Museo Novecento Novecento museonovecento.it museonovecento.it
Piazza Santa Maria Novella Novella 10, 10 50123 Firenze
n° Luglio2018 2018 n°616- -Aprile
Duel un progetto ideato da Sergio Risaliti
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JOSEDuel DÁVILA un progetto ideato
da who Sergio Risaliti are lost Not all those wander 03 luglio - 11 ottobre 2018 a cura di Lorenzo Bruni
Ulla von Brandenburg Di un Sole Dorato 21 aprile - 21 giugno 2018
LB Not all those who wander are lost è la tua mostra al Mu-
seo Novecento di Firenze curata da me all’interno del ciclo Duel. Puoi parlarmi della scelta di questo titolo?
JD Not all those who wander are lost [Non tutti quelli che
7. Jose Dávila Untitled. Composizione C.F. 124, 2018 Stampa a pigmenti di carbone Courtesy of the artist
Ulla von Brandenburg It Has a Golden Sun and an Elderly Grey Moon, 2017 1. Jose Dávila (pagina a fianco) Film super-16-mm, colour, sound, 22’ 25’’ Daylight Found Me with No Answer, 2013 Acciaio e smalto epossidico courtesy the artist, Art : Concept, Paris, Pilar Corrias, London and Produzentengalerie Hamburg Courtesy of the artist and Galleri Nicolai Wallner, Photo: Martin Argyroglo Copenhagen
vagano sono persi] è una frase di J.R.R. Tolkien presente nel suo libro Il signore degli anelli. Tolkien scrive di un mondo di fantasia, ma che è collegato ad un mondo molto reale e fisico. Egli racconta di persone che vagano in uno spazio specifico allaNell’ambito ricerca di significati specifici. mi sento perfettamente del progetto Duel,Ioaccolto nelle sale esporappresentato da questa frase se rifletto sul fatto di trovarmi sitive al piano terra, curatori ospiti sono chiamati a collain un mondo dove le informazioni e i contatti sono globali, imborare con artisti attivi sulla scena internazionale per materiali e istantanei. Io faccio parte delle persone perse in realizzare interventi site-specific ispiratiPer allaquesto collezione del questo vagabondaggio fuori dalla storia. ho creato una mostra in del cui ciclo dialogano diverse opere come frammenti Museo. Il titolo rimanda a un duello dialettico tra di un insieme, per permettere di chiederci, a me stesso come artisti contemporanei e il patrimonio civico museale. allo spettatore, come osserviamo e viviamo il mondo oltre ai Duel viene inaugurato dalla prima mostra monogravari livelli possibili della sua interpretazione. Nella mostra al fica in Novecento Italia di Ulla von Brandenburg (Karlsruhe, 1974), aa Museo lo spettatore è come se fosse costretto cura di attraverso Lorenzo Bruni. In un narrativi, percorsoma cheanche si snoda in tre vagare vari strati a rendersi conto che non L’arte è un vasto puoi installazioni eè unperso. collage, realizzate trauniverso il 2009 in e cui il 2016, muovertipropone senza una finale, per questo che l’artista undestinazione inedito dialogo coned unèdipinto di Felice non sei smarrito del tutto in esso. Infatti lo scopo finale è Casorati, Nudo giallo (1945), individuato tra quelli della quello di continuare ad interrogarsi sulle cose e non solo di Collezione Alberto Della Ragione. La mostra inizia con le trovare risposte.
LB Come è avvenuta la scelta delle singole opere che com-
pongono il “viaggio” di questa mostra, che a sua volta è un dialogo con un’opera pittorica su cartone di Mario Radice del 1939 individuata nella collezione del museo di Firenze e inserita all’interno del tuo particolare display?
JD Ho messo insieme una serie di lavori ben precisi per
creare nuovi livelli di interazione tra di loro, il contesto e il pubblico. Tutte le mie opere nascono da un dialogo e da una frizione con riferimenti artisti, architetti e intellettuali immagini in vari bianco e nero ad di Singspiel, video del 2009, per delle generazioni precedenti alla mia. Non si tratta solo di un giungere, alla fine del percorso, al colore di It Has a Golden dialogo con la memoria collettiva o di una sua riattivazione, Sun and an Elderly Grey Moon, opera del 2016, proiettata bensì di un prendere coscienza degli strumenti che noi tutti all’interno della cappella sconsacrata del museo,avanti. piccolo oggi abbiamo a disposizione per ripensarli e andare In questa di Firenze religiosa, tutte le opere ruotano attorno ad una gioiellomostra di architettura riservata alle installazioni nuova consapevolezza: la miaIl generazione deve dell’esposiprendere in artistiche contemporanee. nucleo centrale esame un nuovo tipo di confronto con il sapere. Ho affrontato zione è caratterizzato da una tenda-sipario di colore blu, tutto ciò a partire da un dialogo con l’opera Composizione Blue124 Curtain delRadice, 2015, da e attraversare come C.F. di Mario del guardare 1939, scelta dalla collezione del un dipinto astratto. atmosfere e sospese della museo. Ci sono due Le motivi per cui magiche mi ha colpito quest’opera. Il primo è collegato al periodo storico era attivo pittura di Felice Casorati (Novara, 1883 in – cui Torino, 1963) Radice che era il ventennio fascista. È un periodo che ho entranoe in risonanza con le opere dell’artista. Il richiamo studiato molto soprattutto per il contributo degli architetti ai metodi e alle procedure del teatro e delle arti sceniche razionalisti come Terragni, a cui il pittore originario di Como servono affrontare questioni sociali e storiche. Ullaa era moltoad legato. Partendo da questo dialogo ho provato
creare un’apertura, una finestra differente con cui osservare il nostro momento storico attraversato da varie forme di populismo. L’altro motivo è legato alla mia intera pratica, che si collega ad una riflessione sui codici astratti. Ho voluto osservarla a partire da un punto di vista nuovo, del tutto inusuale, per mezzo della presenza del gesto storicizzato, ma anche a-storico di Mario Radice. Per me, però, non si tratta solo di un processo concettuale, bensì di una riattivazione dei sensi. Ecco perché è importante da sempre nella mia pratica lavorare sul modo diinvita percepire le formeaastratte non solo di von Brandenburg chi osserva godereedell'arte al crearle. Punto sempre a rendere evidente il loro peso e la gradi là del suo tempo storico e a riflettere sulla sua dimenvità e di conseguenza a trasformare in esperienza attiva il diasionecon sociale. Scegliendo dialogare Casorati, inoltre, logo lo spazio. Per me di infatti tutto con ha inizio dal rapporto riporta la nostra tracontrasto le due guerre, con i materiali e dalattenzione loro esserealinperiodo linea o in con la forma e l’oggetto che manifestano. Il mio processo caratterizzato dalla dittatura nazi-fascista, da creativo populinasce che le persone vedere smi di dalla varioconsapevolezza genere e da una diffusa paurapossono della diversità e interpretare la stessa cosa in modi diversi, ma soprattut(dinamiche che sembrano riproporsi anche oggi nel nostro to dal fatto che la sentono e la percepiscono diversamente. quotidiano). L’esposizione stata pensata una Questa consapevolezza però èdeve dialogare con come la presa di rappresentazione in tre atti ine degli cui lostrumenti spettatore si ritrova coscienza del contesto storico culturali che vengono usati dasuquel dato Conlaquesto ad interrogarsi quale siapubblico. il limite tra realtà progetto e la sua punto a illuminare un storico e a-storico ea rappresentazione, e dato quali paesaggio possano essere oggi le forme renderli compresenti al fine di riportare ad essere palpabile il rituali utilizzate per stabilire canali di condivisione tra momento specifico in cui le persone possono confrontarsi e l’identità locale e l'altro sé. di vista. discutere su questi diversida punti
Jose Dávila in dialogo con Lorenzo Bruni
LB Nella tua mostra oltre al dialogo con Mario Radice e il
ventennio ti confronti con la cappella rinascimentale che si trova nel Museo Novecento. Cosa ne pensi di questo dialogo?
la cappella è un posto speciale. È un luogo di meditazione, di introspezione, un luogo per pensare. È molto speciale mettere un’opera d’arte lì. Trovare un’opera d’arte in quel contesto può aiutare gli spettatori a pensare e a concentrarsi. È uno spazio che amplifica i pensieri. È sicuramente uno spazio in controtendenza rispetto alla ricerca attuale di spazi bianchi, senza interferenze architettoniche o della storia. Per il mio lavoro, invece, è perfetto questo dialogo con le presenze del passato, dato che vuole puntare a sollevare e a far emergere la consapevolezza delle tracce latenti nell’inconscio collettivo.
4. Jose Dávila Aporía I, 2017 Marmo nero assoluto, marmo Nestos, vetro giallo Courtesy of the artist and Travesia Cuatro, Madrid 5. Jose Dávila Joint Effort (VI) , 2015 Vetro, cemento, pietra, cinghia a cricchetto Courtesy of the artist and Galleri Nicolai Wallner, Copenhagen 7. Jose Dávila Aporía II, 2017 Marmo nero assoluto, marmo Nestos, vetro giallo Courtesy of the artist and Travesia Cuatro, Madrid
LB Il tuo approccio più che politico potremmo definirlo
etico. Infatti, a differenza di altri artisti non occidentali, non utilizzi il video per documentare elementi di contrasto e proporre un paragone immediato tra culture, bensì punti ad una introiezione di punti di vista. Penso che tu chieda alle persone: cosa può essere un monumento oggi? Questo è presente sia nelle opere fotografiche e nelle sculture, che in un’opera di architettura che tu avevi realizzato nel 2001 per una mostra collettiva al Camdem Art Center di Londra. Puoi parlamene?
LB Vorrei capire meglio come nascono le tue sculture sospese fatte di tanti quadrati uno dentro l’altro. È un omaggio al quadrato?
JD Sì e no. È in realtà un omaggio alle opere pittoriche ba-
LB
L’attenzione ai materiali è una tua costante. Infatti non possiamo dire che usi una tecnica specifica perché le usi tutte, dalla scultura alla pittura, dall’installazione all’opera architettonica. Perché?
JD Penso che l’arte alla fine riguardi la libertà. Il gesto
dell’artista è legato all’espansione dei pensieri. In questo senso credo di potermi muovere liberamente tra diverse estetiche e tecniche. Io voglio lavorare su un processo artistico auto-critico. Ecco perché non voglio lavorare su un singolo medium e soprattutto non voglio ripetere la stessa “formula”. Non voglio ripetere me stesso. Voglio trovare sempre nuove direzioni di senso. L’arte deve sempre portare in evidenza nuove domande e nuovi dubbi che permettano di creare nuovi temi e temporalità aperte. Io punto a suggerire un nuovo modo di essere, a partire dal prendere coscienza di questo essere.
sate sulle iscrizioni di differenti quadrati realizzati da Josef Albers. Josef Albers è un artista che ritengo molto importante. Penso che abbia introdotto il concetto di ripetizione all’interno della ricerca del colore come un mantra, per farla avanzare su livelli differenti. Possiamo vedere tutte le sue ripetizioni come un modo per ribadire sempre la stessa cosa, ma anche per andare oltre. Inoltre lui era molto interessato alla cultura messicana, la mia cultura, che ha rielaborato in modo particolare. Era affascinato dalla storia dei modelli di grafica dell’antica civiltà mesoamericana, ma allo stesso tempo era molto moderno. Quando io mi confronto con la sua opera, lavoro sul dare un nuovo senso all’esperienza del guardare. Lo spazio percepito è differente da quello reale perché entra in gioco la gravità dei pesi e il loro reagire all’incidenza della luce. Le ombre portate sono ciò che io studio con le mie opere a livello concettuale. L’ombra è quel confine tra la cosa e la sua immagine, tra la memoria e l’essere, tra l’azione e la staticità. Questi quadrati sospesi si fondono con l’ambiente che li contiene per mezzo delle ombre che vi proiettano. Sono dei misuratori del meccanismo dell’opera che diviene un tutt’uno con l’azione dell’osservatore fino a farci chiedere chi sia il generatore dell’esperienza: l’osservatore o le geometrie osservate?
livello internazionale e in quanto studioso della storia dell’arte occidentale e del Rinascimento - dal dialogo tra le tue opere e la città di Firenze?
JD Per me Firenze ha un significato molto personale e direi intimo. Sono venuto in questa città diverse volte negli ultimi due decenni per studiare il Rinascimento, ma anche come turista e come artista per delle collettive in cui mi hai coinvolto tu. Realizzare un mio progetto in questa città significa prima di tutto confrontarmi con il tema della critica al potere. Non penso solo al potere della politica bensì a quello della bellezza, del pensiero, del nuovo. In questo senso fare una mostra a Firenze ha un significato speciale per me, perché qui il nuovo incontra sempre il vecchio e viceversa. Questo è il motore della mia mostra e il mezzo con cui creare un nuovo interrogativo sui meccanismi attuali della trasmissione del sapere. Prima di rispondere a quest’ultima domanda però è fondamentale chiederci a chi vogliamo trasmettere oggi questo sapere e perché.
il testo. Il testo è la descrizione di questi dipinti realizzati dai cavernicoli. Il colore rosso che ho usato è quello del pantone più vicino al pigmento della conchiglia con cui sono stati originariamente prodotti questi segni. Perché mi sono rivolto a queste immagini? Perché mi rivolgo sempre alle immagini frutto di creatività. Penso che l’atto di dipingere e di creare una forma sia ciò che ci separa in molti modi dagli animali. Io sono andato a cogliere uno dei più antichi tentativi da parte dell’uomo di rappresentare la sua realtà. Sovrapporre ad essi una monocromia di quel tipo mi permette di spostare quella realtà al giorno d’oggi e di vederla attraverso il contesto di modernità. Inoltre l’opera ci parla della necessità di quest’ultima di farsi strumento e non punto di arrivo estetico. I disegni sono infatti disposti in un insieme che mette in mostra il vuoto al centro del muro che li sostiene e li supporta. Spostare l’attenzione al contenitore mi permette di ricordare che quell’aspetto così antico dell’arte, riscontrabile nei dipinti delle caverne, è vivo solo se sappiamo da quale punto fisico e temporale lo stiamo guardando.
sunta come lo statement di tutto il tuo lavoro. In effetti è uno statement che riguarda anche la tua generazione, impegnata a riflettere sui principi della memoria collettiva e sulla sua riattivazione più che sull’accettazione delle regole del guardare e del giudicare fornite dalla storia con la S maiuscola. La memoria è uno strumento per voi, è il medium che utilizzate e che vi differenzia dalle generazioni precedenti. A differenza degli altri artisti però per te è sempre presente l’idea della riattivazione della scultura. Penso ad esempio al tuo famoso lavoro – realizzato la prima volta all’inizio degli anni 2000 - in cui hai ricostruito la famosa opera di Donald Judd delle scatole di metallo a parete. In quel caso hai riproposto uno dei simboli del minimalismo americano utilizzando, come materiale, del cartone da imballaggio. Come è nato questo lavoro?
da sculture in cui delle lastre di vetro sono tenute in piedi in equilibrio precario per mezzo di forme di marmo lavorato in vario modo. Quello che colpisce è il dialogo tra materiali differenti e soprattutto il contrasto tra opacità e trasparenza. È un tuo personale modo di rispondere al mondo pervaso dai touchscreen?
LB Cosa ti aspetti - in quanto artista messicano che lavora a
JD Quella che avevo realizzato lì era un’opera di scultura,
ma di un tipo particolare che si articolava nello spazio che la ospitava per trasformarsi in architettura e in misuratore di spazio. Prima di tutto questo, possiamo definire quell’opera come una particolare forma di ‘ready made’ con cui mi sono appropriato delle impalcature che erano sparse in città per restaurare le facciate dei palazzi e le ho portate all’interno per creare un percorso che non portava a niente. Elementi temporanei per riparare o pulire le facciate delle architetture divenivano così, all’interno del museo, una scultura. Ho dato vita ad uno spazio in cui non si producevano azioni funzionali ma una riflessione sull’esperienza dello spazio urbano che diveniva sempre più globale. Allo stesso tempo poteva essere visto come un piedistallo dove le persone potevano interrogarsi su come riempire il vuoto istituzionale vigente. Quale monumento può rappresentarci oggi come cittadini globalizzati? Questa era la domanda che proponevo nel 2001 e che credo sia ancora attuale, tanto da riproporla con forza nella mia mostra di Firenze a distanza di molti anni.
LB Questa riflessione, se ci pensiamo bene, può essere as-
LB Le tue opere degli ultimi due anni sono caratterizzate
su dove viviamo. La nostra società vede il mondo attraverso uno schermo, ed è necessario per noi scegliere se vivere nel mondo reale o nello schermo che lo contiene. Questo dialogo oppositivo però per me si deve innestare su quello che ha animato da sempre la storia dell’arte, ovvero il contrasto tra cosa può essere considerato attuale e primitivo, così come classico e contemporaneo. Con le mie sculture io punto a creare un equilibrio tra opposti. Ad esempio tra la sensazione del moderno che trasmette il vetro, visto che è associato nel paesaggio contemporaneo ai palazzi degli uffici, e la sensazione di classicità che trasmette il marmo, che però può essere associato anche all’idea di primitività se evidenziamo che è stato strappato da una montagna. Tutti i materiali posseggono un significato simbolico e un significato d’uso collettivo. L’importante per me è individuare queste sfumature differenti e farle convivere nello stesso posto assieme. Solido e fragile, freddo e caldo, nuovo e vecchio possono dialogare e relazionarsi senza opposizione perché tutto ciò, come le mie sculture, è un’estensione della mente. La mente però si alimenta di esperienze tattili e fisiche. Per questo non dobbiamo dare niente per scontato, cosa che invece gli schermi digitali ci stanno portando a fare. Vedere non è guardare e viceversa.
3. Jose Dávila The Origins of Drawing VII, 2017 Stampa a pigmenti di carbone Courtesy of the artist Photo: Agustín Arce
mente posso affermare che il mio lavoro riguarda l’atto della resistenza. È una riflessione che io devo fare nella mia posizione, in quanto parte di un sistema culturale e politico ben preciso: quello del Sud America. Io con questo lavoro non voglio imitare lo stile americano, ma neanche ignorarlo. Metto in atto con le mie opere un processo per digerire tutto ciò e con cui ottenere un ruolo attivo. È un modo per ottenere potere. Ovviamente non sto parlando di potere politico o potere militare. Sto parlando del potere artistico, del potere dei pensieri.
JD Per una persona agnostica, quale io sono, lo spazio del-
JD Certo penso sia necessario che oggi tutti noi riflettiamo
2. Jose Dávila Aporía II (dettaglio) , 2017 Marmo nero assoluto, marmo Nestos, vetro giallo Courtesy of the artist and Travesia Cuatro, Madrid
JD Non posso definirmi un artista politico. Però sicura-
LB Questo approccio è presente solo nei tuoi lavori scultorei?
JD In realtà questa riflessione sulla sfumatura che c’è
tra vedere, guardare e percepire attraverso l’uso dell’ombra portata è presente in tutto il mio lavoro e non solo nelle opere scultoree. È molto importante, ad esempio, nella serie delle fotografie dei monumenti pubblici, in cui il monumento viene rimosso ritagliando la fotografia. L’immagine incorniciata con il vuoto al centro mette in evidenza il muro dietro all’immagine e l’immagine si fa tridimensionale per via dell’ombra che vi proietta. Naturalmente è un lavoro sull’incapacità della società odierna di produrre una nuova forma di monumento. Il secolo passato è il secolo in cui l’arte ha lavorato sull’anti-monumento. Ora è importante produrre una sua alternativa che non sia imposta dall’alto. Allo stesso tempo però questo lavoro ha a che fare con la riflessione sulla consapevolezza di produrre e trasmettere delle tracce. Questa mia ricerca infatti mi porta a produrre opere che rispondono alla nostra attualità, ma che si collocano anche fuori dal circuito della storia. Sono storiche e astoriche, contestuali e ontologiche.
LB Puoi approfondire questa riflessione sul produrre ope-
re che rispondono ad un caso specifico e allo stesso tempo ai massimi sistemi?
JD Certo. Per farlo posso citare un’altra opera molto di-
versa da quella scultorea e pittorica dei quadrati sospesi, ma anche da quella delle immagini dei monumenti rimossi nelle fotografie. Si tratta di un opera dal titolo The Origins of Drawing VII di un anno fa. È una serie di immagini di dipinti preistorici riprodotti sulle pagine di varie enciclopedie. I disegni sono coperti da una forma geometrica monocromatica che annulla e copre l’immagine originale di cui parla
JD Penso che questo sia il risultato di essere un artista
autodidatta. Non sono andato in un’accademia d’arte, ho studiato architettura. Però ho sempre studiato l’arte attraverso i libri. Il mio metodo di studio era, ed è, quello dell’appropriazione. Il mio appropriarmi del mondo però non avviene in senso letterale, ma ha a che fare con il dare vita ad una nuova direzione di significati. Quando penso alle opere del passato penso sempre al possibile futuro che vi può essere connesso. Questo è anche il motivo per cui mi sono avvicinato al lavoro di Donald Judd di cui parli tu. Il motivo per cui ho realizzato quest’opera non era legato ad una critica o ad una provocazione verso quel lavoro. Anzi io volevo riattivare l’energia che stava dietro al processo che ha portato alla nascita dell’opera. Le persone oggi guardano un Donald Judd e sono affascinate soprattutto dalla sua fisicità perfetta. Però è il processo del nuovo gusto attivato dall’industrializzazione che voleva far emergere Judd e non il suo design. Quando io ricreo l’opera in cartone di scarto, che serviva per contenere le merci, io creo altri infiniti livelli di interpretazione. Io mi inserisco nel processo attivato dal minimalismo e affermo che se il credo minimalista era “il meno è più” allora io ho voluto togliere anche la parte perfetta della forma di metallo. Ho creato lo stesso concetto, ma con il materiale povero del cartone. Ho creato un lavoro minimalista con il minimo dello sforzo e il minimo dell’impiego di forze industriali e di denaro. È una traduzione naturalmente anche del gesto nel contesto in cui lo ho realizzato. Ho tradotto il gesto dal contesto americano a quello più povero messicano, creando così nuove valutazioni sul concetto di opera d’arte e sul suo valore come idea e come merce.
LB Incredibile. Mi parli di scultura e di punti oggettivi diffe-
renti con cui osservarla, ma allo stesso tempo parli di forze economiche e geo-politiche che influiscono sul giudizio di esse. Pensi che nel tuo lavoro ci sia un radice di attivismo politico?
uno reagisce al guardare, vedere e percepire. La memoria è uno spazio astratto e cerco di suggerire una introspezione in questo spazio. Una introspezione a partire da aspetti concreti. La rimozione di alcune parti. Quello che mi interessa però non è spostare l’attenzione sulla esperienza estetica di quel quadro astratto bensì attorno alle aspettative artistiche di Mario Radice e dei suoi colleghi architetti di voler cambiare il mondo. Osservando oggi queste ricerche dobbiamo essere consapevoli che la conquista del potere dell’arte e dello scambio democratico di idee è avvenuta lentamente nel corso della storia, ma può essere perduta in un solo istante. Ci vuole cura e attenzione per evitare questa possibilità di implosione della cultura.
LB Questo tipo di processo che hai prodotto sull’opera di Mario Radice non è la prima volta che lo realizzi. Lo hai già attivato su un’opera di Picasso riproducendo tante copie dello stesso quadro e rimuovendo però ad ognuna una porzione differente.
JD È un lavoro che ho realizzato per lo spazio Omr a Mes-
sico City e che ha girato molto, in molti musei americani ed europei. Possiamo dire che la tecnica per rimozione di un particolare è la stessa. Però il movente è diverso. Io mi sono rivolto a quell’opera di Pablo Picasso perché osservandola appare già di per sé come una riduzione della realtà. Anni dopo un altro artista è andato oltre a questa riduzione. Parlo del maestro della Pop Art americana Roy Lichtenstein, che si è appropriato di quell’immagine di Picasso e l’ha sintetizzata nuovamente, spostandola nel mondo della riproduzione della stampa industriale. Io ho voluto continuare questo processo di riduzione. Ho tolto delle parti a questo quadro. Sempre diverse. È un lavoro sulla ripetizione. E sulla rappresentazione dell’arte riferendosi soltanto a se stessa. Ho voluto evidenziare questo pericolo dell’autoreferenzialità dell’arte del secolo passato. E allo stesso tempo ho voluto restituire una fisicità ad una immagine che tutti possono conoscere tramite internet senza veramente farne esperienza. È come costringere qualcuno a ricordare il numero di telefono di un suo caro amico che non ricorda semplicemente perché lo ha affidato al suo cellulare: quando finisce la batteria al cellulare non può più chiamarlo. La tecnologia è fantastica e ci mette a disposizione tutte le informazioni. Però dobbiamo essere consapevoli che nel passaggio dal mondo analogico a quello digitale si è azzerato lo strumento della memoria. Quindi in questo caso io creo una terza via tra l’immagine originale di Picasso e quella dell’immagine manipolata. La terza via è quella provocata dall’ombra della parte assente sul muro. Io metto in scena così l’allegoria della caverna di Platone. Dobbiamo ricordarci che vediamo sempre il mondo attraverso un riflesso, attraverso un’ombra. L’ombra cambia nel suo significato ma è sempre un simulacro. La domanda è: a cosa ci vogliamo rivolgere?
LB
Come vedi il tuo lavoro al Museo Novecento all’interno del tuo percorso personale? È una riflessione sul vagare nelle memorie e nella eredità del modernismo? O non solo?
JD: Per il Museo Novecento, ma anche in generale, cerco
LB L’opera di Londra consisteva quindi nell’invitare il pubblico a fare un’esperienza. E’ quello che hai predisposto anche per il Museo Novecento?
JD Si. È l’esperienza della visione che voglio attivare. L’og-
getto di cui mi approprio non mi interessa in sé fisicamente. Perché un oggetto non è solo un oggetto, ma è ciò che ti ricorda. È tutto nella tua mente, e nella memoria del momento. L’oggetto di cui mi approprio e che trasformo è un catalizzatore e non il risultato finale. Così è anche per il mio confronto con l’immagine di Mario Radice.
LB Tu spingi e forzi le regole dell’astrazione. Perché l’arte astratta è così importante per te e ritorna spesso nel tuo lavoro?
JD Questa è un’ottima domanda su cui mi interrogo spes-
so. Una delle risposte che mi fornisco è perché nel mondo astratto le idee sono più chiare. Cerco sempre di rispondere alla complessità con la semplicità del mondo delle geometrie astratte. È uno spazio mentale che sto cercando di rendere concreto e di esplorare. Non ho risposte specifiche, è sempre una ricerca.
LB Nella mostra di Firenze proponi questa ricerca come se
fosse un work in progress sotto lo sguardo di tutti. Addirittura metti a confronto l’opera di Mario Radice con un suo doppio – una fotografia dell’opera riprodotta della stessa grandezza – però mancante di alcune parti. Perché?
JD È una riattivazione. Non dell’opera ma dello sguardo
dello spettatore sul contesto da cui proviene l’opera. Parlo del contesto della diffusione del credo astratto e razionalista nel corso del ventennio, che doveva convivere con la diffusione delle dittature. In questo caso io creo per mezzo della rimozione di alcune parti dell’insieme. È una contraddizione che crea e distrugge allo stesso tempo. Io chiedo allo spettatore di fare i conti con la memoria delle visione di una cosa che hanno appena visto. Io chiedo di pensare a come
di pensare al mio lavoro come a un lavoro concettuale, ma non come il concettuale degli negli anni ‘60. Vedo concettualmente il mio lavoro perché il mio lavoro suggerisce allo spettatore di riflettere su ciò che vede mentre compie questa azione. L’oggetto non è il risultato finale, ma il trampolino per pensare, per ricordare, per usare l’immaginazione.
LB
Come ultima domanda vorrei chiederti: qual è per te il ruolo dell’artista oggi nella nostra società?
JD Vedo il ruolo dell’artista come un facilitatore, che invi-
ta a riflettere su se stessi nel mondo che ci circonda. Vedo l’atto dell’artista come un atto di fede. L’arte è uno strumento per mettere in discussione la tua realtà. Penso che l’arte non dovrebbe essere un veicolo per il nazionalismo e gli stereotipi, l’arte dovrebbe essere universale.