Musica Zero Km - MZK news n°12 febbraio 2019

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L’era dell’homemade e il mercato del tutto e subito.. Ma come ascoltiamo quello ci viene proposto?

MONDO MARCIO

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#musicazerokm N°12 | Anno 2019

DEAR JACK / CARONE IL SUONO DEL 2019 MOKADELIC MOX SILENT DISCO STREAMING vs VINILE SOUNDMEETER RECENSIONI DAVID AUGUST L’OLOFONIA DIRITTO D’AUTORE


AUDIO

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Sommario L'Ascolto 3.0

MUSICAZERO KM (MZK NEWS) N°12 anno 2019

Editore MZK Lab S.r.l. Via Flaminia 670, 00191 Roma Direttore Responsabile Valeria De Medio valeriademedio2.0@gmail.com Project Manager Marco Gargani Art Director e Progetto Grafico Jacopo Mancini jacopomancini08@gmail.com

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Assistenza Legale Avv. Vanessa Ivone Caporedattore Alessio Boccali alessioboccalimzknews@gmail.com Redattori Carlo Ferraioli, Francesco Nuccitelli Collaboratori Esterni Gianluca Meloni, Chiara Zaccagnino, Lavinia Micheli, Paola Carbone, Cristian Barba, Manuel Saad, Arianna Bureca, Fabio Turchetti Sede Redazionale Via Emilia 82, 00187 Roma

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Sito & Contatti Tel. +39 3331785676 www.mzknews.com redazionemzknews@gmail.com Stampa produzione@miligraf.it Via degli Olmetti, 36 Formello 00060 Finito di stampare nel mese di Febbraio 2019 Marketing & Comunicazione Alice Locuratolo comunicazionemzknews@gmail.com Tel +39 / 3382918589

Autorizzazzione rilasciata dal Tribunale Civile di Roma N°2 / 2017 del 19.1.2017

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AVVISO IMPORTANTE: Alcune delle foto di questa rivista sono tratte dalla rete internet in totale mancanza di indicazioni sul

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Sommario L'Ascolto 3.0

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EDITORIALE L'ASCOLTO 3.0 MONDO MARCIO Dear Jack & PIERDAVIDE CARONE CURIOSANDO: Freddie Mercury "IL SUONO DEL 2019": Yuman LA RAPPRESENTANTE DI LISTA LA MUNICIPAL MOKADELIC MOX SILENT DISCO ALEX BRAGA LA MUSICA OLTRE LE ORECCHIE JACK JASELLI SLIM DOGS APP - CD

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EMILIO MUNDA POSTER: Freddie Mercury STREAMING Vs VINILE IL CINEMA SENZA MUSICA ? UN PORNO ALLA RADIO! SPAZIO MUSICA: Recensioni SOUNDMEETER: PIOTTA PROGETTI CONSIGLIATI GENERATION: David August LA VOCE DEGLI SMARTPHONE MUSICOTERAPIA AUDIORANDOM: L'Olofonia LA PRODUZIONE AI TEMPI DELL'ASCOLTO LIQUIDO EFFETTI DEL SUONO SULL'UMORE NOTE DI GUSTO: Stern e Sassicaia DANDI MEDIA: Diritto d'autore #LALIFEE'BELLA: "Io sono MIA"

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yright sulla proprietà e sull’autore, si intendono quindi usate in completa buona fede. Chiunque riconoscesse come suo uno scatto è pregato di segnalarcelo per un’immediata soluzione del problema. Contatta redazionemzknews@gmail.com

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Editoriale N°12

a cura di Alessio Boccali

Sempre “in direzione ostinata e contraria…”

“A

nno nuovo, vita nuova” è un detto popolare che a noi di Musica Zero Km è sempre piaciuto molto. Ve lo abbiamo dimostrato a gennaio dello scorso anno quando il nostro logo e le nostre grafiche si sono evolute sempre più nella direzione di ciò che volevamo comunicare a voi lettori. Quest’anno proseguiamo su questa strada e lo facciamo con una scelta della quale è impossibile non accorgersi: ebbene sì, abbiamo tolto l’uomo/la donna di copertina. Di sicuro, molti di voi si staranno chiedendo se siamo impazziti o se la nostra è una scelta polemica… nulla di tutto questo: stiamo semplicemente proseguendo sulla nostra strada. E dove conduce questa strada? Il nostro obiettivo è lo stesso da due anni: avvicinarsi sempre di più al cuore della Musica per raccontarvela meglio e al meglio. Allora sacrifichiamo l’artista dalla copertina e al suo posto esponiamo, sotto forma di artwork, un concetto, il filo conduttore che guiderà l’intero numero. È una scelta coraggiosa e, per alcuni versi, rivoluzionaria, questo sì, ma non abbiamo paura di rischiare vista la buona causa. In questo numero partiremo dall’analizzare l’ASCOLTO, schierandoci apertamente dalla parte di chi la Musica, appunto, l’ascolta e non la sente, ma non disdegnando nemmeno i secondi per i quali l’arte dei suoni, magari, è soltanto un accompagnamento per alleggerire le fatiche di giornata. In fondo, la Musica, e intendiamo con questo sostantivo l’arte e non tutto il mondo economico che si è creata attorno, è democratica e oramai accessibile a tutti quanti. Sono certo, dunque, che questo numero, grazie ai racconti degli artisti e dei professionisti intervistati, alle curiosità e ai vari approfondimenti, possa rappresentare un’ottima risorsa per comprendere al meglio la nostra strada. Ricominciamo allora da un verbo fondamentale come ASCOLTARE per poi proseguire, chissà come, il nostro percorso verso una mèta mai pienamente e totalmente raggiungibile, come lo è la piena conoscenza della Musica. D’altronde non bisogna scoraggiarsi: è sempre il viaggio ad arricchirci più d’ogni altra cosa, quindi non vi resta che continuare a viaggiare con noi, naturalmente, sempre “in direzione ostinata e contraria…”.

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L'ASCOLTO 3.0

QUANTO E’ CAMBIATO IL MODO DI ASCOLTARE MUSICA ?

O

di Gianluca Meloni

ggi abbiamo la fortuna di ascoltare molta musica, di ogni genere si voglia, anzi, oramai sono cosi’ tanti che proprio ascoltando una stazione streaming in questi giorni pensavo, ma quanto è cambiato il modo di ascoltare musica? In che modo si ascoltava prima la musica?. Beh per rispondere a questa domanda cercherò di raccontare questa avventura sonora che ha circa 162 anni.

Ho letto in un vecchio articolo publicato dalla rivista Focus Storia che la prima registrazione umana è stata realizzata il 9 Aprile 1860, la voce di una bambina, forse la figlia di uno studioso poco conosciuto dell’epoca, Édouard-Léon Scott de Martinville, che appunto circa tre anni prima intuendo la possibilità di tradurre la propagazione delle onde sonore in segni grafici, aveva ideato il Fonautografo: la fonte sonora veniva accostata a un megafono chiuso da una membrana che, vibrando, innescava il movimento di una setola di maiale su una carta affumicata. Fu il precursore ben 17 anni prima che Thomas Alva Edison annunciasse la creazione del fonografo, da sempre ritenuto il primo strumento per registrare ma anche, a differenza del predecessore, per riprodurre voci e suoni. Nel 1877 nasce Il grammofono (o fonografo) fu ideato dal francese Charles Cros nel 1877, ma il primo apparecchio effettivamente funzionante fu realizzato dall'americano Thomas Alva Edison circa 8 mesi dopo e brevettato dallo stesso il 19 febbraio 1878, mentre il disco orizzontale fu presentato da Emile Berliner a Philadelphia (USA), il 18 maggio 1888, un anno memorabile per il cambiamento dell’ascolto dei suoni, Emile Berliner a Filadelfia (USA) sostituì il cilindro del fonografo con un disco fonografico orizzontale, il Grammofono era diventato il re dell’ascolto per la musica.

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I dischi iniziarono ad essere prodotti a scopo commerciale nel 1895, con la nascita del 78 giri. 78 giri, dai giri del disco al minuto, erano realizzati in gommalacca, larghi 30 centimetri con un peso di circa 360 grammi, e caratterizzati da una dimensione del solco notevolmente maggiore (circa il triplo) dei più moderni microsolchi a 33 e 45 giri. La gommalacca è un materiale caratterizzato dall’estrema fragilità e da una struttura che portava ad avere dei dischi affetti da fruscio. I dischi erano incisi su una sola facciata; solo negli anni successivi la Columbia iniziò a produrre 78 giri con doppia facciata, denominati “Columbia Double Disc Record”. Nel 1926 "O for the Wings of a Dove" di Ernest Lough, è il primo disco a vendere più di un milione di copie. Poi di seguito non possiamo non citare il meraviglioso nastro magnetico per uso audio che fu prodotto dalla BASF nel 1935 destinato al primo registratore a bobine il Telefunken Magnetophon k1. La storia di questi nastri è caratterizzata da molteplici innovazioni tecnologiche che hanno portato allo sviluppo dalle bobine estremamente delicate e complicate alle cartucce, per arrivare poi alle musicassette che vennero introdotte da Philips nel 1963. Ora se siete al giro di boa come me quasi 50 anni, vi ricorderete le cassette con i mangianastri e le serate passate in macchina o con i stereo portatili nei luoghi piu’ impensati, dal muretto della periferia ai giri in macchina con la musica a manetta! Comunque sia, la cultura musicale faceva proliferare non solo la tecnologia ma anche i rapporti umani, socializzare attraverso la musica partecipando a concerti e riviverli magari in alcuni momenti a casa o con amici, è sempre stato il punto comune fino ad oggi. Quello che credo sia cambiato invece è proprio il metodo dell'ascolto. Partiamo dal fatto che per ogni individuo la musica ha un valore diverso. Credo che ci siano fondamentalmente due modalità per questo, una è sentire, l’altra è ascoltare. Sentire la musica, come vedo fare oggi, ha un valore pari alla velocità in cui tutto e tutti siamo proiettati, in assoluto è la musica stessa che sembra avere poco valore, e quindi un artista oggi, dura qualche anno poi scompare, ma scompare attraverso un ondata di cambiamenti musicali che circa 20 anni fa non esistevano. Il concetto odierno si basa su molte produzioni del fenomeno "usa e getta"…in questo hanno contribuito non solo i discografici ma anche i supporti ovviamente, ed il device principale non è la radio, non è il giradischi, non è il mangiacassette, non è il cd ma è il nostro "caro amico" smartphone.

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CHI LO AVREBBE MAI DETTO!! In America un'indagine a livello mondiale sembrava portasse sicure voci sul fatto che avrebbero dovuto essere i televisori i supporti principali come device di video e musica, invece no! Lo smartphone li ha stracciati tutti, ma su questo apparecchio la musica come la sentiamo? Anzi ….come la sentite?? Qui premetto siamo ancora nella modalità sentire e non ascoltare, ma i cellulari hanno la possibilità di farci ascoltare la musica con una qualità HiFi ? Forse la maggior parte dei giovani non sa nemmeno che significa HiFi che in italiano siginifica Alta Fedeltà, ma non è questo il punto, il fatto paradossale è che per realizzare la musica e quindi un album, un artista di vario genere impiega molte risorse per raggiungere la qualità che la tecnologia ad oggi imprime nei suoi standard con studi di registrazione anche piu’ moderati di quelli di una volta ma con una superiore ed elevata tecnologia futuristica, dove i convertitori per registrare ed i compressori sono di una sofisticata e costosissima manifattura, e quindi dopo aver creato dei file audio che sono alla massima risoluzione noi che facciamo?? Li ascoltiamo dallo smartphone, nemmeno con delle cuffie appropriate, perché ci sono!

mato su tutta la tecnologia esistente e su quella che deve ancora uscire, non bisogna essere ricchi, ma bisogna avere amore per la musica, e la migliore qualità di un buon audiofilo è la sua cultura musicale. Quando il supporto ci faceva fare delle azioni, come aprire la copertina di un disco, vedere le immagini dei vari artisti, pittori e grafici, apprezzare il tocco del vinile che fuoriusciva nuovo di zecca dalla copertura in plastica per poi metterlo sul piatto, pulire eventuali sporcizie con l’apposita palettina vellutata raccogli polvere, alzare la testina del giradischi e poi, Musica! Questo accompagnava vari momenti della giornata, soli o in compagnia, ed era il tempo di ascoltare musica, spesso nel salone di casa, dove l’impianto stereo prendeva posto sempre davanti ad un divano. Oramai quasi in tutte le case sono scomparsi, o piu’ o meno sostituti da un televisore. Secondo un mio modesto parere la cultura musicale dovrebbe essere trasmessa a tutti sin da piccoli nelle scuole, facendo quanto meno degli accenni storici su come si ascoltava e con cosa si ascoltava la musica, andare di pari passo adeguatamente con la tecnologia e la storia, avere rispetto per le sue radici che ad oggi rimane il nostro patrimonio culturale più astratto ma più bello che ci sia.

Ma cosi’ dall’altoparlantino che per quanto raggiunga ormai tecnologie molto elevate non potrà comunque offrire la profondità e la spazialità del sound design a cui i tecnici lavorano minuziosamente per un risultato di eccellenza. Ma lascio a voi le considerazioni di questa evoluzione... Quali sono le differenze fra sentire ed ascoltare? Beh, lecito ricordare che la musica è una delle Arti che ci accompagna in varie fasi della nostra giornata e sentire equivale ad un ascolto veloce e spensierato che ci puo’ portare sulle giuste tonalità attraverso i cambiamenti del nostro umore. Infatti non possiamo sempre ascoltare musica con sofisticati apparecchi, ed è chiaro che non tutti possono permettersi di acquistare costosi impianti per l’ascolto, ed infatti, in questi ultimi anni ho visto un leggero cambiamento nella proposta di acquisto dei vari device che si possono collegare allo smartphone, piccole casse con sub-woofer potenti, connessioni bluetooth e dispositivi creati a posta per ospitare il telefono in collegamento tra loro per avere una vera e propria stazione HiFi controllata dallo stesso. Anche le cuffie di ultima generazione sono sempre di piu’ e per gli utilizzi piu’ vari come per chi fa jogging, auricolari senza fili con gomma lattice con il calco della forma dell’orecchio. Ascoltare la musica per un audiofilo non è essere super infor-

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Intervista Mondo Marcio

MONDO MARCIO

“Io ho sudato tutto, la storia testimonia. Questi fanno i rapper per fare i testimonial…”

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di Alessio Boccali

ondo Marcio, all’anagrafe Gian Marco Marcello, è tornato e l’ha fatto per riprendersi tutto ciò che ha seminato, ma non ha raccolto. Eppure, sulla linea del tempo del rap italiano si potrebbero segnare un “prima” e un “dopo” l’avvento di Mondo Marcio per capire l’importanza che la sua penna e il suo personaggio hanno rappresentato per il genere e per la musica italiana tutta.

Ciao Gian Marco, questo 2019 sarà l’anno del tuo ritorno con un nuovo disco… Esatto, in questi due anni e mezzo lontano dalle scene ho fatto molta ricerca, cercando di alzare ulteriormente l’asticella. Ho cercato un nuovo linguaggio per parlare di cose delle quali non avevo mai parlato in precedenza.

ph. Nico Maffina

Mi riaggancio a questo per parlare del tuo singolo “Vida Loca”. Nel pezzo sei uscito dalla tua comfort zone per realizzare un’operazione molto da cantautore schierandoti dalla parte dei cosiddetti “ultimi”, nella fattispecie hai parlato di prostituzione… Trovo sia molto utile, specie in un periodo come questo in cui se ne dicono di ogni sul rap e sulla trap, fare vedere che, nel suo piccolo, la musica può fare la differenza. Si parla tanto di vida loca nelle canzoni ed è giusto che sia così perché la musica è anche intrattenimento, ma spesso si dimentica che alla vita di strada sono collegate tante problematiche, delle quali è necessario parlare per provare a dare il nostro contributo per un mondo migliore.

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Mentre l’altro singolo già uscito, “DDR”, è un dissing contro chi fa rap, il genere che ami, soltanto a fini commerciali? Non lo definirei un vero e proprio dissing, quanto più una provocazione. È un periodo in cui tutti lanciano titoli, affermazioni… col solo scopo di scandalizzare. Siamo in un’epoca del vale tutto e allora “se oggi vi sentite tutti quanti dei capi, tutti quanti dei maestri, allora io sono un Dio.”. Il pezzo è una constatazione

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Intervista Mondo Marcio

delle sciocchezze che sento da chi fa musica, spettacolo, ma non solo… per rilanciare provocatoriamente. Prima di pubblicare i singoli hai girato un videoclip intitolato “Origini” nel quale affermi che avresti voluto essere Batman perché lui è uscito dal buio per sconfiggere le sue paure. Da quando eri chiuso “Dentro alla scatola”, uno dei tuoi primi successi, ad oggi – 15 anni dopo – sei riuscito a sconfiggere le tue paure e a uscire dal buio? Direi assolutamente di sì. La musica è stata la mia arma per combattere le mie insicurezze, i miei timori. Poi, certo, ci sono paure che comunque col passare del tempo non se ne vanno mai, ma comunque fanno parte del tuo percorso e riesci a conviverci. Sembra banale, ma ogni volta che riesci a sconfiggere una tua paura diventi più forte quindi ben vengano gli ostacoli (costruttivi).

perché quando ho iniziato io non era così ed è stato difficilissimo anche solo riuscire a fare un disco degno dell’etichetta RAP in Italia. Posso dire con orgoglio che il mio “Solo un uomo” nel 2006 è stato il primo disco di un rapper singolo a sfondare nel mainstream e poco dopo è arrivato Fabri (Fabri Fibra, n.d.r.). Si può dire che da lì il rap ha decisamente cominciato ad attirare l’attenzione e quindi tutto un giro di investimenti che hanno generato dei guadagni. Insomma, il tuo nuovo lavoro ci darà un nuovo Mondo Marcio? Sì e no. Le mie canzoni sono sempre estremamente personali, quindi evolvendosi Gian Marco come persona è normale che si evolva anche il Mondo Marcio artista. Ogni volta che esco con un album c’è un po’ di Mondo Marcio diverso e poi c’è il solito Mondo Marcio che non cambierà mai.

L’obiettivo del nuovo disco sarà un po’, come dicono nella serie “Gomorra”, "ce ripigliamm' tutt' chell che è 'o nuost”, ovvero quello di riprenderti un po’ tutto quello che ti spetta e che negli anni hai seminato e non raccolto? Diciamo di sì (ride, n.d.r.). In questi anni penso di aver dato molto alla musica italiana e alla scena hip hop nostrana senza che questo mi sia stato tanto riconosciuto. Forse sono stato troppo umile oppure troppo rispettoso in un genere che non guarda in faccia nessuno. Questo disco più che mai non avrà timori né riverenza nei confronti di nessuno. Stiamo vivendo un periodo di crisi che parte dall’informazione, un’informazione che è completamente distorta e questo non solo per quel che riguarda la musica. Per questo motivo è importante dire la verità, metterla in piazza. Io l’ho fatto e lo farò sempre. Non trovi che alle origini del rap fossero i vostri testi la vera rivoluzione che entrava nelle orecchie dell’ascoltatore, mentre oggi si pensa più a fare la melodia orecchiabile? Sì, sicuramente. Considera che l’arte rispecchia sempre la realtà nella quale sboccia. Viviamo in una società distratta, che ha sempre meno tempo per ascoltare. Ecco, dunque, che, se prima si prestava più attenzione all’ascolto e alla comprensione dei testi, oggi sia il rapper che l’ascoltatore puntano più a preferire il ritornello che ti rimane in testa. Quando ho iniziato a fare musica io, il rap era un po’ come il Far West, adesso il rap è un po’ più un lunapark. Il che non è necessariamente un male e anzi, sono contento di aver contribuito all’espansione di un sistema nel quale tutti quanti possono provare a far musica

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Intervista P.D.C e Dear Jack

ph. VIRGINIA BETTOJA

DEAR JACK & PIERDAVIDE CARONE

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di Alessio Boccali

a loro “Caramelle” ha sconvolto l’opinione pubblica per l’importanza e la delicatezza della tematica trattata. Il Festival di Sanremo l’ha esclusa dalla kermesse, ma la canzone ha continuato a vivere nei grandi consensi ricevuti da parte di grandi nomi della musica e dello spettacolo nostrano, ma soprattutto da parte del pubblico. Ho incontrato Pierdavide e Lorenzo dei Dear Jack prima del loro live al ‘Na Cosetta di Roma e abbiamo scambiato due chiacchiere. Ciao ragazzi, come sono nate “Caramelle” e questa vostra collaborazione? (Lorenzo) La nostra collaborazione ha origine da un’amicizia nata a causa della musica. Poi abbiamo un grande amico in comune che è Alex Britti. Diciamo che tra casa sua e Trastevere le occasioni per vederci e suonare con Pierdavide non sono mai mancate. La forza della nostra collaborazione deriva proprio dall’esserci conosciuti tramite la nostra passione per la musica. Quella di “Caramelle”, poi, è stata una sfida molto particolare fin da subito. Quando ti arriva la proposta per un lavoro dal genere è difficile dire no, ma è anche forse più difficile dire sì e assumersene la responsabilità. Il feedback che sta ricevendo ci rende sempre più felici e, allo stesso tempo, consapevoli di questa responsabilità. L’idea di proporlo a Sanremo è arrivata a pezzo concluso: noi e Pierdavide ci siamo assunti una responsabilità e così hanno fatto i nostri manager e i nostri discografici, a quel punto speravamo che anche il Festival credesse nel nostro progetto. Non è andata così, ma la voglia di esistere di questo brano era così forte che ce la sta facendo comunque, anche senza lo scudo e la cassa di risonanza che il palco dell’Ariston avrebbe potuto rappresentare per un brano che tratta di una tematica così tragica. (Pierdavide) Collaborazione e pezzo sono nate più o meno nello stesso periodo e si sono incrociate. Con i Dear Jack siamo amici da tempo e stavamo lavorando già a un altro pezzo. Nello stesso

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periodo però mi è arrivata l’ispirazione per questo brano quasi fosse una “chiamata”: ho iniziato a scrivere questo pezzo, inizialmente era quasi un temino scolastico sulla vita di questo bambino, ma poi, mentre le parole fluivano sul foglio, mi accorgevo che questo tema assumeva dei connotati sempre più inquietanti con l’arrivo di questo signore affabile, ma ambiguo. Quando sono arrivato a scrivere il ritornello, mi sono accorto che stavo parlando di pedofilia. Raramente mi è capitato di scoprire strada facendo di cosa stessi parlando, qui è successo ed è stato scioccante perché stavo parlando di un abuso su di un bambino di 10 anni (il Marco della canzone, n.d.r.). Finita la canzone, l’ho fatta ascoltare al mio manager che, sapendo che già stavo collaborando con i Dear Jack, mi ha suggerito di lasciar perdere il resto e lavorare per questa canzone con i Dear Jack. Per loro era la prima volta che si avvicinavano a temi così scottanti e non era scontato che accettassero di collaborare, sono contento che si siano presi questa responsabilità. Il messaggio del pezzo è trasversale è vero, ma è importante che questo arrivi ai più giovani e grazie ai Dear Jack può arrivarci meglio (A Pierdavide) Ti eri già approcciato a temi importanti come la prostituzione in “Nanì” o la malasanità ne “La Ballata dell’Ospedale”, da cantautore hai continuato a schierarti dalla parte degli ultimi, delle vittime… Cerco di essere sempre il più sincero possibile quando scrivo e quindi non mi pongo dei limiti tematici fin dall’inizio. Quello che è scaturito da “Caramelle” però mi hanno fatto capire che indietro non si torna. Ad oggi penso che sto assumendo un altro ruolo con un’altra maturità. Ogni giorno tante persone mi scrivono raccontandomi delle storie atroci collegate al tema della pedofilia e della violenza in generale. Sono storie vere che a leggerle ogni giorno ti fanno davvero tanto male, ma non voglio evitarle. Ho scritto questa canzone, l’ho pubblicata e me ne assumo ogni responsabilità: voglio ascoltare queste persone, che,

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Intervista P.D.C e Dear Jack

grazie alla mia musica, riescono a sentirsi meno sole. L’idea di portare “Caramelle” a Sanremo nasceva dal fatto che il Festival da sempre è stato un amplificatore di canzoni che, proprio per le tematiche scottanti che affrontano, hanno bisogno di una corazza più resistente. Me ne sono reso conto con “Nanì”, che senza Lucio Dalla naturalmente, ma anche senza Sanremo non avrebbe avuto l’attenzione che poi ha avuto. In questo caso, per fortuna sono stato smentito perché il pezzo è stato comunque raccolto e accolto dal pubblico. (A Pierdavide) Abbiamo accennato a Lucio Dalla, non posso non chiederti il tuo ricordo di Lucio… Grazie a Lucio sono diventato un artista più consapevole. A parte la gavetta iniziale, anche un po’ giocosa, con “Amici” era arrivata la grande popolarità. A 21 anni mi ritrovavo con tanti concerti, le mie canzoni in radio, un po’ di soldi… tutte cose belle e inaspettate, ma è solo grazie a Dalla che ho iniziato a vedere le cose dal giusto punto di vista: usare la popolarità per fare e dire qualcosa di importante. Ho iniziato con “Nanì” insieme a Lucio e voglio continuare da “Caramelle” in poi anche da solo. Dalla mi ha dato il Coraggio. (A Lorenzo) Sei tu oramai il nuovo frontman dei Dear Jack? Sì, lo sono ormai da due anni e resterò io. L’attuale formazione dei Dear Jack è quella ufficiale e definitiva. Noi quattro siamo stati sempre molto uniti e senza il grande supporto degli altri tre non so quanto sarei riuscito a sostenere questa responsabilità con la leggerezza con la quale lo sto facendo. La musica comunque resta sempre spontaneità, passione e divertimento e noi quando suoniamo ci divertiamo sempre. La nostra identità musicale, poi, è sempre in continua evoluzione perché ci piace vivere di ricerca e di avventura… non si smette mai di sperimentare. Ora partirete in tour insieme? (Lorenzo) Innanzitutto, dobbiamo ringraziare Pierdavide perché ci ha permesso di mettere la musica dei Dear Jack sotto una luce più matura, più adulta, tant’è che in questi giorni non si è mai parlato del nostro passato, ma ha sempre parlato la canzone, quindi la musica, ed è quello che dovrebbe accadere sempre. Per quanto riguarda il tour, sì, si sta riempiendo man mano di date

NETMUSIK

e siamo molto soddisfatti perché in fin non è la prima dei conti quello che amiamo è cantante ad essere in gara per un stare sul palco e premio Oscar. È la prima, però, ad suonare. av er ric ev uto una doppia nomination: (Pierdavide) Sì, oltre a quella come attrice pro partiremo e ci tagonista, divertiremo inanche quella per la miglior can zone sieme. Ovvio che ori gin ale quando si parla di “Caramelle” ci sia il bisogno di assumere determinati toni, ma durante il tour ci divertiremo e faremo anche divertire il pubblico. Io canterò con loro i pezzi dei Dear Jack e loro canteranno con me i miei pezzi.

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Lady

Nella settimana sanremese, di solito, è prevista l’uscita dei dischi degli artisti in gara… uscirà ora un vostro lavoro? (Lorenzo) In realtà no, abbiamo fatto dei pezzi, ma per ora stiamo navigando a vista. (Pierdavide) Tutto ciò che è successo spariglia un po’ le carte. Avevo un disco pronto, ma poi sono arrivati i Dear Jack con una bella canzone, poi esplode “Caramelle”… non ho la minima idea di che cosa succederà in futuro. È la prima volta ed è bello così; di solito i discografici tendono a programmare il tuo percorso artistico a lungo termine, ora ho la libertà che negli ultimi anni in Sony mi era mancata. Adesso con Claudio Ferrante e la Artist First vivo di lucida ingenuità perché si ha soltanto la voglia di fare le cose per bene. E se vi chiedessi se il prossimo anno ritenterete la carta “Festival di Sanremo”? (Lorenzo) Perché no? Al di là di tutto, Sanremo è un tempio sacro che va protetto e rispettato perché è storia, un’istituzione sacra. (Pierdavide) Bella domanda, come ha detto anche Baglioni, son due anni che ci provo con due canzoni diverse e non mi prendono, allora a questo punto farò in un altro modo (ride, n.d.r.). Quello di cui ho bisogno è cantare, dove mi vogliono naturalmente. Quindi non escludo nessuna possibilità, voglio continuare a essere libero di scegliere.

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Curiosando Freddie Mercury

Freddie e r cu ry M

di Francesco Nuccitelli

Il progetto del logo dei Queen

Fu Freddie stesso a progettare il logo diventato ormai icona dei Queen. Ispirandosi, anzi ricalcando lo stemma reale del Regno Unito, il cantante inserì il suo tocco artistico disegnandovi all’interno i simboli dei segni zodiacali dei componenti della band sovrastati da un’araba fenice, segno di immortalità e di speranza. Oltre alla corona e alla fenice quindi, Il logo è composto da due leoni (Roger Taylor e John Deacon), un granchio per il segno del cancro (Brian May) e due fate che rappresentano il segno della vergine (Freddie Mercury).

La passione per i gatti

Freddie Mercury era un grandissimo appassionato di felini, tanto che la sua casa di Kensington ne era letteralmente invasa. Ma non è tutto; la passione del cantante per i gatti era così sfrenata che egli ha addirittura dedicato un brano dell’album “Innuendo” alla sua gattina preferita Delilah.

La misteriosa collezione di cravatte

Avete mai visto foto di Freddie Mercury con la cravatta? Mai? beh nemmeno io. Eppure pensate che il leader dei Queen ne possedeva più di cento, tuttavia odiava indossarle.

Fonte d’ispirazione per un videogioco

Il personaggio Sol Badguy della serie di videogiochi Guilty gear è ispirato proprio a Freddie Mercury. In particolare, il nome “Badguy” è un omaggio al primo album da solista del cantante, intitolato Mr.Bad guy, e al singolo omonimo.

Record su record

Dopo tanti anni, Bohemian Rapsody continua a macinare record su record, sia al cinema che nella discografia musicale. Al cinema diventando in poche settimane il film più visto dell’intero 2018 e nella musica, diventando il brano inciso, nel XX secolo, più ascoltato di sempre in streaming. Superando l’incredibile quota del miliardo di stream (1,6 miliardi per la precisione).

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New Hit Yuman

"IL SUONO DEL 2019": YUMAN

Una nuova promessa secondo Youtube Music

“L

di Alessio Boccali

a presa di coscienza di un nuovo inizio” e, soprattutto, “il magico risveglio da un lungo torpore”. Sono queste le parole con le quali Yuri Santos in arte Yuman, ha presentato al pubblico il suo singolo “Twelve”, pubblicato su etichetta Polydor/Universal Music. Beh, c’è da dire che è davvero impossibile non provare le stesse sensazioni già dopo il primo ascolto. Grazie anche alla grossa gavetta alle spalle, Yuman è oggi, a tutti gli effetti, un emergente in piena rampa di lancio, che ha donato al pubblico italiano, e non solo, quel “magico risveglio da un lungo torpore” cui molti artisti nostrani ci hanno abituato. Come? Con il calore e la profondità della sua voce uniti a un sound inusuale per il panorama musicale italiano. Una novità destinata a irrompere nel mercato con un disco, di prossima uscita, molto atteso. Già, perché di Yuman e della bella “Twelve”, scritta e composta dall’artista stesso, prodotta da Francesco Cataldo e missata da Chris Lord Alge, se ne stanno accorgendo in molti.

Di recente, infatti, Google Blog Italia ha messo in luce come anche YouTube Music il nuovo progetto della Leave Music, inserendolo in una playlist benaugurante per il 2019. La lista in questione “Il Suono del 2019” include i 10 artisti emergenti che con i loro brani sono destinati a scalare le classifiche nell’anno appena iniziato. Insomma, una bella iniezione di fiducia per il 23enne italo-capoverdiano, che fin da bambino sognava di vivere di musica e magari un giorno, chissà, duettare con i suoi idoli: gente come Stevie Wonder, Aerosmith, Manu Chao, Paolo Nutini. L’augurio per questo giovane artista, dunque, è che tutto questo un giorno si realizzi, ma soprattutto che non perda mai la voglia e la sensibilità nel guardare fuori e dentro il suo mondo per poi raccontarlo in musica. In due parole: stay Yuman!

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Intervista

ph.Claudia Pajewski

La Rappresentante Di Lista

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Intervista La Rappresentante Di Lista

La Rappresentante di Lista “GO GO DIVA è un invito a perdersi, a spogliarsi, a urlare per i propri desideri e contro le proprie paure…”

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di Alessio Boccali

a Rappresentante di Lista, ovvero Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, è tornata con un nuovo album di inediti che incarna ancor più che in passato l’emotività e la sensibilità dei loro lavori. “Go Go Diva” è un disco passionale ed eccentrico proprio come Veronica e Dario, due anime in grado di dar vita ad un progetto unico nel suo (non) genere, un progetto che ha il fascino e la forza di una donna che accoglie e ama, si incazza e lotta. Ciao ragazzi, partiamo dal vostro ultimo lavoro. “Go Go Diva” è un concept album? Nella fase di scrittura non ci siamo fatti guidare dall’idea di fare un concept album, successivamente, quando ci siamo ritrovati a chiudere il disco, ci siamo resi conto che effettivamente c’era un’unica narrazione, un’unica necessità che trapelava da tutte le canzoni e questo ci ha entusiasmato. Possiamo dire che “Go Go Diva” è un invito a perdersi, a spogliarsi, a urlare per i propri desideri e contro le proprie paure. Cos’è che rende questo disco così donna? Oltre alla voce di Veronica e alle sue emozioni naturalmente… In realtà più che parlare di donna, parlerei di femminilità. È una caratteristica che accomuna un po’ tutte le nostre produzioni: abbiamo la necessità di avere una figura femminile, che faccia da apripista a tutti i racconti e le sensazioni che traspaiono dai nostri brani. Ciò che rende più femminili i nostri lavori è forse l’attenzione ai dettagli, ma ciò che ci rende orgogliosi è che nella nostra musica possano riconoscersi tutti, non solo le donne. Avete definito il vostro genere musicale “queer”, eccentrico… perché? È una risposta alla classica domanda “che genere fate?” Per tanto tempo abbiamo provato a rispondere, ma senza successo. Poi un giorno grazie ad una rassegna palermitana, la

“Sicilia Queer Film Festival”, abbiamo approfondito il termine “queer”, che in realtà è un termine perlopiù legato alla sessualità, e ci siamo accorti che sostituendo alla sessualità, la musica de La Rappresentante di Lista, ne avevamo trovato la definizione perfetta. La nostra eccentricità sta nel cercare di costruire dei mondi sonori differenti per ogni personaggio, per ogni sentimento espresso. È una peculiarità che ereditiamo dal teatro e che ha fatto sì che negli anni non siamo riusciti a incasellarci nei generi musicali canonici. Siamo un mix di generi e il termine corretto per (non) definirci ci è sembrato essere proprio “queer”. Nei vostri brani si parla molto di relazioni: con i genitori, con un amante o con voi stessi… quanto pensiate sia importante in una relazione il sapersi ascoltare? Questo vale anche per la musica: bisogna saperla ascoltare per comprenderla appieno? Le relazioni sono alla base della nostra esistenza. In questo disco abbiamo espresso l’urgenza di raccontare la nostra esperienza sul campo: raccontare la complessità delle relazioni e allo stesso tempo la loro essenziale unicità. Il sapersi ascoltare è naturalmente essenziale. Nella nostra musica, che oltre a queer definiamo pop, pensiamo si possano raggiungere diversi livelli di ascolto perché la musica deve essere orecchiabile e cantabile, ma allo stesso tempo deve suscitare il bisogno di ascolti più ragionati. Nel brano “Questo corpo”, il corpo è più un’ancora di salvezza o una gabbia dell’anima, degli istinti? Il corpo è quello strumento grazie al quale fruiamo del mondo, il mezzo per cui viviamo le relazioni. La canzone vuole raccontare come sia possibile che il corpo diventi una gabbia a causa degli stereotipi dai quali siamo circondati e allo stesso tempo come il tuo stesso corpo possa sfuggire a queste logiche, salvandoti e affermando il proprio essere carne. Chiudiamo parlando della vostra copertina che esprime pienamente questa ultima risposta? Sì, è nata da una due giorni nello studio della fotografa Claudia Pajewski. Ci ha saputo mettere a nostro agio in una maniera eccezionale e ci ha dato la possibilità di sperimentare insieme a lei. Con la copertina volevamo presentare al meglio il nostro disco e penso proprio che ci siamo riusciti: Claudia è riuscita ad immortalare il nostro spogliarci, il nostro sfogarci per raccontarci.

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Intervista La Municipàl

LA MUNICIPÀL di Cristian Barba

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a Municipàl ha iniziato il suo 2019 in piazza Sant’Oronzo a Lecce, con una festa che anticipa l’uscita del nuovo album - prevista a marzo - e dà l’idea di quanto si sia consolidato in 5 anni il progetto di Carmine Tundo e sua sorella Isabella, arrivati a collezionare centinaia di date - dai peggiori bar del Salento al Primo Maggio di piazza San Giovanni - grazie al riscontro ricevuto dall’album d’esordio "Le nostre guerre perdute". Carmine, mente del progetto e autore dei testi, è in realtà sulle scene da più tempo, ha partecipato a Sanremo Giovani nel 2010 e continua a portare avanti nuovi lavori e sperimentazioni. Ciao Carmine. Ne "Le nostre guerre perdute" gli arrangiamenti pop accompagnano una scrittura intima e nostalgica. Com’è nata questa esigenza espressiva? Tutto è nato da una raccolta di canzoni scritte di getto per una mia ex. Quando ho capito che questa scrittura “privata” aveva una linea ben definita, ho messo insieme quei brani che a livello di liriche suonavano molto simili. È stato molto istintivo, le canzoni che mi piacevano di più erano quelle “vomitate”, quindi

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ho fatto un percorso di non censura nei testi e nelle produzioni, prendendomi la responsabilità di citare luoghi e persone reali, così come fatti realmente accaduti. Un tema che si propone ciclicamente nei brani è il rapporto con la vostra terra, la provincia leccese. È un legame intenso e pieno di contraddizioni, ma hai scelto di restare lì creando il polo da cui nascono i tuoi lavori. La provincia leccese è lo sfondo di quello che racconto. La mia scelta personale è stata quella di rimanere e cercare di ripartire dal territorio, nonostante la maggior parte dei miei amici sia andata a vivere al nord. Ho uno studio a Lecce e posso dire che essere seguiti sul proprio territorio da tante persone è un grande aiuto, anche per finanziare i lavori. Con il primo tour abbiamo fatto più di 200 date, anche nei peggiori bar della provincia. Spostarsi e andare fuori ha un costo maggiore e non è sempre facile, quindi una buona base sul territorio può aiutare ad avere un solido punto di partenza. Tra l’altro questa è una cosa molto salentina, che hanno fatto anche gli Après La Classe o i Sud Sound System. Punk Ipa è il singolo che anticipa l’alN°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

bum in uscita a marzo. Che album possiamo aspettarci rispetto a "Le nostre guerre perdute"? Sicuramente è la storia di un quinquennio successivo, con tematiche leggermente diverse ma sempre legate a quella visione malinconica di fondo. Un elemento nuovo è l’accettazione dei propri difetti, quindi forse c’è anche una vena più positiva rispetto al passato. Dal punto di vista dei suoni ci siamo avvicinati a quello che facciamo nei live, “spingendo” un po’ di più. Continui a essere parte di diversi progetti e a proporne di nuovi, come i due volumi di "Nocturnae Larvae" dal carattere molto sperimentale. Dai l’impressione di voler scavare continuamente all’interno di te stesso, è così? Fare musica è un modo per esprimermi a 360 gradi. La Municipàl è la mia parte più romantica, ma ci sono diversi lati del mio carattere che cerco di trasformare in musica. Credo che ogni artista debba portare avanti i propri suoni e sperimentare, indipendentemente dal fatto che un progetto vada bene o male. Anche per questo sto portando avanti nuovi dischi e nuovi progetti, a prescindere da quello che succederà con La Municipàl.


Intervista Mokadelic

MOKADELIC di Manuel Saad

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bbiamo raggiunto telefonicamente Alessio Mecozzi, chitarra e synth del gruppo storico romano Mokadelic, e ci siamo fatti una chiacchierata tra cinema e musica.

Da dove nasce la voglia di scrivere musica per il cinema? Fin dai nostri esordi, ci siamo sempre fatti accompagnare da immagini che ci ispirassero e la voglia di collaborare con il mondo del cinema e della tv è cresciuta lentamente, anche grazie alle conoscenze e ai vari apprezzamenti che abbiamo avuto. Quanto è difficile trovare la connessione vincente tra immagini e musica? Molto. C’è sempre una collaborazione costante con il regista che un pochino indirizza dove vuole che la musica vada a colpire. È un mix tra impulsività e razionalità.

“Sulla mia pelle” è il vostro ultimo lavoro. Quanto è stato difficile sonorizzare uno dei casi più crudi di cronaca nera? È una notizia che ci ha coinvolto particolarmente perché alcuni di noi vivono nello stesso quartiere della Famiglia Cucchi. Eravamo un po’ preoccupati di sonorizzare un film che raccontasse una storia così delicata, ma il confronto con il regista, Alessio Cremonini, ci ha reso tutto molto più “semplice”.

Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova stagione di Gomorra? Nella quarta ci saranno nuovi personaggi e tanta musica inedita. Abbiamo lavorato molto su altre situazioni nuove: la musica vecchia si andrà a mixare con quella nuova.

Qual è stato il vostro lavoro più difficile finora? Forse il primo lavoro per Gabriele Salavatores, "Come Dio comanda", ma anche la prima stagione di "Gomorra". Nell' approcciarsi ad una serie televisiva il lavoro è decisamente maggiore.

Come si rapporta la musica al cinema e alle serie tv? La musica, in una serie tv, può anche non doversi esprimere nell’arco di un’ora e mezza, ma può spalmarsi per tutta la stagione. Non devi dire tutto subito, ma puoi anche regalare alcune sonorità di personaggi che poi arriveranno lasciando del mistero in più, rispetto ad un film che è più diretto. L’ascolto è un aspetto fondamentale per lasciarsi ispirare. Cosa ascoltano i Mokadelic? I Mokadelic ascoltano tutto. Siamo completamente onnivori dal punto di vista musicale e questo ci permette di non avere limiti. Stiamo riscoprendo vecchie colonne sonore rendendoci conto che, ascoltate come se fossero un album, si riesce a dargli una nuova vita.

Uno studio del 2009

ha messo in luce un compito straordinario della musica... qu?ello dell’alfabetizzazione. Da quest o studio americano, si apprende che: studiare musica in età scolastica, favorisce lo studio in ge nerale, ma nello specifico aiuta e facil ita la

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semplice lettura

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Intervista Mox

MOX di Alessio Boccali

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arco Santoro in arte Mox è prima di tutto un cantautore. Inutile gettarlo nel calderone dell’indie-pop italiano perché lui è probabilmente è un qualcosa a sé. Ascoltando il disco d’esordio di Mox ci si dimentica che quello che si sta ascoltando è anche un prodotto destinato a un mercato, ci si immerge nella sua vita e se ne esce con la sensazione di averlo conosciuto per davvero. Ciao Mox, come racconteresti il tuo primo album da solista “Figurati l’amore”? In realtà c’è poco da spiegare; bisogna per forza ascoltarlo questo disco per capirlo. Sono canzoni scritte col cuore, le più autentiche che ho scritto da dieci anni che faccio musica ad oggi. Mi sono messo in gioco parecchio e grazie a questi brani sono riuscito ad esorcizzare un periodo ben preciso della mia vita. Diciamo che mi sono sfogato: immagina i brani come sassolini da togliere da dentro alle scarpe. E questo titolo particolare come lo intendi, come un figurati l’amore, nel senso di “immaginati l’amore” oppure come un “nulla potrà salvarci, figurati l’amore…”?

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Devo dirti che ora che ci penso ci stanno entrambe le chiavi di lettura. Purtroppo, nel mood del disco credo emerga più la tua seconda ipotesi, ma preferisco l’idea romantica che qualcuno possa immaginarsi l’Amore ascoltando i miei brani. Quali sono gli ascolti che più ti hanno influenzato nella scrittura di questo disco? Ho impiegato un anno e mezzo nella stesura di questo album e quindi sono stati tanti gli ascolti che mi hanno influenzato. Chi mi ha influenzato più di tutti sicuramente sono stati i grandi del passato: uno che mi piace citare perché, ahimè, l’ho scoperto troppo tardi è Enzo Carella. Poi non ti nascondo che soprattutto nelle sonorità ho guardato molto all’estero: è evidente l’influenza che ha avuto il britpop sulla mia musica. Uno dei brani più belli del tuo disco si intitola “Ad Maiora”, a proposito del quale hai dichiarato che inizialmente non avevi nemmeno intenzione di inserirlo nell’album, ma che poi hai iniziato a considerare come un promemoria per “smettere di ascoltarti e iniziare a darti retta”, cioè? So darmi ottimi consigli, ma non riesco quasi mai a seguirli. Ad esempio, nonostante me lo riprometta ogni volta, anN°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

cora devo riuscire a smettere di fumare. Per quanto riguarda “Ad Maiora”, comunque, è un pezzo su cui ho lavorato tantissimo; quella che puoi ascoltare ora è più decadente e meno perbenista della prima versione che non convinceva me né i miei collaboratori. Nonostante questo, visto anche il titolo, è il pezzo più ottimista dell’album! (ride, n.d.r.) L’immagine che hai scelto come copertina del tuo disco raffigura una busta di plastica con all’interno una cornice con una tua foto: una critica alla troppa “commercialità” dell’ultima musica italiana? A dirti la verità non ci avevo pensato, ma quest’idea mi fa impazzire e sono molto d’accordo con la tua osservazione. In realtà l’idea della busta di plastica la collego alla sua doppia utilità: può contenere una cosa appena comprata o una cosa da buttare. Mi piace comunque lasciare sempre una libera interpretazione a tutte le mie scelte. Qual è la situazione o il luogo ideale per ascoltare “Figurati l’amore”? Secondo me per apprezzarlo al meglio bisognerebbe ritagliarsi una mezz’oretta di tempo per ascoltare il disco da soli in cuffia. Meglio se sorseggiando del buon whisky e pensando a qualcuno.


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Focus La Silent Disco

Silent disco

Il divertimento c’è, ma non si sente di Valeria De Medio

I

n una puntata di Astroboy, precisamente in The summer of 1993, il protagonista della serie futuristica giapponese partecipava a una festa dove la musica era diffusa in cuffia. Correva l’anno 1967 e gli amici festaioli giapponesi anticipavano quello che sarebbe realmente successo nel 1999 ad Austin, Texas: in occasione del South by Southwest, The Flaming Lips si esibivano nel primo vero silent concert della storia. Non è un gioco di parole, ma una vera e propria rivoluzione, possibile grazie alla tecnologia wireless: gli impulsi sonori vengono trasmessi dagli strumenti a un

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trasmettitore, a sua volta collegato alle cuffie indossate dal pubblico, sostituendo l’ascolto in diffusione. Quasi dieci anni dopo, nel 2008, Cardiff ospitava la prima Battle of the Bands, un evento dove le bands si esibivano davanti ad un pubblico dotato di cuffie a più canali, collegati ognuno ad una band diversa: quella più ascoltata vinceva il contest. Di lì a poco nasceva la silent disco: diversi canali collegati alle diverse consoles, dove spesso si alternavano più djs, con la possibilità di ascoltare e ballare -o meno- la musica preferita, tutto grazie a un semplice interrutore sulle cuffie!.

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Qualcuno potrebbe obiettare che c’è tutto un altro piacere nella condivisione dell’ascolto in diffusione, mentre ad altri potrebbe mancare il “brivido del sottocassa”. Critiche legittime, ma la silent non vuole affatto sostituire l'ascolto tradizionale, bensì dargli un'alternativa. E pare che funzioni: negli ultimi anni, soprattutto all’estero, si sono moltiplicati gli eventi, sportivi e musicali, organizzati in locations e in orari in cui sarebbe impossibile riprodurre musica con volumi oltre il livello consentito dalla legge. Anche in Italia i silent party si fanno conoscere da nord a sud, a


Focus La Silent Disco

Se oggi per presentare un disco

basta andare in tv, in radio o scri verlo sul web… in passato non era cos ì semplice. Per presentare un album si era alla costante ricerca di nuove soluzioni. Tra le idee più innovative per la pubblicizzazione, si ado peravano anche i cartelloni pubblicitari. I primi?

I Doors

volte con veri e propri tour come il Silent Party Winter Tour (http:// www.the-silent-party.it), arrivato quest’anno fino al tempio del clubbing, il Fabrique di Milano. A Roma spopolano i workout di silent yoga/step/wellness presso il Circo Massimo e altri spazi verdi della capitale o, ancora, la Silentdog’s, unico evento romano silent con programmazione fissa. Se qualcuno dovesse avere ancora delle perplessità sulla qualità del suono, i numerosi services della silent technology ( the silent party

D SOUND

, silent disco italia , silent arena, silent action, per dirne alcuni) rispondono con strumenti sempre più potenti, come trasmettitori potenziati Super Power Bass ® da 500 metri di raggio d'azione, con autonomia delle batterie fino a 10 ore e cuffie sempre più comode.

l’inquinamento acustico, la silent disco offre un’esperienza unica: corpi che si muovono sulla stessa pista da ballo a ritmi completamente differenti, in un silenzio interrotto solamente da chi, preso benissimo, si lascia andare a canticchiare la canzone preferita.

Ordunque, oltre a costruirci un dancefloor su misura senza scambiare il dj per un juke box, oltre a poter fare festa fino a tardi e in luoghi improbabili senza disturbare chi di fare festa proprio non ne vuol sapere, oltre a limitare

Uno show insolito e bizzarro. Insomma, se i Beastie Boys ci ricordavano che dobbiamo combattere per il -sacrosanto- diritto alla festa, la silent disco può essere un ottimo alleato. Provare per credere.

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Intervista Alex Braga

ALEX BRAGA

di Valeria De Medio

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usicista, conduttore radiofonico e televisivo, produttore discografico e televisivo, autore televisivo, autore radiofonico, ma soprattutto appassionato di tecnologia, Alex Braga è un artista poliedrico ed originale che ha fatto della sua passione un efficace strumento di indagine e di espressione, soprattutto in musica. Lo scorso maggio ti sei esibito con Francesco Tristano al Maker Faire 2018 in una performance su A-MINT, progetto in collaborazione con i Professori Francesco Riganti Fulginei e Antonino Laudani di Roma Tre. Cos’è A-MINT? A-MINT per me rappresenta la frontiera da esplorare: è un tool che permette per la prima volta al mondo l’interazione tra l’uomo e l’arte multimediale, sul palco e in studio. Un’ intelligenza artificiale che decodifica in tempo reale il codice di improvvisazione di qualsiasi artista e improvvisa insieme a lui, dotandolo di superpoteri tipo l’armatura di Ironman. A proposito di A-MINT dici: “dimostrare che il futuro della musica è nel restituire un’anima alla musica elettronica e farla diventare sostenibile e organica”. Provocazione o progetto concreto e attuabile? Siamo in tour da circa un anno con performances in varie parti del mondo, dal Centre Pompidou al RomaEuropaFestival. A

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Intervista Alex Braga

"L’uomo ha il compito

di tendere verso il futuro e di farlo nel migliore dei modi possibili, creando e innovando, per traghettarsi su scenari nuovi

Dove e come si inserise la creatività umana in questo percorso? La creatività umana è tutto e le macchine sono troppo intelligenti per creare. La creatività nasce dal sudore, dalle lacrime, dall’amore, dal sangue, dalla paura, dalla felicità. Avete mai visto una macchina provare sensazioni simili??? Io no… Ma, d’altro canto, senza la tecnologia l’uomo starebbe parecchio inguaiato. Quando ti sei reso conto del cambiamento epocale che sta attraversando la musica e quando hai deciso di farne parte in maniera attiva? Il cambiamento si ha ad ogni passaggio di Epoca. Il pianoforte stesso fu un salto tecnologico incredibile e i primi e più grandi utilizzatori che hanno cavalcato quella tecnologia furono personaggi tipo Beethoven e Mozart.

e inaspettati."

L’uomo ha il compito di tendere verso il futuro e di farlo nel migliore dei modi possibili, creando e innovando, per traghettarsi su scenari nuovi e inaspettati. Chi non lo fa è un retrogrado. Un artista che non lo fa, è un artista incompleto, che tende più all’artigianato, talvolta di sublime e pregiata fattura, ma sempre di artigianato si parla. La connessione tra i sensi è ormai evidente e rappresentabile: secondo te aggiunge valore o penalizza l’ascolto? Dipende da come le due cose si compenetrano. Per quanto mi riguarda, cerco di realizzare un’opera che non si può scindere: l’audio e il video sono parti integranti della stessa idea. Ovviamente se trasmetti su un maxischermo la finale dei mondiali mentre un pianista suona le Variazioni di Goldberg, le due cose finiscono per ostacolarsi l’un l’altra…senza entrare nel merito di cosa è meglio o peggio (ride, ndr.).

Febbraio partiremo con la prima masterclass al mondo di intelligenza artificiale basata su A-MINT al Conservatorio di Santa Cecilia, nostro partner e prima istituzione musicale al mondo ad affiancare un corso di A.I. a quelli di strumenti tradizionali. Abbiamo iniziato con una provocazione, ma adesso siamo piuttosto concreti… (sorride, ndr)

Nel 1948 la Columbia Records introduce il vinile negli States, arriva poi lo Stereo8, la musicassetta, nel 1982 viene prodotto il primo cd ad uso commerciale, nei primi decenni del XXI secolo arriva Internet e nel 2008 Spotify. Qual è il futuro dell’ascolto? Ad Aprile/Maggio passeremo dalle performance live ad un’esperienza per gli utenti off-line, dovunque vogliono, sempre diversa ed interattiva, lanciando un upgrade di A-MINT per smartphone. Non posso dire altro…potrei sbagliarmi. Il bello di sperimentare è che non sai mai dove puoi arrivare e, se sbagli, la gente non se ne accorge (ride ndr.)

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Focus L'Ascolto

LA MUSICA oltre le orecchie: come le persone con difficoltà uditiva ci rieducano all’ascolto. di Lavinia Micheli

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scoltare è qualcosa di profondamente diverso dal percepire i suoni. La percezione è qualcosa di inanimato, di istintivo, di poco romantico a dir la verità. Quanti suoni percepiamo quotidianamente senza rendercene conto? Ogni nostra azione è compiuta all’interno di un ambiente sonoro: dal rumore assordante del martello pneu-

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matico che segnala “lavori in corso” mentre ci capita di camminare per strada, alla sirena dell’ambulanza che corre spedita sull’asfalto mentre siamo in ufficio o a lezione all'università. Per non parlare del ticchettare inesorabile delle lancette dell’orologio a notte fonda, quando tutto ciò che abbiamo intorno è silenzio. O almeno ciò che noi udenti definiamo "silenzio".

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Solitamente in questi casi, quando non riesco a dormire, metto su le cuffie e cerco di alleviare i miei pensieri ascoltando la mia musica preferita, ed è tutto più bello, più tranquillo. Io, udente, metto le cuffie ed il silenzio si spezza. Le note, gli accordi, i riff di chitarra, le linee del basso si propagano velocemente nelle mie orecchie ed arrivano dritte al mio cervello, cullandolo. Tutto ciò non si limita


Focus L'Ascolto

alla percezione: si tratta di puro ascolto. La musica è emozione, vibrazione, moto dell’animo. Perciò mi sono chiesta, può essere l’ascolto una semplice questione di orecchie? La prima immagine che mi si è palesata nella mente è stata quella di un uomo: i capelli appena appena imbiancati, un musicista chino sulla cassa del suo pianoforte, che cerca insistentemente di afferrare il flebile suono prodotto dai tasti pigiati, di catturare ancora l’anima delle note per continuare a comporre. Ludwig Van Beethoven cominciò a perdere la facoltà uditiva intorno ai 27 anni, tra il 1796 e il 1797. Musicista già affermatissimo a Vienna, stava perdendo lentamente il senso più utile per un compositore della sua levatura. La sordità divenne totale prima del 1820. Eppure in questo periodo di lento abbandono del mondo sonoro che aveva sempre conosciuto, nacquero alcune delle sue opere più belle e indimenticate. La Sonata al Chiaro di Luna; la celebre Nona Sinfonia, il cui quarto tempo contiene l’Inno alla gioia; Per Elisa. Pare che componesse servendosi di una bacchetta di metallo stretta fra i denti e appoggiata alla cassa del pianoforte, per percepire le vibrazioni. Ciò che ce ne perviene è sentimento, struggimento ed emozione pura. Lo stesso tipo di ascolto legato alla testimonianza di Emmanuelle Laborit, un’attrice e scrittrice francese, sorda dalla nascita, che, come riporta in un articolo dell’aprile 2015 su Scienze e Ricerche, Rosalia Cavalieri dell’Università degli Studi di Messina, dice: “Sono stata fortunata, da bambina, ad avere la musica [...]. Io l’adoro. Avverto le vibra-

zioni. Anche lo spettacolo mi colpisce. Gli effetti di luce, Secondo la classifica l’ambiente, la gente nella degli album più venduti sala sono a loro volta vinel 2018, il primo artista straniero brazioni [...]. Sento con in classifica è al 10° posto ed è i piedi, con tutto il corpo, Ed Sheeran con se mi stendo per terra. il disco “÷” del 2017. Per trovar e il primo album E immagino il rumore, straniero del 2018 più compra to in Italia bisogna l’ho sempre immaginato. sce nd ere fino alla posizione dove È con il corpo che percepitroviamo sco la musica. I piedi nudi a del compianto contatto del pavimento, appesi alle vibrazioni, è così che la vedo, a colori.” L’ascolto a colori, lo stesso una che hanno provato a generare I Subsos p e cie nica, accompagnati dai Bluvertigo, con il video di Discolabirinto, del 1999. Per di duetto fra canto e ASL. Da incanto. ogni strumento una luce, coordinata ai Anche in Italia si comincia a percepire sensibilità verso il diritto all’ascolto delsuoni. La musica, linguaggio universale di le persone con disabilità uditiva, cosa nome e di fatto, sconfina i limiti della resa ancora più difficile dal fatto che la nostra percezione per approdare dove LIS nel nostro Paese non è considerata l’ascolto è qualcosa di più totalizzante. una lingua ufficiale. Recentemente arLo sa bene Amber Galloway Gallego, tisti come Mr. Rain, GionnyScandal e una delle maggiori interpreti in ASL Lo Stato Sociale, in collaborazione con (American Sign Language) di concer- l’associazione Dilis (dilisonlus.com) ti di star quali Kendrick Lamar, Adele, impegnata nella diffusione della LIS e dell’integrazione delle persone sorde, Lady Gaga. hanno organizzato concerti provvisti di Un lavoro non certo facile quello di in- interpreti LIS in occasione dell’Home terpretare simultaneamente in ASL le Festival 2018.

FIMI

37°

"?"

xxxtentacion

canzoni: non solo bisogna conoscere bene i testi, ma bisogna cercare di far arrivare l’atmosfera creata da strumenti e canto a chi non può udirle con mezzi consueti. Amber si è inventata gesti particolari per rendere le onde del basso, il ritmo imposto dalla batteria, gli assoli di chitarra. Una delle cose più emozionanti che si possono vedere sul web in questo periodo, è il video di un concerto dei Red Hot Chili Peppers in cui sulla meraviglia di canzone che è Under the Bridge, il cantante Anthony Kiedis si posiziona vicino ad Amber, dando vita ad

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L’utilizzo degli interpreti assieme ad invenzioni di ultima generazione come la Sound Shirt, una maglietta in grado di tradurre gli stimoli sonori provenienti dal palco in vibrazioni più o meno distribuite su tutto il corpo di chi la indossa, ideata dall’azienda britannica CuteCircuit, sono dei primi passi importanti verso una sorta di rieducazione all’ascolto, che va oltre la “limitata” percezione delle orecchie per aprirci sempre a nuove dimensioni. La musica non finisce mai di stupire.

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Intervista Jack Jaselli

Jack Jaselli

“Torno a casa” per esplorare l’Italia

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di Francesco Nuccitelli

ra le rivelazioni dell’anno appena trascorso, troviamo sicuramente Jack Jaselli e il suo ultimo album “Torno a casa”. Primo disco in italiano e che vede la collaborazioni con Max Casacci e la partnership con Real Time. Noi di MusicazeroKm lo abbiamo intervistato prima del suo lungo tour.

Partirei chiedendoti di questo album e del titolo scelto “Torno a casa”? Questo disco è un mio ritorno a casa, geograficamente parlando. L’ultimo disco era stato registrato e per buona parte scritto a Los Angeles. Ho iniziato a collaborare con Max Casacci e abbiamo registrato a Torino, nella zona dei Subsonica. Se non sbaglio questo è il tuo primo album dove canti interamente in italiano. Come mai questa scelta? Sì, è il mio primo album in italiano. All’inizio non capivo neanche io questa scelta, ma ora posso dire che l’inglese non mi bastava più. Era come se stessi giocando solo con alcuni strumenti a mia disposizione. C’è una canzone che rappresenta più di tutte le altre questo album? Te ne potrei dire due: “In fondo alla notte” e “Torno a casa da te”. Sei un produttore, ma anche un fruitore di musica: come pensi sia cambiato il modo di ascoltare la musica? È una domanda da un milione di dollari. Oggi la musica ha la possibilità di essere onnipresente, come tutte le declinazioni del progresso. Sta a noi capire come poterla usare, perché ogni tanto la musica sembra che non sia un’arte, ma un prodotto fine a se stesso. Oggi gli album vengono fatti così tanto per… tanto ciò che conta sono i singoli su Spotify. Concludo chiedendoti come presenterai il tuo album; so che lo farai in un modo un po’ particolare? Sarà un tour di quasi 800 km. Farò tutta la via francigena a piedi. Saranno diversi i club dove suoneremo e i vari posti scelti saranno luoghi con delle storie da raccontare. Insomma, sarà un tour aperto a tutto e a tutti.

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Settore Video Slim Dogs

Eminem è l’unico

SLIM DOGS

musicista al mondo ad aver venduto nel 2018 500m ila copie fisiche dei suoi album. Un re cord ottenuto grazie al grande successo de l suo ultimo album “Kamikaze”, che ha fatto da traino per le vendite di tutto il catalogo del rapper.

di Manuel Saad

S

i è sempre detto che “can che abbaia non morde”, ma la cuccia della Slim Dogs ospita solo cani che mordono con i denti della creatività e che abbaiano grintosi alla macchina da presa. Abbiamo parlato, in cagnesco, con Matteo Bruno (MB) aka Cane Secco, Marco Cioni (MC) e Giovanni Santonocito (GS). Cos’è la Slim Dogs? MC: La Slim Dogs è una società di produzione video e comunicazione digitale, fondata circa quattro anni fa, che sostanzialmente si pone l’obiettivo di poter essere “fica” su tutti i tipi di produzione video. MB: È un progetto che non ha una fine. Uno strumento con cui posso portare avanti la mia passione principale ovvero raccontare cose attraverso una telecamera. Gli ingredienti per aprire una società di

produzione video. MB: Incoscienza, perché comunque te la devi rischiare, e tenacia. MC: Un buon commercialista! (ride) Quali sono le fasi che una canzone attraversa per diventare un videoclip? MB: Il primo step che affrontiamo sempre è ascoltare la canzone. Poi c’è un confronto diretto con l’artista da cui possono nascere diversi tipi di dialogo e spesso è lo stesso artista che ci affida il compito di svelare il senso della canzone. MC: La cosa bella di un videoclip è che, magari, riusciamo ad arrivare tutti alla stessa visione della storia che si vuole raccontare, come se la canzone guidasse i nostri cervelli verso la stessa idea creativa. Qual è il videoclip musicale più bello che avete realizzato finora? MB: Un videoclip che è stato difficile da realizzare con il quale abbiamo combattuto, ma che alla fine ci ha fatto dire “daje! N°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

fico!”, è stato quello di “Piccola Anima” di Ermal Meta ed Elisa. È stato girato in notturna a Priverno, vicino Roma, e abbiamo letteralmente bloccato un paese. Cosa stanno ascoltando i Cani Secchi questo periodo? MB: Ho ascoltato il nuovo dei Twenty One Pilots, ma non ne sono particolarmente soddisfatto. Il nuovo disco di Aurora mi è piaciuto molto, amo moltissimo Lorde e non vedo l'ora che esca il suo nuovo album. Ah, ho una fissa: la musica anni ’30. MC: Per me, invece, è il cinema che influenza il mood musicale del momento. Ho visto Bohemian Rhapsody e ora sto rivivendo i Queen. GS: Io ascolto soprattutto colonne sonore e ultimamente mi sono sparato l’ultimo cd di Salmo, l’album di Claire Audrin che ascolto in continuazione e Liberato è una mia perversione. 29


Novità L'App-Album

NUOVI MODI D’ASCOLTARE:

L’APP-ALBUM

di Alessio Boccali

“E

lettro Acqua 3D” è un progetto di Marco Di Noia e Stefano Cucchi che sfrutta la formula dell’app-album: una modalità di pubblicazione e condivisione della propria musica del tutto inedita in Italia (Solo Bjork in passato aveva tentato una strada del genere): Basta accedere allo store del proprio smartphone o altro device per scaricare gratuitamente l’app e ascoltare così i brani. Una trovata semplice, ma allo stesso tempo rivoluzionaria, della quale abbiamo parlato proprio con i suoi protagonisti: Marco e Stefano. Ciao ragazzi, com’è nata l’idea di questo app-album? L’idea nasce dalla voglia di sfruttare l’enorme potenziale del web e dal bisogno di un supporto che ci desse modo di spiegare i quattro anni di ricerca e sperimentazioni impiegati per confezionare l’album. Avevamo la necessità di una specie di booklet, che però potesse essere ampliato online con una parte di contenuti speciali e per questo l’applicazione era perfetta. Un altro fattore importante che ci ha fatto pensare alla creazione dell’app è una sorta di ribellione nei confronti della discografia, che non ci ha mai voluto ascoltare. Parlando di musica sul web si parla tanto degli scarsi ricavi provenienti dalle piattaforme di streaming; con un’app come va invece? Nel nostro caso, l’app-album base è gratuita (paghi soltanto se vuoi ascoltare il disco in “alta qualità”) perché vogliamo perlopiù farci conoscere. In generale, comunque, l’applicazione ha un potenziale di mercato impressionante e potrebbe diventare una miniera d’oro per gli artisti mainstream. Penso ad app che potrebbero prevedere l’acquisto di tutta la discografia di un artista, l’opportunità di acquistare i biglietti per i vari concerti o ancora, grazie alla funzionalità delle notifiche, la possibilità di stare sempre in contatto col proprio pubblico. Mi spiegate un po’ questa storia della tridimensionalità dell’ascolto (3D audio)? La tridimensionalità è stata pensata per chi ascolta la musica tramite le cuffiette e quindi tende a isolarsi dal mondo esterno per immergersi in un mondo proprio. La nostra idea è quella di portare l’ascoltatore nei vari mondi raccontati nelle canzoni. Questo avviene tramite il 3D audio, appunto, e il mixaggio binaurale, una tecnica che funziona esclusivamente in cuffia e rende possibile l’ascolto di tutti quei suoni che imitano l’avvicinamento e

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Disponibile anche su dispositivi IOS

l’allontanamento o più in generale la localizzazione del suono in punti diversi dello spazio. Questo “Elettro Acqua 3D” è un concept album sul viaggio, che ha come filo conduttore l’elemento acqua… Come l’acqua anche il viaggio ha un principio ed una fine del suo corso. Il viaggio muta una persona (al ritorno da un viaggio non sei mai lo stesso di quando sei partito) così muta l’acqua (è il discorso del “panta rei” per il quale non ci si bagna mai nella stessa acqua in cui ci si è già bagnati). La metafora era perfetta e si associava benissimo al nostro progetto, visto da sempre come un mare nel quale bagnarti superficialmente oppure immergerti completamente per un ascolto più approfondito. Torniamo all’ascolto, pensi che oggi sia quello in cuffia, in solitaria, la fruizione preferita alla quale tutti i musicisti dovrebbero pensare come obiettivo? ...e i live? Bisogna fare la classica distinzione tra sentire e ascoltare: la musica continuerà ad essere sentita come sottofondo all’interno dei locali, ma se si vorrà approfondire l’ascolto bisognerà farlo in solitaria, meglio se in cuffia. Per quanto riguarda i live, noi cerchiamo di dare al pubblico un’esperienza sonora attraverso l’ascolto in cuffia in 3D audio. Una sorta di silent disco: in palco saremo in tre, noi due più un fonico che in real time mixerà in binaurale e il pubblico avrà delle cuffie wireless per ascoltarci. Un progetto molto interessante e replicabile in vari ambienti, visto che non si ha il problema, ad esempio, dell’inquinamento acustico.

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Settore Audio Emilio Munda

Emilio Munda

Al festival da autore insieme a Carrozza, Romitelli e Gianna Nannini per “Il Volo"

di Francesco Nuccitelli

E

milio Munda fa parte della schiera dei nuovi autori della musica italiana. Tanti gli artisti con la quale ha collaborato e tanti i pezzi di successo scritti da lui. Inoltre, è tra i partecipanti alla 69° edizione del Festival di Sanremo nelle vesti di autore per il brano “Musica che resta”. Nonostante i tanti impegni lo abbiamo raggiunto telefonicamente. Ognuno ha un proprio personale approccio alla scrittura, il tuo qual è? Quando scrivo una canzone parto sempre dalla musica, mai dal testo. Magari si inizia da un giro di accordi del piano o della chitarra, per poi costruire la struttura melodica e successivamente si scrive il testo. A volte capita che sia la melodia quasi a suggerirti le parole, è una cosa molto curiosa e suggestiva, sembra che quella melodia “parli” e contenga già un messaggio testuale. Sei un polistrumentista, quanto influisce questo sul tuo essere autore?

Reputo un grande vantaggio essere polistrumentista, poiché permette di iniziare a scrivere un brano partendo da strumenti diversi. Le sonorità che possono nascere da un pianoforte sono diverse da quelle di una chitarra ad esempio. Anche dal punto di vista dell’arrangiamento, avere una visione generale del brano e pensarlo già con una produzione artistica completa permette una marcia in più sul risultato finale. Sei tra gli autori del brano sanremese de “Il Volo”. Com’è nata questa collaborazione? Il brano nasce principalmente dalla collaborazione con Piero Romitelli, con il quale ho già scritto molti altri brani già pubblicati per altri artisti. In questa collaborazione specifica si aggiunge anche un nostro amico comune: Antonello Carozza. In corso d’opera il brano è stato ascoltato da Gianna Nannini che ha deciso di dare il suo tocco finale. Poi grazie a Pasquale Mammaro, il nostro inedito è stato ascoltato e scelto dai ragazzi de

“Il Volo” che lo hanno proposto per il Festival di Sanremo. Vivi la musica in tutte le sue sfaccettature, ma come pensi sia cambiato il modo di ascoltare la musica? E’ molto cambiato. Molti anni fa c’era un’attenzione maggiore alla qualità, magari ci si ricavava un po’ di tempo per accendere lo stereo o il giradischi e si gustava la musica dai vinili e dai cd, prestando attenzione ai suoni e alle particolarità. Al giorno d’oggi la musica è utilizzata più da sottofondo, si ascolta distrattamente, anche dai telefoni, in mono e in bassissima qualità. In conclusione, siamo nel 2019, cosa ti aspetti, parlando di Musica in generale, da questo nuovo anno? Cercando di essere realista credo che si andrà più o meno nella direzione degli anni passati, ma è chiaro che la speranza è quella di una rivalutazione dell’arte in generale e in particolar modo per l’arte musicale in Italia.

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paolacarbonem


www.mzknews.com

Il magazine della capitale


Focus Streaming Vs Vinile

STREAMING E VINILE SINONIMI O CONTRARI?

di Manuel Saad

L’

ascolto musicale, nel corso degli anni, è cambiato tantissimo e quest’evoluzione ha portato con sé numerosi pro e contro. Ci troviamo nel momento storico in cui con un tocco possiamo sfogliare milioni di librerie musicali, ascoltare tantissimi brani e passare da una canzone all’altra senza alcun problema. Avere accesso a così tante discografie di svariati artisti e playlist infinite di ogni genere, rappresenta una grande libertà culturale con la quale, chi ascolta, è padrone di poter decidere cosa dar da mangiare alle proprie orecchie. Se dovessimo fare un confronto tra un disco in streaming e un 33 giri, si aprirebbe un dibattito interessante sulle differenze che per forza di cose andrebbero a sottolineare vantaggi e svantaggi delle due situazioni. Due situazioni completamente differenti che vedono il concreto e l’astratto giocare ruoli diversi. I vantaggi dello streaming sono numerosi: quantità esorbitanti di file audio contenute in rete alla quale possiamo aver accesso in ogni momento e in ogni luogo. Qui, però, non troviamo più il concetto di acquisto ma di noleggio. Si paga mensilmente per avere a disposizione queste illimitate librerie musicali, fino alla scadenza del contratto e non oltre. Ma questa praticità è un’affilatissima lama a doppio taglio. Si sa che qualità e quantità percorrano strade completamente differenti e con esse anche tutto ciò che ne deriva. Avere a disposizione la possibilità di mettere in pausa quando si vuole, cambiare brano, album, artista e genere in meno di un secondo, potrebbe rendere l’ascolto superficiale e passivo, se lo streaming non venisse usato per una ricerca musicale vera e propria, ovviamente. Il disco in vinile, invece, non include nel proprio universo questo aspetto, in quanto chi vuole riprodurre un brano musicale, deve confrontarsi con la fisicità vera e propria del disco: il 33 giri (LP) ha una durata di circa 30 minuti per lato ed è soggetto a usura, graffi e formazione di possibili muffe che vanno a compromettere la qualità acustica. Ci sono tecniche di restauro per cercare di mantenerlo in ottime condizioni, come l’utilizzo di varie misture (alcool denaturato + acqua distillata), ma basti pensare che i solchi, con il passare del tempo e con l’aumentare del numero di riproduzioni, vanno a modificarsi, rovinandone la qualità. La testina di lettura del giradischi ha anch’essa dei punti deboli: essendo un trasduttore, variazione di temperatura e di umidità sono veri e propri nemici. Se conservati correttamente, come in un ambiente asciutto e temperato, anche vinili di 40 anni possono dare soddisfazioni. Indubbiamente, qui, stiamo parlando di un ascolto attivo nel vero senso della parola. Dopo tutta questa “fatica”, un brano viene mangiato letteralmente e rimaniamo incantati quando la punta del giradischi corre sul disco riproducendo assoli di chitarra, batterie prorompenti e voci che sembra di sentire live. Ma questo non prevede la comodità che solo uno streaming può dare: tutto ciò che serve è un dispositivo e una connessione ad internet. Staticità e ascolto zelante contro dinamicità logistica e passività dell’ascolto. Quale sarà la combinazione vincente?

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Analizzando i dati per il 2018 resi noti dalla RIAA, la Recording Industry Association of America, negli Stati Uniti, il 75% dei guadagni dell’industria musicale è giunto proprio dalle piattaforme di streaming, mentre il vinile ha proseguito nella sua resurrezione cominciata qualche anno fa, attestandosi su guadagni di ben 2 milioni di dollari. Queste due realtà sarebbero però del tutto complementari anziché antitetiche, così diversi esperti hanno confermato alla recente conferenza Making Vinyl di Detroit. Infatti, servirebbero circa 2.5 milioni di riproduzioni su YouTube e 368.000 ascolti su Spotify per raccogliere lo stesso guadagno della vendita di 100 vinili.


REDAZIONALE | LUISS Business School

L’

industria musicale in Italia è in continua

che prima erano delegate a terzi. Infine, è necessario ri-

espansione e, specialmente nell’ultimo trien-

cordare che oggi la realizzazione di un buon prodotto

nio, ha subito radicali trasformazioni: cam-

musicale non è più sufficiente per trasformarlo in un pro-

biano i player e se ne aggiungono di nuovi.

dotto di successo senza un’adeguata promozione inno-

Aumentano le opportunità per tutti quei ragazzi che desi-

vativa e molto spesso atipica.

derano trovare un loro spazio all’interno di questo settore.

La Major in Music del Master in Media Entertainment

Oggi svolge un ruolo centrale e sempre più rilevante la musica live e di conseguenza cresce la richiesta di figure

della LUISS Business School risponde a questi cambia-

menti settoriali presentando un’offerta formativa innovati-

legate all’organizzazione e alla produzione degli even-

va, ricca di corsi che trattano il management dell’artista,

ti. Inoltre, grazie al successo di artisti come Calcutta e

organizzazione di eventi, promozione nell’industria mu-

Cosmo, piccole etichette discografiche o indipendenti si

sicale e gestione delle edizioni musicali. La teoria però

sono posizionate al centro del settore e sono l’esempio

non risulta sufficiente per preparare i nuovi operatori del

di come, un giovane con un’idea brillante e senza grandi

settore, per questo offriamo l’opportunità di mettere in

capitali, possa creare da zero una sua idea di business e

pratica le nozioni teoriche con progetti sul campo du-

portarla ai livelli delle grandi Major, gestendo tutte quelle

rante l’anno didattico e attraverso uno stage formativo al

mansioni, dalle registrazioni alla gestione delle edizioni,

termine delle lezioni.

Negramaro:

?

?

tour rinviato, ma Le le ci sarA'!

La prima data dell’Amore Che Torni Tour, prevista il 15 novembre a Rimini, è slittata al 14 febbraio. Sul palco ci sarà anche Lele Spedicato, che ha iniziato la riabilitazione dopo l’emorragia cerebral e del 17 settembre.

IALS

L’INDUSTRIA DELLA MUSICA ROMA MONTEVERDE - SCUOLA DI MUSICA Via di San Calepodio 11, Roma Tel. 0683083407 www.lindustriadellamusica.com

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Focus L'Ascolto al Cinema

IL CINEMA SENZA MUSICA? Un porno alla radio! "Psycho avrebbe messo la stessa ansia senza quegli archi?"

S

appiamo tutti che vedere un film senza colonna sonora non sarebbe la stessa cosa. Trattare l’argomento “musica”, non in maniera assoluta ma trasversale per sottolinearne l’importanza anche in altri ambiti, potrebbe essere un esperimento stimolante e soprattutto potrebbe incuriosire chi magari dà per scontato alcune cose.

Prenderemo in esame tre realtà cinematografiche molto diverse tra loro ma che hanno in comune elementi i quali, per cause di forza maggiore, hanno influenzato, e non poco, la loro carriera artistica. Stiamo parlando di Stanley Kubrick (1928 - 1999), Martin Scorsese (1942) e Woody Allen (1935): tre coetanei, o quasi, nati nel torsolo della Grande Mela, conosciuta come New York, che hanno dedicato la loro vita al mondo cinematografico. Kubrick, Scorsese ed Allen appartengono a tre generi di regia differenti paragonabili a tre generi musicali differenti, rispettivamente classica, rock e jazz. Le vite di questi tre registi si sono incrociate numerose volte. Nel 1989 esce New York Stories, film collettivo di tre episodi dove Scorsese e Allen hanno diretto due episodi insieme al collega Francis Ford Coppola il quale ha diretto il terzo. Tre episodi incentrati sulla loro città nativa con dinamiche sociali viste da punti di vista differenti. Kubrick aveva scelto Allen come possibile personaggio principale del film Eyes Wide Shut, in quanto il Sig. Allen è stato in analisi per 21 anni e il regista di 2001: Odissea nello Spazio era affascinato dall'idea di affidargli un uomo che si scopre vulnerabile di fronte ai sentimenti. Ma il progetto non andò a buon fine, la sceneggiatura venne ritoccata e il protagonista diventò Tom Cruise insieme a Nicole Kidman. Scorsese ammira di gran lunga il cinema di Kubrick, tanto da definirlo come un qualcosa che non aveva mai visto, in grado di ampliare e ridefinire i limiti del cinema stesso. Allen sostiene che il cinema di Scorsese e di Kubrick abbia influenzato notevolmente decine di registi, a differenza del suo che non ha influenzato nulla, come ha dichiarato, inconsciamente, lui stesso.

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Focus L'Ascolto al Cinema

Gli inglesi sono il popolo

che spende di più per acquisti musicali. Da soli produc ono il 7,2%

dei guadagni mondial i de mercato musicale.

l

di Manuel Saad

Ma arriviamo al punto cruciale del nostro esperimento: la musica. Tutti e tre le riservano un posto in prima fila per i loro film. Martin Scorsese è un grande appassionato di rock in tutte le sue sfaccettature. Nel 1969 è stato aiuto regista per il documentario sul concerto di Woodstock, ha diretto il documentario Shine a Light sul concerto dei Rolling Stones e, sempre insieme a Mick Jagger, ha co-prodotto la serie Vinyl. Questa sua carica rock la si può veder esplodere in ogni suo film dove ogni colpo di scena equivale ad una chitarra elettrica la quale, gonfia di distorsione e di un compressore potente, viene stuprata dalle mani di un chitarrista esperto davanti a milioni di persone che urlano con tutta la loro forza. Scorsese è un chiaro esempio del discorso “siamo ciò che ascoltiamo” ed in questo caso il suo occhio cinematografico è fortemente influenzato dai suoi ascolti. Woody Allen ha una jazz band con cui suona il clarinetto da circa 35 anni e la sua passione per questo genere musicale trasuda dai suoi film, dove citazioni a jazzisti o a brani, non mancano mai. In ogni film, come il jazz, la delicatezza incontra il fervore, la calma incontra la tempesta. Una New York color pastello si fa scenario di vite e processi sociali che solo Allen ha saputo raccontare attraverso le note di un clarinetto malinconico. “Penso che la musica sia uno dei modi più efficaci per preparare il pubblico e sottolineare dei concetti che si vogliono far notare ad esso. L'uso corretto della musica, e ciò include anche il non-uso della musica, è una delle armi più potenti che un regista abbia a disposizione.”, rispondeva Kubrick in alcune interviste. Molti appassionati del cinema kubrickiano sapranno per certo che il regista newyorkese aveva un debole per la musica classica nel montaggio delle sue opere, dichiarando che compositori come Mozart, Beethoven, Brahms etc, valorizzassero storie cinematografiche, incastrandosi perfettamente nella narrazione, come anche il silenzio stesso. Basti pensare ad Arancia Meccanica, Shining e Barry Lindon. Tre mostri sacri del cinema che nella musica hanno trovato una fida compagna di lavoro e nella vita.

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SPAZIO

MUSICA

RECENSIONI ARTISTI E NUOVE PRODUZIONI DISCOGRAFICHE redazionemzknews@gmail.com

Roberta Finocchiaro - Something True

FOLK / BLUES

“Something true” è il nuovo album della giovane cantautrice catanese Roberta Finocchiaro. L’album segue la grande tradizione musicale americana: passa dal folk, al country, per poi proseguire con il blues, il rhythm and blues e il rock and roll. Nel disco è presente anche una piacevole anomalia; nascosta tra le sonorità a stelle e strisce, infatti, troviamo una piccola perla cantata in italiano dal titolo “Paura”. Un progetto discografico composto da 9 tracce, che raccontano i sogni, le paure, le sensazioni e le emozioni di una giovane ragazza del Sud partita per conquistare l’America. Di Francesco Nuccitelli

Rough Enough - Molto poco Zen

PUNK ROCK

Predicare calma zen non aiuta, spesso è necessario incazzarsi per cambiare le cose e stare meglio. È questo il messaggio principe di “Molto poco zen” dei Rough Enough, il duo catanese che con un punk rock istintivo e rabbioso cerca di esorcizzare il proprio malessere per trovargli una risposta. Non basta starsene da parte e tirarsi fuori dalla lotta quotidiana per star bene, bisogna immischiarsi nella giungla urbana e nei suoi problemi per ritrovare finalmente il Nirvana. Un disco dalle sonorità e dai testi taglienti caratterizzato da una voce indignata e fuori controllo. Urla di disprezzo che sono anche una richiesta d’aiuto. Di Alessio Boccali

Jacopo Ratini - Appunti Sulla Felicità

CANTAUTORATO POP

Jacopo Ratini è un cantautore che ha raggiunto piena maturità grazie ad una gavetta di tutto rispetto. “Appunti sulla felicità” è un disco che farebbe impallidire più di metà degli artisti del momento: è malinconicamente dolce, intelligente, impegnato e mai banale. Il cantautore romano non si nasconde dietro a un dito e mette alla berlina tutto il malessere della società moderna. La sua voce accompagna le parole, ti dà il tempo di analizzarle e rifletterci su, non le butta lì a caso sotto forma di invettiva fine a sé stessa. Le sonorità sono molto più pop rispetto ai suoi lavori precedenti, ma questo può essere solo che un bene per un artista che merita davvero di essere ascoltato. Di Alessio Boccali 38

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Subba And The Roots - Brinda!

REGGAE / ALT. ROCK

I Subba And The Roots hanno un merito eccezionale: sono riusciti a riportare tutta la carica del live in un disco. “Brinda!” è una creatura pronta a prendere vita al play. Un’esplosione di musica che spazia dal reggae latin-jazz in italiano all’alternative rock inglese, senza risultare dissonante: i generi si fondono alla perfezione dando la possibilità ai ragazzi di mettersi in gioco sui vari campi ed uscirne sempre vincenti. Vi avviso, è un disco, praticamente tutto in tonalità maggiore, che non vi darà la possibilità di ascoltarlo da seduti, quindi preparatevi ad alzare il volume e muovetevi, ballate… insomma, fate casino! Di Alessio Boccali

Max Dedo - Un Posto Vero

POP

“Un posto vero” è il titolo dell’ultimo album di inediti del polistrumentista Max Dedo. Questo progetto discografico vede al suo interno 11 tracce ed è stato anticipato dal brano “Inverno maledetto”, singolo uscito lo scorso novembre. L’album, è il terzo da solista per il musicista e vanta al suo interno importanti featuring con Carmen Consoli, Erriquez della Bandabardò, Ramon Caraballo e Max Gazzè. Un album ricco e variegato, non bloccato nei soliti schemi di genere, ma un concept libero e dal sound leggero. Arricchito da testi profondi, che mostrano la maturità artistica di Max Dedo e la sua evoluzione musicale. Di Francesco Nuccitelli

Roberto Cacciapaglia - Diapason

CLASSICA / ELETTRONICA

È uscito da poco il nuovo progetto discografico che vede protagonista il pianista e compositore Roberto Cacciapaglia: il suo ultimo album di inediti che prende il nome di “Diapason”. Un disco ricco di contaminazioni in un insolito incontro tra la tradizione della musica classica e la modernità dell’elettronica. Registrato con la Royal Philarmonic Orchestra, questo lavoro tende ad omaggiare, con la scelta dei brani, tre grandi personaggi storici: Martin Luther King, William Blake e il “Mahatma” Gandhi. Un album sicuramente distante dal sound odierno e lontano dalla ricerca dei dati di ascolti. Un progetto che ci regala attimi di pura estasi e ci fa far pace con la musica. Di Francesco Nuccitelli

Murubutu - “Tenebra è la notte ed altri racconti di buio e crepuscoli” RAP La notte è fatta per essere vissuta. I poeti, e i creativi in generale, lo sanno bene e Murubutu non fa di certo eccezione. il suo nuovo “Tenebra è la notte ed altri racconti di buio e crepuscoli” sembra un libro di letteratura rappato, un concept album che trasforma la mancanza di luce della notte in uno stato fisico e mentale, cui a volte si riesce a trovare un’illuminazione e altre volte no. La domanda che sorge spontanea dopo l’ascolto è: se il buio rappresenta quel vuoto che fa ancora più paura quando viene riempito di pensieri, si può sfuggire alla notte? No, la si può soltanto vivere per tentare di trovarvi la propria dimensione. Di Alessio Boccali N°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

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Soundmeeter

ph. Francesca Romana Abbonato

Piotta

VIDEO INTERVISTA

PIOTTA di Arianna Bureca

“V

i ho portato qui, nel quartiere Conca d’Oro, perché tutto qui è cominciato. Sono arrivato con i miei genitori quando avevo un anno e rimasto stabilmente fino al 2000. Poi sono venuto, come da tradizione, per i tipici pranzi domenicali e infine tornato recentemente per l’ultimo trasloco, quello più triste, di quando i genitori non ci sono più. E così, riaprendo faldoni, armadi, scrivanie, librerie, ho trovato tantissime cose: vecchie t-shirt, VHS, vinili, diapositive, libri… e sono riaffiorate mille storie dentro la storia di Via Valsavaranche e della mia famiglia. Sono partito da queste per narrare attraverso un disco

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autobiografico, “Interno 7”, un racconto generazionale o addirittura universale” Tommaso Zanello, aka Piotta, in occasione della 21esima puntata di Sound Meeter ha aperto la scatola dei ricordi tra le strade del quartiere che lo ha visto crescere, e ha portato gli ascoltatori a scoprire location inedite tra Conca d’Oro e Corso Trieste che hanno segnato la sua vita privata e professionale. “Quali sono i ricordi più forti che hai tra queste strade?” “Sicuramente la mia famiglia, le ore nel traffico sul Ponte delle Valli per raggiungere la scuola, i primi studi dove abbiaN°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

mo registrato Supercafone o l’album La Grande Onda, il Parco delle Valli, che prima era una distesa di fango, c’era il Circo. Scrissi anche una canzone omonima, per difendere l’unico polmone verde di questo quartiere così pieno di palazzi. E nel tempo abbiamo vinto: oggi il Parco è vivibile e pieno di speranza grazie alla volontà di tutti i residenti. Ed è proprio qui che ora nel weekend fanno il mercatino, tra i cui banchi c’è anche il mio ormai pusher di vinili di fiducia” “In questo quartiere sono nate anche alcune delle tue più grandi hit. Dove le hai registrate?” “Questa è una chicca che in pochi san-


Soundmeeter Piotta

no. Il mio vecchio studio, dove venivano in molti a chiedere mixtape storici (tipo La banda del trucido!), oggi è un autolavaggio. Entrando c’è una botola che porta a un seminterrato dove c’è un piccolo studio e un bagno. Ecco, alcune hit totali tipo Supercafone sono state registrate nel bagno: se le sentite a cappella noterete uno strano riverbero perchè era uno spazio di forse 3mq! La Grande Onda invece la abbiamo registrata agli XL Studio, in Via Valgrana 8. Un giorno arrivò anche un giovane Calcutta, ma questa è un’altra storia!” (ride)

co, ho trovato anche loro” (ndr) “Hai trovato loro e noi, nell’ultimo album, abbiamo trovato Tommaso. Un Piotta più consapevole, maturo come persona e nostalgico, di quei “Maledetti anni ‘90”. Come hai fatto a raccontare con un disco autobiografico la vita di ognuno di noi? “Si dice che quando inizi a parlare della panchina dove ti sei seduto da piccolo, forse già sta arrivando molto di più. E a te sembra impossibile, e invece poi è così. Ero pieno di ansie quanto è uscito il disco, ma oggi sono contento perché anche chi mi scrive lo fa in maniera diversa. Non è più “l’ho ballata, l’ho reccata” ma piuttosto “come hai fatto? Hai descritto un pezzo di vita mia!”. E io mi chiedo, come fa ad essere la tua se in realtà è la mia. Ecco, perché forse, in fondo, sono le nostre…”

ph. Francesca Romana Abbonato

“Negli anni è cambiata molto la tua musica, esplorando generi anche distanti tra loro, passando dall’hip-hop al raggae, dal rock al cantautorato. Come è cambiato invece Tommaso?” “Inizialmente, da ragazzino, ero timido. Poi è arrivato l’Hip Hop con i suoi ac-

cessori: collanoni, cappelli, scarpone… e mi ha salvato, in quanto mi ha permesso di creare una corazza da portare sul palco ed espormi, per raccontare un’età e una generazione. La mia dimensione musicale l’ho scoperta al liceo. Mio fratello più grande ascoltava heavy metal, hard rock… un pò lui ha trovato me, un pò io lui. Complice sicuramente è stato Jovanotti, che in quegli anni faceva un programma in radio con tutto il rap americano. Poi qui a scuola c’era un gruppo nutrito di ragazzi che faceva già musica, chi reggae (Brusco e i Villa Ada Posse) e chi chi rap (tra cui Nicola Semprini e Simone, oggi Danno dei Colle der Fomento). Nonostante questo sono sempre rimasto molto legato alla tradizione cantautorale italiana. Mio padre era un grande amante di Fossati, De Andrè, Dalla, Battisti, e tra i ricordi riaffiorati nell’ultimo traslo-

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Musicazero Progetti da scoprire

Progetti da scoprire

I consigli dalla nostra redazione sulle produzioni e gli artisti da non perdere nel 2019

FRANCESCO DI BELLA

di Lavinia Micheli

Se tutto intorno a voi è tristezza e disillusione, non c’è ricetta migliore di Francesco Di Bella. Il cantante napoletano classe 1972 ritorna solista in grande stile, seppur con la delicatezza che da sempre lo caratterizza, dopo i successi degli anni ’90 insieme ai 24 Grana, uno dei gruppi più interessanti della scena indipendente del tempo dopoNuova Gianturco, il primo vero e proprio album da solista uscito nel settembre 2016 e dopo l’elegantissimo gioiello prodotto insieme ai Ballads Cafè, in cui ritroviamo i più grandi successi dei 24 riarrangiati in acustico. Il titolo del nuovo album è una provocazione: "‘O Diavolo", figura che con Francesco c’entra davvero poco. Ma forse è proprio il contrasto tra un titolo così forte, la sorprendente copertina dell’album curata dallo street artist Davide Diavù e la dolcezza dei testi e delle musiche de "‘O Cardillo" a rendere questo album spumeggiante ed agrodolce allo stesso tempo. Ritroviamo le sonorità etniche che rimandano all’est dei 24 Grana nella canzone che dà il titolo all’album o, nella più affascinante e ritmata "Rub-a-dub style", i temi impegnati come in "Canzone ‘e carcerate" e l’intimità della quotidianità in "Scinne ambresso". Francesco incarna nelle sue canzoni tutte le contraddizioni della nostra società, tentando di far fiorire i preziosi momenti di felicità che si nascondono dietro le grandi brutture. E allora "Scinne ambresso" a comprare il nuovo album!

The Leading Guy

di Manuel Saad

Prendete il folk, prendete il cantautorato e aggiungete una dose importante di introspezione che oscilla tra la malinconia e la felicità nascosta nelle piccole cose. Simone Zampieri, in arte The Leading Guy, è una miscela esplosiva in grado di regalare emozioni di diverse sfumature e di tenere incollate le orecchie dell’ascoltatore dall’inizio alla fine. Bellunese di nascita, triestino di adozione e cresciuto artisticamente in Irlanda, ha scritto il suo primo disco nel 2015, dal titolo “Memorandum”. Disco forte, intenso e riuscito nell’intento di far compagnia all’ascoltatore, racconta vicende personali costruite in una chiave folk solida e funzionale. “Mr Wolff ”, “Oh Sister”, “To See as the Good Sees” sono esempi di singoli che si fanno spugna di sensazioni e ricordi. Poteva, questo talento nostrano, passare inosservato? Ovviamente no. I nuovi brani del secondo disco, infatti, sono usciti per Sony Music Italy. “Times” e “Land of Hope” sono due brani che segnano una maturità e una crescita musicale non indifferente. La bussola segna in direzione di un pop raffinato, ma sulla strada incontriamo “Black”: brano apocalittico, distante dagli altri due ma tremendamente ipnotico. Per chi volesse ascoltare una voce diversa, il ragazzo con l’adesivo di Bob Dylan sulla chitarra, vi mostrerà le coordinate. 42

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Musicazero Progetti da scoprire

SOPHIA KENNEDY

di Valeria De Medio

Classe 1989, Sophia Kennedy esordisce con l’omonimo Sophia Kennedy (2017), album elegante e sofisticato, costruito su una tessitura elettronica continua, accompagnamento perfetto alle sue skills vocali. Segno distintivo dell’insolita produzione PAMPA records è sicuramente l’interpretazione di questa ragazza di Baltimora formatasi ad Amburgo, dove ha studiato e composto musica per il teatro. Se aggiungiamo, poi, la collaborazione con Mense Reents per gli arrangiamenti, ecco che queste undici tracce diventano piccole pièces teatrali da ascoltare. Si passa con estrema disinvoltura dai ritmi tribali incalzanti con voci e cori di “Build me a house”, alla tensione crescente di archi e scacciapensieri in Izzy Dizzy, dall’intimità di A Bug On A Rug in a Bulding, flash elettro-pop anni ’90, all’organo di Foam, fino al doo-wop anni ’50 di William by the Windowsill. Riflessioni profonde quanto ironiche sulla -sua?- stravagante condizione umana del quotidiano: è questo che Sophia Kennedy vuole regalarci, lontano dalle retoriche comuni, con naturalezza e godibilità, in chiave moderna e innovativa. O forse no.

POPULOUS

di Valeria De Medio

L’ universo italo-berlinese di Andrea Mangia aka Populous ti attrae come le Colonne d’Ercole attirano il curioso Ulisse. Si tratta di un’esperienza synth-pop nelle declinazioni più diverse, quelle che Populous decide di tirare fuori da un cappello traboccante sonorità. La sua produzione è decisamente riconoscibile e tutta da scoprire: si passa dagli esperimenti di innesto tra elettronica, reggae e hiphop di Quipo(2003) al dream-pop spennellato di shoegaze di Drawn in basic (2005), fino alla world music di Night Safari (2014), grande successo di pubblico e critica. E’ con Azulejos, però, che il polistrumentista leccese di formazione berlinese raggiunge il focus creativo, realizzando il primo album italiano di cumbia elettronica, caldo e sensuale riflesso della sua esperienza portoghese. La chicca che non potete perdere? Com Amigos (Remixes) (2018), quattro tracce da Azulejos remixate, da ascoltare in loop, in preda a una selvaggia nostalgia di feste in piscina, palme verdeggianti, sabbia che scotta e profumi di creme solari.

SOUNDS GOOD

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Generation David August

D A V I D

A U G U S T

"Alla fine del 2014, a soli 22 anni, David August si classificherà al 4° posto tra i migliori live act dell’anno, nel sondaggio annuale dei lettori del prestigioso magazine online londinese, Resident Advisor."

il suono “D’Angelo”dell’artista italo-tedesco Raffinato, leggero, introspettivo. Le mille (e mai banali) melodie di un dj non per tutti a cura di Carlo Ferraioli

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erché non per tutti? Non che la sua musica non possa essere apprezzata da un pubblico eterogeneo e variegato, ma David, appena ventisei anni, ha iniziato a stupire in modo anomalo davvero fin da subito: già dall’adolescenza. È quindi un onore avere ospite fra le pagine di Generation un simile talento, come arduo è il compito (e qui rispondiamo alla domanda d’introduzione) di comprenderne ogni sfaccettatura melodica attraverso i suoi live, piuttosto che sdraiati sul proprio sofà di casa. Uno dei primissimi a notarlo fu l’autorevole Solomun sulla cui etichetta, Diynamic, August esordì nel 2013 con Times, suo album di debutto. Prima di allora c’erano però già stati degli importanti EP fra il 2009 e

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il 2012, di questi ricordiamo Instant Harmony, Peace of Conscience e You Got To Me Love che iniziarono a disegnare un cerchio attorno all’artista berlinese, un tratto di stile, contenuti e strumenti adoperati per raggiungerli. Nel 2014 una breve parentesi lo portò a lavorare con l’etichetta berlinese Innervisions, con la quale avrebbe poi prodotto Epikur, ennesimo EP da aggiungere alla sua collezione di successi giovanili. Poi la consacrazione quando, lo scorso anno, ha dato vita ai due album che lo hanno portato alla conoscenza di una platea più vasta, attenta a percepirne la delicatezza e la meticolosità. Prima DCXXXIX A.C. dal tatto ambient, rilasciato dalla sua label (99 Chants) dopo un periodo di ricerca durato quasi un anno; poi D’Angelo, ultiN°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

mo album dello scorso ottobre composto da sette tracce di cui non vi sveliamo particolari perché ascoltarle sarà la vera rivelazione. Una cosa però va detta: David August, amburghese di origine, con i suoi due ultimi lavori ha voluto riscoprire le propri origini italiche, che quindi portano vanto al nostro strano stivale. Special modo con DCXXXIX A.C., opera per la quale il ragazzo prodigio ha attraversato buona parte del Paese, e che ha decisamente influenzato anche la sua ultima uscita (D’Angelo, appunto). Non possiamo che augurarvi quindi un buon ascolto – magari dal vivo – di questo portento che si appresta a farne di strada. E proprio a lui, a David(e), un grossissimo in bocca al lupo!


Technology La voce degli Smartphone

Alti cristallini, bassi profondissimi, medi costanti e perenni: ecco a voi la voce degli smartphone Le nuove tecnologie, spesso nano e micro, portano ad un’esperienza acustica formidabile. Scopriamone alcune. di Carlo Ferraioli

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vere il “concerto” in tasca è sempre più una realtà e meno un progetto di qualche azienda produttrice di telefonia mobile. Attenzione, non che le cose possano sovrapporsi – o una sostituire l’altra – ma va per forza di cose posta l’attenzione sui giganteschi passi fatti in avanti per quanto riguarda l’acustica dei nostri cellulari: sempre più performanti, nitidi, puliti nel suono per una fruizione mai vista (anzi, ascoltata) prima. Per capirci qualcosa in più è necessario però partire dalle cose semplici.

Il DAC. Digital to Analog Converter, è il componente elettronico che converte il segnale da digitale ad analogico. In sostanza si tratta di una tecnologie capace di trasformare le informazioni presenti nei singoli file in forme d’onda riproducibili dagli speaker e udibili dall’orecchio umano. Senza il DAC, la musica digitale non esisterebbe. Solitamente si va dagli 8 bit dei DAC più semplici (telecomandi), ai 12 bit per i controlli di precisione (strumenti di misura come l’oscilloscopio), ai 16 bit dei cd passando per i 24 bit dei DVD. Tutto questo per finire ai 32 bit dei più moderni apparecchi, tra cui alcuni smartphone presenti sul mercato. Bene, ciò detto, passiamo allo step successivo. I Quad DAC. Si tratta in questo caso di altoparlanti con una tecnologia che garantisce un audio Hi-Fi tridimensionale. Questo effetto è conferito nelle versioni più recenti degli smartphone che adoperiamo anche da speaker stereo frontali (in pratica delle casse poste davanti, e non sul retro del telefono) oltre che da altoparlanti da capogiro. È il caso del Boombox, oltre che del modulo JBL SoundBoost, un accessorio raffinatissimo che aggiunge degli speaker stereo dalla potenza di 3 Watt al cellulare. Capirete, quindi, che microtecnologie così ricercate e meticolosamente studiate attraverso materiali molto costosi, siano spesso soggette alla proprietà privata di colossi sul mercato. È il caso, giusto per segnalarne alcune, della DSEE ed Hi-Res: si trovano solitamente nei lettori MP3 professionali, garantiscono un’esperienza sonora pazzesca, curata nei minimi particolari, e sono di proprietà della Sony. Oltre queste, anche la tecnologia LDAC viene utilizzata ed installata nei dispositivi per minimizzare la perdita di qualità durante la connessione con cuffie o altoparlanti wireless. N°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

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Focus La Musicoterapia

MUSICOTERAPIA

Le potenzialità della musica in un percorso terapeutico di Cristian Barba

Esiste

"In Italia non c’è un quadro legislativo definitivo e la situazione è molto complessa da gestire. Sarà difficile arrivare al riconoscimento della figura del musicoterapeuta finché non ci sarà un percorso formativo unico."

una patologia “musicale” che rende il soggetto di incapace di distinguere i vari generi e ma lasciarsi emozionare dalle note. Si chia capire amusia ed esiste un test MBEA per ci se ne si è colpiti. Amusici, purtroppo, si nasce, ma ci si diventa anche

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Focus La Musicoterapia

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a musica influenza la pressione del sangue, il battito cardiaco e la velocità della respirazione, così come può agire sulle funzioni cerebrali, in particolare quelle legate alla concentrazione. La storia dell’uso della musica con finalità terapeutiche ha radici millenarie che, dalla nascita della scienza medica per come la conosciamo oggi, si sono gradualmente trasformate in una disciplina diffusa, legata alla psicoterapia non verbale ma anche al trattamento di molteplici situazioni attraverso la produzione (musicoterapia attiva) e l’ascolto (musicoterapia ricettiva) di musica. Però, per quanto la validità scientifica della musicoterapia trovi sempre maggiori conferme, i tanti ottimi professionisti che ogni giorno la praticano non sono ancora riconosciuti dallo Stato come figure sociosanitarie. Una di queste è Adalgisa Turrisi, responsabile dei laboratori di musicoterapia dell’Accademia Musicale di Roma Capitale. Ciao Adalgisa. Quali sono gli ambiti di intervento della musicoterapia e quali elementi incidono sulla scelta della terapia da seguire? Le aree di intervento sono 4: abilitativa e riabilitativa possono essere condensate in una e si rivolgono a persone con disabilità di tipo organico o funzionale. L’area integrativa, invece, non si rivolge a individui con disabilità ma a contesti di gruppo come classi o donne in gravidanza; è una forma di prevenzione che

fa della musica un canale per migliorare la dimensione relazionale, sociale e affettiva. La quarta area è quella terapeutica e si occupa di pazienti psichiatrici: è un ambito delicato e prevede che il musicoterapeuta sia inserito in un’equipe di lavoro coordinata dallo psichiatra. Nella scelta della terapia non c’è una via specifica, molto dipende dalla formazione del terapeuta e dalla sua abilità di utilizzare elementi da più modelli per avere l’approccio più adatto al contesto di intervento. A che livello e in che modo il suono agisce sull’individuo? Quali sono gli obiettivi della terapia? La musica ha la forza di arrivare all’essere umano interagendo con la sua parte emotiva prima che con quella cognitiva. Il musicoterapeuta utilizza degli strumenti di osservazione per avere dati leggibili, rifacendosi a dei protocolli precostituiti o creando ex novo la propria griglia di valutazione. Misurare i cambiamenti non è sempre facile: con pazienti in stato di coma neuro vegetativo, al di là delle piccole reazioni visibili a occhio nudo, possiamo notare la variazione dei ritmi respiratori e cardiaci. Ma i parametri, come gli obiettivi, variano a seconda della situazione. Faccio un altro esempio: con un ragazzo affetto da emiparesi (perdita parziale delle funzioni motorie di una metà del corpo, ndr) un obiettivo minimo può essere quello di fargli utilizzare il battente di

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un tamburo nella maniera più efficace. Non ci interessa che lui impari a suonare il tamburo, ma che lo strumento lo porti a concentrare la sua attività sull’uso del braccio su cui si vuole intervenire. In generale, si può dire che l’obiettivo della musicoterapia sia quello di potenziare le risorse residue: davanti a un deficit funzionale o organico, il musicoterapeuta deve lavorare affinché il paziente possa consolidare e sfruttare al massimo le abilità che possiede. Il musicoterapeuta non è una figura sociosanitaria riconosciuta dallo Stato, anche perché si muove in un ambito multidisciplinare a metà tra psicoterapia e musica. È uno psicologo o un musicista? In Italia non c’è un quadro legislativo definitivo e la situazione è molto complessa da gestire. Sarà difficile arrivare al riconoscimento della figura del musicoterapeuta finché non ci sarà un percorso formativo unico: ad Assisi c’è una scuola quadriennale, storica e autorevole, nella quale si porta avanti una solida formazione, ma allo stesso tempo sono attivi corsi di musicoterapia in alcuni conservatori italiani e in diverse scuole. La formazione deve essere solida sia nel settore della psicologia e della clinica che in quello musicale, personalmente credo che essere “solo” psicologi o musicisti e fare un breve corso d’introduzione alla musicoterapia non sia sufficiente. Forse l’unica via d’uscita è quella di lavorare con criterio e rendere il proprio lavoro leggibile, condivisibile.

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Audiorandom L'Audiotecnica a Roma

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L'OLOFONIA

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a cura di Gianluca Meloni

'olofonia, anche conosciuta come registrazione binaurale, è stata studiata e inventata con il principio di riprodurre fedelmente l’ascolto umano. La scoperta venne brevettata nel 1980 da Umberto Moggi ex bassista dei Nomadi, con lo scopo di poter avere una percezione totale dei suoni e dell'ambiente, in cui essi sono generati. Non un semplice ascolto, quindi, ma l'esperienza di accedere al luogo dov'è avvenuta la registrazione. L'olofonia è un sistema di registrazione molto speciale, nel quale la riproduzione dei suoni dell'ambiente circostante viene effettuata con un apparecchio altamente sofisticato (netta riproduzione sonora e fisiologica del sistema uditivo umano). Posto all’interno del capo di un manichino che ricalca perfettamente la nostra testa, si potrà percepire la dimensione dinamica dello spazio e tutto ciò che accade in esso, come nella realtà: se un suono proviene da vicino, da lontano, dal basso, dall'alto, frontale o dietro a noi. Gianfranco Pisano, psichiatra e psicoterapeuta rivendica di aver svolto esperimenti già nel 1977, ma non risulta

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esserci nessun brevetto da lui depositato. Altri personaggi avevano intuito tale possibilità di ripresa sonora ed avevano condotto piccoli esperimenti negli anni Sessanta. OLOFONIA: LA PSICHE E IL SUONO L'elemento che dà vita alla nostra coscienza umana si amplifica sull'auto-consapevolezza, che si determina a partire dal flusso interno delle percezioni, dai rapporti sia spaziali che temporali, attraverso i ricordi e le sensazioni corporee, che creano in sintesi l'immagine corporea del sé. Il cervello genera parecchi tipi differenti di sistemi di N°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

memoria a breve o a lungo termine e tra questi la memoria sonora che permette all'individuo di crearsi un modello interno del passato, del presente e del futuro. Per fare un esempio, anche i gatti usano la memoria dei suoni. Non solo essi, ma diversi animali una volta conosciuto quel particolare suono, lo archiviano catalogandolo come "sicuro" o di "pericolo". Attraverso un'analisi del vissuto sonoro e uno studio dell'ambiente sonoro\musicale attuale del paziente, la somministrazione di suoni olofonici stimola la struttura delle memorie stratificate, rievocando emozioni, dando al paziente la sensazione di praticare


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spazi reali, ricreando percorsi mentali sui quali si può indagare e intervenire. FREQUENZE SONORE E RELAZIONE CON IL CORPO L'utilizzo delle frequenze sonore si colloca in relazione con il corpo attraverso la risonanza. Utilizzando frequenze specifiche sull’uomo si mettono in vibrazione vari organi e parti del corpo umano, il quale è costituito da un gran numero di sistemi vibratori interconnessi e indipendenti, di frequenze e densità diverse, che funzionano in un ambiente di fluidi contenuti in un involucro esterno altamente elastico. La sostanza del corpo è una sinfonia virtuale di frequenze, suoni e ritmi biologici, mentali ed emozionali che nel loro fluire continuo, cercano di raggiungere e mantenere lo stato di bilanciamento perfetto. Le ricerche mediche hanno ampliato sempre più le frontiere terapeutiche, dimostrando che determinate frequenze sonore possono alleviare un sintomo o correggere delle disarmonie tra le varie funzioni neurovegetative. La registrazione dei suoni del corpo attraverso speciali metodi al limite dell'udito (25hz) in alcuni casi, possono portare ad una migliore comprensione dello stato fisiologico e di alcune patologie incluse quelle del cuore.

Nessuna scatola quadrata o visore oppressivo, ma una sfera che genera immagini elaborate dai suoni del nostro corpo attraverso un sistema di codifica, per vedere le atmosfere visive del suono dei muscoli, delle sinapsi del cervello o il fluido colorato del suono del sistema linfatico e la mappatura codificata in suoni del nostro DNA. L’olofonia è una scienza ancora in studio con delle potenzialità e dei limiti generati dal fatto che solo con delle cuffie potremmo beneficiarne. Vari ricercatori, però, sono al lavoro per poter sperimentare una tecnica che possa essere fruita anche nell’aria. A tal proposito, molti sono gli studi portati avanti dal centro di ricerca IRCAM di Parigi, tra i maggiori centri di ricerca sonori al mondo.

LA PARTE VISIVA La nostra coscienza visiva che fa parte della realtà attuale è inflazionata da immagini e spot pubblicitari di tutti i tipi. La comunicazione visiva mai come oggi ha raggiunto alti livelli di saturazione passiva per il nostro cervello. Questa opinione abbastanza personale, serve per considerare al massimo il potenziale della nostra memoria creatasi con tale massiccio inculcamento, cercando attraverso il suono di lavorare con le immagini interne e non con immagini esterne imposte. N°12 "L'ASCOLTO 3.0" / WWW.MZKNEWS.COM / #MUSICAZEROKM

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Settore Audio L'ascolto liquido

Solo anel 2018 sono stati sc i più di 40 bilion ricati illegalmente 90% di tutti di canzoni pari al li effettuati i download musica

ANDREA SAPONARA La produzione audio ai tempi dell'ascolto liquido di Cristian Barba

L’

evoluzione delle modalità di ascolto ha significativamente cambiato l’approccio alla musica da parte del pubblico, specialmente quello più giovane, trasformando i modelli di business dell’industria musicale e di conseguenza anche le dinamiche produttive. Ma in che misura le tecnologie digitali e il modo in cui le utilizziamo incidono invece sulla qualità dell’ascolto? E quanta influenza hanno questi aspetti in sede di produzione? Ne abbiamo parlato con Andrea Saponara, ingegnere del suono e direttore tecnico del PolistudioRecording di Roma. Ciao Andrea. Che impatto hanno avuto gli sviluppi tecnologici sulla nostra esperienza d’ascolto? Credo sia necessario innanzitutto distinguere tra

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ascoltare e sentire: il fatto che la musica sia per tutti non significa che tutti abbiano la necessità di ascoltarla nello stesso modo. La tecnologia ci ha permesso di avere una migliore qualità tecnica nella riproduzione del suono, ma allo stesso tempo abbiamo iniziato ad ascoltare con dei dispositivi più idonei al “sentire” che a causa della loro memoria ridotta ci hanno obbligato ad utilizzare dei file audio compressi. Oggi gli smartphone con 64 o 128GB permettono di andare ben oltre l’mp3 e tutti i vari formati ridotti, quindi di caricare file wave 16bit 44.1, che è il formato del CD. Grazie a questa evoluzione tecnologica si stanno sviluppando anche servizi di streaming che permettono l’ascolto in HD. Magari ha poco senso ascoltare in HD con le cuffiette dello smartphone in ambienti rumorosi, ma già si sente la differenza. Poi è chiaro che l’audiofilo abbia esigenze diverse anche a livello di impianti, ma questo è un altro discorso. Come si è adattato in questi anni l’iter produttivo alle nuove abitudini di consumo musicale?

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Settore Audio L'ascolto liquido

Molti ingegneri del suono hanno definito questo periodo storico come l’epoca della loud war (o loudness war, ndr). Si fanno dischi che suonano molto forte proprio in termini di volume, come in una continua gara a chi ce l’ha più lungo nella quale vengono sacrificate la dinamica e la profondità dei suoni, in parole povere la natura fisiologica della musica. I brani sono schiacciati e questo si percepisce anche in radio o nelle sonorizzazioni dei film. Il processo produttivo inoltre diventa spesso una grande ricerca di mercato e ciò rischia di trasformare anche il nostro mestiere in un lavoro per il quale si eseguono solo gli ordini della produzione. È sbagliato generalizzare, ma nella scelta dei suoni si tende sempre di più a rincorrere gli album usciti prima negli Stati Uniti o in Inghilterra, dove si studia più sound design e di fatto si lanciano le mode che tutti seguono. Non è un copia e incolla, ma c’è comunque una forte influenza anche tra prodotti di altissima qualità. In che modo l’appiattimento sonoro si percepisce anche in radio? Le radio devono far suonare tutto nello stesso modo, comprese le voci negli speakeraggi, e per motivi tecnici utilizzano sistemi che limitano il massimo volume in uscita, per cui comprimono nuovamente i suoni già trattati in precedenza col risultato che a parità di volume senti sempre uguale. Quando il pezzo arriva nel punto in cui dovrebbe aprirsi, ti accorgi che rimane fermo, come se fosse inchiodato. È questa la compressione. Alcune radio suonano leggermente più “basse” perché sono meno compresse, quindi ad esempio un brano dei Queen - che non ha un ma-

stering moderno - su quelle radio suona meglio, lo senti “più largo”. Il concetto di volume e quello di profondità del suono si stanno perdendo. La musica moderna - per come la ascoltiamo - non ha momenti di crescendo e momenti di calando, è piatta. Allo stesso modo c’è però da dire che se ascoltassi un brano in metro con le cuffiette o in radio in mezzo al traffico e quel brano avesse dinamica, alcune parti non le capiresti. Quindi, se vogliamo, è anche un modo di adattarsi. Allora i più giovani hanno una scarsa educazione all’ascolto? La cultura musicale è molto cambiata e su questo punto è necessario distinguere tra musicisti e non. I non musicisti di oggi tendono a sentire la musica, non ad ascoltarla, quindi possono essere quantitativamente molti di più rispetto a prima ma non hanno la sensibilità nell’ascolto delle generazioni precedenti. Anche solo leggere i credits di un album e chiedersi come sia stato realizzato può accendere la curiosità e favorire un’educazione all’ascolto. I giovani musicisti invece sono tecnicamente molto più avanti di quanto non lo fossero gli attuali maestri alla loro età, ma spesso non seguono un percorso fisiologico. In sede di registrazione, ad esempio, preferisco lavorare nel modo meno digitale possibile: meglio rifare una “take” finché non viene naturale piuttosto che concentrarsi sull’editing e rendere plastico il risultato. Questo secondo me permette all’artista di crescere fisiologicamente e ?sviluppare abilità che vanno oltre la tecnica. Se abbandoniamo questa strada non avremo più musicisti di alto livello. Bisogna venirsi incontro tra generazioni, abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri.

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A.S.D. CENTRO DIMENSIONE DANZA (Direzione Artistica: Federico Vitrano) Viale America Centro Civico "Le Rughe" Formello Tel. 0690128072 - Mob. 3384172011 - Web. www.centrodimensionedanza.net 51


Focus L'Ascolto e l'umore

Canta (e ascolta) che ti passa!

Ascoltare musica “allegra” migliora il nostro umore… e ascoltare musica “triste”? Pure. di Alessio Boccali

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utti d’accordo con Nietzsche: la vita senza la musica sarebbe un errore. Eppure, nonostante il nostro immediato consenso a questa affermazione, ci siamo mai soffermati ad analizzare quanto la musica influenzi il nostro umore e, di conseguenza, il nostro quotidiano? Siamo abituati a vedere tra le playlist delle varie piattaforme di streaming, quelle dedicate all’umore: c’è la playlist per chi è allegro e allora vuole la carica del rock, l’allegria delle musiche caraibiche o più semplicemente il pop più leggero, la playlist per chi, invece, sta “sotto a un treno” perché si è appena lasciato con la sua fidanzata storica e allora preferisce chiudersi in cameretta in compagnia delle parole dei grandi crooner o il sottofondo intimo del jazz o della classica. Naturalmente questi sui vari generi sono esempi che prevedono le giuste eccezioni, però solitamente il modus operandi è questo: umore allegro – musica scritta in maggiore, gioiosa e ritmata, umore triste – musica scritta in minore e, quindi, tendenzialmente lenta e cupa. Questo avviene perché l’essere umano cerca spontaneamente empatia e due paroline

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di conforto o una gioia condivisa, seppur fittizi e incisi, magari, per tutt’altro motivo, fanno sempre comodo. E non solo… L’avreste mai detto, infatti, che ascoltare musica triste migliora davvero l’umore? Oltre all’empatia e al retropensiero che ci sia qualcuno che, forse, quando ha scritto quel pezzo stava peggio di noi, il meccanismo che si attiva nella nostra mente ci spinge alla riflessione e allo sfogo delle nostre emozioni: un bel pianto liberatorio e il pensiero che in fondo ogni dolore possa essere affrontato. A tal proposito, uno studio condottto da Ford e Spotify consiglia di ascoltare musica malinconica soprattutto la mattina, così da prepararsi al meglio alla giornata; un’idea apparentemente illogica, ma che per i motivi sopraelencati tale non è. Scendendo più nel dettaglio, sono due i fattori che influenzano maggiormente il nostro stato d’animo: la propria energia e la chimica intrinseca, ovvero, nella fattispecie della musica, ciò che, insieme a tempo e ritmo, influisce maggiormente sulle emozioni di chi ascolta una canzone. Ebbene, dal risultato di questa ricerca, ne consegue che le canzoni più tristi e confidenziali sono in grado di aiutarci a vivere meglio il rapporto con noi stessi ricordandoci le difficili esperienze che abbiamo superato e dalle quali abbiamo tratto degli insegnamenti importanti per la nostra vita. E come la mettiamo con le musiche “allegre” invece? Beh, qui nessuna sorpresa: ascoltare musica allegra mette di buon umore e dà la carica giusta per affrontare la giornata. Bella scoperta, direte voi, ma lo vedete allora che, qualunque sia il vostro umore, è sempre una buona idea dedicarsi all’ascolto di una canzone?

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Musica a Tratti Riccardo Sinigallia

Musica a tratti

LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA | Cara Catastrofe

Grafiche di CHIARA ZACCAGNINO

@Chiara.zac

@ChiaraZac

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Note di Gusto Stern e Sassicaia

STERN E SASSICAIA, MA ATTENTI A NON CAPPOTTARVI! di Mirko Turchetti

Sottosopra, dice il titolo, ma è il minimo che potrebbe succedervi…

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icordate il 17 marzo 1986? Quando scoppiava lo scandalo del metanolo, intendo? Una tragedia, certo: ma anche la bomba, sulla pelle di anime innocenti, che avrebbe dato definitiva linfa al vino italiano. Una reminiscenza che mi coglie mentre assaggio il colosso del momento: il Sassicaia 2015, per molti il migliore di sempre! Sì, è vero, è meraviglioso! Ma non è forse troppo presto per sparare sentenze del gene-

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re? Al di là che il Sassicaia sia stato l’apripista, fra i vini moderni del Tricolore. Un campione (prima annata ufficiale la 1968, millesimo forse non casuale…) che avrebbe rimodellato il verbo, facendo sconquassi. Ma che altro succedeva nel marzo 1986? Presto detto: Mike Stern si chiudeva in sala d’incisione per tirar fuori un’altra bomba. Un album che, analogamente, avrebbe aggiornato gli stilemi della chitarra, come fatto da altri baldanzosi giovanotti. Li ricordate tutti, nevvero? Frisell, Scofield, Metheny, Abercrombie: ognuno, a suo modo, con le mani nel jazz. Ed ecco che nulla nasce a caso: schiaffare nel lettore Upside Downside e versare nel bicchiere l’atteso 2015 non sembra affatto l’atroce mescolanza fra sacro e profano, fra alto e basso, fra miseria e nobiltà, che griderebbe al sacrilegio nel vedere l’aristocratico Bacco confrontarsi con la caciarona Fender Telecaster. Mi spiace, ma il risultato sarà tutt’altro! Appena l’inchiostro nerorubinoviolaceo (ma quanto luminoso…) arriverà a macchiare il cristallo, ecco che Stern inizierà ad inquietare con il crescendo inesorabile della trama strutturale, utile a ricordare anche il suo riferimento per la sei corde: quel Wes Montgomery che ancora si sarebbe potuto permettere il lusso di gettare ‘sti ragazzetti in ginocchio sui ceci, con tanto di cilicio…

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Il naso ci mette del suo, dalle spezie al mirtillo colante, fino a quel tabacco biondo che solo la pipa di Maigret poteva sbuffare, ma io rimango invece della mia: forse è ancora troppo presto, vero è comunque che risulta già maestoso, pur se un velo ritroso. L’affare s’ingrossa al momento del contatto con labbra e lingua (e grazie, direte voi…): qui la finezza diviene dato oggettivo, la trama si fa leggiadra, il tannino ricorda il cashmere, la persistenza sfiora la petulanza… intanto Stern, in Mood Swing, si concede persino lo sfizio di passare la palla a Jaco Pastorius (v’immaginereste mai un assist di Cristiano Ronaldo a Messi, o viceversa?): solo per citare uno degli ospiti con le palle che girano nel disco, a destare impressione ad ogni tocco di plettro o con un soffio nel sax. Due meraviglie della natura e dell’ingegno umano, Upside e Sassicaia, non ci piove: ma, quando in combutta, forieri di un problema terribilmente preoccupante. Il disco è finito, infatti, ma in realtà sarà semplicissimo farlo ripartire da capo: ma se pure il Sassicaia è agli sgoccioli, allora saranno dolori…


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ualcuno la chiama evoluzione, altri preferiscono chiamarlo sfruttamento. Se hai bisogno di musica l'industria te la dà ma a che prezzo? La Riaa (Recording Industry Association of America) annuncia che nel 2017 gli incassi per i dischi di vinile e cd hanno superato per la prima volta dal 2011 il download ma, allo stesso tempo, dice anche che è esplosa la musica digitale in streaming. Mentre gli artisti si lamentano di essere sfruttati, Spotify si quota in Borsa annunciando revisioni nei metodi e nelle proporzioni dei compensi mentre Amazon Music Unlimited, terzo maggiore canale di streaming musicale dopo Spotify e Apple Music, ha informato di aver raddoppiato gli abbonati e il servizio di streaming negli ultimi sei mesi. Lo “streaming” possiede, governa, promulga e soprattutto distribuisce tutta la musica del mondo. La musica è sempre disponibile per essere selezionata per il nostro piacere personale. Tutti possiamo ascoltare tutto, quando ci pare e gratis, a patto di farci fare il lavaggio del cervello dalla pubblicità invasiva. Altrimenti puoi passare al livello consumatore-premium e ascoltare dovunque e quantunque lo desideri. Abbasso la fisicità e l’oggettistica, i dischi e i compact disc, reliquie conservate nel migliore scaffale di casa. Ma la legge dello streaming è durissima soprattutto con i musicisti. Pochissimi tra loro hanno reale successo e diventano ricchi e famosi grazie alla

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loro produzione. Al tempo stesso quasi tutti possono accedere allo status di musicisti, anche solo modificando o scopiazzando suoni sul proprio portatile. Tutti e tutto possono esistere artisticamente ed essere pubblicati o ammessi al servizio streaming come produttori. La pena è che questa qualifica, in realtà, è di per se stessa povera: con Spotify e lo streaming non si guadagna nulla, pochissimi centesimi in confronto all’ascolto di migliaia di utenti. Si diventa ricchi non producendo buona musica che viene ascoltata, ma attraverso altre forme di commercializzazione: i social e la pubblicità e l’esibizione di se stessi, in forma fisica, le tournée o gli show televisivi. L’economia musicale è più visuale che acustica. Fa soldi chi si mostra e piace. Gli altri vivono solo in streaming e devono trovarsi un lavoro. Ci siamo musicalmente semplificati e alleggeriti ma abbiamo anche perso un pò di fantasia. Dal punto di vista legale regna il caso.. Prima se qualcuno ti copiava c’erano le diffide e le cause. Adesso c’è il take down e chi ha ragione lo decide un algoritmo. Nessuno studia le carte e la difesa è demandata ad una macchina. La difesa della proprietà intellettuale è diventata un vero grattacapo per le nell’era di internet. La guerra alla pirateria online e ai siti di condivisione che mettono a disposizione opere protette da copyright da chi non ha il diritto di farlo è una lotta senza esclusione di colpi.

Tante volte abbiamo assistito all’unione tra cinema e music a. Con cantanti che diventavano atto ri e viceversa. Ma capita anche che un cantante voglia acquistare una casa editrice import ante come la Marvel. Il cantante in questione era Michae l Jackson. L’intento? Poter interpretare Spiderman in un film. Alla fine, però, non se ne fece nulla

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a cura di Alessio Boccali

vvicinarsi a dei mostri sacri per poi raccontarli in forma filmica non è mai facile. Farlo con un biopic sulla vita della straordinaria Mia Martini lo è ancor meno. Tuttavia, il regista Riccardo Donna ci aveva già abituati bene dirigendo “Fabrizio De André – Principe Libero” e anche con “Io sono Mia” riesce nell’arduo compito di non tradire le aspettative. A Serena Rossi spettano l’onere e l’onore di calarsi nei panni di una delle più belle voci italiane di sempre: una grande artista con una vita assai travagliata e avvolta nel mistero. L’attrice partenopea interpreta magistralmente una parte importante della vita di Mimì: dalla sua giovinezza romana in compagnia dell’inseparabile sorella Loredana e dell’amico Renato Zero (non citato nel film), passando per l’amore passionale e struggente tra la donna e Ivano Fossati (che, come l’amico Renato Zero, ha scelto di non apparire né essere citato

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esplicitamente nel film), fino al Festival di Sanremo del 1989, l’anno del crollo del muro di Berlino e dell’apparente crollo del muro di bugie e pregiudizi che avvolgevano il nome di Mimì in quegli anni. In quel Festival Mia Martini porta il suo grande successo “Almeno tu nell’universo”, brano nato un bel po’ di anni prima dalla penna dell’amico Bruno Lauzi. A poche ore dall’esibizione sul palco dell’Ariston, Mia rilascia un’intervista a una corrispondente del settimanale “Epoca” e, dopo una prima titubanza iniziale, si lascia andare a un racconto personale. Nel film viene raccontato tutto ciò che il pubblico conosce, ma che in quegli anni faceva finta di non vedere. Mimì Bertè è una donna che si mostra sempre forte, temprata dalla vita e dai pregiudizi su un suo presunto passato burrascoso, eppure ha un animo così fragile che quella diceria, quell’insopportabile diceria sul suo portare sfortuna, non riesce proprio a sopportarla. Il tempo ci dirà che quel muro dentro e fuori di sé a quel Sanremo ‘89 non era di certo crollato. Nei fatti, Mia è una donna affascinante con una carriera, comunque magnifica, minata dall’ostracismo di coloro i quali l’avevano etichettata come iettatrice solo a causa di tragiche fatalità o di voci volutamente denigratorie. Serena Rossi incarna perfettamente la bellezza e la fragilità di Mimì. Il suo è un omaggio, un rendere giustizia a chi ha dedicato tutta sé stessa alla musica ricevendo il benservito da subdole dicerie; l’attrice si cala nelle sofferenze di Mia cercando l’empatia del pubblico e sfrutta al meglio le sue doti canore interpretando magistralmente i brani più belli della cantante, senza mai cadere nel reato di “lesa maestà” nel tentativo di imitare la sua voce. Insomma, “Io sono Mia” è certamente un film da vedere, una pellicola che anche nel titolo celebra la voglia di libertà di una donna che ha sempre depositato nel cuore e nella musica le uniche armi per sentirsi veramente artefice del suo destino. Oggi, Mimì, “Una stella splende così bella come quando sei volata via, con la voglia di essere te stessa, ora e sempre ovunque tu sia…” (dal brano “Donna” scrittole da Enzo Gragnaniello e pubblicato nel 1989).

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