DISTRIBUZIONE GRATUITA - Nei migliori negozi di audio/video - Sala prove - Studi di registrazione - Università - Club - Centri di formazione / Artwork Chiara Zaccagnino / Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale 70% Roma aut. C/RM/04/2018
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«L’IGNORANZA GENERA FIDUCIA PIU’ DELLA CONOSCENZA»
Charles Darwin
ROCCO HUNT
ABBONATI a MUSICAZEROKm
BILLIE EILISH FRENETIK NIGHT SKINNY SERENA BRANCALE YUMAN SICK LUKE & MECNA SOUNDMEETER RECENSIONI MARCO CAROLA AUDIO RANDOM DALI’
INTERVISTA A
INTERVISTA INTERVISTA A Intervista
MUSICAZERO Km (MZK NEWS) N°14 anno 2019
Editore MZK Lab S.r.l. Via Flaminia 670, 00191 Roma Direttore Responsabile Valeria De Medio valeriademedio2.0@gmail.com Project Manager Marco Gargani
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Art Director e Progetto Grafico Jacopo Mancini jacopomancini08@gmail.com Assistenza Legale Avv.Vanessa Ivone Caporedattore Alessio Boccali alessioboccalimzknews@gmail.com Redattori Carlo Ferraioli, Francesco Nuccitelli, Chiara Zaccagnino, Lavinia Micheli, Cristian Barba, Manuel Saad Collaboratori Esterni Gianluca Meloni, Arianna Bureca, Paola Carbone Sede Redazionale Via di S.Cornelia 11, 00060 Formello (RM)
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Sito & Contatti Tel. +39 3331785676 www.mzknews.com redazionemzknews@gmail.com Stampa produzione@miligraf.it Via degli Olmetti, 36 Formello 00060 Finito di stampare nel mese di ottobre 2019
Autorizzazzione rilasciata dal Tribunale Civile di Roma N°2 / 2017 del 19.1.2017
26 AVVISO IMPORTANTE: Alcune delle foto di questa rivista sono tratte dalla rete internet in totale mancanza di indicazioni sul
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N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
INTERVISTA Intervista
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6 Editoriale
32 Stefano Favero
8 Di musica e libertà di percezione
34 Eppure la voce rimane per sempre
10 Musica a tratti
35 Storie di distorsione della realtà
12 Rocco Hunt
36 Spazio Musica: Recensioni
14 Curiosando: Billie Heilish
38 Soundmeeter: Galeffi
15 Microchip Emozionale
40 Sick Luke & Mecna
16 Il testo tra autore e destinatario - Murubutu
42 Progetti consigliati da MusicaZero
18 Frenetik
44 Generation: Marco Carola
20 L'occhio del maestro
46 Giordano Sangiorgi
22 Night Skinny
48 Audiorandom: Il sound designer
24 Serena Brancale
50 Gli eventi invernali da non perdere
26 Yuman
52 Dal ghetto al privè
28 Libreria Musicale
54 Flowing Chords
30 Poster: Billie Heilish
56 #LALIFEE'BELLA: Dalí
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copyright sulla proprietà e sull’autore, si intendono quindi usate in completa buona fede. Chiunque riconoscesse come suo uno scatto è pregato di segnalarcelo per un’immediata soluzione del problema - redazionemzknews@gmail.com
N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
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C ome ormai di consuetudine, prendo in prestito il titolo dell’editoriale da un brano che noi tutti abbiamo ascoltato almeno una volta. In questo caso, la canzone in questione l’abbiamo ascoltata tutti più e più volte. Se ancora non avete capito di cosa sto parlando, vi dico che si tratta di “Occidentali’s Karma”, il brano con cui Francesco Gabbani ha vinto il Festival di Sanremo 2017. Beh, devo dirvi che esempio più azzeccato di questo per introdurvi il tema che affronteremo in questo numero non ce n’è. Partiamo proprio dalla frase citata nel titolo. Grazie a internet siamo tutti esperti di qualsiasi cosa; siamo dei veri e propri tuttologi, per l’appunto, pronti a dire la nostra ad ogni costo e a giudicare qualsiasi cosa ci si ponga dinnanzi. Con questo con-
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EDITORIALE Tutti tuttologi col web…
a cura di Alessio Boccali
cetto arriviamo al brano: la sua vincita in quel di Sanremo fu una vera e propria sorpresa e non mancarono di certo i due grandi schieramenti di “apocalittici e integrati”, che si opposero, da una parte, adducendo la tesi di una rovinosa perdita dell’aura della kermesse e, dall’altra, parlando di successo meritatissimo. La verità è che nella maggioranza dei casi a esprimere un giudizio così netto non furono musicisti, addetti ai lavori e compagnia bella, ma semplici ascoltatori distratti capitati per caso al cospetto del pezzo di Gabbani. In gergo moderno, possiamo definirli i classici leoni da tastiera: una schiera di supponenti pronti a giudicare - uscendo fuori dalla comfort zone della personalissima e sacrosanta opinione - qualsiasi cosa succeda nel mondo reale (musica, sport, politica, attualità…) senza schiodarsi dalla propria sedia e senza, naturalmente, avere grandi competenze nel campo giudicato. Eppure, già Socrate nel V sec. a.c. con queste parole ci insegnava che si è più sapienti ad ammettere le proprie lacune conoscitive: “Certo
sono più sapiente io di quest’uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo”, per spingerci poi alla ricerca e quindi a colmare queste mancanze perché “Una vita senza ricerca non è degna per l’uomo di essere vissuta”. Evidentemente non abbiamo imparato tanto bene la lezione. Con questo numero, comunque, vogliamo spingervi lontano dai giudizi a priori, mettendo in evidenza l’importanza di figure come quelle dei professionisti del settore e invitandovi a guardare con attenzione – non con preventiva diffidenza, badate bene – al nuovo modo di comunicare con la musica nell’era delle nuove tecnologie. Questa moderna facilità di accesso al mondo del “fai da te” ha davvero trasformati tutti noi (artisti inclusi) in un insieme di “scienziati” presuntuosi?
Ascoltaci su Ra
dio Crik Crok !
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RITORNO “LA COSTANTE RICERCA DEL NUOVO E L’INEVITABILE ESIGENTE?” DEL CLASSIC. COME STUPIRE IL PUBBLICO SEMPRE PIU
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FRANCESCO RENGA MARGHERITA VICARIO IL SUONO DEL 2019 SICK TAMBURO BEST FESTIVALS #musicazerokm N°12 | Anno 2019 ADRIAN SOUNDMEETER RECENSIONI GRATUITO TASH SULTANA AUDIO RANDOM MZKN EWS ANDY WARHOL
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RICCARDO SINIGALLIA GRATUITO Mahmood LETTIERI Storytelling DAVIDE ROSSI BILLBOARD ITALIA BANDABARDO’ LIFE COACHING SOUNDMEETER SPAZIO MUSICA L E PROGETTI CONSIGLIATI JAN BLOMQVIST AUDIORANDOM DIRITTO D’autore 30 anni di pixar
MUSICA ZERO
L.N°46 DEL 27/02/2004) ART.1COMMA
Abbonati a
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postale - D.L.353/03 (CONV.IN Spedizione in abbonamento
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audio/video - Sala prove - Studi di registrazione - Università
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L’era dell’homemade e il mercato del tutto e subito.. Ma come ascoltiamo quello ci viene proposto?
L’ASCOLTO 3.
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N°13 #musicazerokm
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di formazione / ph.PIERMATTE
TUTTO TORNA
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A RO DEAR JACK / CARONE pag.59 IL SUONO DEL 2019 MOKADELIC MOX SILENT DISCO STREAMING vs VINILE SOUNDMEETER RECENSIONI DAVID AUGUST L’OLOFONIA DIRITTO D’AUTORE GRATUITA - Nei migliori negozi di audio/vid eo Sala prove - Studi di registrazi one - Università - Club - Centri di formazion e / PH.CHIAR A MIRELLI / Poste Italiane S.p.a. Spedizion e in abbonam ento postale 70% Roma aut. C/RM/04/2 018
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N°11 NOVEMBRE/DICEMBRE 2018
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Fabrizio MORO
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Ghidini / Poste Italiane S.p.a. - Spedizione
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- Studi di registrazione - Università
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GABRIELE CIAMPI SANREMO 2018 MARCUS MAAR AUDIO RANDOM NINA KRAVIZ
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2018 N°6 GENNAIO/FEBBRAIO
Cesare di registrazione - Università - Club - Centri
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WILLIE PEYOTE RADIO SONICA
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CREMONINI “POSSIBILI SCENARI”
I MINISTRI GHEMON POGGIPOLLINI SPOTIFY BUSINESS SANREMO 2018 MARIO LAVEZZI SPAZIO MUSICA LE SIGARETTE 126 LOVEGANG NICK MURPHY aka Chet Faker AUDIO RANDOM ‘NA COSETTA DIRITTO MUSICALE
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VINCI FABRIZIO MORO
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#musicazerokm N°9 LUGLIO/AGOST O 2018
Le Vibrazioni
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“Essere Qui”
THE ZEN CIRCUS MOTTA ROBERTO ANGELINI ARTU’ RON PRIMO MAGGIO KUTSO TOMMASO DI GIULIO L’ASINO CHE VOLA LAURENT GARNIER AUDIO RANDOM OUTDOOR FESTIVAL DIRITTO MUSICALE
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ALBOROSIE C A R L B R AV E F R A H Q U I N TA L E RANCORE INDIEGENO FEST L I F E S T YS T ELF B U R N S E M Y S S K E TA S PA Z I O M U S I C A SOUNDMEETER CIRCOLO ANDREA DORIA R I C H I E H AW T I N AUDIORANDOM D I R I T T O D 'A U T O R E Vinci STEVEN TYLER "AUDITORIUM Parco della musica"
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“PAROLE, RUMORI E ANNI”
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di formazione / ph.Kat Irlin / Poste Italiane
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MUSICA ZERO MUSICA ZERO MUSICA ZERO SICA ZERO GRATUITO
BOO MDABASH
Partecipa & Vinci
VINCI BEN HARPER A ROMA pag
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ERNIA DIRE STRAITS LEGACY LA NOTTE DELL A TARANTA YOU NUTS BU RNIN GMA N FEST NICCOLO' AGLI ARDI SOU NDM EETE R SPAZIO MUS ICA MONIKA KRUS E DJ SHO P AU DIORAND OM LUIGI "GRECHI" DE GREGORI DIRITTO D'AU TOR E LA LIFE E' BELL A
ALLO STADIO OLIMPICO
VINCI CREMONINI ALLO STADIO OLIMPICO
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N°10 SETTEMBR E/OTTOBRE 2018
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N°8 MAGGIO/GIUGNO 2018
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Di musica e libertà di percezione.
Come l’ascolto della musica ci rende veramente umani di Lavinia Micheli
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f the doors of perception were cleansed , everything would appear to man as it is: infinite”. Così scriveva il celebre poeta inglese William Blake in una delle sue opere più interessanti e conturbanti, The Marriage of Heaven and Hell, pubblicato nel 1790. Nel libro, che fa parte di una sorta di collana su ispirazione dei testi biblici, Blake ci parla delle sue peculiari concezioni di Paradiso e Inferno, visti principalmente come luoghi della mente piuttosto che come entità metafisiche prestabilite pertinenti ad un
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mondo altro. In particolare l’Inferno, regno assoluto del male nei dettami cristiani, viene raccontato e percepito come luogo della possibilità di realizzazione dell’uomo, di libertà di sperimentare quelli che sono i suoi desideri. Il diabolico per Blake è ciò che viene sprigionato dalla nostra energia creatrice, altro nome della nostra immaginazione. Gli angeli del Paradiso blakiano si giostrerebbero fra timore ed invidia per questa possibilità che Dio avrebbe donato all’uomo, verso cui addirittura lo spingerebbe: l’uomo è il risultato di un
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delicato equilibrio fra bene e male che lo porta a crescere e ad evolversi. Dovette riconoscersi in questi pensieri quel giovane Jim Morrison, che, fresco di iscrizione al corso di cinematografia dell’Universitá della California di Los Angeles, fondò nel 1964 uno dei gruppi che con la propria musica avrebbe spalancato le porte della percezione decantate da Blake: per l’appunto The Doors. “Ci sono cose che si conoscono e altre che non si conoscono. Esiste il noto e l'ignoto, e in mezzo ci sono Le Porte (The Doors). I Doors sono i sacerdoti del re-
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gno dell'ignoto che interagisce con la realtà fisica, perché l'uomo non è soltanto spirito, ma anche sensualità. La sensualità e il male sono immagini molto attraenti, ma dobbiamo pensare a esse come alla pelle di un serpente di cui ci si libererà.”, ipse dixit. Jim Morrison fu uno dei più geniali e sensibili poeti della storia della musica, con un quoziente intellettivo pari a 149, alimentato da una spropositata cultura, si proponeva di rompere gli schemi di percezione che governavano le scene musicali, perseguendo i migliori ideali della Beat Generation, di cui, senza ombra di dubbio, fu uno dei migliori interpreti. Cosa governi la percezione che abbiamo della musica rimane uno dei misteri più belli della nostra vita per quanto la scienza, sotto determinati punti di vista,
ci venga in soccorso. La percezione della musica è legata ad aree ben determinate del nostro cervello, ed è un’operazione molto complessa, legata persino alla sfera del linguaggio, alla percezione dei colori e molto di più. Uno studio interessante pubblicato su Nature Neuroscience da Bevil Conway del National Institute of Healt e Sam Norman-Haigner della Columbia University, ha dimostrato che più un suono si avvicina alla musica più attiva in modo esteso la corteccia uditiva nell’uomo, cosa che non avviene sottoponendo allo stesso ascolto dei macachi, utilizzati per l’esperimento. O ancora per quanto riguarda l’ascolto ripetuto ossessivamente delle nostre canzoni preferite, nell’autunno del 2018, un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan guidato da Frederik
Conrad, ha compiuto uno studio di preferenze musicali su un campione di 204 persone. Ciò che è emerso, come si legge in un articolo di Francesca Fiori per State of Mind - Il giornale delle scienze psicologiche, è che l’ascolto ripetuto della nostra canzone preferita segue il modello fisico della curva di Wundt, psicologo, fisiologo e filosofo tedesco: uno stimolo piacevole diventa ancora più piacevole con l’acquisizione di familiarità fino a raggiungere un punto massimo, per poi ricadere e diventare in questo modo indifferente, come accade per esempio con le canzoni-tormentone trasmesse continuamente alla radio.
MUSICA ZERO KM MUSICA Aprire le porte della percezione è ciò che ci rende veramente umani.
I Led Zeppelin ispirati da un cane? Ebbene sì. Pare che il celebre gru ppo scelse il titolo “Black Dog” dopo che un cane entrò nello studio di registrazione. Il brano (che non parla di cani) è conten uto nel quarto album ‘Led Zepp elin IV’ pubblicato nel 1971 .
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INTERVISTA
Musica a tratti Intervista
Zen Circus
"L'anima non conta"
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Grafiche di CHIARA ZACCAGNINO
INTERVISTA INTERVISTA
Musica a tratti A Intervista
Pinguini Tattici Nucleari "Lake Washington Boulevard"
@Chiara.zac
@Chiarazac
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INTERVISTA Rocco Hunt
Rocco Hunt
Niente è più bello di questa “Libertà” di Alessio Boccali
"Lo sfogo sui social è sicuramente riuscito a sbloccarmi musicalmente, ora però voglio godermi tutto ciò che di bello sta succedendo."
ph. by Riccardo Ambrosio
ASCOLTALO ORA SU SPOTIFY
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N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
INTERVISTA Rocco Hunt
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occo Hunt è tornato dopo tre anni di duro lavoro e giura di aver trovato finalmente la sua libertà. Il suo nuovo disco, intitolato appunto “Libertà”, è un risveglio gioioso da un lungo sonno, una boccata d’aria dopo aver rotto le catene. Un disco urban, molto rap e meno pop, che sta piacendo un po’ a tutti. Ciao Rocco, com’è stato il percorso di preparazione che ti ha guidato fino all’uscita di “Libertà”? È stato un periodo sicuramente intenso e pieno di sacrifici, per fortuna, però, “Libertà” ha visto la luce nel migliore dei modi e ha risolto tutti i dubbi e i problemi che c’erano. Ora mi godo questo momento; l’album sta girando, sta piacendo e sta regalando alla mia squadra grosse soddisfazioni. “Libertà” mi è parso un disco più rap e meno pop dei precedenti, sbaglio? È un disco pensato e realizzato proprio come volevo. È un disco urban, che rappresenta pienamente il mio stile da “poeta urbano” e che, nonostante forse sia meno pop, sta arrivando tranquillamente al mainstream. Ci sono pezzi che stanno andando meglio in radio (come “Ti volevo dedicare con BoomDaBash e J-Ax, ad esempio) e pezzi che stanno andando meglio in strada. Sono contentissimo.
Pensi di aver smosso un po’ le acque con quel post famoso di qualche mese fa? Fortunatamente è acqua passata. Quello sfogo sui social è sicuramente riuscito a sbloccarmi musicalmente; è inutile nascondercelo: sono cambiati i tempi, è cambiata la discografia, ho avuto il bisogno di riposizionarmi in un circuito nuovo di mercato, ho avuto a che fare con visioni non comuni riguardanti il mio progetto, ma poi per fortuna tutto si è riallineato e ora voglio godermi ciò che di bello sta succedendo.
di lettura. Nella tua musica emerge sempre molto forte l’attaccamento alla tua terra, alle tue origini, e tutto ciò lo associ spesso alle “persone” che abitano le tue canzoni… In “Discofunk”, ad esempio, canti “Sai cosa ci accomuna a questo mare? Che purtroppo siamo belli, ma tenuti male”. Nel pezzo il mare è sporco, inquinato, uso questa metafora, che hai ben compreso, per restare ancorato all’attualità, a ciò che non ci piace. Il mare in questione, poi, può essere il mio, come quello di Riccione, tanto per dirne uno. Intendo parlare di una situazione che ci coinvolge tutti. Ascoltando “Mai più” ho pensato che fosse una risposta alla tua vita dopo l’arrivo del successo… In quel pezzo sono molto ironico; il successo non mi ha cambiato per niente, sono, per fortuna, riuscito a rimanere con i piedi per terra. Sicuramente è bello quando la gente mi riconosce per strada, ma la mia forza più grande è sempre stata quella di ritenermi uno dei tanti. In apertura dicevamo che in questo disco forse sei meno pop, eppure in “Libertà” ci sono tanti potenziali singoli… È una rivoluzione urban napoletana? Magari! Per l’appunto, la maggior parte dei pezzi sono in napoletano e non penso verranno trasmessi dalle radio nazionali. Ma è anche questa la libertà che ho cercato e trovato in questo album: potermi esprimere nel mio dialetto significa sentirmi me stesso, essere tra la mia gente.
Questo disco è un grande gioco di squadra… quant’è importante nella musica potersi fidare di artisti, producer e addetti ai lavori? Il gioco di squadra è fondamentale. In questo album non sono solo e questo si sente. Ogni collaborazione, dalla più mainstream a quella con l’emergente, ha impreziosito il mio lavoro. È un album che grazie al gioco in team può racchiudere varie chiavi
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Billie Eilish
Curiosando con Billie Eilish a cura di Francesco Nuccitelli
Famiglia di artisti e artista precoce
Billie Eilish Pirate Baird O'Connell, o meglio nota come Billie Eilish, è nata e cresciuta ad Highland Park, in una famiglia da sempre devota allo spettacolo in tutte le sue forme. Dalle chiare origini scozzesi e irlandesi, la giovane cantautrice ha iniziato a scrivere canzoni in tenera età (quando aveva 11 anni per la precisione).
Giovane donna dal cuore d’oro
Billie Eilish, oltre ad essere una giovane artista di grande talento, ha dimostrato di avere un cuore grande e generoso. Recentemente, infatti, la ragazza ha donato i proventi di un suo concerto ad una associazione legata alla difesa dei diritti delle donne.
“Ocean Eyes”: il primo grande successo “condiviso”
Il primo e incredibile grande successo è arrivato prestissimo. Già nel 2016 la giovane Eilish ha iniziato a scalare le classifiche con la canzone "Ocean Eyes", brano scritto dal fratello. Il singolo, in poco tempo ha superato traguardi molto importanti tra stream e views sulle varie piattaforme online. Parliamo di più di 80 milioni su YouTube ed oltre 200 milioni di stream su Spotify.
Grandi influenze musicali
Diverse sono le influenze musicali per la giovane cantautrice, tra quelle più citate troviamo la cantante Lana del Ray, i Beatles e i Green Day. La sua fonte di ispirazione primaria, però, rimane sempre il fratello maggiore.
Tredici ragioni per due belle canzoni
Il connubio musica e cinema è sempre molto interessante e ha già interessato anche la carriera della giovane artista. Infatti, due tra i suoi brani, sono stati scelti come colonna sonora delle prime stagioni di "13 Reasons Why", una delle serie targate Netflix. Le canzoni in questione sono: "Bored" e "Lovely" (quest'ultima feat. Khalid). 14
FOCUS Subsonica
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orreva l’anno 1999. A gennaio nasceva ufficialmente l’Euro, a marzo La Vita è Bella di Roberto Benigni vinceva tre premi Oscar per il miglior film straniero, miglior attore protagonista e miglior colonna sonora, a maggio, mentre Carlo Azeglio Ciampi diventava presidente della Repubblica, le Brigate Rosse uccidevano Massimo d’Antona. I tre big della musica italiana dell’epoca, Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù dei Litfiba, si schieravano contro il massacro che stava avvenendo in Kosovo ad opera delle bombe della Nato ed il mondo si affacciava pieno di speranze e di buoni propositi verso il nuovo millennio. In questo clima di apertura verso nuove strade e di fiducia in un futuro prospero, usciva per Mescal uno degli album più significativi per la musica italiana a cavallo fra XX e XI secolo: il 26 d’agosto vide la luce Microchip Emozionale, il lavoro che consacrò definitivamente i Subsonica come una delle band più interessanti a livello nazionale e che influenzerà molti artisti nel futuro prossimo che sarebbe venuto. Un prisma cristallino in grado di sprigionare sonorità futuristiche guidate dall’ispirata penna di Max Casacci e dalla sublime voce di Samuel. Un viaggio alla ricerca di nuove dimensioni sin da Buncia, primo incrocio del labirintico intreccio fra una scrittura densa di sentimenti e denuncia sociale (si pensi a pezzi come Liberi Tutti o Aurora Sogna) e melodie ben strutturate e ballabili (una su tutte Discolabirinto che vede la felice partecipazione di Morgan, allora front-man dei Bluvertigo). Dai murazzi di Torino al mondo intero, il secondo lavoro dei Subsonica è personale e originale, dal respiro internazionale, e riascoltandolo 20 anni dopo non si può fare altro che perdersi in quel sound familiare e moderno, romantico e ipnotico come la spirale che appare nel video di Tutti i miei sbagli, inserito solo nella riedizione dell’album, un anno dopo, post Festival di Sanremo. Altri sei lavori seguirono quell’importante spartiacque rimasto nel cuore del pubblico che, come si sa, è esigente e spregiudicato. “Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale”, canta lo stesso Samuel in Benzina Ogoshi, brano contenuto in Eden (2011). E forse meglio così, perché altrimenti non sarebbe celebrato, non sarebbe ricordato, non risulterebbe sempre così bello ad ogni nuovo ascolto come lo è ora, dopo aver soffiato sopra le sue prime venti candeline. Buon compleanno Microchip Emozionale!
"MICROCHIP EMOZIONALE"
COMPIE 20 ANNI! Viaggio nel 2° discolabirintico album dei Subsonica.
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di Lavinia Micheli
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INTERVISTA Murubutu
L’AUTONOMIA DEL TESTO TRA AUTORE E DESTINATARIO A lezione da Alessio Mariani
aka Murubutu
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di Cristian Barba
l momento in cui un artista termina la propria opera e la “consegna” al pubblico è sempre un momento delicato: l’opera smette di essere proprietà di chi l’ha realizzata e assume un’esistenza propria. Seppur all’interno di un campo più o meno ristretto di possibilità, il destinatario ogni volta che entra in contatto con l’opera le dà una vita nuova, interpretandola secondo i propri filtri cognitivi, esperienziali ed emotivi. La ricezione è dunque percezione. Con riferimento alla canzone, che ruolo gioca questo processo nel lavoro dell’autore? Lo abbiamo chiesto a un docente, a un letterato e a un artista, con la fortuna di poterli racchiudere in una persona sola: Alessio Mariani, in arte Murubutu. Ciao Alessio. Tutti gli studi sulla comunicazione negli ultimi decenni hanno adottato una concezione del destinatario del messaggio come parte sempre più attiva nella costruzione del significato. Tu, da autore, come immagini il rapporto tra la tua opera e il pubblico? Io parto dall’idea che ci sono sempre più piani di lettura del
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messaggio. Quindi, rivolgendomi a una fascia d’utenza abbastanza eterogenea, propongo un messaggio che può essere letto sia da una persona giovane che da un adulto, i quali possono cogliere diversi messaggi e interpretare in base alle loro risorse. Roland Barthes diceva che la nascita del lettore si paga con la morte dell’autore… Ovviamente questa è una provocazione. È l’autore a guidare e quindi anch’io, soprattutto quando faccio dei finali a sorpresa, impongo una determinata chiave di lettura. Poi è chiaro che anche il finale a sorpresa può essere interpretato in modo diverso a seconda delle risorse, però in linea di massima tutti capiscono che ho scelto di inserire un determinato meccanismo che scatta in un determinato momento. Chi non si sottopone a questo meccanismo non coglie il significato. Pensando al lettore modello nella definizione che ne dà Umberto Eco (quindi come una strategia narrativa che orienta il lavoro dell’autore in funzione del destinatario), come immagini il tuo ascoltatore modello? E quanto incide questa immagine nel momento in cui scrivi un pezzo? Incide nella misura in cui devo permettere alla fascia media che riceve la mia musica di intuire la struttura base della trama del racconto, perché alla fine stiamo parlando di racconti. Non incide quando inserisco citazioni, messaggi nascosti o contestualizzazioni soprattutto di tipo storico. A
quel punto ci si deve documentare perché l’ascoltatore modello che immagino non conosce determinati riferimenti. L’universo enciclopedico a cui fai riferimento è sempre molto ricercato. Non hai mai paura di non essere capito? Diciamo che il mio tipo di comunicazione ha una vocazione divulgativa con lo scopo di determinare un’emancipazione culturale, quindi il medium musicale raggiunge un pubblico che in realtà non possiede tutto il patrimonio che propongo ma che lo può acquisire gradualmente attraverso la mia proposta. Questo col tempo può determinare un piccolo tesoretto lessicale accumulato che si deposita nel bagaglio di ogni ascoltatore. Perciò dico spesso anche che il mio tipo di linguaggio può essere utile soprattutto ai migranti di seconda generazione che magari in casa non parlano italiano o lo parlano con un numero molto ristretto di parole. Da professore sei abituato a spiegare le cose. Ti dà fastidio quando ti viene chiesto di spiegare un brano? No, anzi mi piace confrontarmi. A differenza della spiegazione che devo fornire a scuola, il bello di spiegare un brano è che nel pezzo c’è molta più elasticità. Io posso fornire qualche suggestione ma poi è tutto relativo e sono contento se qualcuno lo interpreta diversamente. A volte mi arrivano interpretazioni che mi stupiscono, cui io non avevo assolutamente pensato, ma mi fa piacere che si
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INTERVISTA
ph. by Valeria Laureano
Murubutu
"Alla fine è un po’ come diceva Troisi a Neruda ne "Il Postino": la poesia non è di chi la scrive ma di chi ne ha bisogno."
“Hotel Supramonte” è uno dei capolavori scritti e cantat i da Fabrizio De André. Non tutti sanno che la canzone si isp ira al rapimento che lo stesso Faber e la sua compagna Dori Ghezz i subirono il 27 Agosto del 1979 . Il rapimento avvenne in Sardegna a Tempio Pausania
ragioni così tanto sui miei testi. Qualche interpretazione particolarmente originale? Ce ne sono diverse. Ad esempio ultimamente mi hanno detto che nel ritornello de Le Notti Bianche faccio riferimento alla cultura induista perché dico “vedica”. Io in realtà dico semplicemente “vedi cara”, però in tanti hanno colto un’altra cosa e si sono fatti questo viaggio nella cultura indiana che non c’entra assolutamente niente. Oppure un altro ancora, questo più eclatante: un ragazzo mi ha detto che in Anna e Marzio pensava che Marzio esistesse ma volesse
svaligiare casa di Anna. Oppure un altro ancora mi ha detto che Marzio esisteva ma l’ha fatto sparire la polizia che quindi poi ne nega l’esistenza. Alla fine è un po’ come diceva Troisi a Neruda ne Il postino: la poesia non è di chi la scrive ma di chi ne ha bisogno. Negli ultimi anni la tua popolarità è cresciuta, ma allo stesso tempo resti uno degli artisti più complessi della scena e anche più esigenti in termini di impegno richiesto al pubblico. In questo senso hai in mente per il futuro di continuare sulla stessa lunghezza d’onda o stai pensando anche a
nuove soluzioni - sulla scia, ad esempio, di quanto fatto con Occhiali da Luna nell’ultimo album? Come ogni artista, io sono interessato ad evolvermi e sperimentare tante cose. Quindi tutto ciò che viene e che mi interessa è buono, non ho preclusioni particolari. La parola pop non mi fa paura, così come non mi fanno paura tante altre soluzioni musicali molto meno commerciali. Quindi nel futuro vedo dei tentativi di evolvermi, non solo dal punto di vista musicale ma anche per quanto riguarda la scrittura. Non so ancora cosa ne uscirà, spero di essere contento di quello che farò.
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INTERVISTA Frenetik
Frenetik e l’artigianato musicale. di Manuel Saad
ACHILLE LAURO
"Rolls Royce"
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aniele Mungai, in arte Frenetik, del duo Frenetik&Orang3, è un produttore romano, polistrumentista e da poco è diventato il direttore artistico dell’etichetta Asian Fake che sta prendendo piede nel panorama discografico italiano. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare cosa c’è dietro le quinte. Cosa vuol dire essere produttori e come ci si diventa? Per me come per Orang3, essere un produttore è come essere un sarto. Mettere le tue capacità musicali a servizio di un
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progetto, per farlo sembrare più bello possibile. Questa è, sicuramente, la sfida che ti porta avanti. Io nasco come batterista e suono la chitarra da quando sono piccolo. Suonare uno strumento non mi ha mai dato soddisfazione rispetto ad un qualcosa di finito e arrangiato. La voglia di sentire un prodotto creato da me, o con Orang3, è sempre stata più forte di tutto. Sono un po’ come chi modella la creta: un artigiano. Attraverso Internet, tutti possono cimentarsi in svariati settori. In campo musicale, ti è capitato di riscontrare una sorta di “prepotenza” da parte di chi non ha un background corposo? Succede molto spesso questa cosa. Mol-
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COEZ "Migliore di Me" to probabilmente è successo anche a me, sai? È giusto accorgersene, perché quando vedi che qualcuno fa qualcosa molto meglio di te e pensi di essere “arrivato”, ritorni con i piedi per terra. Se continui tutta la vita a fare finta di saper fare una cosa, arrivi al punto in cui la gente se ne accorge. Cosa può farti capire, realmente, che stai andando nella giusta direzione? Diciamo che una connessione tra riscontri oggettivi e uno studio continuo di quello che si fa, in generale nella vita, deve esserci. In questo mondo, oltre che essere umile, devi sapere cosa sai fare, cosa non sai fare e cosa sei bravo a delegare. In ambito musicale, questa “prepo-
INTERVISTA Frenetik
CARL BRAVE X FRANCO 126
GEMITAIZ
"Giornate Vuote
"
"Interrail"
tenza” di cui parli c’è eccome. Prima per fare un disco, se non avevi un certo numero di soldi per poter andare in uno studio, non potevi fare nulla. Ora con un computer, una scheda audio e un microfono puoi registrartelo direttamente a casa. Insieme ad Orang3, vi siete espansi a macchia d’olio nella scena rap romana e non, per arrivare poi a Sanremo con un pezzo “rivoluzionario”, se vogliamo. Rivoluzionario se vogliamo esagerare, ma sicuramente non è stata la classica sanremata. Solitamente nel periodo di produzioni per il festival c’è sempre la rincorsa alla hit sanremese, ma in questo caso, il di-
rettore artistico ha scelto un brano che esisteva già da un anno e mezzo e questo ci ha reso molto felici. Com’è nata “Rolls Royce”? Circa un paio di anni fa. Prendemmo una villa al Circeo in cui abbiamo passato circa due mesi, allestendo due, tre studi, per vivere un’esperienza immersiva di scrittura e composizione. “Rolls Royce” è una sorta di inno a ciò che si ambisce di più nella vita, “una rivalsa sociale” di ragazzi che provengono da quartieri disagiati e che si ritrovano a fare soldi grazie al loro talento. Il vostro album, “Zerosei”, è un gioco inverso: gli artisti si sono adattati alle
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vostre regole. Sì, in un certo senso, l’ago della bilancia l’abbiamo fatto pendere verso di noi. Ci piace molto fare musica e quando ti ritrovi a farla con i tuoi amici, riesci a condividere tutti quei momenti magici che poi ti portano a bei risultati. Amiamo le session in studio: stare insieme e capire insieme. La musica è condivisione, no? Tu ed Orang3 state lavorando a qualcosa? Ci siamo fermati un attimo a livello di produzioni. Stiamo lavorando in studio a tante cose. C’è stato uno “Zerosei”, ci sarà sicuramente un seguito.
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FOCUS
L'occhio del maestro
L’occhio del maestro
Pro e contro dell’autodidattismo: e i professionisti?
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on l’avvento di Internet, abbiamo la possibilità di metterci in contatto con persone e informazioni provenienti da tutto il mondo. Una semplice ricerca online, seguita da un semplice click, è in grado di aprirci mondi lontani e farne parte. Tramite un computer, potremmo essere in grado di informarci su tutto ciò che ci interessa: da una semplice ricetta ad un complesso progetto di una centrale nucleare. Al giorno d’oggi, siamo in grado di spaziare su numerosi argomenti, approfondendone alcuni e affrontare con superficialità altri, a differenza di un tempo in cui gli ingranaggi giravano più lentamente. In campo artistico, sono in molti a volersi cimentare in numerosi settori: cinema, musica, disegno, grafica, etc. L’esempio più classico è rappresentato dallo studio del pianoforte. Mentre un tempo, bisognava necessariamente rivolgersi ad un maestro di musica, oggi, in molti
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di Manuel Saad
riuscirebbero a replicare con facilità famose colonne sonore cinematografiche e motivetti classici gettonati, attraverso il semplice utilizzo di un video tutorial. Ma è realmente la stessa cosa? Ovviamente no. L’occhio di un maestro, presente, è in grado di notare vizi e abitudini sbagliate che, se non corrette fin dall’inizio, possono portare ad errori futuri, difficili da debellare. A partire dall’altezza del seggiolino, cruciale per il corretto angolo con cui la mano deve poggiarsi sulla tastiera, alla stessa posizione delle mani, della schiena e della testa. Accorgimenti che vengono insegnati ancor prima di suonare, a differenza di un ragazzo preso dalla foga di voler sentire echeggiare note dallo strumento. Come anche il voler suonare una chitarra prevede una corretta postura delle mani per evitare movimenti inutili che vanno solamente ad affaticare l’esecuzione di un N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
brano. La velocità nel voler apprendere le cose va a scontrarsi, necessariamente, con la qualità stessa dell’apprendimento. Lo studio di uno strumento che può essere quello musicale, o di una macchina da presa, o di un pennello, prevede delle fasi. Il voler saltarne alcune, per arrivare a degli step successivi, porta con sé la famigerata formazione di lacune. Ovviamente, tutto dipende dalle intenzioni di chi vorrebbe affrontare una determinata disciplina come hobby o come futura professione. Ma se l’hobby si tramutasse nella professione di chi non si è mai confrontato con un professionista del settore? La figura di un buon maestro, a differenza di un libro, o di un video preso da internet, avrà, nella maggior parte dei casi, una vittoria schiacciante contro la facilità professata dagli altri mezzi di comunicazione. Far girare gli ingranaggi ad una velocità minore potrà risultare noioso, ma sicuramente la macchina non si romperà.
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INTERVISTA Night Skinny
NIGHT SKINNY ph. by Leonardo Scotti
di Alessio Boccali
Storia di “Mattoni” e di un documentario, che bisognerebbe girare, sulla nascita di un disco 22
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INTERVISTA
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Night Skinny
n ritorno atteso celebrato dalle strofe dei “migliori sulla piazza” rap nostrana. NIGHT SKINNY, all’anagrafe Luca Pace, ha messo su un progetto “artigianale” molto personale, destinato a diventare un prodotto di culto. Nonostante, già dal primo ascolto, sia ben chiara l’attenzione alla qualità del progetto e non ai numeri che potrà collezionare – come confermato dall’artista stesso durante l’intervista –, nella prima settimana di uscita l’album si è stabilito al primo posto delle classifiche ufficiali FIMI/GfK top album e vinili. Ciao Luca, possiamo considerare “Mattoni” un ideale sequel del tuo precedente lavoro “Pezzi”? Esatto. “Pezzi” era una raccolta di brani creati nel tempo e quando decisi di pubblicarlo l’avevo immaginato come una mia compilation. “Mattoni”, più o meno, è lo stesso: è un “best of ” di tutti i pezzi che avevo pensato; i 16 che sono in tracklist sono quelli più solidi, proprio come dei mattoni. Ma questi mattoni sono più una costruzione o una costrizione, quasi un peso che volevi toglierti? Voglio essere molto sincero, ho iniziato a lavorare seriamente a questo album un anno e mezzo fa. Dopo quattro mesi di lavoro mi sono accorto che stava venendo fuori un disco trap e la cosa non mi andava bene: in giro è pieno di lavori trap fatti da produttori più giovani e più sul pezzo di me, io volevo fare altro. Volevo fare un disco rap e me ne resi conto durante un viaggio a New York con Noyz e Luchè. Fare un disco del genere in questo momento è mandare un messaggio ai più giovani che si stanno avvicinando allo stile urban negli ultimi anni. Non ho nulla contro la trap, ci sono anche nel disco degli episodi e degli artisti trap, ma sentivo l’esigenza di correre dei rischi e di inserire nel disco, ad esempio, dei sample, cosa che in un disco di una multinazionale è molto difficile fare. Eppure, ci sono riuscito e nel disco puoi trovare dai sample di EDM anni ’90 a sample di musica soul: insomma roba importante. In definitiva, “Mattoni” è stato sicuramente una costruzione ideale fortemente voluta. Quindi è come se tu avessi voluto porre delle nuove fondamenta per il rap nostrano: ti ha aiutato la ritrovata importanza data al ruolo del producer nella scena musicale italiana di oggi? Beh, di sicuro la situazione del producer in Italia è di gran lunga migliorata. Da quando sono comparsi sulle scene artisti come Sfera, Ghali, Tedua, Izi… ognuno ha cercato di portarsi dietro il proprio producer dando di fatto risalto anche alla figura di questi professionisti. Riconosco che è stata una rivo-
luzione molto importante, nonostante a me non piaccia molto stare sotto ai riflettori. Nasco come ingegnere del suono per poi diventare producer e nonostante stia comunque sempre in giro con Rkomi, con Noyz… questo momento di “celebrità”, tutta questa attesa che si è creata con l’uscita di questo album, mi ha messo un po’ di ansia. Attesa fomentata anche dalla fiducia che gli artisti che hai coinvolto in questo progetto ti hanno dimostrato sui social… Sì, su Instagram è successo il bordello e questo mi carica e allo stesso tempo mi mette ancora più agitazione. Ho portato sul mio “tappeto” artisti come Guè Pequeno, Fabri Fibra, Achille Lauro, Luchè, Noyz… e vorrei citarli tutti, che tra di loro non avevano mai collaborato o da chissà quanto tempo che non lo facevano più, ho coinvolto una ragazza giovane come Chadia Rodriguez che apparentemente sposa un immaginario diverso dal mio eppure è venuto fuori un gran connubio. Poi dei numeri non mi è mai interessato sinceramente, sono convinto di aver fatto un disco che potrà diventare di culto. Un disco di grande qualità, il frutto di una ricerca continua. Non ho pensato a questo album come un insieme di potenziali singoli/ hit, Il vero successo di “Mattoni” sarà regalare delle emozioni nel tempo. Eppure, oggi sembra che tanti artisti vivano più di singoli… Se fai un disco pensando di fare 10, 20 singoli… fai una schifezza. Io ho sempre pensato di mettere su un progetto che fosse simile agli album che più amo. Non ho avuto imposizioni, ho scelto io chi coinvolgere nel progetto, ho invitato tutti gli artisti nel mio studio. Non mi piacciono i singoli, soffro il fatto che una possibile uscita anticipata di un mio pezzo possa dare un’idea sbagliata dell’album che poi lo conterrà. Ho preferito continuare a curare ogni brano come un prodotto artigianale. Poi certo, sarà molto difficile replicare un lavoro del genere e al 99% “Mattoni” non avrà un seguito, perché dietro di sé ha un lavoro davvero enorme; pensa solo alla fatica di contattare tutti gli artisti coinvolti, mantenere il rapporto con loro e con le varie etichette e i vari management: in situazioni del genere basta davvero un niente, un cambio di etichetta ad esempio, per rischiare di mandare al diavolo mesi e, a volte anni, di lavoro. Oggi sono in sintonia con tutti, evidentemente si sono allineati dei pianeti per far nascere questo progetto, ma le cose sono sempre in continuo cambiamento. Tanti non la capiscono questa cosa: mi chiedono perché non ho inserito quello piuttosto che quell’altro artista in “Mattoni”. Ma il disco è mio e bisognerebbe girare un documentario su come nascono i dischi, sul lavoro certosino del producer.
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INTERVISTA Serena Brancale
Serena Brancale Una vita d’artista per raccogliere le esperienze vissute
S
di Francesco Nuccitelli
erena Brancale è un’artista a 360° dotata di grande ironia e grande talento. Giovane, eppure già con diverse collaborazioni importanti alle spalle come quelle con il Volo e Mario Biondi. “Vita d’artista” è il suo ultimo progetto all’attivo, ma già molto bolle in pentola. Ciao Serena, “Vita d’artista” è il tuo ultimo impegno discografico. Cosa ci puoi raccontare di questo progetto? “Vita d’artista” nasce in realtà tre anni fa. Anche perché ci sono delle canzoni che ho scritto prima di pensare all’album. Nasce dall’esigenza di cogliere le esperienze di vita che ho vissuto. Un progetto diverso dal mio penultimo lavoro “Galleggiare”. Insomma, una vera scommessa. Vedendo i tuoi social ami molto giocare con i tuoi followers e raccontare i tuoi vari backstage. Quanto pensi siano utili i social per un cantante? Io trovo fondamentale l’uso dei social. Nei primi anni mi sono divertita a far emergere la mia parte più ironica. Ora li sto utilizzando in maniera più seria. La gente vuole vedere anche il dietro le quinte, è curiosa del comportamento di un artista nel backstage. L’importante è essere sempre naturali, questo è davvero importante. L’illusione del controllo in ambito musicale può essere un problema per un artista? Bisogna essere sicuri di quello che si sta proponendo. Perché poi devi essere anche capace di non offenderti e non indurirti quando le cose non vanno bene. È una domanda molto delicata. Ci sono nei momenti in cui l’artista non riesce a dare il massimo, ma è normale che arrivi anche questo momento. È una sorta di altalena. Cosa ne pensi degli artisti che si sono reinventati seguendo la moda o il genere musicale del momento? Anche questa è una domanda delicata. Io certo seguo la moda, però poi, quando mi metto al pianoforte canto quello che mi viene meglio da raccontare. Io “amo l’amore”, amo il gusto, amo la musica in tutte le sue forme. Non mi creo problemi, penso alla cosa migliore che posso fare e la faccio al 100%. In conclusione, nel nuovo festival di Sanremo ci sarà il ritorno della categoria nuove proposte. Cosa ne pensi di questa scelta visto che ci sei passata? Nel mio caso sono stata fortunata perché ho cantato anche se non ho vinto. Però, se devo essere onesta preferivo la formula che ha visto vincere Mahmood. Perché spesso ci troviamo dei cantanti che arrivano e non si sa bene perché stiano lì. Anche se quello che dico è un po’ il contrario di quello che è accaduto a me.
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Io “amo l’ amo il gu amo la m in tutte le forme.
INTERVISTA Serena Brancale
amore”, sto, usica sue N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
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INTERVISTA Yuman
YUMAN presenta il suo "Naked Thoughts" di Alessio Boccali
ph. by Jacopo Mancini
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INTERVISTA Yuman
"Run, run, run" e non arrenderti mai...
Y
uman, all’anagrafe Yuri Santos, è un talento in rampa di lancio; il suo album d’esordio è una ventata d’aria fresca – cantata però da una voce calda - che sembra provenire da lontano e che si candida a ritagliarsi il suo spazio nel panorama musicale nostrano. Ciao Yuri, com’è stato il percorso che ti ha portato alla nascita di “Naked Thoughts”? È stato un percorso molto lungo, un vero e proprio parto (ride, n.d.r.). Sono stati due anni intensissimi: dalle prime bozze fino alla loro finalizzazione, dalla scrittura dei testi alla scrittura della musica. È stato un continuo reinterpretare le canzoni in un percorso quasi spirituale. Cosa rappresentano questi “pensieri messi a nudo” da cui il titolo del disco? Rappresentano tutto ciò che mi è passato in mente in questi ultimi due anni. Da qui il risultato e la grande varietà dei brani dell’album. Hai suonato già su palchi importanti, come, ad esempio, quello dell’Indiegeno; quanto ti ha fatto crescere l’adrenalina donata da queste esperienze live? Tantissimo. Il live mi fa impazzire: vedere tutta la gente che ti apprezza, naturalmente, ti carica, ti dà la spinta. Quali sono stati i punti fermi che hanno guidato questo tuo esordio? Sicuramente il producer Francesco Cataldo, con il quale abbiamo vissuto in simbiosi per parecchio tempo, e poi soprattutto gli amici, che mi hanno dato un grandissimo supporto. A volte è dura resistere, quindi devo sicuramente ringraziare tutti quanti loro.
Qual è la frase che ti sei ripetuto più volte durante la tua gavetta prima di arrivare a questo traguardo di un album? Forse quel “Run, run, run” che canti in uno dei pezzi del disco? Esatto, poi sicuramente il “Ce la puoi fare” non è mai mancato; ci ho sempre creduto indipendentemente da spazio, tempo, età… non bisogna accontentarsi mai né adagiarsi. Questo non significa diventare maniacali, ma semplicemente saper tenere duro, lottare per i propri obiettivi e allo stesso tempo non arrendersi mai. Un grido di battaglia, di rivoluzione per questo caos generazionale... Credo che la vera rivoluzione sia lottare per essere se stessi, non abbiamo altro di più importante da fare al momento! In conclusione, qual è la canzone di questo disco che canteresti con il tuo idolo? Beh, il mio idolo vivente è Anderson Paak e ti dico che ci canterei molto volentieri “Love Ain’t Relaxing” o “Oh My!”.
"Credo che la vera rivoluzione sia lottare per essere se stessi, non abbiamo altro di più importante da fare al momento!"
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LIBRERIA MUSICALE
Consigli di lettura per chi ama (davvero) la musica
di Alessio Boccali
1
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“Alta Fedeltà”
“Il romanzo
di Nick Hornby
della canzone
Per chi non può fare a
italiana” di
meno delle tinte
Gino Castaldo
L’affascinante storia di
romantiche.
Un must per gli amanti
un padre e di un figlio
Edito da Guanda
della musica nostrana. Edito da Einaudi
3
“La versione di C.” di Cristiano De André e Giuseppe Cristaldi
uniti non solo da un grande cognome, ma anche e soprattutto dalla passione per la poesia della musica. Edito da Mondadori
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LIBRERIA MUSICALE
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5
“Come funziona la
“Sono Io
musica”
Amleto” di
di David Byrne
Achille Lauro
La Bibbia, l’ABC.
La storia di un artista
Un anti-biografia
Edito da Bompiani
pasoliniano che va
irriverente di una band
conosciuto prima che
oramai divenuta storia,
giudicato. Edito da Rizzoli
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6
“Andate tutti affanculo” de The Zen Circus e Marco Amerighi
ma che tuttavia non smette mai di stupire. Edito da Mondadori
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paolacarbonem
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L
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Charles Darwin
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«L’IGNORANZA GENERA FIDUCIA PIU’ DELLA CONOSCENZA»
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YES! YOU CAN ‘?’
N°14 #musicazerokm
MZKN EWS
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MUSICA ZERO
ROCCO HUNT
BILLIE EILISH FRENETIK NIGHT SKINNY SERENA BRANCALE YUMAN SICK LUKE & MECNA SOUNDMEETER RECENSIONI MARCO CAROLA AUDIO RANDOM DALI’
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Il magazine della capitale
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INTERVISTA Stefano Favero
STEFANO FAVERO un professionista della musica a 360° di Alessio Boccali
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iao Stefano, mi piacerebbe ti presentassi da solo... Va bene. Sono una persona di 55 anni che da 35 fa sempre lo stesso lavoro. Dopo i primi tre anni trascorsi in una piccola radio privata che copriva tre province, sono approdato al gruppo editoriale per il quale ancora lavoro. Mi sono occupato inizialmente di copywriting per la pubblicità, poi ho alternato l'attività di speaker a quella di produzione di programmi radio per altre emittenti. Dal 1990 mi occupo di rapporti con le case discografiche e, dal 2000, questo è stato anche il collante fra radio e il tour Festival Show per il quale coordino l'intera parte artistica.
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L’importanza della figura del “professionista del settore”: secondo la tua esperienza, quanto e come è percepita dagli artisti questa essenzialità nell’epoca in cui si accede facilmente a tante cose (la maggior parte delle volte nel modo sbagliato) attraverso la tecnologia? È una domanda che andrebbe rivolta a loro. Pur non essendo nella testa degli artisti, negli ultimi tempi ho avuto spesso l'impressione che essi siano come 'disorientati'. Mi riferisco agli artisti reali, quelli che hanno curriculum, pubblico e produzioni consolidate. Probabilmente sono persone che, concentrate sulla loro arte, poco sanno o fanno per sapere quello che succede nel mondo esterno (social, N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
piattaforme digitali, ecc.). Sicuramente sono coscienti che qualcosa, lì fuori, non è più come vent'anni fa. Per quanto riguarda le nuove leve, cioè la miriade di presunti artisti che vengono creati dai contenitori televisivi, sono figli di questa generazione e quindi immagino si trovino a loro agio nella confusione dell'eccesso di informazioni che i media attuali consentono di trasferire a tempo zero. Negli ultimi tempi abbiamo sentito di parecchi concerti annullati, nei fatti, per mancanza di pubblico e di parecchi sold out fake (non effettivi). Perché tutto ciò? C’è sempre il classico effetto “Bene o male purché se ne parli…”?
INTERVISTA Stefano Favero
Sono stato testimone diretto di questo fenomeno che, a ben guardare, non è proprio solo riferibile agli ultimi tempi. Secondo me si è cercato di trasporre sugli eventi live quanto già si fa da qualche decennio sulla vendita dei dischi. Chi produceva dischi ne comprava una certa quantità per far salire il titolo nelle classifiche (clamoroso il caso dell'album "Tabula Rasa Elettrificata" del C.S.I. andato al numero uno) con l'obiettivo di mostrare al pubblico che quello era un disco che bisognava comprare. Lo stesso si fa con i concerti: mi è capitato di regalare al pubblico delle radio anche 300 biglietti per un live. È ovvio che questo riempimento forzato, per esempio di un palasport, può funzionare per un po' ma non per sempre. Alla base dev'esserci comunque un artista credibile e/o delle canzoni che piacciono. Comunque sì, il "bene o male purché se ne parli" è sempre un concetto valido per il marketing, che si vendano detersivi o musica.
Ho letto tanti tuoi post sui sociali e devo dire che sei veramente geniale. Naturalmente, per il mestiere che faccio, quello che mi ha colpito di più è di un pochino di tempo fa e riguarda i consigli, più o meno ironici, che daresti agli emergenti. Te lo ricordi? Poveretti, gli emergenti. A volte scrivo anche battutacce pesanti su di loro ma è come battere la sella per non battere il cavallo. Gli emergenti non conoscono nulla del mondo in cui stanno muovendo i primi passi. Il primo consiglio che mi sento di dare loro è che avrebbero bisogno di conoscere il significato di puntualità, di umiltà e di consapevolezza. Consapevolezza che nessuno regala loro nulla. Purtroppo, non appena vedono cento ragazzine che li aspettano ad un meet & greet o ad un instore, credono di essere diventati delle star. Sono, invece, solo degli strumenti che servono a far guadagnare qualche soldino alla major per cui lavorano. Major che, appena finito il “lavoro” con l'emergente X, abbandonerà questo per dedicarsi all'emergente Y, e così via.
Per finire, domanda da un millione di dollari. Quando si parla di musica, festival, eventi… rimpiangiamo e allo stesso tempo ammiriamo (quasi sempre e solo) tutto ciò che viene organizzato al di fuori dei confini italiani. Cosa ci manca di più: il denaro, il coraggio, o il senso della realtà per cui tutto ciò che viene fatto all’estero è migliore? Non è vero che tutto ciò che viene fatto all'estero è migliore. Abbiamo strutture, risorse umane e creatività esattamente come le hanno nel resto del mondo. Quello che, purtroppo, abbiamo in più rispetto agli altri, è la mancanza di meritocrazia. Faccio un esempio: "ti porto l'artista internazionale del momento a Sanremo ma tu mi devi prendere fra i giovani in gara il nome che sto producendo". Da buon italiano posso capire questi “accordi” per un evento nazionale come Sanremo. Mi fa ridere però quando queste cose si verificano alla sagra della pecora di Perdasdefogu. Non so nemmeno se esista e chiedo scusa agli amici sardi, ma era per farmi capire.
"...Comunque sì, il "bene o male purchè se ne parli" è sempre un concetto valido per il marketing, che si vendano detersivi o musica..."
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FOCUS
Doppiaggio
Eppure la voce rimane per sempre... Perché a volte la guest star è più considerata del professionista?
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di Manuel Saad
Nel 1929, il cinema sonoro si sviluppò e si diffuse in tutto il mondo, accantonando così il precedente periodo del cinema muto. Il doppiaggio rientra in quell’insieme chiamato localizzazione audiovisiva, che mira a rendere fruibile un prodotto cinematografico per le lingue differenti rispetto a quella originale. Ma il mondo del doppiaggio è molto più ampio, in quanto
di Francesco Pezzulli, prestata a Leonardo Di Caprio o quella di Luca Ward mentre recita la famosa presentazione del Gladiatore. Pino Insegno, Tonino Accolla, Francesco Pannofino, Fabio Boccanera e Francesco Vairano, sono solo alcuni dei nomi più presenti nei film americani che sbarcano nelle sale italiane. Volgendo l’occhio al passato, possiamo ricordare un Alberto Sordi che doppia Ollio, del duo comico Stanlio e Ollio, un Vittorio Gassman che presta la propria voce a Mufasa del Re Leone, Ferruccio Amendola per le interpretazioni di Stallone, Al Pacino, De Niro e Hoffman. Come non ricordare il Maestro Gianni Musy, conosciuto anche dai più giovani attraverso personaggi quali Gandalf e il Professor Silente.
viene utilizzato anche per motivi di scarsa qualità audio durante la registrazione delle scene, voci fuori campo e per attori, professionisti e non, che peccano di una particolare fonogenia. Il doppiaggio non è altro che una specializzazione della recitazione, e come per un film c’è il regista, anche le voci vengono coordinate dal direttore di settore. Quello del doppiatore, non è un ruolo semplice. Nonostante sul grande, o piccolo, schermo, la voce è l’unica componente che viene prestata, è determinante quanto la gestualità e la fisicità di un attore, se non di più. Attraverso di essa, il doppiatore, deve essere in grado di trasmettere allo spettatore tutte le emozioni presenti nell’attore doppiato e nella situazione filmata durante la scena. Non a caso, se venissimo bendati, riconosceremmo sicuramente molti personaggi cinematografici che mantengono, per ovvi motivi, le stesse sonorità. Riconosceremmo con molta facilità la voce
Personalità forti, che hanno vissuto, in simbiosi, con i rispettivi attori. Voci profonde, empatiche, che hanno un background colmo di esperienza attoriale cinematografica e teatrale. Ma i tempi cambiano, e con loro anche le mode del momento, dettate per la maggior parte dal mondo dei social. Da un po’ di tempo, ormai, oltre ai professionisti del doppiaggio, troviamo influencer, cantanti e personaggi della televisione, cimentarsi in questo particolare settore. Tecniche di marketing e strategie varie, hanno deciso di dare a personaggi noti, grandi e piccole parti all’interno di un film, anteponendo così il personaggio e caratterizzando il prodotto finale in maniera poco eccelsa. Una scelta legata, esclusivamente, ad un movente economico che tende ad una condizione populista pericolosa. Vale la pena mettere da parte la qualità per puntare ad una quantità maggiore di persone nelle sale?
urante la visione di un film, di una serie televisiva, di un cartone animato o mentre giochiamo ad un videogioco, c’è una parte fondamentale che contribuisce a rendere il prodotto finale ancora più “vicino” allo spettatore: la voce dei personaggi.
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N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
FOCUS Sold out!
Storie di distorsione della realtà
Quando finti sold out e annullamenti improvvisi portano agli stessi risultati. di Alessio Boccali
“N
el bene e nel male purché se ne parli”. È questa, fin dalla notte dei tempi, una delle regole basilari del mercato musicale. Ed è proprio in quest’ottica che si inseriscono tutte le “distorsioni della realtà” operate da artisti e staff pur di muovere qualche followers in più. Falsi gossip, polemiche da morir dal ridere (o dalla vergogna) e soprattutto improvvisi annullamenti di concerti (ufficialmente per motivi organizzativi o a causa di strani virus che hanno messo a dura prova la salute dell’artista) o finti sold out. Di certo, per capirne di più bisognerebbe partire dal principio. Perché vengono organizzate date che al 90% si riveleranno un flop o riservati spazi che, con la stessa probabilità percentuale, non verranno mai riempiti? Colpa di deliri di onnipotenza da parte degli artisti avvolti da una specie di effetto Dunning-Kruger che trasforma degli incompetenti in dei supponenti? Probabilmente no, soltanto una precisa strategia di marketing: uno stadio
pieno piuttosto che un mancato flop a causa di un annullamento "ASSOLUTAMENTE" non voluto fanno un gran bene all’immagine dell’artista e del promoter. Non facciamo nomi perché non ci sembra carino e perché, soprattutto, cadremo anche noi nella trappola del detto citato in apertura, ma non è un caso se, in un’epoca ultramega tecnologizzata come la nostra dove i social sono le nuove piazze nelle quali, potenzialmente, puoi davvero metterti in contatto con tutti quanti: dal macellaio sotto casa al tuo sogno proibito proveniente dal mondo dello spettacolo – manco fossimo a Via Veneto e vivessimo ne “La Dolce Vita” di Fellini –, ci sia bisogno di questi mezzucci per far parlare di sé. Falsare i dati di vendite dei biglietti oppure riempire i buchi del palazzetto regalando biglietti a destra e a manca (sponsor, radio, giornalisti, familiari, conoscenti, “tappabuchi” di professione ecc. ecc.), così come annullare le date che non hanno avuto l’aspettato riscontro in termine di vendite, hanno lo stesso valore “pubblicitario” e portano al beneficiario lo stesso giovamento. Qualcuno di voi si
chiederà cosa ci sia di sbagliato, “è solo una maniera per adattarsi al nuovo mercato e sopperire alle perdite (nel caso dei concerti annullati) sfruttando le nuove forme di comunicazione con il pubblico” sosterranno alcuni… In realtà, “grazie” a queste strategie viene a saltare l’autenticità del rapporto artista/pubblico, di cui molte celebrità di oggi amano tanto vantarsi. Quella sincerità e quella trasparenza che le star degli anni ’10 del 2000 ci tengono a far trasparire in ogni momento attraverso le loro stories su Instagram. È troppo difficile riconoscere un flop e allo stesso tempo troppo facile (e produttivo) accampare una scusa per giustificare un fallimento o riempire i posti vuoti di uno stadio per accaparrarsi i titoli in prima pagina dei più grandi quotidiani nazionali. È la finzione che, per gli occhi dei più ingenui, si traveste di realtà per stravolgere la verità dei fatti. Come diceva una pubblicità di qualche anno fa con protagonisti i calciatori della mia squadra del cuore: “Es el marketing…”.
"...Colpa di deliri di onnipotenza da parte degli artisti avvolti da una specie di effetto Dunning-Kruger che trasforma degli incompetenti in dei supponenti?..." N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
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SPAZIO
MUSICA
RECENSIONI ARTISTI E NUOVE PRODUZIONI DISCOGRAFICHE redazionemzknews@gmail.com
I Quartieri - ASAP
CANTAUTORATO POP
Che bello ascoltare dei testi italiani con questi suoni! “ASAP” è una coccola, ma anche uno schiaffo, una gioia, ma anche un po’ una paura. I ragazzi sono dei retromani nel senso buono del termine. Hanno guardato (bene) al passato e hanno creato un loro linguaggio piacevole e ben comprensibile per affrontare le tematiche più disparate con estrema semplicità e chiarezza. Questo disco è un lavoro certosino: non vuole stupire con effetti speciali, ma stupisce per il suo essere così normale da essere straordinario. Beh, avevo iniziato con un grido di giubilo e mi perdonerete se finirò allo stesso modo: che bello che la scuola romana produca ancora questi gioiellini da tenersi stretti! Di Alessio Boccali
In Depths - An Early Bird
CANTAUTORATO
Una discesa nella profondità dell’animo, come sembra suggerire il titolo. “In Depths” è un vero e proprio viaggio nei legami, nelle relazioni, in tutti quei rapporti abitati dall’uomo che danno sale alla vita. Le sonorità sono corpose seppur molto minimali, i testi sono flussi di pensieri lineari, ma allo stesso tempo complessi, proprio come l’esistenza. Quattro brani che, probabilmente, faranno da corridoio musicale tra il primo disco dell’artista e il suo nuovo lavoro in arrivo nel prossimo anno, ma che suonano davvero bene per risultare un semplice passaggio. D’altronde, il percorso spesso arricchisce quanto l’aver finalmente raggiunto la meta. Di Alessio Boccali
Ivan Talarico - Un elefante nella stanza
CANTAUTORATO
“Un elefante nella stanza” è il primo album di Ivan Talarico ed è un racconto della realtà che ci circonda. Leggerezza e ironia fanno da filo conduttore per questo primo album. Scanzonato, sottile, ironico e pungente, Talarico è tutto questo e di più e in questo album mette tutta la sua esperienza, oltre al grande talento e una interpretazione magistrale. Suoni acustici ed elettronici accompagnano gli ascoltatori in un viaggio quotidiano ricco di mille sfaccettature. Un disco che ci lascia da pensare e ci fa sorridere allo stesso tempo, una capacità che pochi artisti hanno e riescono a trasmettere al grande pubblico. Di Francesco Nuccitelli 36
Ilaria Pilar Patassini - Luna in Ariete
CANTAUTORATO
Voce elegante e delicata prima di aprirsi ad un grido di forza mista alla rabbia. Così si apre “Dorme la luce di ottobre” il primo singolo della tracklist di “Luna in Ariete”, l’ultima bella fatica di Ilaria Pilar Patassini. Un disco appassionato e ricco di energia, dove però trova terreno fertile anche la malinconia, la disperazione e tanta determinazione. Nove i brani inediti, dove troviamo sonorità leggere per lasciar spazio ad una interpretazione sofferta e testi maturi di grande profondità. Un grande ritorno per la cantautrice che con questo album ci rende partecipi di una intimità non facile da raggiungere. Di Francesco Nuccitelli
Numilume - 2
MELODIC TECHNO
Esplorare un’altra dimensione su una base techno, senza accontentarsi. È difficile collocare questo “2” in un genere preciso e nemmeno mi interessa farlo. Quello che conta è che i pezzi che lo compongono, “Jurassic” e “Recall”, sono un mix perfetto di techno, deep, vapor, melodie e tanto altro, che ti prendono e non ti lasciano andare. Ascoltarli in cuffia porta al raggiungimento di una dimensione esule da tempo e spazio che ognuno di noi può fantasticare come meglio crede: Numilume ci ha visto la natura incontaminati della sua terra natia, io ci ho visto i ritmi lenti ed eterni della nostra galassia. Chissà cosa ci vedrete voi… Di Alessio Boccali
Matteo Zaccagnino - Motel room
ROCK ALTERNATIVO
Grande debutto per Matteo Zaccagnino che con la sua opera prima tenta di sconvolgere il grande universo musicale che ci circonda. Dodici sono le canzoni presenti in “Motel Room”, album cantato interamente in lingua inglese, dove l’amore in tutte le sue sfaccettature è il tema principale e il motore portante del disco. Qui si intrecciano sonorità rock con sonorità più classiche, senza mai disprezzare una natura cantautorale di grande valore. Un progetto da ascoltare e riascoltare con grande piacere per un giovane cantautore di sicuro prospetto. Di Francesco Nuccitelli
Ylenia Lucisano - Punta da un chiodo in un campo di papaveri
POP / FOLK
“Punta da un chiodo in un campo di papaveri” è l’ultimo album della giovane artista calabrese. Un progetto astratto e particolare, che vede la Lucisano alternarsi tra pop, folk e il più classico cantautorato, tra sonorità solari, orecchiabili e dal buon’umore garantito. Grande valore aggiunto è la presenza di ben undici testi inediti surreali, stralunati ed esistenziali, che danno a questo album una visione tra la melanconia e uno stile elegante. Un disco interessante, dal grande impatto e che mette in mostra, oltre alle grandi doti interpretative dell’artista, anche una scelta introspettiva e di contenuto non banale per la musica d’oggi. Di Francesco Nuccitelli 37
INTERVISTA Galeffi
Guarda la video intervista!
Le interviste di SOUNDMEETER
ph. by Giacomo Latorrata
a cura di Arianna Bureca
GALEFFI
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oma per me è casa, e casa è anche questo quartiere: Montesacro, il luogo in cui sono cresciuto. Non ho mai traslocato in vita mia, e confesso di essere molto attaccato alle mie radici. Ci sono tante zone bellissime di Roma, come il centro o Monti, ma sinceramente non ci vivrei mai.” Sono queste le parole con cui inizia la puntata di Sound Meeter dedicata a Galeffi, cantautore capitolino della rosa di Maci-
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ste Dischi che, dopo il lancio del suo primo album “Scudetto”, ha spopolato non solo a Roma ma in tutta Italia. Tra una passeggiata a Città Giardino, due scambi sotto ai portici di Piazza Sempione (rigorosamente con la palla della AS Roma) e una centrifuga da “Dondolo”, Marco si è raccontato davanti alle telecamere della prima music docu-serie italiana, ponendo l’accento sui suoi sogni e miti. “Prima di questo progetto da solista ho avuto molte altre band, ma tutte finite malissimo,
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INTERVISTA
ph. by Giacomo Latorrata
Galeffi
quasi sempre a botte. Sono un malato di musica anglosassone: ho un grande debole per i Beatles, gli Oasis, i Blur, Amy Winehouse, Paolo Nutini, gli Smiths, i The Verve… i miei amici hanno però iniziato ad apprezzare la mia musica solo quando ho iniziato a scrivere in italiano (quando cantavo in inglese infatti non mi consideravano minimamente!)” Un passaparola vincente. Ti senti un pò di averlo vinto questo “Scudetto”? “Beh, si, per me “Scudetto” è un trofeo vinto, un viaggio lungo e travagliato. Un parto! Credo sia un punto di arrivo, oltre che di partenza. Mi riporta a quando la Roma lo vinse nel 2001: una gioia incredibile che ti porti dietro a vita. Non mi aspettavo tanto da questo album: un boom che viene da anni di gavetta, e da un amico produttore che mi ha convinto a fare un disco.” Nonostante tu sia legato alla tua città natale, nell’album si parla poco di Roma e tanto di AS Roma... “Si, esatto. Nell’album c’è tanto da cantare, ci sono tante storie d’amore (la maggior parte finite male!) e c’è il calcio. Non mi piace legarmi a un luogo, ma la AS Roma per me è un credo. Francesco Totti è il mio eroe: il calciatore più forte della storia del calcio, un idolo invincibile. L’addio al calcio di Totti
per me è stato un trauma: mio padre mi ha insultato perché ho pianto più quel giorno di quando sono morti i miei nonni… non ho mangiato, sono stato proprio male. Pensa che il mio sogno, da piccolo, era diventare un calciatore. Ho fallito miseramente! Il fatto è che non crescevo mai, ero troppo magro. Però con i piedi ero molto bravo: ho sempre giocato imitando il capitano, a cui ho dedicato la traccia dell’album “Tottigol” (la numero 10 ovviamente!). Lo amo proprio.” Abbiamo parlato della strada che ti ha portato fino a qui. Se ti chiedessi invece un sogno che hai nel cassetto per il tuo domani? “Fare un pezzo con John Lennon, ma purtroppo non si può! (ride) In realtà sto in fissa da sempre per Cesare Cremonini, dai tempi di Squerez e i Lunapop, e in “Scudetto” ce l’ho messo dentro il più possibile… altrimenti mi sarei sentito in colpa! Per me lui è ispirazione continua. Sogno di fare un pezzo con lui, o essere invitato come ospite a un suo concerto, o averlo come ospite a uno dei miei.” Se potessi mandargli un messaggio, quale sarebbe? “Cesare ascolta il mio disco.. e amami!”
"...il mio sogno, da piccolo, era diventare un calciatore. Ho fallito miseramente!..."
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INTERVISTA Sick Luke & Mecna
SICK LUKE & MECNA
Visitate la nostra “Neverland”, non vedrete l’ora di tornarci!
U di Alessio Boccali
n incontro che ha dato vita a un’altra dimensione: l’isola che non c’è – la Neverland da cui il titolo dell’album – dal punto di vista geografico, ma che Sick Luke e Mecna sono riusciti a edificare unendo i loro stili e le loro peculiarità artistiche. Una collaborazione interessante nata tra uno dei più prolifici producer italiani e una delle voci più riconoscibili del “cantautorap” italiano e che si è sublimata in un album impreziosito da due storici collaboratori e amici di Luke e Mecna, ovvero, rispettivamente, Valerio Bulla e Alessandro Cianci. Ciao ragazzi, com’è nata questa collaborazione? (Mecna) Ci siamo scritti su Instagram a fine 2018 e ci siamo subito trovati; avevo chiesto a Luke di inviarmi dei beat per poter collaborare in un pezzo e, infatti, tra quei beat c’era quello di “Akureyri” il nostro primo singolo insieme. Un esperimento andato molto bene. Quando poi ci siamo visti dal vivo, abbiamo portato io il mio musicista (Alessandro Cianci) e Luke il suo (Valerio Bulla) e abbiamo lavorato assieme a questo progetto. (Sick Luke) Sì, ai tempi di “Akureyri” non c’era ancora l’idea di fare un disco insieme; quel pezzo nasceva perché entrambi avevamo voglia di sperimentare. Posso dire che Mecna è stato il primo artista, che fa roba
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totalmente diversa dalla mia, con cui ho collaborato (poi sono arrivati gli PSICOLOGI, Marïna, ecc.). Poi, dai, un aneddoto posso raccontartelo: per i beat gli ho chiesto 10k, lui non ce li aveva e allora adesso è costretto a farmi grafiche per tutta la vita (ride, n.d.r.). Di questo titolo “Neverland” che cosa mi raccontate? (M.) “Neverland” è l’isola che non c’è, o meglio non c’era finora. Questo disco è una cosa diversa da tutto quello che c’è in giro: un’isola che ora, grazie a noi, c’è. (S.L.) “Neverland” è frutto della voglia di creare una dimensione diversa, che poi è quello che cerco in ogni mio lavoro. Con Mecna ho intrapreso un viaggio verso una meta utopica, che appena visitata (ovvero alla fine dell’ascolto), non vedi l’ora di rivedere. (Per Mecna) Nelle tue canzoni emerge sempre un perfetto mix tra atmosfere raffinate, studiate e testi mai banali, che spesso hanno bisogno più di un ascolto per essere compresi fino in fondo. Anche in questo ultimo lavoro c’è questo tuo marchio di fabbrica, ma la cornice sembra essere molto più popular… (S.L.) Posso rispondere anch’io? (ride, n.d.r.) Da quando Mecna si è messo a collaborare con me, la gente pensa che sia diventato commerciale. In realtà, che cosa vuol dire “commerciale” oggi? Io faccio musica popolare, che arriva alla gente, pur
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"Le etichette sono inutili.Le studiate di quanto si pensi, sempli da quello che hai voglia di s
INTERVISTA Sick Luke & Mecna
ph. by Mattia Guolo
cose spesso sono molto meno cemente nascono uonare in quel momento."
non facendo pop e questo lavoro con Mecna è popular proprio in questo senso. (M.) Non sono mai stato paladino dell’hip hop o del rap a tutti i costi, anzi fin dai miei primi demo ho sempre cantato quando volevo cantare e usato basi molto melodiche. Per quanto riguarda i testi, ho imparato nel tempo a non farmi tanti problemi riguardo al mio stile perché, in fin dei conti, scrivendo stavo parlando di me, stavo raccontando la mia vita. Creare questo cortocircuito con Luke poi mi ha fatto impazzire: abbiamo creato un nostro micromondo, che non si può definire con un genere, in cui entrambi siamo rimasti gli stessi. (Per Sick Luke) Possiamo dire che sei stato quello che ha portato la trap in Italia? (S.L.) La trap già c’era in Italia, la faceva Bello Figo Gu. Scherzo, è solo un bufu (ride, n.d.r.). Seriamente io mi sono ritrovato con i ragazzi della Dark Polo Gang a fare della musica che prima in Italia non si ascoltava; inizialmente provavo ad imitare i beat di Gucci Mane, ma non ci riuscivo e allora ho inventato qualcosa di mio, che in realtà è un mix di dark, di vapor… ma non voglio dargli un’etichetta perché poi i miei beat e i pezzi che ne sono nati sono tutte cose differenti, creano tutti atmosfere diverse. Le etichette sono inutili. Mecna spesso lo definiscono indie… (M.) Esatto! Anch’io odio le etichette. Le cose spesso sono molto meno studiate di quanto si pensi, semplicemente nascono da quello che hai voglia di suonare in quel momento. (Per Mecna) Non a caso non ti sen-
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ti un rapper e in un pezzo del disco lo canti “Io più che un rapper sono particolare, dentro le mie parole voglio farti nuotare…” e poi aggiungi, in un altro brano, “Non fare un disco se non stai soffrendo…”… ok, non mettiamo etichette, ma tutto ciò, soprattutto l’ultima frase molto alla Tenco, ti avvicina al cantautorato… (M.) Sì, è da un po’ che mi dicono questa cosa del cantautorato e dalla famosa citazione di Tenco nasce proprio il pezzo che mi hai segnalato. Probabilmente sono più un cantautore, è vero, ma vado pazzo per i suoni urban e per le atmosfere che creano. Poi, certo, nella scrittura sono sempre molto introspettivo e questo mi riporta al cantautorato. (Per Sick Luke) Come mi commenti questa nuova importanza riconosciuta – finalmente – ai producer? (S.L) Era una situazione vergognosa quella del producer in Italia, io ho fatto me stesso, non ho creato un personaggio, eppure da me e da chi come me ha cominciato a fare un certo tipo di musica è partita la rivalutazione di questa figura. Da noi il producer era visto come il nerd che lavorava nell’angolo muffoso di una saletta, ora invece io sono una star. (M.) Io ho sempre cercato di dare importanza ai miei producer, ma non è mai stata una cosa scontata. È vero quello che dice Luke, io da ascoltatore e da artista molto nerd mi vado sempre a cercare chi ha prodotto cosa, ma nell’ascoltatore medio questo meccanismo non si attiva quasi mai. Oggi, grazie a questa nuova importanza data ai producer, si creano delle connessioni super-stimolanti.
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MUSICAZERO Progetti da consigliati
PROGETTI CONSIGLIATI
I consigli dalla nostra redazione sulle produzioni e gli artisti da non perdere nel 2019/2020
LEON BRIDGES
di Manuel Saad
Nonostante Leon Bridges sia nato nel 1989, ascoltando la sua musica, sembra di tornare a quei malinconici anni ’60. Con due album all’attivo, “Coming Home” e “Good Thing”, entrambi usciti per la Columbia Records, il cantautore statunitense è riuscito senza difficoltà a farsi sentire. Il singolo “Coming Home” è entrato nella “Top 10 Most Viral Track” di Spotify ed è stato utilizzato per una pubblicità di Apple. Il New York Times, invece, ha inserito il suo album d’esordio nella sua classifica degli album texani più attesi del 2015. Bridges ha smosso sicuramente qualcosa e i numeri parlano chiaro. Sia su YouTube che su Spotify, le visualizzazioni e gli streaming superano cifre a sei zeri, evidenziando non solo la potenza musicale di questo cantautore, quanto la sua risonanza. “Better Man”, “Beyond”, “Bad Bad News” e “River” sono solo alcuni dei singoli in grado di mostrare il talento di questo ragazzo. Una voce retrò con lo sguardo e la mente proiettati verso il futuro. Il giusto mix per chi ha nostalgia di sonorità passate ma con la freschezza del presente. Pitchfork, Metacritic e Pasta Magazine hanno elogiato il suo progetto in quanto audace, potente e funzionale.
LO - FANG
di Manuel Saad
Matthew Jordan Hemerlein, in arte Lo-Fang, è un cantautore americano che ha come obiettivo quello di trovare il giusto equilibrio tra femminilità e maschilità. “Lo” richiama qualcosa di morbido, tenue, mentre “Fang” rimanda alla durezza del suono. Un dualismo che si scontra non solo nel suo nome d’arte ma anche nelle sue produzioni. “Blue Film”, disco uscito nel 2014, gli ha permesso di bussare alle porte del mercato discografico e posizionandosi al 17° posto nella classifica “Top Heatseekers” di Billboard. Un album nato principalmente come esigenza personale durante una serie di viaggi che l’hanno portato ad attraversare la Cambogia, Londra, Bali, Tokyo ed altre parti del mondo. Lo-Fang, attraverso la sua musica, è in grado di preparare l’ascoltatore ad affrontare temi cupi e malinconici facendolo sentire leggero, ma attento su ciò che sta ascoltando, nonostante il suo modo di cantare non vada di pari passo con i temi trattati. Introspezione ed intimità sono le armi scelte per affrontare queste battaglie interne che vedono muovere i propri passi in ambientazioni astratte e lontane. Secondo il database AllMusic, grazie alla sua voce, Hemerlein, riesce con estrema facilità a guidare l’ascoltatore in terre oscure facendo luce attraverso il suo modo di cantare. 42
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MUSICAZERO Progetti da consigliati
XAVIER POMPELMO
di Alessio Boccali
Xavier Pompelmo è vivo e vegeto, a discapito delle voci che lo identificavano in un cantautore anni ’70 misteriosamente scomparso. In realtà, sotto a questo esotico pseudonimo, si cela un artista romano di nome Davide Bastolla, che ha deciso ormai da un po’ di tempo di rivelarsi con il suo vero volto e che ora è in attesa che il suo primo lavoro discografico sia pronto a venire in superficie come gli scogli più bassi nei giorni di bassa marea. Producer, cantautore, visual artist, fondatore e direttore dello studio di effetti visivi “Bastanimotion”, Xavier Pompelmo è un artista a 360°. Nel 2018, parallelamente al lavoro sui videoclip di artisti affermati come Rancore & Dj Myke, kuTso, Margherita Vicario e Giancane (per il quale anima i disegni di Zerocalcare per il videoclip di “Ipocondria”), il ragazzo ascolta la sua vena da cantautore e pubblica il brano “Nebulosa”, pezzo dalle forti tinte melanconiche e romantiche, del quale – naturalmente – cura anche il videoclip. Qualsiasi sia l’arte nella quale Davide Bastolla decida di cimentarsi, il suo stile è sempre molto riconoscibile e il suo approccio riflessivo e allo stesso tempo onirico/utopico. Non fa eccezione il singolo “Chimera” uscito proprio in questo ottobre e che anticipa l’album interamente curato dall’artista stesso – sia nella parte prettamente musicale che nella parte creativa, grafica e visuale - in uscita a novembre di quest’anno e intitolato “Valanghe”.
SANTA MANU
di Alessio Boccali
Santa Manu è una donna libera prima che un artista. Armata di un volto angelico e allo stesso tempo dal fascino della femme fatale, l’artista marchigiana, all’anagrafe Manuela Rinaldi, intende promuovere e difendere a gran voce l’indipendenza umana nell’arte così come nella vita. Manu è Santa perché Donna, essere umano inviolabile e degno di rispetto, che, liberatosi dalle catene, dà vita a una dimensione artistica abitata da sonorità urban contemporanee mixate ad un’attitudine rock innata, plasmando un unicum nel panorama musicale nostrano. La sua musica rispecchia a pieno la sua anima decisa, ma non per questo poco tormentata. Santa Manu sa bene cosa vuole e cosa non vuole, la sua musica e i suoi video sono un frutto prelibato della sua mente, ma non vive da eremita su una montagna insieme alle proprie convinzioni, piuttosto scende in strada e si mette a cantare la necessità di affermare sé stessi senza piegarsi alla volontà di chi ci vorrebbe muti e ammaestrati. Che altro dire? Nulla, se non che i pezzi “Baby boy”, “Paris”, “Coca Cola” e “Hit” sono solo i primi vagiti di questa rivoluzione in stivali e abito talare…
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GENERATION Best Dj's
MARCO CAROLA di Carlo Ferraioli
a cura di Carlo Ferraioli
Durante il Sunwave Festival di Mamaia, in Romania, il 44enne ha tenuto caldo il suo posto dietro la console per ben 25 ore di fila, attrezzandosi anche con un ventilatore per via del gran caldo. Uno dei suoi particolari pregi è proprio la resistenza.
Marco Carola, dalla techno partenopea alla "Isla" Una storia di stili e successi che hanno reso un DJ volto ed emblema di un party
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usic On sta a Marco Carola come divertimento sta ad Ibiza. L’artista napoletano, classe ’75, non ha mosso i suoi primi passi in Spagna, ma possiamo stare certi del fatto che proprio lì sia avvenuta la sua definitiva consacrazione quale blasonato disc jockey internazionale. Carola infatti mette la palla al centro a cavallo degli anni novanta, registrando ben due album (The 1000 Collection, One Thousands, 1998; Fokus, Zenit, 1998) e producendo svariati EP in collaborazione
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con personaggi di spicco dell’elettronica mondiale: pensiamo al rapporto con Sven Väth, Adam Beyer e Richie Hawtin. La sua connotazione, inizialmente, propende per una techno più pura e meno house, ma mai priva di accorgimenti che rendono – e continueranno a rendere poi per tanti anni ancora – le sue feste dei veri e propri momenti di libido musicale. Un dolce martello che affabula corpo e anima fino al mattino, senza nemmeno rendersene troppo conto. Col passare degli anni Carola avverte l’esigenza di spendersi pro-
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fessionalmente anche nelle sfaccettature più vicine a quello che è il suo istintivo bisogno di fare, creare e pubblicare musica; così arrivano altri tre album, dal 2001 al 2011: Open System, Question 10 e Play It Loud!. Di questi, solo l’ultimo è edito da un’etichetta diversa da Zenit, che sarebbe la Minus. A questo punto ha già iniziato col passare da uno stilema, musicalmente parlando, più crudo ad uno più soft e morbido. Non si parla più infatti di vera e propria techno, quanto più di minimal e tech-house. Pro-
GENERATION Best Dj's
Elvis Presley che canta Pino Donaggio, no non è un errore. Infatti, il celebre re del Rock and iRoll nel suo vastissimo repertorio è riusc della si famo più i bran dei uno to a inserire a inglemusica italiana riadattandolo in lingu za te)” (sen vivo se. Il brano era “Io che non del emo Sanr di ival Fest canzone cantata al “You lata intito era se ingle one versi 1965. La via, il don’t have to say you love me”. Tutta a prim per to brano era stato interpreta in solo e eld ngfi da Dusty Spri seguito da Elvis.
prio l’ultima riesce a trasmettere di Carola una delle parti meglio riuscite della sua intera carriera da DJ: il fantastico progetto musicale Music On. Nato a Napoli e presto trasferitosi in Spagna, proprio ad Ibiza, l’isola dei sogni, il Music On esprime a pieno la voglia di party e di fare festa come altri pochi concept avevano fatto prima. Con Carola, dj resident dal 2012 al 2018 presso l’Amnesia, questo momento di spensieratezza, evasione e fuga dalla realtà si sovrappone quasi del tutto all’immagine stessa di un producer che è riuscito a trasformare una “semplice” festa in attimi di delirio, musicalmente parlando e non. La location del party, fra le altre cose, ha cambiato abito da quest’anno, trasferendosi al Pacha: il locale, acquisito da poco da proprietà asiatica, ha voluto fortemente la festa riuscendo a strapparla ai cugini dell’Amnesia per svariati milioni di euro. Non possiamo non riconoscere quindi Marco Carola come uno degli artisti più quotati ed influenti dell’attuale scena mondiale, così come bisogna però dare atto a tutti coloro i quali hanno visto nel change dell’artista una (per così dire) svendita musicale: critiche giunte soprattutto dalla terra madre. Ma poco importa, ballare per credere!
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INTERVISTA Giordano Sangiorgi
GIORDANO
SANGIORGI
“Il termine indie? È un termine obsoleto per chi lo ha sempre utilizzato male” Il papà del MEI tra l’avvento dei social e la produzione indipendente. di Francesco Nuccitelli
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ra le personalità di spicco della musica italiana troviamo sicuramente Giordano Sangiorgi. Ideatore e organizzatore del MEI e promoter musicale di grande esperienza. Lo abbiamo raggiunto durante la conferenza per i 25 anni del MEI. Ciao Giordano, come pensi sia cambiato il mondo della musica per i giovani d’oggi? Oggi abbiamo una situazione particolare rispetto al passato. L’accesso ora è più facile non solo per alcune realtà, ma per decine di artisti emergenti, che possono entrare nel mercato grazie alle visualizzazioni, i like e lo streaming. Tuttavia, c’è un’economia di risorse drasticamente ridotte rispetto al passato. Non per l’assenza di soldi, ma perché le grandi piattaforme musicali online pagano pochissimo.
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L’avvento della tecnologia e in particolar modo dei social può aver indotto ad una illusione di controllo e di successo nella musica creando valutazioni distorte? Viviamo in un’era in cui il “marketing” e la “comunicazione” sembrano aver superato il contenuto. È evidente che stiamo in un momento dove “vince” chi riesce a realizzare più like. Così si viene a creare questa illusione del successo. Il problema però, è che stiamo parlando di un successo legato alla giornata, effimero, molto facile da guadagnare e altrettanto facile da perdere. Ad onor del vero, va anche detto che questo “errore” c’è sempre stato anche con la tv. La musica oggi vive di classifiche e certificazioni, ma è possibile distinguere un reale successo tra chi fa tante views/stream e chi realizza vendite fisiche?
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INTERVISTA Giordano Sangiorgi
Noi dobbiamo dimenticarci che ci sia una classifica, perché quelle che escono non hanno più la rilevanza di un tempo. Per capire, dovremmo sommare le cento classifiche che ogni settimana escono. Streaming e fisico sono due classifiche diverse, perché lo stream è legato perlopiù ad un pubblico teen, mentre quello fisico ad un pubblico over. Inoltre, ricorderei le classifiche dei live, del merchandising e delle vendite collaterali (es. libri). Oggi, dopo il successo di diversi artisti indie, possiamo parlare ancora di musica indie o si tratta ormai di un termine obsoleto? È un termine obsoleto per chi lo ha sempre utilizzato male. Nel senso che indipendente non vuol dire alternativo, di nicchia o di non successo, come in molti pensano.
“Because the Night” è una delle canzo-
ni più famose di Patty Sm ith e tra le più famose al mo ndo. Non tutti sanno che il cel ebre brano portato al successo dalla sacerdotessa del rock era in realtà un brano scartato da un altro celebre artista . Bruce Springsteen “The Boss” lo scartò e Patty lo inserì nell’albu m “Easter” datato 1978.
proprie risorse – senza avere chissà quale aggancio – in un progetto musicale. La produzione indipendente è l’elemento fondante della musica italiana. In un mercato globale, dove le major producono solo artisti che vendono nel mondo, la produzione indipendente tiene vivo il mercato nazionale.
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IL SOUND DESIGNER
C
hi è il sound designer? Queste due parole in inglese danno proprio l’idea di identificare una qualifica importante nell’ambito dell’audio tecnica, ma altrettanto nel cinema, dove questo mestiere sembra essere fondamentale per una buona riuscita emozionale del film, o delle pubblicità. Proviamo a scansionare i primi passaggi.
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In un film ci sono i dialoghi (voci), le musiche e gli effetti sonori che seguono lo svolgimento delle riprese, dove possono essere presenti tipi di ambienti sonori, a seconda della location dove è stato girato il film; in pratica, queste riprese realizzate in presa diretta vengono effettuate dai tecnici del suono con attrezzature appropriate come microfoni ambientali, lunghe aste dette zoom e vari tipi di supporti per microfoni. Ma se avessimo a che fare con un film di fantascienza, come potremmo microfonare una città che non esiste? Una macchina spaziale, un’astronave o il suono delle pistole e fucili laser del futuro? E non è finita qui. L’esempio vale per tutto ciò che viene realizzato al computer e che nei film di oggi è tantissimo! A questo punto entra in scena il sound designer che avrà il compito di realizzare, inventando passo dopo passo i rumoN°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
ri e le ambientazioni che “non esistono”. Un’impresa ardua ma affascinante, un ruolo emozionante, di grande soddisfazione e responsabilità non da poco. Faccio un esempio che a me ha sempre affascinato: come hanno creato il suono del verso di Godzilla? Per poterlo capire dobbiamo tornare indietro nel 1954, anno della prima edizione del film. Ai tempi, i tecnici provarono con vari rumori e suoni di molti tipi di animali, miscelandoli tra loro attraverso registrazioni e sovraincisioni, ma quello che ne usciva fuori era sempre un suono molto animalesco e non un suono che animasse l’esemplare di un dinosauro pazzesco bello grosso (tipo la custodia di un T-Rex per capirci). Fu allora che intervenne un noto compositore giapponese, Akira Ifukube, che bagnando un guanto di pelle nel catrame e passandolo sulle corde di un basso ottenne un suono glissato, frizionato che passò alla storia.
AUDIORANDOM
Audiotecnica
Il Fairlight CMI (Computer Musical Instrument) è stato il 1° sintetizzatore campionatore digitale. È stato progettato nel 1979 dai fondatori della Fairlight, Peter Vogel e Kim Ryrie, e basato su un doppio microprocessore, progettato da Tony Furse a Sydney. Ha acquistato popolarità nei primi anni 80 ed ha finito per competere sul mercato con il Synclavier della New England Digital.
Nell’ultimo film di Godzilla il duro compito di evolvere questa sonorità è stato affidato a due tecnici del suono Ethan van Der Ryn e Erik Aadahl, che hanno passato parecchi mesi a perfezionare le tecniche di Ifukube ed il risultato è stato quello che oggi tutti conosciamo dell’attuale verso della bestia. Un miscuglio di sfregamenti e sportelli arrugginiti, ricordo anche dei suoni provenienti dagli amplificatori di uno dei tour dei Rolling Stones (incredibile, ma vero!). Ovviamente bisogna dire che il vero segreto del miscuglio non può’ essere rivelato perché altrimenti non penseremmo più’ alla vera voce di Godzilla. ma a qualche sportello...quindi la voce del mitico mostro rimarrà sacra, e per quanto mi riguarda, mi piace pensare che si tratti proprio della sua. Tornando al ruolo del sound designer, è affascinante poter modificare e manipolare il suono per crearne dell’altro, solo
così possiamo dar vita a cose che non esistono o che avranno un’anima inventata ma credibile, vera, come il rumore della macchina di Batman per esempio.. ve lo ricordate? Il sound design dell’accelerazione con le frenate e gli effetti sono pazzeschi! Gli “attrezzi del mestiere” del sound designer a oggi sono molto variegati; gli strumenti principali sono i modelli di sintesi sonora di cui si avvalgono anche tutti i compositori di musica elettronica: la sintesi additiva che si basa sulla somma di un certo numero di onde sinusoidali o complesse, la sintesi ottrattiva, basata sul filtro, la sintesi in FM con la sua modulazione di frequenza, la sintesi a modelli fisici, che simula il comportamento del naturale processo fisico che genera i suoni attraverso algoritmi matematici, la sintesi granulare, che si sviluppa attraverso l’idea di partenza di suoni complessi a partire da una grande quantità di suoni N°14 "YES, YOU CAN?" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
semplici chiamati grani da 1 a 100 millisecondi. E ancora, la sintesi per campioni, attraverso la base del suono registrato (campionato), la sintesi wavetabel, attraverso le forme di onda più svariate. Non entro nel merito della definizione di ognuna, ma il campionatore si merita due parole in più. Campionare un suono e manipolarlo attraverso le sue funzioni è la cosa più emozionante, almeno lo è stato per me e per tutti quelli che hanno creato musica ed effetti con esso. Il primo vero campionatore fu il CMI (Computer Musical Instrument) della ditta australiana Fairlight, sviluppato nei primi anni Ottanta. Nel 1988, poi, debutta il primo campionatore Akai della serie MPC e da quel giorno ad oggi ne abbiamo fatti di campioni, spaziando in vari generi musicali, cambiando radicalmente la storia del Rap e della musica elettronica. Buon campione a tutti! 49
NEXT STOPS ITALY di Alessio Boccali
TOM WALKER 15 ottobre - OGR TORINO JAMES MORRISON 17 ottobre - Alcatraz MILANO FABRIZIO MORO 18-19 ottobre - Palazzo dello Sport ROMA DANIELE SILVESTRI 25/26 ottobre - Palazzo dello Sport ROMA STING 29 ottobre - Mediolanum Forum ASSAGO (MI) LACUNA COIL 3 novembre - Orion CIAMPINO (RM) THE LUMINEERS 4 novembre - Alcatraz MILANO JETHRO TULL 7 novembre - Auditorium Parco Della Musica ROMA DAVID GUETTA 1 dicembre - Unipol Arena BOLOGNA ELISA 17 dicembre - Palazzo dello Sport ROMA MIKA 29 novembre - Unipol Arena BOLOGNA and many more.....
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FOCUS
Che fine ha fatto il rap?
DAL GHETTO AL PRIVÉ: Brevissima storia del rap e del suo carattere autocelebrativo
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autocelebrazione (o ego-trip) è uno degli elementi cardine del rap fin dalla sua nascita, un esercizio di stile attraverso cui i rapper esaltano il proprio valore umano e artistico, costruendo la propria autonarrazione e soprattutto mettendo in mostra le proprie abilità metriche e tecniche. Allo stesso tempo però, analizzare l’evoluzione di questa pratica può essere indicativo di come siano cambiati, nel corso dei decenni, i valori sociali, politici e culturali sulla base dei quali i rapper si sono identificati e si identificano tuttora come migliori dei propri colleghi. Il rap nasce nella New York degli anni Settanta, con le sfide tra MC’s che animavano i block party nel South Bronx. In quel contesto storico e sociale, le rime non erano solo armi attraverso le quali i rappresentanti delle varie gang si sfidavano per decretare il migliore, ma diventavano lo strumento linguistico nel quale un’intera generazione di giovani afro-americani poteva riconoscersi, un mezzo
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per costruire una coscienza di classe e determinare un’emancipazione sociale e culturale. Autocelebrarsi significava celebrare la propria provenienza, ribellarsi alle ingiustizie sociali e risvegliare l’orgoglio di una fascia di popolazione ghettizzata e sottomessa. Ne derivava un linguaggio inevitabilmente aggressivo, provocatorio e volgare, che raccontava una quotidianità fatta di razzismo, droga e vita di strada. A partire dagli anni Ottanta il rap uscì dal ghetto, il suo fascino ribelle cominciò a far presa anche sui giovani bianchi e la sua popolarità crebbe a dismisura, portandolo a sbarcare presto in Europa. In Italia, in particolare, il rap iniziò a diffondersi nei primi anni Novanta e a raccontare i conflitti sociali presenti nelle nostre città. Non a caso, i centri sociali furono il laboratorio dove nacquero le Posse - quelle che oggi definiremmo crew - da cui vennero fuori pionieri del
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rap italiano come gli Assalti Frontali, i Colle der Fomento, Lou X o i Sangue Misto: il loro rap trasudava impegno sociale e politico, attraverso forme e stili in continua evoluzione. Più che di autocelebrarsi, la prima generazione di rapper italiani aveva bisogno di presentarsi, di differenziarsi dagli altri per rafforzare la propria identità e per ritagliarsi un posto nel panorama musicale. Il movimento crebbe in fretta in termini sia qualitativi che quantitativi, grazie a una spinta creativa che arrivava da artisti con soluzioni stilistiche anche molto differenti tra loro ma che davano l’impressione di trainare tutte lo stesso carro. La magia però durò poco e sembrò che la fine del secolo potesse portare con sé anche la fine del rap: qualcosa si era rotto, colonne portanti come Neffa e Deda smisero di rappare, altri come i Colle der Fomento continuarono a portare in giro la loro musica ma senza pubblicarne altra. La golden age era finita e la seconda ge-
FOCUS
Che fine ha fatto il rap?
CHE FINE HA FATTO IL RAP? di Cristian Barba
nerazione di rapper ci mise un po’ a comparire. Due album del 1999 aprono idealmente la seconda era del rap italiano: 3 MC’s al cubo delle Sacre Scuole (formazione composta da Dargen D’Amico, Gué Pequeno e Jake La Furia) e Sindrome di fine millennio degli Uomini di mare (Fabri Fibra e dj Lato). Nonostante gli ottimi riscontri, entrambi i sodalizi si sciolsero: Gué Pequeno e Jake La Furia abbandonarono Dargen D’Amico per unirsi a Don Joe e dar vita ai Club Dogo, il cui primo album - Mi Fist (2003) - fu un successo; Fabri Fibra iniziò invece la sua carriera da solista, anche questa inaugurata da un album storico come Turbe Giovanili (2002). L’autocelebrazione è molto più centrale nel lavoro dei Dogo, che per larghi tratti ripropongono il modello del gangsta rap americano, mentre Fibra in Turbe Giovanili mostra un’attitudine più intimista che poco dopo si sarebbe trasformata in un’esplosione di rabbia (e di talento) con Mr. Simpatia (2004).
Sono loro le prime rapstar italiane, coloro che scavalcano il recinto dell’underground, conquistano il grande pubblico e arrivano a firmare contratti con le major. Prende il via così una contaminazione col pop, una ricerca sonora e linguistica di ricette dal potenziale commerciale, con ritornelli che abbiano facile presa su un pubblico generalista e strofe che non deludano le aspettative della folta schiera di adolescenti che acquista magliette e biglietti per i concerti: gli autori di Mi Fist e Turbe Giovanili si ritrovano nel giro di pochi anni a cantare P.E.S. e Tranne te. L’impegno sociale e politico del decennio precedente è un ricordo sempre più sbiadito, il senso di appartenenza a una cultura che ha rivoluzionato l’arte in tutto il mondo occidentale ha lasciato il posto a videoclip pregni di culi e macchinoni. La
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consacrazione del rap come genere mainstream è cosa fatta e l’ego-trip degli stessi rapper si muove all’interno di contorni nuovi: Marracash, esploso nel 2008 con Badabum Cha Cha, nel 2011 si autoproclama King del rap e nell’omonima traccia scrive “la gara a chi è più povero è di qualche anno fa e l’ho già vinta fra, ora la gara è a chi più ne ha”, descrivendo esattamente il trend degli ultimi anni. In una società sempre più individualista e sempre più devota al dio denaro, l’autocelebrazione di molti rapper - non tutti - passa attraverso l’ostentazione della ricchezza nei versi, nell’outfit o semplicemente nelle storie su Instagram, creando modelli nei quali i giovani non rispecchiano più una rabbia per il presente attraverso una coscienza di classe ma ambizioni di successo attraverso i consolidati canoni del materialismo consumista. L’ego-trip si è dunque trasformato in ego-mania, una ginnastica di parole che può ancora servire a dimostrare di “saperlo fare” meglio degli altri ma che ha progressivamente perso gran parte del suo legame con la cultura hip-hop.
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INTERVISTA Flowing Chords
FLOWING CHORDS Un po' di curiosità sul progetto corale nato alla Saint Louis College of Music. di Manuel saad
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INTERVISTA Flowing Chords
“F
lowing Chords” è il nome del progetto corale composto da 30 elementi, nato nel 2016 al Saint Louis College of Music e diretto da Margherita Flore. I brani proposti spaziano dall’R&B al cantautorato e all’universo pop, proponendoli in un linguaggio dinamico, moderno e fresco. L’abbiamo intervistata per farci raccontare cosa vuol dire dirigere ed essere all’interno di un coro. “Flowing Chords”. Come mai la scelta di questo nome? Durante la ricerca del nome i ragazzi volevano che al suo interno vi fosse un riferimento alla mia persona, sebbene la cosa mi mettesse un po’ in imbarazzo. Quindi partendo dalla prima parte del mio cognome (Flore – Flo-) abbiamo pensato a qualcosa che fosse comprensibile anche all’estero e che riassumesse il nostro assetto corale, e cioè una ricerca di fluidità nello scambio tra le sezioni. Come sei diventata direttrice di un coro? In realtà per necessità perché i Flowing Chords sono nati come un progetto di sperimentazione per la mia iniziale idea di tesi di laurea in Composizione di Musica da Film al Saint Louis College of Music. Presso l’università mi sono avvicinata all’idea di coro frequentando il corso di Coro Pop tenuto al M° Diego Caravano, da lì mi sono appassionata alle sonorità ed alle diverse soluzioni vocali imitative degli strumenti; così ho radunato un po’ di studenti miei colleghi e si è sviluppato un progetto a cui ci siamo appassionati insieme. Mi sono trovata ad essere direttrice perché quelli che cantiamo sono tutti arrangiamenti che scrivo io, ma la direzione spesso ha una natura un po’ scambista almeno tra di noi. Come si riesce a gestire un’orchestra di voci di circa trenta elementi? Riusciamo a gestirci perché siamo in tanti a partecipare attivamente. Per ogni sezione c’è un capo che si assicura della gestione interna della pulizia delle parti, delle comunicazioni ed organizzazioni per turni in studio. Abbiamo chi si occupa dei social, dei video e del montaggio del materiale, degli outfit e dell’organizzazione per le trasferte. La suddivisione dei compiti è necessaria per l’avanzamento del progetto: tutti i piani di lavoro vengono affrontati e programmati insieme.
Quando il silenz io diventa music a. Grazie al compositore am ericano John Cage ciò è divenu to possibile. Egli, incise un’o pera chiamata 4’33’’ nel 1952. Qu attro
Siamo molto coesi anche dal punto di vista personale, questo è molto importanminuti e tr e n ta tr e se te. Tra noi c’è un condi di puro silenzio rapporto obliquo, . assolutamente non verticale, anche perché molte soluzioni a livello di suono si trovano cercando in prova. Ho stima per ognuno di loro, abbiamo fatto tante cose che negli anni ci hanno unito molto: c’è capitato di fare turni di registrazione da 18 ore, di cantare coi geloni ai piedi, di improvvisarsi coreografi per videoclip, di tornare dopo lunghe giornate di lavoro nella tormenta bucando ruote, di dormire in 30 in condizioni estreme (e questo succede spesso). Ma c’è da dire che per noi il Natale non viene soltanto il 25 Dicembre. Come funziona la collaborazione tra un coro e un artista esterno (Davide Shorty, Ainé, etc.)? Tutte le collaborazioni che abbiamo fatto fin dall’inizio con gruppi o artisti ci hanno ogni volta migliorato e mostrato una modalità di lavoro diversa. Generalmente, stabilito il primo contatto con l’artista o il programma, mi occupo io dell’arrangiamento producendo un provino da far ascoltare al collaboratore e in un tempo relativamente stretto procediamo poi alla concertazione con il coro per prepararci poi alla registrazione o al concerto. I progetti esterni di solito sono tutti a corto raggio, per questo portano sempre ad un miglioramento immediato. La scelta dei coristi come avviene? In genere, per far parte di un coro non vengono richieste particolari tecniche vocali. È realmente così? Per quanto mi riguarda la priorità è l’attitudine all’ascolto, la capacità d’adattamento ritmico, buona lettura e ironia. Non facciamo provini: di solito i nuovi vengono invitati alle prove e sono sentiti dai capisezione. La nostra attività è molto intensa, richiede impegno, presenza e disponibilità. Al momento non stiamo cercando nuovi elementi, ma non si sa mai.
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#LALIFEE'BELLA
Salvador Dalì
Salvador Dalí
U
L’immenso piacere di “sentire” sé stessi
n genio, un visionario e solo infine un pittore. Questo (e tanto altro) era Salvador Dalí, o meglio Salvador Domènec Felip Jacint Dalí i Domènech, 1º marchese di Dalí de Púbol. Il suo talento baciò e schiaffeggiò l’accademia delle belle arti tanto da arrivare a impressionarla. La sua vera scuola fu la strada e i suoi insegnanti gli artisti che lì vi incontrava. Vestiva come un dandy inglese, coltivava e arricciava i suoi lunghi baffi fin dalla prima gioventù ed investiva con la sua eccentricità e il suo talento ogni ambiente che frequentava. Nella sua mente nessuno era in grado di giudicare le sue opere, anzi, a dirla tutta, nessuno era in grado di giudicare l’intera realtà. L’artista, solo egli stesso, era misura della sua realtà: Dalí non era un sur-
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di Alessio Boccali
realista, era il surrealismo; Dalí non era malato di una sindrome simile al Parkinson, era la malattia; Dalí non assumeva droghe, era la droga. Si accennava prima al surrealismo e l’estro dell’artista di certo ne fu influenzato ampiamente, soprattutto nella concezione di Arte come “sogno”, ovvero come via di fuga dalla realtà, e come “libertà”, rifiuto più o meno costruttivo delle regole imposte non solo dalla società, ma anche e soprattutto dagli accademici. Tuttavia, Dalí, almeno agli inizi, incontrò anche il cubismo (es. “Scena di cabaret” del 1922). A dir bene, però, l’artista nato in spagna divenne IL PITTORE quando si liberò da qualsiasi stilema e riuscì a immergersi a fondo nella sua mente, nella sua onirica visione della realtà. Una leggenda narra che i soggetti delle sue opere si rivelassero al pittore durante un periodo di sonno bre-
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ve interrotto dalla caduta di una chiave, che egli teneva in mano quando si addormentava su una poltrona nel suo studio, sopra ad un piatto posto al di sotto della mano impegnata. In quel breve lasso di tempo il suo sogno iniziava ad entrare nella realtà tramutandosi in arte. Nacque così un quadro simbolo dell’attività pittorica di Dalí come “La persistenza della memoria” del 1931, raffigurante quegli iconici orologi “morti” e senza forma atti a rappresentare l’inarrestabilità e la contemporanea inutilità del tempo di fronte alla percezione soggettiva della realtà. Una percezione legata alla sensorialità dei corpi e non alla razionalità: insomma, se Protagora di Abdera, parecchi anni addietro, sosteneva che “l’uomo è misura di tutte le cose”, Dalí rilanciava senza tentennamento alcuno che “l’emozione umana è misura di tutte le cose”.
#LALIFEE'BELLA
Salvador Dalì
Curiosità.. Non era l’ospite ideale per un quiz televisivo Dalí è apparso come ospite nel gioco televisivo degli anni ‘50 “What’s My Line”, in cui i concorrenti dovevano indovinare professioni e nomi di alcuni personaggi in studio. Ospite in una puntata, Dalí causò il caos sostenendo di essere contemporaneamente uno scrittore, un personaggio televisivo, un atleta e un artista di cartoni animati. Aveva animali domestici piuttosto bizzarri e pericolosi Negli anni Sessanta a Dalí è
stato regalato un cucciolo di tigre da lui chiamato Babou, che l’artista portava con sé a guinzaglio quasi ovunque andasse. Esemplare è il caso in cui entrò con l’animale in un noto ristorante di Manhattan dicendo con calma che l’animale era un normalissimo gatto che aveva “dipinto in un disegno artistico”. Genio (anche) del marketing Negli anni, Dalí si è affacciato anche al mondo del marketing: ha disegnato una linea di cravatte, una colle-
zione di gioielli da donna e, soprattutto, il famosissimo logo dei Chupa Chups. Avido o lungimirante? Pur essendo ricco e pur non avendo remore a spendere, l’artista si rifiutava fermamente di pagare le sue segretarie. Al posto del denaro, regalava loro dei suoi bozzetti, i quali se nell’immediato non hanno permesso loro di far fronte alle spese quotidiane, hanno contribuito in maniera sostanziale a renderle milionarie dopo la sua morte
"All' età di sei anni volevo essere cuoco, a sette volevo essere Napoleone. La mia ambizione da allora è sempre cresciuta" “La persistenza della memoria” 1931
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