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MUSICA ZERO MZKN EWS
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“LA COSTANTE RICERCA DEL NUOVO E L’INEVITABILE RITORNO DEL CLASSIC. COME STUPIRE IL PUBBLICO SEMPRE PIU ESIGENTE?”
N°13 #musicazerokm
ACHILLE LAURO
ABBONATI a MUSICAZEROKm
FRANCESCO RENGA MARGHERITA VICARIO IL SUONO DEL 2019 SICK TAMBURO BEST FESTIVALS ADRIAN SOUNDMEETER RECENSIONI TASH SULTANA AUDIO RANDOM ANDY WARHOL
MUSICAZERO Km (MZK NEWS) N°13 anno 2019
Editore MZK Lab S.r.l. Via Flaminia 670, 00191 Roma Direttore Responsabile Valeria De Medio valeriademedio2.0@gmail.com Project Manager Marco Gargani Art Director e Progetto Grafico Jacopo Mancini jacopomancini08@gmail.com
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Assistenza Legale Avv. Vanessa Ivone Caporedattore Alessio Boccali alessioboccalimzknews@gmail.com Redattori Carlo Ferraioli, Francesco Nuccitelli, Chiara Zaccagnino, Lavinia Micheli, Cristian Barba, Manuel Saad Collaboratori Esterni Gianluca Meloni, Arianna Bureca, Fabio Turchetti, Paola Carbone Sede Redazionale Via Emilia 82, 00187 Roma Sito & Contatti Tel. +39 3331785676 www.mzknews.com redazionemzknews@gmail.com
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Stampa produzione@miligraf.it Via degli Olmetti, 36 Formello 00060 Finito di stampare nel mese di Maggio 2019 Marketing & Comunicazione Alice Locuratolo comunicazionemzknews@gmail.com Tel +39 / 3382918589
Autorizzazzione rilasciata dal Tribunale Civile di Roma N°2 / 2017 del 19.1.2017
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AVVISO IMPORTANTE: Alcune delle foto di questa rivista sono tratte dalla rete internet in totale mancanza di indicazioni sul
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6 Editoriale 8 Musica a tratti 10 ACHILLE LAURO 12 FRANCESCO RENGA 14 Curiosando: MARILYN MANSON 15 Il gioco della finzione 16 MARGHERITA VICARIO 18 GRETA MENCHI 20 Il suono del 2019: PRIESTESS 22 SICK TAMBURO 24 Esibizioni straordinarie 26 Best Festivals 28 L'industria discografica: GIAMPAOLO ROSSELLI 30 Poster: MARILYN MANSON 32 Lunga vita al maestro BATTIATO 33 Muse e canzoni
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34 Il cinema rock di VERDONE 35 Musica in contrasto 36 Spazio Musica: Recensioni 38 Soundmeeter: COR VELENO 40 Rock o lento?: CELENTANO 41 Trash vs. queer 42 Progetti consigliati da MusicaZero 44 Generation: TASH SULTANA 45 Data store 46 ALESSANDRO QUARTA 48 Audiorandom: audiotecnica a Roma 50 Gli eventi estivi da non perdere 52 Note di gusto 53 "Come stai bene con quella maglietta Fila..." 54 Dandi Media: diritto d'autore 56 #LALIFEE'BELLA: ANDY WARHOL
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yright sulla proprietà e sull’autore, si intendono quindi usate in completa buona fede. Chiunque riconoscesse come suo uno scatto è pregato di segnalarcelo per un’immediata soluzione del problema. Contatta redazionemzknews@gmail.com
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EDITORIALE di Alessio Boccali
“Quando inizia una crisi è un po' tutto concesso, quasi come a carnevale…”
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el titolo di questo editoriale ho scelto di omaggiare i Bluvertigo, la band lombarda che con i look dei suoi membri e soprattutto con il suo rock alternativo rappresentò una voce fuori dal coro negli ultrapop anni ’90. Perché l’ho fatto? Perché, nel momento di palese crisi discografica e adagio sonoro che stiamo (stavamo?) vivendo, avevamo bisogno, ad ogni costo, di uno shock, una rivoluzione per risollevare le vendite dei dischi e ritornare a osare con i suoni. Ora mi direte che “non si fa
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musica per fare soldi” oppure che “l’arte non deve dipendere dal denaro”, vi capisco e in parte la penso come voi, ma la realtà è che senza un mercato, la domanda di un bene, non si crea un’offerta, non si investe e quindi, nel nostro caso, non si promuove nuova musica, non si sperimenta. Ben venga, dunque, la frattura che scuote la scena e mescola le carte sul tavolo. Nella musica, questo squarcio si ripropone ciclicamente: è capitato con il rock‘n’roll, col punk, col grunge, col glam, con la prog, con la musica indie e, ora, con la trap. È una storia che coinvolge la scena musicale mondiale, un percorso sviluppatosi per diverse motivazioni nelle diverse parti del mondo, che tuttavia scaturisce sempre lo stesso effetto: sconvolgere l’ordine delle cose. Guardiamoci nelle orecchie e concentriamoci sul panorama nazionale. Ad oggi, è impossi-
bile non accorgersi dell’effetto “trap” sulla nostra scena musicale: Sfera Ebbasta ha dominato le classifiche di vendite e riempito i palazzetti, Achille Lauro ha sconvolto Sanremo mescolando alla trap un new rock ‘n’ roll, che fa drizzare le antenne anche ai più scettici, e così via. Stiamo parlando di una vera e propria rivoluzione, prevista, sia ben inteso, ma proprio per questo, essenziale. Inutile, quindi, tapparsi gli occhi (e soprattutto le orecchie) e non prestare attenzione a quello che accade, alla scossa scaturita da questi nuovi suoni, da questi nuovi linguaggi. Che gli effetti di questa crisi vi turbino o vi stupiscano, l’obiettivo di questo numero è quello di aprirvi gli occhi sulla realtà che ci circonda, approfondendo tutto ciò che ci ha sconvolto e ci sconvolge oggi, col fine ultimo di conoscere, senza mai giudicare. Buon viaggio!
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SCUOLA DI MUSICA - SALA PROVE - RECORDING STUDIO Sounds Good è un'attività di servizi per musicisti, profes-
Montesano, Pino Insegno, Barbora Bobulova, Anna
sionisti e amatori. La nostra struttura vanta quattro sale,
Foglietta, Valeria Monetti, Tosca etc etc…
di 20 metri quadri. L’acustica degli studi, con un ottimo rap-
La nostra struttura è cresciuta molto negli anni, con un
studiata appositamente per la registrazione analogica/di-
Abbiamo infatti da un paio d’anni ultimato i lavori di in-
rispettivamente di 18, 22, 35 e 48 metri quadri e una regia
porto tra assorbenza e riflettenza delle onde sonore, è stata gitale professionale, e per allestimenti pre-tour di musicisti professionisti.
Dagli inizi della sua carriera ad oggi, abbiamo avuto il piacere di lavorare con Alessandro Mannarino che ha scelto
Sounds Good come struttura di riferimento per gli allestimenti di tutti i suoi concerti.
Abbiamo ospitato inoltre gli allestimenti, prove e registrazioni di molti altri artisti quali:
TheGiornalisti, Coez, Michele Bravi, Ghemon, Briga, Karima, i Maneskin, Federico Zampaglione, Arisa, Vinicio Capossela, Calexico, Alborosie, Diego Caravano, Boomdabash, Supercat, Dawn Penn, Tony Maiello, Tony Momrelle, Fausto Mesolella, Luca Barbarossa, Artù, Tony Canto, Peppe Vessicchio, Enrico
continuo investimento per rendere migliori i nostri spazi. sonorizzazione della nostra sala più grande e prestigiosa: la Live Room, un ambiente unico di 48 metri quadri, ele-
gante e musicalmente confortevole, ma al tempo stesso tecnicamente avanzato, con un’ acustica dinamica studiata e pensata appositamente per la registrazione, prove e allestimenti musicali per i professionisti.
Ci troviamo nel cuore del quartiere Africano, ad un passo dalla Stazione Tiburtina e a 10 minuti dalla stazione Termini. Siamo collegati benissimo inoltre con la Metro B, autobus e treni di cui la Fermata Nomentana (a 400mt ) che porta direttamente a Fiumicino. Inoltre la logistica riguardante
la sistemazione in albergo e la ristorazione per i musicisti è molto agevole, il quartiere infatti offre molteplici opzioni con alberghi, B&B, ristoranti, enoteche, bar etc etc..
Sounds Good srl Via Dancalia 9 – 00199 ROMA P.iva/Cod.Fisc 10664351003 Tel. 068608554 – Mob. 3455837645 Mail: info@soundsgoodroma.com Site: www.soundsgoodroma.com
Grafiche di CHIARA ZACCAGNINO
Musica a tratti
COMA COSE Granata
Musica a tratti
ACHILLE LAURO Rolls Royce
@Chiara.zac @Chiarazac
INTERVISTA Achille Lauro
di Alessio Boccali
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ono la solitudine. Sono l’eleganza. Sono la moda. Sono quello che l’ha creata con due stracci. La mia anima, il deserto dei tartari. Sono una popstar, una rockstar, un punk rockerz, uno scrittore bohémien. Sono un figlio di Dio, un figlio di ma’, un ragazzo normale, un miracolato, un pessimo esempio e la più grande storia mai raccontata prima.” (da “Sono Io Amleto” di Lauro De Marinis in arte Achille Lauro)
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ACHILLE
LAURO
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INTERVISTA Achille Lauro
ph. © Daniele Cambria
ph. © COSIMO BUCCOLIERI
…Oltre a tutto questo, Achille Lauro è la figura cardine di uno sconvolgimento, uno shock avvenuto nella musica nostrana. Un artista interessante ed enigmatico, che ha stuzzicato fortemente la mia maniacale curiosità. Ciao Lauro! L’anno scorso sembrava di stare a Thoiry, oggi con questo nuovo album “1969”, dove siamo? A Hollywood, a Woodstock… più star o più rivoluzionario? Oggi sembra di stare a Hollywood, a Woodstock e a Las Vegas. Io mi sento rivoluzionario nella misura in cui cerco sempre di fare qualcosa di diverso, soprattutto per me stesso. Anche se alla fine, nel fare musica, non seguo altro che la ovvia e continua ricerca della novità. Se altri considerano me e il mio compare (Boss Doms, n.d.r.) delle star o dei rivolu-
ROLLS ROYCE TOUR 4.10
3.10
Tuscany Hall di Firenze
Atlantico Live di Roma
11.10
7.10 Fabrique di Milano 10.10 PalaEstragon di Bologna
Teatro Concordia di Venaria Reale (TO)
13.10
Casa della Musica di Napoli
zionari ci fa piacere. Hai affermato più volte, anche nel tuo libro, che prima o poi prendi sempre i tuoi sogni e li metti in scena… Decisamente! Sono contento di essere sempre consapevole del mio obiettivo e di sapere dove sto andando. …E sei anche consapevole che stai portando avanti un qualcosa che sconvolge gli schemi del panorama musicale italiano attuale? Ne senti la responsabilità? Sono contento, quando si fa musica si è un po’ come pittori, nessuno disegnerà lo stesso quadro per tutta la vita, così come appunto nessuno suonerà o canterà la stessa cosa per tutta la vita. L’impegno personale e la responsabilità nei confronti della musica e di chi ti ascolta c’è, ma non bisogna mai dimenticare che gli artisti non sono educatori; quello che facciamo è semplicemente arte, è quell’essere diversi che ci ha salvato la vita. Musica e immagine per te sono stati sempre legati a stretto giro… Per fare il musicista basta la musica, ma nel 2019 immagine e musica vanno a braccetto: per colpire e rimanere, un’immagine propria che ti identifichi è estremamente importante. Il futuro? Nelle mie canzoni c’è sempre un po’ di futuro. Abbiamo pronti tre album, tutti diversi l’uno dall’altro, ma sicuramente questa attitude new rock ‘n’ roll/ punk che puoi ascoltare in “1969” la svilupperemo. Gliel’avete detto a Noel, che è qui a qualche camerino da voi, che tu e Boss Doms sarete i nuovi Oasis? Ancora no, la nostra stima per Noel e Liam Gallagher è immensa. Noi lo abbiamo detto a Sanremo e ce lo auguriamo ogni giorno di diventare i nuovi Oasis, magari…
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INTERVISTA Francesco Renga
FRANCESCO RENGA
“L’altra metà” e una ritrovata naturalezza di Alessio Boccali
"Se ripenso ai miei vent’anni, a quando nel ’91 sono stato a Sanremo con i Timoria, ti dico che quel tipo di linguaggio, che pure “sconvolse”, era per noi naturale. In questo festival, quella naturalezza l’ho rivista in artisti come Mahmood o Ultimo."
ph. © Toni Thorimbert
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rancesco Renga non ha mai avuto paura di rompere gli schemi e di mettersi in gioco. A vent’anni come a cinquanta la sua esigenza di sperimentare e di sconvolgere i suoi piani è sempre forte e il suo “L’altra metà” testimonia proprio questo bisogno, consegnandoci un artista inedito, che ha saputo rinnovarsi e trovare la chiave comunicativa più adatta al suo raccontarsi oggi.
Ciao Francesco, hai dichiarato che “L’altra metà” segna uno spartiacque nella tua carriera guidato dalla voglia di sperimentare e rinnovarti… Esatto, è proprio questo. È un bel punto di arrivo per me essere riuscito a trovare un mio linguaggio che sia adeguato alla musica che mi circonda. Questo disco è appunto uno spartiacque tra un prima e un poi. Mi ci è voluto un po’ di tempo per arrivare a questa sintesi: già in “Tempo reale” – il mio precedente lavoro – sentivo che la musica stava cambiando e che avevo bisogno di trovare un linguaggio nuovo, che mi tenesse ben radicato nel presente musicale. È comunque una necessità che ho sempre sentito negli anni: ho vissuto varie ere musicali nei miei 35 anni di carriera e questa volta sentivo il bisogno di fare musica che potesse parlare anche alla generazione dei miei figli. Ne “L’altra metà” sono riuscito a trovare una quadra a tutto quanto, anche
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grazie al confronto con giovani autori e musicisti come Ultimo, Gazzelle e tutti gli altri. È un disco che ha una cifra molto univoca pur essendo altrettanto vario, avevo bisogno di trovare quella naturalezza nella scrittura e nel canto, che fosse contemporanea, ma che rispettasse anche il mio percorso artistico. Come si accennava, questo non è il primo spartiacque della tua carriera: penso al percorso con i Timoria e a quel rock che ha sconvolto la scena musicale italiana dell’epoca. Oggi hai cercato di interpretare la scena italiana contemporanea, sconvolgendo il tuo modo di fare pop e rimettendoti in gioco? Esattamente. Quando parlo di naturalezza, io faccio riferi-
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INTERVISTA Francesco Renga
mento proprio a quel periodo lì: se ripenso ai miei vent’anni, a quando nel ’91 sono stato a Sanremo con i Timoria, ti dico che quel tipo di linguaggio, che pure “sconvolse”, era per noi naturale. In questo festival, quella naturalezza l’ho rivista in artisti come Mahmood o Ultimo.
Anteprime del tour il 27.05 all'Arena di Verona e il 13.05 al
Oggi, per me, era questa naturalezza l’obiettivo da raggiungere e per farlo mi sono rimesso in gioco e mi sono sentito vivo. Se fai musica pop con l’intento di comunicare qualcosa e arrivare al pubblico, devi trovare un linguaggio adatto ai tempi che stai vivendo. È una scommessa difficile, ma che è giusto fare. Se a vent’anni la propensione a rompere gli schemi è naturale, a cinquant’anni per rimettersi in gioco ci vuole più tempo, ma vale la pena farlo.
Teatro Antico di Taormina. Poi via al tour teatrale che partirà in ottobre.
Nel pezzo “L’amore del mostro” parli di “Lato nascosto che sai solo tu…”. È questa l’altra metà che dà il nome al disco? Sì, l’altra metà è quella parte di noi che, per paura, per pudore o perché ancora non siamo riusciti a comprenderla, tendiamo a nascondere. Tuttavia, per me, è anche quell’aspetto, quel sentimento che viene sempre fuori quando scrivo una canzone, ma che diventa condivisibile quando trovo qualcuno con il quale ti viene naturale condividerlo. “Che strano finire anche noi, che abbiamo dato tanto e raccontato di quel viaggio…”. Questa è la frase che più mi ha colpito della tua “Finire anche noi” contenuta in questo album e che, alla luce di quello che ci siamo detti, ricollego allo spartiacque che hai voluto mettere nella tua carriera con questo lavoro. Ti ha creato smarrimento questo cambiamento? Hai colto perfettamente la profondità di quel pezzo. In quella canzone c’è la fatica, il tormento, lo smarrimento, ma c’è anche il ritorno a un qualcosa di diverso, l’opportunità di rinnovarsi.
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ph. © Toni Thorimbert
Abbiamo detto che, con questo disco, la tua esigenza più grande era quella di trovare un linguaggio moderno da tutti comprensibile con il quale comunicare senza filtri davvero con tutti quanti; passa da qui, quindi, l’esigenza di tornare a suonare anche nei teatri? Sì, da quando sono più attivo sui social ho percepito nel pubblico l’esigenza di sentirsi più vicino alla mia musica e quella di esibirmi nei teatri era una richiesta che mi arrivava da più parti. Anch’io poi avevo voglia di ritornare a quell’intimità, a quell’atmosfera. A teatro apprezzi di più tante cose. A teatro quando è buio, è buio. Nei palazzetti, invece, non c’è mai il buio.
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CURIOSANDO Marilyn Manson
Marilyn n o s n a M
a cura di Francesco Nuccitelli
Doppio nome d’arte
Il caro e amato Marilyn Manson, all’anagrafe Brian Hugh Warner è nato a Canton in Ohio nel 1969 e risulta tra i musicisti più apprezzati negli USA. Ma da dove nasce la scelta di questo nome? Il suo nome nasce dall’accostamento dei nomi della grande attrice Marilyn Monroe e del celebre killer degli anni sessanta Charles Manson.
Le Influenze
L'artista, nel corso della sua vita e della sua carriera, ha sempre giocato sul binomio bene e male. Mentre la sua adolescenza è caratterizzata da una scuola cattolica rigidissima, la sua vita artistica è caratterizzata da artisti eccentrici quali: Alice Cooper, Black Sabbath e David Bowie.
Il Cinema, oltre la musica...
Oltre che nella musica si è contraddistinto anche in altri settori. Debuttò nel mondo del cinema nel 1997, come attore nel film Strade perdutè di David Lynch, per poi partecipare in altri film in alcuni cameo. Ha collaborato con attrici come Asia Argento e Rose McGowan. Inoltre, si racconta che Johnny Depp si sia ispirato allo stesso Manson per il celebre personaggio di Willy Wonka nel film “La fabbrica di cioccolato” di Tim Burton.
Un mostro dal cuore d'oro
Non si giudica un libro dalla copertina. Ed è proprio questo il caso, perché Manson, quando non indossa le vesti di oscura rockstar è un vero e proprio personaggio dal cuore d’oro. Infatti, ha supportato diversi progetti e organizzazioni (quali Make-A-Wish, Music for Life etc) per aiutare giovani ragazzi con un reddito basso o che hanno subito abusi sessuali o altri problemi.
Rock and Love
Il reverendo del rock oltre che per la sua musica è anche celebre per i suoi flirt. Infatti, Manson ha sedotto alcune delle donne più belle del pianeta come: la regina del burlesque Dita Von Teese o la causa del loro divorzio Evan Rachel Wood o anche l’attrice Rose McGowan.
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FOCUS Il gioco della finzione
COME SUONA IL GIOCO DELLA FINZIONE
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di Valeria De Medio
utti indossiamo una maschera, diversa a seconda delle situazioni che viviamo e più o meno aderente a quello che siamo davvero: fingersi qualcuno -o qualcosa- che non siamo è una pratica profondamente radicata nell’essere umano, fin dalla preistoria. Il “feticcio identitario” per eccellenza assume nel corso dei secoli le declinazioni più diverse, nei riti religiosi, nelle pratiche egizie di imbalsamazione, come accessorio indossato dagli attori delle tragedie greche per caratterizzare i personaggi e come cassa di risonanza per la voce degli attori stessi. Costantemente in bilico tra il sacro e profano, spesso avvolta da un’aura di ritualità, o anche concepita come scherzo carnevalesco, la forza della maschera sta nello stupore, nel senso di smarrimento e allo stesso tempo nel gioco identitario a cui partecipano tutti, chi la indossa e chi la accoglie. E quale miglior modo di usare una maschera se non su un palcoscenico? Il mondo della musica è costellato di artisti che hanno costruito il loro personaggio sulla finzione, su un personaggio riconoscibile dalla collettività e che esiste proprio in funzione di questa: che ne rispecchia le idee, i modi di essere, i sentimenti, i desideri, i sogni, le da voce e la sorprende. I mitici Beatles sono stati tra i primi a giocare con il travestimento. Sulla copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, al culmine della loro carriera, i mitici scarafaggi di Liverpool si sono fatti ritrarre nei panni di una comunissima band di paese: provocazione o semplice ironia? Forse entrambe. Come non parlare poi dell’immenso Bowie e dei suoi indimenticabili personaggi? Il dio del glam Ziggy Stardust non viveva di una stravaganza fine a sé stessa ma, con i capelli “Hot Red” e i suoi costumi laccati di rosso, rivendicava il cambiamento di identità e la libertà sessuale. Bowie è diventato poi Aladdin Sane, la maschera con l’epico fulmine rosso e blu sul volto, gioco di parole per “a lad insane” in riferimento al fratello affetto da schizofrenia: “c’erano stati troppi suicidi nella mia famiglia per i miei gusti. Pensavo che, se fossi riuscito a trasferire questi eccessi psicologici nella mia musica e nel mio lavoro, sarei riuscito a liberarmene” ha dichiarato il camaleonte del rock, prova eclatante della personalissima funzione catartica della maschera. Così è stato anche per il Duca Bianco: capelli color platino, camicia bianca e gilet nero, il suo look minimal black&white era la maschera per il tormento che viveva in quel periodo.
Negli stessi anni, in Italia, Renato Zero fa scuola con le tutine in lamè de “Il triangolo”, inno alla libertà sessuale e con vestiti da canarino, presa di posizione contro la caccia, per poi ricoprirsi di piume di struzzo e di quel trucco marcato all’inverosimile che faranno scuola a un decisamente più greve Marylin Manson. “Adesso non sono qualcuno che non sono, ma qualcuno diverso da quello che ero prima, diventando Marilyn Manson“ dichiarava Manson a un Paolo Bonolis che gli chiedeva se la sua fosse una maschera che lo nascondesse o uno specchio di verità. Bianco e nero erano anche le maschere dei Kiss, ispirate al teatro giapponese kabuki: al di là delle critiche sul pop metal, The Starchild, The Demon, The Spaceman, The Catman, The Fox hanno fatto la storia della musica. Sulla scena musicale contemporanea si contano centinaia di maschere e travestimenti: dalla signorina del trasformismo Lady Gaga, ai robotici Daft Punk, gelosissimi della loro privacy, come -l’ancora avvolto dal mistero- Liberato, o l’angelo dall’occhiale da sera MYSS KETA, che copre la sua identità perché tutti possano “essere Keta”, fino a Junior Kelly, che ammette “vedere il mondo sapendo che nessuno vede il mio volto è la cosa più figa che mi sia capitata fino ad ora.” Slipknot, Marshmello, Claptone, I Tre Allegri Ragazzi Morti sono solo alcuni di quegli artisti che, in un’epoca in cui la sovraesposizione mediatica della propria identità la fa da padrona e tutti pretendono i loro sacrosanti 15 minuti di popolarità, hanno scelto di coprire il loro volto. Protezione della privacy, necessità di lanciare un messaggio, dare voce al proprio pubblico o tutto questo insieme? Poco importa perché sempre più spesso maschera e musica si fondono in quel tutt’uno che è la performance artistica. “L’uomo è meno se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità" diceva Oscar Wilde.
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INTERVISTA Margherita Vicario
ph. © IVAN CAZZOLA
Margherita
VICARIO
Attrice e cantautrice, la poliedricità come marchio di fabbrica e una carriera che procede su due binari non sempre paralleli di Cristian Barba
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argherita Vicario respira arte da quando è nata. I personaggi interpretati in tv l’hanno resa popolare, ma scrivere e cantare i suoi pezzi le dà maggiore libertà di esporsi in prima persona. Negli ultimi anni in realtà ha trascorso più tempo sui set che negli studi di registrazione, ma l’incontro con Davide DADE Pavanello e il passaggio a INRI potrebbero aver segnato una svolta. Ciao Margherita. Nel 2017 hai pubblicato un singolo - La matrona - che avrebbe dovuto anticipare l’uscita di un album nello stesso anno. Poi cos’è successo? Ho lavorato ad una serie tv che mi ha tenuta ferma 6 mesi e in più non ero sicura della mia condizione dal punto di vista discografico: ero un po’ sospesa nel nulla e non mi andava di affrontare l’uscita di un disco senza una struttura e una squadra dietro. Sia in Abauè che in Mandela sviluppi un approccio critico rispetto a temi di calda attualità. Senti una maggiore responsabilità o comunque una maggiore esposizione prendendo posizione su determinate questioni? Sicuramente crescendo ho iniziato a sentirmi parte della società in un modo diverso rispetto a quando avevo vent’anni. Prendo posizione semplicemente perché racconto di sentimenti ed esperienze che vivo, senza una strategia o una volontà precisa. Semplicemente dico la mia: può essere sull’amore, su una sofferenza, su un affetto, su un amico, su un collega, su un amante o su un immigrato. Propongo una mia visione delle cose, che spesso è leggera ma dolorosa. E poi un po’ di
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N°13 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
INTERVISTA Margherita Vicario
traduzione della realtà in musica non fa male, lo so che non va molto di moda nell’itpop megaromantico super maschile, però ecco si può raccontare di tutto.
Hai raccontato la morte di un trap boy con tono tragicomico, proiettandola - grazie anche a Francesco Coppola - in universo culturale che la celebra con balli e canti. Credi davvero che a breve assisteremo al funerale della trap o è solo una provocazione? Non lo so, tutto cambia molto velocemente, il mio era un sogno più che una provocazione. Mi sono lasciata andare a una specie di nenia trap - anche molto tragica nel prerit - che poi però viene esorcizzata da un canto africano. C’è di tutto in Abauè, l’elaborazione del suicidio di un adolescente attraverso un’altra cultura. Sono degli spunti. Io non so che succederà, forse mi sono esposta fin troppo, per me quella canzone ha molti significati, ma è inutile spiegarli uno per uno. Nei mesi scorsi si è dibattuto molto su quanto sia giusto che gli artisti intervengano su questioni politiche. Tu hai lasciato intendere la tua opinione in merito con Mandela, un inno antirazzista in un momento storico in cui l’odio sociale di matrice xenofoba si diffonde facilmente (“perché sai non sembra ma qui c’è una guerra”). Come si combatte questa guerra? Io la combatto così. È una forma di resistenza al brutto, al becero, all’ignorante. Ci sono modi e modi di dire la propria. Per me gli artisti devono fare esattamente come gli pare, chi pensa che un artista non debba esporsi è un cretino. Gli artisti traducono la realtà, che sia una realtà interiore, personale o una realtà più sociale e collettiva. Poi scusa, può dire la sua un analfabeta su facebook e non può metterla in musica e in rima un cantautore? Eh no, non me sta bene che no. (cit.)
ph. © IVAN CAZZOLA
Abauè è stata una sorpresa. Al primo ascolto è quasi disturbante, dopo entra in testa e si fa fatica a smettere di ascoltarla. È un pezzo coraggioso e questo mi dà l’impressione che tra te e Davide DADE Pavanello si sia creato un rapporto di stima e fiducia reciproca. È così? Assolutamente sì. A DADE piace sperimentare e muovere il culo sulla sedia mentre lavora. Io porto delle idee, lui ne porta altre. Mi sta facendo fare degli ascolti nuovi e abbiamo più o meno la stessa idea di intrattenimento. Non ci piace molto la musica “mastica e sputa”, bisogna essere contemporanei ma unici.
"Ci sono modi e modi di dire la propria. Per me gli artisti devono fare esattamente come gli pare..."
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INTERVISTA Greta Menchi
Greta MENCHI
mi sono esposta tanto e ne ho anche sofferto, però tutto ciò è servito a creare un legame vero, come ce ne sono pochi al giorno d’oggi. Nelle sonorità strizzi un occhio alla trap? No no, il mio è un nuovo progressive pop!
Con “Fuori di me” vi presento Greta in musica
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di Alessio Boccali
ioniera di YouTube Italia, Influencer, attrice, scrittrice e ora anche cantautrice. Greta Menchi non si pone limiti e con il suo primo singolo “Fuori di me” ci consegna il suo biglietto da visita musicale senza rinunciare alla sua personalità e alla sua ironia. Ciao Greta! Da YouTube, passando per il cinema e un libro, fino ad arrivare ad un brano musicale. Come mai hai sentito che questo era il momento giusto per esprimerti in musica? Ciao Alessio! Negli anni, in realtà, ho lavorato molto sulla musica, anche se poi non l’ho fatto vedere. Ho creato molto e mai pubblicato perché non sapevo bene cosa volessi e sentivo che non era il momento giusto; questo soprattutto agli inizi, quando ha prevalso la mia voglia di fare videoshow sul web. Adesso ho trovato la chiave che cercavo per aprire e mostrare a tutti questa parte di me che molti già conoscevano, perché cresciuti con me, ma che altri ancora ignoravano. Con questo singolo voglio dar vita a un nuovo capitolo. E sarà diversa Greta in questo nuovo capitolo? Assolutamente no, anche per questo non ho scelto un nome d’arte. Questo nuovo capitolo rappresenterà quello che sono sempre stata, però in musica. Quello che ho sempre cercato di esprimere anche sul web, ma che adesso è davvero un mio universo ben definito. In questi anni, forse, sono stata un po’ meno presente, ma le persone che mi seguivano sono rimaste sempre al mio fianco e questo mi rende davvero felice. C’è un rapporto con loro che non so descrivere bene a parole, ma che è così familiare che mi commuovo quando mi chiedono, ad esempio, di salutare mia mamma. Ho condiviso con loro tante emozioni,
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Nella cover hai un look molto vintage e iconico: un omaggio ad Amy Winehouse? Molto retrò, sì. In realtà, però, la chiave per interpretare l’immagine sta nel testo stesso. Infatti, canto “Sono l’oceano, ma in testa ho le stars”. Ho anche un tatuaggio con scritto “I am the sea and nobody owns me”, una frase tratta da Pippi Calzelunghe. L’idea di creare un’immagine forte, iconica però c’è, su questo hai ragione. Il web ha ormai rivoluzionato il mercato in ogni campo, tu che sei nata come youtuber agli inizi di questa operazione ti senti un po’ una rivoluzionaria? Nel 2013 ho iniziato a fare le mie cose su YouTube in maniera continuativa, anche se già prima sperimentavo un po’ sul web. Mi sento molto fortunata perché ho vissuto una fase molto spontanea del fenomeno e sono stata un po’ una pioniera nella trasformazione di YouTube in una possibile piattaforma di lavoro. Tuttavia, quando ho iniziato, l’Italia non sapeva cosa fosse uno youtuber e per questo spesso si creavano situazioni strane, paradossali. Addirittura, i centri commerciali dove incontravo i miei “followers” non erano preparati e a volte si verificavano problemi di sicurezza. Anche per me, poi, inizialmente era strano: durante la stessa giornata abbracciavo tremila persone al centro commerciale e poi tornavo a casa ed ero sola col pensiero al programma scolastico del giorno successivo: se ho iniziato a fare video sul web era perché mi annoiava la mia routine quotidiana. Adesso c’è più consapevolezza riguardo a queste figure professionali da parte degli esterni, anche se l’ambiente è saturo e i “nuovi” pensano subito a YouTube come a un lavoro. Hai in mente l’uscita di un disco ora? Ho delle cose quasi pronte da rifinire. Avevo bisogno, però, che “Fuori di me” fosse il mio biglietto da visita nella musica. Adesso voglio godermi questo momento in cui sono felicissima e sto bene con me stessa e con quello che creo. Sono riuscita ad esprimermi e questo mi fa tirare un sospiro di sollievo, anche se so che bisognerà darsi da fare. Ah, occhio al video del pezzo che
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INTERVISTA Greta Menchi
sarà fuori in questi giorni: ho faticato tanto – proprio a livello fisico – per realizzarlo, ma ne è valsa la pena!
La sua avventura sul web inizia nel 2013
Quindi “Fuori di me” è più Greta, cioè quello che sei, piuttosto che quello che c’è fuori di te? (Ride, n.d.r.) Sì, è verissimo. Assolutamente!
caricando video in cui racconta con semplicità e ironia la sua vita quotidiana. Ad oggi Greta è una delle youtuber più popolari in Italia e il suo canale YouTube conta oltre 1,2 mln di iscritti e
123 mln di visualizzazioni. Numeri sorprendenti che si confermano anche su ph. © JESSICA DE MAIO
Instagram dove è seguita da oltre
1,8 mln di follower e su Twitter da
762 mila.
ph. © JESSICA DE MAIO
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NEWS Il suono del 2019
diversi Secondo musica ntifici, la studi scie del il gusto uenzare fl in nzaò u u p ero infl e i dovrebb ss a b I . o cib la pietanza rendendo re o p sa re il gli acuti , mentre più amara pore del bero il sa rendereb dolce. piatto più
IL SUONO DEL 2019: PRIESTESS
“Pensavi che una ragazzina non potesse fare trap, fare rap, fare questa roba qua…”
P
di Alessio Boccali
riestess è, prima di tutto, una giovane donna che è riuscita ad affermare la propria voce in un campo dominato solitamente da figure maschili. Una piacevole eccezione che apre la strada a una schiera di amazzoni agguerrite. Se, infatti, la scena rap italiana è da sempre considerata dai più un affare da uomini, che spesso si atteggiano da gangsta o da machi, mettendo l’apparire davanti a tutto, ultimamente la musica sta cambiando. Ed è per questo che alle orecchie più esperte non è di certo sfuggita la carica e la bravura di questa ragazza classe ’96. Considerata da grandi esponenti della scena e non solo come una delle bombe a mano pronte ad esplodere in questo 2019, Alessandra Prete (questo il vero nome della rapper) è da poco uscita con “BRAVA”, il suo primo album ufficiale. Un disco, già maturo, animato dalle tante sfaccettature della personalità femminile, che la ragazza chiama con nomi di donna evocativi nei titoli alla maggior parte delle tracce in tracklist, che contribuiscono alla lotta per vivere da protagoniste ogni lato dell’esistenza. Priestess è la dimostrazione che per fare rap, ma più in generale musica, sia necessario avere sì gli attributi, ma non intesi come peculiarità anatomiche, quanto piuttosto come caratteristiche caratteriali. Alessandra è una guerriera che bada molto alla sostanza, sa di essere brava e non si nasconde dietro a photoshop: è più facile che indossi un cappuccio per celare le sue umane fragilità. Questa personalità si traduce in una donna coraggiosa e fiera della sua musica, che dopo la gavetta intende raccogliere ciò che ha seminato. Com’è giusto che sia.
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INTERVISTA
ph. © ILMARZA
Sick Tamburo
SICK TAMBURO
Vi raccontiamo la paura e la sua soluzione…
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alle costole dei Prozac+ e dalle menti di due dei componenti della band di “Acida”, Gian Maria Accusani ed Elisabetta Imelio, nel 2007 ha preso vita il progetto dei Sick Tamburo. Oggi, dopo svariate esperienze in studio e dal vivo, è uscito “Paura e l’amore”, un disco che racconta il malessere e ne propone una valida soluzione. Ne ho parlato con Gian Maria, proprio pochi giorni fa… Ciao Gian Maria, partiamo parlando di “Paura e l’amore”, il vostro nuovo album. Cosa c’è di diverso rispetto al passato?
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di Alessio Boccali
Innanzitutto, questo è il disco più eterogeneo che abbiamo fatto. Siamo riusciti a mettere nel nostro percorso più cose del solito: pur tenendo un unico filo conduttore sonoro abbiamo inserito varie sfaccettature del nostro percorso. Per quanto riguarda le liriche, parliamo di disagio, come successo già in passato, ma, forse anche grazie anche al nostro lavoro precedente “Un giorno nuovo”, a questo malessere diamo sempre una soluzione. Da qui il titolo: l’amore è la soluzione al disagio creato dalla paura. C’è anche una maggiore voglia di normalità? Prendo ad esempio il brano
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“Mio padre non perdona”… Assolutamente sì! La normalità è la vera vita. È inutile cercare fantasticherie quando abbiamo a disposizione la normalità, che poi è la realtà. Alla fine, è proprio la normalità ciò che ci rende gli uni diversi dagli altri. Quindi Andrea – il protagonista di un altro brano del disco - è così speciale perché in realtà è normale? La storia di Andrea è quella di un ragazzo autistico, che ho conosciuto un po’ di anni fa e che mi aveva colpito molto. Dici bene, anche questa è la normalità; se io sono in un modo o in un altro, perché la
INTERVISTA Sick Tamburo
Prozac+
Dalle costole dei e dalle menti di due dei componenti della band di
“Acida”
natura ha voluto così, è la normalità. Parlando di suoni c’è sempre stata una grande coerenza da parte vostra… Siamo rimasti fedeli, più che a un suono preciso, a un’idea ben precisa del fare musica. Credo che, ormai, i Sick Tamburo possano essere riconosciuti per un vero e proprio stile, un modo tutto nostro di costruire musica; di conseguenza, noi facciamo sempre ciò che ci piace guidati dalla nostra cifra stilistica. Se prima i Prozac+ era una reazione ad una società che non vi piaceva, oggi nei Sick Tamburo come si è tradotto questo sentimento? Sono passati diversi anni e abbiamo una maturità diversa. Lì si raccontavano delle cose senza prendere delle posizioni decise, adesso abbiamo una consapevolezza delle cose diversa, che ci consente di proporre una nostra soluzione. E che ne pensi della reazione proposta invece da questi generi come la trap, che stanno prendendo piede in Italia in quest’ultimo periodo? Possono interpretare quella trasgressività che avete rappresentato voi negli anni 2000? Non sono un fine conoscitore della trap, ma devo dire la verità: forse questo genere, più di tutte le altre cose “nuove”,
può essere associato, più che a quello che facevamo noi in quegli anni, a quella deriva alla quale poi ci eravamo ispirati anche noi, ovvero al punk. Nella sua modalità di “uscita”, la trap mi ricorda molto il punk. Parliamo di suoni fuori dagli schemi proprio come lo erano all’epoca i suoni punk. Nel disco c’è un brano in cui citate Tim Burton e, in effetti, pensando alle sue atmosfere cupe, ma dominate da un ritmo incalzante potrebbero esserci delle assonanze tra la vostra musica e il suo cinema… Beh, l’immaginario sicuramente ci accumuna. Considero Tim Burton un gigante e, quindi ne parlo con estrema umiltà, però, in effetti, è vero quello che dici: lui nel cinema, come noi nella musica, parla sempre di gente un po’ fuori dal coro, di gente che non ha la fortuna di essere felice, inserita in scenari particolari, spesso cupi anch’essi. La dicotomia tra paura e amore inserita nel titolo dell’album è anche quella che c’è in voi tra quando indossate il passamontagna sul palco e quello che poi c’è dietro, il vostro volto insomma… Esatto! Il passamontagna è un’immagine emblematica di paura. Tolto il passamontagna noi sappiamo bene quello che
c’è dietro: timidezza, delicatezza, amore… Con questo titolo abbiamo trovato il modo perfetto per descriverci. In chiusura, volevo un parere sulla crisi di Myspace – si parla di una perdita di circa di 50 milioni di brani caricati sul sito –, visto che nel 2007 il progetto Sick Tamburo si è animato proprio da quella piattaforma, e su una possibile ripercussione di questa crisi sugli artisti emergenti… L’ho letta pochi giorni fa questa cosa. Ai tempi avevamo caricato sul sito delle parti di brani, che poi effettivamente sono andate a finire nel nostro primo lavoro in studio. Per quanto riguarda gli emergenti credo che se tu hai uno spazio a disposizione, tanto di guadagnato, l’importante, però, è che questo spazio venga ricercato da qualcuno. Lo stesso discorso si potrebbe fare anche su YouTube che è in piena salute, se nessuno ti cerca, non serve a nulla. È un mondo talmente in evoluzione, che ogni strategia per farsi conoscere potrebbe essere giusta oggi e sbagliata domani. L’unico suggerimento che mi sento di dare sempre è quello di fare sempre ciò che si ama fare. Niente potrà ripagarti più di questo.
FOCUS Esibizioni straordinarie
Esibizioni straordinarie: l’incontro tra genio, musica e follia
Salire sul palco è ciò che consacra il lavoro di chi fa musica e si può trasformare in uno spettacolo senza precedenti
L’
di Carlo Ferraioli e Cristian Barba
amore provato dai fan di mezzo mondo per i propri idoli è direttamente proporzionale alla voglia che questi ultimi hanno di incantare, avvolgere e sorprendere gli ammiratori stessi. È quasi come se fosse una gara: da un lato centinaia di migliaia di persone pronte a percorrere distanze enormi, a sostenere costi elevatissimi e a fronteggiare qualsiasi tipo di intemperie; dall’altro veri e propri geni dei live show intenzionati a non deludere minimamente le platee e pronti a ripagare i propri ammiratori con spettacoli memorabili e fuori dal comune. In una sola parola, epocali. The Claw, il gigantesco palco a forma di artiglio del 360° Tour degli U2, ad esempio, consentiva al pubblico una visione da ogni angolo della location. Quella tournée durò ben tre anni (2009, 2010 e 2011) ed è al primo posto sia per quanto costò che per quanto fruttò, con un incasso di 736 milioni di dollari. Dopo il 360° Tour degli U2, quello che è costato - e ha incassato - di più è stato il Bigger Bang Tour dei Rolling Stones nel 2006, anche questo con una scenografia mastodontica. Ciò che però è rimasto maggiormente nella storia di quel tour fu la data sulla spiaggia di Copacabana, che raccolse 1,3 milioni di spettatori (non paganti). Numeri pazzeschi per quello che però è “solo” il sesto concerto più affollato di sempre: proprio a Rio de Janeiro, Ros Stewart nel 1994 si esibì davanti a 3,5 milioni di persone, stessa impressionante cifra raggiunta l’anno successivo a Mosca da Jean-Michelle Jarre. Al di là di spese, incassi e pubblico, tanti altri grandi artisti hanno fatto godere i propri fan con show indimenticabili. È bene infatti ricordare anche l’avveniristico “ragno” (dal quale prende il nome il più noto Glass Spider Tour) che nel 1987 accompagnò il Duca Bianco David Bowie nelle sue 86 date in giro per il globo. O come non citare Madonna, una che di show mozzafiato e di scelte che non passano inosservate se ne intende. La regina del pop, infatti, nel Confessions Tour del 2006 ha cantato Live to
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Tell su una croce di specchi e con una corona di spine in testa. Il tutto fu giustificato come metafora di un’umanità crocifissa da guerre, fame e povertà, ma le costò comunque la terza scomunica dopo quelle del 1986 e del 1989. Tornando invece a concerti realizzati in anni più recenti, non si può escludere lo spettacolo messo in piedi nel 2011 da Kylie Minogue per il suo Aphrodite - Les Folies Tour, un tributo al mondo greco con una scenografia da 25 milioni di dollari e un palco composto da un milione di parti mobili, sette ascensori, seicento sorgenti luce e un fly system attraverso il quale poteva volare sul pubblico. Insomma, poca roba.
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VENT’ANNI ANNI DI PASSIONE IN SCENA AL
TEATRO OLIMPICO
Vent’anni di passione, di rigore, di disciplina, di impegno e di successi. Era il 1998 quando il Centro Dimensione Danza aprì i battenti. Oggi, vent’anni dopo, il Centro è una bella e concreta realtà produttiva del Comune di Formello: il prodotto dell’impegno costante e della dedizione del suo fondatore. Federico Vitrano, per l’appunto... Un uomo con un esperienza ed un prestigio personale e professio-
nale invidiabili - di passi falsi non ne ha commessi: ciò che il suo Centro Dimensione Danza è diventato nel corso degli anni ne è la prova; riconoscimenti di alta professionalità e qualità, ringraziamenti per appoggi di beneficenza, conferma di una realtà apprezzata a livello regionale e nazionale. La scuola ha partecipato, infatti, ottenendo ottimi risultati a concorsi, spettacoli, rassegne per dar modo agli allievi di fare “pratica di palcoscenico”. Ma la danza voluta da Federico Vitrano non è soltanto spensieratezza e allenamento, ma anche un momento dedicato alla riflessione: per occuparsi di chi soffre e per sostenere chi impegna la vita nella ricerca e nella solidarietà. Ecco come tutto questo ha anche una valenza sociale. Da sempre, il Centro Dimensione Danza è attento ai
problemi di chi è meno fortunato. Ed è per questo motivo che lo Spettacolo Annuale, si trasforma in una grande occasione per il Comune di Formello: un evento a cui tutti vorrebbero prendere parte. I proventi dell’evento che il Centro si prepara ad allestire al Teatro Olimpico di Roma il prossimo 8 Giugno 2019, saranno destinati all’AIL ( Associazione Italiana contro le Leucemie ). Con il Patrocino dell’Assessorato allo Sport, Roma Capitale, Regione Lazio e Banca del Credito Cooperativo. Ospite d’onore della serata l’etoile internazionale Raffaele Paganini. Il ricavato, infatti sarà devoluto per la realizzazione di una nuova casa accoglienza, che ospiterà i bambini che vengono a Roma per curarsi con le loro famiglie.
MUSIC STORY Best Festivals
NON FIORI, MA BIGLIETTI PER I CONCERTI Breve cronistoria di festival e stupore a cura di Lavinia Micheli
In principio fu Woodstock
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orreva l’anno 1969 quando quattro giovani di buona estrazione sociale, John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Mike Lang, diedero vita al più grande festival della storia del Rock: Woodstock. L’intento iniziale era quello di spendere in maniera utile e grandiosa l’immenso patrimonio di John Roberts, il quale fece pubblicare un annuncio sul giornale per raccogliere idee. Il resto della storia la conosciamo tutti: più di 500.000 persone si recarono per tre giorni, dal 15 al 17/18 agosto 1969, nelle campagne attorno alla cittadina di Bethel, nello stato di New York, Stati Uniti d’America. Amore libero, pacifismo e ottima musica consacrarono per sempre Woodstock come tempio del Rock e della cultura hippie.
The Isle of Wight Festival
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ià dal 1968 veniva organizzato questo festival estivo nell’isola di Wight, in Gran Bretagna. Ma l’edizione che rimase nel cuore di molti fu sicuramente quella del 1970. Non solo perché si trattò dell’ultima apparizione di Jimi Hendrix prima della sua morte, ma anche perché fu l’ultima esibizione europea dei Doors. Tanti gli artisti a salire in scena: gli Who, Joni Mitchell, Miles Davis, Leonard Cohen, solo per citarne alcuni. 60.000 persone fra cui molti non pagarono il biglietto, causando un buco di circa 125.000 sterline. Anche per questo il governo britannico decise di porre fine al festival, che ha riaperto i battenti nel 2002 e ancora oggi si celebra ogni anno a giugno.
The Isle of Wight Festival
Woodstock
500.000 spettatori
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60.000 paganti
MUSIC STORY Best Festivals
Ligabue a Campovolo e il Vasco Modena Park.
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ra i concerti che hanno suscitato maggior stupore dei fan in visibilio nel nostro Paese, ci sono sicuramente l’evento a Campovolo di Reggio Emilia nel 2015 di Luciano Ligabue, giunto a festeggiare i 25 anni di carriera in quell’anno (151.395 biglietti pagati) e il Vasco Modena Park con oltre 220.000 spettatori, nel 2017. In entrambi i casi si è trattato di un’esperienza a 360° per gli spettatori, che hanno potuto godere delle più belle canzoni di sempre scritte dai propri idoli in un’atmosfera strabiliante e carica d’adrenalina.
In questo 2019 si festeggeranno i 50 anni dall’allunaggio… e da sem pre la luna è stata musa di tan ti artisti e di tante canzoni da “Dillo alla luna”, alla “Luna bussò” passando per “Luna” (solo per rimanere sul suolo ital iano) e molte altre. Tuttavia, nessuna di queste è mai stata cantata nello spazio. Sapete qual è stata la prima canzone riprodotta nello spazio ? “Jingle Bells”.
Luciano Ligabue - Campovolo
151.395 biglietti pagati
Vasco - Modena Park con oltre
220.000 spettatori
Bob Marley a Milano
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sì che Milano quel giorno era Jamaica!” recita la famosa “Piero e Cinzia” di Antonello Venditti. Bob Marley aveva portato il reggae nello stadio di San Siro di fronte ad un pubblico acclamante di 100.000 spettatori. Era il 27 giugno 1980. Ad aprire il concerto un giovane Roberto Ciotti e l’indimenticabile Pino Daniele fresco di pubblicazione del capolavoro “Nero a metà”.
Bob Marley - Milano
100.000 spettatori
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INTERVISTA Gianpaolo Rosselli
PROVA A (SOR)PRENDERMI:
GIAMPAOLO ROSSELLI
L
di Cristian Barba
a narrazione che accompagna i prodotti discografici li presenta spesso come sorprendenti, eccezionali, sbalorditivi. La realtà è che la musica, come la storia, si ripete.
Discografico, talent scout, produttore artistico. Giampaolo Rosselli naviga le acque dell’industria discografica da decenni, nei quali ha lavorato per le principali major e con artisti del calibro di Lucio Dalla, Antonello Venditti, Giorgia, Luca Carboni, Le Vibrazioni, Samuele Bersani e Simone Cristicchi. In un mondo che si aggiorna con una velocità senza precedenti, ci sono personalità che restano e la cui esperienza può farci da faro per non perdere la rotta. Ciao Giampaolo. Se dovessi fare una panoramica sulle trasformazioni del mondo della discografia da quando ci sei entrato a oggi, cos’è che ti manca di più e cosa invece non ti fa rimpiangere il passato? È cambiata completamente la fruizione della musica da parte delle persone e mi manca la visione della musica come oggetto culturale con una struttura fisica. Il cd era un oggetto di valore, oggi quasi te lo tirano dietro. Così è mutato anche l’essere artisti: prima l’artista era uno che faceva i dischi e si conosceva solamente la sua arte, oggi ne abbiamo alcuni che a un certo punto ti scordi pure che facciano i dischi, perché stanno tutti i giorni in tv o sui social. Ovviamente viviamo in un mondo nel quale neanche il migliore può pensare che fare musica sia suonare e basta, non possiamo fare i Don Chisciotte. Al tempo stesso però la sovraesposizione dell’artista svilisce la sua arte. Personalmente ho dovuto cambiare il modo di impostare la ricerca di un artista e imparare a programmare una carriera più che un disco. Prima non era più facile, era diverso. Parlavi della presenza, un elemento che oggi appare imprescindibile e che discograficamente si traduce nella necessità di una calendarizzazione che tenga l’artista sotto i riflettori il più a lungo possibile. Questo come pregiudica il lavoro? Secondo me lo ha peggiorato un po’ dal punto di vista qualitativo. L’arte non può essere programmata. Non puoi dire a un artista “dobbiamo fare un disco a dicembre perché andiamo a Sanremo e nel frattempo inizia a pensare anche a un pezzo per
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l’estate perché con quello ci facciamo pure una pubblicità”. L’arte non è a comando e dobbiamo anche distinguere tra chi ha bisogno di fare musica e chi ha bisogno di fare soldi. Vanno tutte e due bene, per carità di Dio, ma sono due cose diverse. Tu mi insegni che arte e industria sono due mondi distinti. Quale rapporto li lega? Un disco costa e senza l’industria non ci sarebbe la possibilità di fare arte. Un disco è un prodotto di squadra, dall’ideazione alla promozione, e l’artista non può fare tutto da solo. Noi dobbiamo capirne e gestirne le evoluzioni. Nel 1966 George Harrison va in India con Ravi Shankar e la musica dei Beatles inizia ad avere delle influenze da quel mondo. Questo significa che tra un disco e l’altro dei Beatles - come dei Radiohead, dei Led Zeppelin o dei Pink Floyd - potevi sentire un’evoluzione o perlomeno vedere una strada. Oggi l’industria opera meno in questo senso perché su Spotify è tutto appiattito, ma non si può ascoltare Lucio Dalla in riproduzione casuale senza una contestualizzazione storica. È come vedere Star Wars senza seguire un ordine.
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INTERVISTA Gianpaolo Rosselli
Definisci il produttore un “allenatore culturale”. Che significa? Alcuni atleti olimpionici sono partiti da una disciplina e dopo si sono resi conto di essere più capaci in un’altra. Nella musica è la stessa cosa, noi dobbiamo percepire le potenzialità dell’artista e “allenarlo” con input continui, chiedendogli se è andato al cinema, se ha letto quel libro, ascoltato quell’album o visto quello spettacolo. Ti capita mai di pensare che venga spacciato per nuovo e sorprendente qualcosa che in realtà non lo è? Si può presentare per nuova una cosa che è stata fatta 30 o 50 anni fa, se poi il pubblico ci casca è un’altra storia. Bisogna guardare il passato per capire il futuro, anche nella discografia. È vero, ad esempio, che una certa scena indie sembra attingere molto dagli anni 80, però è anche comprensibile che un ragazzo nato nel 2000 non conosca con precisione il passato e possa innamorarsi delle stesse cose di cui si è innamorato il padre trent’anni prima. Ovviamente cambia il linguaggio, un po’ come per i remake cinematografici. E poi neanche cercare di sorprendere è una ricerca giustissima. Si fa musica da millenni, che ci può essere di sorprendente? Quello che resta sono le belle canzoni e una bella canzone può prenderti l’anima anche senza sorprenderti. Le classifiche degli ultimi quarant’anni sono piene di dischi che hanno fatto un successo clamoroso ma di cui la gente oggi non ricorda nemmeno l’esistenza. Come talent scout cos’è che può ancora sorprenderti? I punti di vista. Le canzoni parlano quasi sempre delle stesse cose, ma sono i punti di vista che cambiano. C’è qualcuno che ti ha stupito particolarmente nell’ultimo periodo? Calcutta è uno che ha mostrato una forte personalità nella scrittura e ha fatto adattare molti alla sua impronta, credo abbia un grandissimo potenziale.
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"Bisogna guardare il passato per capire il futuro... anche nella discografia. È vero, ad esempio, che una certa scena indie sembra attingere molto dagli anni 80, però è anche comprensibile che un ragazzo nato nel 2000 non conosca con precisione il passato e possa innamorarsi delle stesse cose di cui si è innamorato il padre trent’anni prima."
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INTERVISTA A
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“LA COSTANTE RICERCA DEL NUOVO E L’INEVITABILE RITORNO DEL CLASSIC. COME STUPIRE IL PUBBLICO SEMPRE PIU ESIGENTE?”
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N°13 #musicazerokm
MZKN EWS
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MUSICA ZERO
ACHILLE LAURO
18/05/19 16:15
FRANCESCO RENGA MARGHERITA VICARIO IL SUONO DEL 2019 SICK TAMBURO BEST FESTIVALS ADRIAN SOUNDMEETER RECENSIONI TASH SULTANA AUDIO RANDOM ANDY WARHOL
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FOCUS Franco Battiato
FRANCO BATTIATO. Lunga vita al Maestro che, della vita, ha decodificato quasi tutto. di Manuel Saad
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i è sempre pensato che un alieno fosse qualcuno, o un qualcosa, proveniente da un altro pianeta e che avesse l’intento di vivisezionarci per studiarci e capire come fossimo fatti. Perché se accostiamo la parola “alieno” al personaggio di Franco Battiato, difficilmente, potremmo trovare pareri contrari? Perché l’aggettivo “alieno” lo veste come un abito fatto su misura? Molto semplicemente, perché Franco Battiato non sembra appartenere a questo pianeta. Nato nel 1945 a Ionia, ex comune catanese, il Maestro Battiato è conosciuto per essere un artista eclettico, piramidale e se vogliamo mutafor"Battiato ha sempre ma. Rock progressivo, pop, elettronica, opera lirica, cercato, attraverso la musica etnica, all’avanguardia. Il genio di Battiato non musica, di sviscerare l’animo ha mai finito di stupire e mai finirà di farlo. umano, cercando di comprenderne Il suo primo album, “Fetus”, pubblicato nel ’71, fu una grani vari meccanismi emotivi, de scossa al mercato discografico dell’epoca. Il VCS3, considerato carnali e spirituali." uno dei primi (se non il primo) sintetizzatori analogici portatili, segnò una svolta nel mondo musicale. Date le dimensioni abnormi e i costi proibitivi, il VCS3 ha letteralmente dato il via alla sperimentazione musicale. La prima copia fu acquistata dai Pink Floyd mentre la seconda fu proprio il nostro Battiato ad accaparrarsela. Anche nei dischi successivi, sotto l’etichetta “Bla Bla”, come “Clic” e “Pollution” si possono ascoltare suoni e fraseggi di questo magico strumento. Musiche psichedeliche che venivano accompagnate da testi psichedelici: veri e propri viaggi nell’inconscio umano, dove la scienza nuda e cruda incontrava il misticismo e l’esoterismo. I temi trattati fluttuano, nonostante la loro grande carica filosofica: la nascita, l’economia, l’alienazione, l’amore, la morte, la religione e tutti quei punti cardine che delineano le nostre vite nel profondo. Battiato si è immerso nello studio delle altre culture e religioni, con un occhio di riguardo al mondo arabo. Il sufismo, dimensione mistica dell’Islam, lo ha affascinato da sempre, ispirandolo nel profondo: “L’Era del Cinghiale Bianco”, per esempio, è un album pregno di queste ricchezze culturali, dedicato al Medio Oriente; “Concerto di Baghdad”, spettacolo musicale del ’92 nel quale cantò in arabo “L’Ombra della Luce”. Quest’imponente colosso musicale ha sempre cercato, attraverso la musica, di sviscerare l’animo umano, cercando di comprenderne i vari meccanismi emotivi, carnali e spirituali. L’alchimista della poesia ha sperimentato, tramite un complesso gioco di leve, una narrazione esoterica, surreale e profonda dove l’uomo veniva studiato sia come animale che come essenza. L’Italia dovrebbe vantarsi della figura di Franco Battiato, sventolando la sua bandiera e studiando le sue immense opere.
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N°13 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
INTERVISTA FOCUS Muse e A Canzoni
Muse e Canzoni
Come l’ispirazione genera capolavori.
N di Lavinia Micheli
ella mitologia dell’antica Grecia, le Muse erano figlie di Zeus e di Mnemosine (la “memoria”) che, secondo Esiodo, le aveva partorite in Tessaglia. Nove bambine nate con la grande qualità di passare la loro vita cantando e danzando, facendo passare le angustie terrene, a simboleggiare il nuovo ordine di pace ed armonia portato da Zeus dopo la sconfitta dei Titani. Secondo l’enciclopedia Treccani, “Il nome di Μοῦσαι sembra debba farsi risalire, come anche quello di Mnemosine, alla radice μεν-μαν, quindi le Muse sarebbero "coloro che meditano, che creano con la fantasia". Clio, Euterpe, Erato, Talia, Melpomene, Tersicore, Calliope, Polimnia e Urania presiedevano ciascuna alla propria arte e proteggevano poeti e cantori, che ispirati dalla loro essenza divina e creatrice, affidavano loro odi e componimenti. Con il tempo che è consono alla storia, queste creature divine sono man mano scese dall’Olimpo per incarnarsi in esseri umani veri e propri che hanno continuato ad ispirare versi e canzoni. Senza Beatrice, probabilmente non avremmo la Divina Commedia; Petrarca non avrebbe potuto cantare della bellezza di qualcun'altra con la stessa magia emanata dalla sua Laura; senza Silvia, forse Giacomo Leopardi sarebbe uscito più spesso di casa e non sarebbe passato alla storia come uno dei più importanti poeti italiani dell’Ottocento. Le stesse canzoni d’amore non si potrebbero scrivere senza una Musa ispiratrice, che si voglia immaginare come una donna dal fascino avvenente o come un’ispirazione innamorata, senza dei contorni definiti, che viene da più lontano. La storia del Rock è piena di storie d’amore struggenti e passionali che hanno dato vita a canzoni immortali e a situazioni rimaste memorabili. Una vicenda che mi ha sempre colpito molto è quella che riguarda Pattie Boyd, giovane modella e attrice degli anni ’60, divenuta ormai un’apprezzata fotografa a livello mondiale. Occhi azzurri, capelli biondi, fisico asciutto e mente molto aperta, rapì subito il cuore di George Harrison sul set di uno spot riguardante “A Hard Day’s Night”, il film del 1964 ispirato dall’omonimo album dei Beatles. I due divennero ben presto inseparabili e sancirono il loro amore con il matrimonio nel gennaio del 1966. Fu lei, grande sostenitrice della meditazione trascendentale, a portare The Fab Four in India a conoscere Maharishi Mahesh Yogi, che tanto avrebbe ispirato soprattutto George Harrison per gli album avvenire. Divenne la fotografa ufficiale dei quattro scarafaggi di Liverpool, di cui condivideva la vita all’insegna della libertà, degli eccessi e dell’amore libero. Ebbene proprio l’amore libero, la portò fra le braccia di Eric Clapton, amico fraterno di George. Pattie non poté fare altro che divorziare e sposare il grande chitarrista inglese. Rimasero tutti grandi amici. Cosa ci rimane di questa grande musa ispiratrice? Beh sicuramente le meravigliose “Something” dei Beatles, “Lyla” e “Wonderful Tonight” di Eric Clapton. Le muse passano, le canzoni restano.
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FOCUS Il Cinema di C.Verdone
CARLO VERDONE.
Il suo cinema? Maledettamente rock!
“Q
Il cinema di Verdone è diventato cinema d’autore utilizzando una semplicità fatta di quotidianità, maschere rubate a persone conosciute e sconosciute, ed anche grazie al suo gusto musicale. 34
di Manuel Saad
uesta chitarra stuprata, questa chitarra violentata, questa chitarra posseduta…" Erano le parole con cui Carlo Verdone, nel ruolo di Bernardo Arbusti nel film “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” del 1992, introduceva la biografia che avrebbe scritto su Jimi Hendrix. Un film che Verdone, oltre a saper gestire una bellissima malinconia e una romantica sceneggiatura, dedicò al suo idolo musicale, inserendo non pochi brani all’interno di una colonna sonora ricca di gemme, tra cui “Hey Joe” e “Foxy Lady”. Non a caso, il compianto Stefano Reggiani, critico cinematografico, lo definì il “melancomico”. Il cinema di Verdone è diventato cinema d’autore utilizzando una semplicità fatta di quotidianità, maschere rubate a persone conosciute e sconosciute, ed anche grazie al suo gusto musicale. Il suo amore per la musica, in particolare per il rock, è un qualcosa di viscerale che ha plasmato il suo cinema rendendolo un qualcosa di ancora più unico. Nella sua autobiografia, “La casa sopra i portici”, il regista si lascia trasportare da un flusso di ricordi che scorre ritmato da momenti musicali a dir poco storici ed evocativi. L’invito del padre, Mario Verdone, ad andare al concerto dei Beatles nel 1965 al Teatro Adriano, fu per lui un grande evento per il quale non finirà mai di ringraziarlo. Erano tempi diversi, dove la musica non era solo motivo di intrattenimento, ma molto altro. Verdone si è fatto spugna di tutta questa cultura che ha riversato nelle sue sceneggiature citando i Led Zeppelin, Frank Zappa, Scott Walker, The Who, Pink Floyd e molti altri. Storico il personaggio di Armando Feroci, in “Gallo Cedrone”, che millantava il suo essere il figlio naturale di Elvis Presley e il concerto di Joe Cocker nel film “L’amore è eterno finché dura”. Per non dimenticare il film culto del 1982, “Borotalco”, la cui colonna sonora porta le firme di Lucio Dalla e degli Stadio i quali ottennero un Nastro d’argento ed un David di Donatello. Il film “Viaggi di Nozze” racconta le vicende di tre coppie di neo sposi che, volendo, rispecchierebbero persino tre mondi musicali differenti tra loro. Il cinema di Verdone, all’epoca, ha rappresentato una vera e propria novità che ha suscitato nella gente meraviglia, stupore e tanto divertimento. Cos’è il cinema di Verdone? Innovativo, geniale, romantico e maledettamente rock.
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FOCUS Musica in contrasto
MUSICA
IN CONTRASTO. di Manuel Saad
“T
u ascolti Schubert?”, “Io adoro Debussy”, “Chopin ha il potere di calmarmi”. Quante volte abbiamo sentito pronunciare frasi come queste per poi assistere a scene violente dove dei pazzi maniaci brandivano armi e, nel migliore dei casi, le vittime venivano soltanto ferite? La prima volta rimaniamo spiazzati, stupiti, interdetti. Una scena violenta è più semplice da metabolizzare se accompagnata da una musica rude, dove distorsori demoniaci e batterie incontenibili si intrecciano tra loro per accompagnare proiettili che partono e coltellate che arrivano. Eppure, non sempre questo binomio viene scelto per sonorizzare ambientazioni macabre o azioni violente. Molte volte, una musica soave viene accostata a situazioni pacate, dove
la tranquillità e la calma regnano sovrane. Hollywood ha cambiato molto questo linguaggio, creandone esattamente uno contrario. Negli anni ’60, circa, l’accostamento tra sinfonie classiche rilassanti e violenza, diventa un nuovo codice in grado di mettere in risalto una personalità malvagia e assassina. Ma com’è nato questo dualismo? Con l’avvento della musica rock e pop, la musica classica diventa un modo per sottintendere l’appartenenza di una figura ad un’alta classe sociale come la borghesia, la quale venne spesso accostata ai vizi, agli eccessi e allo spingersi sempre più in là. Questo processo ha plasmato alla perfezione questo contrasto tra musica ed immagini, dove serial killer abbracciano ambienti aristocratici e, generalmente, vestono panni di personaggi colti. La colonna sonora della cattiveria e della sregolatezza assassina diventa una sinfonia rilassante, dove il pazzo geniale si muove e agisce con tempi differenti da quelli scanditi dalle sinfonie classiche, ma dove trova coN°13 "TUTTO TORNA" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
munque terreno fertile per accompagnare le sue azioni sanguinarie. Hannibal Lecter rappresenta l’assassino intellettuale per eccellenza, o Alex DeLarge in Arancia Meccanica, che accompagna le sue violenze a ritmo del “buon vecchio Ludovico Van” (Beethoven). I ponti comunicativi che si vengono a installare tra musica e psiche, sono costituiti da materiali differenti e la logica non sempre ricopre il ruolo di “capocantiere”. È proprio qui che arriviamo al nocciolo della questione: perché, quando osserviamo delle immagini in contrasto con la musica, proviamo stupore? Semplice: l’assenza di logica. Spingersi oltre, varcare determinate soglie, azzardare e sperimentare, sono azioni che, da sempre, solleticano l’animo umano nel profondo. E pensare che, quando uscì “Il silenzio degli innocenti”, fu difficile a tutti non rimanere sconcertati da un Dott. Lecter che, con la bocca insanguinata e gli occhi chiusi, si cullava sulle note di Bach. 35
SPAZIO
MUSICA
RECENSIONI ARTISTI E NUOVE PRODUZIONI DISCOGRAFICHE redazionemzknews@gmail.com
Pepo - Picture Frames
POP ELETTRONICO
Giovanissimo artista degli States in uscita sulla label romana MZK Lab con il brano "Picture Frames". Pezzo dal sound internazionale già pienamente riconoscibile. Il suo stile è qualcosa di diverso per la scena nostrana; sembra di stare ad ascoltare un pezzo già nelle classifiche americane, una hit del momento. “Picture frames” strizza gli occhi ai suoni più familiari dei teenagers cercando di coinvolgerli nel racconto sonoro; tuttavia, non annoia nemmeno gli amanti del commerciale un po’ più grandicelli. Un inizio promettente per un futuro in cui questo artista avrà il diritto e il dovere di buttare un occhio sulla scena mainstrem e provare a proiettarcisi. Di Alessio Boccali
Suvari - Di Cosa Hai Paura?
POP ELETTRONICO
Un EP che con sole tre tracce descrive una generazione intera. Essere giovani oggi non è semplice e tra rimpianti per cose non fatte o parole non dette c’è lo spazio per guardarsi intorno e riflettere. La realtà è che non sappiamo nemmeno noi trovare una risposta a quel “Di cosa hai paura?” espresso nel titolo; sarà il futuro incerto a spaventarci o forse la sfiga, la certezza è che, prima o poi e in qualche modo, matureremo nuove consapevolezze e Suvari, anche nell’apparente leggerezza di sonorità pop, dimostra di esserne pienamente consapevole. Di Alessio Boccali
Mohabitat - Crisalide
AMBIENT ELETTRONICA
Avete voglia di intraprendere un viaggio per conoscere voi stessi, per conoscere l’altra parte del proprio io? Siamo essere composti da due metà: il conscio e l’inconscio. “Crisalide” dei Mohabitat concilia le due parti, le fonde fino a trasferirle in un’altra dimensione armoniosa. La loro musica è un ambient elettronica dalla quale lasciarsi cullare e affascinare. Un’esperienza d’ascolto da vivere tutta d’un fiato, in cuffia o in una stanza in completo isolamento. Schiacciate play e poi chiudete gli occhi… vi sembrerà di librare nell’aria, lasciatevi andare. Nulla è come sembra, nemmeno voi siete quello che apparite. Di Alessio Boccali 36
Bulgrana - Salvami
ROCK
“Salvami” è l’ultimo lavoro dei Blugrana e lo possiamo considerare come il racconto autobiografico degli ultimi anni della rock band. Un album che parla di vita vissuta, di tutti quegli ostacoli che si superano e di tutte quelle difficoltà che si devono affrontare. Come in ogni grido di disperazione e di richiesta di aiuto è il rock che risponde presente ed è il genere musicale che la fa da padrone in questo disco, anche se non mancano pezzi più armonici. Un lavoro maturo e che ci fa capire che anche nei momenti più bui, dove tutto sembra stare per finire, possiamo ritrovare la luce con una canzone o un album. Di Francesco Nuccitelli
Blindur - "A"
ALTERNATIVE FOLK
“A” è il titolo del secondo album del cantautore Massimo De Vita, conosciuto come Blindur. Un album che si fa spugna di contrasti, emozioni forti e riflessioni sulla propria vita e sul futuro. Uno dei temi centrali di questo disco è la ricerca introspettiva che si carica sulle spalle pensieri importanti: la vita è un oceano fatto di disagio e le avversità cercheranno sempre di farci cadere. Quello che Blindur fa in questo disco è studiare quelle “spaccature” da cui entra la luce del cambiamento, del miglioramento. Musicalmente completo e interessante, segna una netta maturazione artistica di un cantautore vero. Di Manuel Saad
Valeria Vaglio - Mia
POP / ROCK
Tra i progetti più interessanti dell’ultimo periodo musicale, troviamo l’album “Mia” di Valeria Vaglio, che ritorna dopo diversi anni dal suo precedente album. Il disco è composto da 6 tracce, che raccontano un determinato momento della vita della Vaglio, un momento di rabbia che traspare all’interno delle canzoni e che ci mostra come anche da un momento grigio possa nascere qualcosa di buono come questo progetto. Interessante è la veste sperimentale dell’album in chiave elettronica, con cui l’artista veste le sue canzoni e che si amalgama alla perfezione con la sua voce da rocker. Un disco meravigliosamente atipico dal pop/rock che siamo abituati ad ascoltare. Di Francesco Nuccitelli
Federico Baroni - Non Pensarci
POP / FUNK
“Non pensarci” è il primo album del cantautore e busker romagnolo Federico Baroni. Questo è un disco che contiene 9 brani e che ripercorrono la vita del giovane artista, il tutto racchiuso in un progetto personale e che vede Baroni raccontarci tutti i punti di vista della sua giovane carriera. Il tema predominante dell’album è l’amore. Il sentimento inteso in tutte le sue forme e in tutte le sue sfaccettature. Funk, pop e R’n’B, sono solo alcuni dei generi presenti e che mettono in mostra tutto il talento del giovane busker. Un vero inno alla positività. Di Francesco Nuccitelli 37
SOUNDMEETER
ph. Francesca Abbonato
Cor Veleno
COR VELENO di Arianna Bureca
VIDEO INTERVISTA
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SOUNDMEETER Cor Veleno
“V
i abbiamo portati a Trastevere perché ogni angolo del rione ha una storia: qui siamo cresciuti, abbiamo deciso di fare il nostro primo disco, organizzato jam session memorabili e deciso alcune delle cose più importanti del nostro percorso. Questo rione ce lo abbiamo sotto la pelle, nel codice genetico.”
Inizia così la puntata di Sound Meeter dedicata ai Cor Veleno, girata tra San Cosimato, Santa Maria in Trastevere, il Big Star e San Calisto e terminata con qualche strofa live di “Sacrosanto” a Via del Moro. Dopo qualche anno di silenzio in seguito alla morte di Primo Brown (storico componente del gruppo scomparso a capodanno 2015), Squarta e Grandi Numeri nell’ottobre ‘18 escono con un nuovo disco, dove Primo risuona più vivo che mai. Parliamo de Lo Spirito che Suona, un vero e proprio testamento musicale che, attraverso la musica dei Cor Veleno, inediti di David Berardi e collaborazioni con i più grandi musicisti nonché amici della scena romana e nazionale, vuole omaggiare Primo e la sua prolificità. Un disco vivo, un messaggio di vittoria della musica sull’oblio, della vita sulla morte, dell’amore che resta nel tempo che passa. “Avete fatto un album capace di parlare a tutti trasversalmente, scardinare ogni clichet, abbracciando un orizzonte diverso nel panorama nazionale di oggi..” S. Mischiare, frullare, contaminare è sempre stato il nostro pallino. In questo, ma anche negli altri nostri dischi, ci sono sempre tanti amici. Fin dall’inizio abbiamo tentato di “allargare” la scatola, “aprire” le porte...e le collaborazioni. E’ un fuoco che si alimenta. G.N. Da Giuliano (Sangiorgi) a Coez passando per Gemitaiz, Adriano Viterbini, Danno, Marracash, Mezzosangue, Roy Paci, Madman, Johnny Marsiglia... sono molti i musicisti che hanno amato Cor Veleno e Primo e hanno partecipato a questo album. Ma non si tratta di collaborazioni che si esauriscono al disco bensì di featuring che vanno oltre: tutti i partecipanti continuano a scriverci, interessarsi… è una cosa meravigliosa. “Abbiamo parlato di collaborazioni. Cosa mi dite invece delle altre due parole che emergono forti e chiare dall’album: amore e fede, in tutte le accezioni che questi termini possono avere?” S. Che dirti, tutto è mosso dall’amore per un fratello, un amico, un compagno di viaggio. Il disco è un disco d’amore. Ma
attenzione, non parliamo di un disco triste, nostalgico… G.N. E proprio lì sta l’amore! Abbiamo cercato di fare quello che potevamo con tutti i mezzi possibili. Qualcosa di nuovo in omaggio a chi ha sempre portato in alto il nome del rap in Italia. Primo suona con noi, Cor veleno continua a suonare ma, se vuoi, la vera fede, il vero anello che non ti togli mai, è il rap. È la moglie che cerca di reinventare il rapporto per portare avanti un legame indissolubile. “Rimaniamo in tema legami. Come è nato il vostro e cosa vi tiene stretti a questo quartiere, Trastevere?” G.N. “Trastevere non è un rione come un altro: è parte del mio dna. Ho viaggiato in diverse parti del mondo e la cosa bellissima è che si conosce Roma ma, la maggior parte della gente, conosce Trastevere, la mia, la nostra casa. S. Per quanto riguarda noi… ricordo che andavo a vedere i primi concerti dei Cor Veleno pensando “questi so forti proprio!”. Eravamo pochi a fare questo genere, ci siamo conosciuti nei gruppi di ritrovo storici e da lì è nata un’amicizia che… è alla base di tutto e non è mai finita. G.N. Squarta ha creduto tantissimo in ciò che da anni facevamo io e Primo. Ha deciso di investire tempo, energie e risorse (perché al tempo si stampavano i vinili). È stata la scommessa che ha fatto ed ha vinto. S. Vinto? (ride) “Oltre alla musica, condividete anche altre passioni e interessi? S. Beh, lo sport no, perché io gioco a rugby e lui segue il calcio (e siamo anche di due squadre diverse!). Condividiamo molto, ci piace viaggiare insieme, andare ai concerti, ma a volte abbiamo anche bisogno di non sentirci. G.N. Il nostro è un rapporto molto fresco, non c’è ostinazione a vedersi. Rispetto chi ha la comitiva nel sangue ma per me il muretto è soffocante. Forse per questo io e Primo ci siamo conosciuti: eravamo l’esatto opposto di un muretto. Noi avevamo voglia di fare cose invece di stare tutto il giorno a non fare un caz**. “Cosa direbbe Primo se fosse qui, e potesse ascoltare questo album?” S. Ce lo siamo chiesti tante volte anche noi, ma credo non si possa dire… (ride) G.N. Direbbe bello, quando ne facciamo un altro? Ed è quello che, per onorare la sua vita, stiamo già facendo...
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FOCUS Adrian
Rock o lento: cos’è oggi Celentano? Il molleggiato da sempre avanti, rallenta la sua corsa con Adrian
S
di Francesco Nuccitelli
ono passati quasi 14 anni da “RockPolitik”, il celebre show di Adriano Celentano che in qualche modo modificò il modo di vedere e percepire le cose. Lo spettacolo del molleggiato partì con un celebre monologo, un confronto tra ciò che era lento e ciò che per lui era rock. Ponendosi e ponendoci quindi dubbi atavici su cosa era veloce e cosa no. 14 anni dopo quello show, Adriano Celentano continua a fare rumore a modo suo, e come in RockPolitik, anche in Adrian – il suo ultimo esperimento sociale – è riuscito a fare scalpore e a colpire il pubblico seppur in modo differente. Ma se Celentano, da sempre è stato avanti in tutto, dal cinema, alla tv e ovviamente nella musica… oggi, forse, non si può dire lo stesso. Ricordavamo il Celentano del passato, il ragazzo partito dalla famosa Via Gluck (quella dove c’era l’erba e ora c'è una città…) e arrivato al successo grazie al talento, alla sua intuizione e alla fortuna, divenuto poi il saggio che andava contro i potenti per aiutare i meno fortunati e quelli più “ignoranti”. Ma oggi? Oggi Celentano si trova davanti un pubblico diverso, che ha un facile accesso alla rete, e che in pochi secondi e con pochi click sa tutto di tutti e di qualsiasi argomento. Il Celentano di Adrian è quindi inesorabilmente diverso, è un personaggio rimasto indietro, un personaggio che oltretutto non sta nei tempi social e in un mondo veloce come quello digitale. I suoi tempi non sono celeri come quelli di una storia Instagram e la sua “non presenza” non è concessa nei confronti di un pubblico abituato al web, all’uso del tweet, dei meme o del post di facebookiana memoria. Il Celentano guru ha fatto il suo tempo e nel 2019 è un personaggio lento, non in grado di stare al passo con i tempi e anche il cartoon/Graphic Novel, rispecchia tutto ciò e seppur con le migliori intenzioni – degli autori – ha sofferto “l’assenza” ingombrante di Celentano nei vari pre-show. Parafrasando il molleggiato si potrebbe concludere così: “Celentano era Rock, ma Adrian è lento”.
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FOCUS Trash Vs Queer
Trash vs Queer
Per una musica libera di essere ciò che è di Lavinia Micheli
A
.D. 1972. Sono passati quattro anni dalla rivoluzione sessuale e culturale del ’68. In ambito musicale, il mondo occidentale era stato letteralmente travolto dall’onda sregolata e pazzamente fascinosa degli orgasmici assoli della chitarra di Hendrix, i movimenti di bacino di Jagger, l’aplomb di Lou Reed contrapposto ai meravigliosi testi di Dylan. Il Rock’n’Roll imperava nella molteplicità delle sue sfaccettature, che non avevano l’ansia di essere catalogate o definite. In questo clima di profonda libertà artistica atterra la navicella di Ziggy Stardust. L’ambiguità androgina, il trucco pesante e i capelli color carota, fanno di David Bowie il capostipite non solo del “Glam Rock”, ma anche di una nuova concezione dell’estetica musicale e di spettacolo. “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders” è l’album che prima e meglio di qualunque altro apre le porte del “kitsch” al mondo della musica: l’alieno alter ego di Bowie è eccentrico, materialista, spregiudicato e dedito al piacere.
Ma si può dare una definizione oggettiva del “kitsch”? Pare che il termine derivi dall’inglese “sketch” (trad. “schizzo”, “disegno”) oppure dalla parola tedesca “kitschen” (trad. “raccogliere fango per strada”). Secondo quanto si legge in un articolo pubblicato su “L’Espresso” del 15 dicembre 2016: “Tre sono i fenomeni che producono il kitsch alla fine del XIX secolo: la predominanza degli oggetti, il culto della bellezza e il consumismo.” Una specie di rivoluzione estetica che ribalta il senso del “buon gusto” (alias ordine e disciplina), valorizzando tutto ciò che è eccesso in una concezione del “meno come noia” secondo un’affermazione dell’architetto Robert Venturi. Tutto può essere arte e tutto deve apparire. Il trash e l’esasperazione del kitsch. Il primo ad utilizzare questo termine fu Andy Warhol che produsse l’omonimo film nel 1970. Appariscenza, mancanza di qualsiasi pudore, una grande parodia della “cultura alta”. Vari sono gli artisti che con la loro produzione musicale e la loro immagine oscillano fra questi due
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Di bizzarrie e storie particolari la musica ne ha regalate tan te. Una delle più sorprende nti ha visto protagonisti i Beatles e un dentista. La leggenda nar ra che il medico in questione fece provare l’LSD ad alcuni membri della band con risvolti molto interess anti. Insomma, un dentista stupefacente…
termini, che d’altra parte impieghiamo per definire qualcosa di stravagante che sfugge al nostro controllo. A partire da Bowie, pensiamo a Boy George, Prince, Madonna oppure Lady Gaga: grandi performer che dipingono la loro immagine di ambiguità ed eccesso, e sono spesso avvicinati dal senso comune al mondo gay o più in generale alla comunità LGBTQ+. Ma, alla luce di quanto detto fin’ora, possiamo davvero parlare del trash come se fosse una qualsiasi categoria? Possiamo incatenare il senso del gusto e del piacere entro compartimenti stagni? Sarebbe davvero una contraddizione in termini, come lo sarebbe etichettare e confrontare continuamente un genere musicale e l’altro, tentando di scovare un genere vincitore. La musica è qualcosa che fluisce libera nelle nostre orecchie e nel nostro cuore, e forse sarebbe intelligente pensare alla musica come il simbolo per eccellenza della cultura “Queer”: senza imposizioni, definizioni o diciture, semplicemente per quella che è.
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MUSICAZERO Consigli dalla redazione
PROGETTI DA SCOPRIRE
I consigli dalla nostra redazione sulle produzioni e gli artisti da non perdere nel 2019
J.P. BIMENI
di Manuel Saad
“Quando mi trovavo sospeso tra la vita e la morte, dopo che mi spararono, chiamarono un prete per darmi l'estrema unzione. Ho guardato il prete e ho detto: “Sento che non morirò. Sento che vivrò a lungo, conoscerò il mondo e proverò a me stesso che il mondo non è soltanto odio e violenza.” Queste sono le parole di J.P. Bimeni, il nuovo fenomeno soul che sta letteralmente spaccando tutto in Inghilterra. Discendente dalla famiglia reale del Burundi, all’età di 15 anni è costretto a scappare dalla sua terra natia a causa della guerra civile. Stabilitosi a Londra, definitivamente, ha militato nella tribute band ufficiale di Otis Redding, la quale gli ha dato la spinta iniziale per potersi far conoscere al pubblico londinese. Notato ed apprezzato per il suo talento, la Tucxtone Records decide di dare inizio al suo progetto con i The Black Belts. Il suo primo album, “Free Me”, anticipato dal singolo “Miss You”, si sta facendo strada tra le radio inglesi ed è stato nominato come miglior album del 2018 dalla BBC 6 Music. Le sue canzoni sono forti, potenti, evocative e che evidenziano le origini africane dell’artista. Un soul che racchiude amore, speranza e paura.
VURRO
di Manuel Saad
La leggenda narra che durante una tempesta di neve, in un piccolo villaggio della Sierra de Avila, un pastore perse la propria mucca. Si mise a cercarla ininterrottamente, senza sosta, visto il suo amore per quell’animale, e fece di tutto per trovarla finché il freddo non prese il sopravvento e gli fece perdere completamente i sensi. Proprio quando il battito del suo cuore stava per cessare, il pastore ebbe una visione: tra i cumuli di neve, vide la sua mucca attaccata e divorata dai lupi della zona. Durante l’agonia, l’animale donò la sua testa al pastore, ed entrambi unendosi, formando un unico corpo, diedero vita a Vurro: metà uomo e metà mucca. Vurro è un musicista eccentrico, un vero e proprio uomo orchestra che con le corna del suo teschio suona i piatti, con i piedi si accompagna alla batteria, mani sulle tastiere e campanelli sulle braccia. Le sue, più che delle performance, sono dei veri e propri riti sciamanici dove l’ascoltatore si perde e comincia a viaggiare all’interno di scenari psichedelici, a ritmo di rock ’n’ roll. Vinicio Capossela ha voluto fortemente la sua presenza nell’ultima edizione dello Sponz Fest. “Vurro’s Boogie”, “Blues Minuet” e “Demolición” vi faranno sciogliere.
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MUSICAZERO Consigli dalla redazione
KREKY AND THE ASTEROIDS
di Valeria De Medio
“Kreky and The Asteroids” gravitano sui palchi dell’underground capitolino dal 2017, quando Kreky aka Gabriele Cherchi, decide di ampliare il suo progetto di cantautorato con “The Asteroids”, ovvero Jimmy Bax (hammond), Silvano Proietti (basso), Uomo Scimmia (chitarra) e Luca Martino (batteria), tutti musicisti già attivi in altri gruppi, come “Inferno”, “La bocca della verità”, “Zot”, “Thin wire unlaced”, “The Old skull”, “Orlando” e “Husky quello che suona”. La risultante della fusione tra il frontman sardo (“Kreky” è la pronuncia del cognome in sardo, ma anche come si scrive in inglese) e la sua “super ciurma” è una miscela di roots rock americano/anglosassone e una forte sperimentazione. Nel 2017 registrano l’EP “Dust”: forti i sentori country e blues nella versione acustica di “Sunflower”(2017), tutta chitarra, sussurri e graffi vocali alternati all’armonica, di più largo respiro “Dust”. Nel 2018 aprono il concerto dei Dunk e pubblicano la splendida “Mistakes”, dove il bridge che precede l’urlo liberatorio di Kreky e tutti gli Asteroids diventa mantra catartico che entra in testa e non accenna ad andarsene per ore. Basso, batteria, chitarra e rullante, citazioni country e blues, tutto sulla base di un’ispirazione compositiva personalissima: Kreky & The Asteroids rifiutano le moducole musicali del momento e si ritagliano il proprio spazio tra passato e futuro.
ELEONORA BETTI
di Valeria De Medio
“Il divieto di sbagliare” è il primo album di Eleonora Betti: nove racconti (più una bonus track) d’ispirazione intimista, che volano alto tra le fronde dell’animo umano, grazie all’interpretazione raffinata di una voce potente e vellutata, cresciuta sugli esempi delle grandi voci del jazz e del musical. “Quaranta volte” è la prima tappa di un viaggio dalle atmosfere profetiche e sensuali, dove si fa tangibile l’ispirazione della cantautrice al fado portoghese: la voce forte e delicata di Eleonora è in primissimo piano e ci resta per tutto il disco, sorretta da arrangiamenti semplici, che costruiscono una magia unica. “Il coniglio bianco” ci porta nella fiaba; “Il divieto di sbagliare” sussurra una dolce ninna nanna alla perfezione forzata, mentre in “Controvento” il pianoforte si contende il primo piano con i vocalizzi della cantautrice toscana. Tre le tracce in lingua inglese, “On The Moon”, “Thunder” e “Little Red Riding Hood”, che non hanno nulla da invidiare a quelle in italiano e rimandano a grandi interpreti del cantautorato internazionale come Tori Amos, Ani Di Franco e Kate Bush. In punta di piedi sui pizzichi di una chitarra o sulle note di un pianoforte, sulla melodia di un violino o sussurrando a cappella, Eleonora Betti entra nel mondo di chi la ascolta con una sensibilità e una determinazione che incantano. N°13 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
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GENERATION Tash Sultana
TASH SULTANA L’artista polistrumentista che sta cercando il suo posto nel mondo, ma in che modo?
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atasha "Tash" Sultana è una cantautrice e polistrumentista, australiana con origini maltesi. Il prossimo 15 giugno spegnerà ventiquattro candeline poste sulla torta della sua vita: pochi anni, in effetti, ma già sufficienti per sperimentare stili (Rock psichedelico, Rock alternativo, Reggae rock, Lo-fi), collezionare esperienze di vita forti ed avere anche la capacità camaleontica di affrontare il tutto, farlo bene, e andare avanti. In effetti Tash di cose ne avrebbe da raccontare: a 17 anni aveva sostanzialmente avuto a che fare con tutte le droghe che il mercato australiano passava, eccetto l’eroina. Questo periodo fosco e cupo della sua vita l’ha portata a vivere dei viaggi anche molto lunghi, per via dell’effetto allucinogeno delle sostanze che assumeva. Mesi e mesi di trip trascorsi nella propria mente, ma sempre e comunque con una chitarra fra le mani. Dopo 9 mesi di terapia, infatti, la ragazzina in cui nessuno più credeva
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a cura di Carlo Ferraioli
ha dimostrato di valere, e come: impara a suonare oltre dieci strumenti, tra cui la chitarra, il basso, la tromba, il flauto, le percussioni, il sassofono e il mandolino. Un’artista che accompagna sempre le proprie composizioni in maniera trasversale mostra e dimostra un orecchio naturale a vibrazioni, energie e ritmi: Sultana è proprio così, perciò Generation ospita fra le pagine di questo numero una poliglotta delle note, della musica (anche di quella elettronica), ma anche dell’esistenza in senso lato. A Rolling Stone, lo scorso settembre, dichiarò infatti di esser stata sempre e solo lei l’autrice della propria storia, fra scelte giuste e sbagliate: queste, del resto, le sono servite a capire che ogni tanto, lungo il percorso dei propri giorni, qualche errore lo si può anche commettere. Alle volte, continua, i mostri del passato tornano a fare breccia nella sua mente, ma è come se questo alimentasse anche la sua forza, quella che le ha dato la capacità, la voglia e la tenacia di scrivere pezzi N°13 "TUTTO TORNA" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
del calibro di Jungle (prima registrazione domestica, milioni di view su YouTube), Murder to the Mind e dell’EP Notion (dicembre 2016), sei tracce per quaranta minuti di pura immaginazione a colori. Questa sua propensione naturale alle sfaccettature l’ha resa, nel corso dei mesi, una vera e propria funambola musicale, con notevoli elementi vocali fino alla produzione del suo primo album, pubblicato con la Lonely Lands lo scorso 31 agosto: Flow State, letteralmente, “stato di flusso”. Tutto ciò l’ha portata a condurre un tour internazionale, grossa fama e posizioni in classifica scalate come dolci colline, oltre che a vari premi e riconoscimenti, soprattutto nella terra madre. Non poco, e sicuramente non banale. La risposta alla domanda che ci siamo posti in apertura è quindi una conseguenza di quanto detto: Tash ha fatto del caos e del cambiamento costante le proprie armi, ma più che armi, le proprie certezze in un mondo labile e frastagliato.
DIGITAL Data Store
Data store: era del possesso o era dell’accesso?
Come SoundCloud ed altre piattaforme di archiviazione e fruizione musicale stanno volgendosi ai tempi che cambiano a cura di Carlo Ferraioli
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h vinile, prega per noi. Eggià, sembra un secolo fa vedere dischi scivolare roteando su supporti diventati oramai così obsoleti da essere entrati a far parte di diritto nel cosiddetto mondo vintage. In realtà tutto ciò è storia di un paio di decenni fa, non di più. Cosa è accaduto dopo? Per capirlo, partiamo dal prima.Il vinile (o anche solo il più recente CD) lo si possedeva, concretamente: lo si conservava in casa, in libreria o in veri e propri luoghi di culto musicale. Oggi non è così, o comunque non è più solo così. Con buona pace di tutti coloro i quali restano affezionati a quel mondo, e ne coltivano e collezionano le tante sfumature, oggi la musica ha cambiato radicalmente il modo in cui viene prima caricata e venduta, poi scaricata (o condivisa) e acquistata. Tante le piattaforme di archiviazione, catalogazione e diffusione dei propri contenuti in digital presenti sul mercato. Un’artista intento a voler cimentarsi in questo scenario non ha che
l’imbarazzo della scelta. SoundCloud, ad esempio, è una delle piattaforme di conservazione musicale più utilizzata da artisti, producer e dj al mondo. Ciò non implica, però, che non viva di problemi. La domanda che ci si sta ponendo da cinque o sei anni a questa parte è infatti la seguente: l’utente medio preferisce ascoltare in streaming i brani preferiti oppure decide di scaricarli sul proprio dispositivo, implicandone il possesso una volta per tutte? Sembrerebbe la domanda da un milione di dollari, eppure la risposta è tanto semplice quanto evidente. Ad oggi, infatti, fra coloro i quali fruiscono di contenuti musicali in digitale, la propensione è nettamente quella di abbonarsi – o semplicemente di rimanere nel “pacchetto basic” – ed ascoltare la propria musica quando e dove si vuole, senza nessun vincolo di dispositivo. In sostanza, ascoltare in streaming contenuti presenti su spazi di archiviazione inimmaginabili alla fantasia umana piuttosto che (come si faceva nemmeno qualche anno fa) scaN°13 "TUTTO TORNA" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
ricare musica e possederla su pen drive o cellulare.Da qui possiamo rispondere con una certa facilità alla domanda prima: sì, è l’era dell’accesso più che quella del possesso. Lo dicono i numeri e lo testimonia la crisi della stessa SoundCloud, azienda recentemente entrata in difficoltà coi propri artisti di riferimento proprio per il cambio di paradigmi. Di alternative alla nuvoletta arancione ne esistono però, eccome: da Hearthis a Bandcamp, da Mixcloud a Play.fm passando per 8-Tracks e Mixcrate. Ognuna di queste riveste una funzionalità diversa a seconda delle finalità di produttori e fruitori. Alla luce di ciò, pare molto chiaro e rilevante un dato: gli spazi di archiviazione e conservazione di dati vanno ulteriormente espansi, i server aumentati e i processori potenziati. Solo in questo modo le grandi aziende operanti nel campo potranno intercettare la richiesta di accesso, più che quella di possesso; solo in questo modo andranno incontro alla voglia delle platee di sentire e condividere, più che di ascoltare e riflettere. Ed ora, mettete su un bel vinile! 45
INTERVISTA Alessandro Quarta
Alessandro Quarta Il violinista del Rock di Francesco Nuccitelli
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lessandro Quarta è uno dei polistrumentisti italiani più apprezzati all’estero. Nel 2019 si è fatto conoscere anche al grande pubblico nostrano, per la sua straordinaria performance al Festival di Sanremo. Tra il tour da solista, il tour con Roberto Bolle nel “Dorian Gray” e quello da ospite de “Il Volo”, lo abbiamo raggiunto per una piacevole chiacchierata: Sei tra le eccellenze italiane nel mondo. È una grande responsabilità rappresentare il nostro Paese? È una responsabilità che sento poco. Poiché io noto una grande assenza di cultura in Italia. Noi stiamo importando di tutto, tutti i generi internazionali, ma non stiamo esportando niente… Dobbiamo fare di tutto per far sì che l’arte non scompaia, rinnovandola e dandogli una nuova interpretazione, anche stilistica. Ci possono stare quelle cose che piacciono, ma ci deve stare anche la cultura. Nella tua carriera tante sono state le collaborazioni, ma quale di queste ricordi con maggior piacere? Sicuramente la collaborazione con Dee Dee Bridgewater. È la miglior cantante jazz, soul vivente. Hai unito il modo di suonare uno strumento classico alle sonorità pop/rock. Com’è nato questo crossover musicale? Ho suonato con tanti artisti che arrivano dal pop, dal soul, dal funk e dal rock. Per me è naturale stare più vicino al rock e al blues rispetto al classico, perché io sono così. Queste sono cose che faccio da quasi vent’anni. Ho sempre fatto questo perché sono blues nell’anima, mi piacciono le sonorità rock e utilizzo uno strumento classico. Ti possiamo considerare un rivoluzionario di questo genere? Assolutamente sì. Io mi sto battendo tanto affinché si possa rivoluzionare il mondo del violino. Non considerandolo solo come strumento classico, ma come uno strumento adatto ad
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INTERVISTA Alessandro Quarta
ogni genere di musica. Come ti ha fatto sentire sorprendere il pubblico dell’Ariston? Dell’esibizione sanremese non mi ricordo nulla se non la fine. Ho suonato tutto il tempo con gli occhi chiusi… riaprirli e vedere l’Ariston in piedi e sentire tutti quegli applausi è stata una conferma di quello che musicalmente mi piace essere e di quello che sto facendo.
Il riff di "Last Nite" degli Strokes è stato letteralmente cop iato da "American Girl" di Tom Petty. I membri del gruppo lo hanno ammesso su Rolling Stone e quando Petty è venuto a saperlo si è me sso a ridere a crepapelle fregandose ne dei diritti d'autore e anzi, complim entandosi con la band.
Sogni nel cassetto? Suonare negli stadi. Non come artista classico, ma come artista rock!
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Classifica dei migliori plug-in "free"
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a cura di Gianluca Meloni
iao a tutti! In questa puntata siamo andati alla ricerca dei migliori plug-in "free" che si possono scaricare gratis. Scopriamo attraverso le nostre prove chi si è piazzato ai primi posti. Da molto tempo i marchi più svariati di plug-in, dai meno noti a quelli più famosi come Waves, Sound Toys Eventide, Lexicon ecc... offrono la possibilità di scaricare gratis delle versioni completamente funzionanti; ovviamente, spesso sono degli strumenti minori dall’utilizzo confutabile, ma alle volte capita di trovarne alcuni che provandoli non sono poi così male. Oggi volevo condividere con voi un sito, che magari già alcuni conosceranno, ma che non tutti conoscono. Siti come questo hanno accorpato i migliori plug-in free che si possano scaricare addirittura in tutte le loro categorie.
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AUDIORANDOM Audiotecnica a Roma
Un accenno all’elenco delle categorie della sezione audio:
Riverberi Delay ed effetti echo Amp. per chitarra Distorsori e saturatori Vocoder Mastering Channel Tuner Equalizzarori Compressori Limiter Tube Preamp. Tape Fx Di Modulazione Filtri Gate e de-esser Poi abbiamo altre categorie come: Effetti Lo-Fi Strumenti VST/AU, programmi per fare musica e molto altro. E' sensazionale come uno di questi siti abbia raccolto il meglio di tutte le case che forniscono plug-in gratuiti e con pochi minuti si possa avere la possibilità di provarli nel nostro computer. Il Sito che vi segnalo è questo: www.vst.musicjab.com Ora passiamo alla nostra classifica dei plug-in per la produzione, il missaggio ed il mastering che abbiamo provato per voi. Sui riverberi è difficile pronunciarsi, ma questi sono risultati molto puliti e versatili e nella sezione troverete anche dei convolumetrici di qualità: I SEMANTIC REVERB BY SEMANTIC AUDIO.
Un saturatore che vi lascerà sbalorditi, utilizzabile anche come bus master, renderà i vostri mix o master piu caldi, mai sgradevoli. Ma se avete voglia di dare il gas alla manopola del drive, attenzione alle casse… L’equalizzatore che ho scelto è offerto dalla nota casa Voxengo: un 12 bande lineare in fase che si accoppia benissimo con il suo fratellino Overtone GEQ con 7 bande per dare colore alle armoniche; un duo ineluttabile specialmente in fase di mastering. I filtri, sia i "passa alto" che i "passa basso", sono i più divertenti e performanti anche con il sequencer. Non fatevi ingannare dalla forma che ricorda un pezzo di Emmental: questo filtro è una bomba. Per il multibanda ho scelto l' OTT By XFER, un semplicissimo multibanda a 3 vie con 2 regolazioni semplici, ma intelligenti. Il Depht che si trova a sinistra come primo potenziometro, se portato a zero, gestisce facilmente con poca percentuale il segnale da comprimere nelle tre bande. Poi c’è il time, tempo di attacco ed i relativi gain per modulare i volumi delle 3 bande. Il risultato che ho ottenuto è stato stupefacente: bassi solidissimi mai schiacciati, a patto che si moderi l’ammount del depht in questione. Su sito prima segnalato potete sbizzarrirvi con tantissimi altri plug-in messi a disposizione trovando quello che fa piu’ per voi e per le vostre orecchie. Buona caccia! N°13 "TUTTO TORNA" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
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15 EVENTI ESTIVI
DA NON PERDERE:
ovunque passerete la vostra estate 2019, ci sarà un festival da non perdere… a cura di Alessio Boccali
24 – 26 Maggio: MI AMI 2019, Circolo Magnolia, Milano Line up e info tickets sul sito: www.miamifestival.it 24 - 25 Maggio: SEA STAR FESTIVAL, Stella Maris, Umago, Croazia Line up e info tickets sul sito: www.seastarfestival.com 30 Maggio – 1 Giugno: PRIMAVERA SOUND, Barcellona Line up e info tickets sul sito: www.primaverasound.com 7 - 9 Giugno: CORE FESTIVAL, Treviso Line up e info tickets sul sito: www.corefestival.it 13 - 16 Giugno: ISLE OF WIGHT FESTIVAL, Regno Unito Line up e info tickets sul sito: www.isleofwightfestival.com 29 Giugno – 6 Luglio: ROSKILDE FESTIVAL, Danimarca Line up e info tickets sul sito: www.roskilde-festival.dk 3 - 7 Luglio: BALATON SOUND, Lago Balaton, Ungheria Line up e info tickets sul sito: www.balatonsound.it 4 - 7 Luglio: EXIT FESTIVAL, Novi Sad, Serbia Line up e info tickets sul sito: www.exitfest.org
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MUSICAZERO Eventi estivi
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5 – 7 Luglio: WIRELESS FESTIVAL, Londra Line up e info tickets sul sito: www.wirelessfestival.co.uk 11-13 Luglio: MAD COOL FESTIVAL, Madrid Line up e info tickets sul sito: www.madcoolfestival.es 12 - 14 Luglio: HOME VENICE FESTIVAL, Venezia Line up e info tickets sul sito: www.homefestival.eu 18 – 20 Luglio: SUPER BOCK SUPER ROCK, Lisbona Line up e info tickets sul sito: www.superbocksuperrock.pt 19 - 21 e 26 – 28 Luglio: TOMORROWLAND, Belgio Line up e info tickets sul sito: www.tomorrowland.com
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7 - 13 Agosto: SZIGET FESTIVAL, Budapest Line up e info tickets sul sito: www.szigetfestival.com 22 – 25 Agosto: CREAMFIELDS, Daresbury, Regno Unito Line up e info tickets sul sito: www.creamfields.com
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NOTE DI GUSTO Drake e De Bartoli
DRAKE e
DE BARTOLI, Yin e Yang…
L’
di Fabio Turchetti
avrebbe sempre cercato, Nick Drake, purtroppo vanamente: quello stupore capace di ammaliare l’esistenza, almeno di tanto in tanto, non foss’altro che per il baluginare d’un raggio di sole fra la penombra degli scuri accostati a riparare le zone d’ombra dell’animo, perennemente in pena. Ma nulla da fare, per questo bel giovinotto alto e magro ma cupo e silenzioso, nato in Birmania e poi vissuto nella grigissima Tanworth-In-Arden: distesa in un’umidissima campagna ancor più a nord di Londra, presso il cui cimitero i pochi fans gli hanno sempre reso omaggio. Una voce dolce e profonda, appena afona ma intensa ed espressivaassai, tesa a raccontare in punta di dita, fra piano e chitarra, di ballate acustiche che attingevano al folk inglese dei primi Settanta ma che si dipanavano fra sentieri depressi e crepuscolari, irrisolti, anche balzellanti fra atmosfere da cocktail lounge o ca-
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taclismi psichici alla Tim Buckley. Bryter Layter è forse il più musicale dei suoi miseri tre album, incisi fra il ’68 e il ’71, prima che un’eccessiva dose di barbiturici, nel 1974, lo conducesse alla fine senza nemmeno toccare la vetta di quei 27 anni che hanno marchiato tutti i martiri del rock, a ulteriore riprova del fallimento esistenziale del Nostro. È forse l’unico, fra i suoi tre gioielli, che ci permetta di illuminare un po’ la stanza, grazie a quel filo di Vecchio Samperi che scorre nel bicchiere. A ricordare un altro mostro: quel Marco De Bartoli che ha reinventato il Marsala, altrimenti spesso relegato insieme all’uovo o alle scaloppine. Quant’era aggressivo ed energico, però, De Bartoli, rispetto al pennellone Nick: che rifuggiva da pubblico, concerti e comunicazione, scappando da chissà che… Quando, in Hazey jane II, il primo degli ospiti illustri del disco, Richard Thompson, permetterà ai suoi intrecci con la sei corde di toccare gli armonici del miele e della frutta secca già dalla prima sniffata, si capisce che il dado è tratto, pur a far presagire che sarà però la serenità più effimera a permeare le note musicali e organolettiche: come, ancor di più, renderà l’idea Fly, nobilitata dal maestro John Cale che con viola e clavicembalo giochicchia con onirica e impalpabile sabbia, graffiata dagli ambrati colori del nettare di Bacco. Ambrosia che avrà una sua maggior ragion d’essere se assaporata insieme alla conclusiva Sunday: una mezza bossa
nova strumentale atta a ricordare la malinconia della domenica che precede tristemente il lunedì, e per cui soltanto quel sorso acuto, sapido, ampio, complesso e variegato ci potrà aiutare. Solo il rincorrersi del tabacco biondo, del caramello, del sale, del cioccolato, dell’affumicatura e dello iodio strapperanno un sorriso consolatorio, prima della notte prima della fine prima del silenzio. Quanto avrebbe voluto stupirsi, Nick Drake, della tenerezza del mondo. Non c’è riuscito: restando solo soletto a combattere con molti altri draghi, così tanto diversi da quelli buoni del suo cognome…
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“Io continuo a stupirmi. È la sola cosa che mi renda la vita degna di essere vissuta.” (O. Wilde)
LIFESTYLE Effetto Moda
“Come stai bene con quella maglietta Fila…” La nuova scena musicale ha sconvolto anche la moda.
è di Alessio Boccali
una vera e propria rivoluzione. Mai come in questi ultimi anni, anche in Italia, il binomio musica-moda è andato così d’accordo. Se, infatti, siamo da sempre abituati a vedere artisti stranieri puntare molto sul loro look, fino a pochi anni fa era difficile immaginare che ciò avvenisse anche da noi. Potrà sembrare strano, ma tutta questa attenzione per la moda è nata dalla strada. Se prima il modo di vestire dei nostri artisti si ispirava ai corrispettivi americani (penso a un giovanissimo Claudio Baglioni in blue jeans a Porta Portese), gli artisti di oggi, soprattutto i rapper e i trapper, sono sempre più attenti alla moda e cercano loro stessi di ispirarla. Quanti di voi hanno notato un forte ritorno sulla “scena” di quei brand un po’ vintage, che non di rado vedevamo addirittura sui banchetti dei mercatini a prezzi stracciati? Fila, Reebok, Kappa, Sergio Tacchini… sono solo alcuni di quei marchi che, grazie alla strada, stanno vivendo nel nostro Paese una seconda giovinezza “commerciale”. Il merito di questi brand è stato quello di interpretare lo stile degli artisti nati dalla strada ispirandosi a loro per collaborare, anche, con brand di lusso e creare capi nei quali il rapper/trapper stesso potesse rispecchiarsi, così da fungere da influencer per il proprio pubblico di followers. Il risultato è che alcuni artisti prestano “soltanto” il loro nome e il loro volto a un brand instaurando delle vere e proprie partnership, mentre molti degli artisti più famosi finiscono addirittura per diventare dei designer. Nella quotidianità, questa pratica ha dato vita a una moda che mescola il gusto per uno stile retrò ad una buona dose di eccentricità e kitsch: estrema libertà creativa che si traduce in una quasi totale assenza di regole (strani mix tra brand extralusso e marchi di streetwear, abbinamenti di colori casuali, libertà di genere, ecc. ecc.), accompagnata, però, dal rovescio della medaglia rappresentato dal rischio omologazione. Non ci sono grossi messaggi dietro a questi modi di vestire, se non quelli pubblicitari, eppure un paio di “pensieri positivi” da questa moda riusciamo comunque a ricavarli. Il primo riguarda la libertà e la disinvoltura con il quale viene indossato ogni genere di capo e il secondo, quello forse più utile per le aziende di vestiario - ma anche per chi ha dei vecchi vestiti nell’armadio che gli stanno ancora bene -, è che “tutto quanto torna, primo o poi. L’uncool tornerà cool un giorno”.
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secondi di e trentatre zio. puro silen
Come fare musica trap senza violare il diritto d’autore
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ella serie tutto torna, anche la musica, ti presento la musica trap. Che cos’è? È un genere musicale che deriva dall’hip hop.
Per essere precisi, deriva dal southern hip hop, nato nel sud degli Stati Uniti e sviluppatosi nel corso degli anni 2000. La parola “trap” deriva da trap house: case abbandonate usate dagli spacciatori americani. Trapping in slang vuol dire “spacciare”. A parte l’etimologia, di recente l’etichetta “trap” viene associata a brani e artisti che utilizzano determinati suoni, che nulla hanno a che vedere con il mondo delle trap house. In Italia la musica trap nasce nella periferia di Milano, a Settimo Milanese.
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N°13 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM
DIRITTO D'AUTORE Dandi Media
Alcuni nomi? Ghali e Sfera Ebbasta. Dopo di loro la Dark Polo Gang, Capo Plaza e Young Signorino. Ma la musica trap è tutelata dal diritto d’autore? I requisiti di tutela previsti dal diritto d’autore sono: * Il carattere creativo: l’opera deve essere “il risultato della creazione intellettuale dell’autore”; * La novità: un’opera non deve riprodurre in modo diretto o fortemente evocativo un’opera altrui. * L’originalità. Originale è l’opera che rappresenta il risultato della creazione individuale dell’autore. In pratica, per essere protetta una musica non deve essere copiata e non deve essere banale e chi crea una musica originale ne diventa automaticamente autore. Ho cercato online e trovato che la trap stravolge le metriche tradizionali e le rende ipnotiche. Modifica in alcuni casi il concetto di tempo. Sulla trap certi rapper non vanno nemmeno a tempo, ma fanno qualcosa di nuovo e particolare. Quindi potremmo dire che la musica trap in sè è originale e che, se il testo anche lo fosse, allora ci troveremmo di fronte ad un’opera protetta dal diritto d’autore. Attenzione però: quando si modifica una musica che già esiste, stravolgendone le metriche, è necessario chiedere l’autorizzazione a chi detiene i diritti del brano musicale originale. In conclusione, se il tuo sogno è fare musica trap senza violare il diritto d’autore devi creare da solo, senza copiarla nè tantomeno imitarla totalmente, sia la musica che il testo del brano. Direi che il testo, in questo tipo di musica, è la cosa più importante. La musica nella trap, per come lo conosco io, viene usata come un sottofondo per accompagnare il testo della canzone. Se il testo è originale e creativo allora non ti resta che iniziare a cantare! Avv. Claudia Roggero www.dandi.media
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ANDY WARHOL un fine osservatore della realtà…
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di Alessio Boccali
ndy Warhol rappresentò a pieno titolo un figlio della società dell’immagine. Le sue opere non commentavano i soggetti, semmai li celebravano, o per meglio dire, riconoscevano loro la posizione simbolica da questi occupata nella cultura di massa. Per questo motivo, definiamo l’arte di Warhol pop(ular) art. L’artista statunitense era in grado di assimilare il gusto della società, che si stava definendo proprio in quegli anni (dagli anni ’60 in poi) con la nomenclatura di “società dei consumi”, e trasformarlo in arte, sfidando sia la tecnica degli accademici, che il genio degli astrattisti. E il suo estro non influenzò soltanto la pittura, ma coinvolse a 360° pressocché ogni forma di creatività: Warhol fu, infatti, anche scultore, produttore, regista, direttore della fotografia, attore e, persino, talent scout (la sua più grande scoperta fu Jean-Michel Basquiat). Il tutto, però, legato da un solido fil rouge rappresentato dalla fedele documentazione della società circostante. Rimanendo sulla pittura, il campo che lo statunitense sconvolse più di tutti, il suo raffigurare una bottiglietta di Coca-Cola o una scatola di zuppa Campbell’s, piuttosto che Marilyn Monroe o Mao Tse-Tung, non era mai frutto di una scelta estetica o polemica, bensì manifestava sempre l’esigenza di rendere iconiche, e soprattutto eterne, delle immagini comuni, familiari all’opinione pubblica del tempo: poco importava, se come nel caso dell’attrice hollywoodiana o del politico cinese, si trattasse di soggetti già “famosi” e celebrati, ciò che contava veramente nella pop art di Warhol era l’universale riconoscibilità delle rappresentazioni. Egli non si fece interprete della realtà, la traspose soltanto nell’arte. Andy Warhol era un fine osservatore (e documentarista) della società, non un critico. Non per questo non possiamo parlare di uno sperimentatore, anzi. Lo statunitense, come già detto, sperimentò molte forme d’arte e tentò di stravolgerle tutte quante. Tutto ciò guidato sempre dalla voglia di lasciare una testimonianza della realtà avvicinando al pubblico l’arte, rendendola più semplice da comprendere. Era, a suo modo, un rivoluzionario e anche un provocatore: non sopportava lo snobismo di alcuni artisti né l’idea di un’aura che avvolgesse l’arte rendendola del tutto scevra dalle critiche. Parlava di arte come di un prodotto da consumare, eppure la sua era una testimonianza fedele di ciò che i suoi occhi vedevano: rendeva arte ciò che era routine.
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