Museo n26

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Museo Novecento Novecento museonovecento.it museonovecento.it

Piazza Santa Maria Novella Novella 10, 10 50123 Firenze

n° Novembre n°626- -Aprile 2018 2018

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Duel un progetto ideato da Sergio Risaliti

Ulla von Brandenburg Di un Sole Dorato 21 aprile - 21 giugno 2018

Duel ideato da / conceived by Sergio Risaliti

Gianni Caravaggio Iniziare un tempo II / To begin a time II

4. Piero Manzoni Base Magica legno e metallo / wood and metal 1961 Fondazione Piero Manzoni, Milano

1. Gianni Caravaggio Giocami e giocami di nuovo bronzo, cotone, cuoio / bronze, cotton, leather 1996 Courtesy the artist

Ulla von Brandenburg It Has a Golden Sun and an Elderly Grey Moon, 2017 Film super-16-mm, colour, sound, 22’ 25’’ courtesy the artist, Art : Concept, Paris, Pilar Corrias, London and Produzentengalerie Hamburg Photo: Martin Argyroglo

Nell’ambito del progetto Duel, accolto nelle sale espositive al piano terra, curatori ospiti sono chiamati a collaborare con artisti attivi sulla scena internazionale per realizzare interventi site-specific ispirati alla collezione del Museo. Il titolo del ciclo rimanda a un duello dialettico tra artisti contemporanei e il patrimonio civico museale. Duel viene inaugurato dalla prima mostra monografica in Italia Ulla von Brandenburg (Karlsruhe, 1974), a a cura di/dicurated by cura di Lorenzo Bruni. In un percorso che si snoda in tre Gaspare Luigi Marcone installazioni e un collage, realizzate tra il 2009 e il 2016, 16.11.2018 - 28.02.2019 l’artista propone un inedito dialogo con un dipinto di Felice Casorati, Nudo giallo (1945), individuato tra quelli della Collezione Alberto Della Ragione. La mostra inizia con le

Apre al pubblico venerdì 16 novembre (fino al 28 febbraio 2019) il terzo appuntamento del ciclo Duel, ideato dal direttore artistico del Museo Novecento, Sergio Risaliti, che invita un artista contemporaneo a porsi in dialogo con un’opera della collezione civica. Protagonista della mostra Iniziare un tempo II, a cura di Gaspare Luigi Marcone, è Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, 1968) che si confronta con Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963). In questa occasione, un’eccezione, l’artista invitato immagini in bianco efacendo nero di Singspiel, video del 2009, per ha scelto un’opera esposta nel progetto attualmente in corgiungere, alla fine del percorso, al colore di It Has a Golden so nel museo fiorentino Solo. Piero Manzoni, a cura di GaSun and anMarcone Elderly Grey opera del2018). 2016,Caravaggio proiettata spare Luigi (fino Moon, al 13 dicembre all’internoedella cappella la sconsacrata deldimuseo, piccolo “preleva” “riattualizza” Base magica Manzoni (1961) grazie quale qualunque persona, o oggetto, può essere gioielloalla di architettura religiosa, riservata alle installazioni trasformata in opera d’arte. Il nucleo centrale dell’esposiartistiche contemporanee. La mostra si presenta quasi come un’antologica “delineata” zione è caratterizzato da una tenda-sipario di colore blu, da alcune opere-simbolo cariche di denominatori comuni Bluel’arte Curtain del 2015, da guardare come tra di Caravaggio e la ricerca e di attraversare Manzoni, entrambi un dipinto astratto. Le nuovi”, atmosfere magiche e sospese della esploratori di “mondi entrambi sperimentatori di materiali tra classicità, e contempittura dieterogenei Felice Casorati (Novara,quotidianità 1883 – Torino, 1963) poraneità. entrano in risonanza con le opere dell’artista. Il richiamo

The third event in the Duel cycle, conceived by the artistic director of the Museo Novecento, Sergio Risaliti, and involving a contemporary artist invited to establish a dialogue with a work from the civic collection opens to the public on Friday 16 November (through to 28 February 2019). The exhibition To begin a time II, curated by Gaspare Luigi Marcone, features Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, 1968) in “conversation” with Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963). On occasion, an exception to the arule, the invited artvonthis Brandenburg invita chi osserva godere dell'arte al ist has chosen a work on show in the Florentine museum’s di là del suo tempo storico e a riflettere sulla sua dimencurrent exhibition Solo. Piero Manzoni, curated by Gaspare sioneMarcone sociale. Scegliendo con2018). Casorati, inoltre, Luigi (through todi13dialogare December Caravaggio riporta la nostra attenzione al periodo tra Magica le due guerre, “samples” and “updates” Manzoni’s Base (Magic Base) (1961) thanks which anyone or anything be caratterizzato dalla to dittatura nazi-fascista, da may populitransformed into a work art.diffusa paura della diversità smi di vario genere e daofuna The exhibition has been organized as a form of retrospec(dinamiche che sembrano riproporsi anche oggi nel nostro tive “delineated” by a number of symbolic works charged quotidiano). è stata the pensata come una with common L’esposizione denominators between art of Caravaggio rappresentazione tre atti both in cui lo spettatore ritrova and the research ofinManzoni, explorers of “newsiworlds”, both experimenters with heterogeneous ad interrogarsi su quale sia il limite traclassical, la realtàeveryday e la sua and contemporary materials. rappresentazione, e quali possano essere oggi le forme

ai metodi e alle procedure del teatro e delle arti sceniche servono ad affrontare questioni sociali e storiche. Ulla

rituali utilizzate per stabilire canali di condivisione tra l’identità locale e l'altro da sé.


Iniziare un tempo

L’opera d’arte come dispositivo per atti demiurgici

The work of art as a device for demiurgic acts

Vorrei che lo spettatore, osservando la qualità visiva e fisica delle opere, con l’aiuto del titolo intraprendesse un viaggio nella sua immaginazione; mi piacerebbe che lei/lui inizi un tempo . Chiaramente, se per qualche svista questo senso di immaginazione dovesse a loro sfuggire, tutto ciò che rimarrebbe sarebbe una riduzione a due oggetti sconnessi: uno materiale e l’altro linguistico. Vorrei tuttavia sottolineare che lo spazio dell’immagine sia già radicato in noi (al quale reagiamo con una familiarità inaspettata). Questa misteriosa familiarità dissolve la sensazione di alienazione dal mondo che preoccupava le menti lucide del tardo XIX secolo. Sto insistendo sullo spazio della pura immaginazione in cui l’oggetto, se non è una proposta evocativa, non è nulla, evitando così il suo destino da feticcio divertente. Penso che solo la relazione poetica possa risolvere l’alienazione umana. Siamo una specie di paradosso; noi siamo la contemplazione di qualcosa più grande di noi. In Monaco in riva al mare di C. D. Friedrich, la natura è molto più potente, dominante e quasi ostile, eppure il monaco ne sente un’umile familiarità. Mi piace pensare che le cose abbiano una memoria intima che punta segretamente verso la nostra sensibilità. Vorrei isolare e concentrare quella sensibilità in una forma in cui i gesti del mio fare diventano i gesti demiurgici della fruizione. Ciascuno dei miei lavori è stato realizzato per trasmettere un atto creativo allo spettatore. Credo che questo atto appartenga già allo spettatore. Come se nel momento in cui fosse dato, lo spettatore lo ricordasse inconsciamente. L’osservatore in questo caso non consuma l’opera d’arte, ma nell’iniziarla compie un atto demiurgico . L’immagine è ciò che si lascia iniziare, tutto il resto è perso per la nostra immaginazione , ha affermato Jean Baudrillard in una delle sue ultime conferenze, superando la sua visione apocalittica del mondo mediatico postmoderno. Sul pavimento delle prime due sale, come in un oceano di possibilità o come una tela bianca in attesa di essere dipinta, sta per accadere uno scenario paesaggistico…

Cosa ne è dell’osservatore, dell’osservatore di un’opera d’arte? Intendo quell’elemento della triade – con l’artista e l’opera d’arte – che chiamiamo anonimamente ‘pubblico’. Lo possiamo definire come quel fattore numerico che in molti musei negli ultimi anni decide se una mostra è stata un successo o no o se bisognerebbe farla o no? O definiamo pubblico quello che, un po’ secondo Duchamp, decide la sorte di un’opera d’arte dopo che gli è stata consegnata dall’artista? Sono forse quelle persone talmente interessate all’arte che per fruire e capire un’opera sono pronte a informarsi prima su vari episodi biografici dell’artista oppure sui vari contesti socio- e geo-politici per potere così giustificare la visione dell’opera, aggiungendo magari anche l’inclinazione sessuale dell’artista? Sono dunque quelli che per informarsi sull’attuale situazione nel mondo non aspettano altro che una virtuosa illustrazione dell’artista? Sono semplicemente quelli che si interessano a comprendere le intenzioni dell’artista? O sono quelle persone che subiscono il mito e le leggende dell’artista per poi venerare l’opera come una sua traccia o forse una sua reliquia? Oppure, per finire, sono quelle che cercano l’intrattenimento? Da qualche tempo ho riflettuto su queste varie possibilità di definire il pubblico ma non posso condividerne alcuna. Amo riflettere le cose per un loro ruolo sostanziale e non circostanziale. Quindi attribuisco all’osservatore un ruolo di sostanza. Questo significa che esso fa sostanzialmente parte dell’opera d’arte. Come? La risposta sta nella trasmissione, ovvero nel compimento dell’atto artistico. Mi sono sempre chiesto perché dopo che l’artista compie l’atto artistico per realizzare e materializzare l’opera poi nell’opera stessa si presenta come il ricordo nostalgico di quell’atto compiuto e l’osservatore ne deve essere lo spettatore esterno (gli resta il compiacimento formale e concettuale). Ho pensato che egli potesse compiere l’atto artistico ex novo ogni qual volta si relazioni con l’opera. E pensando a lui in verità ho pensato a me stesso. In questo senso l’artista, dopo che l’opera è compiuta tecnicamente, assume la stessa prospettiva dell’osservatore o l’osservatore la stessa dell’artista. In questo senso l’opera d’arte si costituisce come dispositivo per atti artistici. Ma come posso definire un atto artistico che non sia semplicemente a livello di decidere il colore della tela lasciata bianca o di una composizione di immagini digitali oppure la partecipazione a una camminata con l’artista, esempi questi tratti da alcuni lavori dell’arte relazionale degli anni ’90? Penso che l’atto artistico in verità sia un atto demiurgico. L’attività secondo l’intelletto sarà divina in confronto con la vita materiale. Pertanto non bisogna dare retta a coloro che consigliano all’umano, poiché è uomo e mortale, di limitarsi a pensare cose umane e mortali; anzi al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi . Questo era Aristotele nella Etica Nicomachea (X7, 1177b 30-34) Per i Greci l’intelletto (nous) non è solo l’attività razionale ma è la sostanziale verità dell’uomo. Invece il demiurgo è un’artefice divino, l’intelligenza che progetta il mondo, avendo le idee a modello e la materia come strumento. In questo senso l’atto artistico in quanto atto demiurgico è esplicitamente riservato per definire quegli atti che non solo creano qualcosa ma creano un mondo, un universo nuovo con tutte le dinamiche immaginative (poetiche, scientifiche, e metafisiche) della creazione. Atti e artifici che evocano una vicinanza alle stesse leggi che costituiscono i grandi sistemi, drammaticamente governati dal caso oppure se si vuole dalla provvidenza, e che hanno reso possibile la nostra stessa esistenza. L’opera d’arte come dispositivo per atti demiurgici dà la possibilità di ripercorrere se stessi nella storia dell’universo ma nello stesso tempo offre la possibilità di poterne uscire fuori e porsi in uno spazio demiurgico al di fuori della storia dell’universo e quindi dalla nostra storia con la possibilità sgravante di iniziare un altro mondo e metterlo in concorrenza a quello esistente. Quindi opera e spettatore sono gli agenti di un gioco iniziatico cosmico che l’artista ha predisposto ma che non governa completamente. Dall’altro canto il dispositivo predispone all’atto demiurgico ma è anche il suo unico detentore permanente paragonabile alla capacità della Base Magica di Piero Manzoni di definire lo spettatore come un’opera d’arte vivente. L’atto artistico in quanto atto demiurgico si rigenera sul suo dispositivo, se non accade l’atto artistico resta in potenza. Ricreare l’atto artistico è scoprire l’enigma del dispositivo. L’opera d’arte come dispositivo è la creazione che predispone alla creazione.

What happens to the observer of a work of art? I mean that element of the triad – along with the artist and the work of art – that we anonymously refer to as ‘the public’. Can this public be defined as that numeric indicator which many museums have used recently to determine whether an exhibition has been a success or not or whether it should be set up at all? Or, rather like Duchamp, do we define public as the entity that determines the destiny of a work of art after it has been handed over by the artist? Does public perhaps refer to those people with such a high level of interest in art that in order to enjoy and understand a work they are prepared to carry out research beforehand into various biographic episodes of the artist, or into various social and geopolitical contexts, that then justify the vision of the work, perhaps also adding the artist’s sexual leaning? Or are we talking about people who, seeking to understand the current world situation, expect nothing more than a virtuoso illustration by the artist? Perhaps it is simply those who want to try to understand the intentions of the artist. Perhaps it is those people who are subjected to the myth and legends of the artist, and who then idolise his/her work of art as if it were some kind of reliquary. Or lastly, does public simply refer to entertainment seekers? I have considered these various ways of defining the public for some time, yet none of them fit in with my interpretation of the word. I like to ponder things for their substantial, rather than circumstantial, role. Which means I give the observer a role of substance. Therefore the observer is a substantial part of the work of art. How? The answer lies in the transmission, or completion, of the artistic act. I have always asked myself why, after an artist completes the artistic act of materializing a work, in the same work this act presents itself as a nostalgic memory of the completed act and the observer must be its external spectator (left only with formal and conceptual gratification). My idea was that the spectator could perform the artistic act ex novo every time he/she related to the work. And thinking of the spectator, in actual fact I am thinking of myself. In this sense the artist, after technically completing the work, assumes the same viewpoint as the observer or the observer the same as that of the artist. In this sense the work of art becomes a device for artistic acts. But how can I define an artistic act that goes beyond deciding on the colour of a blank canvas, a composition of digital images, or a walk with the artist, all of which are examples of works of relational art from the 1990s? I believe the artistic act to be truly a demiurgic act. ‘If reason is divine, then, in comparison with man, the life according to it is divine in comparison with human life. But we must not follow those who advise us, being men, to think of human things, and, being mortal, of mortal things, but must, so far as we can, make ourselves immortal, and strain every nerve to live in accordance with the best thing in us’. Aristotle Ethica Nicomachea (X7, 1177b, 30-34). For the Greeks the intellect (nous) is not only rational activity but also the fundamental truth of man. By contrast the demiurge is a divine artifice, intelligence that designs the world, using ideas as a model and matter as an instrument. In this sense the artistic act as a demiurgic act is explicitly reserved to define those acts that not only create something but create a world, a new universe with all the imaginative dynamics (poetic, scientific and metaphysical) of creation. These acts and devices have a similarity to the laws forming great systems, dramatically governed by chance or providence, which have made possible our very existence. The work of art as a device for demiurgic acts gives us the possibility of travelling through the history of the universe, yet at the same time we are given the opportunity to remove ourselves from this journey and take our place in a demiurgic space that is detached from the history of the universe and therefore from our history, giving us the relieving possibility of starting another world and placing it in competition with the existing one. So work and spectator are agents in an esoteric cosmic game that the artist has prepared but does not fully govern. On the other hand the device induces the demiurgic act but is also its only permanent holder, comparable to the ability fo Piero Manzoni’s Magic Base in defining the spectator as a living work of art. The artistic act as a demiurgic act regenerates itself on its device; should this not occur, the artistic act remains in power. Recreating the artistic act involves discovering the enigma of the device. The work of art as a device is creation that induces creation.

Gianni Caravaggio, 2008

Gianni Caravaggio, 2008

To begin a time I would like the viewer to take in the visual and physical quality of the works and, with the help of the title, embark on an exploration of her/his imagination; I would like that she/he begins a time. Clearly, if for some oversight this imaginative sense escapes them, all that remains is a reduction to two disconnected objects: one material and the other linguistic. I would, however, like to underline that the space of the image is already rooted in us (and to this we react with an unexpected familiarity). This mysterious familiarity dissolves the sensation of alienation from the world that preoccupied the lucid minds of the late 19th century. I am insisting on the space of pure imagination, where the object, if it is not an evocative hint, is nothing, thereby avoiding fate as an entertaining fetish. I think that only the poetic relation can resolve human alienation. We are a kind of paradox; we are the contemplation of something that is greater than us. In The Monk by the Sea by C.D. Friedrich, nature is much more powerful, dominant and almost hostile, and yet the monk feels a humble familiarity in it. I like to think that things have an intimate memory pointing secretly towards our sensibility. I would like to isolate and concentrate that sensibility to a form in which the gestures of my making become the demiurgical gestures of fruition. Each of my works has been made to transmit a creative act to the viewer. I believe that this act already belongs to the viewer. As if, at the moment it is given, the viewer subconsciously remembers it. The viewer in this case doesn’t consume the artwork, but computes a “demiurgic act” in initiating it. “The image is what lets itself begin, all the rest is lost to our imagination,” thus affirmed Jean Baudrillard, in one of his last lectures, surpassing his apocalyptic vision of the postmodern mediated world. On the floor, like in an ocean of possibilities or like a white canvas waiting to be painted, a scenario is going to take place… Gianni Caravaggio, 2018

2. Gianni Caravaggio Giocami e giocami di nuovo bronzo, cotone, cuoio / bronze, cotton, leather 1996 Courtesy the artist

3. Gianni Caravaggio L’orizzonte si posa su una nuvola mentre il sole la attraversa filo da pesca, filo sintetico, filo di cotone / fishing line, nylon thread, cotton thread 2015-2018 Courtesy the artist and kaufmann repetto, Milano – New York


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