Museo Novecento Novecento museonovecento.it museonovecento.it
Piazza Santa Maria Novella Novella 10, 10 50123 Firenze
n° 22 - Settembre 2018 n°6 - Aprile 2018
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Duel un progetto ideato da Sergio Risaliti
Ulla von Brandenburg Di un Sole Dorato 21 aprile - 21 giugno 2018
SOLO PIERO MANZONI
7. Piero Manzoni 1961
Ulla von Brandenburg It Has a Golden Sun and an Elderly Grey Moon, 2017 Film super-16-mm, colour, sound, 22’ 25’’ 1. Piero Manzoni BASE MAGICA courtesy the artist, Art : Concept, Paris, Pilar Corrias, London and Produzentengalerie Hamburg legno e metallo / wood and metal Photo: Martin Argyroglo 1961
Nell’ambito del progetto Duel, accolto nelle sale espositive al piano terra, curatori ospiti sono chiamati a collaborare con artisti attivi sulla scena internazionale per realizzare interventi site-specific ispirati alla collezione del Museo. Il titolo del ciclo rimanda a un duello dialettico tra artisti contemporanei e il patrimonio civico museale. un progetto ideato Duel viene inaugurato da Sergio Risaliti dalla prima mostra monografica in Italia di Ulla von Brandenburg (Karlsruhe, 1974), a cura di Lorenzo Bruni. In un percorso che si snoda in tre a cura di e un collage, realizzate tra il 2009 e il 2016, installazioni l’artista propone un Marcone inedito dialogo con un dipinto di Felice Gaspare Luigi Casorati, Nudo giallo (1945), individuato tra quelli della 18 settembre – 13 dicembre 2018 Collezione Alberto Della Ragione. La mostra inizia con le
Solo è un ciclo espositivo costruito a partire dal patrimonio delle collezioni civiche fiorentine che intende offrire un breve ritratto di alcuni grandi maestri del novecento. Alternando mostreinche attingono dai ad video esposizioni volteper ad immagini bianco e nero didepositi Singspiel, del 2009, ospitare personalità altrimenti non presenti in collezione, il giungere, alla fine del percorso, al colore di It Has a Golden progetto, inaugurato in concomitanza con il riallestimento SunMuseo and anNovecento Elderly Grey Moon, 2016, proiettata del curato dalopera nuovodel direttore artistico all’interno dellarisponde cappellaalla sconsacrata del museo, piccolo Sergio Risaliti, duplice necessità di costruire nuove attornoreligiosa, agli artisti e di integrare il percorso gioiellonarrazioni di architettura riservata alle installazioni espositivo museo, in un avvicendamento che dell’esposiconsente di artistiche del contemporanee. Il nucleo centrale colmare le lacune che caratterizzano le collezioni civiche fin zione è caratterizzato da una tenda-sipario di colore blu, dalla loro prima costituzione. Blue cadenze Curtain regolari, del 2015,ilda guardare e attraversare come Con Museo Novecento si concentrerà un dipinto Le atmosfere magichedi e raccontare sospese della sulla figuraastratto. di un singolo artista, scegliendo un aspetto peculiare sua carriera di pittura di Felice della Casorati (Novara,grazie 1883 all’esposizione – Torino, 1963) una o più in opere presenti nelle del Comune Firenze entrano risonanza con le raccolte opere dell’artista. Il di richiamo o concesse in prestito da altre collezioni, unite a documenti e ai metodi e alle procedure del teatro e delle arti sceniche apparati di vario genere.
servono ad affrontare questioni sociali e storiche. Ulla
Solo is an exhibition cycle based on the contents of the Florentine civic collections that intends to offer a brief portrait of some of the great artists of the 20th Century. Alternating exhibitions drawinginvita directly the collections others von Brandenburg chion osserva a godere with dell'arte al that instead feature figures otherwise not present, this prodi là del suo tempo storico e a riflettere sulla sua dimenject inaugurated in concomitance with the reorganization of sione sociale. Scegliendo di dialogare inoltre, the Museo Novecento curated by the con newCasorati, artistic director riportaRisaliti, la nostra attenzione al periodo tra le duenew guerre, Sergio responds to a dual need to construct narrations around artists to integrate the museum’s caratterizzato dalla and dittatura nazi-fascista, da exposipopulitions. process permit bridging of gaps have smi diThis vario generewill e da una the diffusa paura della that diversità characterised the civic collections ever since their initial (dinamiche che sembrano riproporsi anche oggi nel nostro constitution. quotidiano). L’esposizione è Novecento stata pensata come una At regular intervals, the Museo will focus on a sinrappresentazione atti ina cui lo spettatore ritrova gle artist, choosingintotre discuss specific aspect of si their career through thesu presentation one or more works epresent ad interrogarsi quale sia iloflimite tra la realtà la sua in the collections of ethe Municipality Florence or loaned by rappresentazione, quali possanoofessere oggi le forme other collection, together with documents and materials of rituali utilizzate per stabilire canali di condivisione tra various kinds.
l’identità locale e l'altro da sé.
Il secondo appuntamento del ciclo è dedicato a Piero Manzoni (1933-1963). L’esposizione, a cura di Gaspare Luigi Marcone, è il primo progetto monografico dedicato a Manzoni in uno spazio istituzionale di Firenze, e si focalizza sugli “oggetti” – o meglio i “concetti-oggetti” – che l’artista produce dal 1959 al 1962. Infatti, parallelamente agli Achromes, realizzati da Manzoni dal 1957 fino alla fine del suo percorso, l’artista concepisce sin dal 1959 opere che sfuggono a qualsiasi categoria tradizionale (pittorica o scultorea). Nella primavera del 1959 Manzoni realizza le prime Linee; inizialmente un’unica linea orizzontale di inchiostro scuro è tracciata su un foglio di carta verticale da allestire a parete. Dall’estate dello stesso anno però l’artista traccia le sue linee su rotoli di carta di lunghezza variabile poi racchiusi in cilindri di varia natura dove un’etichetta riporta lunghezza, data e firma. La linea più lunga è la Linea di 7.200 metri realizzata in circa tre ore il 4 luglio 1960 a Herning in Danimarca. La linea più radicalmente “concettuale” è invece la Linea di lunghezza infinita (realizzata in vari esemplari nel 1960): un semplice cilindro di legno dove è solo l’etichetta che “in-forma” dell’“in-finito”. Sul finire del 1959 prende sempre più “corpo” l’indagine “fisiologica”, o appunto “corporale”, con la nuova serie dei 45 Corpi d’aria: in una scatola di legno vi sono un foglio di istruzioni, un palloncino bianco da gonfiare con un tubicino e un treppiede dove poggiare la “scultura gonfiata”. Dopo questa serie l’artista realizza anche Fiato d’artista (vari esemplari del 1960) dove il palloncino gonfiato è semplicemente apposto su una base quadrangolare di legno. Dal 1960 le sperimentazioni manzoniane diventano sempre più radicali: l’ultima mostra alla Galleria Azimut (spazio autogestito fondato da Manzoni con Enrico Castellani nel dicembre 1959) è l’“atto performativo” Consumazione dell’arte Dinamica del pubblico Divorare l’arte avvenuto il 21 luglio 1960. L’artista – quasi nelle vesti di sacerdote – offre da mangiare al pubblico uova sode con la sua impronta digitale concretizzando un atto di “comunione” tra autore, opera e pubblico. Parallelamente vi è la produzione delle Uova scultura, uova sode complete di guscio e impronta digitale conservate in piccole scatole di legno firmate e numerate. Il ciclo corporale-biologico-fisiologico culmina l’anno successivo, nel maggio 1961, quando l’artista produce le celeberrime 90 scatole di Merda d’artista da vendersi al prezzo corrente dell’oro per grammo. Nello stesso anno Manzoni realizza le Basi magiche, in più versioni, con le quali qualsiasi persona o oggetto può diventare opera d’arte fino all’estrema radicalità totalizzante del Socle su monde, la base del mondo, con la quale tutta la Terra è trasformata in opera d’arte. Gli atti demiurgici manzoniani, che aprono la strada alle future ricerche concettuali e performative, si concretizzano anche nel “ciclo” delle Sculture viventi: dal gennaio del 1961 l’artista inizia a firmare le persone come opere d’arte rilasciando un relativo “certificato di autenticità”. L’idea della “certificazione” è ulteriormente sviluppata, su un piano diverso, con le fotolitografie delle Tavole di accertamento edite nel 1962 da Vanni Scheiwiller con prefazione di Vincenzo Agnetti. Nel percorso espositivo e nel relativo catalogo – che offrono una panoramica delle principali tappe delle ricerche manzoniane – vi sarà anche un’appendice dedicata alla Mostra “Monocromo”, esposizione collettiva tenutasi alla Galleria Il Fiore di Firenze nel gennaio 1963, che costituisce, molto probabilmente, l’ultima mostra italiana alla quale partecipa Manzoni prima della sua prematura scomparsa avvenuta a Milano per infarto il 6 febbraio di quello stesso anno. L’esposizione è realizzata in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni di Milano. LIBERA DIMENSIONE “Azimuth”, 2, Milano 1960 Il verificarsi di nuove condizioni, il proporsi di nuovi problemi, comportano, colla necessità di nuove soluzioni, nuovi metodi, nuove misure: non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano: la trasformazione dev’essere integrale. Per questo io non riesco a capire i pittori che, pur dicendosi interessati ai problemi moderni, si pongono a tutt’oggi di fronte al quadro come se questo fosse una superficie da riempire di colori e di forme, secondo un gusto più o meno apprezzabile, più o meno orecchiato. Tracciano un segno, indietreggiano, guardano il loro operato inclinando il capo e socchiudendo un occhio, poi balzano di nuovo avanti, aggiungono un altro segno, un altro colore della tavolozza, e continuano in questa ginnastica finché non hanno riempito il quadro, coperta la tela: il quadro è finito: una superficie d’illimitate possibilità è ora ridotta ad una specie di recipiente in cui sono forzati e compressi colori innaturali, significati artificiali. Perché invece non vuotare questo recipiente? Perché non liberare questa superficie? Perché non cercare di scoprire il significato illimitato di uno spazio totale, di una luce pura ed assoluta? Alludere, esprimere, rappresentare, sono oggi problemi inesistenti (e di questo ho già scritto alcuni anni fa), sia che si tratti di rappresentazione di un oggetto, di un fatto, di una idea, di un fenomeno dinamico o no: un quadro vale solo in quanto è, essere totale: non bisogna dir nulla: essere soltanto; due colori intonati o due tonalità di uno stesso colore sono già un rapporto estraneo al significato della superficie, unica, illimitata, assolutamente dinamica: l’infinibilità è rigorosamente monocroma, o meglio ancora di nessun colore (e in fondo una monocromia, mancando ogni rapporto di colore, non diventa anch’essa incolore?). La problematica artistica che si avvale della composizione, della forma perde qui ogni valore: nello spazio totale forma, colore, dimensioni non hanno senso; l’artista ha conquistato la sua integrale libertà: la materia pura diventa pura energia; gli ostacoli dello spazio, le schiavitù del vizio soggettivo sono rotti: tutta la problematica artistica è superata. È per me quindi oggi incomprensibile l’artista che stabilisce rigorosamente i limiti di una superficie su cui collocare in rap-
porto esatto, in rigoroso equilibrio forme e colori: perché preoccuparsi di come collocare una linea in uno spazio? Perché stabilire uno spazio, perché queste limitazioni? Composizione di forma, forme nello spazio, profondità spaziale, tutti questi problemi ci sono estranei: una linea si può solo tracciarla, lunghissima, all’infinito, al di fuori di ogni problema di composizione o di dimensione: nello spazio totale non esistono dimensioni. Inutili sono anche qui tutti i problemi di colore, ogni questione di rapporto cromatico (anche se si tratta solo di modulazioni di tono). Possiamo solo stendere un unico colore, o piuttosto ancora tendere un’unica superficie ininterrotta e continua (da cui sia escluso ogni intervento del superfluo, ogni possibilità interpretativa): non si tratta di «dipingere» blu nel blu o bianco su bianco (sia nel senso di comporre, sia nel senso di esprimersi): esattamente il contrario: la questione per me è dare una superficie integralmente bianca (anzi integralmente incolore, neutra) al di fuori di ogni fenomeno pittorico, di ogni intervento estraneo al valore di superficie: un bianco che non è un paesaggio polare, una materia evocatrice o una bella materia, una sensazione o un simbolo o altro ancora: una superficie bianca che è una superficie bianca e basta (una superficie incolore che è una superficie incolore) anzi, meglio ancora, che è e basta: essere (e essere totale è puro divenire). Questa superficie indefinita (unicamente viva), se nella contingenza materiale dell’opera non può essere infinita, è però senz’altro infinibile, ripetibile all’infinito, senza soluzione di continuità; e ciò appare ancora più chiaramente nelle «linee»: qui non esiste più nemmeno il possibile equivoco del quadro: la linea si sviluppa solo in lunghezza, corre all’infinito: l’unica dimensione è il tempo. Va da sé che una «linea» non è un orizzonte né un simbolo, e non vale in quanto più o meno bella, ma in quanto più o meno linea: in quanto è (come del resto una macchia vale quanto più o meno macchia, e non in quanto più o meno bella o evocatrice; ma in questo caso la superficie ha ancora solo valore di medium). Lo stesso si può ripetere per i «corpi d’aria» (sculture pneumatiche) riducibili ed estensibili, da un minimo ad un massimo (da niente all’infinito), sferoidi assolutamente indeterminati, perché ogni intervento inteso a dare una forma (anche informe) è illegittimo e illogico. Non si tratta di formare, non si tratta di articolar messaggi (né si può ricorrere a interventi estranei, quali macchinosità parascientifiche, intimismi da psicanalisi, composizioni da grafica, fantasie etnografiche ecc: ... ogni disciplina ha in sé i suoi elementi di soluzione); non sono forse espressione, fantasismo, astrazione, vuote finzioni? Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere. PIERO MANZONI
The second exhibition in the series is dedicated to Piero Manzoni (1933-1963). Curated by Gaspare Luigi Marcone, the exposition is the first monographic project devoted to Manzoni in a Florentine institutional space and focuses on the “objects”, or rather the “concepts-objects” which the artist produced between 1959 and 1962. In parallel with the Achromes that Manzoni produced from 1957 through to the end of his life, from 1959 the artist also created works that rebuff any attempt at traditional pictorial or sculptural categorization. In the spring of 1959, Manzoni created the first Linee (Lines); initially a single horizontal line in dark ink was traced on a vertical sheet of paper to be hung on a wall. From the summer of that year, however, the artist began tracing his lines on rolls of paper of varying lengths, which he then placed in cylinders of different kinds. A label recorded the length of the line, the date and artist’s signature. The longest of these lines is Linea lunga 7.200 metri (Line of 7,200 metres) realised in around three hours on the 4th of July 1960 at Herning in Denmark. The most radically “conceptual” line was instead the Linea di lunghezza infinita (Line of infinite length; realised in various examples in 1960): a simple wooden cylinder where it is only the label that “in-forms” us of the “in-finite”. Towards the end of 1959, Manzoni’s “physiological” or “corporeal” investigations became increasingly important with the new series of 45 Corpi d’aria (Bodies of Air): a wooden box contained a sheet of instructions, a white balloon to be inflated via a short tube and a tripod on which to place the “inflated sculpture”. After this series the artist also created Fiato d’artista (Artist’s Breath; various examples from 1960) in which the inflated balloon is simply rested on quadrangular block of wood. From 1960, Manzoni’s experiments became ever more radical: the last exhibition at the Galleria Azimut (the artist-run space founded by Manzoni with Enrico Castellani in December 1959) was the “performative act” Consumazione dell’arte Dinamica del pubblico Divorare l’arte (Consumption of the art Dynamic of the public Devour art) staged on the 21st of July 1960. The artist, in a rather priest-like role, offered hard boiled eggs sign with his fingerprint for the audience to eat in a concretization of the act of “communion” between artist, work and public. In parallel, he also produced the Uova scultura (Egg Sculptures), hard boiled eggs, complete with shells and fingerprint conserved in small signed and numbered wooden boxes. The corporealbiological-physiological cycle culminated the following year, in the May of 1961, when the artist produced the famous 90 tins of Merda d’artista (Artist’s Shit) to be sold at the current price of gold per gram. That same year, Manzoni created diverse version of his Basi magiche (Magic Bases) with which any person or object could become a work of art, through to the radical extreme of Socle du monde, the Base of the World, through which the whole of planet Earth is transformed into a work of art. Manzoni’s demiurgical acts, which opened the way for future conceptual and performative research, were also concretized in the “cycle” of the Sculture viventi (Living Sculptures): from the January of 1961 the artist began to sign people as works of art, even issuing a relative “certificate
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of authenticity”. The idea of the “certification” was further developed in a different form with the photolithographs of the Tavole di accertamento (Tables of assessment) published by Vanni Scheiwiller in 1962 with a preface by Vincenzo Agnetti. The exhibition and the accompanying catalogue – which offer an overview of the principal stages in Manzoni’s research – will also feature an appendix devoted to the Mostra “Monocromo”, the Italian group show in which Manzoni participated prior to his premature death in Milan as the result of a heart attack on the 6th of February that year. The exhibition has been produced in collaboration with the Fondazione Piero Manzoni of Milan. FREE DIMENSION Azimuth, 2, Milan 1960 (original English version) The emergence of new conditions and the appearance of new problems imply, together with the necessity of new solutions, new methods and new terms of measurement. One does not leave the ground merely by running and jumping; wings are required. Modifications are not sufficient: the transformation must be integral. It is for this reason that I am unable to understand the painters that, whilst declaring themselves to be interested in modern problems, even today look on a painting as if it was a surface to be filled with colour and forms in accordance with a taste which can be more or less appreciated and which is more or less trained. They trace in a line, stand back, look at their work with head tilted to one side and with squinting eye, then jump forward once again and add another line or another colour from the palette; and these gymnastics continue until the canvas is filled up, covered. The painting is thus completed and a surface with limitless possibilities is finally reduced to a sort of recipient into which unnatural colours and artificial significance are forced and compressed. Why not empty, instead, this recipient? Why not liberate the surface? Why not attempt to discover the limitless significance of total space? Of pure and absolute light? Allusion, expression and representation are non-existent problems today – and I wrote about this some years ago – whether one is dealing with objects, facts, ideas or dynamic or inert phenomena. A painting has value in as much as it is a totality. There is no need to say anything. It is only necessary to exist. Two tones of the same colour or two blended colours already have a relationship that is extraneous to the significance of the surface which is unique, limitless, absolutely dynamic. The infinitability is rigorously monochrome, or better still of no colour. (In fact, hasn’t a monochrome, since it lacks all relation to colour, already become colourless?) Artistic criticism which makes use of concepts like composition and form has no value; form, colour and dimensions have no sense in total space. The artist has achieved integral freedom; pure material becomes pure energy; the obstacles of the space, the slavery to subjective foibles are annihilated; all problems of artistic criticism are surmounted; everything is permitted. I find it quite incomprehensible, therefore, that the artist rigorously lays down today the limits of a surface on which to arrange forms and colours in exact relationships and in strict equilibrium. Why should one be bothered by the problem of disposing a line in space? Why delimit a space? Why such limitation? All such problems like composition of form, form in space and spatial profundity are extraneous to us; a line can only be traced without limits of length into infinity and beyond any problem of composition or dimension. Dimension does not exist in total space. All problems of colour and all questions of chromatic relationships are also useless, even if one is only dealing with tonal modulations. We can only utilize a single colour or, rather, utilize a single uninterrupted and continuous surface from which anything superfluous and all interpretative possibilities are excluded. It is not a question of «painting» blue on blue or white on white either in the sense of composing or in the sense of expressing oneself. In fact, quite the contrary. The question for me is that of creating an integrally white surface (yes, integrally colourless, neutral) which is completely unrelated to any pictorial phenomenon or to any element that is extraneous to the value of the surface. It is a white that is not a polar landscape, or a beautiful or evocative material, or a sensation, or a symbol, or anything else; it is a white surface that is nothing else but a white surface (a colourless surface that is nothing else but a colourless surface). Or better still it exists, and that is sufficient. It is, and to be totally is pure becoming. This indefinite surface, uniquely alive, even if in the material contingency the work cannot be infinite, is, however, infinitable, infinitely repeatable, without a solution of continuity. And that is even more apparent in the «lines», for in these there no longer exists the possible ambiguity of the «painting». The line develops only in length and extends towards infinity. The only dimension is time. And it hardly needs to be said that a «line» is not a horizon or a symbol and it has value not as something beautiful but in the degree to which it exists. (The same is true of a blotch; it has value in the degree to which it is a blotch and not in the degree to which it is beautiful or evocative; but in this case the surface has only value as a medium). The same may be said for bodies of air (pneumatic sculpture) which are reducible or extensible from a minimum of nothing to a maximum of infinity; they are absolutely undetermined spheroids, because every attempt to give them a form (even formless) is both illegitimate and illogical. It is not a question of formation and it is not a question of expression (nor can one turn to extraneous problems like parascientific complexities, psychoanalytical secrecies graphic composition, ethnographical phantasy, etc.) Aren’t perhaps expression, phantasy and abstraction empty fictions? There is nothing further to add: there is only to be, to live. PIERO MANZONI
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2. Piero Manzoni LINEA DI LUNGHEZZA IN FINI TA 1960 cilindro di legno, etichetta di carta / wooden cylinder, paper label Fondazione Piero Manzoni, Milano
4. Piero Manzoni ACHROME 1958 caolino e tela grinzata / kaolin and wrinkled canvas Collezione privata
3. Piero Manzoni ACHROME 1962 ca. panini e caolino / bread rolls and kaolin Fondazione Piero Manzoni, Milano
5. Piero Manzoni ACHROME 1957/1958 caolino e tela grinzata / kaolin and wrinkled canvas Collezione privata
6. Piero Manzoni MERDA D’ARTISTA N. 77 1961 scatoletta di latta, carta stampata / tin can, printed paper Collezione privata
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