Museo n21

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n. 21 - Settembre 2018 n°6 - Aprile 2018

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Duel

IN BETWEEN ART FILM

un progetto ideato da Sergio Risaliti

Ideazione Beatrice Bulgari A cura di Paola Ugolini

Ulla von Brandenburg Di un Sole Dorato 21 aprile - 21 giugno 2018

SILENCE AND RITUALS 18.09.2018 24.01.2019

Sigalit Landau Masbedo Hans Op de Beeck Adrian Paci Vanessa Beecroft Janis Nell’ambitoRafa del progetto Duel, accolto nelle sale espositive al piano terra, curatori ospiti sono chiamati a collaRegina José Galindo borare con artisti attivi sulla scena internazionale per realizzare interventi site-specific ispirati alla collezione del Mircea Cantor Museo. Il titolo del ciclo rimanda a un duello dialettico tra artisti contemporanei e il patrimonio civico museale. Democracia Duel viene inaugurato dalla prima mostra monograSIGALIT LANDAU SALTED LAKE (SALT CRYSTAL SHOES ON A FROZEN LAKE) 2011

Ulla von Brandenburg It Has a Golden Sun and an Elderly Grey Moon, 2017 Film super-16-mm, colour, sound, 22’ 25’’ courtesy the artist, Art : Concept, Paris, Pilar Corrias, London and Produzentengalerie Hamburg Photo: Martin Argyroglo

fica in Italia di Ulla von Brandenburg (Karlsruhe, 1974), a cura di Lorenzo Bruni. In un percorso che si snoda in tre installazioni e un collage, realizzate tra il 2009 e il 2016, l’artista propone un inedito dialogo con un dipinto di Felice Casorati, Nudo giallo (1945), individuato tra quelli della Collezione Alberto Della Ragione. La mostra inizia con le

immagini in bianco e nero di Singspiel, video del 2009, per giungere, alla fine del percorso, al colore di It Has a Golden Sun and an Elderly Grey Moon, opera del 2016, proiettata all’interno della cappella sconsacrata del museo, piccolo gioiello di architettura religiosa, riservata alle installazioni artistiche contemporanee. Il nucleo centrale dell’esposizione è caratterizzato da una tenda-sipario di colore blu, Blue Curtain del 2015, da guardare e attraversare come un dipinto astratto. Le atmosfere magiche e sospese della pittura di Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963) entrano in risonanza con le opere dell’artista. Il richiamo MASBEDO ai metodi e alle procedure del teatro e delle arti sceniche MADAME PININ servono ad affrontare questioni sociali e storiche. Ulla 2007

von Brandenburg invita chi osserva a godere dell'arte al di là del suo tempo storico e a riflettere sulla sua dimensione sociale. Scegliendo di dialogare con Casorati, inoltre, riporta la nostra attenzione al periodo tra le due guerre, caratterizzato dalla dittatura nazi-fascista, da populismi di vario genere e da una diffusa paura della diversità (dinamiche che sembrano riproporsi anche oggi nel nostro quotidiano). L’esposizione è stata pensata come una rappresentazione in tre atti in cui lo spettatore si ritrova ad interrogarsi su quale sia il limite tra la realtà e la sua rappresentazione, e quali possano essere oggi le forme rituali utilizzate per stabilire canali di condivisione tra l’identità locale e l'altro da sé.


Il silenzio non è uno stato di quiete, ma una tensione, quella di un gorgo in cui i suoni si avvitano attratti verso il fondo. (Erri de Luca) Questa rassegna di video, ideata da Beatrice Bulgari per In Between Art Film, a cura di Paola Ugolini, vuole mostrare, attraverso il lavoro di artisti internazionali, quella magica sospensione di suono e di tempo che spesso precede e accompagna le cerimonie e i riti sia laici che religiosi. Il silenzio, fisico e mentale, è la meditativa colonna sonora di tutte le opere presentate in questo progetto per il quale sono stati volutamente selezionati dei lavori che, pur con profondi significati politici e sociali, privilegiassero un approccio visivo esteticamente lirico e poetico.

HANS OP DE BEECK STAGING SILENT (2) 2013 ADRIAN PACI INTERREGNUM 2017 VANESSA BEECROFT VB82 2017 JANIS RAFA WINTER CAME EARLY 2015 REGINA JOSÉ GALINDO LA INTENCIÓN 2016 MIRCEA CANTOR FUNIA 2017 DEMOCRACIA Ser y Durar 2011

L’artista israeliana SIGALIT LANDAU (Gerusalemme, 1969) nelle sue opere mette in scena delle narrazioni che documentano, presuppongono o prefigurano un’azione. Quello che l’artista vuole realizzare, con un approccio multimediale, è un mondo poetico capace di creare “nuove realtà emotive” che possano avere una presa diretta sulla vita con le sue profonde e spesso dolorose contraddizioni. La desolata bellezza del Mar Morto è da quindici anni il suo luogo del cuore, perché crede “che questo sia il luogo dove verità e spiritualità diventano realtà quasi tangibili..”. Nel video Salt Lake (2011) un paio di scarponi da lavoro ricoperti di sale del Mar Morto cristallizzato dal gelo sprofondano lentamente sulla superficie ghiacciata di un lago dell’Europa Centrale, un’immagine di desolata solitudine, struggente e potente nella sua tragica semplicità che ci mostra tutta la sofferenza e il dolore dello sradicamento, del peso della memoria e della Storia. È probabilmente questo uno degli aspetti più interessanti dell’arte israeliana contemporanea: il saper mescolare tradizione e innovazione in lavori impregnati di una memoria storica collettiva che invita alla riflessione, pur non scadendo mai nella banale ovvietà del citazionismo. La vicenda professionale ed esistenziale di una donna, la restauratrice milanese Pinin Brambilla Barcilon, è al centro del video Madam Pinin (2017) dei MASBEDO (Nicolò Massazza, Milano 1973, Iacopo Bedogni, Sarzana 1970) che è una profonda e allo stesso tempo delicata riflessione visiva sul concetto di bellezza, della sua caducità e della sua conservazione. Tra il 1977 e il 1999 Pinin Brambilla ha dedicato cinquantamila ore della sua vita al restauro del Cenacolo di Leonardo da Vinci, dipinto dal maestro fiorentino fra il 1495 e il 1498 nell’ex refettorio rinascimentale del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. La storia di quel restauro, tra le più controverse e complesse operazioni mai realizzate nella storia di questa disciplina è raccontata dai MASBEDO in un video che si focalizza sui dettagli di mani, viso e occhi della restauratrice. Questi, ingranditi come attraverso una lente, diventano i protagonisti dell’opera. Il video indaga la relazione tra il mondo delle immagini e la loro conservazione, tra la creazione come forza pulsante e attiva, che si oppone strenuamente al concetto di fine e di ineluttabilità temporale, e la necessità della cura e della dedizione per sottrarre la bellezza all’oblio del tempo.

Il belga HANS OP DE BEECK (Turnhout, 1969) nei venti ipnotici minuti del video Staging Silence (2013) mette in scena come per incanto una serie di diorami che rappresentano dei solitari scenari architettonici in bianco e nero in cui si alternano momenti di grande lirismo a momenti quasi comici. Staging Silence è infatti principalmente basato su quegli scenari archetipici, sia urbani che naturali, che permangono nei ricordi dell’artista come fossero dei comuni denominatori visivi dei molteplici anonimi spazi pubblici di cui negli anni ha fatto esperienza. Il bianco e nero del video enfatizza questo aspetto ambiguo di oscillazione fra realtà e immaginazione e la sequenza ininterrotta degli ambienti che si trasformano l’uno nell’altro rimanda al miscuglio di immagini che costantemente si sovrappongono nella nostra mente. Il titolo è un chiaro riferimento a quei luoghi in cui lo spettatore, in assenza di altri personaggi, può proiettare se stesso come solitario protagonista della scena. I luoghi realizzati dall’artista non sono altro che quinte teatrali animate dove ambientare possibili storie. Questi affascinanti e ipnotici scenari effimeri, realizzati con oggetti di uso comune che come per magia diventano altro da sé, danno vita ad una serie di proposte visive altamente evocative che lo spettatore sperimenta nel loro divenire.

se: San Martino a Napoli, San Giacomo a Capri e San Lorenzo a Padula. Nello spazio vuoto del refettorio di Padula 13, performers maschi di svariate età, abbigliati con una tunica bianca, rievocano l’iconografia tradizionale di Cristo così come è stata interpretata dalla storia dell’arte, con volti ieratici, capelli e barbe lunghe o fanciullescamente imberbi con i tratti delicati e angelici di un Gesù bambino. All’esterno una lunga e coreografica processione di 300 persone, tutte biancovestite con dei mantelli che ricordano quelli dei monaci Certosini che abitavano il convento, danno vita a una lunga scenografica processione illuminata solo dalla luce delle torce.

ADRIAN PACI (Scutari, 1969) è un artista che ha vissuto la durezza dell’Albania schiacciata dal totalitarismo del regime comunista. Anche suo padre Ferdinand era un artista che purtroppo morì giovane quando Adrian aveva solo sei anni. Lo stile di Ferdinand è figurativo, con un segno realistico e quasi rude, che però non lascia trapelare il peso di ideologismi. L’arte di Adrian appartiene invece a un mondo completamente diverso, nel 1992 arriva in Italia grazie ad una borsa di studio e da questo momento nel suo fare artistico il disegnare e il dipingere diventano elementi espressivi piuttosto marginali perché la gamma dei linguaggi possibili improvvisamente si allarga includendo il video e la fotografia. Quando Adrian era un adolescente, Scutari era una città chiusa al mondo e per un ragazzo era difficile capire cosa avvenisse anche solo al di là dell’Adriatico, per questo furono preziosi i libri sui grandi artisti del passato che suo padre gli aveva lasciato perché gli insegnarono il mestiere dell’Arte attraverso le loro immagini. Nel video Interregnum (2017) l’artista, non a caso, sceglie come punto di partenza l’analisi della massa umana, conducendo lo spettatore in un percorso che dal corpo collettivo spersonalizzato che occupa i grandi spazi urbani, termina con lo studio del soggetto singolo. Il video mette insieme diversi momenti estrapolati dalle celebrazioni di funerali di dittatori comunisti di varie nazionalità, recuperati in archivi e televisioni nazionali per raccontare come il corpo politico, formato dalla molteplicità degli esseri umani, agisca in sincrono con la volontà imposta dal regime. Con la sua morte, il leader lascia il posto a un altro potente protagonista della scena pubblica, il dolore. Questo muove la massa irrazionalmente dolente del popolo che inconsolabile piange la morte del suo oppressore.

Nella nostra civiltà delle immagini, in cui il corpo reale è diventato virtuosisticamente virtuale, VANESSA BEECROFT (Genova, 1969) estremizza visivamente l’algida nudità delle sue modelle sospese in quel limbo di perfezione androgina che rasenta il disturbo alimentare e la patologia. Fin dagli esordi durante gli anni milanesi da studentessa all’Accademia di Brera il suo modello morfologico è stato inarrivabile e altissimo, modelle come personaggi angelicati di Piero della Francesca, sante eteree o modelle di Vogue. Tutte icone femminili con il comune denominatore di un rapporto problematico con il cibo, elemento base dell’esistenza, la cui privazione fa sentire potenti e che nel Medioevo avvicinava a Dio. In questa sua ultima performance VB82, girata a luglio del 2017 nei suggestivi spazi della Certosa di San Lorenzo a Padula, l’artista abbandona il corpo femminile e le sue sfaccettature psicologiche per mettere in scena un nuovo rituale mistico e cristologico. La performance, che ha coinvolto gli abitanti del borgo, si inserisce nel progetto “Il Cammino delle Certose” che prevede un itinerario sulle tracce dei monaci e del sacro attraverso tre Certo-

L’opera di JANIS RAFA (Grecia, 1984) indaga la condizione di mortalità, lutto e melanconia in relazione al mondo naturale. Le sue narrazioni sono situate ai margini della realtà urbana, in luoghi spesso inospitali e sinistri popolati da incidenti automobilistici, cani randagi, e morti che forse potevano essere evitate. La natura criptica ma universale di questi mondi cinematografici incomincia sempre con una certa dose di realismo, ma spiazza perché ha molto poco in comune con la sua usuale rappresentazione. E’ una realtà sdrucciolevole che ci porta in una dimensione sospesa fra sogno e sensualità in cui i morti e i vivi, gli esseri umani e i non umani coesistono con una certa inaspettata armonia. Nel video Winter Came Early (2015) l’impatto violento di una macchina scrolla vigorosamente un mandorlo per dieci secondi, provocando la caduta prematura delle foglie. L’azione è catturata da una fotocamera ad alta velocità a 2000fps. L’opera diventa una metafora dell’intervento brutale dell’uomo sulla natura e allo stesso tempo della caducità della vita.

La guatemalteca REGINA JOSÉ GALINDO (Città del Guatemala, 1974), nel suoi lavori al limite della sopportazione fisica e psicologica, usa il suo corpo, fragile e spesso nudo, per denunciare la violenza contro le donne e più in generale quella sociale, politica e culturale della società contemporanea. In ogni sua opera l’artista spinge il proprio corpo al limite del dolore per farsi portavoce attiva dei dimenticati e degli oppressi. Nel video della performance La Intención (2016), presentata in anteprima mondiale nella campagna salentina di Novoli, in un’atmosfera sospesa e quasi magica Galindo mette in scena un rituale ad alto tasso simbolico. L’artista, nonostante il freddo, rimane per lungo tempo immobile in piedi coperta solo da una sorta di saio leggero su un’ara rudimentale di pietra, che ricorda un altare sacrificale pagano, mentre viene man mano ricoperta e avvolta da centinaia di fascine che solitamente vengono utilizzate per costruire la grande pira, la focara, che ogni anno il 16 gennaio, viene incen-

diata in quel paese in onore di Sant’Antonio Abate. La performance è una riflessione potente non solo sulle costrizioni che le donne, in quanto donne, subiscono ma anche una toccante rappresentazione visiva della simbiosi esistente fra natura e corpo.

MIRCEA CANTOR (Oradea, 1977), artista nato in Romania, ma che “vive e lavora nel mondo”, realizza opere attraverso cui, con una buona dose di humor e altrettanta visionarietà, osserva e mette in scena le rappresentazioni della nostra società contemporanea sottolineandone le profonde contraddizioni. In Funia (2017) la mano dell’artista percorre il motivo decorativo esterno, a forma di corda, di una chiesa di legno tipica della Transilvania. Il titolo Funia significa “fune" in rumeno. Quello della corda è un motivo ricorrente nel lavoro di Cantor che prende appunto ispirazione dalle decorazioni tipiche degli edifici in Transilvania. La mano che percorre una di queste decorazioni sembra volerne sottolineare la materialità, a discapito della sua presenza quasi immateriale in quanto accennata solo da questo particolare. La corda, nella tradizione ortodossa, simboleggia il legame tra corpo e spirito e, legata all’architettura, il senso della comunità connesso agli edifici che la circondano.

Ser y Durar (Essere e Persistere) è il titolo del video del 2011 del duo spagnolo DEMOCRACIA (Pablo España e Iván López, Madrid 1970) il cui forte interesse per temi sociali e politici è sviluppato non solo attraverso interventi artistici, ma anche attraverso produzioni editoriali e attività curatoriali. Per realizzare questo video i Democratia hanno collaborato con un gruppo di giovani traceurs (tracciatori) chiamati a praticare la loro disciplina, il parkour, all’interno del cimitero acattolico dell’Almudena di Madrid. Il parkour nasce in Francia negli anni Ottanta nell’ambito della subcultura delle banlieue parigine (il nome è un adattamento della parola francese parcours, “percorso”). La sfida tra i traceurs consiste nello studio dell’architettura urbana, in cui viene tracciato un percorso da eseguire con

la massima precisione, eleganza e agilità, superando qualsiasi barriera architettonica con le sole possibilità date dal corpo umano. Una barriera viene percepita non come impedimento o ostacolo, ma come un elemento che può essere utilizzato per creare movimento, correndo e creando vere e proprie acrobazie, secondo un’unica regola: mai fermarsi e mai tirarsi indietro. L’azione di Ser y Durar è ambientata nel Cimitero Civile di Madrid, luogo nato nel 1884 in cui ha trovato sepoltura chi non apparteneva alla Chiesa Cattolica. Il video stabilisce una tensione tra la mobilità di questa disciplina e l’immobilità della necropoli, tra le iscrizioni sulle lapidi e una pratica culturale popolare del tutto contemporanea. Gli epitaffi (come “amore, libertà, socialismo” o “la libertà e la ragione vi renderanno più forti”) creano una narrazione che viene definita dai movimenti dei traceurs. Tuttavia, anche se la loro azione avviene in questo luogo di memoria collettiva, dotato di profondi significati simbolici, storici e politici, secondo la natura tipica del parkour, i traceurs non sono interessati a questi significati di cui rimangono, di fatto, inconsapevoli. Per questi giovani il paesaggio urbano è considerato come una struttura senza passato, un sistema di elementi ricombinabili durante ogni nuova sessione, secondo un principio paragonabile alla cosiddetta “psicogeografia situazionista”, per cui il cittadino, invece di essere prigioniero della routine quotidiana, avrebbe dovuto vedere e vivere le situazioni urbane in un modo radicalmente nuovo. Possiamo interpretare i gruppi di parkour come gli artefici di una sorta di guerriglia urbana che forniscono un’esperienza critica della città, rifiutando valori e modalità spazio-temporali canoniche del mondo capitalista contemporaneo. Democracia crea una sorta di monumento in negativo: presentare una pratica critica della cultura urbana in un contesto in cui emerge la memoria di coloro che hanno fatto la storia dell’emancipazione dell’individuo, ma dove sono letteralmente sepolte molte delle aspirazioni egualitarie e rivoluzionarie della storia spagnola, e nei cui confronti la società contemporanea è ormai sempre più indifferente o inconsapevole. Da un lato, lo slogan che identifica il traceur è “essere e persistere”, dall’altro un epitaffio del cimitero recita: “non c’è nulla dopo la morte.”

La vera musica è il silenzio. Tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio. (Miles Davis)


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