e il conseguente diffondersi dell’aroma nell’aria, tuttavia, crea l’ebbrezza che da alla testa ai centauri i quali ritornano sui loro passi per affrontare Eracle armato di arco e frecce, e che, di fatto compie una carneficina. Folo in questo frangente appare leontocefalo La definizione delle figure è a fregio continuo e sono tutte di profilo tranne Folo che con la sua atipicità è posto di prospetto e così conferma la sua eccezionalità ponendosi fuori dalle regole del branco dei terribili centauri. Questi ultimi sono esseri anomici e per questo motivo sono in grado di compiere le nefandezze
Fig. 21 - Frammento di pithos da Colle Monco di San Marco Argentano, da Genovese 1999, tav. 21
Fig. 22 - Kotyle del pittore del lupo cattivo da Pontecagnano prima meta del VI sec. a.C., da Mostri, p. 162, n. 1
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più assurde per istinto bestiale, mentre Folo con la sua caratterizzazione specificamente leontecefalica, sottende una umanità che è molto ben evidente e sopravanza oramai di molto i tratti della sua brutalità [fig. 21]. Non ci sembra privo di interesse sottolineare che la caratteristica esemplarmente proposta dall’artigiano autore del pithos per Folo richiami nei tratti ferini del volto e nella rappresentazione con braccia levate al cielo nel segno dell’invocazione così cara al mondo indigeno immagini arcaiche e teriomorfe assimilabili alle raffigurazioni di una gorgone o di una Pothnia Theron al centro della decorazione di una kotyle etrusco-corinzia prodotta dal “pittore del lupo cattivo” dalla tomba 856 di Pontecagnano, oggi custodita al Museo dell’Agro Picentino e che cronologicamente è assolutamente inquadrabile nel corso dei principi del VI a.C., quindi più recente di qualche decennio riguardo al pithos in oggetto45 [fig. 22]. Non credo possa essere sottaciuto il fatto che la produzione a rilievo citata usufruisca di celeberrimi richiami alla famosa tradizione dei perirrhanteria fittili fra i quali uno degli esemplari più noti è, senza dubbio, quello dell’Incoronata di Metaponto, anch’esso a bassorilievo seppure di qualità enormemente superiore che si data alla seconda metà del VII sec.a.C. e che esemplifica significative influenze di stampo dorico se solo si tiene conto delle coeve attestazioni provenienti da Rodi,
da Creta, e da Corinto solo per citare alcune aree. L’età arcaica vede il progredire delle produzioni ceramiche tanto nella rappresentazione a figure nere quanto in quelle successive a figure rosse che trovano spiccata evidenza nelle produzioni di botteghe di tradizione greco continentale con scene di vario genere, quanto in produzioni magnogreche che rispondono ad esigenze a quanto pare estremamente funzionali a livello sociale sia per quel che concerne gli ambiti sacrali che per ciò che si riferisce agli abitati e alle necropoli. Credo che in tutti i casi si possa fare riferimento tanto all’entroterra lucano, valutando attentamente la ricezione che il mito greco può aver avuto nel mondo enotrio della mesogaia46, quanto le valenze che la ceramica figurata può aver rappresentato in scenari difformi ma altamente significativi come l’entroterra tirrenico a partire dal Palecastro di Tortora, noto dalle ricerche recenti47, per seguire via via il complesso e articolato processo di interazione studiato per le fasi classiche ed ellenistiche48. A questo punto credo rimanga una ultima citazione per un frammento ceramico proveniente da Francavilla Marittima e più specificamente dalla cosiddetta casa dei pithoi. Si tratta di un interessantissima decorazione a figure nere attica, di una particolarissima anfora, che mostra lo scontro cruento fra Eracle e Gerione in cui può interpretarsi tutto il pathos della circostanza e che per i caratteri iconografici sembra potersi ascrivere entro l’ultimo trentennio del VI sec. a.C. La rappresentazione dei numerosi scontri di Eracle ed in particolare il confronto con Gerione da bene il senso di quanto l’eroe argivo e soprattutto la sua saga siano oramai divenuti essenziali per la mitopoiesi del fenomeno coloniario sino ad apparire elementi imprescindibili [fig. 23]. È Eracle, infatti, l’eroe incontrastato di questa fase, per la sua valenza acculturante e ciò si manifesta in maniera ancor più chiara ed evidente per il fatto che egli sia anche semidio in grado di competere e combattere contro tutti gli elementi dell’abnorme e del mostruoso. In ogni ambiente a lui favorevole o sfavorevole egli è in grado di debellare la sauvagerie, i monstra e di piegare al volere della norma o meglio del nomos greco ogni tipo di entità ibrida o mostruosa si presenti di fronte al suo cospetto e tenti di intralciare il suo cammino di civilizzazione e regolamentazione49.
Fig 23: frammento di anfora da Francavilla Marittima 530 a.C. , da Parco Archeologico Lagaria, p. 142 n. 200.
Il segno del greco: elementi per una conclusione Il nostro tentativo di recepire quanto di greco è presente e si è trasfuso nel mondo indigeno a partire dalla fase precoloniaria sulla base di un cospicuo e articolato scenario mediterraneo è ancora oggetto di indagine e molti dei nostri limiti conoscitivi sono forniti dalla carenza di dati. Troppo scarne sono le documentazioni riferibili a ricerche complessive quindi di archeologia del
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paesaggio in Calabria e ciò non consente di farci rintracciare i rapporti esistenti fra città, territorio luoghi di culto e necropoli. Non vi è alcun dubbio che i principali elementi riferibili alla comprensione dei fenomeni socio-politici ed economici anche in un comprensorio complesso come la Calabria settentrionale non può fare a meno di una sistematizzazione dei dati sin qui delineata, ma a quanto pare di là da venire. Nei santuari e nelle necropoli, generalmente si leggono meglio le articolazioni sociali che ogni gruppo costituisce al suo interno ma soprattutto le relazioni che esistono tra i gruppi elitari e quello che può essere definito come l’esterno, l’altro, l’indefinito che si definisce attraverso traffici e mercati. Molto importante è il senso e il carattere principale delle importazioni che danno la cifra culturale di un gruppo antropico le sue ricchezze, ma soprattutto segnano l’influenza che idee, concetti e formule produttive allogene hanno sull’artigianato locale. Puntare alla comprensione di quello che è il senso e quindi il significato di una immagine greca all’interno di un ambito per molti versi difforme, come può essere un contesto epicorio, è un fattore determinante per la comprensione dei processi interattivi in Magna Grecia ma il problema sorge quando andiamo a commisurare le nostre conoscenze sul mondo autoctono e ci rendiamo conto che esse sono colpevolmente scarse per una continua sottovalutazione dell’aspetto locale, poiché troppe volte abbiamo inteso privilegiare il segno del greco ad una realtà presente ma scientemente ritenuta sconosciuta. Ritorna qui il discorso dei dizionari o vocabolari con cui interpretare situazioni a noi più complesse ammesso che lo si voglia. Non esiste un dizionario buono per ogni lingua e non esiste un registro entro cui si possono annoverare mondi ed esperienze culturali difformi. Ciò è tanto più vero in una fase di globalizzazione in cui, tuttavia, a livello scientifico iniziamo finalmente a chiederci se e esiste un’arte greca o se si deve parlare di tante realtà produttive per quante furono le poleis e lo stesso, a maggior ragione vale per il mondo italico e per l’Etruria assurta a paradigma di quest’ultimo. L’immaginario trasmesso dal vasellame greco pone problemi legati al valore sociale che la ceramica decorata ha all’interno dello stesso mondo greco ma anche di quello che ne è ricettore. La valenza che una scena o una narrazione ha nel mondo greco, può essere la stessa che ha in una qualsiasi altra area del mondo mediterraneo e quindi anche del mondo indigeno enotrio della Calabria settentrionale? In sostanza i gruppi ricettori con a capo le élites erano in grado di decodificare quanto acquisivano attraverso i mercati? Acquisire ceramica pregiata, significava assegnare una valenza ad essa o poteva e doveva essere solo il segno di uno status economico sociale e dunque politico? Queste sono tutte domande che la lettura ermeneutica della ceramica figurata deve per forza di cose suscitare in tutti coloro i quali si pongano di fronte ad un prodotto di questo genere, a nostro avviso e non credo si possa fornire a domande così stringenti risposte vaghe o aleatorie trovando l’alibi che i dati mancano o sono labili. In primo luogo il contesto entro cui tutto si snoda è il contesto mediterraneo e le varie componenti greche giocano un ruolo come tutte quante le altre componenti presenti. Se il mondo fenicio prospetta e propone una struttura alfabetica e quindi la scrittura nulla vieta che il mondo greco, quello latino, quello etrusco ed altri ancora siano in grado di approfittarne elaborando propri sistemi ma ciò implica che abbiano capito bene la portata dell’innovazione. Ebbene lo stesso ritengo valga per il sostrato culturale e cultuale immaginifico mediato attraverso la rappresentazione figurata. Le idee passano, si consolidano, si trasformano ma soprattutto si trasmettono e questo consente di rendere comprensibile un immaginario straordinariamente fantastico come quello greco che si articola su un piano mitico senza pari perché arricchito da esperienze mediterranee di primo piano. Non compete a noi ricordare quanto celebri fossero le opere di Omero e quale diffusione avessero. Conta per noi sottolineare che tutti comprendessero Ulisse, tutti sapessero chi fosse Achille, Ettore, Diomede etc. La presenza di realtà nostoiche nell’immaginario mitico enotrio-chonio è senza dubbio rilevante ed è altamente credibile che gli Enotri e i Choni conoscessero in maniera evidente quello che Filottete o Epeo fossero, a tal punto da ritenerli, assimilandoli, archetipi delle loro genealogie ed ecisti ante litteram dei loro centri più importanti. Ebbene se si comprende questo si riesce a valutare la portata di una cultura che è in grado di recepire un apparato mitico che è molto ben rappresentato a livello ceramico e soprattutto è in grado di reperire nelle produzioni quello che più è utile e funzionale
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a risposte di tipo locale ma anche internazionale. La scelta iconografica alla base del rapporto commerciale non è, dunque pedissequa. Le élites gentilizie enotrie paiono a nostro avviso in grado di recepire e selezionare immagini forti, vincenti ed esaustive. Non è un caso, del resto che si privilegiano figure come Eracle che sulla ceramica a figure nere e a figure rosse ha dalle connotazioni, se vogliamo abbastanza robuste sotto il profilo mitostorico. Acquistare ceramica greca non è dunque solo un fatto estetico o esotico, anche perché la diffusione di materiale esogeno riguarda anche altri ambiti, non solo greci. Se è presumibile che il mito greco invii come vettori acculturanti specifiche figure ben note ai gruppi di potere indigeni e sia altresì in grado di rappresentarli iconograficamente. Il gruppo dirigente indigeno tutto questo lo comprende ed evidentemente lo recepisce, continuando a rappresentarsi autorevolmente a livello interno ed esterno. Che le cose vadano in questo modo è confermato, del resto, dal fatto che le produzioni italiche nella ceramica continuano a riproporsi fino al V sec. a.C. inoltrato con i loro caratteri inorganici e destrutturanti senza essere minimamente intaccati dalla presenza delle ceramiche greche certamente più apprezzabili sotto un profilo estetico canonico, ma più volte ci è capitato di dire che è l’essenza della produzione italica che è differente da quella greca. Il mondo italico non mira alla narrazione ma al fatto in se all’estemporaneità dell’atto e soprattutto non vuole rappresentare ma presentare una situazione, un carattere, un aspetto senza grandi quadri o scenari. Basta poco per rappresentare un orante, un corteo funebre o una scena eroica, come basta pochissimo per creare dei pastiches di diverse saghe o di diversi miti. La commistione degli stili da il senso al gusto e il gusto è determinante per la comprensione dei modelli. Ogni modello ceramico può essere interpretato a proprio gusto e la capacità di penetrare nel gusto fa scoprire sempre nuovi tratti esegetici per sempre nuove interpretazioni iconografiche e stilistiche.
A Luigi, Mio caro e sincero amico, scomparso troppo presto, a cui dedico tutta la perizia presente in questo articolo. 1 Cuomo di Caprio N., La ceramica in archeologia. Antiche tecniche di indagine e moderne tecniche di indagine, Roma 1985; Mannoni T., Giannichedda E., Archeologia della produzione, Torino 1996;C. Lambrugo, Nella bottega del vasaio greco, in Botteghe e artigiani. Marmorari, bronzisti, ceramisti e vetrai nell’antichità classica, a cura di G. Beior, M. Castoldi, C. Lambrugo, Elisa Panero, Milano 2012, pp. 65 sgg. 2 Levi S. T., Produzione e circolazione della ceramica nella Sibaritide protostorica. I. Impasto e dolii, Firenze 1999; Castagna M. A., Variazioni dimensionali e variabilità tipologica del vasellame da mensa del bronzo recente in Italia meridionale, in Studi di protostoria, cit., pp. 354 sgg. 3 Su Broglio di Trebisacce la bibliografia è enorme considerato che si tratta di ricerche attuate sin dal 1979 tuttavia cfr: AA.VV., Studi di protostoria in onore di Renato Peroni, Firenze 2006. 4 Il rinvenimento avvenuto ad opera di campagne di ricognizione svolte nel 2003 da chi scrive: Genovese G., Greci e non greci nel Bruzio preromano. Formule integrative e processi di interazione, Venosa 2012. Solo successivamente D. Marino e A.Taliano Grasso sulla scorta dei dati già raccolti nelle survey da me compiute hanno iniziato ad indagare l’area nel 2005, da cui Marino D., Taliano Grasso, Ricerche topografiche e scavi archeologici nella Sila Grande, in “ATTA”, 20, 2010, pp. 51 sgg. 5 Boardman J., Storia dei vasi greci, Roma 2004; T. Hölscher, Ceramica, in L’archeologia classica. Una in-
troduzione, edizione italiana a cura di Eugenio La Rocca, Roma 2010, pp. 313 sgg. 6 Cuomo Di Caprio N., Ceramica in archeologia 2. Antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di indagine, Roma 2007. 7 Di estremo interesse in proposito sono le considerazioni fatte per la ceramica apula: De Juliis E., Mille anni di ceramica in Puglia, Bari 1997; Id., I fondamenti dell’arte italica, Roma-Bari 2000; I. Cavicchi, La bocca e l’utero. Antropologia degli intermondi, Bari 2010. 8 Vagnetti L., Bettelli M., I Micenei in Italia meridionale. Appunti per una storia degli studi, in Magna Grecia. Archeologia di un sapere, catalogo mostra Catanzaro, a cura di S. Settis, M. Cecilia Parra, Milano 2005, pp. 288 sgg. 9 AA.VV., alba delle città alba delle immagini, a cura di B. D’Agostino, Tripodes 7, Atene 2008. 10 Schibler I, Il vaso in Grecia. Produzione, commercio e uso degli antichi vasi di terracotta, Milano 2004; 11 Pomey P., Navigazione e navi all’epoca della colonizzazione greca, in I Greci in Occidente, catalogo mostra Venezia, Milano 1996, pp. 133 sgg.; B. d’Agostino, L’esperienza coloniale nell’immaginario mitico dei Greci, ibid., pp. 209 sgg.; L. Cerchiai, B. d’Agostino, Il mare, la morte , l’amore. Gli Etruschi, i Greci e l’immagine, Roma 1999. 12 Guidi A., Preistoria della complessità sociale, RomaBari 2000. 13 Bettelli M., Italia meridionale e mondo miceneo. Ricerche sulle dinamiche di acculturazione e aspetti archeologici, con particolare riferimento ai versanti adriatico e ionio della penisola italiana, Firenze 2002.
14 Bettelli M., Le ceramiche figuline dell’età del bronzo: importazioni, imitazioni e derivazioni locali, in Prima delle colonie. Organizzazione territoriale e produzioni scientifiche specializzate in Basilicata e Calabria settentrionale ionica nella prima età del ferro, Atti giornate di studio Matera 2007, Venosa 2009, a cura di M. Bettelli, C. De Faveri, M. Osanna, pp.17 sgg. 15 Remotti F., Contro l’identità, Roma Bari 1996; Fabietti U.E.M., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Roma 2013. 16 F. Mermati, Cuma: le ceramiche arcaiche. La produzione pithecusano-cumana tra la metà dell’VIII sec. a.C. e l’inizio del VI sec. a.C., Napoli 2012. 17 Mermati F., scheda olla-hydria di produzione pithecusano-cumana, in Vetulonia, Pontecagnano e Capua. Vite parallele di tre città etrusche, catalogo mostra a cura di S. Rafanelli, Vetulonia 2013, Roma 2013, p. 80. 18 De Juliis E.M.,I fondamenti dell’arte italica, cit., passim; Menichetti M., Archeologia del potere. Re, immagini e miti a Roma e in Etruria in età arcaica, Milano 1994; Torelli M., Il rango, il rito e l’immagine. Alle origini della rappresentazione storica romana, Milano 1997; Torelli M., La forza della tradizione. Etruria e Roma: continuità e discontinuità agli albori della storia, Milano 2011. 19 Greco E., Dalla Grecia all’Italia: movimenti antichi, tradizioni moderne e qualche revisionismo recente, in Magna Grecia. Archeologia di un sapere, cit., pp. 59 sgg.; Id., Archeologia della grecità occidentale 1: la Magna Grecia, Bologna 2008; Torelli M., Dei e artigiani. Archeologie delle colonie greche d’Occidente, Roma-Bari 2011. Sulla stessa linea: La Torre G. F., Sicilia e Magna Grecia. Archeologia della colonizzazione greca d’Occidente, RomaBari 2011.
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20 Bianco S., Immagine e mito nel mondo enotrio, in Immagine e mito nella Basilicata antica, catalogo mostra Potenza, Venosa 2002; Kleibrink Maaskant M., Dalla lana all’acqua. Culto e identità nell’Athenaion di Lagaria, Francavilla Marittima, Rossano Calabro 2012; Genovese G., Greci e non greci nel Bruzio preromano. Formule integrative e processi di interazione, Venosa 2012. 21 Genovese G., Nostoi. Tradizioni eroiche e modelli mitici nel meridione d’Italia, Roma 2009. 22 Boardman J., I Greci sui mari, trad. it, Firenze 1985; Gras M., Il Mediterraneo nell’età arcaica, trad. it., Paestum 1995, passim; 23 Bianchi Bandinelli R., Organicità e astrazione, Milano 1956; Bianchi Bandinelli, Giuliano A., Etruschi e Italici prima del dominio di Roma, Milano 1976; De Juliis E.M., I fondamenti dell’arte italica, cit., passim. 24 Orlandini P., Figura umana e motivi antropomorfi sulla ceramica enotria, in onore di Ferrante Rittatore Vonwiller, II, Como 1980, pp. 309 sgg.; AA.VV., Il Museo Nazionale della Siritide di Policoro. Archeologia della Basilicata meridionale, a cura di S. Bianco, M. Tagliente, Roma-Bari 1985, tav. 18; De Juliis E.M., I fondamenti dell’arte italica, cit., p. 45; Bianco S., Immagine e mito nel mondo enotrio, cit., p. 64. 25 Ferranti F., Nascita evoluzione e distribuzione di una produzione specializzata: il caso della ceramica geometrica enotria della I età del ferro, in Prima delle colonie, a cura di M. Bettelli, C. De Faveri, M. Osanna, cit., pp. 37 sgg. 26 Bianco S., Immagine e mito nel mondo enotrio, in Immagine e mito nella Basilicata antica, cit., p. 66. 27 Brocato P., Osservazioni sulla tomba delle anatre a Veio e sulla più antica ideologia religiosa etrusca, in “Ocnus” XVI, pp. 69 sgg.; Id., Il simbolismo solare tra presente e passato in Europa, in Passato e identità politica, a cura di P. Vereni, Roma 2009, pp. 13 sgg. 28 Zancani Montuoro P., Tre notabili enotri dell’VIII sec. a.C. in AMSMG, n.s. XV-XVII, 1974-1976, p. 37 sg. Babbi A., La piccola plastica fittile antropomorfa dell’Italia antica dal Bronzo finale all’Orientalizzante, Pisa- Roma 2008. 29 AA.VV., Museo dei Brettii e degli Enotri. Guida al percorso espositivo, Cosenza s.d. p. 43. 30 Cuozzo M.A., Guidi A., Archeologia delle identità e delle differenze, Roma 2013, pp. 38 sgg. 31 Kleibrink M., Parco archeologico Lagaria a Francavilla Marittima presso Sibari. Guida, Rossano Calabro 2010. 32 Ibid., pp. 96 sg. 33 Valgano in primo luogo tutte le considerazioni fatte sempre da Marianne Kleibrink sulle produzioni francavillesi. Da ultimo: Jacobsen J., Handberg S., Excavation on the Timpone della Motta Francavilla Marittima (1992-2004), I, The Greek Pottery, Bari 2010, pp. 22. Sulle produzioni matt painted messapiche: D. Yntema, The Matt-painted Pottery of Southern Italy, Galatina, 1990; De Juliis E. M., Mille anni di ceramica in Puglia, cit., p. 21 sg. 34 Jacobsen J., Handberg S., Excavation on the Timpone della Motta Francavilla Marittima (1992-2004), cit., p. 26 nella sola formula catalogica. Considerazioni sono esposte da C. Greco, I selvaggi si difendono, in Mito di guerra e riti di pace. La guerra e la pace: un confronto interdisciplinare, Atti convegno Torgiano-
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Perugia 2009, Bari 2011, p. 162. 35 Wan der Wielen-Wan Ommeren, Mekacher N., Christiansen J., Catalogo ceramica protocorinzia e corinzia, in La dea di Sibari e il santuario ritrovato, I.1. Ceramiche di importazione, di produzione coloniale e indigena, in “BdA” volume speciale 2006, pp. 85 sgg. 36 Raselli-Nydegger L., Ceramica attica, laconica pontica, argiva, monocroma e affine, ibid., pp. 273 sgg. 37 Tsiafakis D., Christiansen J., Johnston A.W., The east Greek and East Greek-Stile Pottery, in La dea di Sibari e il santuario ritrovato, I.2. Ceramiche di importazione, di produzione coloniale e indigena, in “BdA” volume speciale 2008, pp. 7 sgg. 38 Papadopoulos J. K., The Achaian and Achaian Style Pottery, ibid., pp. 57 sgg. 39 Gentile M., Granese M.T. Luppino S., Munzi P., Tomay L., Il santuario sul Timpone della Motta di Francavilla Marittima (CS): nuove prospettive di ricerca dall’analisi dei vecchi scavi, in Depositi votivi e culti dell’Italia antica dall’età arcaica a quella tardo-repubblicana, a cura di A. Comella, S. Mele, Atti Convegno Studi Perugia 2000, Bari 2005, pp. 651 sgg. 40 Tomay L., Ceramiche arcaiche di produzione locale della Sibaritide, in Kroton e il suo territorio tra VI e V sec. a.C. Aggiornamenti e nuove ricerche, a cura di R. Belli Pasqua, R. Spadea,Atti Convegno Crotone 2000, Crotone 2005, pp. 207 sgg. 41 L. de Lachenal, Francavilla Marittima. Per una storia degli studi, in La dea di Sibari e il santuario ritrovato I.1, cit., pp. 20 sgg.; Granese M. T., Tomay L., Immagini e rituale nel santuario arcaico di Francavilla Marittima (CS), in Image et religion, dans l’antiquité grécoromaine, Actes du colloque de Rome 2003, Naples 2008, pp. 137 sgg. 42 Genovese G., Mermati F., Fondazioni epiche e modelli coloniali tra Greci e altri: i casi della Campania e della Calabria, in XII giornata di Studi Francavillese, Francavilla Marittima 2014, c.s. 43 AA.VV., The Centaur’s Smile. The Human Animal in Early Greek Art, catalogo mostra Yale 2004; AA.VV., Monstra. Costruzione e percezione delle entità ibride e mostruose nel Mediterraneo antico, 1-2, a cura di Igor Baglioni, Roma 2013, passim; AA.VV., Mostri. Creature fantastiche della paura e del mito, catalogo mostra Roma, Milano 2013. 44 Giuliano A., Il periodo Orientalizzante, in Enciclopedia Archeologica, Europa, Roma 2004, pp. 133 sgg. 45 Genovese G., Eracle e i centauri. Sull’ermeneutica iconografica di un pithos da San Marco Argentano, in Archeologia e ceramica. Ceramica e attività produrrive a Bisignano e in Calabria dalla protostoria ai giorni nostri, Atti Convegno Bisignano 2005, a cura di A. La Marca, Rossano Calabro 2011, pp. 25 sgg. 46 Osanna M., La recezione del mito greco nella mesogaia: il mondo enotrio, in Immagine e mito nella Basilicata antica, Potenza 2003, Venosa 2003; Osanna M., Colangelo L. Carollo G., Lo spazio del potere . La residenza ad abside, l’anaktoron, l’episcopio a Torre di Satriano, Atti Convegno Torre di Satriano 2008, Venosa 2009; Osanna M., Capozzoli V., Lo spazio del potere II. Nuove ricerche nell’area dell’anaktoron di Torre di Satriano, Atti Convegno Torre di Satriano 2009, Venosa 2012. 47 La Torre G.F., Un tempio arcaico nel territorio dell’antica Temesa: l’edificio sacro in località imbelli di Campora San Giovanni, Roma 2003; Id., La documen-
tazione archeologica lungo il versante tirrenico, in Il mondo enotrio tra VI e V sec. a.C., Atti seminari napoletani (1996-1998), in “Quaderni di Ostraka”, 1, Napoli 2001, pp. 29 sgg. 48 Mollo F., Per un’approccio funzionale allo studio delle ceramiche fini e comuni di IV e III sec. a.C.: alcuni esempi da contesti del Tirreno Cosentino, in Archeologia e ceramica, a cura di A. La Marca, cit., pp. 77 sgg.; Id., Nuove ricerche tra i torrenti Oliva e Torbido tra tardo arcaismo ed epoca ellenistica: indigeni, greci, e italici nell’area di Temesa, in Enotri e Brettii in Magna Grecia. Modi e forme di interazione culturale, a cura di G. De Sensi Sestito, S. Mancuso, Atti Convegno Rende 2007, Soveria Mannelli 2011, pp. 155 sgg. 49 Genovese G., Considerazioni sul culto di Herakles nella Calabria antica, in “ArchClass”, LI, 1999-2000, n.s. I, pp. 329 sgg.
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Middle Ages and post Middle Ages pottery in province of Cosenza: a state of researches Franca C. Papparella
The study of pottery must be considered one of the most important aspects in the archaeological analysis recreation. If there may have been doubts or critics, at this point, is clear how much essential is pottery fragment’s study being this a useful chronological indicator as well as old societies other aspect’s marker. Calabria land of different population that settled here even if for short periods all over centuries, condition favored also by its geographical position in the Mediterranean area, keeps lots and important archaeological traces. In this essay the author considers the material proofs, what in archaeology is commonly defined “pottery”: the term itself hides many different and detailed aspects. Analysis method foresaw a diachronic classification tightly related with the kind of context in which the find has been retraced. The state of researches here examined offers a wide range of testimonies, thing that permits reading the territory and it morphologies considering both evolutions and transformations, a reading that brings at deducing on commercial exchanges and trading with Northern Africa in Late antiquity and Early Middle Ages, Apulia and its surroundings in Late Middle Ages, Center Southern Italy (Lazio, Marche, Abruzzo, Campania) in Modern Age. What comes out is the description of a region rich of exchanges and, meanwhile, rich of detailed peculiarities come del resto confermato da alcune analisi archeometriche effettuate su un sito campione (Chiesa del Carmine di San Sosti)..
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La ceramica medievale e postmedievale nella provincia di Cosenza: stato degli studi Franca C. Papparella
Premessa <<Lo studio dell’antichità deve saper far parlare i documenti archeologici, dalle statue e dagli archi di trionfo ai più umili frammenti fittili, il loro eloquente linguaggio>>1. Così scriveva in una lettera del 1918 Gaetano De Sanctis a Federico Halbherr in previsione del suo incarico all’Università di Roma. Da questo passo -parte di un più ampio e articolato carteggio, dove si esortava, inoltre, a insegnare ai giovani di non insultare i ricercatori di cocci- si può intuire l’importanza che si dava al frammento ceramico, addirittura equiparandolo nella lettura di un contesto a reperti ben più “prestigiosi”. Altrettanto nota, e contrapposta, è la concezione che lo storico Moses I. Finley ha nei confronti dei reperti ceramici. L’Autore parla di una autentica maledizione a cui sono soggetti tutti gli archeologi, ovvero l’indistruttibilità dei cocci. Per Finley gli archeologi devono stare attenti a non sopravvalutare quelle testimonianze archeologiche non deperibili e a considerarle come basi su cui scrivere la storia economica dell’antichità2. Indiscutibilmente, oggi, si può affermare che per gli archeologi è necessario studiare la ceramica, in quanto valido indicatore di molteplici aspetti del mondo antico. Il recupero ceramico è, unanimemente, considerato il “fossile guida” per lo studio archeologico: viene ritenuto, difatti, un importante ed essenziale indicatore cronologico. Ma lo studio e l’analisi della ceramica, in quanto cultura materiale, permette altre interessanti argomentazioni su ciò che concerne i centri produttivi, i commerci, gli aspetti sociali ed economici. Un primo approccio allo studio della ceramica3 è dato da quella nota catalogazione dei frammenti rinvenuti durante un’indagine stratigrafica e da cui scaturiscono dati quantitativi e seriazioni tipo-morfologiche, nonché la lettura della tipologia del manufatto in rapporto alla sua interpretazione e funzione (Fig. 1). Quest’ultima è strettamente connessa al tipo di impasto, che viene studiato, ormai, attraverso analisi petrografiche e chimiche4. Lo studio della ceramica non deve essere fine a se stesso, ma il singolo frammento va letto nella sua contestualizzazione stratigrafica, interpretato nella sua funzione e destinazione finale a seconda del sito di rinvenimento/appartenenza5. Riguardo a quest’ultimo aspetto, infatti, noti sono i casi di recupero di manufatti che, pur appartenendo a una uguale tipologia, perché trovati in contesti diversi (necropoli, edifici di culto, insediamenti abitativi) possono assumere una valenza e un significato diversificato.
Fig. 1: Schema riassuntivo dello studio ceramico (Cuomo di Caprio 2007)
La Calabria è una regione che, per la sua stessa storia, è ricca di testimonianze ceramiche, come possono testimoniare anche i tanti musei archeologici presenti nel territorio. Scendendo in una scala di maggiore dettaglio, la provincia di Cosenza, che per estensione è la più grande territorialmente, conserva importanti e interessanti tracce archeologiche, tra cui molti siti ancora oggi visibili (forse poco fruibili!) e numerosi manufatti ceramici conservati nel Museo di Sibari, di Amendolara, di Tortora, di Cosenza, di Castrovillari. Merito della Cattedra di Archeologia cristiana e medievale dell’Università della Calabria, è stato quello di indagare, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, nell’arco di un ventennio, numerosi siti archeologici con campagne di scavo a cadenza annuale e, che vedeva coinvolti i tanti studenti iscritti a Beni Culturali. La necessità di questa premessa è data dal fatto che molti dei manufatti presentati in questo contributo costituiscono i
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recuperi ceramici dei siti indagati dal prof. Giuseppe Roma e dalla sua équipe. Per una migliore e più attenta analisi dei manufatti ceramici del territorio cosentino si è deciso di esaminare i recuperi in modo diacronico -dalle testimonianze tardoantiche a quelle postmedievali- e il manufatto verrà letto, come sottolineato nella premessa, in connessione al contesto di rinvenimento. Del resto, la lettura di un insediamento non può prescindere dall’analisi dei dati materiali e solo intrecciando i dati di scavo con quelli dei recuperi mobili si può avere una disamina quanto più approfondita e completa possibile.
Fig. 2: Copia-Thurii (Papparella 2011)
Fig. 3: Copia-Thurii (Papparella 2011)
Fig. 4: Copia-Thurii (Papparella 2011)
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Ceramica tardoantica e altomedievale Tra i più interessanti recuperi ascrivibili ad età tardoantica si segnala un piccolo disco circolare, in ceramica acroma, su cui è inciso un chrismon (Fig. 2). Il manufatto, interpretato come tappo d’anfora, è stato rinvenuto insieme a una moneta di Costantino a Copia-Thurii (odierna Sibari) e viene datato al IV secolo. Il reperto assume particolare importanza per l’elemento esornativo, ovvero il monogramma costantiniano che, come noto, è costituito dalle prime due lettere del nome Cristo (X P). Un tale attributo, se letto con significato cristiano, porterebbe ad argomentare sulla presenza e/o la testimonianza del cristianesimo a Copia, considerata anche l’attestazione della sede episcopale6. Sempre a Copia, dalla revisione dei materiali editi negli anni Settanta7 si è notata la presenza di numerosi manufatti ceramici: forme aperte relative a piatti e scodelle e, poi, lucerne, alcune di importazione africana e quindi appartenenti alla classe della Terra Sigillata Africana del tipo D8. Molteplici sono i motivi decorativi stampigliati, dalla palmetta alternata a cerchi o quadrati reticolati, ai cerchi concentrici, al nodo di Salomone, alla croce latina, a elementi zoomorfi, motivi che si trovano attestati in quasi tutta l’area, specie costiera, dei Bruttii. Le lucerne presenti sono sia in sigillata africana che di imitazione, e i temi iconografici attestati ci portano a argomentazioni sulla tematica religiosa e sui relativi confronti in ambito calabrese e non solo. Fra le altre, si evidenzia una lucerna in sigillata9 decorata sul disco con una croce monogrammatica e la rho compresa fra le altre due lettere greche A e Ω; la spalla presenta piccoli triangoli alternati a quadrati; l’ansa è sottile e a punta (Fig. 3). Di estrema importanza, anche per una definizione cronologica del perdurare della vita nel sito di Copia, è una lucerna di imitazione10 africana, il cui apparato esornativo è quello di una colonna con capitello decorato, sormontato da un volatile, probabilmente una colomba (Fig. 4). Il soggetto trova un esatto parallelo di confronto con una lucerna di importazione rinvenuta a Scolacium. Il significato della colomba nell’arte paleocristiana rappresenta un “augurio di vita beata”; è per questo che Clemente Alessandrino nel suo Paedagogus (3, XI, 59,2) raccomanda l’utilizzo della colomba come immagine decorativa che si addice ad un cristiano11. Si segnala, inoltre, il recupero di un gruppo di spatheia, anfore dal profilo affusolato, prodotti anch’essi in Africa settentrionale dalla fine del IV al VII secolo. Al VI-VII secolo è ascrivibile anche una brocchetta integra in ceramica dipinta a bande rosse, rinvenuta in uno strato di crollo nel Settore Nord-Ovest di Parco del Cavallo. Sembra, dunque, che la vita di Copia finisca gradualmente nel corso del VII secolo, la cui causa è stata rapportata all’innalzamento della falda acquifera e al successivo impaludamento del terreno che hanno reso malsana e malarica la zona. L’abbandono è avvenuto
Fig. 5:, Calandrino, Castrovillari (Roma 2001)
in modo graduale e voluto e, difatti, non sono state riscontrate unità stratigrafiche che testimoniano un evento calamitoso o una fuga violenta, al contrario “sembra essere stato programmato e attuato senza urgenza”12, divenendo nei secoli successivi una vera e propria cava di tutto ciò che poteva essere utilizzato. Altro sito che ha restituito vasellame ascrivibile al IV-V secolo è quello di Paola-Stadio. Il sito è stato interpretato come vicus e viene segnalata la presenza di una fornace e di frammenti di TSA D, anfore africane e anfore Keay LII13. Queste ultime sono di produzione calabrese, più precisamente circoscrivibile all’area dello Stretto, ma studi ulteriori potrebbero confermare la produzione di tali manufatti anche in questo sito dell’Alto Tirreno Cosentino14. Sempre a Paola, in località Despar-Sant’Agata sono state rinvenute delle sepolture ad enchytrismos, realizzate con anfore di diversa tipologia e ascritte al V-VI secolo15. Quest’ultimo caso merita una adeguata riflessione, in quanto esempio di destinazione funzionale diversa a seconda dell’utilizzo che ne viene fatto, ovvero l’anfora, in questo preciso caso, dalla funzione primaria, cioè di contenitore da trasporto/ dispensa diviene in questa funzione finale manufatto atto al seppellimento di un inumato. Recuperi altomedievali sono ascritti al sito di Presinace di Nocara, di Casalini di San Sosti16, di Sassone di Morano Calabro17, di Piano della Musica di Spezzano Albanese18. Il vasellame, acromo e dipinto a bande, è rappresentato da anforacei, ceramica da mensa/dispensa e da fuoco, o come nel caso di Nocara, da un frammento di bacino tipo Calle19, che porta a riferire sulla circolazione delle merci in età altomedievale, così come la presenza di sigillata a Piano della Musica20. Altri siti che hanno restituito ceramica alto e bassomedievale, i cui dati sono in corso di studio21, ma è necessario che vengano annoverati per una più esatta lettura del territorio, sono castello di Raione di Orsomarso, Sasso dei Greci di Buonvicino, Cetraro22. Tra gli altri rinvenimenti che possono essere ascritti ad età altomedievale, più precisamente al VI-VII secolo, si annoverano diversi manufatti pertinenti a corredi funerari, quindi deposti all’interno e/o all’esterno di sepolture.
Fig. 6: Celimarro, Castrovillari (Papparella 2009)
Fig. 7: S. Pietro, Frascineto (De Presbiteris, Lanza, Papparella, Santandrea 2005) Fig. 8: Torre Toscana, Belsito (Roma 2001)
Fig. 9: Torre Broccolo, Paterno (Roma 2001)
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Fig. 11: Pauciuri, Malvito (Crogiez, Raimondo 2011)
Fig. 10: San Brancato, Tortora (Mollo 2002)
Fig. 12: Cozzo dell’Albanese, Rossano (Taliano Grasso 2000)
Fig. 13: Cariati, Ragone (Taliano Grasso 2000)
Fig. 14: Carolei, Madonna della Stella (Papparella 2009)
Fig. 15: Fagnano Castello (Coscarella 1996)
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Le necropoli meglio note, in quanto scavate stratigraficamente23, sono quelle di Calandrino (Fig. 5) e Celimarro (Fig. 6) nell’area di Castrovillari, S. Pietro di Frascineto (Fig. 7), Torre Toscana (Fig. 8) nel comune di Belsito, Torre Broccolo (Fig. 9) di Paterno, San Brancato di Tortora (Fig. 10), Pauciuri di Malvito (Fig. 11). Quest’ultimo sito presenta anche una precedente fase abitativa (villa), ascritta ad età tardoantica, che ha restituito numerose sigillate africane D e orientali24. I corredi sono relativi a brocchette, anforette, piccoli boccali, sia in ceramica acroma che dipinta a bande rosse. Le anforette/brocchette, morfologicamente, sono caratterizzate da una altezza di circa 14-15 cm, ventre globulare, fondo piano. A questi si possono associare altri manufatti provenienti da sepolture, ma poiché lo scavo non è stato oggetto di indagine metodologica, è difficile poter asserire con sicurezza se trattasi di elemento del corredo rituale25 o parte del refrigerium. Aspetti, questi, su cui ritornerò in seguito. Si citano, a titolo esemplificativo, le brocchette di Cozzo dell’Albanese di Rossano26 (Fig. 12), quella di località Ragone di Cariati27 (Fig. 13), di Madonna della Stella di Carolei (Fig. 14), l’anforetta di Fagnano Castello, caratterizzata da una fascia incisa sulla spalla (Fig. 15) e, infine, forse anche queste parte di corredi funerari, le brocchette di Torre del Mordillo (Spezzano Albanese), caratterizzate da decorazioni con motivi incisi e bande brune28.
La lettura di tali manufatti in riferimento alla destinazione funzionale29 porta a argomentare sulla nota pratica altomedievale di deporre manufatti ceramici e vitrei all’interno della sepoltura, e più precisamente, con una maggiore attestazione nei casi esaminati, vicino al capo dell’inumato. È interessante rilevare come manufatti, quali la brocchetta o l’anforetta, possano essere considerati quegli oggetti che ogni individuo sceglie durante il proprio battesimo, che porta con sé durante tutta la vita e, infine, nella tomba. A supporto di tale tesi sostenuta da P. Peduto agli inizi degli anni Ottanta30, è il noto passo di Antonino, monaco piacentino, che nel suo viaggio in Terrasanta (567-570) osserva come «Completo baptismo omnes descendunt in fluvio pro benedictione induti sindones et multas com alias species quas sibi ad sepolturam servant»31. Diversi sono gli studiosi che ritengono alcuni manufatti deposti all’interno della sepoltura come contenitori di acqua benedetta o incenso e, sulla non univoca attribuzione ‘rituale’ della deposizione di brocchette e anforette è esemplificativa l’argomentazione del Février: «[…] Souvenir du repas? Ou objets destinés à contenir de l’eau bénite ou de l’encense? Ils traduisent en tout cas la nécessité d’une aide au défunt dans la tombe». A ulteriore testimonianza del nesso battesimo-sepoltura si vuole ricordare il confronto che fa S. Paolo nella Lettera ai Romani (6, 3-6) tra il battesimo e la morte di Cristo, e ancora Leone Magno, nella Epistola 16,3 riportando i motivi per cui si deve battezzare solo durante la festività della Pasqua e della Pentecoste, rapporta il rito dell’immersione battesimale ai tre giorni all’interno della sepoltura prima della resurrezione32. Da rilevare è, inoltre, che nella liturgia moderna della Chiesa occidentale il rito dell’ultima raccomandazione e commiato per il defunto, di norma previsto in chiesa, ma che può avvenire anche presso il luogo di sepoltura, viene espletato dal sacerdote con l’aspersione di acqua benedetta e incenso sul feretro. La brocchetta/anforetta, quindi la bottiglia, potrebbero essere considerati quei contenitori di acqua benedetta che divengono ricordo materiale e tangibile del battesimo, e forse funzionali all’aspersione dell’acqua sul corpo del defunto nel momento del seppellimento. Difatti, a supporto di quanto detto si ricorda il Trattato contra Greci del monaco agostiniano Antonino Castronovo che tra i riti funerari dei Greci, ovvero dei Bizantini, annovera proprio la consuetudine di gettare acqua e vino sul corpo dei morti33. A ulteriore conferma che alcuni degli oggetti deposti fossero già stati scelti in vita è il recupero all’interno delle sepolture di manufatti ceramici che denotano, a volte, una non buona qualità, integrità e consistenti tracce di uso. Anche nei contesti funerari della Calabria, per esempio, sono noti casi di brocchette o anforette, in ceramica acroma o dipinta a bande rosse, che presentano una parte di orlo mancante, e per questo rapportati al rito del battesimo o, secondo una recente osservazione, a quello del matrimonio34. A tutt’oggi, inoltre, a testimonianza di come gli oggetti deposti possano assumere valenze e significati molteplici e diversi valga quale esempio la spiegazione sulla presenza del vasellame ceramico, metallico, vitreo all’interno o all’esterno della sepoltura: tale presenza può essere messa in relazione con «la sopravvivenza di conviti rituali, al momento della deposizione, o con il bisogno di attribuire al defunto delle necessità materiali, anche dopo la morte35 Ed, ancora, nella lettura della cultura materiale relativa all’archeologia funeraria bisogna dare rilievo a quei recuperi, spesso frammentari, pertinenti a manufatti ceramici, vitrei e resti di pasto situati all’esterno della sepoltura36. Tale evidenza è da mettere in relazione con il rito del refrigerium, un rito di cui ci parlano i Padri della Chiesa e di cui sono note le diverse testimonianze iconografiche. Ceramica bassomedievale Nell’ampio panorama delle attestazioni ceramiche di età bassomedievale si segnalano quei manufatti caratterizzati da un rivestimento vetroso mo nocromo o policromo37. Numerose sono le testimonianze documentate nel territorio oggetto di indagine. Esempi di forme aperte in protomaiolica e in invetriata policroma giungono dal sito di San Sosti38. Tra i manufatti rinvenuti nello scavo del Castello della Rocca, oltre ad alcune olle39 e anforacei a bande rosse, si segnalano alcuni recuperi da ricognizione (Fig. 16), quali prodotti in spiral ware, tre ciotole invetriate, di cui una decorata con motivo a chevron in verde, una policroma con decorazione in rosso e bruno, un fondo di piede ad anel-
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lo con motivo decorativo a grid-iron in bruno; una lucerna in invetriata verde; una scodella in protomaiolica, la cui decorazione sulla tesa è caratterizzata da motivi fitomorfi in bruno e verde campiti fra due linee parallele in bruno. Alla stessa classe ceramica appartengono altri recuperi provenienti dai Casalini40 (Fig. 17), sempre nel territorio di San Sosti. Si citano a titolo esemplificativo frammenti pertinenti a una scodella del tipo brindisino, con la tesa decorata da due circonferenze in manganese che delimitano una serie di petali in azzurro, più o meno arrotondati all’estremità superiore e inclinati verso sinistra, che richiama esempi di altre zone calabresi41; scodelle in invetriata verde, una ciotola in invetriata policroma (verde, rosso), e un frammento di parete in invetriata verde con un decoro pseudo-epigrafico in bruno42, che trova puntuale confronto con un esemplare proveniente da Calathamet, in Fig. 16: San Sosti, Castello della Rocca (Marino, Papparella 2008) Sicilia. Questo tipo di decorazione, realizzata da una successione di S inscritta fra linee verticali, viene letta come <<la simplification de formules épigraphiques arabes à caracter prophylactique comme al-yumnu qui signifie bonheur, al baraka pour benediction>>43. Oltre all’importanza e all’interesse che può suscitare un tale tipo di grafema sia per l’origine44 che per il relativo significato di buon augurio, di felicità, pone validi elementi di discussione sui mercati esistenti e la circolazione delle merci. Altro sito a cui si può attribuire notevole importanza sia per lo studio della dinamica insediativa che per la presenza di un variegato gruppo di ceramiche è quello di Murgie di Santa Caterina di Rocca Imperiale45, sito posto nell’Alto Jonio Cosentino, ai confini con la Basilicata. La pluriennale attività di scavo ha consentito il recupero di una gran quantità di vasellame ceramico che si distingue per la varietà e, in alcuni, casi per l’unicità morfologica. Trattasi di manufatti da mensa, dispensa, da fuoco, da illuminazione, sia in ceramica acroma che dipinta a bande rosse, nonché ciotole e scodelle in invetriata policroma e protomaiolica, variamente decorate. Un recupero alquanto particolare è relativo a un vaso di forma troncoconica con fori sulle pareti (Fig. 18), il cui utilizzo è stato rapportato alla coltivazione di sostanze vegetali o per le talee46. Nel butto di XIII secolo, così come in altri strati di frequentazione, sono stati rinvenuti alcuni frammenti pertinenti a forme aperte e ascrivibili alla classe dell’invetriata dipinta e della protomaiolica. La esatta distinzione è stata possibile anche grazie ad analisi archeometriche effettuate sui campioni. Lo studio di questi materiali47 ha evidenziato l’attestazione di bacini, ciotole e scodelle Fig. 17: San Sosti, Casalini (Marino, Papparella 2008) con piede ad anello e un apparato esornativo caratterizzato da soggetti zoomorfi con elementi
Fig. 18: Rocca Imperiale, Murgie di Santa Caterina (Coscarella, Roma 2012)
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Fig. 19: Rocca Imperiale, Murgie di Santa Caterina (De Presbiteris 2011)
Fig. 19a: Rocca Imperiale, Murgie di Santa Caterina (De Presbiteris 2011)
geometrici e lineari nelle “zone periferiche”. Tra i soggetti meglio noti si evidenzia quello del pesce e dell’uccello (Fig. 19, Fig. 19a, Fig. 19b). Elementi ornitomorfi e schemi geometrici caratterizzano anche la ceramica invetriata di Nocara, località Presinace48. Di particolare interesse si sono rilevati i risultati di scavo di un altro sito gravitante nell’hinterland cosentino, ovvero Scribla di Spezzano Albanese49. Qui sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici relativi a forme chiuse e aperte in ceramica acroma, invetriata monocroma e policroma. Quest’ultima è caratterizzata da motivi araldici, geometrici -più o meno complessi-, e da uno schema noto come “tipo Taranto”: due arabesque divisi da una linea verticale e iscritti in un cerchio in bruno. Tra gli altri siti del cosentino che hanno restituito materiale ceramico bassomedievale vanno ricordati Francavilla Marittima,
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Fig. 19b: Rocca Imperiale, Murgie di Santa Caterina (De Presbiteris 2011)
Fig. 20: Amantea, Convento di S. Bernardino da Siena (foto A. Cipparrone)
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Amendolara50, Pauciuri di Malvito51, Castrovillari, località Madonna del Castello, CopiaThurii, San Giovanni in Fiore, Castellaccio di Cerisano Ricognizioni di superficie nella zona della Madonna del Castello di Castrovillari hanno evidenziato la presenza di materiale ceramico di diversa cronologia, fra cui frammenti di epoca medievale come ciotole e scodelle in invetriata dipinta dal diverso apparato iconografico52. Per ciò che riguarda il sito di Copia non possono non essere presi in considerazione anche, se nell’esiguità numerica, quei frammenti di ceramica invetriata policroma, tra cui due scodelle con piede ad anello e decorazione del cavetto in bruno, di cui una decorata con il motivo “tipo Taranto”53. L’importanza della segnalazione scaturisce dalla considerazione che tale presenza va inevitabilmente ritenuta indizio, seppur sporadico, di una frequentazione nel corso del Basso Medioevo dell’antico municipium di Copia. A Jure Vetere, dove è situata la prima fondazione monastica di Gioacchino da Fiore, sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici, sia acromi che rivestiti. Si segnalano invetriate monocrome, policrome54. Al XIV secolo viene datato un bacino (frammento di tesa con porzione di parete) in ceramica graffita proveniente dal sito di Castellaccio di Cerisano55. Alla prima metà del XV secolo possiamo ascrivere i bacini ceramici della chiesa di S. Bernardino dell’ordine dei Frati Minori Osservanti di Amantea. Il vasellame, secondo un uso noto anche in altre parti d’Italia56, era murato nella facciata dell’edificio di culto e formava, seguendo una disposizione simmetrica57, una croce di tipo latino. I nove bacini possono essere attribuiti alla produzione valenzana degli ateliers di Manises58 e presentano un ricco apparato iconografico. I manufatti sono caratterizzati da un diametro che varia dai 20 ai 36 cm, un’ampia tesa, piede ad anello o apodo, il cui soggetto principale è realizzato in blu, mentre i restanti spazi sono decorati con motivi geometrici e fitomorfi realizzati con la tecnica decorativa del lustro. I soggetti principali rappresentati sono zoomorfi (una lepre, un cinghiale, un uccello) in quattro bacini; motivi araldici caratterizzano due esemplari; motivi geometrici altri
Fig. 20a: Amantea, Convento di S. Bernardino da Siena (foto A. Cipparrone)
Fig. 20b: Amantea, Convento di S. Bernardino da Siena (foto A. Cipparrone)
due (Fig. 20, Fig. 20a, Fig. 20b). Riguardo alla presenza in Calabria della ceramica spagnola e all’utilizzo in architettura, Francesco Cuteri59 propone alcune interessanti discussioni. Lega tale attestazione alla presenza di alcune famiglie che, in età aragonese, hanno ricoperto ruoli importanti “nell’amministrazione del potere”. L’utilizzo, invece, in architettura ecclesiastica, viene spiegato in rapporto alla presenza in Calabria di Antonio da Valenza, un ministro provinciale dell’ordine dei Frati Minori Osservanti di provenienza spagnola. Altra argomentazione riferita dall’Autore è quella relativa all’aspetto iconologico: i bacini così realizzati (lucentezza e capacità di riflettere il sole) e la disposizione a forma di croce potrebbero riferirsi alla figura di S. Bernardino da Siena, e a quella <<piastra, recante incise le lettere IHS circondate da raggi, che era solito mostrare dal pulpito alla fine dei suoi accorati discorsi>>60.
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Fig. 21: San Sosti, Chiesa del Carmine (Marino, Papparella 2008)
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Ceramica postmedievale A una gran quantità di recuperi ceramici si contrappone uno stato degli studi ancora, per molti versi, carente. Si pensi che l’interesse archeologico per questo periodo viene decretato solo nel 1994 con un Convegno a Sassari, e successivamente, con l’uscita periodica della rivista Archeologia postmedievale61 curata da Marco Milanese. Tra i siti meglio noti della provincia di Cosenza si annovera quello della chiesa del Carmine di San Sosti, indagata archeologicamente nel 2004. Lo scavo62, effettuato nell’area presbiteriale dell’edificio, ha messo in evidenza un palinsesto stratigrafico complesso con fasi di frequentazione dall’età protostorica63 al postmedioevo. Ricco è risultato il repertorio morfologico della suppellettile domestica rappresentata sia da manufatti da cucina come tegami, casseruole, pentole, coperchi, testelli, sia da recipienti destinati alla mensa, alla dispensa e alla preparazione dei cibi, quali ciotole, piatti, boccali, anforette, catini, ed ancora, dagli indispensabili oggetti per l’illuminazione o per l’uso igienico. Si vuole, inoltre, evidenziare le molteplici varianti che caratterizzano ogni singolo tipo e cosa interessante è come le morfologie qui attestate trovino solo dei caratteri di similitudine e non dei confronti puntuali con i tipi editi. Nell’ampio panorama morfologico si segnala tra il materiale da mensa atto a contenere e a versare vino o acqua il boccale in maiolica (Fig. 21), manufatto che oltre alla propria funzione intrinseca dona alla “tavola” un tocco di colore e di sfarzo, come ci testimoniano i numerosi dipinti dell’epoca. I boccali rinvenuti nella chiesa del Carmine sono caratterizzati dalla tipica decorazione a “scaletta”, altrimenti definita come ovale con raggiera, e noti sono gli esempi di elementi araldici, antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi rappresentati all’interno del medaglione. Alcuni di questi, per i confronti puntuali che si possono rintracciare, possono essere ascritti alla regione
Fig. 22: San Sosti, Chiesa del Carmine (Marino, Papparella 2008)
Fig. 23: San Sosti, Chiesa del Carmine (Marino, Papparella 2008)
laziale64 e alla metà/fine del XVI secolo. Alla metà del XVI - primi del XVII secolo è da collocare l’unico esemplare in stile “compendiario” rinvenuto nel sito. Tale stile sembra connotare quel servito da mensa di maggior pregio, di lusso e di rappresentanza, utilizzato da un ceto medio-alto, tale da costituire, nella maggioranza dei casi, una esigua percentuale65. La definizione di stile compendiario si deve al Ballardini nel 1938 e va a definire quel tipo decorativo cinquecentesco, di origine faentina, che nacque in “contrapposizione all’eccessivo cromatismo e all’accademismo scolastico”, con l’introduzione di una vera e propria rivoluzione sia tecnica che decorativa: smalto bianco, coprente e lucido, da cui il termine “bianchi”66, schema decorativo semplice ma nello stesso tempo ricercato, uso essenziale dei colori, quali il giallo, l’arancio, il blu67. Il nostro esemplare (Fig. 22), un catino, presenta una tesa con orlo rivoltato verso l’esterno, il corpo dal profilo troncoconico e un diametro di 19,2 centimetri; lo smalto, bianco e lucido, è caratterizzato da un aspetto craquelè. Il decoro, posto nella parete interna appena sotto l’orlo, è costituito dal classico schema esornativo del frutto circolare in giallo e arancio tra foglie in blu e girali in arancio, motivo68 che rientra nel tipo 1b della classificazione del Troiano per i reperti abruzzesi, così come è evidente il richiamo ad ornati della Crypta Balbi. Il tipo, inoltre, sembra avere caratteri di stringente similitudine, sia a livello morfologico che decorativo, con un catino in “compendiario” di produzione castellana, rinvenuta nella Rocca Roveresca di Senigallia. A tal punto, viene da chiedersi se il nostro manufatto possa o meno considerarsi di importazione: allo stato attuale, unico importante dato a nostra disposizione è la certezza di una diversità mineralogica e geochimica del campione, differenza che, accostata al confronto puntuale prima citato, porta a definire il catino come prodotto di importazione69. Tra il materiale da cucina si segnalano i tegami e le casseruole (Fig. 23), caratterizzati da un’ampia apertura, fondo apodo, generalmente provvisti di anse <<a maniglia orizzontale>>70, dall’ansa a cannone rastremata nella parte finale, pareti più o meno basse. Di dimensioni differenti, venivano utilizzati per le fritture in olio o grassi animali e per la cottura di cibi solidi o semisolidi 71. Tali tipi
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di casseruole trovano confronto con esemplari datati al XVIII secolo e provenienti dallo scavo del castello di Amantea72. Al XVI-XVII secolo (periodo III,2) sono ascrivibili i manufatti in ingobbiata a risparmio e invetriata in giallo e verde, dipinte in verde, in verde e giallo e graffite rinvenuti a Jure Vetere di San Giovanni in Fiore73. Altro sito da correlare all’abate Gioacchino è quello di Celico, dove indagini archeologiche nella chiesa di Santa Maria Assunta hanno portato alla luce alcuni frammenti ceramici relativi a due ciotole smaltate policrome realizzate con la tecnica a spugnetta e ascritte al XVIII-XIX secolo74. Amantea, come già sottolineato per la presenza della ceramica bassomedievale, si conferma un centro importante per la presenza di materiale di importazione, come attestato dal vasellame recuperato in uno scavo non stratigrafico all’interno del convento di San Bernardino. Trattasi di maioliche in stile tardo compendiario, quali brocche e coppe con raffigurazioni profane e religiose (Madonna, frate, IHS), il cui centro produttivo sembra essere circoscritto all’Italia centrale e a una cronologia di XVII secolo75. Qui, come a San Sosti, in cui sono state rintracciate e evidenFig. 24: Amantea, Chiesa di San Bernardino da Siena (foto A. Cipparrone) ziate una gran quantità di similitudini, sono stati rinvenuti76 boccali con decorazione a scaletta in arancio e linee in azzurro ai lati, piatti in smaltata con decorazione monocroma in giallo o azzurro di area salernitana (XVIII secolo). Tra le produzioni locali si citano i tanti tegami e casseruole (Fig. 24) atte alla cottura degli alimenti, i cui confronti più prossimi, come già evidenziato, sono stati individuati nei recuperi della chiesa del Carmine di San Sosti. Altro sito del Tirreno Cosentino77, che grazie alle indagine stratigrafiche è oggi noto alle edizioni scientifiche, è quello di Cleto. Lo scavo del castello di Petramala78 ha messo in evidenza una stratigrafia caratterizzata da diverse fasi di frequentazione. Al XVI-XVII secolo sono da collocare delle maioliche policrome di pregio, di produzione centro-italica con soggetti umani, fra cui una donna con cuffia e S. Giorgio nell’atto di trafiggere il drago. Nella parte più alta del castello è stato individuato il butto contenente numerosi frammenti ceramici e ossi. Il vasellame è costituito da manufatti in ceramica da fuoco, quali olle invetriate e tegami acromi, da ceramica da mensa, come piatti di produzione salernitana e smaltate bianche, ascritte al XVIII-XIX secolo. Infine, si vuole citare il caso della città di Cosenza, i cui numerosi interventi archeologici79 nel centro storico cittadino, associati alla lettura delle fonti scritte, hanno fatto luce sull’importante ruolo che Consentia (la più grande città dei Bruttii, come ricordano alcune fonti) ha avuto nel corso dei secoli: da capitale dei Brettii, a statio della via Annia Popilia, a sede vescovile paleocristiana, a centro di potere in età sveva: <<Splendida di sole e festante di popolo dovette apparire a Federico imperatore, Cosenza, la vecchia capitale Bruzia, in quel lontano 30 gennaio 1222>>80. Non bisogna tralasciare, tuttavia, la consistente presenza di suppellettile ceramica e vitrea81 postmedievale rinvenuta nel castello82, che fu adibito nel corso dei secoli a prigione, seminario arcivescovile, caserma militare e carcere.
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Fig. 25: Carta di distribuzione diacronica dei recuperi ceramici (elaborazione grafica: V. Lopresti)
Lo stato degli studi qui presentato offre un ampio panorama delle attestazioni, che permettono una lettura del territorio e delle morfologie nelle diverse evoluzioni e trasformazioni, una lettura che porta ad argomentare su quelli che sono stati gli scambi commerciali con l’Africana settentrionale in età tardoantica e altomedievale, con la Puglia e zone limitrofe in età bassomedievale, con l’Italia centro-meridionale (Lazio, Marche, Abruzzo, Campania) in età moderna. Il quadro che ne deriva è di una regione ricca di scambi e, nello stesso tempo, ricca di specifiche peculiarità. Alla luce di quanto finora esposto, appare evidente la gran quantità dei rinvenimenti ceramici (Fig. 25)83, e la rilevanza che possono assumere tali recuperi in una lettura diacronica del territorio e delle trasformazioni morfologiche, che questi manufatti subiscono nel corso dei secoli. Un discorso a parte meriterebbe -vista l’importanza e l’interesse suscitato da questa prima carta di distribuzione, che ha già messo in evidenza i tanti prodotti di importazione e di matrice locale-, lo studio e l’analisi dei mercati esistenti e dei relativi commerci, così da inquadrare territorialmente affinità e analogie, ma nel contempo, differenze fra i diversi materiali recuperati. Si è consapevoli che l’analisi del vasellame qui preso in considerazione è solo parte di ciò che è venuto alla luce nei tanti siti oggetto di indagine stratigrafica e ci si augura, per una migliore e analitica lettura dei contesti archeologici, l’edizione integrale e complessiva degli scavi inediti.
1 Accame S., Scritti minori, vol. III, 1990, p. 1390. 2 Cfr. per il commento sulla concezione di Moses I. Finley: Gelichi S., Introduzione all’archeologia medievale, Roma 1997, p. 207; Pucci G., Scavo archeologico, analisi e pubblicazione, in “Quaderni di Archeologia del Veneto”, VII, 1991, pp. 243-244. 3 Per una prima e introduttiva lettura sullo studio della ceramica si vedano: Cuomo di Caprio N., Ceramica in archeologia, 2, Roma 2007; Dizionario di archeologia, a cura di Francovich R., Manacorda D., s.v. Ceramica, Roma 2000, pp. 53-65; per un approccio corretto alla nomenclatura della classe ceramica medievale si veda Milanese M., Le classi ceramiche nell’archeologia medievale, tra terminologia, archeometria e tecnologia, in Le classi ceramiche. Situazione
7 Notizie degli Scavi di Antichità (1970; 1972; 1973). I materiali qui esposti sono stati segnalati dalla scrivente anche in occasione dell’allestimento della Sala Romana del Museo Archeologico di Sibari. 8 Si segnala anche un recupero funerario di un piatto in TSA D da Figline Vegliaturo: Papparella F.C., Calabria e Basilicata: l’archeologia funeraria dal IV al VII secolo, Collana del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Ricerche, II, Università della Calabria, 2009, p. 153. 9 Papparella F.C., Temi di iconografia ebraica, pp. 37, 40, fig. 13. 10 Ivi, pp. 44-45, fig. 18. 11 Sui diversi significati che può assumere la rappresentazione della colomba si rimanda a Pap-
degli studi. Atti della 10° Giornata di Archeometria della Ceramica (Roma, 5-7 aprile 2006), Bari 2009, pp. 47-55. 4 Per ques’ultimo interessante aspetto si rimanda all’appendice che correda il contributo. 5 A titolo esemplificativo si veda quanto da me scritto in relazione ad alcuni manufatti con motivi decorativi a cui si attribuisce una diversa chiave di lettura a seconda del contesto di rinvenimento: Papparella F.C., Temi di iconografia ebraica e cristiana nella ceramica tardoantica del territorio dei Bruttii, Collana del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Ricerche-Supplementi, 2, Università della Calabria, 2011, pp . 23-24. 6 Papparella F.C., Temi di iconografia, cit., pp. 40, 77-78.
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parella F.C. 2011, Temi di iconografia ebraica, cit., p. 46 e bibliografia di riferimento. 12 Guzzo P.G., Tracce archeologiche dal IV al VII sec. d. C. nell’attuale provincia di Cosenza, in “MEFRM”, 91-1 (1979), p. 23. 13 Sangineto B.A., Roma nei Bruttii. Città e campagne nelle Calabrie romane, Rossano 2012, pp. 73-74, fig. 53. 14 Ibidem; Sangineto B.A., Un decennio di ricerche archeologiche nel territorio di Paola (CS). Le Calabrie romane fra il II a.C. e VI d.C., in Prima e dopo San Francesco di Paola. Continuità e discontinuità, a cura di Clausi B., Piatti P., Sangineto A.B., Caraffa di Catanzaro, 2012, p. 49. 15 Ivi, p. 58. 16 Roma G. (a cura di), I longobardi del Sud, Roma 2010, pp. 425-428. 17 Ivi, pp. 428-433. 18 Ivi, p. 412. 19 Ivi, p. 438. 20 Coscarella A., Insediamenti bizantini. Il caso di Rossano, Cosenza 1996, p. 66. 21 Ex inf. Domenico De Presbiteris che ringrazio per la disponibilità. 22 Si segnala il recupero subacqueo di un’anfora Keay LII (http://www.museodeibrettiiedelmare. it/it/museo-2/sezione-archeologica/il-mare/) e un’anfora medievale (Mollo F, Aversa G., Il Museo dei Brettii e del Mare, Guida all’esposizione di Palazzo del Trono, Cava dei Tirreni 2013, p. 68); ceramica invetriata e smaltata di XVI-XVII secolo (Mollo F, Aversa G., Il Museo dei Brettii e del Mare, Guida all’esposizione di Palazzo del Trono, Cava dei Tirreni 2013, p. 58). 23 Roma G., Necropoli e insediamenti fortificati nella Calabria settentrionale. I. Le necropoli, Bari 2001. 24 S. Crogiez, C. Raimondo, Produzione e commerci di manufatti ceramici in Calabria tra V e VII secolo: il contributo dello scavo di Malvito (CS), località Pauciuri, in Archeologia e ceramica, a cura di A. La Marca, Atti del Convegno (Bisignano, 25-26 giugno 2005), Rossano 2011, pp. 149-166. 25 Per l’uso e il significato della locuzione “corredo di tipo rituale e corredo di tipo personale” si rimanda a Papparella F.C., Calabria e Basilicata, cit., pp. 25-28. 26 Taliano Grasso A., La Sila greca. Atlante dei siti archeologici, Gioiosa Jonica 2000, p. 97, scheda 109. 27 Ivi, pp. 45-46, scheda n. 49, fig. 49.5. In località Santa Maria vengono segnalati recuperi di manufatti in TSA D, e frammenti di brocchette a bande rosse: Coscarella A., Insediamenti bizantini, cit., p. 59. 28 Coscarella A., Insediamenti bizantini, cit., p. 67, tav. 6. 29 Un esempio di destinazione funzionale diversa a seconda dell’utilizzo che ne viene fatto è rappresentato, ad esempio, dalle anfore da considerare contenitori da trasporto/dispensa oppure manufatto atto al seppellimento di un inumato. Questa particolare tipologia tombale prende il nome di sepoltura ad enchytrismos. 30 Peduto P. Villaggi fluviali nella Pianura Pestana del secolo VII. La chiesa e la necropoli di San Lorenzo di Altavilla Silentina, Altavilla Silentina 1984, pp. 5960; Roma G., Necropoli, cit., p. 187, nota 8; Février
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P.A., La mort chretienne, in Segni e riti nella chiesa altomedievale occidentale. XXXIII Settimana del Centro Italiano di Studi sull’Altomedioevo (Spoleto 1985), Spoleto, II, 1987, p. 917; Papparella F.C., Calabria e Basilicata, cit., pp. 26-29 per i riferimenti bibliografici. 31 Peduto P., Villaggi fluviali, cit., pp. 59-60. 32 cfr. Deichmann F.W., Archeologia cristiana, Roma 1993, p. 96. 33 Per tutta la problematica si rinvia a Papparella F.C. 2010, Acqua e contenitori: simbologia e significato nella cristianità, in Qui fresca l’acqua mormora… (Sapph. Fr. 2,5). Un confronto interdisciplinare (Messina, 29-30 marzo 2011), Roma, pp. 235-243; Papparella F.C. 2011, I manufatti vitrei nei contesti funerari della Calabria tardoantica e regioni limitrofe: testimonianze materiali e ritualità, in Il vetro in Italia: testimonianze, produzioni, commerci in età basso medievale. Il vetro in Calabria: vecchie scoperte, nuove acquisizioni. XV Giornate Nazionali di Studio sul vetro AIHV (Università della CalabriaAula Magna, 9-11 giugno 2011), Università della Calabria, pp. 341-352. 34 Cuteri F.A, Rotundo B., Il territorio di Kaulonia fra tardoantico e medioevo. Insediamenti, risorse, paesaggi, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 11.12, 2001, p. 124. 35 Giuntella A.M. 1998, Note su alcuni aspetti della ritualità funeraria nell’alto medioevo. Consuetudini e innovazioni, in Brogiolo G.P., Cantino Wataghin G. (a cura di) Sepolture tra IV e VIII secolo. Atti del 7° Seminario sul tardo antico e l’alto medioevo in Italia centro settentrionale (Gardone Riviera, 24-26 ottobre 1996), Mantova 1998, pp. 61-62, 67. 36 Noti sono anche gli esempi di manufatti ceramici intenzionalmente frammentati e deposti all’interno delle sepolture, a testimonianza dell’avvenuta agape rituale (Giuntella A.M. 2000, Introduzione, in A.M. Giuntella (ed.), Cornus I,2. L’area cimiteriale orientale. I materiali, Oristano pp. 13-14). 37 Queste ultime sono conosciute con il nome RMR così definite da David Whitehouse, per indicare i tre diversi colori (ramina, manganese, rosso). 38 Si rimanda per la bibliografia di riferimento e i dati di scavo a Marino D., Papparella F.C., Ricerche archeologiche nel Pollino sud-occidentale. Prime considerazioni sulle campagne di scavo 2004 nella Chiesa del Carmine e nel Castello della Rocca di San Sosti, in “Fastionline Documents&Research”, 130, 2008, pp. 1-15. 39 Manufatti in ceramica acroma, il cui impasto refrattario consente di essere utilizzati per la cottura degli alimenti. 40 Il sito, oggetto di indagine archeologica, presenta più fasi di frequentazione, da quella protostorica a quella medievale. Per i dati di scavo si rimanda a Roma G., a cura di, I Longobardi del Sud, Roma 2010, pp. 425-430. 41 Per la bibliografia di confronto si rimanda a Marino D., Papparella F.C., Ricerche archeologiche nel Pollino sud-occidentale, cit., p. 15. 42 Ibidem, tav. VIII, 2. 43 Lesnes E., Poisson J-M, Calathamet. Archéologie et histoire d’un château normand en Sicile, Roma 2013, pp. 180-181, fig. 150, tav. 15, n. 109. 44 Dei confronti sono stati rilevati in siti della Tunisia e dell’Egitto: Ibidem.
45 Coscarella A., Roma G., Rocca Imperiale (CS): tipologie di ceramiche d’uso comune da un sito medievale della Calabria, a cura di Gelichi S., Atti del IX Congresso Internazionale sulla ceramica medievale nel Mediterraneo, (Venezia, 23-27 novembre 2009), Firenze 2012, pp. 482-489. 46 Ivi, p. 485. 47 Una prima pubblicazione dei reperti si deve a De Presbiteris D., La ceramica rivestita da Murgie di Santa Caterina (CS): i motivi decorativi, in Archeologia e ceramica, a cura di A. La Marca, Atti del Convegno (Bisignano, 25-26 giugno 2005), Rossano 2011, pp. 177-183. Ringrazio l’amico dott. De Presbiteris per avermi fornito le immagini. 48 Per un inquadramento del sito si rimanda a Roma G., I Longobardi, cit., pp. 434-441. 49 Flambard Héricher A.M., Scribla. La fin d’un château d’origine normande en Calabre, Roma 2010, pp. 244-294. 50 Alcuni manufatti sono conservati nel Museo Archeologico Statale “Vincenzo Laviola” di Amendolara. 51 Papparella F.C., Calabria e Basilicata, cit., p. 178 con bibliografia di riferimento. 52 De Presbiteris D., Lanza G., Papaprella F.C., Santandrea S., Siti archeologici nel territorio della comunità montana italo-arbëreshe del Pollino, Spezzano Albanese 2005, p. 25, fig. 17. 53 Vedi nota 7. La differenza con Scribla risiede nella presenza di tre linee verticali (e non una o due) fra gli arabesque. 54 Marchetta I, Rocco M, Catalogo dei materiali, in Jure Vetere. Ricerche archeologiche nella prima fondazione monastica di Gioacchino da Fiore (indagini 2001-2005), a cura di Fosenca C.D, Roubis D., Sogliani F., Soveria Mannelli 2007, pp. 165-215. 55 Roma G., I Longobardi, cit., p. 422. 56 Altro caso calabrese è quello della chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone, di cui però restano nella muratura solo i negativi, in quanto i bacini sono andati perduti. Per gli altri casi meridionali si rimanda a De Crescenzo A., I bacini ceramici dell’Italia meridionale e della Sicilia, in “Albisola”, XXVI, (1993), pp. 203-231. 57 L’Autrice osserva una disposizione a forma di croce che segue l’ampiezza dei diversi diametri dei bacini e una voluta disposizione iconografica: Ivi, p. 211. Sull’ipotesi di un uso precedente all’esposizione in facciata, data anche dalla presenza di fori per restauro in almeno tre bacini si deve a Donato E., Aspetti sulla produzione e sulla circolazione della ceramica postmedievale nell’area medio tirrenica calabrese, in “Archeologia Postmedievale”, 12 (2008), p. 125. 58 Ibidem; Cuteri F.A., Salamida P., Primi dati per una carta delle attestazioni di ceramica spagnola in Calabria tra XIV e XV secolo, in “Albisola” XLI, 2008, p. 283. 59 Ivi, pp. 283-284. Sul concetto di prodotti di lusso e di una committenza di potere, forse la famiglia dei Siscar, operante nella vicina Aiello e originaria dell’area valenzana, si veda Donato E., Aspetti sulla produzione e sulla circolazione, cit., pp. 125126. 60 Cuteri F.A., Salamida P., Primi dati per una carta, cit., p. 284. 61 Per un primo approccio alla problematica si rinvia a Milanese M., L’archeologia postmedievale e in-
dustriale, in “Il Mondo dell’Archeologia, 2002. 62 Lo scavo venne condotto sul campo dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, nella persona del dott. Domenico Marino, e dalla Cattedra di Archeologia cristiana (Prof. G. Roma), nella persona della scrivente. 63 Marino D., Papparella F.C., Ricerche archeologiche nel Pollino sud-occidentale, cit., pp. 1-3. 64 La conferma che si tratta di un prodotto di importazione ci viene anche dalle analisi archeometriche: cfr. infra appendice. 65 Ricci M., Maiolica di età rinascimentale e moderna, in Il giardino del conservatorio di S. Caterina della Rosa, a cura di Manacorda D., 3, Firenze, 1985, p. 422. Abruzzo 2002 – La ceramica postmedievale in Abruzzo. Materiali dallo scavo di Piazza Caporali a Castel Frentano (CH), a cura di D. Troiano, V. Verrocchio, Firenze, p. 195. 66 Sulle maestranze in Italia meridionale, si veda De Crescenzo A., Pastore I. 1994, Primi dati sull’evidenza archeologica della produzione post-medievale in Campania, “Albisola”, XXVII, pp. 141-142. 67 Ivi, p. 185. 68 Per i confronti di seguito citati nel testo si rinvia a Marino D., Papparella F.C., Ricerche archeologiche nel Pollino sud-occidentale, cit., p. 9. 69 Cfr. infra appendice. 70 Abruzzo 2002, cit., p. 80. 71 Per la bibliografia di riferimento Marino D., Papparella F.C., Ricerche archeologiche nel Pollino sudoccidentale, cit., pp. 3-6. 72 Vedi infra. 73 Sogliani F., I manufatti dello scavo di Jure Vetere: i reperti in ceramica, vetro e metallo di età medievale e postmedievale, cit., pp. 148-154. 74 De Presbiteris D., Chiesa di Santa Maria Assunta (Celico, Cosenza): indagini preliminari, in Il vetro in Calabria, a cura di A. Coscarella, Soveria Mannelli 2003, pp. 433-435. 75 Donato E., Aspetti sulla produzione e sulla circolazione, cit., pp. 127-128. 76 Ivi, pp. 127-134. 77 Anche Cirella ha restituito materiale postmedievale. 78 Ivi, pp. 134-138. 79 La città di Cosenza presenta un articolato e complesso palinsesto stratigrafico: dall’età ellenistica al postmedioevo, come testimoniano i reperti mobili e strutturali. Le indagini stratigrafiche ad oggi non sono ancora state pubblicate, ma per una lettura particolareggiata del tessuto urbano necessiterebbe l’edizione integrale e complessiva delle diverse aree archeologiche, così come sarebbe da rivedere l’intervento di valorizzazione e fruizione di Piazzetta Toscano. 80 Bilotto L., Il Duomo di Cosenza, Cosenza, 1989, p. 25 con bibliografia precedente. 81 De Presbiteris D. 2012, Vetri dal castello di Cosenza: vecchi recuperi per un inquadramento storico-archeologico attraverso l’archeometria, in Il vetro in Italia: testimonianze, produzioni, commerci in età basso medievale. Il vetro in Calabria: vecchie scoperte, nuove acquisizioni, a cura di Coscarella A., Atti delle XV Giornate Nazionali di Studio sul vetro AIHV (Università della CalabriaAula Magna, 9-11 giugno 2011), Università della Calabria, pp. 381-387.
82 Ceramica di diversa cronologia è stata recuperata negli scavi all’interno del Duomo. 83 Si è preferito evidenziare i comuni e non le singole località dei rinvenimenti, anche per evidenziare quelle porzioni di territorio dove maggiori sono stati gli interventi archeologici. È, altresì, evidente dalla lettura della carta prodotta che i dati utilizzati sono essenzialmente bibliografici. Ringrazio l’amico dott. Vincenzo Lopresti che, anche in quest’occasione, mi ha supportato nella elaborazione grafica di questa cartina.
81
Studio Archeometrico sui reperti ceramici postmedievali di San Sosti1* A.M. De Francesco, E. Andaloro, R. Scarpelli
L’ARCHEOMETRIA L’archeologia si occupa delle società del passato e delle relazioni che queste hanno avuto tra di loro e con l’ambiente, tramite lo studio delle tracce che hanno lasciato. Il recupero, l’analisi e l’interpretazione di questi resti materiali può contribuire a ricostruire il passato e quindi la storia di una popolazione. Negli ultimi anni, l’archeologia, si sta avvalendo sempre più dell’archeometria, cioè l’applicazione di metodi scientifici allo studio rigoroso della natura dei reperti. Sta all’archeometria ottimizzare e mettere a punto le tecniche e le metodologie di studio per affrontare problematiche specifiche legate spesso alla provenienza degli oggetti ritrovati più frequentemente negli scavi, ma anche alla tecnologia di produzione che in funzione del loro utilizzo possono dare informazioni importati sulle abitudini, sui contatti commerciali e sul grado tecnologico raggiunto dalle popolazioni studiate. Le indagini archeometriche hanno trovato forma compiuta in tempi molto recenti, le prime risalgono al primo trentennio dell’Ottocento e sono fondate su metodologie e tecniche proprie dell’indagine chimica; occorre invece attendere la prima metà del Novecento per introdurre le tecniche analitiche proprie della fisica, della mineralogia e della petrografia. Prendendo in considerazione il caso delle ceramiche postmedievali di S.Sosti, un possibile studio di provenienza e tecnologia di produzione si avvarrebbe di diverse metodologie analitiche di tipo petrografico, mineralogico e chimico.
Analisi petrografica L’analisi petrografica condotta con il microscopio ottico polarizzatore, è una tecnica utilizzata sia per lo studio delle rocce naturali, che per quello dei materiali lapidei artificiali. Tale tecnica è distruttiva, poiché si avvale di una sezione sottile ricavata da un frammento di partenza soggetto a taglio. Il microscopio a luce polarizzata consente di caratterizzare petrograficamente il campione oggetto di studio. Il riconoscimento delle fasi mineralogiche presenti e di eventuali inclusi policristallini, permette di ottenere indicazioni per quanto riguarda la possibile area di origine del manufatto considerato, oltre alle tecniche di produzione (depurazione della materia prima, temperature di cottura).
Analisi mineralogica L’analisi per diffrattrometria a raggi X (XRD) su polvere consente di caratterizzare mineralogicamente la composizione di un materiale lapideo (artificiale o naturale). Nel caso delle ceramiche la conoscenza delle fasi mineralogiche dà informazioni di tipo tecnologico relative alle temperature di cottura. La presenza di fasi di neo formazione consentono di verificare la corretta temperatura
82
di cottura. Microanalisi al microscopio elettronico Il microscopio elettronico a scansione (SEM) sfrutta il fascio di elettroni come sorgente di radiazioni, consentendo di arrivare a risoluzioni nettamente superiori (dell’ordine di 5-1 nm) rispetto ad un comune microscopio ottico. L’analisi permette di valutare le caratteristiche morfologiche proprie di un determinato materiale a diversi ingrandimenti: a basso ingrandimento ad esempio è possibile valutare la porosità, la presenza di distacchi, fratture o fessurazioni. A più alti ingrandimenti la presenza di particelle, aggregati, depositi secondari e di alterazione. Poiché all’osservazione morfologica è possibile associare la microanalisi (EDS), la composizione chimica puntuale di una zona o di un singolo punto indagato potrebbe essere acquisita, in modo da poter caratterizzare eventuali forme di degrado, fasi mineralogiche o ad esempio i rivestimenti e le decorazioni di ceramiche archeologiche. Analisi chimiche Lo scopo delle analisi chimiche è quello di individuare quali elementi o composti sono presenti in un campione (analisi qualitativa) e determinarne la quantità (analisi quantitative). Per molti materiali l’indagine di provenienza è basata sulla determinazione degli elementi presenti. A questo scopo vengono utilizzate tecniche denominate di “analisi elementare”, le quali permettono di riconoscere e quantificare gli elementi presenti nel campione, ma non consentono di individuare i composti nei quali questi elementi sono presenti. In queste rientrano le analisi in fluorescenza a raggi X (XRF) e le analisi in spettrometria di massa ICP-MS. Nel caso delle ceramiche, la composizione chimica permette di effettuare confronti con la possibile materia prima utilizzata per la produzione (eventualmente campionata), o anche con ceramiche di sicura provenienza e identificate come gruppi di riferimento.
CERAMICHE STUDIATE 16 reperti ceramici rinvenuti nella chiesa della SS.Vergine del Carmelo a San Sosti, sono stati selezionati e sottoposti ad analisi archeometriche al fine di poter ottenere informazioni relative alla provenienza e alla tecnologia di produzione. I campioni analizzati comprendono un catino in maiolica in “stile compendiario” da collocare alla metà del XVI - primi del XVII secolo, due piatti in smaltata policroma databili al XVIII secolo, un piatto in smaltata monocroma ascritto al XVII-XVIII, due boccali in maiolica caratterizzati dalla tipica decorazione a “scaletta”, di cui uno in maiolica policroma. Gli altri frammenti analizzati sono stati prelevati da una ciotola, una scodella in graffita, un bacino ansato, un’ansa in smaltata bianca, tre forme chiuse e tre ceramiche da fuoco (tegami e casseruole). Le ceramiche sono state confrontate chimicamente e mineralogicamente con alcuni (6) campioni di argilla Miocenica affiorante nella zona circostante al paese.
METODOLOGIE DI ANALISI Le ceramiche studiate sono state caratterizzate mediante analisi petrografiche al microscopio ottico (MO), analisi diffrattometriche (XRD) e analisi chimiche (XRF). Gli smalti sono stati analizzati mediante microanalisi SEM/EDS. Le osservazioni minero-petrografiche su sezione sottile sono state condotte mediante un microscopio ottico polarizzatore Zeiss modello “Axioskop”. Le analisi mineralogiche e geochimiche sono state effettuate sulle ceramiche selezionate e sui
83
campioni di argille mioceniche locali, campionate in prossimità del sito di S. Sosti. Tutti i campioni sono stati macinati per mezzo di un mulino ad agata e, per quanto riguarda le ceramiche, prive dello strato di smalto. L’analisi diffrattometrica, per l’identificazione delle fasi mineralogiche presenti è stata eseguita con un diffrattometro PHILIPS PW 1710 a goniometro verticale, usando una radiazione CuKα, ad un voltaggio di 40 kV e un’intensità di 20 mA. L’intervallo indagato è compreso tra 5° e 60° di 2θ. L’analisi chimica (XRF) per la determinazione degli elementi maggiori, minori ed in traccia è stata ottenuta mediante uno spettrometro PHILIPS PW 1480. Il dato relativo alla Loss On Ignition(LOI) è stato stimato con metodo gravimetrico dopo il riscaldamento a 950°C. Le analisi morfologiche e chimiche sui rivestimenti smaltati sono state effettuate mediante microscopio elettronico a scansione SEM/EDS modello FEG (Field EmissionGun) Quanta 200 dotato di un sistema EDS per microanalisi a raggi X (EDAX GENESIS 4000 con rivelatore Si/Li). I dati ottenuti, standardizzati col sistema di correzione ZAF, sono espressi in percentuale in peso degli ossidi corrispondenti.
RISULTATI E DISCUSSIONE Analisi petrografica sulle ceramiche Entrambi gruppi (ceramiche fini e ceramiche da fuoco) mostrano uno smagrante caratterizzato dalle stesse fasi mineralogiche: quarzo, feldspati, miche, calcite ed ossidi. Le ceramiche fini possono essere suddivise in due sottogruppi sulla base del colore della matrice e delle dimensioni dello smagrante. I campioni del sottogruppo 1 (SST2, SST3, SST4, SST5, SST6, SST7, SST10, SST12 ed SST15) mostrano matrice argillosa, a tratti microcristallina, di colore rossiccio; lo smagrante ha dimensioni arenacee da fini a medie e addensamento medio (Fig. 1).
Fig 1 – Microfotografia del campione SST3. Nicols incrociati - 125X
84
Nei manufatti del sottogruppo 2 (SST1, SST8, SST13 ed SST14) la matrice è argillosa molto fine e presenta colore marroncino tendente al verde (Fig. 2). Lo smagrante ha addensamento basso e dimensioni siltose; i cristalli presentano sfericità media e sono poco angolosi. La porosità è bassa e in molti pori è presente calcite secondaria.
Fig 2 – Microfotografia del campione SST14. Nicols incrociati - 60X
Le ceramiche da fuoco SST9, SST11 ed SST16 presentano un impasto grossolano. La matrice argillosaha colore rosso intenso ai bordi e marrone scuro tendente al nero al centro (cuore nero). Lo smagrante raggiunge a volte dimensioni conglomeratiche fini ed ha addensamento alto. Sono presenti frammenti di roccia granitica e dichamotte. Si nota un addensamento alto della porosità; i pori hanno sfericità molto bassa, sono per la gran parte allungati, mostrando un’orientazione preferenziale (Fig. 3).
Fig 3 – Microfotografia del campione SST9. Nicols incrociati - 60X
85
Analisi mineralogiche (XRD) sulle ceramiche e sulle argille Le analisi diffrattometriche XRD eseguite sulle ceramiche hanno messo in evidenza la presenza di quarzo, feldspati, ematite e rare miche. Il diopside è stato rilevato nelle ceramiche fini mentre risulta assente nelle ceramiche da fuoco. La presenza del diopside, rilevato solo diffrattometricamente e quindi di neoformazione, permette di indicare alte temperature di cottura (>900°C) per la produzione delle classi ceramiche con impasto depurato (Riccardi et al. 1999; Cultrone et al., 2001). Le ceramiche da fuoco non presentano minerali di neoformazione pertanto si possono indicare più basse temperature di cottura. I campioni di argilla prelevati, mostrano la presenza di quarzo, calcite, clorite, miche e feldspati. Nei campioni SS3, SS4, SS5, SS6 è stata rilevata anche la dolomite.
Analisi granulometrica sulle argille Nell’analisi granulometrica delle argille la frazione superiore a 0,63 mm è stata separata tramite setacci, mentre la separazione delle particelle più fini è stata eseguita per sedimentazione con il metodo dell’idrometro.I risultati dell’analisi sono mostrati in Fig.4 (Shepard, 1954).
Fig 4 – Analisi granulometrica delle argille (Shepard, 1954).
Come è possibile notare in Fig.4, tutte le argille campionate sono classificate come argille siltose, ad esclusione di un solo campione come silt argilloso. La granulometria dei materiali argillosi di S. Sosti è compatibile con quella delle ceramiche più fini, osservata mediante l’analisi petrografica. Analisi chimica (XRF)- Confronto tra ceramiche e argille Le analisi chimiche condotte tramite fluorescenza a raggi X (XRF) sui 16 campioni di ceramica e sulle 6 argille mioceniche ha fornito la concentrazione di 10 elementi maggiori e di 12 elementi in tracce (Tab.1).
86
Per verificare le affinità tra le ceramiche e le argille campionate è stata effettuata l’elaborazione dei dati anidri mediante diagrammi binari. Come si osserva dal diagramma Al2O3 vs. CaO in Fig.5a le ceramiche da fuoco si distaccano dalle altre ceramiche e dalle argille per il più basso contenuto di calcio (<1.8%). Si tratta infatti di manufatti prodotti con un diverso tipo di materia prima, non calcarea e con l’aggiunta di sabbia, che conferisce maggiore resistenza al vasellame da fuoco.
SiO2
Al2O3
TiO2 Fe2O3
MnO
CaO
MgO
Na2O
K2O
P2O5
Nb
Zr
Y
Sr
Rb
Ni
Cr
V
La
Ce
Co
Ba
SST1
46.64
13.89
0.75
6.92
0.13
19.67
7.86
0.81
2.8
0.53
23
152
0
347
138
29
67
71
26
47
12
205
SST2
52.18
15.31
0.76
SST3
45.13
12.42
0.69
7.15
0.1
16.73
3.88
1.05
2.39
0.46
15
70
0
217
121
67
118
131
48
93
18
285
6.44
0.13
22.55
8.9
0.68
2.83
0.23
15
59
0
312
116
52
88
105
23
57
13
255
SST4
52.14
16.24
SST5
48.6
14.18
0.83
7.37
0.18
13.05
4.48
0.91
3.28
1.5
16
196
18
405
140
56
114
100
43
84
19
532
0.72
6.59
0.13
18.02
7.43
0.89
2.87
0.57
14
145
9
363
132
54
105
97
37
69
17
291
SST6
51.24
15.11
0.8
7.18
0.17
15.65
4.96
0.9
3.38
0.61
20
164
1
414
147
57
107
105
35
73
16
336
SST7 SST8
56.45
16.57
0.79
7.07
0.13
9.94
3.48
1.07
3.57
0.94
15
165
24
362
145
47
107
113
45
63
17
423
52.07
15.98
0.8
7.42
0.11
15.88
3.89
0.9
2.4
0.54
10
26
0
245
136
65
132
137
37
77
19
304
SST10
50.09
13.03
0.64
6.18
0.14
21.48
4.73
0.85
2.07
0.8
29
107
0
416
156
53
103
86
24
73
14
293
SST12
54.53
16.23
0.8
7.02
0.08
11.64
5.02
1.17
3.29
0.22
43
71
10
330
136
111
160
106
43
78
20
369
SST13
52.98
15.38
0.74
6.63
0.1
15.8
4.82
1.08
2.26
0.22
29
118
0
378
136
61
125
130
42
90
17
288
SST14
51.76
13.51
0.65
6.27
0.13
19.18
4.33
0.95
2.44
0.77
20
126
0
456
147
54
113
85
38
79
15
338
SST15
53.79
18.23
0.89
7.9
0.15
10.44
3.91
0.82
3.44
0.44
24
170
6
310
171
76
139
128
54
76
22
425
Ceram. fini
Ceram.da fuoco SST9
69.14
18.09
0.88
7.37
0.02
0.69
1.12
0.41
2.15
0.13
25
239
12
77
112
27
104
126
41
58
14
270
SST11
65.37
18.72
0.82
7.64
0.12
1.19
2.25
0.88
2.88
0.13
21
225
40
98
152
60
127
142
56
102
22
419
SST16
60.13
21.84
1.19
8.92
0.13
1.78
1.71
0.62
3.26
0.43
34
269
4
141
159
37
88
129
32
118
23
616
54.99
16.26
0.80
6.99
0.11
13.15
3.32
0.87
3.17
0.32
14
128
21
337
127
44
103
123
36
69
16
291
0.99
0.60
0.02
0.28
0.01
1.54
0.09
0.18
0.11
0.02
1
11
1
12
5
2
5
8
6
7
1
12
Argille Media (6 campioni) Deviaz. Stand.
Tabella 1- Risultati delle analisi XRF eseguite sui campioni di ceramiche rinvenuti nella chiesa della SS. Vergine del Carmelo a San Sosti e sulle argille campionate in prossimità del sito (di cui si riporta la media). Elementi maggiori espressi in % peso, elementi in tracce in ppm.
Le ceramiche fini risultano prodotte con materia prima calcarea (CaO > 6%,Maniatis e Tite, 1981) composizionalmente compatibile con le argille analizzate. La Fig.5a mette in evidenza delle differenze composizionali principalmente per il contenuto di CaO dovuto anche alla presenza di calcite secondaria, mentre la variazione del contenuto di Al2O3 è più limitata. Ciò potrebbe essere legato ai processi di lavorazione, quali depurazione e decantazione dell’argilla che usualmente erano praticati nella produzione delle ceramiche. Anche per quanto riguarda gli elementi in tracce, si conferma quanto detto. In particolare nel diagramma binario di Fig.5b, in cui si riporta il rapporto Ce/La vs. Sr/Rb, le ceramiche da fuoco si distaccano dal gruppo delle ceramiche fini, le quali invece, si sovrappongono alle argille campionate. Da quest’ultimo raggruppamento restano esclusi tre campioni (ST2, ST8, ST15) che mostrano un rapporto Sr/Rb più basso. L’evidente diversità di questi ultimi campioni e la loro
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similitudine morfologica e decorativa con produzioni appartenenti ad altre localitĂ , fa pensare ad una loro possibile importazione.
Fig 5 â&#x20AC;&#x201C; Elaborazione dati XRF. Diagrammi binari-a)Al2O3 vs. CaO; b) Ce/La vs. Sr/Rb
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Risultati della microanalisi (SEM/EDS) sugli smalti Le osservazioni morfologiche al SEM e la microanalisi EDS sono state condotte sugli undici reperti smaltati. I risultati della microanalisi mostrano che la colorazione blu dei reperti SST2 ed SST13 è dovuta alla presenza di cobalto, con percentuali maggiori o minori a seconda dell’intensità della colorazione. L’uso di cobalto come pigmento blu risulta molto comune sin dai tempi antichi; Roldán et al. (2006) testimoniano, ad esempio, l’uso del cobalto in ceramiche valenziane, dal quattordicesimo secolo ai tempi moderni. Il colore verde sembra dovuto alla presenza di rame nei campioni SST4 ed SST15 sotto forma di CuO; Ricci et al. (2005) ne documentano l’utilizzo anche in smalti di ceramiche tardo medievali e maioliche arcaiche provenienti da Orvieto. Nel campione SST2, invece, il colore delle foglie (verde) è ricavato, come mostrato in Fig.6, dalla sovrapposizione del blu cobalto e del giallo.
Fig 6 – Colore blu e giallo del campione SST2
Nei campioni SST2, SST10 e SST14 in corrispondenza del colore giallo è stata rilevata la presenza dell’antimonio e, come in tutte le altre porzioni di smalto, del piombo. Secondo Dik et al., (2005) l’antimonato di piombo come pigmento giallo è stato particolarmente usato tra il 1500 ed il 1850 d.C. in Europa Occidentale, quindi è possibile ipotizzarne l’utilizzo anche in questi reperti ceramici. La microanalisi sul reperto SST4, l’unico che presenta colore marrone, ha mostrato in questa zona un più alto contenuto di Fe2O3 e la presenza di una piccola percentuale di cobalto, per cui si può supporre che questi siano stati utilizzati insieme per ottenere il colore marrone. Il colore arancione del campione SST14, oltre alla presenza di Pb ed Sb, contiene un maggiore contenuto di Fe2O3 rispetto a tutte le altre zone del reperto. In Fig.7 è evidenziata la composizione dei colori arancio e giallo del campione SST14, nel grafico però è stato omesso PbO2, poiché la sua elevata concentrazione (40%-50%) renderebbe meno evidente la presenza degli altri ossidi. Il colore bruno presente sui campioni SST7 e SST12 è di origine organica (alto contenuto di Carbonio).
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Fig 7 – Microanalisi al SEM dello smalto del campione SST14; come discusso nel testo, non è riportata la % di PbO2
CONCLUSIONI Lo studio archeometrico eseguito sulle ceramiche (ceramiche fini e ceramiche da fuoco) ritrovate nella chiesa della SS. Vergine del Carmelo di San Sosti ha permesso di ottenere informazioni relative alla provenienza e alla tecnologia di produzione. Sulla base del chimismo è possibile affermare che buona parte della ceramica fine è compatibile con le argille prelevate nella zona di San Sosti. Per alcuni reperti (ST2, ST8 e ST15), sono state messe in evidenza similitudini morfologiche e decorative con produzioni di altre località, che insieme alle differenze chimiche mostrate potrebbero avvalorare le ipotesi su una possibile diversa provenienza. La ceramica da fuoco è stata prodotta con materiali argillosi diversi e con una possibile aggiunta di sabbia quarzosa nell’impasto, chenon ci consente di escludere che tali ceramiche possano essere di produzione locale. La microanalisi SEM/EDS condotta sugli smalti delle ceramiche ha consentito di caratterizzare le porzioni colorate di ciascun campione e di stabilire che, in alcuni casi, i pigmenti sono stati combinati per ottenere il colore desiderato. Tutti i colori analizzati sono comuni composti inorganici, tranne la colorazione bruna di due soli campioni dove, invece, è stato probabilmente utilizzato un composto organico.
1 *Il presente lavoro è stato presentato in occasione della 11° Giornata di Archeometria: A.M. De Francesco, E. Andaloro, M. Bocci, D. Marino, F.C. Papparella, Risultati preliminari dello studio archeometrico condotto sulle ceramiche medievali e postmedievali ritrovate nella chiesa della SS. Vergine del Carmelo a San Sosti (CS) in Calabria, in La produzione ceramica dal Medioevo all’Età Moderna: aspetti storici e tecnologici, 11a Giornata di Archeometria della ceramica (Pesaro, 16-17 aprile 2007).
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Pottery and sources Cosenza’s pottery from ‘500 to ‘700 through Cosenza State Archive documents
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Ceramica e fonti La ceramica cosentina dal ‘500 al ‘700 attraverso i documenti dell’Archivio di Stato di Cosenza
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Local and imported Potteries and porcelains in Cosenza between the XVI and the XVIII Century Cinzia Altomare
Well-off families prosperity, was determined by owned goods and properties so, the most representative and helping elements in studying and analyzing mentioned condition are the inventories. Lots of them are kept near Cosenza State Archive Notarial Fond. Mentioned documents drown up by notaries can give us a demonstration of all the goods owned by a single subject. Inventories are made up by long lists in which were listed all the furniture pieces and everything they may contain as, for example, everyday use objects such as potteries, porcelains and clay artifacts. Those, objects generally, related with kitchen and personal care aren’t so easy to recognize because not all the notaries used to specify the material they were made of. It must be also underlined that other materials used were iron, bronze and glass, considered enduring or of fine workmanship. As consequence we can say that to bring to a positive end a research on pottery, a researcher must put it into the hands of a notary that, with good will, specified the material they were made of. Potteries (porcelains, tiles and so on) are compounds obtained mixing clay and other materials with water. Those objects are fragile an often are listed as “broken” but also as “adorned” or of “fine workmanship”. Creates a lot of interest also the importation market existing between Cosenza and the Town of Faenza, other porcelains arrived from Montefusco, in Campania and just to mention some foreign country France, Saxony, Spain and China. Montefusco, place in province of Avellino, was well known for its flourishing activities concerning the art of potteries between the XVI and the XVII century; Faenza, instead, was and nowadays still is famous for its potteries, houses the Potteries International Museum that together with the Pottery’s art Governmental Institute keeps products coming from every nation and also very old. Between the decorations detaches le arme de la Casa de Leone, typical patterns linked to nobility, the decoration representing Saint John the Baptist or the artistic decoration in which detaches the predominance of colours like yellow and turquoise, surely in line with age taste. Concerning 1700 lots are the examples of middle-class families archives. In this century, descriptions are detailed and are also specified hand tool’s culinary and domestic use, there are inventories in which are listed foods and beverages such as chocolate, coffee and sugar, oil kept in pots, to keep foods longer and also cheese and animal fats. Lots are the porcelains coming from China that, in this century, met the taste of the high or the middle class. Concerning local production in the acts can be retraced: the porcelain or the clay coming from the ponte della Maddalena, probably in this case the reference is the bridge near the church of Saint Dominic, the name derives from the Maddalena, an old fair that took place near the Rivocati, that became smaller with time and now is near the present seat of Cosenza Municipality. Lots were the ceramists in Cosenza, infact in Cosenza’s Cadastre “Onciario” are listed as “in activity” the following “Pignatari”: Gennaro Federico, Giorgio Paise, Giuseppe Arena, Gerogorio Mauro, Gregorio Gentile, Leonardo Federico with the sons Francesco and Pier Antonio and to close the list Niccolò Naccarato. Not so numerous but almost all lived in the area of the city known as the “Pignatari”, an area of the town which name derives from their job. Mainly young, their traineeship in local workshops shows the handmade continuity in Cosenza so, considered the presence of workers and the high number of inventories listing the great quantity of porcelain or clay objects, all this, helps in underlining that the activity brought on by the pignataro was, still is, went and goes on with requests incrementing a very good commerce.
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Ceramiche e porcellane locali e di importazione nella città di Cosenza tra il XVI e il XVIII Cinzia Altomare
La ricchezza di famiglie, più o meno agiate, si determinava dai beni e da tutte le proprietà possedute, quindi gli atti che più rappresentano e danno spunti sugli studi in proposito sono gli inventari. Molti di questi sono conservati presso il fondo notarile dell’Archivio1 di stato di Cosenza. Questi documenti, rogati dai notai, danno una dimostrazione di tutto quello che possedeva un individuo. Gli inventari sono composti da lunghi elenchi in cui si segnavano tutti i mobili ed il loro contenuto, in cui si trovano ad esempio gli oggetti di uso quotidiano composti da ceramiche, porcellane e crete. Questi oggetti, di solito, legati alla cucina e alla cura della persona non sono facili da individuare poiché non tutti i notai ne specificavano il materiale. C’è da dire poi che altri materiali in uso erano ferro, bronzo e vetro, considerati più duraturi o di più nobile fattura, per portare a termine una ricerca sulla ceramica, quindi, con speranza, ci si deve affidare alla buona volontà del notaio che ne abbia specificato la materia dell’oggetto. Le ceramiche (porcellane, le piastrelle, ecc.) sono composti ottenuti da un impasto di argille e altre sostanze mescolate con acqua2, questi oggetti sono fragili e molte volte se ne trovano segnalati come “rotti”, ma anche molto decorati e di pregevole fattura. Il primo atto che si propone risale al 1598, il reverendo frate Domenico di Paterno, procuratore del monastero di San Francesco di Paola Sub vocabula Santa Maria de Loreto3 della città di Cosenza, a parziale modifica di precedente contratto, stipula nuova convenzione con i mastri pignatari di Cosenza, precisando il nuovo sito dello scavo della creta e le nuove condizioni da rispettare. Non si conoscono le precedenti condizioni contrattuali, ma questo documento testimonia l’attività dei mastri pignatari alla ricerca di un sito per procurarsi la materia prima per la loro attività4. Il primo inventario è proprio nel loco ditto li pignatari, la parte della città di Cosenza che ospitava gli artigiani professionisti della ceramica, si riferisce ai beni del defunto Sibione Grandinetti in cui si trova qualche strumento della sua professione: […] una rota de fare pignate, uno banchetto uno muzello de crita de salme 25 in circa […] 5. Nel 1500, nella città di Cosenza molti inventari testimoniano i patrimoni di alcune famiglie in cui spesso si rilevano delle particolarità. Nel caso dell’inventario di Laura Cavalcanti, ad esempio, abitante in Capo piazza si trovano: […]un rifriscaturo de crita pinto […] due piatti de Marsia seu Montefusco grandi […] 6 e a seguire in quello di Pietro Giovanni Sambiase presso la chiesa di S. Francesco Assisi: […]un rinfriscaturo, una tazza, un bucale, un morrione, una salera, un fiasco, un ciarriglio ad pisce delfino de crita de Faienza […] venticinque piatti de creta bianca[…] 7. Singolare la forma della giara a forma di delfino e il rifriscaturo di cui non si fa alcuna descrizione, ma soprattutto è interessante la località da cui provenivano gli oggetti che testimoniano un fiorente commercio di questi utensili. Infatti, nell’inventario di Mario de Gaeta sempre presso S. Francesco di Assisi si trovano: […] tredici piatti bianchi di Montefusco piccoli;[…] tre piatti mezzani di Montefusco[…] 8, e in quello di Giovanni Giacomo Sersale abitante ai Padolisi: […] due vacili de Marsia, uno colorato l’altro bianco; una tazza e cannistrello, due frottere, un sotto coppa Tutti de Marsia; un altro vacile di Marsia[…] 9. Montefusco, località in provincia di Avellino, era conosciuta per le sue fiorenti attività nell’arte della ceramica tra il XVI e il XVII; il termine “Marsia”, inizialmente, fa pensare ad una località da cui provenivano le porcellane anche se nessuna località moderna fa pensare a qualcosa che le somigli. Probabilmente era un modo di chiamare la lavorazione dato che in uno dei documenti
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Fig. 1 - inventario del notaio Marsico Prospero
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viene riportato Marsia seu Montefusco oppure è il nome della fabbrica o del proprietario della fabbrica che si occupava della lavorazione delle ceramiche. Mentre Faenza era ed è tutt’ora famosa proprio per le sue ceramiche, ospita il Museo internazionale delle ceramiche e raccoglie opere di ogni epoca e nazione insieme con l’Istituto governativo d’arte ceramica. Per evidenziare l’importanza della provenienza da Faenza, si inserisce un inventario che segnala, nella maggior parte dei casi, oggetti di questa località e della nostrana città di Rossano10. L’inventario è quello dei Cavalcante residenti alla Motta: […] piatti piccoli Faienza dicissette Uno bacile bianco Faienza Uno piatto mezzano Faienza Piatti de Montefusco, de Rossano piccoli cinquantadui Uno piatto mezzano e due grandi come vacili Uno scotellina Faienza a solo(?) pinta Quattro sottocoppe di Rossano Un sottocoppa mezzana Faenza Un difriscaturo de Faenza grande con pittura in mezzo Un fruttera de Creta de Rossano tre altre bianche di Rossano un caldarotto di creta bianca[…] in altra cascia Piatti de Montefusco terzetti numero sessanta Mezzani numero trenta e grandi dui[…] Un bocale Faenza rutto; Dui tazze a canni stretto di Faenza; Una sotto coppa Faenza pinta; Una altra simile liscia; Un altra sotto coppa colorata Una ciarrella piccola Faenza nova[…] 11. (Fig. 1) Altre testimonianze di un commercio estero ci vengono dall’inventario di Aloisio Salsedo del 1598, abitante nel Castello di Cosenza poiché alto funzionario dell’epoca, in cui si trovano: […] Due Piatti grandi grossi alla francese Cinque piatti grandi Creta Rossano e Tre sani e due rutti un altro simile Nove Piatti Faienza mezzani (...) Trentatre Piatti Faienza piccoli alla spagnola Sette piatti mezzani di creta di Rossano menati12 Sette piatti piccola Faienza cioè 5 con le arme de la Casa de Leone Sette piatti turchini, 1 mezzani e 6 piccoli Un calamaro di Faienza con S. Giovanni Battista, Un bacile di Faienza con lo vocale ordinario, Due fiaschi grandi di Faienza con le fuche13 del medesimo Tre fiaschetti acito et oglio di Faienza Due vasi Faienza uno a navetta lavorati turchini e gialli Un sottotazza grande de Faienza vecchia 1 sicchetto creta Turchina rutto
Quattro vasi tarantini piccoli menati Due vasetti creta rossa Una cucuma14 de vino de crita bianca de Napoli Una cerriglia di Faienza rutta[…] 15. Oltre alla discreta quantità di oggetti provenienti dalla già citata località di Faenza, si noti la provenienza di oggetti da Napoli e quella estera dalla Francia e dalla Spagna. Tra le decorazioni spicca le arme de la Casa de Leone, tipiche di una simbologia legati alla nobiltà, la decorazione con S. Giovanni Battista oppure le decorazioni artistiche con la predominanza del turchino e del giallo, sicuramente in linea con il gusto del tempo. Altri manufatti particolari, sono i calamai di creta che si trovano nell’inventario dei Del Giudice con casa nella zona conosciuta come alla ruga de mercanti oppure come S. Tommaso: […] un calamaro de crita […] un bucale de Faienza […] un colamaro de crita […]un altro de crita […] 16, e la statuetta del leone che troviamo nell’inventario di Ascanio Neocastro, nel suo Palazzetto al colle Triglio, in cui sono elencati: […]un sotto tazza Faienza […]sei piatti Faenza tre grandi e tre piccoli […] un coppicella[…] un liuni di crita pinto […] diecinove piatti piccoli e cinque grandi di Rossano grossi[…] due Tiani nuovi di Crita […] 17. E nuovamente nella zona dei Pignatari, si propone l’inventario di casa Gualtiero, un inventario povero nel quale si trovano pochi oggetti di interesse, ma sono allo stesso tempo rappresentate due località di lavorazione, si presume quindi che sia per la famiglia borghese che per quella di ceto più basso, si riconosceva l’importanza della manifattura: […] bacile marsia pinto […] una sottotazza marsia crepata […] una ciarriglia Faienza nuova [...] due pignate18 da cucinare[…] 19 Nel seicento la quantità di oggetti di ceramica e delle porcellane rimane invariata, anzi si trovano molti pezzi nei servizi da corredo, ma la località di Montefusco non è più presente. Negli inventari di famiglie agiate si trovano molti pezzi da corredo, come per esempio in quello di Feredinando De Gaeta con abitazione alla ruga Toscana: […]una cascia vecchia con sessanta piatti, due vacili uno rotto ed un o sono di Faienza[…] 20, e a seguire per l’inventario dei Favaro nel quartiere dei Padolisi: […] cassa trentacinque piatti bianchi piccoli Faienza venti mezzani e due grandi […] bacile di Fayenza vecchio[…] 21 Supera su tutti la quantità di piatti provenienti da Faenza conteggiata sull’inventario del defunto Filippo De Matera abitante nella zona della Giostra Nuova: […] centocinquanta piatti Faienza piccoli […] centocinque piatti Faienza mazzani […]centodieci piatti creta ordinario[…] 22. Nell’inventario di casa Paladini si trovano in casa: […]quattro bicchieri di Faienza […]dodici piatti di Faienza all’Imperiale[…] 23, e nella bottega di medicina, di cui sono proprietari, nella zona conosciuta come agli Speziali presso piazza Duomo, si trova solo: […]tre bicchieri di Faienza[…] . In genere nelle botteghe di medicina si pensa si possano trovare molti oggetti in ceramica, leggendo altri inventari di tali botteghe, invece, non si rivelano che recipienti di vetro, stagno e rame, la ceramica non era utilizzata oppure i notai non ne specificavano il materiale segnando il recipiente24. Nell’inventario dei Crocco, con abitazione d’avanti l’Arcivescovado: […] due piatti seu bacilotti di Faienza alla reale usati […]due piatti e due sottotazze Faienza Turchini usate […] due nappe25di Faienza […] tre bucoletti piccoli Faienza usati […] tre saliere Faienza un bacile e un Turchina usate […] un bacile Faienza Copputo […]otto piatti Faienza piccoli […] tre piatti grandi Faienza[…] 26. Tutto l’atto presenta articoli della città di Faenza, ma è un esempio, in generale il Seicento non presenta la stessa varietà e ricchezza del secolo precedente. Per il Settecento diversi gli esempi di documenti riguardanti i beni di famiglie borghesi. In questo secolo, le descrizioni diventano un po’ più dettagliate e vengono indicati anche gli usi culinari e domestici degli utensili, si propongono quindi, una serie di inventari in cui si trovano cibi e bevande come cioccolata, caffè e ancora zucchero, olio in orci o pignate, per conservare gli alimenti più a lungo, e persino il formaggio e il grasso, come quello di casa Cavalcanti alla Giostra Vecchia […] trenta piatti di Faienza[…] dieci chiaccare di Creta di Cioccolata […] sette Pignate tre Orcinali […] 27, a seguire l’inventario dell’Arcivescovo di Cosenza Andrea Brancaccio […]diverse robbe di creta per uso di cuci-
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na[…] tre giarre di creta per oglio[…] 28 e ancora l’inventario della famiglia Ferrari, sotto la zona di S. Tommaso: […] quarantacinque tra piatti grandi piccoli e bacili Faienza, saliera e due ogliarule Faienza, caccavi e ciarriglie di creta, Pignate e ogliarulo di creta[…] 29 e quello di Fotunata Telesio agli archi di Sambiase […] dodici chiccare, una zucchiera, un caffettiere creta […] 30. Nell’inventario di Antonio Ranieri si trovano: […] vasi di vetro e Porcellana, cioè Sette bacili di fajenza della Terza[…], sei chiccare di Cioccolato colli di loro piattini di fajenza […] 31, in quello di Niccolò Greco ai Padolisi si trovano: […] due giarre di creta per tener olio[…] un bancone di legno con piatti di creta ordinari numero quattro, bacili di detta creta numero sei,[…] tre ciccare di ciccolata, e tre di caffè della stessa creta, […] tielle di creta […] Nel magazzino per uso di cellaro[…] una pizzarra di creta […] 32. Nell’atto stilato per i beni di Pietro Dattilo, abitante nel luogo conosciuto come Archi di Sambiase: […] un cassone grande con un bacile di fajenza per uso della barba […]Nella Camera delle Serve si son trovati due stipi con tredici bacili lunghi, e tre tondi, tre coppiere, Settanta quattro piatti di porcellano, e fajenza, […] tre Saliere tre Scriccore di Ciccolato di porcellana e tre di Caffè della Stessa materia[…] 33 Per l’inventario di Giuseppe Scotetti nel quartiere di S. Lucia: […] un Stipo con dentro alcuni commestibili giornalieri e tre bacili di Faenza; altro stipo con entro otto pignatte d’Insogna34, formaggio pezze diece, e piatti di Faenza tra centinati e lisci numero venti ed un bacile della medesima Specie[…] 35. Nell’inventario del defunto Arcivescovo di Cosenza, Antonio Afflitto, nel palazzo arcivescovile, si trovava, oltre al ricchissimo corredo di porcellane e crete anche del “miele di Lecce” : […] Due altre Casse, Con un Servizio di Faienza mezza fina, Cioè Piattini numero Centotrenta = Piatti Reali numero Quattro, = Fiamenghi36 numero dodici = Insalatiere Grandi e, piccole numero Sei = Zoppiere Con Sui Coverchi e Tonni37 Sotto numero Quattro = Piatti mezzani numero Dodici = Sbirlonghi tra Grandi e piccolo numero Diece […] Chicchere di Fajenza ordinarie numero Tredici = Piattini in Dieceotto = Fiamenghine numero Quattro = Salsiere numero Quattro = Tre Saliere, in una de quali v’è il Coperchio Due Damigiane di Creta piene di Miele di Lecce = […] Un’altra Damigiana pure con miele di Lecce = Sbirlunghi, Cioè Piatti numero Dieci Sette = Piatti mezzani numero Quattro = Due Zoppiere grandi con li di loro Coperchi = Due acetere di Fajenza Colle loro Parafine di Cristallo = Una Insalatiera = Altre due Fiamenghine =Un’altra Salziera = Chicchere cole di Loro Piattini numero quatordeci […] Una Scrivania di Noce, Con Undeci Foerini in uno de quali v’è una Confettiere di Polrcellana = Dodeci Chicchere Doceci Piattini di Porcellana della China = Sei Tazze de Cafè Con i di loro Piattini di Porcellame di Spagna =Una Tolpa(?) per uso di Zuccaro della medesima Specie[…]Una Deserta(?) di Cristallo a tre Terzi guarnita di Statuette di Porcellame di Sassonia numero Sette = Quattro Vasetti dell’istessa Porcellame ed altri Guarnimenti […] Due Bacili di Creta e suo Piede di Legname[…] 38 Si noti che in questo inventario la porcellana proveniva dalla Cina, dalla Spagna e dalla Sassonia, a testimonianza che il mercato si era esteso con i tempi. Le porcellane provenienti dalla Cina entravano a far parte del gusto dell’epoca. Infatti, a seguire, si propone un inventario dove ne è segnato, sommariamente, il motivo, ma in altri inventari anche i mobili erano decorati con lo stesso gusto decorativo39. Per l’inventario della famiglia Passalacqua sono intervenuti la baronessa donna Teresa Sambiasi e don Vincenzo Telesio in qualità di tutori testamentari degli eredi di don Giuseppe Barone Passalacqua, e nel palazzo della Giostra nuova sono stati trovati tra i tanti oggetti: […] chicchere creta ordinaria con piatti e zuccherera, aceto e olio di creta,[…] quindici chicchere con piattini di creta forestiera con qualche menatura d’oro, = altre quindici fiorate alla cinese = Altre dieci bianche di creta di palermo, Caffettiera e Zuccheriera corrispondente alle chicchere, e piattini, con qualche menatura d’oro […] brodiera di creta alla cinese col suo piatto[…] Tredici bacili di porcellana mezzi bacili diciannove, insalatiere sei piatti […] alte chicchere porcellane, crete […] Tre fiaminghe di Faenza[…] Baciloni Faienza bianchi sedici Piatti quattro [...] 40. Si propone un altro atto di un ecclesiastico, l’Arcivescovo Raffaele Maria Mormile; qui il notaio esegue una ordinata divisione degli oggetti e sotto la specifica “Porcellana del Ponte della Maddalena” elenca: […]Zuppiere bianche numero quattro = sperlunghe mezane numero Sei =Dozzine di piatti numero dieci = Sperlunghe piccole numero otto = fiamminghine grandi numero sei = Dette piccole numero otto = Sperlunghe più grandi numero due = Piatti di Zuppa numero sedici = Insalatiere grandi numero quattro = Dette piccole numero Sei = Altro Servizio più fino di detta Porcellana Zuppiere grandi numero quattro = Sperlunghe grandi numero cinque = Dette mezane numero Sei = Fiamminghine
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Fig. 2: inventario del notaio Trocini Carmelo Maria
grandi numero Quattro = Dette piccole numero Sei = Dette mezane numero Sei = Tondini dozzine numero diece = Insalatiere grandi numero Quattro = Dette piccole numero Sei =Piatti da Zuppa numero Venti otto = Sciacqua Becchieri numero due = Rinfrescatori numero quattro = Portaceto ed oglio numero uno = Bacili Tondi numero due = Detto per la Barba col suo bocale numero Uno = Orinali bianchi numero quattro = Zuppiere piccole numero due[…] 41 Singolare l’inserimento, tra le vettovaglie da cucina, del “bocale” per la barba e “l’orinale”. (Fig. 2) Interessante è l’indicazione di provenienza delle porcellane Porcellana del Ponte della Maddalena, questa si ritrova anche in altri atti, per esempio nell’inventario Andreotti: […] vasi vasi Faienza, Piatti di Creta dal ponte, piani bianchi numero centosessantatre; per zuppa trentacinque; quindici per insalata; undici zuppiere con coperchio;[…] nove bacili sotto zuppiera[…] cinque bacili ordinari ed altro, per lavarsi mani[…] cinque saliere della stessa creta del ponte[…] Piattini […] 42 . La porcellana o la creta dal ponte della Maddalena si presume siano del ponte che si trova nei pressi della chiesa di San Domenico, prende il nome dalla Maddalena, antica fiera che si svolgeva presso i Rivocati e che col tempo si è ridotta ai soli nei pressi dell’attuale Comune di Cosenza. Seguono altri documenti con delle peculiarità, nell’inventario di Casa Bruno sopra S. Tommaso, in cui sono segnate anche un’acquasantiera e delle graste, ossia, vasi per piante che fino ad ora non erano mai comparsi: […] Tazze fiaschi, vasetti Faienza […] saliere[…] sei Piatti di Rossano[…] acquasantiera Faienza[…] ventitre piatti di Rossano piccoli, 29 mezzani, alti vaso Faienza, Vacile Faienza […] ciarrotto Turchino Faienza[…] graste de creta[…] 43. Invece nell’inventario della casa del fu Pietro Greco in una stanza, tra i mobili: […] numero quarantadue pastori di creta numero dieceotto; […] pecore di creta numero trenta […] 44, a testimonianza del tradizionale culto del presepe. A metà secolo, sul Catasto Onciario45 della città si Cosenza risulta che erano in attività i seguenti “Pignatari”: Gennaro Federico registrato come “mastro pignataro” di anni 36 con casa e bottega presso il Convento di S. Agostino. Si aggiunge, dopo l’elenco dei componenti della famiglia e l’abitazione con relativi affitti per le abitazione, una frase conclusiva: Non possiede Beni di Sorte alcuna . Così per tutti quelli che seguiranno46; Giorgio(?) Paise mastro pignataro di 38 anni
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abitante presso i Revocati47; Giuseppe Arena mastro pignataro di 54 anni abitante presso i Revocati e l’unico a possedere anche delle case site presso il quartiere dei Pignatari48; Gerogorio Mauro mastro pignataro di anno 30 abitante presso i Pignatari49, Gregorio Gentile pignataro di anni 29 abitante presso i Revocati50; Leonardo Federico mastro pignataro di anni 65 abitante ai Pignatari e con dei figli che avevano intrapreso lo stesso mestiere: Francesco di anni 20 e Pier Antonio di anni 1851; Niccolò Naccarato mastro pignataro di anni 30 abitante presso la chiesa di Sant’ Agostino52. Non sono molti, ma quasi tutti abitano nella zona che nella città è appunto conosciuta come i “Pignatari”, quindi proprio la loro professione da secoli ha dato il nome a tale zona. La maggior parte dei pignatari era di giovane età ed il praticantato in bottega dimostra la continuità dell’artigianato nella città, quindi data la presenza delle maestranze e la grande quantità di inventari che dimostrano notevole quantità di oggetti di porcellana o creta, tutto ciò dimostra che l’attività del pignataro era continua e con una richiesta che incrementava un buon commercio53.
1 Ringrazio Amalia Mazzuca, già funzionario dell’Archivio di stato di Cosenza, per avermi insegnato tutto quello che so della ricerca archivistica e senza la quale non sarei riuscita a scrivere questo contributo; ringrazio Marilena De Bonis per avermi fornito aiuto e materiali bibliografici, inoltre per i loro preziosi consigli e contributi Francesco Caravetta, Maria Paola Borsetta, per la loro assistenza Gabriele Fabiani e Antonio Viscomi. Per i riferimenti archivistici si introduce con CSas per l’Archivio di Stato di Cosenza. 2 Per brevi cenni sulle origini e la lavorazione della ceramica in Calabria si consulti Romeo G., L’Artigianato in Calabria. Le Caratteristiche ceramiche di Seminara, Reggio Calabria 1981. Sulla storia della lavorazione delle ceramiche: […]Presso la rocca di Cosenza, che incombe sulla città, si dice nasca oro, argento e piombo. Si fabbricano vasi di creta[…] Barrio G., Antichità e luoghi della Calabria, Edizioni Brenner, Cosenza 1979, p. 186-187; […]Si producono in Locri rinomati lavori di creta, padelle, gotti, ampolle da olio. Anfore, piatti, dischi, canne ed altre cose di questo tipo[…]si trova la terra rossa usata dagli artigiani e la pietra da mola frumentaria e olearia, come pure il magnesio, la pietra focaia e la pietra color giallo della quale si servono i vasai[…]In questa zona, da questo territorio fino al promontorio Cocinto e altrove, durante il novilunio è gettata fuori una terra; la chiamano Maramusca; si innalza come mota dalle talpe e, cotta senza acqua, diventa un’ottima argilla per vasi[…] Ibidem p.385, Cfr. con Rohlfs, Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, Ravenna Longo Editore, 1977, p.392.: Terreno calcareo arenoso, terra biancastra arida. Bella descrizione su questo genere di artigianato a Gerace si trova in Brutium (1958) anno XXXVII, n.3-4, p.11: […]I vasai risiedono al borgo. Alcuni hanno bottega in piccole caverne scavate nella parete rocciosa […] devono vivere in un ambiente che conservi una qual certa umidità perché la creta possa modellarsi più agevolmente sulla ruota figulina. Forse non hanno la fantasia e l’estro dei vasari di Seminara, quanto a purezza di linee e scelta di colori, ma ne uguagliano certamente l’abilità. Abbiamo visto sbocciare le anforette in pochi istanti, lievitare da una carezza. Vi è poi una particolare versatilità per i piccoli
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vasi, quei ninnoli che sembrano non plasmati con le dita, ma appena alitati […] . 3 CSas, notaio Zingone Giacomo(83), anno 1598, c.39. 4 Ci sono anche altri riferimenti all’attività del reperimento della materia prima […] Critazo seu stiglio de retro lo palazo […] Concessione passire cavare et fare cavare crita nello Critazo seu stiglio de retro […] notaio Migliorella Orazio, anno 1587, c.171. dove il critazo o stiglio era il posto dove si ricavava la creta per farne dei vasi, in questo caso il posto e su colle Triglio nei pressi di palazzo Arnone. Su suggerimento di Maria Paola Borsetta. 5 CSas, notaio Manilio de Luca, anno 1576, cc. 206r-207r: c. 207r. Su suggerimento di Maria Paola Borsetta 6 CSas, notaio Greco Giovanni Lorenzo (45), anno 1555, c.520v. 7 Ibidem, vol. 1561-1562, c. 118v. 8 Ibidem, anno 1555, c.747. Altri inventari che citano Montefusco: l’nventario di Pietro Paolo Cicala con casa sopra le Vergini […]un pipera de Faienza con la casa […]due fiaschetti di Montefusco piccoli una salera di Faienza[…] notaio Greco Giovanni Lorenzo (45) vol. 1561-1562 c.58v; l’inventario di Ascanio Fontanarossa con casa alla piazza dei Mercanti […] venti pezzi di piatti tra Montefusco e Marsia […] notaio Greco Giovanni Lorenzo (45) vol. 1561-1562 c.135v; l’inventario di Porsia Cardinale con casa alla piazza S. Tommaso […] alcuni vasi de casa de Montefusco e Marsia […] notaio Greco Giovanni Lorenzo (45) vol. 1561-1562 c.499 9 CSas, notaio Marsico Prospero (55), anno 1580, c 66v. 10 Rossano: la cittadina calabra era produttrice di ceramica in passato, per approfondimenti si consulti Donatone G., Ceramica antica di Calabria, Cava dei Tirreni 1983, p.87. Nello stesso testo interessanti studi sono stati effettuati sulla produzione ceramica di diversi centri in Calabria. In provincia di Cosenza, più precisamente a Paola si riporta […]Al mare le rimangono le botteghe dè Buccari si rinomati, che io vidi lavorar con la finissima creta rossa,
ancorchè sian più celebri què di Nicastro[…] in Valente G., Il viaggio in Calabria dell’Abate Pacichelli (1693), Arti Grafiche, Messina [s.d.], p.88. A seguire […] La Creta medesima lascia comporre Vasi di più forme, e di odor naturale, chiamati Pignatelli di Soriano molto curiosi e in qualche modo somiglianti a quelli di Sessa[…] da Pacichelli G. B., Il Regno di Napoli in prospettiva II, Arnaldo Forni Editore, 1975, p.108. ed anche il Marafioti cita, riguardo al piccolo centro di S. Demitre Castello […] El particolare da lodarsi in questo Castello è, ch’ì vasi di terra sono molto nobili, e sa ne serve quasi tutta la Provintia;[…] da Marafiori G., Cronache et Antichità di Calabria, Arnaldo Forni Editore, 1981,p.133v. Centro molto attivo in questa produzione fu Squillace, infatti risale al 1753 l’atto in cui un certo Paolo Sestito da Squillace s’impegna per la fornitura di 10.000 riggiole (piastrella) colorate e di cinquemila mezze riggiole bianche smaltate per pavimentare la chiesa di S. Teresa, col compenso di ducati 60, oltre la fornitura della creta e del legname per la cattura nonché vitto e alloggio. Riferimento comparso in Brutium (1950) XXIX n°11-12 p.5; sullo stesso argomento si consulti Donatone G., La Ceramica di Squillace, Cava dei Tirreni 1983. 11 CSas, notaio Marsico Prospero (55), anno 1580, cc.150-156v. 12 menati: decorato o usato. 13 Fuche o fucagli: tappi. 14 cucuma: brocca per prendere acqua. Cfr. con Rohlfs G., Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, op. cit., p.211. 15 CSas, notaio Plantedi Pietro (66), anno 1598, c.418. 16 CSas, notaio Greco Giovanni Lorenzo (45), anno 1555, c.699. 17 CSas, notaio Cacciola Mercurio (11), anno 1595, c.94. 18 pignate: orciolo per vino o acqua. Cfr con Rohlfs, Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, op. cit, p. 393. 19 CSas, notaio Plantedi Pietro (66), anno 1598, c. 207. Per altri esempi di inventari dello stesso periodo e di appartenenza a case patrizie si possono
consultare l’inventario di Gio Bernardino Bombini abitante a Portapiana: […]due vasi di Marsia per metterci acqua[…]un bucale de Marsia […] una saliera, unaTazza, un sotto coppa di Marsia […]un bacile Marsia[…] notaio De Paola Angelo (27), anno 1582, c.258v.; per l’inventario della famiglia Caputi nella zona dei Padolisi: […]un bucale di faienza,[…] quattro tazze di faienza due grandi e due piccole[…]un baciletto faienza[…] notaio De Paola Angelo (27), anno 1581, c. 102. Al contrario nell’inventario della famiglia Abate, con un nucleo famigliare dalle poche possibilità economiche, si trova solo: […] due sottotazze di Creta […] notaio Plantedi Pietro (66), anno 1598, c. 83. 20 CSas, notaio Maugeri Giacomo (58), anno 1603, c. 526v. 21 Ibidem, anno 1603, c. 117v. 22 CSas, notaio Scavello Francesco Maria (243), anno 1620, c. 208v. 23 CSas, notaio Catanzaro Giovanni Matteo (115), anno 1640, c. 30v; c. 35. 24 Per gli inventari di spezieria in loco ditto la piacza de santo thomaso si propone quello di Mario Muoio (de moyo): [...] Item in una camera posta nella cantina nella quale sono trovate le infrascritte robbe videlicet [...] uno crucifisso de cira masturato uno san francisco fatto de creta uno ecce homo fatto de creta uno quatro piccolo de la madonna de la pietà uno crucifisso piccolo in quatro [...] notaio Giacomo Maugeri, anno 1598, cc.171v-180v; c.179v. Su suggerimento di Maria Paola Borsetta. 25 Nappe: Scodella di Creta. Cfr con Rohlfs G., Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, op. cit, p. 450. 26 CSas, notaio Catanzaro Giovanni Matteo (115), anno 1645, c. 68v. Seguono altri atti con pochi manufatti, l’inventario dei De Luca nella zona dei Pignatari: […]un bacili e un bocale di Marsia, […] basi piccole di Marsia, […] tre alti pezzi piccoli di Marsia[…] notaio Catanzaro Giovanni Matteo (115), anno 1640, c.96v; e dello stesso anno l’inventario della famiglia Lupo ai Pignatari […] dieci pezzi Faenza fra sotto Tazze e Piatti due barattoloni Faienza […]Uno marruffo e uno barattolo piccolo di Faienza […] notaio Catanzaro Giovanni Matteo (115) anno 1640, c. 88v; inventario de Ricca nel quartiere di S. Lucia: […] tre boccali Faienza, sottotazze, saliere,[…] piatti di Faienza e di Rossano menati o che si menano per la casa […] notaio Scavelli Giovanni Domenico (72), anno 1604, c. 251v; inventario di Palazzo Falvo sopra le Vergini […] cinquanta piatti e venti grandi di Faienza […] venti piatti piccoli e sei grandi Faienza […] notaio Bevacqua Carlo (104), anno 1681-1682, c. 153v. 27 CSas, notaio Conti Antonio (108), anno 1705, cc.81v-83v. 28 CSas, notaio Graziano Marco (445), anno 1725, c. 473. 29 Ibidem, c.255v. 30 CSas, notaio Martirano Luigi (509), anno 1792, c.143v. 31 CSas, notaio Pasquale Assisi (269), anno 1764, cc. 80v-83v. 32 Ibidem, anno 1768, cc. 45v-61v. 33 Ibidem, anno 1771, cc.248-262. 34 Pignate d’Insogna: Recipiente per conservare la sugna, il grasso.
35 CSas, notaio Pasquale Assisi (269), anno 1778, cc. 209-218. 36 Fiamenghi, fiamminghine, fiaminghine: piatto ovale da portata. 37 Tonni: Tondi 38 CSas, notaio Trocini Giovan Giacomo (648), anno 1772, c.185v; c.186v; c.190. 39 Esempio di come si usava lo stile cinese: […] quadri con figure alla cinese […] tondini alla cinese numero sei, quattro quadri con cornici alla cinese[…] tondini alla cinese numero sei, quattro quadri con cornici alla cinese[…] notaio Pasquale Assisi (269), anno 1767, cc. 330336. 40 Nel palazzo che la famiglia possedeva a di Soverato […] Sevizio piatti in creta di Marsia con giretti verdi chicchere in concerto e anche altre di creta di Palermo; […]due giarnette di creta della Regina con Fiori[…] ciarre di creta, due varie ordinari di creta e altre coselle di creta[…] zuppiera Faenza […] un vacile ossia fiaminghina […] notaio Sicilia Bruno (631), anno 1788, c. 243v (c.246 e 251). 41 CSas, notaio Trocini Carmelo Maria (647), anno 1793, c. 25. 42 CSas, notaio Sicilia Bruno (631), anno 1786, c.122. Altri esempi: inventario della famiglia Pascale nel quartiere di S. Andrea […]ventiquattro piatti Porcellana, cinque Bacili porcellana e altre robbe di creta[…] notaio Assisi Pietro (270), anno 1737, c.392v; inventario della famiglia Mollo residente presso la Ruga dei Gaeti, tra gli oggetti che riguardano la Cappella di famiglia si trova: […]due cannatelli di cristallo con piattini di Faienza[…] notaio Assisi Pietro (270), anno 1744, c.410; inventario dei De Chiara presso Mezzo Tumolo […] Stipo con dentro robe di creta per l’uso di cucina altro stipo con sessanta piatti, venti vacili, quattro zuppiere di porcellana ordinaria […] notaio Sicilia Bruno (631), anno 1772, c.5; inventario di proprietà del Reverendo Capalbo sita presso il ponte di S. Maria […]bacile di porcellana, zuppiere, vaso di cafè di creta fina[…] notaio Rossi Antonio (604), anno 1775, c.232; inventario dei beni del Palazzo baronale di Martino in Montegiordano […]cassa piena di vara Faenza della Terza(?)[…] notaio Rossi Antonio (604), anno 1779, c. 121. 43 CSas, notaio Scavelli (72), anno 1604, c.119v, c.225v, c.227, c.227v, c.228. 44 CSas, notaio Gaetano Martirano (506), anno 1765, c.236v. 45 Catasto Onciario: Strumento di intervento statale con lo scopo di mettere ordine e uniformità nel campo tributario e superare le difficoltà legate al vecchio sistema di rilevamento. Per approfondimenti Caravetta F., Un orto accanto alla casa, Falco Editore, Cosenza, 2007, p. 85. 46 CSas, Catasto Onciario di Cosenza, 1756, c.137. 47 Ibidem, c.141. 48 Ibidem, c.146. 49 Ibidem, c,151v. 50 Ibidem, c.158. 51 Ibidem, c.163. 52 Ibidem, c.180. 53 Gli inventari del 1800 non descrivono in dettaglio vasellame in genere quindi difficilmente si possono fare esempi, sicuramente esistevano molte fabbriche tra cui uno dei più apprezzati marchi di
vasi e piastrelle e quella della famiglia Colonnese, di cui si trova testimonianza in diverse abitazioni gentilizie di Cosenza. I Colonnese, iniziarono la loro fortuna con Salvatore Colonnese, modellatore di gesso formatosi presso la manifattura Giustiniani, nel 1830 fondò la sua fabbrica che si occupava prevalentemente di vasi da fiori e lavori ornamentali, seguiranno la fabbrica di famiglia e la sua professione i figli Francesco e Gaetano che potenzieranno l’attività con nuove macchine e tecniche di lavorazione, la testimonianza è data da un atto del 12 giugno 1841, in cui una comunicazione del Ministero e reale segreteria di stato degli affari interni concede una privativa con Regio Decreto, a Salvatore, Gaetano e Francesco Colonnese, per aver inventato una macchina che taglia e comprime i mattoni. La macchina che inventarono venne considerata la più innovativa della manifattura napoletana. Nel 1881 la fabbrica era ancora attiva, ma nel 1885 della manifattura rimane solo un magazzino per la vendita di prodotti ceramici fino ad essere rilevata. Si approfondisca su Solima M., Pavimenti Napoletani del XIX Secolo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002, pp.47-48; per quanto riguarda gli schemi e le fantasie decorative delle piastrelle si veda a p. 104 e p. 112; De Bonis M., Restare di Sasso, Amministrazione Comunale di Cosenza, 1997, p.32; CSas, Intendenza di Calabria Citra, Società economica, b. 8, fasc. 52. Sull’argomento interessante fu la Mostra su Antichi Pavimenti Napoletani delle Dimore della Calabria curata dal Dott. Guido Donatone, tenuta dal 28 novembre 1998 al 12 dicembre 1998 presso la Casa della Culture, Cosenza. Durante la Mostra furono esposte molte piastrelle delle fabbriche dei Migliuolo, dei Giustiniani, di Delle Donne, di Maiurino, di Barberio e dei Colonnese.
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Pottery, art and collecting Potteries production and artistic careers in Calabria between â&#x20AC;&#x2DC;700 and â&#x20AC;&#x2DC;900
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Ceramica, arte e collezionismo Manufatti in ceramica e carriere artistiche tra â&#x20AC;&#x2DC;700 e â&#x20AC;&#x2DC;900 in Calabria
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Art’s fruition in Cosenza between the XVII and the XVIII century: potteries and paintings Ivana Donato
The essay points out the results obtained by mapping arts collection present in Cosenza in the lapse of time that goes from the XVII to the XVIII century, a research putted in action by studying a rich corpus of legal post mortem inventories referable to nester’s and urban aristocracy and, kept near Cosenza State Archive Notarial Group. Art’s collections census, reconstruction and analysis gave back to us, fittings, potteries, paintings subjects, and also the aspects of the richest art’s collections showing how increased because of came into legacy or, vice versa, how quickly were dismembered. Lots are the collections counting besides paintings also potteries, in particular Faenza’s majolica, testifying that the taste for minor art was present also between the most important families of the town. Reviewing Cosenza’s houses and palaces permitted establishing how works of art fruition touched picked up social classes as well as pointing out kept works of art typologies and the aim pursued in collecting it.
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Il consumo d’arte a Cosenza tra XVII e XVIII secolo: materiali ceramici e dipinti Ivana Donato
Lo spoglio di un corpus di inventari legali dei beni post mortem, riferibili ad esponenti dell’aristocrazia latifondista e del patriziato urbano, depositati presso il fondo Notarile dell’Archivio di Stato di Cosenza, ha permesso di ricostruire un quadro dei gusti culturali e delle scelte artistiche dei latifondisti e patrizi cosentini tra XVII e XVIII secolo. Il censimento, la ricostruzione e l’analisi delle collezioni d’arte, condotti attraverso la sola analisi delle carte notarili – che hanno ottemperato alla funzione di valido documento storico artistico - hanno restituito allestimenti, oggetti ceramici, soggetti dei dipinti e fisionomie delle raccolte artistiche più articolate e ricche, mostrandone l’incremento nel corso dei passaggi ereditari o, viceversa, il repentino smembramento1. Numerose sono le collezioni che annoverano oltre ai dipinti di vari soggetti anche le ceramiche, le «maioliche di Faienza» la cui presenza negli inventari topografici è per lo più registrata nelle sale di rappresentanza dei palazzi cosentini, a testimonianza del fatto che un certo gusto per l’arte minore era diffuso tra i maggiori esponenti nobiliari della città. L’uso frequente della definizione «maiolica di Faienza» conferma la diffusione della candida maiolica faentina anche nelle province del Regno di Napoli, dove iniziarono facilmente a circolare in quanto dalla metà del XVI secolo furono importate a Napoli maioliche compendiarie di Faenza, eseguite per lo più nella bottega del maiolicaro Francesco Mezzarisa2. Le maioliche quindi dalla seconda metà del XVI e in tutto il XVII secolo si diffusero dall’Europa centrale al Sud Italia. Negli inventari analizzati sono rintracciabili anche oggetti di terracotta di Rossano, provenienti evidentemente dalla fabbrica rossanese dove fin dalla seconda metà del XVI è documentata la produzione di oggetti ceramici maiolicati. Gabriele Barrio nel suo De antiquitate et situ Calabriae stampato nel 1571 ricorda che in diciotto paesi calabresi si fabbricavano non solo ceramiche comuni di uso quotidiano ma anche quelle di maggior pregio per le famiglie nobiliari. Nonostante l’arretratezza culturale e sociale in cui versavano le province del Viceregno spagnolo, i membri più avveduti dell’aristocrazia latifondista e del patriziato cittadino non disdegnavano di dedicarsi alla pratica collezionistica, considerata anche in periferia un efficace strumento di autocelebrazione sociale. L’analisi degli inventari dei beni post mortem ha permesso di tracciare la mappa del consumo d’arte a Cosenza e di ipotizzare l’intento perseguito nell’accumulo delle opere d’arte, tanto da poter supporre che l’acquisto degli oggetti d’arte avesse intenti collezionistici motivati da una consapevolezza culturale o più frequentemente intenti puramente decorativi e di ostentazione sociale. L’analisi della diffusione artistica e del consumo d’arte in Calabria fra XVII e XVIII secolo deve tener conto del contesto sociale ed economico che l’ha generata. La ricchezza economica interessava a fasi alterne l’aristocrazia feudataria e il patriziato cittadino, i cui rappresentanti sono gli unici a essere citati negli inventari come possessori di dipinti e di altri beni di lusso, a eccezione di qualche presenza borghese. Il fenomeno collezionistico diventò più complesso e diffuso dalla metà del XVII secolo in poi, in concomitanza con la disintegrazione dei grandi patrimoni feudali e la conseguente nascita di una miriade di signorie, che favorì l’incremento dell’attività edilizia di palazzi e ville nobiliari sia in città che nei feudi. La scelta di indagare il periodo a cavallo tra Seicento e Settecento è legata alla nascita di tale fenomeno politico e sociale generato dall’indebitamento delle grandi famiglie latifondiste dal XVI secolo in poi a causa della rivoluzione dei prezzi che portò, tra Seicento e Settecento, alla vendita di corpose porzioni di feudi (ad esempio Carafa
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e Sanseverino) dai quali nacquero decine di signorie. Questo fenomeno sociale incrementò la costruzione, dentro e fuori la città di Cosenza, di palazzi e di residenze aristocratiche e patrizie e la formazione di raccolte d’arte che diventarono assieme al feudo sul quale sorgevano simbolo di potere e prestigio sociale3. Le raccolte d’arte dell’aristocrazia latifondista Dalle raccolte rintracciate emerge un interessante intreccio di ceramiche e dipinti per lo più disposti negli ambienti di rappresentanza dei palazzi cosentini: nell’anticamera alla sala e nella sala. E’ ipotizzabile che le motivazioni che spinsero l’aristocrazia latifondista ad acquistare dipinti e «maioliche di faenza» fossero differenti a seconda dei casi. Ad esempio, è probabile che Gerolamo Sersale, Principe di Castelfranco si dedicasse alla pratica collezionistica supportato da intenti culturali e allo stesso tempo encomiastici, la sua raccolta infatti annovera ritratti degli avi e di regnanti spagnoli, dipinti di soggetto letterario, storico e veterotestamentario, piatti, vasi, boccali di Faenza. L’accumulo di dipinti e di oggetti d’arte applicata poteva fungere, assieme all’acquisto dei titoli nobiliari, da strumento visivo per l’ostentazione della ricchezza e dello status sociale raggiunti dall’aristocrazia feudale e dal patriziato urbano4. Si sono inoltre rintracciati casi in cui i dipinti e le ceramiche assursero a ruolo decorativo e di arredo all’interno del palazzo, come nel caso esaminato più avanti di Salvatore Toscano. Inoltre, dall’analisi degli inventari si può ipotizzare che in almeno 5 casi la presenza di dipinti dai soggetti letterari e mitologici potesse derivare da un approccio collezionistico sistematico e consapevole. In ragione di ciò, rivestono un ruolo importante gli inventari che registrano accanto ai quadri «ordinari» anche soggetti mitologici e biblici, spia del livello intellettuale del collezionista. Nello scorrere gli elenchi dei beni ci imbattiamo, ad esempio, in Gerolamo Sersale5, principe di Castelfranco, che nel 1687 possedeva una cospicua collezione di dipinti, formata da 92 pezzi, collocata nel palazzo di Cerisano, composta in prevalenza da soggetti devozionali e ritratti, accanto ai quali però trovavano spazio anche le tele dalle tematiche letterarie, classiche e veterotestamentarie che farebbero supporre un intento collezionistico da parte del principe: Trionfo di David, «Istoria di Eliseo», «Giudicio di Salomone», «istoria di Muzio Scevolo», «istoria di Ciro», «l’istoria di Sisara», «un altro quadro grande co la pittura et effiggie di guerra», «un altro consimile con la musica», «due quadri grandi uno co l’istoria del giudizio et l’altro co l’effiggie della peste fame e guerra», il Trionfo di Bacco, «l’istoria di Lott hebbro». La presenza di soggetti allegorici, storici e mitologici, poco diffusi fra i nobili cosentini, è una spia degli interessi culturali di Gerolamo, che possedeva anche una libreria ben fornita di testi di letteratura classica e di storia antica e contemporanea. L’inventario topografico non manca di citare la presenza, sui mobili intarsiati delle sale del palazzo, di oggetti di ceramica di «faienza», espressione usata di frequente dai notai cosentini per indicare la qualità più elevata della ceramica, distinguendola spesso da quella ordinaria destinata all’uso quotidiano e rintracciabile nella «camera da cocina». Il mercato delle ceramiche fini da tavola era dominato dalle smaltate campane, liguri, abruzzesi di importazione per lungo tempo accessibili solo alla nobiltà e agli istituti ecclesiastici. Un altro esponente dell’aristocrazia latifondista dedito alla pratica collezionistica, come farebbero supporre le opere veterotestamentarie e mitologiche, era Don Gio Batta Rota6, barone del feudo di Belvedere Malapezza e Zinga, che nel 1689 lasciava agli eredi solo 10 dipinti ma dal soggetto interessante, tra cui si ricordano i cinque di «palmi sette e cinque» raffiguranti il «Bagnio di Diana», «l’istoria del viaggio di Rachaele» e la «figura del Rè Saulle» tutti «di mano di Carlo Rosa», uno dei principali pittori pugliesi del Seicento, esponente della «scuola bitontina», attivo anche a Napoli e a Roma7. L’intento collezionistico di Don Gio Batta lo si può ravvisare anche nel carattere di ciclo che sembrano formare i cinque dipinti raffiguranti Diana al bagno. L’arredo della sala di rappresentanza era arricchito da paramenti in velluto alle pareti e mobili intarsiati sui quali ancora una volta il notaio registra la presenza di piatti di rappresentanza definiti «reali» senza specificarne la tecnica di produzione. L’inventario del 1703 di Filippo Cavalcanti8, barone della Rota, nell’anno della sua morte an-
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noverava circa 100 dipinti tra santi, immagini di devozione, nature morte, paesaggi, ritratti, ma anche soggetti ricercati spia di una probabile passione letteraria, come testimoniano le storie tratte dalla «Minta del Tasso», «un quadro vecchio con Sansone», David e Betsabea; Sansone e Dalila9. Dall’analisi dell’inventario del barone Filippo possiamo ipotizzare che la massiccia circolazione di tele manieriste nelle chiese calabresi fra XVI e XVII secolo influenzò anche i gusti della committenza privata. Nell’inventario di Filippo Cavalcanti, infatti, sono registrate 3 tele sacre attribuite a Daniele Russo, seguace di Ippolito Borghese, ovvero di «un quadro co Santa Rosa; un altro con l’imagine della Madonna e S. Catarina; un altro con la schiodatione di Giesù Cristo». Russo aveva realizzato alcune tele per la chiesa di San Francesco d’Assisi di Cosenza allineatasi ai dettami controriformistici e aveva lavorato per altri committenti religiosi locali diffondendo la sua maniera attardata anche tra i committenti privati. Interessante è la collezione di ceramiche esposte nella sala del palazzo: il notaio Arcucci, accanto a candelabri d’argento e mobili intarsiati, registra «quattro fiori grandi, quattro statuette con fiori […] quattro fiori indorati […] due cannestri ovali con l’Arme, due altri cannestri tondi senz’armi […] una profumiera» e alcuni piatti «reali». La collocazione delle figurine plastiche e degli altri oggetti nella sala di rappresentanza, dove erano esposti anche i dipinti, e l’uso dell’aggettivo «reale» fanno supporre che gli oggetti d’arte fossero parte integrante dell’arredamento della sala, e in quanto tali acquistano un valore proprio come documenti del gusto raffinato della famiglia Cavalcanti. Giuseppe Cavalcanti10, barone di Sartano, nel suo palazzo cosentino posto nel quartiere della Giostra Vecchia lasciava nel 1705 una collezione di 100 dipinti. I soggetti erano in prevalenza devozionali oltre ai ritratti della famiglia Cavalcanti, collocati nella sala secondo una logica encomiastica accanto ai ritratti dei regnanti spagnoli Carlo II re di Napoli e di Sicilia e Filippo V, primo re di Spagna della dinastia dei Borbone. L’allestimento della sala, basato certamente su intenti autocelebrativi, dove erano radunati tutti i ritratti della collezione, aveva una funzione encomiastica della casata imperiale di Spagna, dalla quale la famiglia Cavalcanti aveva ottenuto prestigiosi riconoscimenti politici e titoli nobiliari. Anche in questo caso l’allestimento della sala era completato da oggetti di «terracotta» disposti sui mobili intarsiati di cui però il notaio non fornisce alcuna descrizione. Vista la collocazione si può ipotizzare che svolgessero una funzione primaria di arredo e che fossero per questo di elevata manifattura. L’unica opera di carattere mitologico annotata nell’elenco dei beni è un «quadretto di un palmo e mezzo, sop.a cristallo con cornice indorata, co ninfe», che nel contesto culturale del collezionismo privato calabrese denota un gusto ricercato e non popolare, così come il dipinto con la rappresentazione delle «quattro virtù cardinali». E’ interessante notare che i quattro quadri «di palmi sei l’uno» con le virtù umane - prudenza, giustizia, fortezza, temperanza - simbolo di una condotta di vita basata sul bene, sulla fede e sulla ragione erano collocati secondo una logica encomiastica accanto al ritratto di Filippo V. Il numero elevato di dipinti elencati negli inventari degli esponenti dei diversi rami della famiglia Cavalcanti fa supporre che alla base dell’accumulo delle opere d’arte ci fosse una chiara intenzione collezionistica, un’ipotesi avvalorata dalla presenza oltre che di soggetti devozionali, anche di soggetti mitologici e letterari che denotano una scelta delle tele dettata da gusti culturali ben precisi. Del resto, lo spoglio inventariale dimostra che l’accumulo delle opere ricercate per soggetto era una condizione imprescindibile per la formazione di una quadreria che potesse fungere da specchio degli interessi culturali e dello status sociale del proprietario. Fra gli aristocratici aperti alla pratica collezionistica va segnalato anche Francesco Guzzolini, barone di Cervicati, esponente di famiglia di feudatari con palazzi in Cosenza e nei feudi di pertinenza. Gli inventari dei membri della famiglia attestano che dalla fine del XVII secolo i Guzzolini incrementarono gradualmente il numero e la qualità dei quadri acquistati, in connessione alle fortune politiche ed economiche dei membri della casata11. È senza dubbio uno degli allestimenti più opulenti dell’epoca rintracciati nei palazzi nobiliari cosentini: nel 1736 i dipinti nel Palazzo cosentino di S. Andrea erano 173, di cui 22 attribuiti al fiammingo Borremans; l’inventario elenca anche statue devozionali di marmo, paramenti di damasco riccamente decorati, specchi intaglia-
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ti, mobili intarsiati e suppellettile d’argento. Tra gli oggetti di «terracotta» si registra in particolare un presepe collocato su un «boffettino piccolo» nella sala da studio di Guzzolini. Tali figure presepiali erano molto diffuse nei palazzi cosentini e lasciano supporre una funzione oltre che di arredo anche devozionale. Le collezioni Guzzolini annoveravano, come annotato dal notaio Assisi nel 1727, anche «porcellane di Boemia», dunque la raccolta di oggetti d’arte di famiglia era il riflesso di una corrente di gusto aggiornata. Tra le casate che si dedicarono in maniera sistematica alla costituzione di una quadreria e all’accumulo di oggetti ceramici va ricordata anche la famiglia Sersale, principi di Castelfranco e duchi di Cerisano. I documenti notarili attestano sin dalla prima metà del XVII secolo il possesso di dipinti dai soggetti raffinati raffiguranti una «Sosanna», «Lot», «istorie antique consistenti in sei quadri grandi et quatro consimili del testam.to vechio» e oggetti di Faenza, tra cui vasi e piatti tutti registrati nel palazzo cosentino dall’inventario del 163912. Anche il Castello Sersale sorto sul feudo di Cerisano, come attesta l’inventario del 1639 di Orazio Sersale, era arredato con 73 dipinti devozionali, battaglie, nature morte e ritratti che, alla metà del XVII secolo, probabilmente furono spostati in parte nel Palazzo di Lauria, contea lucana sotto il dominio dei Baroni Exarques, quando il principe Annibale sposò Eleonora Exargues, signora della terra di Lauria. Nelle stanze del palazzo calabrese rimasero comunque 185 quadri, come registrato dall’inventario del 1659 di Annibale Sersale Juniore13, tra cui dipinti di grandi dimensioni raffiguranti Il profeta Zaccaria, i «fatti di Mutio Scevola», Il sacrificio di Isacco, L’allegoria dei vizi, Salomè con la testa del Battista, Giaele e Sisara, Il giudizio di Salomone, Loth e le figlie. Inoltre, l’inventario del 1659 documenta un consistente nucleo di nature morte, circa 70, genericamente definite «di fiori», che proprio per l’elevato numero farebbero pensare ad un preciso progetto collezionistico da parte di Annibale per un genere pittorico che a Napoli aveva già conquistato un posto di eccellenza nelle dimore della borghesia e fra i collezionisti dell’aristocrazia terriera14. L’incremento del numero di nature morte si ebbe fra il 1639 e il 1659, quando da «dudici quadretti de diversi fioretti co le cornici indorate», come si evince dall’inventario del 1639, si passò a circa 70 quadri di fiori. Il carattere di corpus parrebbe confermato dal fatto che già alla fine del Seicento l’ingente gruppo di dipinti sparisce in blocco dagli inventari dei beni degli eredi di Annibale (inventario post mortem 1687 di Gerolamo Sersale, inventario dei beni post mortem del 1693 di Antonio Sersale, inventario post mortem del 1695 di Domenico Sersale), forse perché venduto o appunto trasferito come blocco unico nel palazzo napoletano di famiglia. Rimane invece invariato il corpus di oggetti d’arte di ceramica sia nella consistenza che nella tipologia: piatti e vasi di ceramica collocati in bella vista su mobili di legno lavorato. L’inventario dei beni del 1687 del figlio di Annibale, Gerolamo Sersale15, registra un incremento della collezione, composta di 85 quadri circa, fra vecchi e nuovi soggetti, smembrata del nucleo di «fiori» ma arricchita di nuove tele: la Storia di Ciro, tre quadretti di piccole dimensioni con Venere e le ninfe, un grande Trionfo di Bacco, alcuni paesaggi, ritratti di antenati, l’effige della fama, peste e guerra, le storie di Eliseo, di Salomone e Zaccaria. In tutti gli inventari citati della famiglia Sersale sono annoverati negli ambienti di rappresentanza all’interno di mobili intarsiati con vetrine «piatti reali» e piatti di diverse misure con lavorazioni in oro. Si tratta di ceramiche esposte solitamente nella sala del palazzo, che si differenziano nettamente per il carattere di rappresentanza dai piatti «ordinari» collocati nei «cassoni» e negli armadi presenti invece nelle cucine, come annotato dai notai che negli anni hanno registrato i vari passaggi ereditari tra i membri della famiglia. Intenti devozionali sono rintracciabili nella raccolta di un’altra famiglia di feudatari, i Toscano, appartenenti alla seconda piazza dei nobili di Cosenza, che nel 1695 esibivano nel palazzo di città una quadreria di 77 opere, quasi tutte di soggetto sacro che lasciano ipotizzare intenti devozionali e di arredo. Il nucleo più cospicuo di dipinti e stampe era collocato nella Sala dove era esposta una galleria di santi e di effigi di Madonne legate al culto locale: San Francesco di Paola, San Domenico Suriano, S. Nicola di Bari, San Nicola da Tolentino, la Madonna della Neve, la Madonna delle Grazie e una serie di immagini dell’Annunciazione e dell’ascesa al cielo della Vergine. Interessanti, per tecnica esecutiva, dovevano risultare le raffigurazioni di santi «sopra taffità», incorniciate ed esposte ac-
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canto alle figure di «pergameno» e ai quadretti di rame16. L’inventario topografico non manca di annoverare nella sala di rappresentanza del palazzo diverse «ceramiche di Faienza» collocate su «boffetti» dorati e intarsiati, che ripropongono un gusto per la ceramica di qualità, molto diffuso tra la nobiltà calabrese del periodo. In generale, dall’analisi degli inventari emerge che le raccolte dell’aristocrazia latifondista erano costruite secondo intenti differenti. Le quadrerie con soggetti mitologici, letterari, veterotestamentari e ritratti erano lo specchio del livello culturale del proprietario, che si dedicava consapevolmente alla pratica collezionistica, spesso legando l’interesse culturale all’esigenza di celebrazione sociale. Le raccolte di soggetti sacri erano al contrario costruite con intenti devozionali ai quali erano coniugate le esigenze decorative e di arredo. Tra i soggetti emerge una netta predilezione per i paesaggi e le nature morte, per i ritratti, per le raffigurazioni di Madonne e santi della tradizione cultuale locale, per i soggetti veterotestamentari e letterari e, in qualche caso, per i quadri mitologici con Venere, Diana e Bacco. Nella maggior parte delle raccolte non mancano statuette, piatti di varie fogge, bacili, salsiere, tazze, scodelle, caffettiere e vasi di ceramica di «faienza» di cui in qualche caso i notai registrano seppur frettolosamente i preziosi decori in oro. La diffusione delle arti minori aveva senza dubbio intenti di arredo e di autocelebrazione nei casi in cui sugli oggetti era impressa l’arme della casata. La presenza di presepi, collocati soprattutto nelle camere da letto e negli studi, indica intenti devozionali e allo stesso tempo decorativi. Le fonti del XVII secolo attestano quali importanti centri di produzione di ceramica Rossano e Corigliano, registrando allo stesso tempo come luogo di produzione anche Mursia in Spagna. Non sono rari infatti negli inventari i riferimenti alla ceramica di «Marsia», come nel caso dell’inventario di Santo Pascale, maestro di Camera della Reggia Udienza che possedeva: «[…] bacile di Marsia […] tre piatti grandi di Marsia […] sottotazze di Marsia […] boccali di faienza […] pignate di creta». Gli oggetti ceramici da esposizione erano collocati per lo più su mobili intarsiati, tra cui anche credenze, nella sala e nell’anticamera alla sala. Se nel Seicento gli inventari registrano tazze e caffettiere di faenza, salsiere, scodelle, piatti e zuppiere, nel Settecento la tipologia di forme cambia. I notai cosentini infatti descrivono zuppiere con coperchio, vasi con coperchio, bianche di creta di Palermo, «chicchere» con piattini e zuccheriera, fiamminghe, insalatiere che in qualche caso risultano impreziosite da decorazioni e «menature d’oro». Da precedenti studi risulta che a Palermo nel 1491 era attiva la bottega di un ceramista calabrese, Nicola da Cusentia, a testimonianza dell’esistenza di maestranze cosentine17. Le raccolte d’arte del patriziato cittadino I rappresentanti dell’aristocrazia feudale non erano i soli a possedere corpose collezioni: dall’analisi degli inventari emerge infatti che anche i rappresentanti del patriziato urbano si dedicavano all’acquisto e all’accumulo di opere d’arte. Il patriziato cittadino era formato da nobili che pur possedendo latifondi si dedicavano esclusivamente all’amministrazione burocratica dell’Università di Cosenza e percepivano solo i proventi derivati dai feudi dati in affitto. Dallo spoglio dei 156 inventari legali sono stati rintracciati circa 60 inventari dei beni appartenenti ad esponenti del patriziato urbano, che descrivono in media 70 dipinti per raccolta. Le opere erano collocate nell’anticamera alla sala, nella sala, nell’anticamera alla camera da letto, nella camera da letto e nello studio. Le motivazioni che spronavano all’acquisto dei quadri sono diverse a seconda dei casi analizzati, ma tutte riconducibili a tre tipologie: intenti di celebrazione sociale (inventario Pompeo Sambiase, 1677), di arredo (inventario Giuseppe De Perri, 1690; inventario Saverio Cavalcanti, 1710) e di collezionismo intenzionale (inventario Emanuele Mollo, 1743; inventario Giuseppe Greco, 1748). Fra gli esponenti della nobiltà cittadina di Cosenza dediti al collezionismo intenzionale, come si deduce dai soggetti dei dipinti posseduti, va segnalata la famiglia Sambiase18, che occupava un ruolo politico importante in città per aver esercitato il diritto di eleggere ed essere eletta alle cariche pubbliche. I Sambiase preferirono rivestire cariche governative a Cosenza ed impegnarsi
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nell’amministrazione dell’alta burocrazia statale, nonostante fossero proprietari di possedimenti fondiari concentrati nel territorio dell’Alto Tirreno cosentino ai confini con la Basilicata. La famiglia nel 1677 possedeva 78 dipinti circa, collocati nella sala e nelle anticamere del palazzo: «dodici quadri di sala co li ritratti delli imperatori antichi», Storie di Loth, una tavola di piccole dimensioni della Madonna, Storie della Passione di Cristo (Ultima Cena, Orazione nell’orto, Flagellazione, Salita al Calvario, Crocifissione, Compianto su Cristo morto), due scene di battaglia su pietra di piccole dimensioni, santi, paesaggi. Oltre ai quadri, l’inventario registra i tanti mobili intarsiati e laminati d’argento, i tappeti, gli specchi dorati, gli oggetti d’argento e un discreto numero di ceramiche di «Faienza», tra piatti e bacili. La famiglia De Perri vantava anch’essa una cospicua quadreria, formata da 85 quadri, periziata nel 1690 alla morte di Giuseppe De Perri19. L’inventario legale fornisce una descrizione dettagliata del palazzo del quartiere Li Paludisi, elencando i beni mobili presenti nell’anticamera alla sala, nella sala, nella camera da letto. L’arredamento è sontuoso: mobili intarsiati, cortine decorate alle pareti, specchi, tappeti, oggetti d’argento e ceramiche di Faenza, una biblioteca composta di libri di legge, letteratura latina, storia romana, letteratura sacra. I dipinti sparsi per il palazzo erano per lo più di carattere devozionale; il nucleo più consistente, 42 pezzi, era collocato, secondo una funzione puramente decorativa e di arredo, nell’anticamera alla sala dove sono registrati anche otto «paesi». Gli altri dipinti della raccolta, di cui l’inventario non fornisce una descrizione del soggetto, erano collocati nelle camere da letto del palazzo dove si registrano anche alcuni presepi di terracotta. Un altro nucleo di dipinti da segnalare per consistenza apparteneva a Giuseppe Greco20, esponente di una nobile famiglia del patriziato cittadino inclusa nella seconda piazza del Sedile dei Nobili. Secondo quanto registrato dal notaio Assisi nel 1748, il palazzo dell’antico quartiere della Giostra vecchia custodiva un’interessante raccolta d’arte di reliquiari d’argento e pietre preziose, oggetti d’argento che denoterebbero un interesse particolare per gli oggetti preziosi, scarabattoli di vetro con dentro una Sacra Conversazione in terracotta, e un piccolo corpus di dipinti per lo più di soggetto sacro sparsi nelle camere del palazzo. Oltre ai santi e alle Madonne, l’elenco dei beni annovera 15 dipinti con «la pittura di paesaggi e uccelli», 6 con fiori e frutti e diversi ritratti di antenati di famiglia. In cucina si registrano «cascioni» dove venivano conservati gli oggetti di creta ad uso quotidiano. Nel complesso, dallo spoglio delle carte inventariali emerge un alto livello di benessere economico, che non era però diffuso in maniera capillare fra tutti i membri del patriziato urbano calabrese. In alcuni casi il consumo d’arte era molto contenuto e si rivolgeva soprattutto a dipinti devozionali ordinari raffiguranti santi (San Francesco d’Assisi, San Francesco di Paola, San Domenico, Santa Barbara, Sant’Antonio), Madonne con Bambino (Madonna del Carmine, Madonna del Pilerio, Madonna di Costantinopoli), paesaggi e nature morte che avevano una funzione essenzialmente di arredo. Basta scorrere gli inventari dei beni per notare che molte famiglie patrizie, specialmente quelle di minor peso politico e sociale, possedevano pochi quadri, spesso di carta («di pergameno»), di piccole dimensioni che riproducevano santi locali, Madonne e storie del Vecchio Testamento usati in luogo dei dipinti per decorare le dimore nobiliari. Il novero di dipinti modesti per dimensioni è spesso associato alla presenza di «corami» o più frequentemente di cortine di damasco e velluto, che nel XVII e nel XVIII secolo erano ancora utilizzati in Calabria per allestire le stanze di rappresentanza dei palazzi. A differenza delle raccolte dell’aristocrazia feudale, quelle patrizie annoverano le vedute di città e le carte geografiche, mentre i soggetti devozionali (Madonne locali, santi, scene del Nuovo e dell’Antico Testamento), le nature morte (fiori, frutti), i paesaggi e i ritratti degli antenati e dei regnanti spagnoli sono presenti in entrambi i gruppi sociali. Meno marcate invece sono le differenze di gusto tra nobiltà e patriziato per quanto riguarda la circolazione degli oggetti in ceramica. Anche fra il patriziato è diffuso l’uso di ceramiche d’arredo collocate per lo più sui mobili intarsiati delle sale e delle stanze di rappresentanza dei palazzi. L’assenza di descrizioni particolareggiate non ci permette di ricostruire l’iconografia delle tante statuette di terracotta che sono registrate dai notai cosentini. In qualche caso si fa riferimento alla
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provenienza dei patti, vasi, insalatiere, zuppiere, richiamando la fabbrica di Rossano e soprattutto quella di Faenza. È probabile che la committenza nobiliare, così come quella patrizia, si rivolgesse in prevalenza ai luoghi di produzione più importanti extra regionali visto l’uso decorativo e la funzione di ostentazione sociale svolta dai pezzi ceramici più prestigiosi, mentre le maestranze locali assolvevano con più probabilità alla funzione di centri di produzione di ceramica di uso quotidiano di cui dal Settecento in poi si registrano diversi pezzi collocati negli stipi delle cucine.
1 Per un’analisi dei criteri espositivi diffusi tra le famiglie nobili cosentine cfr. Donato I., Il consumo d’arte a Cosenza tra XVII e XVIII secolo, in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, anno LXXVII, pp. 107-131. Per una ricognizione dettagliata sulla diffusione e sulla consistenza delle raccolte d’arte private nella Calabria Citeriore si veda Donato I., Raccolte d’arte a Cosenza e in Calabria Citra: inventari legali 1650-1750, in “Polittico. Studi della Scuola di Specializzazione e del Dottorato di Ricerca in Storia delle Arti Visive e dello Spettacolo dell’Università di Pisa”, 2012, pp. 97-118. 2 Donatone G., La maiolica napoletana dell’età barocca, Roma – Benevento, 1974. 3 Placanica A., La Calabria del Sei-Settecento: economia, società, cultura in Atlante del Barocco in Italia. Calabria, a cura di R.M. Cagliostro, Roma 2002, pp. 9-26. 4 Sambiasi G., Ragguaglio di Cosenza e di trent’una sue nobili famiglie, Bologna, 1969; Martire D., La Calabria Sacra e Profana, ms XVIII secolo, Archivio di Stato di Cosenza, ed. parz. Tipografia Migliaccio, Cosenza, 1876-1878, (ristampa anastatica Roma, 1973); Andreotti D., Storia dei Cosentini, Cosenza, 1978; Palmieri L., Cosenza e le sue famiglie attraverso testi, atti e manoscritti, Cosenza, 1999. 5 Inventario di Gerolamo Sersale, 1687, ASCS
– Notarile, Notaio Clausi Giovanni Giacomo. 6 Inventario di Gio Batta Rota, 1689, ASCS – Notarile, Notaio Clausi Giovanni Giacomo. 7 Abbate F., Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, ROMA 2001, pp. 194-195. 8 Sull’attività in Calabria di Daniele Russo si rimanda a Leone G., Di alcune immagini della Beata Vergine Maria nell’attuale Diocesi di Cassano allo Jonio, Paola 1999; Idem, Luci e ombre. Alcune riflessioni storiografiche e storico-artistiche sulla cosiddetta “Scuola di Monteleone”. Disegni dal XVII al XIX secolo, a cura di C. Carlino, Soveria Mannelli, 2001, pp. 55 sgg. 9 Inventario di Filippo Cavalcanti, 1703, ASCS – Notarile, Notaio Arcucci Muzio. 10 Inventario di Giuseppe Cavalcanti, 1705, ASCS – Notarile, Notaio Conti Antonio. 11 Per l’incremento della collezione Guzzolini si confrontino: inventario di Bernardo Guzzolini, 1694, ASCS – Notarile, Notaio Infante Gaetano; inventario di Giacinto Guzzolini, 1727, ASCS – Notarile, Notaio Assisi Pietro; inventario di Francesco Guzzolini, 1736, ASCS – Notarile, Notaio Assisi Pietro. 12 Inventario di Orazio Sersale, 1639, ASCS – Notarile, Notaio Arnone Vito Antonio. 13 Inventario di Annibale Sersale 1659, ASCS – Notarile, Notaio Tavernese Gio Batta.
14 Labrot G., Collections of paintings in Naples: 1600-1780, Munich 1992. 15 Inventario di Gerolamo Sersale, 1687, ASCS – Notarile, Notaio Clausi Giovanni Giacomo. 16 Inventario di Salvatore Toscano, 1695, ASCS – Notarile, Notaio Conti Antonio. 17 Donatone G., A proposito della ceramica calabrese, in “Quaderno del Centro Studi per la Storia della Ceramica Meridionale”, pp. 67-71. 18 Inventario di Pompeo Sambiase, 1677, ASCS – Notarile, Notaio Crocco Giacinto. 19 Inventario di Giuseppe De Perri, 1690, ASCS – Notarile, Notaio Conti Antonio. 20 Inventario di Giuseppe Greco, 1748, ASCS – Notarile, Notaio Assisi Pietro.
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For a history of Calabrian Nineteenth century pottery. The cases of Andrea Cefaly and Giuseppe Costanzo Manuela Alessia Pisano
In the varied Nineteenth century italian artistic framework, the field of pottery works as limus paper useful to investigate on impacts and results of the widespread industrialization process already started elsewhere. The stunning growth of the industrial and artistic activity, interpreted under its different aspects, causes an intense debate on the relation between artisan tradition, art and industry. It’s inevitable underlining that applied arts’ relaunch is substantiated in the theoretical resuming expression of “useful and beautiful” pointing out the need of functionality clearly joined with the recognized esthetical value of the object. Through a brief excursus on the theories spread all over the century, on the most important exponents who promoted the cultural turmoil, on institutions and structures that arose in the clear awareness of coeval crisis and in the rush for the industrial renewal, it is possible to analyze the Italian, Southern Italy and above all Calabria’s situation, offering an overview of some between the most important episodes concerning artistic production in the field of pottery: the Royal Factory of Capodimonte Porcelain (1743-59), the footnote represented by the Royal Factory of majolicas of Caserta (1753-1756) and the Royal Fabric Ferdinandea (1771-1806), the activity of entrepreneurs like Del Vecchio, Giustiniani, Colonnese, Migliuolo and, going on in time, the activity of entrepreneurs such as Mollica, Cacciapuoti, the Mosca brothers and the Campagna. Emblem of the recognized industrial culture growing importance, on which the national economic development should have ground on, is the rising of many schools of art applied to industry and Industries Museums. The opening of the Neapolitan M.A.I (Artistic Industrial Museum) with its school workshops, in 1882 and unspeakably tied to the names of Demetrio Salazar, Gaetano Filangeri, Domenico Morelli and Filippo Palizzi, can be fully placed in this atmosphere. Expression of the deep relation between artist, context and coeval culture are Andrea Cefaly and also Giuseppe Costanzo pottery productions. This essay examines an artistic production fruit of the direct and documented relation with the neapolitan places where the two artists both, born in Lamezia, lived and worked for sometime. On one hand is analyzed Cefaly’s activity and Cortale’s pedagogic experiment, school of art and, at the same time, socio-cultural breeding ground around which circled a series of personalities who’s involvement in the industrial culture is clear, until arriving to the realization of majolicas and porcelains attributable to Cefaly’s advanced artistic path. On the other hand there’s the examination of a “minor” experience: Costanzo’s production, of whom is also presented a brief biographical profile. The essay recreates, through remarkable documents, many unpublished, the story of the small but important factory opened in Nicastro in 1886.
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Per una storia della ceramica dell’Ottocento in Calabria I casi di Andrea Cefaly e Giuseppe Costanzo Manuela Alessia Pisano
Il contesto Nel corso dell’Ottocento il settore ceramico assume nuova importanza connesso com’è al dibattito intorno al rapporto tra tradizione artigiana, arte ed industria. È il secolo della ceramica per la borghesia, i cui gusti influenzano il naturale sviluppo e aggiornamento di modelli e decori senza essere esenti dalle mode e novità tecnologiche che incalzano fuori dall’Italia. Un’indagine sul territorio della Calabria non può che partire dal contesto più ampio di riferimento e, perciò, da una riflessione sull’impatto e sugli esiti del dilagante processo di industrializzazione già in atto altrove. Saranno esaminati due casi-studio rappresentativi: Andrea Cefaly senior (18271907) e la produzione di ceramica dipinta e Giuseppe Costanzo (18481-?), esperienza ‘minore’ ma non meno significativa, di cui si traccia anche un breve profilo. Il saggio ricostruisce i pregressi e la vicenda costruttiva del, seppur modesto, opificio ceramico Costanzo impiantato a Nicastro nel 18862. Nelle province del Regno di Napoli un primo tentativo di industrializzazione venne portato avanti dai Borbone sin nella seconda metà del Settecento. L’articolato programma di riforme e provvedimenti concepito dagli illuminati monarchi per risollevare le sorti economico-sociali del Regno interessò svariati settori (archeologico, architettonico, urbanistico, agricolo, commerciale). La spinta propulsiva verso l’affermazione e lo sviluppo delle arti minori, come continuavano ad essere qualificate a quella data, acquisì una rilevanza particolarmente significativa. La Real Fabbrica degli Arazzi di Napoli (1737- 1806), il Laboratorio delle Pietre Dure a San Carlo alle Mortelle (1737- 1861), la Cristalleria di Castellamare (1746-1748), la Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata (1757-1857) poi trasferita a Scafati, la Manifattura degli Acciai (1782-1806), la Real Colonia di tessuti di San Leucio (1789-1862) che dava seguito alla Fabbrica delle Sete già impiantata a San Carlo alle Mortelle, sono alcuni tra i più notevoli episodi di manifattura artistica su cui si poggia la linea riformatrice carolina e ferdinandea. Sempre a Carlo III di Borbone e Ferdinando IV si deve l’impianto della Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte (1743-59), della brevissima parentesi della Real Fabbrica delle maioliche a Caserta (1753-1756) e della Real Fabbrica Ferdinandea (1771-1806)3, all’ombra dei quali si formarono valenti artisti e tecnici destinati a raccogliere l’eredità di un apprezzato passato e a dargli seguito mettendo a profitto quelle tendenze innovatrici che stavano investendo il settore. Lo slancio ‘industriale’ della capitale partenopea fu all’origine della veloce ripresa economica in grado di reggere la concorrenza con affermate realtà europee quali Londra e Parigi. Già dal secondo decennio dell’Ottocento ad una sempre più stanca produzione di porcellana si affiancò quella della terraglia all’’uso inglese’, largamente apprezzata dalla media e alta borghesia napoletana. Accanto alle popolari fabbriche dei Del Vecchio e dei Giustiniani, che davano seguito alla tradizione delle manifatture reali, sorsero numerosi altri opifici il cui nome si lega a quello di moderni imprenditori napoletani come i Colonnese, i Migliuolo che ad un certo momento si unirono ai Giustiniani e, più avanti nei decenni, i Mollica, i Cacciapuoti, i fratelli Mosca, i Campagna. A dispetto di questa elevata concentrazione di attività manifatturiere ciò che si percepisce distintamente all’indomani dell’unificazione nazionale è un’eccessiva rigidità di sistema che rivela un certo provincialismo e la difficoltà di adeguarsi al mercato
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internazionale. Le già ricordate officine dei Giustiniani (1848) e dei Del Vecchio (1855 ca), per citare gli esempi maggiori, avevano chiuso definitivamente i battenti ma, ciò che fu assai peggio, i rapidi cambiamenti socio-economici cui si assisteva, in specie il passaggio al regime liberistico, innescarono un processo di indebolimento dell’industria meridionale tale da minare alla radice del processo di modernizzazione faticosamente intrapreso. Conditio sine qua non per l’effettivo raggiungimento di un adeguato sviluppo tecnologico, indispensabile per la crescita dell’intero sistema economico oltre che per il superamento del profondo divario tra l’Italia e il resto d’Europa, sarebbe stato un radicale cambiamento di mentalità. I tradizionali canali di trasmissioni delle conoscenze tecniche avevano messo in evidenza pregi e limiti di una pratica anacronistica che l’istruzione professionale, insistentemente caldeggiata dalla pubblicistica del tempo, avrebbe potuto superare. Le Nazioni d’Europa fanno in questi nostri tempi sforzi straordinari per rendere efficace l’istruzione tecnica […] Io credo che, se noi concentrassimo i nostri sforzi nell’istruzione professionale, forse in dieci o dodici anni potremmo dare un vigorosissimo impulso a tutte le nostre industrie4 dichiarava nel 1867 il deputato Giorgio Asproni intervenendo nel dibattito sulla questione delle scuole industriali e professionali. Analogamente, qualche anno dopo, veniva riaffermato quanto divulgato nel 1873 dall’ex ministro Gaspare Finali in una sua circolare: l’operaio intelligente […] tenace alla fatica ma non istruito, non preparato dalla educazione dell’occhio e della mano; sono queste le cause più generali dell’inferiorità nostra ed ogni mezzo sarebbe insufficiente a rimuoverle che non si informasse ad intelligente associazione di forze e a meditati e savi ordinamenti educativi. Per questo […] dobbiamo continuare a diffondere ed a perfezionare l’insegnamento tecnico e professionale5. Il sorgere di numerose scuole d’arte applicata all’industria e insieme di musei di arte industriale disseminati sul territorio nazionale a partire dalla seconda metà del XIX secolo e in particolare dal terzo decennio in poi è emblematico della riconosciuta crescente importanza di quella cultura industriale su cui avrebbe dovuto poggiare lo sviluppo economico della Nazione. «Chi vagheggia un’Italia doviziosa e potente deve desiderare che questo moto progressivo si rafforzi e si accelleri»6. La triade scuola-didattica-esposizione intorno alla quale era stato incentrato il funzionamento della prestigiosa istituzione del South Kensington Museum, poi ribattezzato Victoria and Albert Museum di Londra (1852), verrà regolarmente riconfermata negli scopi statutari delle nascenti istituzioni formative. Il modello sarà replicato, fatte salve alcune modifiche, su larga scala per tutto l’Ottocento, Torino e Roma in testa7. Si ispira a questi principi anche il M.A.I. napoletano con annesse Scuole Officine, istituito nel 1878 e inaugurato nel 1882 e inscindibilmente legato ai nomi di Demetrio Salazar, Gaetano Filangeri, Domenico Morelli e Filippo Palizzi, che di fatto costituisce un tentativo di re-allineamento a quell’idea di modernità così bramosamente inseguita8. L’insegnamento che si pratica nelle scuole dell’Istituto è duplice, artistico e tecnico9. Alla base della formazione soprattutto pratica degli operai e dei tecnici specializzati nei principali settori delle arti applicate rimane confermata la pratica del disegno e l’osservazione dall’antico e dal moderno. L’indirizzo di questa promozione delle arti applicate nella direzione industriale è efficacemente sintetizzato dalle parole del principe Gaetano Filangieri: «L’industria si prefigge l’utile; l’arte, la ricerca del bello, donde l’arte indirizzata all’industria è l’utile nel bello»10. Tale assunto non si discosta molto dall’espressione art manufactures coniata nel 1845 da Henry Cole per significare «fine art or beauty applied to mechanical production [le belle arti o la bellezza applicati alla produzione industriale]»11. Nascono e si diffondono, talvolta su richiesta delle Società Operaie di Mutuo Soccorso, le scuole serali «fuochi centrali da cui si spanderà la luce del sapere tecnico»12 come li definisce l’onorevole
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Luigi Luzzatti che assolvono, essenzialmente, un’importante funzione sociale. In merito alle condizioni delle Calabrie le relazioni ufficiali del tempo danno conferma, malgrado il quadro complesso e contradditorio, del ruolo predominante svolto dal comparto agricolo oltre che della sussistenza, indubbiamente meno incisiva per l’economia regionale, di altre attività tradizionali quasi sempre a carattere familiare. Nella media Calabria sebbene vi sia abbondanza di acqua e di materie prime, l’industria manifatturiera non ha tutto lo sviluppo di cui sarebbe capace, perché si teme avventurare i capitali in qualsiasi speculazione, e si preferisce l’industria agricola, benché le condizioni son tali che trar si potrebbe profitto dall’una e dall’altra13. Più specificatamente per la Calabria Ulteriore Seconda: ad eccezione delle fabbriche di seta, delle ferriere di Mongiana, delle fabbriche di cuoi di Tropea […] le altre manifatture non si esercitano in apposita fabbrica e con opportuni capitali, ma in piccolo, spicciolatamente, e nelle case stesse degl’individui che se ne occupano più ad oggetto di trar quanto basta alla lor sussistenza che per fine commerciale.14 Circa lo stato generale in cui versa il comparto ceramico calabrese nel corso del XIX secolo è possibile affermare che uno dei principali elementi di debolezza, insieme all’incapacità di impiantare moderni stabilimenti industriali, è la difficoltà della popolazione a sfruttare adeguatamente le grandi potenzialità disponibili sul territorio. Sarà, forse, opportuno e utile esporre alcune considerazioni di ordine generale sulle risorse naturali e ambientali della Calabria. Che non vi fosse carenza di materia prima ma, al contrario, consapevolezza diffusa di questa ricchezza si evince dalle numerose analisi e disamine che rilevano il crescente desiderio di affrancamento dalla subalternità della posizione italiana rispetto a quella delle nazioni estere: Se dobbiamo arguire dalle nostre condizioni nel passato, ci è lecito sperare che una maggiore conoscenza della costituzione geologica del suolo italiano varrà col tempo a francarci da tale soggezione verso lo straniero, fatale sempre alla nostra economia, ed anche indecorosa, ogniqualvolta dipenda da volontaria ignoranza o riprovevole indifferenza per le nostre naturali ricchezze15 . La posizione geografica e la disponibilità, in loco, delle risorse necessarie –argilla, acqua, legno, tanto per citare le materie prime indispensabili- costituiscono, come è evidente, una variabile tutt’altro che secondaria nel settore ceramico. Il ceramista pisano Tito Ristori che aveva percorso in lungo e largo quell’estrema parte della Penisola che va dal mare Ionio al mar Tirreno per riconoscere e studiarne i prodotti minerali: Riconobbe su Monteleone, nella Calabria superiore, quelle terre feldispatiche abbondanti di sostanze stagnifere, che gli antichi adoperavano nelle loro terre cotte, e che oggi vengono estratte e caricate come zavorra su bastimenti esteri, per ritornarci più tardi ridotte in diverse maniere di stoviglie e di porcellane16. «Il feldspato è abbondantissimo […] a Reggio di Calabria»17. Atte a far risorgere nelle accennate provincie un’industria quasi completamente sparita, servirebbero assai il caolino e il feldispato non alternato misto a granelli di quarzo, che è il vero petunzé dei chinesi, i quali trovansi in abbondanza a Tropea presso Catanzaro, e il caolino che si trova in Pedavoli, a Gerace nella contrada Prestarena e a Bova, presso Reggio. E in provincia di Cosenza abbiamo eccellenti
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argille di vari colori e di varie specie a Castrolibero, Rende, Bisignano, RogianoGravina, nel circondario di Cosenza; a Terranova di Sibari, Tarsia, Spezzano Albanese, San Lorenzo del Vallo, in quello di Castrovillari, delle quali si servono gli abitanti per fare materiali da costruzione e vasi d’ogni dimensione, ma tutti assai rozzi. Nelle Calabria si trovano pure le terre refrattarie18. Il dibattito che ne consegue esprime significativamente lo status quaestionis: le nostre fabbriche di stoviglie somministrando vasellame rozzissimo, sarebbe oltremodo necessaria la introduzione delle manifatture di maioliche per uso di ogni classe di cittadini. Si potrebbero principalmente stabilire nel Distretto di Rossano, ove l’arte figula è poco e mal conosciuta, e dove si vendono a caro prezzo i vasi di creta che si fanno venire da Napoli, da Sicilia, da Vietri, dalle Grottaglie ec. non senza molte difficoltà di trasporto e di dispendio. Nella Calabria Citeriore essendovi argille, combustibili, terre metalliche, ed altri materiali in gran dovizia, non riuscirebbe gravoso il primo stabilimento di dette fabbriche, dalle quali poi ritrarrebbero gran guadagno i fabbricanti ed i proprietari di esse19. Quando poi si passi alla situazione specifica del territorio della Calabria Ulteriore Seconda, oggetto di approfondimento nella seconda parte del contributo, il quadro tratteggiato è il seguente: Si fanno stoviglie in diversi paesi frà quali, Nicastro, Cotrone, Squillace, S. Andrea, Soriano e Gerocarne, ma si attende per cotesta manifattura positivo miglioramento dopocchè ritorneranno istruiti i due giovani che si sono mandati in Napoli appositamente a spese della provincia onde perfezionarsi in tale arte20. Per le stoviglie oltre i miglioramenti tentati cò premi, da più tempo [ ] si fece dalla società [Società economica della provincia di Calabria Ultra Seconda] il progetto, ora eseguito, di mandarsi in Napoli due giovani onde perfezionarsi nella manifattura di esse, e notizie sonosi somministrate sulla qualità delle terre del comune di Nicastro ove anni dietro due artefici da Palermo voleansi far venire21. Il territorio lametino fu teatro di un episodio che, seppur isolato, appare straordinariamente in linea con quelle aspirazioni di modernità riscontrabili nel resto d’Italia e d’Europa nello stesso arco temporale. Nel contesto comprensoriale lametino, com’ è risaputo, la produzione ceramica è attività di antica origine e insediamento, attestata a più riprese nel corso dei secoli22. Un tentativo di rinnovamento in chiave industriale del comparto ceramico nicastrese prese l’avvio nella seconda metà del XIX secolo sotto il nome di Giuseppe Costanzo. L’impianto moderno dell’opificio, del quale si dirà più diffusamente avanti, non ebbe risvolti sostanziali sul territorio ma l’inquadramento e la precisazione di questa isolato episodio assume una certa significatività nel segno del recupero della memoria. L’altra vicenda esplorata ha per protagonista uno degli artisti più significativi dell’Ottocento in Calabria: Andrea Cefaly e la sua, ancora poco nota, produzione di piatti e maioliche dipinti con ritratti, figure di animali e scene più o meno complesse che rappresentano l’altra espressione del segno dei tempi. Il discrimen tra ceramica d’arte in senso stretto e ceramica artistica industriale è facilmente intuibile legato com’è al concetto di funzionalità e utilità. A tal proposito, argomentando sull’importanza industriale della ceramica veniva annotato «Uno sguardo alla interna vita famigliare basta per dimostrarvi la convenienza e l’utilità di quel vasellame, svariatissimo di forme e di applicazioni, che adorna la nostra mensa e che è adatto a tutti i bisogni, a tutti gli usi della vita»23. Di contro disquisendo sul valore strettamente artistico delle ceramiche veniva precisato: Le maioliche non offrono sempre una grande bellezza artistica, ma si rendono interessanti più che per altro, per la difficoltà nella manifattura, per la rapidità
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necessaria ad eseguire il dipinto, per la vernice invetriata, piena di luci iridate, che riverbera l’argento, il rubino e l’oro, per la varietà ottenuta nei colori, segreti lungo tempo smarriti, ma recentemente strappati all’oblio nella nostra Italia24. Il caso della manifattura di Doccia25 è emblematico: la «svariatissima serie di lavori»26 che produce include pezzi d’arte unici frutto di un’accurata ricerca tecnica e formale ma anche oggetti seriali d’uso comune che dovevano assolvere a ben altre funzioni: Le eleganti sue stoviglie in porcellana, gli artistici suoi gruppi di frutti, gli Dei tutti dell’Olimpo modellati da valenti artisti sotto la saggia direzione dei Ginori […] Poscia le necessità dell’attuale secolo non tardarono ad obbligare la fabbrica di Doccia ad aggiungere un ramo di comune utilità a quello artistico: in essa si rimpasta la creata e si riempiono i suoi forni di stoviglie di maiolica all’uso inglese, e tosto la bontà dei prodotti e modicità dei loro prezzi li rendono preferibili fra noi a quelli dell’Inghilterra27.
Andrea Cefaly e la sperimentazione pittorica su ceramica. il nostro celebre artista della Provincia Commentatore Cefalì, ha pure in questo anno messo in mostra alla Promotrice, Esposizione di Belle Arti in Napoli, un piatto dipinto. Il fondo rappresenta una battaglia, ed ha tanta forza di colorito da sembrare più che maiolica dipinta a fuoco, un quadro ad olio; sul bordo sono attorno puttini a belve con decorazione piacevolissima. I forestieri vi si fermavano per lunghe ore, fosse ammirazione od invidia!28 Della sperimentazione pittorica su ceramica di Andrea Cefaly rimane traccia, oltre che nei cataloghi delle esposizioni e in qualche successiva biografia, anche in qualche lettera. Malgrado tale produzione, ancorché ridotta, sia rimasta generalmente in sordina29, è interessante ripercorrere alcune tappe del percorso30 che precedono e, in certo senso, chiariscono le ragioni della concomitante realizzazione di pittura su tela e su ceramica. La carriera di Cefaly prende avvio con l’inaugurazione nel 1857 dello studio napoletano al vicolo di San Mattia nei Quartieri Spagnoli. Furono in molti a frequentare abitualmente tale dimora: i fratelli Palizzi, Michele Cammarano, Saro Cucinotta, Michele Lenzi, Michele Tedesco, Francesco Martini, Antonio Migliaccio, Achille Martelli, Achille Talarico e molti altri artisti ricchi di entusiasmo e di fertili fermenti intellettuali. Senza allontanarsi dallo scopo principale va, tuttavia, sottolineato quanto tale esperienza sia significativa per la comprensione dei rapporti intessuti più avanti tra alcuni di questi artisti. Segue il rientro in Calabria nel 1860 e la fondazione nel 1862 di una scuola di pittura denominata Istituto Artistico Letterario di Cortale frequentata da molti giovani calabresi, di cui rimane una preziosa testimonianza nell’insegna su tavola recentemente esposta alla mostra OTTONOVECENTO. Arte in Calabria nelle collezioni private31. La scuola fu avviata e gestita col supporto del pittore bagnolese Michele Lenzi, amico fidato conosciuto nella capitale borbonica che rimase accanto all’artista sino al 1864. Nel 1863 sorse anche, sull’esempio di quelle già create a Napoli intorno al 1825, una Società degli Artieri che ebbe a presidente onorario Giuseppe Garibaldi. Si trattava, in entrambi i casi, di realtà educative informate all’ideale liberale e, dunque, incentrate intorno al principio dell’esperienza sociale e della solidarietà umana. La concretizzazione, se vogliamo, di un principio etico-sociale che troverà spazio nelle sue teorizzazioni successive «arte […] considerata utile allo svolgimento del grande problema sociale»32. L’episodio che sancisce l’insanabile frattura di tali esperienze e, al contempo, la protesta nei confronti di un sistema politico-amministrativo svilente si data al 1875 quando, oltre a dimettersi dalla carica di Consigliere Provinciale, Cefaly chiuse la scuola d’arte. Il progetto culturale
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ambizioso di «trapiantare in «periferia» quanto di meglio lui stesso aveva appreso negli anni trascorsi a Napoli a contatto soprattutto con Palizzi»33 non aveva retto l’impatto con la realtà. Dopo l’esperienza didattico-formativa calabrese l’artista fece ritorno a Napoli (1876), partecipando, tra l’altro, alla Grande Esposizione Nazionale di Belle Arti tenutasi l’anno seguente. Pressappoco attorno a questi anni va collocata la sperimentazione su ceramica che doveva trovare appoggio nella contemporaneità artistica e in quel rinnovato interesse per la produzione di maioliche. Di tale pratica si ha notizia anche in un passaggio di una lettera che ha permesso di anticipare, almeno di un quinquennio, suddetta produzione artistica presentata dal Cefaly alle pubbliche esposizioni a partire dal 1882. La realizzazione del piatto in maiolica raffigurante il mezzobusto del musicista Vincenzo Bellini (fig. 1), allora Napoli, Conservatorio di San Pietro a Maiella e oggi non più rintracciabile34, è uno dei più interessanti e documentati episodi che non va disgiunto dal collezionismo eclettico e insaziabile di Francesco Florimo. Alla serie dei ritratti pittorici di musicisti, iniziati nel 1874, si aggiunse la commissione del manufatto ceramico che fu parte integrante del processo di formazione delle collezioni del ‘santuario dell’arte’35. Chi sa che non mi prepari, con quella gentilezza, di modi che tanto ti distingue, anche il piatto con la figura allegorica, a me piacerebbe che fosse la dea della Musica, abbigliata a Venere, seminuda. Addio mio caro, generosissimo amico [ ] son certo che questa mia ti metterà di buon umore, e domani svegliandoti comincerai il parto del tuo fervido ingegno36 così Florimo chiudeva la missiva inviata all’artista in data 30 ottobre 1877. Al centro, evidentemente eludendo la precisa richiesta del committente, il ritratto del musicista catanese realizzato a partire da una delle numerose derivazioni incisorie del Ritratto di Bellini di Friedrich Millet la cui copia era, peraltro, presente presso il Conservatorio e più ragionevolmente dalla ripresa in controparte della litografia di Edouard Millet (un esemplare a Milano, Museo Teatrale alla Scala) da cui deriva, a sua volta, la litografia Gatti e Dura (fig. 2) che preferisce il taglio a mezzo busto e riduce all’essenziale la raffigurazione. Alle sue spalle la raffigurazione dell’Etna fumante e lungo la tesa alcune allegorie morali connesse all’effigiato e al committente –la Fama, dalle sembianze femminili; in alto l’eroica figura di Amina tratta da La Sonnambula, una delle più popolari composizioni del Bellini- e, in basso, il mezzo busto del Florimo. Il piatto che dovette essere ultimato nel 188637 destò immediati apprezzamenti «il Consiglio di questo Collegio primo è rimasto contento di possedere una rarità. Tutti ti elogiano e tutti applaudono la tua generosità per aver donato tanti ritratti, e in ultimo il Bellini per l’eternità a questo Collegio [ ] l’85enne Florimo»38.
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Fig. 2 Gatti e Dura, secolo XIX. Ritratto del musicista Vincenzo Bellini, Milano, Civica Raccolta di Stampa Bertarelli.
Fig. 1 Andrea Cefaly, 1880-1886. Piatto con Ritratto del musicista Vincenzo Bellini. GiĂ Napoli, Conservatorio di San Pietro a Maiella.
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Fig. 3 Andrea Cefaly, ante 1883. Piatto con Dante alle porte dell’Inferno. Cortale, casa Cefaly.
Cefaly continuò a realizzare lavori su ceramica anche in seguito partecipando, tra l’altro, a numerose mostre. Alla Promotrice di Belle Arti di Napoli del 1882 espose la maiolica, citata in apertura, Scontro tra la cavalleria di Antonio e Ottavio sotto le mura di Alessandria39 raffigurante la battaglia epocale avvenuta il 2 settembre del 31 a.c ad Azio. Quattro sue maioliche erano presenti alla Promotrice napoletana dell’anno seguente40: Partenza di bersaglieri, Cavallo aggredito dai lupi, Corradino e L’Inferno (fig. 3). Quest’ultimo si trovava, e ancora si trova41, nella «stanzetta dove morì l’indimenticabile don Andrea»42 (Cortale, casa Cefaly). La raffigurazione, al centro del piatto, di Dante e Virgilio che attraversano la porta dell’Inferno è abbinata, sulla tesa, al serrato sviluppo di motivi allegorici derivanti dal poema dantesco. Il soggetto tratto dalla quarta cantica dell’Inferno godette di vasta popolarità anche in virtù di quel recuperato mito di Dante che, ad un certo momento, era diventato uno dei principali filoni di ricerca del pittore. Tra le opere esposte alla 1a Mostra d’arte calabrese realizzata nel 1912 a Catanzaro su iniziativa di Alfonso Frangipane e, tra l’altro, anche prima grande retrospettiva a pochi anni dalla scomparsa dell’artista, figuravano: Autoritratto con fantasia patriottica su ceramica allora Catanzaro, eredi avv. Giuseppe Migliaccio43 e piatto con figurina allora Catanzaro, sig. Giuseppe Abiusi44. Nell’elenco generale in appendice alla monografia del 1971 Antonio Pelaggi ricordava, inoltre, due piatti in porcellana con soggetto Discussione in casa Votta di Maida (diam. cm 23)45 e Madonna con Bambino, quest’ultimo prodotto dalla manifattura Ginori di Doccia (diam. cm 24)46, entrambi allora a Catanzaro nella collezione dell’avv. Bonaventura Bevilacqua. Il manufatto testimonia l’interesse, a dir il vero meno sondato rispetto ad altri, verso la tematica religiosa riscontrabile, nondimeno, in un altro piatto firmato e datato 1879 [?] raffigurante, al centro, una Madonna con Bambino, Santi e [personificazione?] e, sulla tesa, una teoria di stelle su sfondo nero e recentemente
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passato sul mercato digitale (asta ebay – 6 novembre 2012).47 È ancora Pelaggi a ricordare un piatto con figura di tema non specificato allora Catanzaro, eredi prof. Giuseppe Abiusi48 e un Autoritratto con fantasia patriottica già esposto nel 191249. Malgrado la vasta dispersione, legata anche alla complicata vicenda di successione ben nota agli studiosi, costituisca un’aggravante per il rinvenimento di tali manufatti, è possibile formulare una serie di considerazioni. Anzitutto la produzione di ceramica dipinta dell’artista si concentra, allo stato attuale delle conoscenze, in un arco temporale piuttosto breve che ha come sicuro termine post quem il 1877 e ante quem il 1883. Nient’affatto «improvincialito» dalla sua lontananza dalla capitale, come molti avevano temuto50, Andrea Cefaly si dimostrò particolarmente informato alla pratica artistica della ceramica maiolicata. Già Filippo Palizzi, nella sua fase più tarda, aveva sviluppato un grande interesse per le arti applicate e si dedicava con entusiasmo alla pittura su ceramica sperimentando anche il disegno su fumo51. La premiazione con medaglia d’argento di alcuni suoi piatti presentati alla Workmen’s International Exhibition di Londra del 1870 sanciva un perfezionamento della tecnica che aveva estremamente inorgoglito il pittore di Vasto52. I rapporti tra Cefaly e Palizzi duravano da tempo e, come del resto palesano alcune lettere, erano improntati a una certa amichevolezza. È verosimile che questa attività così come l’impegno profuso verso la “scommessa” Museo Artistico Industriale siano stati oggetto di discussione e riflessione fra i due. Ma, soprattutto, sono i nomi di Michele Lenzi e Achille Martelli quelli a cui non ci si può esimere dal riferire quando si parli della pittura su ceramica dell’artista. Dal 1873 entrambi avevano iniziato a dipingere i piatti in maiolica con la tecnica a fumo raggiungendo apprezzabili risultati. L’exploit ufficiale di Lenzi era avvenuto alla XIV Esposizione della Promotrice del 1877 nell’ambito della quale aveva esposto ben trentacinque lavori, tra i quali il noto I rudimenti della calza (fig. 4) tratto dall’omonimo dipinto. La speciale resa degli effetti luministici e l’immediatezza d’esecuzione erano stati ricordati dal De Rogatis in questi termini: Spesso, nella trattoria del Lepre, dove convenivano tutti gli artisti di Roma, al finir della mensa, si presentavano a Lenzi i piatti nuovi e la candela: egli cavava i pennellini, ed in un batter d’occhio il piatto era fatto. Una sera tra le altre, in un piatto riprodusse il soggetto di un suo rinomato quadro, La farfalla intorno al lume, e l’effetto di luce era così bene espresso […] che gli artisti presenti, ed erano molti, se lo disputarono53. A proposito del Martelli, ricorda la principessa Della Rocca «pure i piatti esposti all’ultima mostra artistica di Torino, ebbero un vero successo. Egli con il suo fumo, sa ottenere effetti di luce difficili ad aversi con il colore, e spesso l’intonazione dei suoi soggetti è delle più care e delle più gentili»54 (fig. 5). Senza entrare nel merito della prolifica produzione dei due artisti, va considerato il consolidato legame esistente tra le parti che, anche in questo caso, induce a ipotizzare ripetuti scambi di vedute sulla questione. Non a caso, ricorda Sica, una splendida maiolica opera del Cefaly era stata donata dall’artista a Michele Lenzi come segno di gratitudine per l’ospitalità a Bagnoli Irpino. L’«ingegnaccio bizzarro»55 riconosciutogli dal critico Vittorio Imbriani e che ben collimava con l’azzardata scelta del pittore di tornare in Calabria, non aveva, dunque, impedito ad Andrea Cefaly di aprirsi a nuove, aggiornate ed arricchenti esperienze.
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Fig. 4 Michele Lenzi, 1877. Piatto con I rudimenti della calzetta. Bagnoli Irpino, Municipio.
Fig. 5 Achille Martelli, secolo XIX. Piatto con I due maiali. Ubicazione ignota.
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L’opificio di ceramiche Costanzo a Nicastro. Il 28 febbraio 1886 Giuseppe Costanzo informa la Deputazione Provinciale di Catanzaro dell’avvenuto impianto di un opificio ceramico a Nicastro56. Il rientro in Calabria dello scultore e artigiano specializzato Giuseppe Costanzo (1848 - ? ) giunge a conclusione di un lungo periodo di formazione trascorso nella Napoli postunitaria. Tra le tappe salienti dell’iter di studi: la frequentazione del Real Istituto di Belle Arti (1874-1882)57, della scuola maschile serale di disegno di Capodimonte diretta da Saverio Altamura (1880-81)58 e del nascente Museo Artistico Industriale da poco avviato nell’ex Paggeria di Pizzofalcone sotto la guida di Filippo Palizzi e Domenico Morelli (1883-1884)59. Sussidiato dal Municipio di Nicastro a partire dal 1874 e fino al 187760 e dal Consiglio provinciale dal 188061 e fino al 188262, Costanzo riesce a cogliere prontamente i profondi mutamenti, indice dei tempi, e riorganizza in ‘senso moderno’ la sua formazione. A quest’ultimo periodo sono riconducibili alcuni saggi di studio conservati presso il Museo Provinciale di Catanzaro e documentati con precisione da un nutrito numero di lettere inviate dal giovane all’Ente63. Essi furono realizzati tra il 1883 e il 1884, in segno di riconoscenza e prova dei profitti del Costanzo che, dalla Deputazione Provinciale catanzarese era stato sussidiato durante gli studi compiuti a Napoli. Il Regolamento interno delle Scuole-Officine del Museo Artistico Industriale, piuttosto ferreo su questo punto, imponeva che nessun manufatto prodotto al suo interno uscisse dalle pareti scolastiche. I manufatti poc’anzi accennati furono eseguiti negli scampoli di tempo libero in condizioni di oggettiva difficoltà: abbozzai sopra un tondo il ritratto di Lei [Regina Margherita di Savoia] nel suo abbigliamento semplice e disinvolto, naturale. Il tondo lo portai a cuocere alla fornace di un fabbricante, mio Signore, che […] me lo cuocette alquanto bene. […] Questo tondo, prima prova, che mando senza cornice, solo per far notare il brillante risultato tecnico dello smalto e del colore, essendo mal disegnato ed eseguito per primo abbozzo a luce di sera, prego le Onor.li SS.e VVe dopo averlo esaminato distruggerlo, sendovi segnato a tergo il mio nome (fig. 6,7). Gli altri due
Fig. 6 Costanzo Giuseppe, 1883. Piatto con Regina Margherita di Savoia. Catanzaro, Museo Provinciale. © Giulio Archinà.
Fig. 7 Costanzo Giuseppe, 1883. Piatto con Regina Margherita di Savoia, particolare. Catanzaro, Museo Provinciale. © Giulio Archinà.
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tondi, deprezzati, che mando come saggio, restino in cornice e all’altrui mendace indivia monumento di sfida. Questi due mal capitati lavori, l’uno ad imitazione dall’antico, è un ornativo tratto dal disegno di un lavoro italico seicentesco, eseguito a Gubbio, e che oggi conservasi nel Museo del Louvre (fig. 8,9). Sono eziand’io colori antichi quelli che ho in esso adoperati, dei quali oggi sol ci serviamo per la dipintura delle mattonelle o grigiore. L’altro è ritratto deformato dalle fiamme, ove spero far brillare i colori nuovi, se ad altri non fosse piaciuto congiurarne la distruzione. Queste due maioliche avrebbero dovuto andare nella stufa o muffola, fornace a camera chiusa, ma furono invece sacrificate e messe a contatto della fiamma viva. Ambidue chiaramente appalesano il contatto brusco delle fiamme nel bordo ricontorto, ed anzi l’uno più non resistendo alle fiamme si è per lo mezzo scattato, l’altro più che l’uno ha subito nello smalto la chimica reazione dello stagno e della silice nell’atto di vetrificazione64.
Fig. 8 Costanzo Giuseppe, 1883. Piatto con Decorazione seicentesca (da maiolica di Gubbio). Catanzaro, Museo Provinciale. © Giulio Archinà.© Giulio Archinà.
Fig. 9 Costanzo Giuseppe, 1883. Piatto Decorazione seicentesca (da maiolica di Gubbio), particolare. Catanzaro, Museo Provinciale. © Giulio Archinà.
Non si può fare a meno di apprezzare la notevole finezza del dettaglio del piatto raffigurante una meno ufficiale Regina d’Italia. Se nell’esercitazione in stile eugubino è facile riconoscere: «Il fanatismo che si è da qualche tempo risvegliato per le maioliche di Gubbio»65, ciò è altrettanto valido per il piatto, ultimo in ordine temporale, di cui rimane traccia «oggi dedico a codesto Onorevole Consiglio copia di un altro piatto del seicento eseguito a Faenza»66 (fig. 10, 11). E alla produzione faentina più attardata si rifà la decorazione del bordo che, ornato con variazioni sul tema della grottesca, assume qui un carattere predominante.
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Fig. 10 Costanzo Giuseppe, 1884. Piatto con Decorazione seicentesca (da maiolica di Faenza). Catanzaro, Museo Provinciale. © Giulio Archinà.
Fig. 11 Costanzo Giuseppe, 1884. Piatto con Decorazione seicentesca (da maiolica di Faenza), particolare. Catanzaro, Museo Provinciale. © Giulio Archinà.
Con un bagaglio formativo di nozioni teorico-pratiche di tutto rispetto Costanzo torna nella natia Nicastro intenzionato, non senza un certo spirito d’iniziativa, a mettere a frutto il mestiere appreso. «Importare in queste patrie contrade una industria artistica tutta nuova e fiorente oggi altrove, il che s’impromette raggiungere il sottoscritto»67. Del resto il giovane artista aveva dimostrato di avere le idee molto chiare sin dalla scelta di proseguire gli studi nella direzione di una decisa conversione all’arte applicata, settore che in quel frangente rappresentava uno sbocco lavorativo dal taglio più concreto e professionalizzante specie se paragonato al bagaglio culturale e al curriculum accademico. «Io feci passaggio dall’Arte all’Industria perché lo esigge lo spirito dei tempi […] alla mia Provincia non so rendere servizio migliore, che trasformando le sue argille in oro»68. Lungo il corso dell’Ottocento e in particolare nella seconda metà del secolo il movimento di riforma delle arti applicate avviato in Inghilterra si diffonde in gran parte dell’Europa trovando, come si è detto, un significativo riflesso anche in Italia. Il progetto e la costituzione del Museo Artistico Industriale a Napoli acquisisce la sua piena significatività e pregnanza in questo particolare stato di cose distintamente percepibile anche da un giovane in formazione: se mi sono tutto consacrato all’Arte non fu solo per soddisfare ad un trasporto naturale del genio, ma più alte idee mi accendono la mente a spaziare nel bene sociale che può l’Arte arrecare. Oggi non sono i tempi di Pericle, né quelli di Papa Leone, e l’arte del Bello resterà oziosamente superba, se non piegherà il capo all’industria69. È interessante rintracciare le motivazioni dell’accresciuto interesse verso uno sviluppo dell’«industria per utilità sociale»70 secondo la prospettiva personale del giovane Costanzo che, in una sorta di apologia delle ‘Arti e dell’Industria del Paese’, passa in rassegna alcuni aspetti peculiari del territorio calabrese già esaminati per sommi capi: Perché mai, Onorevoli Signori Consiglieri, le Nostre Vicine ci si aggiran tronfie per
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terra e per mare, se non per quella industria benedetta, potentissima Leva di Ricchezza che è Forza e Potenza di ogni Nazione? E Noi, figli d’Italia, dobbiamo soffrire il vilipendio perché deboli siamo, Noi che, oggi risorti a libertà, dovremmo insegnare al Mondo il Nome Italiano! […] Rammenterò di statistica un fatto solo, e dico che l’Inghilterra dalla semplice industria Ceramica ritrae all’anno su i cento milioni, e non segno la cifra enorme che ne ricava la Francia per non sembrare che io voglia favoleggiare. E l’Italia? Poco o nulla, se n’eccettui Faenza e qualche città della Toscana. Eppure Faenza ritrae dalla nostra marina di Satriano quella Creta Bianca […] e che trasformata in Maiolica si rivende, e Tropea fornisce quella rena che serve di base come silicato per la patena stannifera. E la rispettiva industria della nostra Provincia come cammina? La si conosce abbastanza questa cretiglia la più grossolana! Ma perché non facciamo Noi puri lavori artistici, Noi che somministriamo ad altri le materie prime?71 La vicenda dell’impianto della fabbrica ceramica nel territorio lametino riaffiora con forza nella documentazione superstite e, in particolare, nella dettagliata relazione prodotta dal consigliere provinciale interessato dal Prefetto alla verifica del funzionamento dell’impianto. Informava Costanzo: «impiantai anzitutto le piccole fornaci per la cottura delle argille, dal cui vario accordo ho avuto risultati eccellenti»72. E qualche tempo dopo: «ho potuto impiantare, sebbene in piccolo, un vero opificio ceramico. Il Mulino per macinare gli smalti, la fornace per cuocere le terre, le muffolette per cuocere gli smalti funzionano egregiamente»73. Malgrado una serie di ritardi dettati dalle difficoltà economiche, nell’aprile 1886 l’obiettivo prefisso, grossomodo, è raggiunto: L’artista Sig. Giuseppe Costanzo ha già attuato, sebbene in minime proporzioni, un vero e completo opificio di ceramica; con il suo ammonimento di crete diverse nostrali e le relative vaschette per il rammollimento e filtramento di esse; con un tornio e forme occorrenti alla modellatura; con fornaci tipo per cuocere i prodotti, ed un forno speciale per cuocervi insieme gli elementi atti a costituire lo smalto, nonché la macina atta a ben triturarlo […] Fra l’altro occorre la costruzione di una fornace atta ad un riscaldamento superiore a quelle che il Sig. Costanzo possiede74. A distanza di qualche mese, al concepimento e alla strutturazione di nuovi macchine destinate alla realizzazione di saggi industriali si affianca l’obiettivo di saggiare la natura fisica del comprensorio: «Finora mi sono occupato alla costruzione di un grande tornio modello. Alla fabbricazione di nuove muffole o fornaci, ed ho cominciato ad estendere per la Provincia le ricerche di materiali»75. In modo particolare Costanzo prospetta la realizzazione di una serie di saggi atti a testare carattere e proprietà fisiche delle argille locali «É il metodo questo per valutare la bontà delle terre»76. Le prove realizzate all’interno dell’opificio vengono inviate, di volta in volta, all’ente provinciale: Sono dei crogiuoli smaltati, senza smalto e delle piccole tazze; né si prendano per giocattoli. Con questi saggi ho provato che le nostre terre cotte sono ottime, che ricevono ottimamente lo smalto, che abbiamo argille buone per terraglie e che infine possiamo dare prodotti da rivaleggiare colle maioliche proveniente oggi a noi da Napoli e Vietri77. Costanzo punta, poi, sull’elemento risorse naturali e ambientali per far breccia sui sovvenzionatori: un’arte che […] dovrà prendere al più presto, spero, serio sviluppo industriale. È questo il voto delle mie aspirazioni e non mancherò di adoperarmi a rendere produttiva la materia prima, che la nostra Provincia fornisce oggi alle altre, e che
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difetto di cognizioni tecniche lascia vivere costì nell’ozio tanta gente, che potrebbe altrimenti essere utile a sé ed agli altri78. Tropea che gli fornisce quella rena bianca o silice con che si fabbrica lo smalto; esso [fabbricante di maioliche] ben sa che Cosenza e Satriano posseggono le miniere di quella creta bianca propria per le cretaglie, e che in ogni punto delle tre Calabrie trovasi l’argilla o creta di monte propria per le maioliche; né tampoco esso ignora le immense boscaglie e i vasti pineti della Sila, che potrebbero alimentare le cento fornaci da far concorrenza il domani alla sua prospera industria dell’oggi79. sento mio debito esporre come rendere qui di utilità pubblica nel più breve tempo questo ramo d’industria. Sembra strano come la nostra Provincia che, unica in Italia, possiede la materia prima per smalti, qual è la rena di Tropea, trovisi oggi arretrata, ed anzi non abbia mai avuto nome in tal genere di prodotti80. La relazione del cav. Ferdinando Montesanti rappresenta una fonte anche per una classificazione tipologica delle svariate possibilità praticabili all’interno dell’opificio: «si trova pronto a dare un saggio di prodotto, mattoni, grigiore, stoviglie e terraglie, nelle forme e dimensioni volute in commercio»81. Allo stato attuale delle ricerche, manca un quadro completo del seguito dell’industria ceramica impiantata da Costanzo così come non si conosce se e cosa sia stato effettivamente prodotto per destinarlo al mercato. Nel 1888 la documentazione ufficiale si interrompe e sulla vicenda cala l’oblio. Che non fosse il solo ad avere interesse per il settore si deduce anche da una lettera: Da qualche fabbrica qua esistente ho potuto assicurarmi che si manca proprio di cognizioni tecniche, mettendo a cuocere nelle grandi fornaci senza far prima le pruove di saggio, avventurando così alla cieca i capitali con risultati incerti ed imperfetti. Non si ha conoscenza di quelle Muffole, tanto utili pria di ogni grande intrapresa. Questo falso sistema porta di conseguenza discredito e fallimento82. Un numero non ben precisato di industrie ceramiche era, dunque, presente nei dintorni e anche a quelle doveva, forse, riferirsi il parigino François Lenormant quando, in visita a Nicastro nel 1883, dava notizia di uno «speciale sviluppo nell’industria della fabbricazione di vasellame di terra bruna»83. L’aspetto di novità dell’operazione di Giuseppe Costanzo, se raffrontata a quelle poc’anzi citate, è palese. La produzione ceramica tradizionale transitata al processo industriale sul finire dell’Ottocento grazie, nella fattispecie, a Costanzo coniuga in sé il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’. Alla continuità di una pratica artigianale secolare egli aveva assommato una tecnologia e un’organizzazione del lavoro aggiornata ai tempi. L’impianto della fabbrica ceramica nicastrese concorse, de facto, a quella rinascita delle arti applicate nel Meridione sulla scia di quanto già era accaduto nell’ex regno delle due Sicilie. La ricerca di una nuova auspicata modernità stava tutta nelle parole di commiato dell’artista: con ciò potrò dire di avere scienza delle virtù di ciascuna terra esistente nei vari siti della Provincia nostra, e quindi mi sarà facile giudicare qual genere d’industria converrà a ciascun paese. Questa è la missione da me assunta; quella poi di fare i saggi nelle dimensioni volute dall’industria o commercio, è operazione dei fabbricanti privati, che vorranno attivare tale industria: io sarà sempre un direttore tecnico, che potrà consigliare l’impianto di una fabbrica in una località anzi che in un’altra, secondo che la nostra materia prima offre, e regolarne l’andamento84.
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*La questione della rinascita delle arti applicate nell’Ottocento e i casi studio di Andrea Cefaly e Giuseppe Costanzo sono stati oggetto della mia ricerca di tesi di laurea Documenti per una storia delle arti applicate in Calabria nella seconda metà dell’Ottocento, Università della Calabria, a.a. 2004/2005, relatore prof. G. Capitelli. L’esperienza dell’artista-artigiano nicastrese Giuseppe Costanzo è stata, successivamente, ripresa nell’ambito del progetto d’area F.I.E.L.D./P.E.C.: “Sportello Emersione e Sviluppo Locale per la promozione della cooperazione e dell’associazionismo tra imprese nel Comune di Lamezia Terme” promosso e sostenuto dall’allora Assessore alla Cultura di Lamezia Terme, prof.ssa Giovanna De Sensi Sestito, e confluita nella Ricerca storica sulla ceramica lametina, 2007. Qui si riassumono gli snodi significativi delle ricerche condotte con riferimento al contesto territoriale calabrese. 1 Archivio di Stato di Catanzaro (d’ora in avanti A.S.Cz.), Atti dello stato civile di Nicastro 1848, n. 48-49. 2 La vicenda già trattata in Pino M., Pittura ed esperienze artistiche nella provincia di Catanzaro dell’Ottocento: Andrea Cefaly, la scuola di Cortale, la Società promotrice di belle arti di Catanzaro, l’Opificio di ceramica di Nicastro, Lamezia Terme 1999 e più sommariamente in Iannino C., Storia del Museo Provinciale di Catanzaro, Catanzaro 2001, pp. 15-16, è stata ripresa, arricchita e, talvolta, rettificata con il reperimento di nuova documentazione d’archivio. 3 La bibliografia sul tema è molto ampia; si segnala in questa sede Arbace L., Note sulla produzione ceramica: dagli slanci imprenditoriali d’inizio secolo alla decadenza in Civiltà dell’Ottocento: le arti figurative, t. I, Napoli 1997, pp. 99-101. 4 Rendiconti del Parlamento Italiano Sessione del 1867 (Prima della legislatura X), vol. 4, Firenze 1868, pp. 3901-3902. 5 Esposizione Universale del 1878 in Parigi. Relazioni dei giurati italiani. Classe XX ceramica, Roma 1880, p. 51. 6 Ministero d’Agricoltura d’Industria e Commercio, Atti del comitato per l’inchiesta industriale nel regno d’Italia, Firenze 1871, p. 3. 7 Nel 1862 era stato istituito il Regio Museo Industriale di Torino, seguito nel 1874 dal MAI di Roma, aperto nei locali del Collegio Romano con tre scuole di arte applicata annesse. 8 Sulla storia della fondazione del Museo, si veda principalmente: Salazar D., Sulla necessità d’istituire in Italia dei Musei industriali artistici con le scuole di applicazione, Napoli 1878; Alamaro E., Il sogno del Principe. Il Museo Artistico-Industriale di Napoli: la ceramica tra Ottocento e Novecento, Firenze 1984 e Barrella N., Il Museo Filangieri, Napoli 1988. 9 Filangieri G., Il Museo Artistico Industriale e le Scuole officine in Napoli, Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, Napoli 1881, p. 113. 10 Ivi, p. 1. 11 Giedion S., Mechanization takes command, New York 1948, p. 348 12 Esposizione Universale del 1878, op. cit., p. 52. 13 Grimaldi L., Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II fatti per incarico della società economica della provincia dal segretario perpetuo
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Avv. Luigi Grimaldi, Napoli 1845, p. 60. 14 Ibidem. 15 L’Italia alla Esposizione Universale di Parigi nel 1867, rassegna critica descrittiva illustrata, Raçon 1868, p. 82. 16 Tito Ristori da Pisa e l’arte ceramica di B. Podestà, in Monitore di Bologna, Bologna 1868, p. 17. 17 Saggi chimici sulle arti e manifatture della gran Bretagna delli signori Parkes e Martin tradotti nuovamente dall’inglese, t. IV, Milano 1825, p. 477. 18 Esposizione Universale del 1878, op. cit., p. 90. 19 Delle nuove manifatture da introdursi nella nostra Provincia, e dè mezzi i più adattati per farle prosperare, in Discorsi accademici ed altri opusculi di Andrea Lombardi, Cosenza 1836, p. 59. 20 Grimaldi L., Studi statistici sull’industria, op. cit, pp. 62-63. 21 Ivi, p. 90. 22 Per un’analisi storico-documentaria e topografica del territorio lametino e della sua complessa vicenda storica si vedano i fondamentali De Sensi G., Tra l’Amato e il Savuto, I Terina e il Lametino nel contesto dell’Italia antica, Società antiche. Storia, culture, territori vol. 1/I, Soveria Mannelli 1999 e II Studi sul Lametino antico e tardo-antico, Società antiche. Storia, culture, territori. vol. 1/II, Soveria Mannelli 1999; Mancuso S. , De Sensi G., Il Lametino antico e TerinaMagna Grecia dall’Età protostorica all’età romana, in Lamezia. Storia, Cultura, Economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli 2001, pp. 25-64. 23 Enciclopedia di Chimica Scientifica e Industriale Opera originale diretta da Francesco Selmi e compilata da una eletta di chimici italiani, vol. 4, Torino Napoli 1870, p. 163. 24 L’Italia alla Esposizione, op. cit., p. 174 25 Sulla manifattura di Doccia esiste una bibliografia molto vasta. Si vedano, almeno, Lorenzini C., La Manifattura delle porcellane di Doccia, Firenze 1861; Liverani G., Il Museo delle Porcellane di Doccia, Milano 1967; Ginori Lisci L., La porcellana di Doccia, Milano 1963. 26 Dizionario corografico dell’Italia compilato per cura del prof. Amato col concorso dei sindaci delle rappresentanze provinciali e di insigni geografi e storici: opera illustrata da circa 1000 armi comunali colorate, vol. 7, Milano 1871, p. 583. 27 Relazione illustrata della esposizione campionaria fatta per cura della Società promotrice dell’industria nazionale, Torino1871, p. 49. 28 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 12 settembre 1882. 29 Non fanno eccezione Angelo De Gubernatis e Vincenzo Vivaldi che, pur tracciando un attento profilo dell’uomo e dell’artista, non fanno menzione a questa specifica produzione. Cfr ad vocem Cefaly A., in De Gubernatis A., Dizionario degli artisti italiani viventi: pittori, scultori e architetti, Firenze 1889 e Vivaldi V., Un illustre pittore calabrese: Andrea Cefaly, Catanzaro 1907. 30 Per notizie bibliografiche di carattere generale si vedano oltre alle sopracitate fonti: Frangipane A., A. Cefaly retrospettiva, catalogo della mostra (Catanzaro, Palazzo della Provincia 24 ottobre-8 novembre 1953), Catanzaro 1953, pp. 3-39; Calabria Letteraria, num. speciale dedicato al pittore A. Cefaly, V, n.7, maggio 1957, pp. 1-41; Di Dario
M.P., ad vocem Cefaly A., in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIII, Roma 1979, pp. 316-320 (con bibliografia); Petrusa-Picone M., ad vocem Cefaly A., in La pittura in Italia: L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano, 1990, p. 756 (con bibliografia); Valente I., Andrea Cefaly tra il realismo letterario di Morelli e le indagini naturalistiche di Palizzi. Gli anni napoletani, in Andrea Cefaly e la Scuola di Cortale, catalogo della mostra (Catanzaro, Complesso Monumentale di San Giovanni 18 dicembre 1998 - 31 gennaio 1999), a cura di T. Sicoli e I. Valente, Catanzaro 1998. 31 OTTONOVECENTO. Arte in Calabria nelle collezioni private, catalogo della mostra (Rende, MAON, 26 ottobre 2013 – 1 marzo 2014), a cura di T. Sicoli, in corso di stampa (2014). 32 Cefaly A., Pensieri artistici, Catanzaro 1890, p. 25. 33 Picone- Petrusa M., L’arte nel Mezzogiorno d’Italia dall’unità alla seconda guerra mondiale, in AA.VV., Storia del Mezzogiorno, XIV, Napoli 1991, p. 183. 34 Sino al 1931 il piatto era ancora ubicato nella Biblioteca dell’Istituto. Cfr Frangipane A., Lettere di Florimo, in Brutium, X, n. 4, (1931), p. 3. 35 Così generalmente Francesco Florimo definisce nelle sue epistole il nascente Museo del napoletano Real Collegio di Musica di San Pietro a Majella. 36 Frangipane A., Lettere di Florimo, op. cit., p. 3. 37 Dopo il ritrovamento nel registro di battesimo dell’Archivio Parrocchiale di San Giorgio Morgeto del nome di Francesco Florimo e dell’indicazione di nascita del 30 agosto 1801 la questione della cronologia è da ritenersi definitivamente superata. Cfr Arena E., Una precisazione sul musicista Francesco Florimo, in Calabria letteraria, XLI, n° 4-5-6, (1993), p. 90. 38 Frangipane A., Lettere di Florimo, op. cit., p. 3 39 Catalogo delle opere d’arte ammesse all’Esposizione di BB.AA. di Napoli del 1882, p. 4. 40 Catalogo delle opere d’arte ammesse all’Esposizione di BB. AA. Di Napoli del 1883, p. 7. 41 Comunicazione orale, erede O. Cefaly. 42 Ursetta V., Le scene dantesche interpretate dal Cefaly, in Calabria Letteraria, op. cit., p. 25. 43 La prima mostra d’arte calabrese: Catanzaro 1912, Bergamo 1913, p. 72, n. 138; Monografia col catalogo delle opere, Andrea Cefaly: 1827-1907, a cura di A. Pelaggi, Catanzaro 1971, p. 26, n. 22 44 La prima mostra, op. cit., p. 72, n. 140 . 45 Monografia col catalogo, op. cit., p. 26, n. 58. Se si eccettuano i pochi casi richiamati, per la maggior parte dei piatti in ceramica eseguiti da Cefaly non viene riportata l’indicazione delle misure. 46 Monografia col catalogo, op. cit., p. 26, n. 57. 47 Ringrazio per la gentile segnalazione Maria Saveria Ruga alla cui tesi di dottorato in corso rimando per ulteriori approfondimenti sull’attività di Andrea Cefaly La «fucina» di Andrea Cefaly: un crocevia di artisti tra Napoli, Firenze e Parigi (Università di Pisa, relatore prof. V. Farinella). 48 Monografia col catalogo, op. cit., p. 26, n. 106 49 Ivi, n. 22 50 Imbriani V., Critica d’arte e prose narrative, a cura di G. Doria, Bari 1937, pp. 60-62. 51 Picone- Petrusa M., Filippo Palizzi e le arti appli-
cate. Tra incisione e fotografia, ceramica e pittura decorativa, in 800 italiano, n. 5, Firenze 1991, p. 33. 52 Filippo Palazzi. Scritti sull’arte, a cura di L. Murolo, Vasto 1987, p. 38. 53 Sica R., Michele Lenzi: pittore bagnolese dell’Ottocento (1834-1886), Napoli 1986, p. 210. 54 Della Rocca M., L’arte moderna in Italia. Studi, biografie e schizzi con disegni autografi dei principali artisti viventi, Milano 1883, p. 124. 55 Imbriani V., Critica d’arte, op. cit., p. 61. 56 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 28 febbraio 1886. 57 Circa la richiesta di sussidio per continuare gli studi di disegno e di scultura nel R. Istituto di Belle Arti in Napoli si vedano Atti del Consiglio Provinciale di Calabria Ulteriore Seconda (d’ora in avanti A.C.P.C.U.S.), Catanzaro 1874, pp. 216, 257, 259, 260, 268 58 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, certificato Scuola Serale di disegno di Capodimonte datata Napoli, 26 giugno 1880. A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, attestato di frequenza datato Napoli, 6 lglio 1881 59 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Napoli, 8 luglio 1883. A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, Estratto del verbale della tornata del di 23 settembre 1883. 60 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera [1879]. Costanzo che aveva cominciato gli studi qualche anno prima avanzò, senza esito, una prima istanza di sussidio già nel 1872. A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 29 agosto 1872. Per maggiori approfondimenti sulla formazione di Giuseppe Costanzo si veda Pisano M.A., Documenti per una storia delle arti applicate in Calabria nella seconda metà dell’ottocento, tesi di laurea, Università della Calabria, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea in Conservazione dei beni culturali, a.a. 2004-05, rel. G. Capitelli, pp. 100-161. 61 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, Estratto del verbale della tornata del di 16 novembre 1879. 62 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, Estratto del verbale della tornata del di 24 settembre 1881. 63 Si ha, inoltre, testimonianza di altri manufatti inviati all’Ente provinciale come il medaglione in gesso raffigurante la Regina Margherita di Savoia (1880), già presso la Provincia di Catanzaro e oggi perduto e il suo pendand grande al vero raffigurante Umberto I di Savoia (1881) o ancora un «lavoretto dipinto a gran fuoco» (1884) e anch’esso non più rinvenibile. Si vedano in part. A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Napoli, 8 settembre 1880; lettera Napoli, 19 settembre 1881; lettera Napoli, 19 giugno 1884. 64 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Napoli, 15 settembre 1883. 65 Genolini A., Maioliche italiane Marche e monogrammi, Milano 1881 p. 62. 66 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 9 novembre 1884. 67 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Napoli, 16 maggio 1883. 68 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 19 agosto 1886. 69 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 12 settembre 1882. 70 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 7 aprile 1885.
71 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 12 settembre 1882. 72 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 7 aprile 1885. 73 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 28 febbraio 1886. 74 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, aprile 1886. 75 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 19 agosto 1886. 76 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 9 novembre 1884. 77 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 19 agosto 1886. 78 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Napoli, 19 giugno 1884. 79 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Napoli, 15 settembre 1883. 80 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 9 novembre 1884. 81 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, aprile 1886. 82 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 9 novembre 1884. 83 Lenormant Fr., La Grande Grèce, Paris 1884, tr. it., tomo III, Chiaravalle Centrale 1976, pp. 85 sgg. 84 A.S.Cz., Pref. I, categ. XIV, lettera Nicastro, 19 agosto 1886.
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Potteryâ&#x20AC;&#x2122;s path Arts products from the towns of pottery
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Le vie della ceramica Manufatti dâ&#x20AC;&#x2122;arte dalle cittĂ della ceramica
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Pottery civilization. A travel along the italian towns with an old pottery’s tradition Elena Dal Prato
Earth, fire, air, water. The four basic elements of the timeless art of pottery If we consider mentioned terms in their double meaning it is possible to introduce and explain with few but also striking words the world of pottery. Let’s start from the earth or ground in this case, and of course from kèramos the ancient Grecian terms used to identify the clay used to create products; in its double meaning it is also “our land”: Italy that from north to south islands included saw the development of a meaningful and, for some aspects without term of comparison, pottery’s history and tradition. Fire and air both represent what permit to clay, glaze and colors to melt and create works of art as well as the creative turmoil of the masters that keep high Italian workmanship fame and, at last, water, used in ceramics to mix mixtures and colors; it’s the element that since ever is the symbol of life, and ceramic walked always side by side with human being, from the popular and everyday use until luxury and real art: pottery is infact art’s constant expression to be discovered together with human being civilization. Nowadays in Italy are 34 the towns in which is strong and recognized the old Italian pottery tradition’s maintenance, towns that keep alive and renew the fine art of artisan following and respecting strict production methods, things that permits safeguarding their own artistic production maintaining single areas main peculiarities and working characteristics. Pottery’ towns are all part of an association that is the National Association Towns of Ceramics (AiCC). The precious potteries “made in Italy” are the result of a creative turmoil that can be retraced all over Italy, where workshops and manufactures keep high Italian workmanship fame with traditional techniques and materials until the most innovative and creative. In the ideal travel all over the pottery’s Civitas will see how this art is indissolubly tied to its territorial history, economy and culture, on pottery it is possible to see the reflections, the peculiarities and the distinguishing points of their place of origin. The workshops opened all over the nation belong to artisans that we may define brave entrepreneurs, keepers of traditions and secrets still handed down from one generation to another representing creative intelligence and culture that are the Italian proud.The bond of traditional culture and innovation is the leitmotiv of all the towns of pottery that being keeper of this culture have a natural predisposition for art’s renewal.
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La civiltà della ceramica. Viaggio nelle città di antica tradizione ceramica Elena Dal Prato
Terra, fuoco, aria e acqua. Sono i quattro elementi fondamentali dell’arte senza tempo della ceramica. Ognuno dei quali può essere interpretato in un duplice significato che ci permette di introdurre e spiegare in poche ma incisive parole il mondo della ceramica: partiamo dalla terra e quindi da kèramos l’antico termine greco che identificava l’argilla utilizzata per foggiare manualmente i manufatti, nel suo doppio significato è anche la “nostra terra”: l’Italia che da nord a sud e fin nelle isole ha visto svilupparsi nei secoli una significativa, e in alcuni casi senza eguali, storia e tradizione della ceramica; il fuoco e l’aria rappresentano sia gli elementi che permettono all’argilla, agli smalti e ai colori di unirsi per creare uniche opere d’arte, sia quel clima di fervore creativo che si respira all’interno delle botteghe dei migliori artisti che mantengono alta la fama dell’artigianato italiano, ed infine l’acqua, utilizzata in ceramica per miscelare gli impasti e mescolare i colori è l’elemento che fin dai tempi antichi simboleggia la vita, e la ceramica ha da sempre accompagnato la vita dell’uomo, dall’utilizzo più popolare e domestico fino a quello di rappresentanza e di lusso: la ceramica infatti è la costante espressione d’arte che si ritrova nella civiltà dell’uomo. Oggi in Italia ci sono 36 città detentrici dell’antica tradizione ceramica italiana che fanno rivivere e allo stesso tempo rinnovano l’arte pregiata del fatto a mano seguendo e rispettando accurati disciplinari di produzione e tutela delle lavorazioni artistiche che promuovono e valorizzano la qualità e i caratteri fondamentali delle creazioni delle singole zone. Le città della ceramica sono unite in un’unica associazione: l’Associazione Italiana Città della Ceramica (AiCC). L’AiCC è nata nel 1999 proprio con l’obiettivo di promuovere, tutelare e valorizzare l’arte ceramica di qualità, è infatti essenziale conservare e difendere la produzione ceramica italiana, conosciuta e ammirata in tutto il mondo come sinonimo di qualità ed eccellenza. Le preziose ceramiche “made in Italy” sono il risultato di un fervore creativo che è possibile ritrovare in tutta Italia, dove botteghe e manifatture mantengono alta la fama dell’artigianato italiano con materiali e tecniche tradizionali, fino a quelle più innovative e creative. Nel viaggio ideale intorno alle civitas della ceramica vedremo come quest’arte è inscindibilmente legata alla storia, all’economia e alla cultura del proprio territorio, su di essa si riflettono infatti i tratti caratteristici e distintivi dei luoghi ove esse vengono create. Le numerose botteghe sparse in tutto il territorio italiano, appartengono ad artigiani, che potremmo definire coraggiosi imprenditori, che sono i custodi di tradizioni e segreti che ancora oggi si tramandano in diversi casi di generazione in generazione e rappresentano l’intelligenza e la cultura creativa che sono il vanto della realtà italiana. Per scoprire quali sono le città di antica tradizione ceramica e per conoscere come viene portata avanti oggi quest’antica arte possiamo iniziare il nostro itinerario da Faenza (dove l’Associazione ha avuto origine), riconosciuta a livello internazionale come la capitale della maiolica tanto che ancora oggi in tutto il mondo si utilizza la parola faïence per identificare la ceramica maiolicata. La città, che ospita il più importante museo dedicato alle ceramiche (il MIC, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza), non ha mai smesso di dimostrarsi una vera e proprio fucina d’arte tanto che tutt’oggi accanto a storiche e irrinunciabili botteghe che perseguono in maniera raffinata la tradizione locale della maiolica dipinta a mano troviamo entusiasti artisti che si dedicano con intraprendenza e originalità alla ceramica contemporanea e al design. Questo connubio di
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Fig. 1: Produzione contemporanea di Nove
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cultura della tradizione e propensione verso l’ innovazione è in realtà il leitmotiv di tutte le città della ceramica, che essendo custodi della cultura ceramica, hanno una naturale predisposizione verso il rinnovamento artistico. Dalle maioliche di Faenza ci spostiamo verso il nord Italia dove nelle città del Veneto: Este, Nove e Bassano del Grappa i maestri ceramisti proseguono la tradizione artistica e in diversi casi la evolvono verso la scultura e il design avviando processi di ricerca e di innovazione (fig. 1); in Lombardia ci fermiamo a Lodi per incontrare una produzione fortemente legata alla tradizione che combacia però con indagini sulla pittura su ceramica; ed infine passiamo tra le capitali della ceramica piemontese: Mondovì e Castellamonte, ove la prima si caratterizza per una produzione ceramica legata all’utilizzo delle terraglie per stoviglierie dove ancora oggi fra i decori più richiesti distinguiamo il popolare “galletto”, mentre la seconda risulta più proiettata verso i moderni prodotti per l’industria e per l’architettura, ma sono ancora attive le caratteristiche produzioni di stufe in ceramica. In territorio ligure dominano le Albisole savonesi: Albisola Superiore e Albissola Marina dagli anni Cinquanta sono conosciute come le capitali della ceramica prima futurista e poi informale grazie alla presenza di artisti quali Lucio Fontana, Agenore Fabbri ed Aligi Sassu. Gli echi di quell’inimitabile momento storico influenzano e stimolano ancora oggi l’intensa vita culturale della città, e molti artisti famosi continuano a frequentare le Albisole, appoggiandosi ad una rete composta da manifatture in gran parte di piccole dimensioni e spesso a carattere familiare (Fig. 2). Per ammirare l’arte della terracotta ci dirigiamo in Toscana ed esattamente ad Impruneta dove la lavorazione del cotto è un elemento primario dell’identità culturale della comunità imprunetina e un carattere distintivo dell’architettura e del paesaggio toscano, tanto che in questa zona si può davvero parlare di una “civiltà del cotto”. Oggi la produzione di Impruneta è specializzata sia nella produzione industriale di pavimenti e laterizi di qualità, sia nella lavorazione delle forme tradizionali di orci e grandi vasellami. Mentre a Montelupo Fiorentino, la fabbrica delle ceramiche della Firenze rinascimentale, ritrovia-
Fig. 2: Produzione contemporanea di Albissola Marina
mo i caldi colori della maiolica che le botteghe artigiane offrono sia in raffinate riproduzioni rinascimentali sia in reinterpretazioni secondo i nuovi dettami della moda e del design (Fig. 3). Infine la terra di Toscana ci ospita a Sesto Fiorentino dove le piccole realtà artigiane che continuano a lavorare la porcellana e la terraglia sono poste sotto l’egida della prestigiosa manifattura Richard Ginori, che dal 1735, pur con fasi di crisi alterne, rappresenta una delle massime espressioni di produzione di porcellane a livello internazionale. Nelle città marchigiane di Ascoli Piceno e Urbania, l’antica Casteldurante, riscopriamo luoghi e botteghe dove l’arte della ceramica del passato si è mantenuta intatta nel tempo grazie a produzioni di esclusivo ed eccellente artigianato artistico. Il nostro viaggio ideale continua poi in Umbria e Abruzzo dove troviamo le città di Deruta, Gubbio, Gualdo Tadino, Orvieto e Castelli. A Deruta sono numerosissime le aziende artigiane che custodiscono e continuano il vastissimo patrimonio della cultura ceramica locale (Fig. 4), mentre gli artigiani di Gualdo Tadino e Gubbio sviluppano e rivitalizzano la tradizione locale della maiolica a lustri metallici frutto di un glorioso patrimonio artistico. Verso un altro stile è invece caratterizzata la produzione della città di Orvieto, con temi, motivi e colori di derivazione medievale e rinascimentale si conferma ancora oggi come una delle principali produttrici di maiolica arcaica. Infine Castelli, che vanta una tradizione ceramica secolare ancora viva e vitale tanto che l’attività ceramica delle botteghe artigiane costituisce il fulcro dell’economia del paese. Dal borgo di Castelli, ci spostiamo verso il centro ceramico del Lazio: Civita Castellana. L’attuale produzione civitonica è rivolta ad una continua evoluzione innovativa di forme e tipologie di gusto moderno, infatti accanto a maestri che continuano la tradizione, la città si caratterizza soprattutto per la produzione di articoli sanitari, piastrelle, accessori bagno e stoviglierie.
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Fig. 3: Piatto con figura di armigero. Montelupo Fiorentino
Fig. 4: Piatto con decoro raffaellesco. Deruta
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In Campania l’antica e nobile produzione di maioliche viene mantenuta viva dai centri di Napoli, Ariano Irpino, San Lorenzello, Cerreto Sannita, Cava dei Tirreni, affermata per la produzione di rivestimenti e pavimentazioni, e Vietri sul Mare dove gli artigiani conservano la tradizione intraprendendo collaborazioni con artisti per creare così vivaci scambi culturali (Fig. 5). La Puglia ci accoglie a Grottaglie e a Laterza, quest’ultima si caratterizza ancora oggi per la peculiare produzione di maioliche dipinte a mano in monocromia turchina, mentre a Grottaglie la tradizione della ceramica è talmente radicata che i ceramisti vantano un proprio rione fuori dal centro storico, è il Quartiere delle ceramiche, dove sono riunite la maggior parte delle botteghe
Fig. 5: Produzione contemporanea di Vietri sul Mare
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Fig. 6: Piatto con decorazione a graffito. Squillace
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artigiane della città, molte delle quali sono state ricavate da grotte naturali. La produzione di Grottaglie si contraddistingue per una produzione di maioliche più raffinate legate ai cosiddetti “Bianchi di Grottaglie” ed una produzione maggiormente rustica e popolare alla quale appartengono i rinomati orci da giardino detto capasoni (da capase, cioè capace). Tra modernità e ceramica ingobbiata e graffita si colloca invece la città calabrese di Squillace che ci offre ceramiche che trovano il loro codice identificativo nel caldo colore rosso-scuro della terra calabrese. Questo caratteristica è dovuta alla tecnica del graffito che attraverso l’utilizzo di una punta acuminata graffia l’ingobbio bianco posto sulla ceramica e lascia trasparire il colore nudo dell’argilla rossa (Fig. 6). L’itinerario nella penisola si conclude ed è il momento di scoprire le città della ceramica nelle isole di Sicilia e Sardegna. L’iridescente Sicilia vanta quattro città di antica tradizione ceramica: Burgio, Caltagirone, Santo Stefano di Camastra e Sciacca. La produzione siciliana odierna continua a testimoniare la cultura millenaria della ceramica attraverso una produzione artigiana caratterizzata da un gusto pittorico coloratissimo e ricco di fantasia, con un occhio però sempre attento al rinnovamento e alla trasformazione. Ed infine eccoci arrivati in Sardegna, nelle città di Assemini e Oristano. In quest’ultima numerose botteghe ripropongono motivi tipici dell’artigianato sardo e, in modo particolare, della tradizione dei figuli oristanesi su cui si innestano elaborazioni originali e ricerca di nuove tendenze. Lo stile delle ceramiche oristanesi si ritrova ancora oggi nella cosiddetta brocca pintada, ovvero la brocca della sposa caratterizzata da una coperta vetrosa chiazzata di verde e di giallo sull’ingobbio bianco. Mentre ad Assemini si adoperano abilmente tra tradizione e sperimentazione gli strexiaius, artigiani che con l’argilla alcalina creano le stoviglie di uso quotidiano, chiamate strexiu. La tradizione ceramica sarda deve molto ancora oggi al pittore ceramista Federico Melis che negli anni Venti del Novecento rilanciò l’antica arte coinvolgendo artigiani locali in sperimentazioni e ricerche. Melis ideò un nuovo tipo di forno per realizzare delle ceramiche di straordinaria bellezza, la strada alla creatività era aperta e le maestranze locali sfruttano tutt’oggi tali preziose conoscenze. Le città di antica tradizione ceramica che fanno parte con orgoglio dell’Associazione italiana Città della Ceramica rappresentano per il nostro Paese un inestimabile valore artistico, culturale ed economico che viene conservato vivo e splendente in prima persona dai ceramisti, dagli artigiani, dalle industrie e dalle botteghe, che ogni giorno lavorano con appassionata dedizione per salvaguardare e rispettare un patrimonio unico ed originale dell’arte italiana, garantendone sia nella produzione tradizione sia in quella moderna un alto livello qualitativo e una costante eccellenza.
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The Exhibition Section 1
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La mostra Sezione 1
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Italian pottery:
the production of the
National Association “Towns of Ceramics”
Cosenza’s territory terracotta and potteries production exhibited near the Arts and Crafts Museum has been placed in the wider and well known national dimension, as to say, in dialogue with the products arriving from other towns with pottery’s vocation. Aim of this cultural strategy has been linking the deep and wide Cosenza’s territory archaeological stratification, the remarkable amount of documents and the single cases of modern age pottery’s production retraced in loco with the well known paths of pottery. This has been possible thanks to the cooperation of the National Association Towns of Ceramics with seat in Faenza. Pottery constitutes a work of exceptional value in the group of Italian traditional artistic heritage and can be considered as one of the ancients and continuous artisan- artistic experiences of the whole national territory; guaranteeing its knowledge and history it is our contribution in order to certificate its existence and guarantee its safeguard and diffusion. From pottery’s paths arrived in Cosenza valuable products both traditional and modern, with classic and contemporary patterns, products going from the utilitarian functionality to the luxury and ornamental good: Deruta, Faenza, Caltagirone, Squillace, Vietri are just few of the towns with well known pottery’s vocation exhibiting nowadays near the Arts and Crafts Museum.
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Ceramica italiana: i manufatti dell’Associazione Nazionale Città della ceramica
La produzione cosentina di terrecotte e ceramiche in mostra al Museo delle Arti e dei Mestieri è stata collocata nella più ampia e nota dimensione nazionale, ovvero nel dialogo con i manufatti provenienti dalle città a vocazione ceramica. L’intento sotteso da tale strategia culturale è stato quello di riconnettere la profonda e copiosa stratificazione archeologica del territorio cosentino, la notevole mole di documenti e i singoli casi di lavorazione ceramica di età moderna rintracciati in loco, ai più noti sentieri delle vie della ceramica. Il che è stato possibile grazie alla collaborazione dell’Associazione Nazionale Città della Ceramica, con sede a Faenza. La ceramica costituisce un’opera di eccezionale pregio nel novero dei beni artistici tradizionali italiani e può ritenersi come una delle più antiche ed ininterrotte esperienze artigianali-artistiche del territorio nazionale; garantirne la conoscenza e la ricostruzione storica rappresenta il nostro contributo a certificarne l’esistenza e a garantirne la tutela e la diffusione. Dalle vie della ceramica sono giunte a Cosenza pregevoli opere dallo stile tradizionale e moderno, dal repertorio figurativo classico e contemporaneo, dalla funzionalità utilitaristica al bene ornamentale e di lusso: Deruta, Faenza, Caltagirone, Squillace, Vietri sono soltanto alcune delle città di riconosciuta vocazione ceramica che oggi espongono al MaM.
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Ceramica Marina Genny di Lorenzo Piatto raffigurante leone rampante 50x50 cm Comune di Cerreto Sannita - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Istituto Statale dâ&#x20AC;&#x2122;Arte di Ceramica - Pietropaolo Maria Rita Puntinismo Ă&#x2DC; 37 cm Comune di Squillace - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Scarlatella Francesco Adorazione alla Sacra Famiglia 60x 35 cm - kg 15 Comune di Caltagirone - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Mastro Cencio di Dobboloni Vincenzo â&#x20AC;&#x201C;Civita Castellana Vaso - Stannos Falisco a figure rosse 27 cm D 25 cm 8,50 kg Associazione Nazionale CittĂ della Ceramica sezione tradizionale
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Ceramiche Liverani Antonio Zuppiera 31 x 22 x 22 cm Comune di Faenza - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Ceramica Giuseppe Patronelli â&#x20AC;&#x153;Ciarlaâ&#x20AC;? su piedini leonini 53 x 30 cm - 2 kg Comune di Grottaglie - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Bertoncello Giuseppe Luigi - Nove Bossa Buffona 30 cm - 1,5 kg Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione tradizionale
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Istituto Statale dâ&#x20AC;&#x2122;Arte di Ceramica - Bagnato Giovanna Figura rinascimentale Ă&#x2DC; 40 cm Comune di Squillace - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Apicella Raffaele, Raimondi Francesco â&#x20AC;&#x201C; Vietri sul Mare Vaso per olio (ogliarulo) cm 21,5 Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione tradizionale
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Walter Usai - Assemini Stangiada Ă&#x2DC; 22 cm Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione tradizionale
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Caravella Paolo Scolapasta 8 cm, Ă&#x2DC; 22 cm Comune di Burgio - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Patacca Vincenzo Raffaellesco Ă&#x2DC; 50 cm Comune di Deruta - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Studio Ernan Design Il Tucano cm 40 Comune di Albisola Superiore - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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Giovanni Passeri Dama di Corte Ă&#x2DC; 50cm Comune di Gualdo Tadino - Opera di rappresentanza AICC sezione tradizionale
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La Gioiosa Ceramiche Vaso su piedistallo con motivo decorativo a tavolozza di colori cm 29 Comune di Burgio - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Sandra Baruzzi Scala 48 x38 x 6 cm - 8 kg Comune di Castellamonte - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Gandini Annamaria Vaso con veduta cittadina 30 cm Comune di Ascoli Piceno - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Concetta de Blasio – Ariano Irpino Vaso alato cm 20 – kg 5 Associazione Nazionale Città della ceramica sezione moderna
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Ceramica Gatti di Servadei Davide & C SAS Hidra 34 x 33 x 26 cm Comune di Faenza - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Francesco Morelli Vaso 42 cm Comune di Gubbio - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Bottega Giustiniani - Ottavio Coppola Ciotola pergamenata Tondo 25 x 12 cm Comune di Cerreto Sannita - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Istituto Statale d’Arte “Antonio Corradini” Este - Este Bovide 20 cm Ø 26 cm Associazione Nazionale Città della ceramica sezione moderna
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Ceramiche Cosimo Vestita Portalampada da muro 22 x 17 cm - kg 0,500 Comune di Grottaglie - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Passeri Ceramiche dâ&#x20AC;&#x2122;Arte Vaso Buble cm 38 Ă&#x2DC; cm 15 Comune di Gualdo Tadino - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Mosca Giovanni – Vietri sul Mare L’ironia 40 x 26 x 13 cm - 2 kg Associazione Nazionale Città della ceramica sezione moderna
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Chieco Onofrio - Mondovi Pesce sul vaso 35 cm (h pesce 15) – Ø max dell’oggetto 18 Associazione Nazionale Città della ceramica sezione moderna
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Linea Sette Ceramiche - Nove Coppia di amanti 8 x 8 x 42 cm - peso 1 kg Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione moderna
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Corrios Osvaldo Galletto di Gallura verde 22 x 17,5 x 14 cm Comune di Oristano - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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Caldoro Adalberto e Formiconi Nadia Orvieto Vaso 16 cm, Ă&#x2DC; 25 cm Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione moderna
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Sclafani Eugenio - Sciacca Figure Mediterranee 2 h 8 cm Ă&#x2DC; 65 Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione moderna
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Orazio Bindelli - Urbania Vassoio a cartiglio “portasogni” 54 x 30 x 15 cm, peso 7 kg Associazione Nazionale Città della ceramica sezione moderna
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Dolfi Silvano - Ceramica ND Dolfi, Montelupo Fiorentino Bolo a stella 13 cm, Ă&#x2DC; 44cm Associazione Nazionale CittĂ della ceramica sezione moderna
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Istituto Statale dâ&#x20AC;&#x2122;Arte di Ceramica - Perri Valentina Rosone Ă&#x2DC; 30 cm Comune di Squillace - Opera di rappresentanza AICC sezione moderna
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The Exhibition Section 2
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La mostra Sezione 2
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Pottery and archaeology. Cosenza’s pottery tradition’ origins
Potteries and terracotta’ production it’s a crafts expression certified in calabrian civilization since the Early Neolithic. About vase art’s origin, it is well known that was imported by Phoenicians all over the Mediterranean and brought to perfection by Greece reaching both shapes perfection and decorative characterization. From Greece this art arrived in Etruria where nowadays there are lots of potteries companies (Arezzo, Cerveteri, Chiusi and so on) and all over the Peninsula. The archaeological excavations in province of Cosenza, in which settled pre- Helenians civilizations such as Greeks, Romans and Bruttii, pointed out that during Greek colonization outstanding was the circulation of vases imported by motherland while, from the V- IV century b.C lots were the local workshops opened to work clay: decorated vases, painted potteries and many other finds rediscovered in the archaeological sites of Torre Mordillo, Sibari, Francavilla M.ma and so on. The exhibition, anyway, reflects on the presence of pottery’s products in previous Ages thanks to the loans of the Museums of Serra d’Aiello and Tortora which finds are datable to Proto history and Lucan Age. A remarkable use of potteries is testified also during Early Christian and Byzantine Age, during Islamic contaminations and at last under Normans and Swabia but it’s in the XV century that researches register an interesting potteries’ production, of which, a paradigmatic expression it’s represented by the rounds, far ago walled up, on the portal of the church of San Bernardino in Amantea and nowadays on exhibition. Part of this section are the finds belonging to the archaeological museums part of the Museums network of the Province of Cosenza (www.retemuseale.provincia.cs.it) the National Archaeological Museum of the Sibaritide, the Archaeological Museum of Tortora, the Archaeological Museum of Serra d’Aiello, the Archaeological Museum of Cetraro and the Museum of Amantea. From all the finds it is possible recreating the circulation episode (importation and production) of pottery’s product in our territory individuating stylistic currents and patterns “repertory useful to reconstruct each historical period.
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Ceramica e archeologia. Le origini della tradizione ceramica cosentina
La produzione di ceramiche e terrecotte è una manifestazione dell’artigianato attestata nella civiltà calabrese fin dal Neolitico inferiore. Circa le origini dell’arte vascolare, è noto che essa fu esportata dai Fenici in tutto il Mediterraneo e condotta all’apice della perfezione dai Greci sia nell’eccellenza delle forme che nelle caratteristiche decorative. Dalla Grecia l’arte si espanse in Etruria, ove oggi si attestano grandi fabbriche di ceramiche (Arezzo, Cerveteri, Chiusi ecc.) e nel resto della penisola. Gli scavi archeologici nella provincia di Cosenza, solcata da genti pre-elleniche, greche, brettie e romane, hanno evidenziato che nel periodo della colonizzazione greca cospicua fu la circolazione di vasi importati dalla madrepatria, mentre dal V- IV secolo a.C. frequenti furono le fabbriche locali sorte per la lavorazione dell’argilla: vasi decorati, ceramica dipinta e numerosi altri reperti sono riemersi nei siti archeologici di Torre Mordillo, Sibari, Francavilla M.ma ecc.. La mostra riflette tuttavia sulla presenza di manufatti ceramici in epoche anteriori grazie ai prestiti dei Musei di Serra d’Aiello e Tortora afferenti all’epoca Protostorica e all’età lucana e negli scambi commerciali di epoca Brettia (Museo di Cetraro). Si è attestato un considerevole uso di ceramiche anche in epoca paleocristiana e bizantina, durante le contaminazioni islamiche e, infine, sotto i Normanni e gli Svevi ma è nel XV secolo che gli studi registrano un’interessante produzione di ceramiche, di cui una manifestazione paradigmatica è costituita dai tondi un tempo murati sopra il portale della chiesa di San Bernardino ad Amantea e oggi esposti in mostra. Si trovano in questa sezione i reperti dei Musei archeologici della Rete Museale della Provincia di Cosenza (www.retemuseale.provincia.cs.it), Museo archeologico di Tortora, Museo archeologico di Serra d’Aiello, Museo archeologico di Cetraro e Museo di Amantea. Da questi oggetti è possibile ricostruire la vicenda della circolazione (importazione e produzione) di manufatti ceramici nel nostro territorio individuando filoni stilistici e repertori figurativi utili alla ricostruzione di singoli periodi storici.
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Amantea: permanent exhibition of sacred art near the convent of San Bernardino
The exhibition room placed in the heart of San Bernardino’s Convent, in Amantea, keeps as heritage a remarkable number of documents about the church and the convent itself. All the finds were discovered during the digs putted in action all around the monastic complex and numbers ancient capitals, sheets of marble, noble coat of arms that once were in chapel’s space, a rich collection of historical pictures took during the digs near the convent and during convent’s restoration; showcases with old vases, dishes and amphora, used by friars living in the convent and, in the end, the famous plates recovering the cross placed on the church’s façade. San Bernardino’s museum wants to became a place in which it is possible to broad the knowledge on the convent’s history and its architectural and artistic stratification typical of Amantea that artistically joins the near oratory of Nobles Confraternity in which are kept rich statues and a beautiful low-relief showing the Nativity, by Pietro Bernini.
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Amantea
Esposizione permanente arte sacra nel convento di San Bernardino
La sala espositiva ubicata nel cuore del convento di San Bernardino, ad Amantea, custodisce un ingente patrimonio documentario relativo alla chiesa e al convento stesso. I reperti sono frutto delle campagne di scavo verificatesi nei dintorni del complesso monastico e annoverano antichi capitelli, lastre marmoree e stemmi gentilizi un tempo apposti nellâ&#x20AC;&#x2122;invaso delle cappelle, una ricchissima collezione di fotografie storiche sulle campagne di ricerca effettuate nel convento e sui momenti topici della sua ristrutturazione; teche con antichi vasi, piatti e anfore un tempo utili ai monaci che vi risiedevano e, infine, i noti piatti che rivestivano la croce apposta sulla facciata della chiesa. Il museo di San Bernardino intende porsi quale luogo di approfondimento sulla storia del convento e sulla sua stratificazione architettonica ed artistica amanteana e si unisce artisticamente allâ&#x20AC;&#x2122;annesso Oratorio della Confraternita dei Nobili che custodisce pregevoli statue e un bellissimo bassorilievo raffigurante la NativitĂ , opera di Pietro Bernini.
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Piatti di ceramica di Manises Tecnica, materiali: Terracotta Descrizione: Le ceramiche, in tutto nove, sono da attribuire alla fabbrica di ceramiche spagnola di Manises, importante centro di produzione ispano-moresca vicino a Valencia. Decorati in differenti modi, i piatti accolgono una rappresentazione isolata sul fondo (spesso un animale) o con decorazione geometrica e fitomorfa. In origine ornavano la facciata della chiesa di S. Berardino da Siena, disposti a formare una croce. In seguito sono stati rimossi dalla Soprintendenza Archeologica e ora sono esposti nell’annesso convento dei Frati Minori Osservanti e di pertinenza della Soprintendenza Bsae della Calabria. Datazione: XV sec. d.C. Provenienza: Amantea (CS), Chiesa di S. Bernardino da Siena Collocazione: Convento dei Frati Minori Osservanti - Amantea Bibliografia: A. Frangipane, I bacini di Amantea, “Bruttium”, anno XVIII n° 2, aprile 1939 Simone Marino
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Cetraro
Il Museo dei Brettii e del Mare Angelo, Luigi Orsino
Ospitato all’interno di Palazzo Del Trono (fig. 1), elegante architettura posta in una delle più panoramiche piazze del centro storico di Cetraro, il Museo dei Brettii e del Mare è oggi considerato tra i più innovativi e importanti musei della Calabria. Istituito nel dicembre 2011 come museo di proprietà comunale, si compone di due Sezioni, una Archeologica ed una Storica, distribuite su tre livelli strutturali e sistemate in ben dodici sale espositive. La Sezione Archeologica (fig. 2) è allestita secondo un criterio didattico articolato in tre esposizioni tematiche. La prima, attraverso
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Fig. 1 - Cetraro (Cs), Palazzo Del Trono, ingresso Fig. 2 - Museo dei Brettii e del Mare, Sezione Archeologica, percorso espositivo Fig. 3 - Museo dei Brettii e del Mare, Sezione Archeologica, anfore da trasporto
un interessante mostra di reperti provenienti da siti archeologici presenti nei territori del medio Tirreno cosentino, illustra la storia insediativa e la cultura materiale dei Brettii, popolo di stirpe italica che, tra il IV e il III secolo a.C., occupò gran parte dei territori dell’odierna Calabria; la seconda è dedicata al mare ed alle sue attività, esemplificate mediante l’esposizione di anfore da trasporto greco-romane e medioevali (fig. 3) e di modellini in scala di antiche imbarcazioni; la terza area, invece, si riferisce ad un interessante gruppo di testimonianze archeologiche di epoca medievale e moderna provenienti dal centro storico di Cetraro, delle quali desta particolare interesse una scultura di leone acefalo in pietra arenaria. L’esposizione archeologica, inoltre, è caratterizzata ed arricchita dai contenuti della nuova Sezione Multimediale, messi in atto attraverso l’impiego di supporti innovativi posti a servizio degli utenti, tra cui il sistema interattivo “MNEME” (fig. 4), ideato dalla 3D Research, spin off dell’Università della Calabria, che permette la fruizione virtuale dei reperti in mostra e dei pertinenti siti di ritrovamento visualizzati, attraverso la tecnologia 3D, su uno schermo collegato ad una console. Inoltre, viene offerta la possibile di ispezionare le varie collezioni esposte tramite dei tablet in dotazione al museo o tramite i propri smartphone, grazie alla tecnologia dei codici QR e delle applicazioni gratuite presenti su Apple Store e Android. La Sezione Storica (fig. 5) invece, è composta da un interessante collezione di carte geografiche, circa ottanta, di diversi formati relativi al periodo compreso tra la fine del ‘400 ed il periodo postunitario, donata al Comune di Cetraro dal Prof. Ing. Raffaello Losardo (Grisolia - Cs - 1920, Napoli 2011), che fu docente presso l’Università Federico II di Napoli di Costruzione di strade, ferrovie, aeroporti. Della collezione, costituita di importanti documenti cartografici, carte topografiche e nautiche, meritano particolare menzione quelle realizzate dai cartografi fiamminghi Gerard Mercator ed Abraham Ortelius. Nella raccolta è presente, inoltre, la riproduzione della carta dell’orbe di Tolomeo oltre ad una serie di carte con la rappresentazione del regno di Napoli, databili tra ‘600 e ‘700, le carte del
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Fig. 4 - Museo dei Brettii e del Mare, Sezione Multimediale, sistema interattivo Mneme
Fig. 5 - Museo dei Brettii e del Mare, Sezione Storica, Fondo cartografico
Rizzi Zannoni ed altre di geografi inglesi, tedeschi, francesi. Convenzionalmente annessa alla sezione storica e la Biblioteca Civica (fig. 6), costituita da un ingente patrimonio bibliografico composto da oltre 10.000 volumi di ogni genere. Fondata nel 1963, la Biblioteca svolge funzione di natura informativa-divulgativa oltre che di conservazione, in quanto contiene manoscritti e volumi antichi inseriti nei rispettivi cataloghi della sezione “Fondi Antichi”. Nella Sezione Storica, inoltre, rientra l’esposizione di Plastici architettonici (scala 1:50) che eseguiti in legno riproducono in modo dettagliato le principali architetture religiose e civili del centro storico di Cetraro. Ma è attraverso gli spazi ad esso annessi che il museo esaurisce la sua funzione di “contenitore museale”, divenendo polo di sviluppo delle attività culturali della città. All’interno del museo, infatti, è presente una Sala Mostre Temporanee, abitualmente impiegata per la realizzazione di eventi espositivi di vario genere; una Sala Congressi, munita di ogni comfort e spesso richiesta per la presentazione di libri, conferenze, seminari e lezioni frontali; un Laboratorio di Restauro Archeologico provvisto di attrezzature aggiornate, all’interno del quale studenti universitari svolgono attività di tirocinio; un’enoteca/caffè letterario, punto di ristoro per i visitatori del museo e location di svariate attività intellettuali; un giardino, sede nel periodo estivo di manifestazioni culturali ed eventi artistici e musicali, in quanto dotato di un palco in pianta stabile ed una tribuna a semicerchio capace di ospitare circa 200 persone. Altro, momento importante della vita del museo sono le attività didattiche, coordinate dalla Società Cooperativa C.A.S.T.E.R., che hanno permesso di ottenere, finora, una notevole fruizione del patrimonio storico ed archeologico in mostra nelle relative sezioni museali. Infine, il museo si pone al centro di un itinerario di visita articolato in vari siti di interesse storicoarcheologico posti nelle diverse località dell’entroterra cetrarese.
Fig. 6 - Museo dei Brettii e del Mare, Sezione Storica, Biblioteca civica
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Cetraro
The Museum of the Brettii and the Sea
This Museum is located inside the Del Trono building in Cetraro, on the Tyrrhenian coast in the province of Cosenza. It is made of two parts: thanks to captions and texts, plastic models and authentic archaeological materials, the first part tells about the people who lived on the sea coast in this area in the Hellenistic period (fourth to third century b. C.); the second one is wholly devoted to the navigation and commercial routes along the Tyrrhenian sea in ancient times. This part of North-Western Calabria is rich whit hills and has got a very narrow flat area only, where lots of settlements (never as large as a town) were founded about IV century b.C.by the Brettii. According to literary sources, they parted in 356 b.C. from the Lucan group, an Italic population of Oscan origin (who came from the regions called Abruzzo and Molise today). The Brettian development is directly linked to Hannibalâ&#x20AC;&#x2122;s destiny: the Brettii supported him during his wars against the Romans, thus their decline was inevitable when the Romans extended their control over the Calabria region. The Romans even spread a negative idea of them, saying they were definetely rough and barbaric. Topographic researches in the two municipally districts of Belvedere Marittimo and Acquappesa, have revealed about sixty ancient sites, founded on hills or even their picks, along natural ways and cattle-tracks, too. Archaeologists have excavated a small group of tombs ant at least four houses in Acquappesa, they have also made surveys in an area between Acquappesa and Cetraro. In the scattered rural settlements the Brettii grew up sheep and cultivated the land for their own needs. They used to live by the coast, but high enough to be protected from bad weather and to be able to control the communication routes at their best. In the sites named S. Barbara di Cetraro, Aria del Vento, Chiantima e Martino di Acquappesa there are buildings with a rectangular plan, made up of two rooms around a central courtyard, with a depot for food storage. These farms were inhabited by the Brettii between the end of 4th beginning of 3th century b.C., today they show their stone foundations only, since the walls havenâ&#x20AC;&#x2122;t been preserved and neither was the straw roof. The exhibition tells the visitors about the settlements in the area, mainly nearby Acquappesa. Materials from the tombs in Terranova, Bosco and Treselle of Cetraro, give us useful data about daily life and the economy of these people. In the museum there are original materials from both male and female burials. In the male ones there were above all weapons made in bronze (like belts) and iron (lance tips, javelin), typical of Italic fighters. Pottery pieces consist of vases that were used to eat and drink in the symposium. Lead sets to roast meat are also found in the tombs as characteristic of Oscan tribes. In female tombs there were some womenâ&#x20AC;&#x2122;s ornaments either golden, in silver, bronze or lead (such as rings, earrings, bracelets and fibulae), together whit small objects to contain make-up and vases whit marriage or domestice pictures. The part of the museum devoted to the sea helps visitors get to know about the history of Cetraro and the Tyrrhenian coast as far as navigation and fishing in past times is concerned. As regards commerce, in the exhibition there are a lot of amphorae from shipwrecks of different periods from sea depths. Special attention is given to reconstructing the commercial routes and ports that existed in the area from ancient times to the sixteenth century, when Cetraro became an important shipyard. In this part of the museum there are three models reproducing a Greek warship, a roman merchantship and a Renaissance galleon; the exhibit also show fishing tools, both ancient and modern. Traduzione fornita dal Museo di Cetraro
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Anfora Africana II o “grande” variante d Collocazione: Museo dei Brettii e del Mare di Cetraro (CS) Materiale: terracotta Epoca: III – IV sec. d. C. Misure: cm 105 x cm 29 Provenienza: dai fondali del medio Tirreno cosentino L’Anfora Africana II o “grande”, così indicata poiché di dimensioni maggiori rispetto al precedente tipo Africana I o “piccola”, si suddivide in quattro varianti (a,b,c,d) in base alla morfologia del corpo e dell’orlo. Il tipo in esame si riferisce alla variante d, largamente documentata nelle aree del mediterraneo occidentale, in quanto prodotta ed esportata più a lungo rispetto alle altre varianti. Presenta argilla di colore arancio chiaro, una struttura lineare composta da corpo cilindrico abbastanza allungato, spalla curvilinea, collo dal profilo troncoconico, orlo lievemente svasato con labbro arrotondato, anse “ad orecchio” percorse da nervature applicate sulla spalla e sul collo, corto puntale pieno. Prodotta in numerosi ateliers della Tunisia centrale e settentrionale tra il III e il IV secolo d.C., veniva molto probabilmente utilizzata per il trasporto dell’olio. Angelo Luigi Orsino
Cetraro (Cs), Museo dei Brettii e del Mare, Anfora Africana II o “grande”, variante d
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Anfora Dressel 20 Collocazione: Museo dei Bretti e del Mare di Cetraro (CS) Materiale: terracotta Epoca: I – III d. C. Misure: cm 58 x cm 35 Provenienza: dai fondali del medio Tirreno cosentino Utilizzate fra il I e il III secolo d.C. per il trasporto dell’olio, la produzione delle anfore Dressel 20 è individuata nella regione spagnola dell’Andalusia, più precisamente nell’area del fiume Guadalquivir, dai romani chiamato Baetis. Esistono diverse varianti tipologiche di tali contenitori, formatesi durante tutto il periodo di produzione e notevolmente diffuse lungo la costa dell’Italia tirrenica. Quella in mostra, mancante della parte terminale provvista solitamente di piccolo puntale, presenta argilla di colore arancio tendente al grigio nella parte interna, corpo pressoché globulare, collo corto e largo ed anse a bastone. Angelo Luigi Orsino
Cetraro (Cs), Museo dei Brettii e del Mare, Anfora Dressel 20
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Anfora MGS V â&#x20AC;&#x201C; VI Collocazione: Museo dei Brettii e del Mare di Cetraro (CS) Materiale: terracotta Epoca: fine IV â&#x20AC;&#x201C; inizi III sec. a. C. Misure: cm 53 x cm 35 Provenienza: dai fondali del medio Tirreno cosentino Il tipo di anfora da trasporto esaminato è attestato principalmente in siti della Sicilia orientale, della Calabria, della Lucania e della Campania meridionale. Priva del collo e delle anse, presenta una struttura caratterizzata da spalla molto larga, corpo a trottola con pareti molto sottili e puntale cilindrico corto e cavo. Utilizzata molto probabilmente per il commercio della celebre pix brettia. Angelo Luigi Orsino
Cetraro (Cs), Museo dei Brettii e del Mare, Anfora MGS V - VI
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Serra d’Aiello
Temesa Archaeological Museum
Set up and opened in 2007 thanks to the cooperation between the Superintendence for Calabria’s arts and ethno anthropological heritage and the local Archaeological Team “Alybis”, Serra d’Aiello Museum represents a basic step in the path of the provincial (and regional) archaeological museums, considered the important new represented by its discoveries and as well as the variety and the richness of its finds. It is possible to see, on exhibition the finds discovered near Cozzo Piano Grande, Chiane and above all Cozzo Carmineantonio where it seems may have been the old center of the Hero of Themesa. The museum offers to visitors showcases full of grave goods considered that on Chiane’s sandy Tombs were rich of potteries goods, working and war tools, a very rich equipment in metal and a variety of jewels discovered above all in the so called Tomb of the Princess which reconstruction (also in one of the didactic panels) helps in pointing out the high class the woman and the all settlement belonged to. Fibulas, phaleras an incense burner of great value and beauty, rings, earrings, necklaces, jewels in amber are the objects that enriched mentioned tombs pointing also out, especially in the comparison with the other territorial archaeological museums, how exceptional and how important was the ancient site where now rises Serra d’Aiello that deserved to be visited also for its churches, palaces and its nature.
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Serra d’Aiello
Museo Archeologico di Temesa
Allestito e inaugurato nel 2007 grazie alla fattiva collaborazione tra la Soprintendenza ai Beni Archeologici e il locale Gruppo Archeologico Alybas, il museo di Serra d’Aiello si presenta quale tappa fondamentale del percorso dei musei archeologici provinciali (e regionali) vista l’eccezionale novità delle sue scoperte e la varietà e ricchezza dei reperti. Vi si espongono i reperti rinvenuti in località Cozzo Piano Grande, località Chiane e località Cozzo Carmineantonio ove pare si localizzasse l’antico abitato della Temesa omerica. Il museo offre allo spettatore teche ricche di corredi funerari dal momento che sul terrazzo sabbioso di Chiane sono state riportate in luce più di 26 tombe facenti parte di una necropoli del IX-VIII secolo a.C. Le tombe presentano corredi ceramici, arnesi da lavoro e da guerra, un ricchissimo corredo metallico e una varietà di monili rinvenuti soprattutto nella cosiddetta Tomba della Principessa la cui ricostruzione (presentata anche in uno degli esaustivi pannelli didattici) consente di constatare l’elevato ceto sociale della donna e dell’abitato. Fibule, falere, un incensiere di eccezionale valore e bellezza, anelli, collane, orecchini e monili in ambra sono gli oggetti che arricchivano queste tombe e che evidenziano, specie nel confronto con gli altri musei archeologici del territorio, l’eccezionalità e l’importanza dell’antico sito su cui sorge Serra d’Aiello che merita d’essere visitato anche per le sue chiese, i palazzi e gli elementi naturalistici.
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Askos di impasto Collocazione: Museo di Temesa di Serra d’Aiello Materiale: terracotta Epoca: metà VIII sec. a.C. Provenienza: Tomba n. 10 della necropoli “Chiane” di Serra d’Aiello Misure: Diametro orlo 7,5 cm, diametro piede 8 cm, altezza 19,5 cm. Bibliografia R. Agostino - F. Mollo (a cura di) Alla ricerca di Temesa Omerica. Primi dati dalla Necropoli Chiane di Serra d’Aiello. Scilla 2007 F. Mollo Da Temesa a Blanda. Itinerari archeologici lungo la costa tirrenica cosentina. Reggio Calabria 2011 G. F. La Torre (a cura di) Dall’Oliva al Savuto. Studi e ricerche sul territorio dell’antica Temesa. Atti del Convegno. Amantea 15-16 Settembre 2007. Pisa-Roma 2009 Ricomposto con qualche integrazione. Impasto scuro. Orlo con labbro assottigliato, svasato, tendente a ripiegarsi verso il basso, collo conico, corpo ovoidale schiacciato, piede appena rilevato con fondo a profilo concavo convesso, ansa a nastro verticale, impostata inferiormente sulla spalla e superiormente sull’orlo. Il tipo, a differenza di un altro esemplare proveniente dalla stessa necropoli (Tomba 6), risulta essere leggermente più recenziore per la presenza dell’ansa prensile anziché di quella a linguetta forata. I confronti (ad es. necropoli Candidoni di Nicotera) portano l’esemplare ad essere datato all’incirca alla metà dell’VIII sec. a.c. Francesco Froio
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Coppetta in argilla figulina Collocazione: Museo di Temesa di Serra d’Aiello Materiale: argilla Epoca: metà VIII sec. a.C. Provenienza: Tomba n. 10 della necropoli “Chiane” di Serra d’Aiello Misure: Diametro orlo 10 cm, diametro piede 5 cm, altezza 6 cm. Di probabile produzione euboica. Bibliografia R. Agostino - F. Mollo (a cura di) Alla ricerca di Temesa Omerica. Primi dati dalla Necropoli Chiane di Serra d’Aiello. Scilla 2007 F. Mollo Da Temesa a Blanda. Itinerari archeologici lungo la costa tirrenica cosentina. Reggio Calabria 2011 G. F. La Torre (a cura di) Dall’Oliva al Savuto. Studi e ricerche sul territorio dell’antica Temesa. Atti del Convegno. Amantea 15-16 Settembre 2007. Pisa-Roma 2009 Ricomposta, lacunosa di orlo e parte della vasca. Coppetta in argilla depurata tornita di colore nocciola, vernice nera evanide tendente a scrostarsi. Orlo assottigliato quasi verticale, raccordato alla spalla da una piccola solcatura, vasca bassa a profilo convesso, piede appena rilevato con fondo a profilo piatto, anse a bastoncello orizzontali, leggermente revolute verso l’alto. Decorazione a vernice nera a fasce a risparmio sulla parte bassa della vasca, zone risparmiate o con decorazione ormai persa sulle spalle tra le due anse, interno a vernice nera. Francesco Froio
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Rocchetti di impasto Collocazione: Museo di Temesa di Serra d’Aiello Materiale: terracotta Epoca: metà VIII sec. a.C. Provenienza: Tomba n. 10 della necropoli “Chiane” di Serra d’Aiello Misure: variabili Bibliografia R. Agostino - F. Mollo (a cura di) Alla ricerca di Temesa Omerica. Primi dati dalla Necropoli Chiane di Serra d’Aiello. Scilla 2007 F. Mollo Da Temesa a Blanda. Itinerari archeologici lungo la costa tirrenica cosentina. Reggio Calabria 2011 G. F. La Torre (a cura di) Dall’Oliva al Savuto. Studi e ricerche sul territorio dell’antica Temesa. Atti del Convegno. Amantea 15-16 Settembre 2007. Pisa-Roma 2009 I sette rocchetti presentano una lunghezza variabile dai 3,3 cm con diametro estremità di 3 cm ai 4,5 cm con diametro estremità di 3,5 cm. Alcuni sono integri, altri scheggiati nelle estremità. Impasto di colore bruno scuro. I rocchetti di impasto, utilizzati per avvolgere il filo per cucire, sono molto comuni nelle sepolture dell’età del ferro. Indicatori del sesso femminile sono anche espressione della detenzione della funzione di attività sartoriale della defunta. Gli esemplari della T. 10 presentano le estremità di forma piana o leggermente concava ed alcuni sono dotati di foro passante. Francesco Froio
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Scodella monoansata di impasto Collocazione: Museo di Temesa di Serra d’Aiello Materiale: terracotta Epoca: metà VIII sec. a.C. Provenienza: Tomba n. 10 della necropoli “Chiane” di Serra d’Aiello Misure: Diametro orlo 24,5 cm, diametro piede 7,5 cm, altezza 8 cm. Bibliografia R. Agostino - F. Mollo (a cura di) Alla ricerca di Temesa Omerica. Primi dati dalla Necropoli Chiane di Serra d’Aiello. Scilla 2007 F. Mollo Da Temesa a Blanda. Itinerari archeologici lungo la costa tirrenica cosentina. Reggio Calabria 2011 G. F. La Torre (a cura di) Dall’Oliva al Savuto. Studi e ricerche sul territorio dell’antica Temesa. Atti del Convegno. Amantea 15-16 Settembre 2007. Pisa-Roma 2009 Ricomposta con qualche integrazione. Impasto scuro. Orlo assottigliato rientrante, vasca profonda a profilo troncoconico terminante con un piccolo fondo a profilo concavo, ansa a bastoncello fortemente obliqua, quasi verticale. Questo tipo è attestato a partire dalla fase IIa di Torre Galli. In particolare si osservi l’associazione scodella monoansata – askòs della necropoli La Rota di Candidoni. Francesco Froio
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Tazza attingitoio di impasto Collocazione: Museo di Temesa di Serra d’Aiello Materiale: terracotta Epoca: metà VIII sec. a.C. Provenienza: Tomba n. 10 della necropoli “Chiane” di Serra d’Aiello Misure: Diametro orlo 7,2 cm, diametro piede 2,5 cm, altezza 4,5 cm. Bibliografia R. Agostino - F. Mollo (a cura di) Alla ricerca di Temesa Omerica. Primi dati dalla Necropoli Chiane di Serra d’Aiello. Scilla 2007 F. Mollo Da Temesa a Blanda. Itinerari archeologici lungo la costa tirrenica cosentina. Reggio Calabria 2011 G. F. La Torre (a cura di) Dall’Oliva al Savuto. Studi e ricerche sul territorio dell’antica Temesa. Atti del Convegno. Amantea 15-16 Settembre 2007. Pisa-Roma 2009 Integra. Impasto di colore scuro. Orlo assottigliato verticale, raccordato alla vasca attraverso la spalla, poco pronunciata, vasca aprofilo convesso, poco profonda, fondo ombelicato a profilo concavo, ansa a nastro insellata, sormontante l’orlo. Il profilo del corpo, globulare e continuo, e l’orlo indistinto verticale distinguono, pur in mancanza di un profilo calzante, una tipologia recenziore della forma, assimilabile alla fase II di Pontecagnano. Francesco Froio
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Tortora
Archaeological Museum
Tortora’s museum, better known as “Frammenti del passato” permanent exhibition is hosted in the ancient gentilian palace Casapesenna which history is linked with village and large landowner’ ones. It represent an important reality in Calabria’s archaeological framework and its activity of past’s promotion and exploitation it is an evident proof. The Museum exhibits, through a significant collection of finds afferent to different ages, the entire development of a human event from the Lower Paleolithic to the Early Middle Ages testifying the steps of the indigenous settlements, Oenotrian, Lucans, Magna Graecia, Roman and Byzantine presence. Tortora’s archaeological museum showcases exhibits lots of finds discovered in the archaeological area of Rosaneto near Noce river left side; in the natural storage represented by the Cave of Torre Nave- a natural cave in which have been identified animal bones, a huge presence of lithic material and lots of artisanal products-; in the area of san Brancato and so on. All the finds recover Tortora’s historical memory from the Oenotrian Age on; about must be underlined that have been retraced old necropolis and grave goods with rich and original products between them. Concerning the VI century b.C. it is important pointing out that is the Lucani Age As to say the Age in which the inhabitants arrived from a near territory reusing Oenotrians spaces and necropolis as testified by the museum room in which is well explained the passage between the two Ages or populations, this passage appears even more clear in the Athlete Tomb. A particularly striking hall is the one exhibiting a Chamber sized Tomb perfectly recreated (IV century b.C.) in which are present precious objects part of the grave goods between which wonderful skyphos and red patters amphoras The last hall exposing finds linked to Lucan Age keeps and object that can be consider one of a kind seldom retraced: a red pattern plate for fish with a particular symbology. The last showcase expresses the meaning of Roman colonization; lots are the finds belonging to Tortora’s Roman Age but not necropolis that, instead, have been discovered in Castrocucco. To Roman Age belongs the famous Blanda Julia colony indicated in the Tabula Peutigeriana and the Mausoleum of Augustan Age near district Pergolo, probably realized by one of Blanda colony’ founders An important museum in province of Cosenza as well as of the whole region museum and archaeological heritage, fruit of the commitment, numerous excavation campaigns and of a territorial exploitation process which aim is recovering Tortora’s historical identity.
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Tortora
Museo Archeologico
Il museo di Tortora, meglio noto come mostra permanente “Frammenti del passato”, è ospitato nell’antico palazzo gentilizio Casapesenna la cui storia si intreccia con quella del paese e dei suoi feudatari. Si tratta di un’importante realtà nel patrimonio archeologico calabrese e la sua attività di promozione e valorizzazione del passato cittadino ne è una evidente conferma. Il Museo espone attraverso una consistente collezione di reperti afferenti a più epoche storiche, l’intero sviluppo della vicenda umana del territorio dal Paleolitico Inferiore all’epoca altomedievale testimoniando la fase del popolamento indigeno, la presenza enotra, lucana, magnogreca, romana e, infine, bizantina. Le vetrine del Museo archeologico di Tortora espongono numerosi reperti rinvenuti nell’area archeologica di Rosaneto, in prossimità della sponda sinistra del fiume Noce; nel deposito naturale della grotta di Torre Nave -cavità naturale nella quale si sono rilevate ossa di animali, un’abbondante industria litica e vari esemplari artigianali-; nella zona di san Brancato ecc. Essi recuperano la memoria storica di Tortora dalla fase enotra in poi; relativamente ad essa, inoltre, sono state rinvenute antiche necropoli e corredi funerari che vantano ricchi ed originali esemplari. Relativamente al IV a.C. è la fase lucana del territorio in cui gli abitanti ivi sopraggiunti dal territorio limitrofo riutilizzarono ambienti e necropoli degli enotri come è testimoniato nella sala del passaggio tra le due popolazioni e, più specificatamente, nella Tomba dell’atleta. Una sala particolarmente suggestiva è quella dedicata all’esposizione di una Tomba a Cassa perfettamente ricostruita (IV secolo a.C.) nella quale sono presenti oggetti preziosi del corredo funerario tra cui skyphos, anfore a figure rosse, olle ecc. L’ultima sala relativa alla fase lucana del territorio di Tortora conserva un oggetto unico nel suo genere e di rado rinvenuto, un piatto da pesce a figure rosse con una particolare simbologia; l’ultima vetrina, infine, esprime il senso della colonizzazione romana del territorio della quale sono pervenuti numerosi reperti ma non necropoli, presenti invece a Castrocucco. Di epoca romana è la celebre stazione di Blanda Julia indicata sulla Tabula Peutigeriana e il Mausoleo di età augustea in contrada Pergolo, verosimilmente realizzato da uno dei fondatori della colonia di Blanda. Un museo importantissimo nel patrimonio archeologico e musivo della provincia di Cosenza e della intera regione, frutto degli sforzi di tante campagne di scavo e di un processo di valorizzazione del territorio mirante al recupero dell’identità storica di Tortora.
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Hydria a figure rosse La tomba 113, dal ricco corredo, era costituita da una struttura a tegoloni. Ai piedi dello scheletro è stata trovata l’hydria appoggiata su un frammento di tegola, chiusa all’imboccatura da una coppetta a vernice nera. Il vaso, decorato su un lato con una testa femminile e sul retro con una palmetta, doveva contenere l’acqua adoperata nel rituale funerario Datazione: metà IV – inizi III sec. a.C. Provenienza: Tortora (CS), loc. San Brancato - Tomba 113 Collocazione: Museo di Blanda - Tortora Simone Marino
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The Exhibition Section 3
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La mostra Sezione 3
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Pottery and Sources. Cosenza’s pottery from ‘500 to ‘700 through the documents of Cosenza State Archive
Founded and hosted- after the Murat decree of the 22 october 1812- in the halls of the Palace of the Government, the present State Archive has its seat in the wonderful cloister and convent of Saint Francis of Paola in Cosenza. It keeps an extraordinary amount of documents, bodies and benches direct proof, chronologically ordered and gathered in Pre-Unification Archives, Post-Unification Archives and non-State Archives. In turn Pre- Unification Archives are divided in Ancient Régime, Napoleonic Age and Restoration. Lots are the Archives fonds kept, numerous the ones referred to Prefecture and to the Royal Provincial Court to the “Onciari”-Cadastres- (1743-1808) and the parchments, anyway very important and precious are the documents offered by the Notarial Fond (XV-XIX century), precious informations going from trousseau’s description, post mortem inventories, last will and testaments, to contracts, rents and so on. It is in this context that have been discovered and studied the document on exhibition concerning Notarial Fond Inventory, in which can be retraced pottery, ceramic and clay’ objects and plates. Mentioned documents cover the lapse of time going from the Sixteenth to the Eighteenth Century testifying the presence of the loco detto li pignatari in Cosenza, the relations between local workshops and monasteries for the supply of everyday use objects, the commercial trade between companies and national territory’ realities (please consider the inventory of the Sambiase family where is mentioned un ciarriglio ad pisce delfino de crita de Faenza or the ones belonging to the Cavalcante and Passalacqua, rich of news concerning the circulation a nd the presence in Cosenza’s noble class palaces of potteries made in Faenza and also in other regions).
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Ceramica e fonti. La ceramica cosentina dal ‘500 al ‘700 attraverso i documenti dell’Archivio di Stato di Cosenza
Fondato e ospitato nel 1844 -a seguito del decreto murattiano del 22 ottobre 1812- nei locali del Palazzo del Governo, l’attuale Archivio di Stato ha sede nello splendido chiostro e convento di San Francesco di Paola a Cosenza. In esso una eccezionale mole di documenti, diretta testimonianza dell’attività di enti e magistrature, sono ordinati cronologicamente e raggruppati in archivi preunitari, postunitari e non statali. A loro volta gli Archivi preunitari si suddividono in Antichi Regimi, Periodo napoleonico e Restaurazione. Numerosi sono i fondi archivistici presenti, tra essi consistenti sono quelli legati alla Prefettura e alla Regia Udienza Provinciale, ai Catasti onciali (1743-1808), le pergamene, tuttavia, notevoli sono le testimonianze offerte dal Fondo notarile (XV-XIX secolo), preziosa miniera di informazioni che spaziano dalla descrizione dei corredi matrimoniali, agli inventari post mortem e testamenti, ai contratti, alle locazioni e così via. E’ in questo ambito che sono stati rinvenuti e studiati i documenti esposti in mostra e relativi a inventari del fondo notarile, in cui compaiono oggetti e vasellame di ceramica, porcellana e creta. Tali documenti ricoprono il periodo che va dal Cinquecento al Settecento e testimoniano la presenza del loco detto li pignatari a Cosenza, i rapporti delle botteghe locali con i monasteri per l’approvvigionamento di manufatti di uso quotidiano, lo scambio commerciale con aziende e realtà del territorio nazionale (si veda l’inventario della famiglia Sambiase ove è menzionato un ciarriglio ad pisce delfino de crita de Faenza o quello dei Cavalcante e dei Passalacqua, copiosi di informazioni riguardo la circolazione di ceramiche faentine ed extra regionali nelle residenze nobiliari cosentine).
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Cosenza 1598 Inventario di Aloisio Salsedo castellano della cittĂ di Cosenza, nel cui elenco si trovano diverse porcellane decorate di Faenza. CSas notaio Pietro Plantedi, 1598, c. 418.
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Cosenza, 26 febbraio 1793 Inventario dell’arcivescovo Raffaele Maria Mormile in cui si esegue una ordinata divisione degli oggetti e nel nostro caso sotto la denominazione “Porcellana del Ponte della Maddalena”. CSas, notaio Carmelo Maria Trocini, 26 febbraio 1793, c. 25
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The Exhibition Section 4
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La mostra Sezione 4
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Pottery’ Masters in province of Cosenza. Heirs and continuators of an ancient artistic tradition
Critari, pignatari, figulari, vasai, rigiolari … province of Cosenza pottery’s masters on exhibition near the Arts and Crafts Museum are the heirs of a century old tradition stemmed during Proto History but that reached its apogee from the Fifteenth to the Nineteenth century, presenting changes up to the regional territory geographical area. They are who wants to go on with it, they keep safe from modernity the artisanal-artistic process that makes a simple product, often of everyday use and with a mere utilitarian functionality, a work of art. Vases, lamps, soup tureens, plates, trays, cups are the fine products that the ceramists from Bisignano, Lappano, Rossano, Cariati, Cropalati, Altomonte, Rogliano, Schiavonea, Cassano Ionio, Saracena, Trebisacce, Mendicino and Bocchigliero expose here. A century old tradition rediscovering, in some cases, the indelible sign left by the civilizations that settled in our territory through patters, colors and classic representation or proposing again functional objects such as small pots, small vases, pans realized starting from ancient prototypes; elsewhere, instead, it is tangible the debt of local traditions, popular beliefs, the devotion to rituality and objects apotropaic value; in many other cases the masters wanted to insert everyday use objects manual and artisan production -trays, vases and tea sets- in the field of contemporary art, reproducing the works of art of the most important artists at international level. Talk about pottery means talking about a product created by modeling clay that can be a porous paste (bricks, flatware, majolicas, glazed terracotta) or compact and waterproof paste (grès and porcelains). Faenze, majolicas, grès and porcelains are the main products that is possible obtain changing materials and processing while, terracotta remains the pottery’s plain expression, because it’s just made of body. The province of Cosenza shows a great interest and a lively productive activity both of potteries that terracotta not just in the classical expression but also in the modern one made concrete in figurative and abstract’ expressions. In calabrian workshops are created finest value products, both for everyday use that pervaded of a strong artistic value, both objects and sculptures, furniture and old hand tool reconversion; vases, amphoras, plates, saucepans, small vases, cooking pots, theatre masks, apotropaic masks, jugs and many other things. Between popular culture potteries there are the salaturi, pignate, bambule, pots for water representing a man-monster and Nativity scene components. Each one of the masters suggests a different stylistic language as well as thematic research retracing also their own modus operandi; mining techniques, modeling, painting, baking techniques that are different from workshop to workshop and that the Arts and Crafts Museum wants to present to the public screening the images recorded in province of Cosenza’ workshops.
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I maestri della ceramica nella provincia di Cosenza. Eredi e continuatori di un’antica tradizione artistica
Critari, pignatari, figulari, vasai, rigiolari … I maestri ceramisti della provincia di Cosenza che espongono al Museo delle Arti e dei Mestieri sono gli eredi di un’antichissima tradizione che ha origine in epoca Protostorica ma che ha raggiunto l’apogeo tra Quattrocento e Ottocento, diversificandosi nelle aree geografiche del territorio regionale. Essi ne sono i continuatori, coloro i quali preservano dall’incalzare della modernità il procedimento artigianale-artistico che rende un semplice manufatto, spesso di uso quotidiano e con mera funzionalità utilitaristica, un’opera d’arte. Vasi, lampade, zuppiere, piatti, vassoi, tazze, sono i pregevoli manufatti che i ceramisti di Bisignano, Lappano, Rossano, Cropalati, Altomonte, Rogliano, Cariati, Schiavonea, Cassano Ionio, Saracena, Trebisacce, Mendicino e Bocchigliero espongono in mostra. Una tradizione millenaria che riscopre, in certi casi, l’indelebile segno lasciato dalle civiltà che hanno abitato il nostro territorio attraverso repertori figurativi, cromatismi e rappresentazioni classiche oppure riproponendo oggetti funzionali come orciuoli, vasetti, tegami su prototipi arcaici; altrove è invece tangibile il debito delle tradizioni locali, delle credenze popolari, l’attaccamento alla ritualità e le valenze apotropaiche degli oggetti; in altri casi, ancora, i maestri hanno inteso innestare la produzione manuale e artigianale di oggetti di uso quotidiano come vassoi, vasi e servizi da the nel sentiero dell’arte contemporanea, riproducendo le opere dei più noti artisti del panorama internazionale. Quando si parla di manufatti in ceramica si intende un prodotto nato dalla manipolazione dell’argilla che può presentarsi a pasta porosa (laterizi, stoviglie, maioliche, terrecotte smaltate) o a pasta compatta e impermeabile (grès e porcellana). Faenze, maioliche, grès e porcellane sono i principali manufatti che è possibile ottenere variando i materiali e le lavorazioni, mentre la terracotta resta la più semplice espressione della ceramica, formata di solo impasto. La provincia di Cosenza manifesta un grande interesse e una fervida attività produttiva di ceramiche e terrecotte non solo nell’accezione classica ma anche moderna che si concretizza in espressioni figurative e astratte. Nelle botteghe calabresi si producono manufatti di eccezionale valore, sia di uso quotidiano che di più spiccato valore artistico, sia oggettistica che sculture, arredo e riconversione di antichi utensili: vasi, anfore, piatti, tegami, orciuoli, pignatte, maschere teatrali e maschere apotropaiche, brocche e tanto altro ancora. Tra le ceramiche della cultura popolare si annoverano i salaturi, le pignate, le bambule, recipienti per la raccolta dell’acqua raffiguranti un uomo-mostro, e i pastori del presepe. Ciascuno di questi maestri propone un linguaggio stilistico e una ricerca tematica differente che ricalca altresì il modus operandi di ognuno di loro; tecniche di estrazione, tecniche di modellaggio, di dipintura e di cottura che differiscono da bottega a bottega e che il MaM intende presentare al pubblico, proiettando le immagini riprese nei laboratori artigianali della provincia di Cosenza.
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Raffaela Caruso, Lappano Raffaela Caruso è nata a Platania in provincia di Catanzaro il 19/02/1963. Dopo aver conseguito il Diploma di Maturità d’Arte Applicata Sez. di “Arte della Ceramica” conseguito presso l’Istituto Statale d’Arte di Vibo Valentia si iscrive all’ Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria dove ci diploma in “Pittura” e successivamente frequenta il Corso di Ceramica tenuto dall’Associazione Anthurium di Lamezia Terme. Ha iniziato la sua attività artistica nel 1982, occupandosi prevalentemente di disegno, pittura, incisioni, vetrate artistiche. Dal 1999 al 2011 ha gestito un laboratorio per la lavorazione della ceramica e della terracotta; Attualmente opera a Lappano (CS), dove si occupa principalmente di pittura e ceramica, con Studio in Via Roma angolo Piazza C. Battisti. Espone dal 1989 e durante la sua carriera ha partecipato sia a mostre personali che collettive quali il Premio Nazionale di Pittura, “M. Vizzone – C. Carretta”, la Biennale Internazionale d’Arte Città di Locri, ricevendo numerosi riconoscimenti.
Raffaela Caruso, Lappano Raffaela Caruso was born in Platania in province of Catanzaro the 19/02/1963. After the high school Degree in Applied Art with specialization in “Ceramics” earned near Vibo Valentia Art High School, she enrolled in Reggio Calabria Fine Arts Academy where obtained the diploma in “Painting”. The artist completed her education with the Certificate of participation to the Ceramics Course of the Association Anthurium of Lamezia Terme. Raffaela Caruso started her artistic activity in 1982, mainly dealing with drawing, painting, engraving and artistic glass walls. From 1999 to 2011 she managed a workshop specialized in pottery and terracotta in Cosenza. Nowadays she works in Lappano (CS), where she deals with pottery and painting in her workshop placed in in Via Roma near Piazza C. Battisti. Exhibits since 1989 and all over her career took part to lots of exhibitions both personal that collective such as the Premio Nazionale di Pittura, “M. Vizzone – C. Carretta” or the Biennale Internazionale d’Arte Città di Locri receiving lots of prizes.
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Raffaela Caruso Ovale Maiolica. Cm 35
Raffaela Caruso Serie Lampadari con appliques Maiolica e terracotta.
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Raffaela Caruso Brocca Maiolica e terracotta Raffaela Caruso - Lappano Medaglione rotondo Maiolica. Cm 30
Raffaela Caruso Piatto quadrato
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Domenico Fontana, Bocchigliero Domenico Fontana, scultore e pittore nativo di Bocchigliero (Cs) è un’artista eclettico che predilige l’utilizzo tecniche ad olio e l’acrilico per i suoi splendidi collage in cui adopera come materia prima la carta per comunicare e per denunciare alienazioni e ingiustizie. Molte sono le mostre e le rassegne a livello internazionale a cui ha partecipato come ad esempio l’ArtExpo di New York, la Terza Rassegna d’arte di Tenerife o la Mostra Arte Sacra per il Giubileo. Estremamente lusinghiere le parole che gli ha dedicato la stampa come quanto scrive Carlo Mendicino: “Fontana è pittore dotato di una naturale, sofferta, intensa consapevolezza dei valori che permeano la vita e che la rendono avventura emozionante in ogni momento, pur di disagio e di sofferenza, di consapevolezza e perfino di rassegnata constatazione dei mali che l’affliggono fino a renderne a volte intollerabile lo scorrere”. Una vita dedicata all’arte quella di Fontana, un’arte che diventa strumento per esprimere i disagi dell’uomo, il cui valore non può essere spiegato in altri modi se non prendendo in prestito quanto scrive di lui e del suo lavoro “L’Osservatore Umbro” dopo una mostra che lo aveva visto protagonista a Perugia: “Domenico Fontana è un artista calabrese che, passato attraverso forme espressive e creative diverse, ha raggiunto oggi la piena maturità. Lo testimoniano i collages presentati nella mostra di Perugia, che coniugano in modo singolare scultura e pittura. La carta è la materia che Domenico Fontana adopera per comunicare e per denunciare alienazioni e ingiustizie. E si tratta quasi sempre di carta usata e di giornali, come se l’artista volesse ripercorrere avvenimenti già consumati e recuperare in modo soggettivo la quotidianità. L’opera di Fontana infatti – ed è proprio questo il tratto più incisivo dei suoi collages – mostra, insieme e senza disarmonie, tratti onirici e un legame intimo con la realtà, traducendosi in una precisa denuncia delle violenza e della ingiustizia del tempo presente. Ma senza la ridondanza retorica di chi sale in cattedra, anzi con l’intimità e la discrezione di un osservatore attento e sensibile”.
Domenico Fontana, Bocchigliero Domenico Fontana sculptor and painter born in Bocchigliero (Cs) is a versatile artist who loves the use of techniques such oil painting and acrylic for his wonderful collages in which uses as material the paper to communicate and denounce alienations and injustices. Lots the exhibitions he took part to, also at International level, such as the ArtExpo of New York, the third Art Exhibition in Tenerife Or the Exhibition Sacred Art for the Jubilee. Very encouraging the words that the press had for him like, for example what wrote Carlo Mendicino: “Fontana is a painter gifted of a natural, suffered intense consciousness for life’s value and for everything makes it an emotional adventure even if a sufferance and awkward, awareness and even of resigned realization of all the bad thing that can happen until making intolerable its going on”. An entire life devoted to art, Fontana’s life, art that becomes the tool to express men diseases and discomfort, which value cannot be explained in other ways if not renting what’s wrote about him and his work the “L’Osservatore Umbro” after an exhibition that saw his protagonist in Perugia: “Domenico Fontana is an artist born in Calabria that, after going through different creative and expressive shake, has finally reached his ripeness. This is testified by the collages he exposed in Perugia, works of art joining in a unique way sculpture and painting. Paper is the metarial he uses to communicate and denounce alienations and injustices. Almost always is used paper or newsprint, as if the artist would recall moments already happened and recover, with a subjective point of view, everyday life. Fontana’s work infact- and this is the most striking mark of his collages- shows, together and without nonconformities, dreamlike strokes and an intimate relation with reality, translating everything in a coeval time violence and injustice clear denunciation. Without the rhetoric redundancy of whom gives master classes, on the contrary with the intimacy and the tact of a sensible and wise observer”.
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da sinistra Domenico Fontana San Giorgio Ceramica e stoffa gessata al. Cm.27 – larg. Cm.17 – lung. Cm.25 Domenico Fontana La tantazione di Sant’Antonio ceramica colorata -altez. Cm.28 – larg. cm.26 – lung. Cm.19
Domenico Fontana Meditazione ceramica colorata – alt. Cm. 15 – larg. Cm.30 – lung. Cm.20
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da sinistra Domenico Fontana Dormiente ceramica colorata alt. Cm.31 – larg. Cm.25 – lung. Cm.21 Domenico Fontana Maternità ceramica colorata alt. cm.27 – larg. Cm.14 – lung. Cm. 14
da sinistra Domenico Fontana Nudo ceramica verniciata alt. Cm.30 – larg. Cm.14 – lung. Cm.14 Domenico Fontana Ninfa che riposa ceramica colorata alt. Cm.18 – larg. Cm.13 – alt. Cm.25
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Rossana Gerbasi, Mendicino Laboratorio artigianale, creazioni uniche e forme armoniose, complementi d’arredo preziosi dai decori totalmente realizzati a mano secondo un lungo processo di produzione curato in ogni singolo dettaglio. Le forme tradizionali e la passione per il colore sono le caratteristiche principali che distinguono le ceramiche di “Vico Condotti”. Azienda giovane e dinamica che ormai da più di un decennio offre ai propri clienti una vasta scelta di prodotti artistico-artigianali. Vere creazioni artistiche sono i rivestimenti realizzati dal laboratorio Vico Condotti, unici nel loro stile. Sia la formazione nelle decorazioni classiche Faentine che l’approfondimento della conoscenza della decorazione tipiche del centro Italia, fino all’incontro con le ceramiche siciliane, hanno fatto nascere la voglia di portare i meravigliosi colori della tradizione mediterranea nelle nostre creazioni. La perfezione della scuola classica si fonde con la vivacità e l’autenticità delle ceramiche tipiche del meridione d’Italia.
Rossana Gerbasi, Mendicino Workshop, unique creations and harmonious shapes, precious pieces of furniture with handmade decorations following a long productive process paying particular attention to details. Traditional shake and passion for color those the main characteristics distinguishing the potteries created by “Vico Condotti”. A young company that since more than ten years offers its customers a wide choice of artistic- handicrafts products Real artistic creations are the linings realized by the workshop Vico Condotti one of a kind in style. Both Faenza’s classic decoration that the deepen knowledge of central Italy typical decorations, up to the meeting with Sicilian potteries made arose the will of bringing the wonderful Mediterranean tradition colors in our creations Classical school perfection melts with Southern Italy typical potteries authenticity and vivacity.
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Rossana Gerbasi Caspoquette dipinto con motivi floreali a fondo verde ramino d’ispirazione siciliana. Il disegno è stato eseguito a pennello con tecnica di pittura sopra smalto. Di particolare rilevanza l’accuratezza della decorazione posizionata sul vaso. Rossana Gerbasi Le bottiglie decorative di forgiatura siciliana sono state decorate da ispirazione della ceramista. Decorazione di tipo rustica che si adatta bene anche a piatti, catini, brocchette od altro, in maiolica soprattutto.
Rossana Gerbasi Tavella stesa a mano decorazione “i velieri” questa tavella è stata realizzata stendendo l’argilla in una formella 30x40 cotta una prima volta dipinta e riportata a cottura per la vetrificazione.
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Rossana Gerbasi Lume intagliato a forma di uovo di foggiatura umbra intagliato a mano. Il pezzo è stato decorato con tecnica di colore sopra smalto tipica tecnica della maiolica artistica. Rossana Gerbasi Tavolo da giardino motivi floreali = Tavolo realizzato con mattonelle 20x20 di grandezza 60x160 decorato con motivi floreali , realizzato totalmente a mano.
Rossana Gerbasi Pannello decorativo “Castello Svevo” Cosenza = Questo pannello è stato realizzato con mattonelle 10x10 su commissione privata destinato a decorazione murale su terrazzo cittadino.
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Franco Malomo, Cassano Ionio “L’Artigiano della Ceramica” In attività da più di 50 anni. Nato il 1944 a Cassano allo Ionio (cs) Le sue ceramiche artistiche sono nelle varie collezioni pubbliche e private. Ha sempre incentrato il proprio lavoro nel campo del restauro e decorazione, ceramica, intervenendo con professionalità e competenza. L’esperienza lavorativa comincia nel ‘74, quando lo chiamarono per decorare la chiesa di Cicala (cz). La sua crescita professionale inizia frequentando per 3 anni un corso di pittura e decorazione alla scuola “Accademia Libera del Nudo” in Roma. Completa la sua capacità pratica con un’ampia formazione sotto la guida del maestro Prof. Emilio Juso. Si occupa del restauro di opere d’arte architettoniche. Affreschi, vecchi marmorini, intonaci. Sculture lignee in Cartapesta e Gesso. Esegue interventi di pulitura, consolidamento, ripristino, e protezione. Ricostruzione di decorazione antichi. Con un lavoro fatto di passione e pazienza serietà, capacità, con conoscenze storiche e artistiche delle tecniche antiche. Franco Malomo è riuscito negli anni a realizzare, numerosi ed importanti interventi di restauro fra il quale sono interessante da ricordare: Chiesa dei Cappuccini Cassano Ionio (CS) 1970. Decorazione Totale Chiesa Madonna del Purgatorio Cassano Ionio (CS) Soffitta finto Cassettone 1977 Chiesa di San Giacomo, Cicala (CZ) 1974 Decorazione Totale Cappella Gentilizia Cattedrale di Cosenza 1999 Restauro totale Chiesa Madonna del Piano Villapiana (CS) 2001. Restauro Totale Chiesa Madonna delle Grazie Arcavacata di Rende (cs) (solo Altare Maggiore) Chiesa San Nicola di Mira Trebisacce (cs) Rifacimento Parziale e Restauro di Statue
Franco Malomo, Cassano Ionio The Potteries artisan Franco Malomo, well known as the Pottery artist was born in Cassano allo Ionio (cs), in 1944 and works since 50 years ago, his artistic potteries are part of different collection both public and private. Malomo has always focused his work on restoration and decoration, pottery operating with professionalism and competence. His working experience starts in 1974 when he wos asked to work on the decoration of the church of Cicala (Cz). His professional growth starts attending for 3 years a course of painting and decoration near the school “Free Academy of Nude” in Rome a training he completed under the teaching of the Master Emilio Juso. He deals with architectonical works of arts restorations but also frescos, marmorino, plasters. Sculptures in wood, papier-mâché and plaster. His passion brings him to deal with painting interventions as well as consolidation, reinforcement, recovery and protection of ancient decorations. With a work made of passion and patience, reliability and skills but also historical and artistic knowledge of the old techniques, Franco Malomo reached, with time, in realizing lots and important restoration intervention interventions between which we can remember. Chiesa dei Cappuccini Cassano Ionio (CS) 1970. Total decoration. Chiesa della Madonna del Purgatorio Cassano Ionio (CS) False coffee ceiling 1977 Chiesa di San Giacomo, Cicala (CZ) 1974 Total Decoration Cappella Gentilizia Cattedrale di Cosenza 1999 Total Restoration Chiesa della Madonna del Piano Villapiana (CS) 2001. Total Restoration Chiesa della Madonna delle Grazie Arcavacata di Rende (cs) (high altar) Chiesa di San Nicola di Mira Trebisacce (cs) Partial restoration and Statues restoration Santuario Madonna della Catena – Cassano Allo Ionio (cs) Chiesetta di santa Domenica –Cassano allo Ionio (cs) Vescovado di Cassano Allo Ionio (cs) Recovery and Consolidation Seminario Vescovile- Cassano allo Ionio (cs) Chapel’s recovery
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Francesco Malomo, ceramiche artigianali di soggetto sacro e da repertori di modelli antichi
Francesco Malomo, ceramiche artigianali di soggetto sacro e da repertori di modelli antichi
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Francesco Malomo, ceramiche artigianali su modello antico
Francesco Malomo, ceramiche artigianali su modello antico
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Ceramica Parrilla, Cropalati
Ceramiche Parrilla â&#x20AC;&#x201C; Cropalati Cosenza Dipinto su piastra in cotto Maiolica. Cm 40x40
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Ceramiche Parrilla – Cropalati Rosone Gli inserti Quattro pezzi di ceramica su cotto Cm 25x25 Ceramiche Parrilla – Cropalati La ceramica e la luce Piantana composta da tre pezzi traforata e decorata a mano 120 Cm Ceramiche Parrilla – Cropalati La ceramica e la luce Lampada traforata e decorata a mano Cm 60
Ceramiche Parrilla – Cropalati La ceramica e la luce Piantana composta da tre pezzi traforata e decorata a mano 120 Cm
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Antica Fornace Parrilla, Cropalati L’ Antica Fornace Parrilla nasce nei primi anni dell’ 800. Allora quello del Mattunaru (termine antico in dialetto locale) era un mestiere povero e faticoso. Si narra infatti di un uomo che con un asino trasportava l’argilla dalla montagna dopo averla cavata, che a piedi nudi la impastava in rudimentali vasche di pietra e che dopo aver creato i suoi manufatti li affidava al sole e al fuoco affinchè facessero il resto. Ebbene quello che noi oggi vi proponiamo è un prodotto che pur avvalendosi in alcune sue fasi della tecnologia ha conservato intatta la sua unicità in quanto frutto dell’ esperienza e della saggezza dell’ uomo che lo produce e che con le proprie mani fà di ogni elemento un pezzo unico e irripetibile indispensabile per chi vuole ritrovare nella contemporanea architettura un fascino antico, un’antica sensazione di calore e di accoglienza di cui l’ uomo ha bisogno per sentirsi veramente a casa.
Old Brick-Kiln Parrilla, Cropalati The old brick-kiln Parrilla opened on the first years of the ‘800. At that time the job of the mattunaru (old term in local dialect) was a poor and fatiguing job. There’s the story of a man that with a donkey transported the clay right after the extraction down from the mountain, this man mixed clay barefoot and, created his handmade products, entrusted the rest of the work to sun and fire. What we present, today, it’s a product that, even if for some steps needs technology, kept untouched its uniqueness because it’s the fruit of producers’ experience and wisdom, fruit of the man’s work that, with hands, makes of each piece something that is one of a kind as well as absolutely necessary for everyone wants to find in contemporary architecture an ancient charm and an ancient feeling if heat that is what a man needs to feel at home
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Antica Fornace Parrilla – Cropalati Rivestimento interno Antica Fornace Parrilla – Cropalati Rivestimento esterno
Antica Fornace Parrilla – Cropalati Camino
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Antica Fornace Parrilla â&#x20AC;&#x201C; Cropalati Pavimento
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Pirri Ceramica Artistica, Bisignano/Rossano La ditta Pirri Ceramica Artistica, nasce nel 2002 come azienda per la lavorazione Di ceramiche artistiche,dopo un lungo percorso di formazione fatto nel laboratorio di famiglia per una decina di anni e poi come responsabile di produzione in una nota azienda di ceramica a Bisignano per altri dieci anni,decido di intraprendere la via imprenditoriale avviando un laboratorio tutto mio. Riuscendoci ad affermare sul mercato in poco tempo, ci espandiamo a livello nazionale con grande successo. Nel 2006 durante un corso di formazione nel penitenziario di Rossano mi viene chiesto se ero interessato ad appaltare la linea di produzione presente nel Carcere. Decisi che si poteva fare ho pensato di produrre con la manodopera dei detenuti che avevo formato durante il corso di formazione,è stata una scommessa con me stesso ma infine è risultata vincente e a tal proposito ho deciso di produrre la prima fase di lavorazione all’ interno del Penitenziario. I detenuti sono assunti dalla mia azienda, lavoratori modello dopo la formazione che anno ricevuto apprendono e gestiscono il tutto sotto le mie direttive producendo circa 20.000 pezzi al mese,si sentono finalmente realizzati potendo lavorare dopo tutte le disgrazie che hanno affrontato, non vedono l’ora di arrivare a fine mese per la retribuzione che inviano puntualmente alle loro famiglie. Da quest’anno abbiamo deciso con il Direttore del Penitenziario di dare un marchio alla mia produzione da far conoscere a livello Europeo si chiamerà MANUFATTO IN CARCERE e abbiamo fissato altri obbiettivi per incrementare la forza lavoro,siamo una delle poche aziende in Italia che produce con questa teoria etica l’unica al sud,ci ho creduto e si è realizzato,ci chiamano tutti giornalisti,cooperative, aziende ecc, con grande interesse mediatico. Ad oggi ci sentiamo in grado di dire che bisogna credere nelle persone che anno avuto problemi nella società e dar loro un’altra opportunità di vita vedrete non rimarrete delusi.
Pirri Ceramica Artistica, Bisignano/Rossano The company Pirri Ceramica Artistica opened in 2002 as artistic potteries workshop after a long training experience lasted ten years near the family’s workshop. After other ten years spent working as production manager in a well known potteries company of Bisignano I decided opening my own workshop. Achieved, in few time, the aim of growing up on market, we start expanding at national level with great success. In 2006 during a training course in Rossano prison I was asked if interested in undertaking Prison’s productive line. I decided it could be done so I tough start producing with convicts workmanship I trained during the training course, it has been a bet with myself but it was a winning one that’s why I decided producing the first working step in the Penitentiary. I recruited the convicts in my company, model workers after the training they did, they learn and manage everything under my direction producing almost 20.000 pieces every month, they finally feel realized because they work after all the adversities faced, they can’t wait for the end of the month for the retribution to sent to their families. From this year we decided with the Director of the Prison to give a trademark to my production to be known at european level it will be called MANUFATTO IN CARCERE and we have already fixed other goals to increase labor force, we are one of the few companies in Italy that produces with this ethical theory, the only one in Southern Italy, I believed in that and it came true, everybody calls us, journalists, cooperatives, enterprises and so on, with great interest from media. Up to now we feel able of saying that we must believe in people that faced problems with society and give them another life’s opportunity, no one will be disappointed. The last happening we took part to has been the Sanremo Festival 2014,mentioned between the 5 Calabria’s excellences, we produced the awards for the singers.
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Ceramica Artistica Pirri Piatti in terracotta decorati a mano (manufatto in carcere)
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Ceramica Artistica Pirri Gavata cm 15 (manufatto in carcere)
Ceramica Artistica Pirri Piatto in terracotta (manufatto in carcere)
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Ferdinando Renda, Schiavonea L’attività del laboratorio ceramico di Ferdinando Renda nasce nel 1982 dalla tenacia e dalla ferma volontà del suo titolare, che non aveva alle spalle una tradizione familiare nel settore ma soltanto l’amore per la lavorazione della terracotta, iniziato durante gli studi presso la Scuola d’Arte di Cosenza. Il suo maestro è stato Raffaele Crovara, che è riuscito non solo nell’intento di forgiare pezzi unici di alta qualità, ma anche di educare allievi a cui comunicava la passione per la manualità e la creatività, nell’ambito di un mestiere antico che rischia oggi di scomparire. Ferdinando, successivamente, ha frequentato come apprendista il laboratorio dei Fratelli Piccolo di Marzi (Cosenza). Quando, trentadue anni fà, aprì la sua Ceramica Artistica Calabrese non esistevano incentivi che favorissero la nascita di nuove attività, si prediligeva la sicurezza del “posto fisso” e farsi spazio tra gli artigiani concorrenti era molto difficile. Tuttavia è riuscito, con spirito di sacrificio e tanta dedizione a portare avanti con successo la propria attività ottenendo dalla Regione Calabria il contrassegno di “Origine e Qualità” e l’attestato di “Maestro Artigiano” per l’attività di lavorazione della ceramica. Si è dedicato alla formazione: nel 1985 ha tenuto presso il proprio laboratorio un corso professionale per ceramisti, in convenzione con la Regione Calabria, negli anni dal 2003 al 2005 ha tenuto un corso come esperto esterno presso l’ITC “ L. Palma” di Corigliano Calabro. La peculiarità della Ceramica Artistica Calabrese è data dalla persistenza della tradizione senza trascurare l’innovazione, la sua produzione si inserisce in quel vivace artigianato che unisce la tradizione culturale calabrese a quella delle nostre origini greche. Gli articoli più comuni sono rappresentati, infatti, da vasi, anfore, brocche e piatti in terracotta o maiolicati costruiti nelle forme più svariate e decorati con motivi che riproducono sia lo stile Greco-Bizantino tipico dell’artigianato tessile di Longobucco o quello dell’antica Magna Grecia o la linea moderna che si ispira ad opere di artisti famosi . Articoli di larga produzione sono pure le statuine rappresentanti i personaggi tipici calabresi o anche caratteristici presepi in miniatura che riproducono i momenti di vita domestica o scene tratte dal mondo rurale delle terre di Calabria. I pannelli e targhe realizzati partendo dal classico modulo della piastrella dipinta; monili, bracciali e collane di ricercata eleganza, che utilizzano il materiale ceramico e si ispirano a forme naturali, stili alla moda, gioielli storici e opere d’arte moderne. Ferdinando Renda è il rappresentante di una cultura illustre, quella dell’artigianato italiano, che la produzione industriale odierna vorrebbe far dimenticare. Per il pubblico è difficile comprendere la differenza tra un manufatto, dotato di valore unico, e un oggetto fatto in serie. Solo uno sguardo esperto sa individuarla con precisione, senza lasciarsi confondere dalla banalità delle imitazioni.
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Ferdinando Renda, Schiavonea Ferdinando Renda pottery workshop’s activity starts in 1982 thanks to its owner will and perseverance who didn’t had a family tradition behind his back but only the love for terracotta production he showed while attending Cosenza Art School. His master was Raffaele Crovara who didn’t just molded high quality and one of a king pieces but has also educated students to whom communicated the passion for manual skill and creativity, in the field of an ancient job nowadays almost disappeared. After the art school Ferdinando entered as apprentice in the workshop owned by the Piccolo brothers in Marzi (Cosenza). When thirty-two years ago he opened his Ceramica Artistica Calabrese there weren’t subsidies for new activities, it was easier looking for the safety of a “permanent job” and making one’s own space between all the other artisans was something pretty difficult. Anyway, with sacrifices and self-denial he succeeded in bringing on his activity obtaining, by Region Calabria, the trademark of “origin and quality” and the certificate of “Master Artisan” for his pottery production. He also devoted to training: in 1985 near his own workshop gave a professional training course for potters in agreement with Region Calabria, from 2003 to 2005 gave classes as external expert near the ITC “ L. Palma” in Corigliano Calabro. The listed ones are just some of the exhibitions to which this workshop took part let us just mention some other cities, for example Palmanova del Friuli, Potenza and Cosenza. Ceramica Artistica Calabrese’s peculiarity is the persistence of tradition without letting aside innovation; its production enters in that lively workmanship that joins calabrian cultural tradition to our Greek origins . Most common products are, infact, vases, amphoras, pitchers and plates in terracotta or majolica with different shapes and decorated with patters reproducing both the Grecian-byzantine style typical of Longobucco textile production, the Magna Graecia style or the modern line inspired by famous artists works. Part of the large scale production are also the statuettes representing typical calabrian personalities or also nativity scenes in miniature reproducing everyday life or scenes part of Calabria’s rural world. Panels and plaque tablets realized starting from the classical criterion of the painted tile; fine jewels, bracelets and necklaces realized using pottery and inspired to natural shapes, fashion styles but also ancient jewels and modern works of art. Ferdinando Renda represents a celebrated culture the one of the italian workmanship that nowadays industrial production would leave behind. For public it is difficult understand the difference between an artisanal product having unique value and a in series production. only an expert eye is able of distinguish it, without getting confused by imitation insignificance.
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Ferdinando Renda Da sinistra: Tazza stilizzata, Bottiglia, Tet a tet da caffè. Forme e decorazioni eseguite esclusivamente a mano. Ispirate ad opere di Roy Liechtenstein.
Ferdinando Renda Da sinistra: Tazzina da caffè con piattino, Portafiori, Tet a tet da caffè. Forme e decorazioni eseguite esclusivamente a mano. Ispirate ad opere di Joan Mirò.
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Ferdinando Renda Da sinistra: Portafiori, Piatto murale rettangolare. Forme e decorazioni eseguite esclusivamente a mano. Ispirate ad opere di Gustav Klimt.
Ferdinando Renda Piatto murale cm 30. Dipinto esclusivamente a mano. Decorazione ispirata ad opere di Eric Waugh.
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Francesca Russo, Saracena Artista autodidatta, eclettica e poliedrica, sempre alla ricerca di nuovi materiali e tecniche con le quali poter esprimere le proprie emozioni, nasce a Saracena (CS), piccolo centro della Calabria, il 27/07/81 dove risiede. Diplomata presso il Liceo Scientifico E. Mattei di Castrovillari (CS), dopo la maturità scolastica decide di seguire le sue passioni, dando libero sfogo alla sua “linfa vitale: l’Arte”. Dopo aver profiquamente frequentato dei corsi di formazione, sotto l’alto patrocinio della Unione Europea, della Regione Calabria e, altresì della Provincia di Cosenza, nel 2002 riceve l’attestato di qualifica professionale come “Decoratrice di Ceramiche”. Successivamente, decide di approfondire i suoi studi sulla ceramica viaggiando e visitando vari centri quali S. Stefano di Camastra, Vietri, Squillace, Orvieto, Siena, Arezzo, Perugia. Nel 2004 si iscrive alla Scuola d’Arte Ceramica “Romano Ranieri” di Deruta (PG) dove segue il corso come decoratrice. Nello stesso anno, decide di ritornare nella sua terra, per dare vita ad un “Laboratorio Artistico Artigianale”, dove tuttora lavora. Le sue tecniche spaziano su deversi materiali: dalla ceramica al legno; dalle vetrate artistiche ai pregevoli dipinti su tela fino ai raffinati acquerelli. In tutti questi anni non ha mai smesso di coltivare il suo sogno, partecipando a concorsi e mostre collettive riscuotendo successi e critiche lusinghiere. Come ogni artista, non si sottrae al confronto e, nel solco della “storica contaminazione” dell’arte, nel 2011 inizia una collaborazione con il maestro Adolfo Corinaldesi di Cava de’ Tirreni (SA), dando vita a nuove creazioni artistiche. Da qui la nascita di maioliche artistiche ispirate alle tecniche derutesi, rivisitate ed arricchite con particolari sia della tradizione calabrese che vietrese.
Francesca Russo, Saracena Self- educated artist, eclectic and versatile, always looking for new materials and techniques through which expressing her own feelings, was born in Saracens (CS) where she lives, small center of Calabria the 27/07/81. Graduated at the Second Level College of Science E. Mattei di Castrovillari (CS), after the graduation she decided to follow her passions, giving vent to her “vital nourishment: art”. After having attended training courses under the high quality standards of the European Union, Region Calabria and also of the Province of Cosenza, in 2002 obtains the certificate of qualification as “potteries decorator” After it she decided to increase her knowledge and studies on pottery travelling and visiting lots of centers such as S. Stefano di Camastra, Vietri, Squillace, Orvieto, Siena, Arezzo, Perugia. in 2004 she enters in the School of Pottery art “Romano Ranieri” of Deruta (PG) where attends the course of decorator. In the same year, decided to go back to her native land to open an Artistic workshop where she still works. She uses a wide range of materials for her techniques: from pottery to wood; from artistic glass walls to fine paintings on canvas to precious watercolors. All over this time she never stopped following her dream, taking part to competitions and collective exhibitions obtaining gratifying successes and critics. As every artist, she doesn’t save herself from comparison and in the field of Art’s “historical contamination” in 2011 she starts a cooperation with the master Adolfo Corinaldesi from Cava de’ Tirreni (SA), giving life to brand new artistic creations. Here it comes how she gave life to artistic majolicas inspired by the techniques she learned in Deruta but enriched and revisited with particulars belonging both to Calabria and Vietri’s tradition.
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Francesca Russo Mattonella“La Dama” Maiolica 2004 – Deruta (PG) Francesca Russo Mattonella “Ritratto di Uomo” Maiolica 2004 – Deruta (PG)
Francesca Russo Pannello “La Primavera (del Botticelli)” Maiolica 2013
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Francesca Russo Piatto “Melograno” Maiolica 2012
Francesca Russo Piatto “Julia Bella” Maiolica decoro 2012
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Maurizio Russo, Altomonte La nostra azienda è affermata da ormai quattro generazioni, oggi in mano al maestro Russo Maurizio ed è una delle poche attività artigianali e tradizionali in Calabria. Ben quattro generazioni fa la lavorazione dell’argilla avviene manualmente e a tutti i prodotti la forma viene data attraverso le mani dei vasai, che utilizzano, ancora oggi, il vecchio tornio spinto con i piedi. Dopo la prima cottura in forni ad elevatissima temperatura si ricava il cosidetto biscotto e così come agli albori di tale attività, le decorazioni vengono fatte a mano. Esaurite le decorazioni gli stessi prodotti vengono rimessi nel forno per aquistare la lucidatura ed essere pronti per la commercializzazione. La terracotta si avvale anche dell’esperienza professionale delle proprie maestranze con le quali crea articoli e modelli in ceramica che hanno conquistato il mercato regionale, nazionale ed internazionale. La lavorazione e la produzione avvengono in una struttura di circa 200 mq, suddivisa in vari reparti che accolgono la linea della produzione, dell’essiccazione, della cottura e del conserva. La terracotta e stata una delle poche attività artigianali ad essere publicizzata da sei grandi trasmissioni televisive come adesempio (Sabato nel villaggio, Linea verde, Mezzogiorno in famiglia, ecc).
Maurizio Russo, Altomonte Our company is established since four generations, nowadays managed by the master Russo Maurizio and it’s one of the few handcraft’s traditional activities in Calabria. Four generations ago clay was worked with hands and, all products’ shape is obtained thanks to potters’ hands that, still nowadays, uses the old potter’s wheel. After the first firing in high temperature’ kilns is obtained the so called bisque and, as at the beginnings of this activity, all the decorations are handmade. Ended the decorations the products are putted again in the kiln for the polishing process and be ready for the market. The terracotta has, by its side also the professional experience of the masters that are able of creating pottery’s products that conquered regional, national and international market. Both working and production are done in a building of 200 square meters divided in sectors up to the stages of production, drying, firing and storing. The Terracotta has been of the few handcraft activities to be promoted in six national important TV shows such as, for example Sabato nel villaggio, Linea verde, Mezzogiorno in famiglia and so on.
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Maurizio Russo, set da tavola in terracotta artigianale
Maurizio Russo, set da tavola in terracotta artigianale
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Maurizio Russo, set da tavola in terracotta artigianale
Maurizio Russo, set da tavola in terracotta artigianale
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Keramos di Tucci Telemaco, Rogliano La Keramos, bottega artigiana per la lavorazione delle ceramiche tradizionali di Rogliano, nasce nel 1993, grazie all’ artigiano Telemaco Tucci, che sfruttando la grande esperienza acquisita nel tempo da vita ad una nuova produzione ceramica, mista tra tradizione e modernità. Non discendendo da famiglia di ceramisti e ne tanto meno frequentato indirizzi artistici il maestro scopre per la prima volta la lavorazione della Ceramica all’età di quindici anni,frequentando dei corsi di formazione professionale organizzati dalla regione Calabria. Frequenta cosi tre corsi “stampaggio e scultura”,”decoratore”e “torniante ceramista”distinguendosi sempre per le sue doti artistiche e superando i corsi con il massimo del punteggio,notate le sue capacità artistiche un maestro ceramista lo volle nella sua bottega cosi abbandonati gli studi scientifici e adempito agli obblighi di leva inizia a lavorare in questo laboratorio per altri cinque anni Cosi nel 1993 insieme alla moglie decide di aprire una bottega per conto suo inizia cosi la nuova avventura,gli inizi sono duri entrare in un mercato gia occupato è difficile ma qualche idea nuova e tante ore di lavoro a volte anche notti intere fanno si che quel sogno covato per tanti anni diventasse vero. Situata nel piccolo paese di Rogliano la bottega si presenta accogliente e professionale, la lavorazione eseguita interamente a mano in tutti i suoi passaggi, dona ai singoli pezzi prodotti uno stile che li rende unici e esclusivi, all’ interno è possibile osservare l’ intera lavorazione .Oggi il vasaio, il ceramista, il decoratore della ceramica sono sì artigiani, ma soprattutto artisti,creare una maiolica, una terracotta o una porcellana significa creare un oggetto da ammirare o comunque da affiancare, come elemento di pregio e di valorizzazione dell’ambiente.
Keramos di Tucci Telemaco, Rogliano The Keramos, workshop specialized in traditional potteries with seat in Rogliano, opened in 1993, tanks to the artisan Telemaco Tucci who, taking advantage of the great experience of an entire life, gives life to a brand new pottery production, a sort of melting pot between tradition and innovation. Being not part of a potters family, having not attended arts academies, the master discovers for the first time the art of pottery when he was fifteen years old, and attending some professional training courses organized by region Calabria. He attends three courses “mould and sculpture” “decoration” and “lathe turner ceramist” standing out for his skills for arts and passing the courses always with the higher results; perceived his skills, a master ceramist wanted him to work in his workshop so, left the high school and after the national service, he entered in this workshop where worked for five years. In 1993, with his wife he decided to open his own workshop starting a new adventure, beginnings are difficult, entering in an already crowded market it’s very difficult but with some new idea an lots of days and nights spent working he made his dream come true. Placed in the small centre of Rogliano, the workshop is welcoming and professional, the work entirely handmade in all its steps, gives to single pieces a style that makes everything unique and exclusive, inside it’s possible to observe all the processes. Nowadays the potter, the ceramist, pottery decorator of course are artisans but are, above all artists, creating a majolica, a terracotta or an object in pottery means creating an object that can be admired or anyway placed side by side as a quality object used to give value to spaces.
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Telemaco Tucci Piatto maiolicato cm 30 con faraona nel decoro centrale
Telemaco Tucci Grappolo di limoni maiolicati con 2째 cottura
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Telemaco Tucci \ Bassorilievo di Brigante in terracotta colorata con 2째 cottura
Telemaco Tucci Maschera Apotropaica in terracotta imbrunita
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Roberta Proto, Trebisacce Il laboratorio ha una produzione esclusivamente artigianale con lavorazione al tornio. La tecnica di decorazione è con colori in polvere sotto cristallina apiombici e engobbi. La creazione degli oggetti è varia: piatti, vasi, maioliche punti luce ecc. Le lanterne sono la caratteristica di questo laboratorio perché curati in ogni piccolo particolare in quanto hanno la forma di casette tonde con finestre che sono aperture per far passare la luce di candele o di lampadine. Inoltre il laboratorio ha una creazione continua di bomboniere con caratteristiche uniche perchè realizzate a mano rispettando la richiesta del singolo cliente. La tecnica di vetrificazione è quella della cristallina apiombica e quindi è possibile utilizzare tutti i piatti e bicchieri avendo le caratteristiche per alimenti. Il laboratorio organizza anche corsi di ceramica per adulti e bambini, dal giovedì al sabato e il martedì pomeriggio resta chiuso perché impegnato con un altro corso per diversamente abili nel laboratorio della Diocesi di Cassano . I giorni di apertura sono dal lunedì al sabato dalle 9:30 alle 13:00 e dalle 16:30 alle 20:00. D’estate è aperto solo il pomeriggio fino alle 21:30
Roberta Proto, Trebisacce The workshop produces exclusively crafts product with potter’s lathe. The technique used for decoration is with powdered colors under lead free crystalline and slips. Lots are the objects we create: plates, vases, majolicas, light sources and so on. Lanterns are this workshop characteristic because particular attention is paid to every single particular, their shape it’s of circular small houses with openings for the light of candles or bulbs. Besides the workshop creates also unique party favors because handmade respecting client’s request. The vitrification technique is the lead free crystalline so it is possible to use all the plates and glasses because are suitable for food. The workshop organizes also pottery’s courses for adults and children from Thursday to Saturday, the Tuesday for the afternoon is closed because committed in another course for disabled near Cassano Diocese’s workshop.
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Si ringrazia il sig. Vincenzo Patacca autore dell’opera in copertina, il Soprintendente per i beni archeologici della Calabria, il Soprintendente per i beni storici, artistici ed etnoantropologici della Calabria, il Comune di Deruta, il Sindaco di Squillace, il dott. Giuseppe Olmeti, la dott.ssa Elena Dal Prato, il prof. Giuseppe Roma, la prof.ssa Giovanna Capitelli, Giulio Archinà, la prof.ssa Marilena De Bonis, il sig. Faustino Nigrelli, la sig.ra Mira De Rango, il sig. Mannarino, il Direttore del Carcere di Rossano, l’ing. Francesco Molinari, la sig.ra Natalina Marta, l’ing. Francesco De Cicco, il sig. Franco Filippelli, la squadra edilizia della Provincia di Cosenza, la dott.ssa Pasqualina Trotta, la dott.ssa Fernanda Ruffo, il Sindaco di Altomonte, Padre Francesco Celestino, la dott.ssa Beatrice Nucera, Francesco Caputo, Fabrizio Marano, la Cooperativa Invasioni, la sig.ra Maria Carbone, la dott.ssa Nicoletta Perotti, l’avv. Lorenzo Catizone, il dott. Luigi Rinaldi.
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