CHIARA CIVELLO RED RONNIE MASSIMO BONELLI LA RUBRICA DI MUSICA ELETTRONICA
PAUL KALKBRENNER I SEGRETI DELLA FONIA L’ESTETICA DEL VIDEOCLIP
MOVIE INTERVISTA DOPPIA
LIFE
PABLO E PEDRO
#musicazerokm
Ph.by Andrea Grignani
CLAUDIO AMENDOLA & LUCA ARGENTERO
DISTRIBUZIONE GRATUITA PRESSO I MIGLIORI NEGOZI AUDIO & VIDEO - CENTRI DI FORMAZIONE - SALA PROVE - STUDI DI REGISTRAZIONE - UNIVERSITÁ
MAX GAZZÈ
MZK News Maggio / Giugno 2017
MUSIC
SOMMARIO MZK News N°2 Maggio/Giugno 2017 Editore MZK Lab S.r.l.s. Via Flaminia 670, 00191 Roma Direttore Responsabile Valeria Barbarossa Direttore Editoriale Andrea Paone Art Director & Progetto Grafico Jacopo Mancini Assistenza Legale Avv. Vanessa Ivone
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Collaboratori Davide Berlenghini, Alessio Boccali, Beatrice Caruso, Andrea Celesti, Maria Dastoli, Gianluca De Angelis, Carlo Ferraioli, Luca Vincenzo Fortunato, Morgana Mazzulla, Edoardo Montanari, Francesco Nuccitelli, Pablo Staccoli Sede Redazionale Via Emilia 82, 00187 Roma Sito & Contatti Tel. +39 3331785676 www.mzknews.com redazione@mzknews.com Stampa produzione@miligraf.it Via degli Olmetti, 36 Formello 00060 Marketing & Comunicazione Alice Locuratolo comunicazionemzknews@gmail.com Tel +39 / 3382918589
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MAX GAZZÈ CHIARA CIVELLO RED RONNIE #TIMEOFROCK (Pink Floyd) MASSIMO BONELLI PRODUZIONE MUSICALE ANALISI DEI TESTI IL DISCO COME OPERA D’ARTE PAUL KALKBRENNER (Rubrica “Generation”) GLI ARTISTI DI STRADA GLI STATUTO DANIELE TEODORANI I MALAMANERA L’ ESTETICA DEL VIDEOCLIP BRUNO GLISBERGH (I segreti della fonia) ROMA SUONA SPAZIO MUSICA (Promozione Artisti)
Autorizzazzione rilasciata dal Tribunale Civile di Roma N°2 / 2017 del 19.1.2017
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CLAUDIO AMENDOLA & LUCA ARGENTERO IL PERMESSO (Recensione) SABRINA CROCCO DAVID DI DONATELLO L’ ARTE DEL CINEMA I GUARDIANI DELLA GALASSIA Vol.2 I CONSIGLIATISSIMI NEWS DA NETFLIX LA RINASCITA DEL KAIJU EIGA COME NASCE UN FILM? COSA OFFRE IL WEB? LA VERA STORIA DI... ROMA SET MUNDI LE ULTIME DAL CINEMA
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PABLO & PEDRO VIOLETTA STREET ARTIST REAL LIFE DISNEY FOTOGRAFIA SMARTPHONE I CRACKER LE PAROLE ED IL LORO SIGNIFICATO GLI ASTRATTI (Compagnia Teatrale) LIFE IN MOSTRA #LALIFEèBELLA - Le Donne di Boldini CE LO SPIEGA POLIFEMO L’ARTE DEGLI ZUCCHERI LA PIZZA
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EDITORIALE
PENSIERI FISSI di Andrea Paone
LA MUSICA
AI TEMPI DELLO STREAMING
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acciamo riferimento alla musica del 2017 oppure proseguiamo rivolgendo lo sguardo al passato? Si preferisce rincorrere il mito o meglio fermarsi e riprendere fiato? Dal punto di vista musicale far fronte al periodo in cui viviamo è certamente difficile: i luoghi comuni (ammesso che lo siano) dominano le nostre incertezze. “La musica è morta alla fine degli anni 70!” qualcuno afferma. Vero o falso che sia, il passato rappresenta indubbiamente un rifugio sicuro, ma uscire allo scoperto per scrutare l’orizzonte può regalare improvvise soddisfazioni. Pare già di sentire i soliti cori a difesa del “tempo che fu”. I nati negli anni ‘50, posti in prima fila, rivendicano l’opera omnia dei Beatles e dei Rolling Stones ‘80: non vedono l’ora di cotonarsi i capelli, nella speranza che un giorno Robert Smith possa tornare ad illuminare la strada. Poveri illusi! Per gettarli nell’inesorabilità dello sconforto è bastato un pugno di pischelli, maturati al suono corposo degli anni ‘90, i quali a detta loro, sono ingiustamente sottovalutati: “Perché Nirvana, Massive Attack e Oasis – concludono – a quei tempi non pettinavano certo le bambole”! E ai giorni nostri? Cosa combinano le nuove generazioni? Quali sarebbero i loro ascolti? Ammesso che vi siano, dovrebbero essere supportati da un corso accelerato sulle dinamiche che storicamente regolano la musica, la quale si sostiene comprandola e non scaricandola, rinnovando
in tal modo tradizione, cultura e speranze. Ma la domanda importante è: come mai prima i gruppi duravano anni, mentre adesso dopo 3 mesi sono già fuori target? Internet e il web non hanno cambiato solo il nostro modo di cercare informazioni, di prenotare le vacanze e di relazionarci, ma anche quello di ascoltare la musica e guardare film. Se col passare del tempo l’ascolto era diventato sempre più un fenomeno individuale e non più un momento collettivo, come quando ci si ritrovava davanti al juke-box, con internet e lo streaming online a cambiare è stata sicuramente la fruibilità. Siamo davvero nell’era del tutto e subito. Le statistiche ci confermano che il download da piattaforme web, in primis iTunes, negli ultimi anni ha superato il numero di vendite di CD nei tradizionali negozi, tant’è che anche la RIAA – Recording Industry Association of America – se n’è accorta e proprio in questi giorni ha deciso di prendere atto di questa rivoluzione, annunciando dei cambiamenti nelle regole di assegnazione dei dischi d’oro e di platino. Finalmente verranno considerati anche i dati relativi allo streaming e ai download online, che una commissione ha valutato così: 1,500 ascolti online = 1 album venduto. Gli MP3 non hanno solo permesso di ridurre i costi e i tempi di ricerca dei dischi che desideriamo, ma hanno reso la musica “liquida”, accessibile al grande pubblico indipendentemente dal supporto fonografico. Con l’aumentare della ca-
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pacità di archiviazione dei lettori musicali è cresciuto anche il desiderio bulimico di riempirli con quantità sempre maggiori di canzoni, senza pensare più ai diritti di questi brani. Il fenomeno della pirateria in ambito musicale è esploso, ma se finora è stato impossibile arginarla, la diffusione sempre maggiore dello streaming – da Spotify a Youtube, da Soundcloud a Deezer – potrebbe ribaltare nuovamente la situazione. Non è l’unica novità che le piattaforme di streaming hanno portato, sono infatti diventate un modo innovativo per conoscere nuova musica, sia mostrandoci cosa ascoltano e condividono i nostri contatti – playlist, radio, ecc – sia offrendoci suggerimenti sulla base di ciò che ci piace o abbiamo ascoltato. È anche vero che in tutto questo mare sconfinato di musica è sempre più difficile riuscire a stare al passo con le nuove uscite – se, infatti, negli anni Novanta nelle classifiche annuali entravano sì e no 500 artisti all’anno, ora si è arrivati a più di 30.000 album diversi – e soprattutto, trovare qualcosa di qualità. Un ultimo dato interessante riguardante gli album venduti. La Nielsen Music, infatti, ha fatto sapere che nel 2016, per la prima volta, gli album vecchi hanno venduto più di quelli nuovi, mostrando come gli spender in ambito musicale non siano, quindi, i giovani, ma un pubblico più adulto e quindi non così interessato alle nuove uscite. Un dato che fa riflettere (e preoccupare) un mercato discografico già molto in crisi.
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Hairetikòs: colui che ha scelto di Valeria Barbarossa
Così si definisce l’eclettico e versatile cantautore italiano.
L’incontro con la musica è stato amore a prima vista. Questo amore si è trasformato nella volontà di sperimentare, curiosare, mescolare e trasformare.
Il risultato? Porta il nome di Max Gazzè.
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he con Mr Gazzè non ci si annoia lo avevamo capito da tempo. Ma mai ci saremmo aspettati che l’ennesima scommessa artistica si sarebbe concretizzata con il suggestivo accompagnamento della Bohemian Symphony Orchestra di Praga. Il 1° aprile a Spoleto è ufficialmente partito l’A lchemaya Tour. Approdato poi a Roma il 3 aprile al teatro dell’Opera, ha raggiunto altre tappe in giro per l’Italia. Un terreno musicale totalmente nuovo che vede pezzi riarrangiati in versione sintonica. In sce-
na uno spettacolo carico di mescolanze maniacalmente studiate per equilibrarle tra loro. Un lavoro molto faticoso che si è rivelato un grandissimo successo… da dividere come sempre con il fratello Francesco. Max quando e come è nata in te la voglia di fare musica? È stata una conseguenza di risonanze. Mio cugino al piano di sopra suonava il pianoforte e mi ha contagiato. Avevo 6-7 anni ed ero particolarmente affascinato dalle
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frequenze basse. Per questo mi sono avvicinato al basso. Poi ho iniziato a comporre alternando il pianoforte al basso elettrico. Chi erano i tuoi idoli? Tanti. Ho sempre amato la musica classica: Shostakovich, Debussy, Mozart. Mi piaceva il jazz quindi ascoltavo Miles David e Charlie Parker e poi i Pink Floyd, i Genesis, i Police. Ascoltavo molto il mondo inglese. Come nasce un pezzo? Dipende. A volte un momento di ispira-
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“Sul palco non ho ansia… mi agito molto di più al supermercato quando devo scegliere i detersivi!”
zione si traduce in atto creativo. Oppure nel momento in cui ti predisponi ad un momento di composizione, crei. Non lo so di preciso. Per fortuna è un mistero quindi non voglio saperlo! È importante la capacità di cogliere il momento di ispirazione e trasformarlo in arte. Essere In-Arte fa sì che tu produca un artefatto in grado di veicolare una determinata emozione. Quindi il processo si compie nel momento in cui ascoltando un pezzo ricevi qualcosa. L’obiettivo è quello di tra-
sportare un linguaggio metafisico, come quello dell’arte, attraverso un oggetto che può essere un quadro o una canzone. Nel guardare quell’oggetto rientri in uno stato di contemplazione metafisica e il processo artistico si compie. I tuoi testi sono carichi di parole. È una dote naturale o sei maniacale nella ricerca del vocabolo giusto? C’è uno studio ben preciso. È un lavoro, quello della ricerca del suono della paro-
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la che già da sola deve essere musica, che faccio con mio fratello da tanti anni. La parola deve avere delle assonanze, delle rime interne. C’è una maniacalità nel gestire anche il suono delle consonanti per farle rimare. Sono rime interne, ovviamente, di cui non ti accorgi quando leggi il testo ma solo quando ascolti la canzone. È lì che scopri che quella T fa rima con quella B perché ritmicamente danno il tempo. Tutte le canzoni hanno una geometria astratta ma molto ben organizzata.
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Massimiliano Gazzè nasce a Roma il 6 luglio del 1967. Di origini siciliane (Scicli, in provincia di Ragusa), vive la sua infanzia in Belgio. Qui inizia la sua carriera artistica. Si esibisce in diversi locali di Bruxelles ma, a poco a poco, esce dai confini girando l’Europa con varie tournée. Approda in Francia per lavorare come produttore per la Darius production inc. per poi, nel 1991, rientrare a Roma dove collabora con artisti come Alex Britti, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi. Con quest’ultimo canta il brano del 1998 Vento d’estate con cui vince “Un disco per l’estate”. Da qui in poi colleziona un successo dopo l’altro: da La favola di Adamo ed Eva a Il solito sesso fino alla produzione di Mentre dormi, premiata come “Miglior canzone originale” al David di Donatello 2011 e inclusa nella colonna sonora del film Basilicata Coast to coast che lo vede debuttare anche come attore. In merito a questa vena artistica del cantautore, è appena uscito al cinema Lasciami per sempre, un film di Simona Izzo in cui per la prima volta interpreta un ruolo da protagonista.
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MUSIC Hai un pubblico molto vasto. Ti fa piacere? Molto. Negli ultimi anni le mie canzoni hanno avuto un appeal radiofonico importante e quindi sono ascoltate anche dai bambini. E questo mi fa molto piacere. A dimostrazione di ciò ti faccio due domande che mi hanno suggerito due bambine di sette e otto anni (Beatrice e Veronica). Perché hai deciso di fare musica e che cosa provi quando ti esibisci davanti ad un pubblico? Perché ho deciso di fare musica non lo so! Me lo domando anch’io! Forse è stato un amore a prima vista, una vocazione… non è stata una decisione ma una scelta profonda, un’eresia. Forse sono stato una scelta. È la vita stessa che mi ha portato a questo. Esibirmi per me è un momento di comunicazione. È il mio linguaggio che arriva a livello percettivo. È uno scambio tra me e il pubblico. Cosa provo esattamente? La gioia di suonare dal vivo è forte. Non ho né ansia, né paura, né panico da palco-
scenico… Mi stresso molto di più al supermercato per la scelta dei detersivi! Sul palco, invece, entro in contemplazione con quel momento e non penso troppo. È una forma di meditazione e non mi importa se stono o sbaglio. E importante il “qui ed ora”. Quanto è rimasto in te del bambino che sei stato? Penso che faccia sempre parte di me. Certo il mio subconscio ormai si è stratificato a dei livelli che devo ricordarmi di com’ero da bambino ma lascio sempre una porticina aperta alla memoria. Probabilmente rispecchiandomi nei miei figli (cinque, dai tre mesi ai vent’anni, ndr) e nei loro atteggiamenti riesco a ricordare io com’ero alla loro età. Questi ricordi li porto nella musica perché questa è un linguaggio che prescinde dagli stati culturali. La musica è legata alla percezioni e non potrei viverla come la vivo se non avessi mantenuto una parte totalmente irrazionale che deriva dall’essere ancora bambino.
“Ho sempre tante idee in mente ma purtroppo o per fortuna gli altri tengono a bada tutte le stronzate che penso!” 12 | #musicazerokm | MZK News | mzknews.com
Sei molto istrionico sia a livello musicale che a livello di immagine (vedi le lenti a contatto a Sanremo 2016), pensi mai “E ora che mi invento…”? No! Anzi, devo tenere a bada tutte le stronzate che mi vengono in mente! Mi sento molto punk, sono cresciuto nell’ambiente inglese… ne farei davvero tante ma poi chi è più ragionevole di me mi blocca… Bloccano la mia creatività (ride). Le lenti a Sanremo? In quel momento pensavo allo share: speravo che i telespettatori, vedendo quegli occhi, si spaventassero e cambiassero canale! Scherzi a parte, è stato un atto teatrale. Nella canzone ero un predicatore surreale non si sa bene di cosa e il personaggio me lo sono immaginato così. Hai mai pensato quella canzone avrei voluto scriverla io? Tante volte ma non sono mai stato né geloso, né invidioso del lavoro altrui; anzi, quando sto con altri artisti mi piace contaminarmi e confrontarmi con la loro creatività. Non sono competitivo ma curioso.
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“Come nasce un pezzo? Non lo so di preciso, per fortuna è un mistero
quindi non voglio saperlo” mzknews.com | MZK News | #musicazerokm | 13
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“VENGO DA UN SENSO DI MUSICA MOLTO LIBERO”
a a t s i v r e t n i ’ L uccitelli
oN di Francesc
Chiara
CIVELLO La mia musica in giro per il mondo
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MUSIC tutti si sono alzati ad applaudire. Il pubblico brasiliano è un pubblico caldissimo, mentre il pubblico italiano a mio avviso è caldo e severo, un pelo più informale”.
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rtista di grande talento, di spessore internazionale e hai cantato ovunque, che differenza c’è tra il cantare in Italia o all’estero? Hai anche affrontato diversi generi musicali, con quali ti senti di più a tuo agio? “Dunque parlando di generi, non sono una cosa alla quale io presto molta attenzione, perché secondo me esistono due tipi di musica, la buona musica e la brutta musica. Io vengo da un senso della musica molto libero, legato all’improvvisazione, anche se adesso preferisco comporre, ho unito diversi generi come il jazz o la tipica musica brasiliana, a me questo interessa creare incontri musicali. Per la seconda domanda essendo una persona che ha viaggiato molto, posso dirti che ogni pubblico vive il concerto a modo suo, il pubblico giapponese ad esempio è molto più sentimentale, educato e passionale. Inizia ad applaudire e finisce allo stesso momento, come se si fossero messi d’accordo. Con il pubblico polacco, mi ricordo, che per un 75% di concerto pensavo fosse un flop e all’80%
Adesso vorrei fare un piccolo gioco, ti cito i titoli di tre tue canzoni e tu ci devi spiegare che significato hanno: Last quarter moon – Al posto del mondo – Cuore in tasca “Last quarter moon, l’ultimo che è l’inizio di qualcosa, l’ultimo spicchio di luna, che è il preludio alla luna nuova. Last quarter moon, che poi diede il nome all’album, mi dà la sensazione del resto, di un qualcosa che invece di evolversi si svuotava. In realtà quella canzone è una serenata all’ultimo quarto di luna, invece che alla luna piena, così per uscire da una situazione un po’ complessa”. La seconda canzone è “Al posto del mondo ed è una canzone scritta in un pomeriggio, insieme a Diana Tejera, dopo che ho chiesto di incontrarla, e anche questo brano dà il nome all’album e simboleggia la mia partecipazione al Festival di Sanremo”. L’ultima canzone è Cuore in tasca “Cuore in tasca è una canzone che sancisce un po’ un incontro, come tutte le canzoni del mio ultimo album ‘Eclipse’, con incontri bellissimi, anche con il produttore che è stato determinante. Questa canzone è l’incontro con Dimartino, un cantautore di oggi che mi piace tantissimo, con una purezza e una vena poetica molto leggera e dolce. Cuore in tasca è il nostro modo un po’ naif di raccontare un abbandono”.
e poi non so andrò dove mi porterà il cuore in tasca”. Ogni tuo album è un viaggio che fai e che fai fare a chi ascolta, come è nata questa idea? “Io nasco un po’ così, sono andata in America tanto tempo fa e lì ho mosso i miei primi passi per una carriera artistica. Dopo gli Stati Uniti, Boston e New York, sono andata in Brasile. Devo dire che questa necessità di comunicare, in una cultura diversa, lingua diversa e luogo diverso, mi hanno portato un certo savoire faire”. Prima di lasciarla andare abbiamo chiesto un saluto speciale per tutti i nostri lettori: “Volevo fare un grande saluto a tutti i lettori di MZKnews, vi aspetto ai concerti e spero che anche voi possiate ascoltare Eclipse”.
“SECONDO ME ESISTONO SOLO DUE TIPI DI MUSICA: LA BUONA E LA BRUTTA”
Oltre al tuo bellissimo album, immaginiamo che farai un tour mondiale, ci puoi anticipare qualcosa? “Intanto iniziamo dall’Italia, Roma, Napoli, Milano ecc. Poi farò alcune date in Brasile: Rio, a San Polo, a Porto allegre dove c’è una grande comunità italiana, poi probabilmente andrò in Francia dove uscirà il disco, tornerò in Italia
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RED IE RONN
L’INTERVISTA di Alessio Boccali
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abriele Ansaloni, in arte Red Ronnie, è tra i più grandi esperti di musica del nostro paese. Nel suo bagaglio una carriera incredibile tra carta stampata, radio, tv e un futuro sul web. In questi giorni ho avuto l’onore di scambiare quattro chiacchiere con lui. Partiamo dall’inizio della tua carriera: l’esperienza con le radio… Da dove partiva l’esigenza di trasmettere contenuti diversi da quelli del mainstream? Sicuramente dalla mia passione per la musica. La radio di quel periodo non mandava in onda la musica che amavo e quindi, quando nel ’75 si cominciò a parlare di radio libere, cominciai a notare che queste sarebbero potute essere la soluzione. Un problema che possiamo accumunare oggi alla poca musica italiana che viene trasmessa nelle nostre radio. Ho parlato con molti politici a proposito di portare anche in Italia la legge sulla musica francese, che garantisce la trasmissione del 70% di musica locale nelle radio, ma nessuno sembra volermi ascoltare. Sarebbe una grande svolta, soprattutto per gli emergenti. Un altro grande pezzo della tua carriera
è legato alla tv, poi sei passato al web. Su questo passaggio hanno influito dei problemi a livello politico, ma anche pubblicitario. Mi piace ricordare quando hai raccontato che prima di accettare delle sponsorship ti informi a 360° sulle aziende che te le propongono… Guarda, io penso di essere un caso unico in questo caso. La maggior parte delle persone si preoccupano prevalentemente delle entrate monetarie che riceveranno dagli sponsor, fregandosene di questioni etiche e quant’altro. Io non ci riesco; quando vado in onda so benissimo che ho una responsabilità e quindi devo essere cosciente di ciò che sto facendo e dicendo. Non c’è cifra che possa comprare la mia “incoscienza”. I tuoi nuovi progetti sul web vogliono continuare un po’ la strada intrapresa alla grande e per molti anni dal Roxy Bar? In questo momento sto portando avanti due progetti, Optima Red Alert e Fiat Music, nei quali grazie al supporto di Optima e di Fiat, riesco a dare visibilità ad artisti della nuova era. Devo anche essere onesto nel dirti che non credevo ci fosse in giro una qualità musicale così alta. Pensavo che con il fatto che gli artisti che fanno musi-
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ca propria non hanno spazio da nessuna parte - in radio non vengono trasmessi e in tv possono fare soltanto i talent e cantare, per la maggior parte, delle cover - ero convintissimo che la qualità e la creatività non sarebbero rimaste così presenti e invece mi son dovuto (fortunatamente) ricredere. Oggi, che è chiaro che non si può vivere di musica, sono rimasti solo i più appassionati (e i più bravi) a crederci. In conclusione, qual è il segreto per trasmettere la tua passione per la musica nel 2017? Sai, in questo momento io sto facendo molte cose sulla rete che oggi sta dando risultati incredibili. Ad esempio il sabato notte, quando posso, faccio delle dirette Facebook e mi metto ad interagire con chi mi sta ascoltando. Quella è la mia televisione 2.0. Il mio segreto è raccontare verità. Qualsiasi cosa racconto, più o meno interessante, sai che ti sto raccontando una verità in maniera molto semplice e tu rimani ad ascoltarmi. Oggi è la semplicità che vince perché nel mondo ce n’è tanto bisogno. Ciao Red, grazie mille per aver messo a disposizione la tua immensa esperienza. Grazie a voi, ci vediamo sul web.
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#TimeOfRock
The Dark side of the di Andrea Paone
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ggiungere qualcosa di inedito su un complesso fin troppo osannato e divenuto una ferma icona del nostro tempo non è facile. Cercherò, quindi, di proporre solo alcune considerazioni su un fenomeno musicale che ancora oggi fa discutere, anche se solo per colossali vendite commerciali, e non più per meriti artistici. Fatta questa premessa, è venuta l’ora di imbattersi nel loro capolavoro più criticato, celebrato, mitizzato e stroncato allo stesso tempo: “The Dark Side of the Moon“. È probabile che i Pink Floyd abbiano prodotto album migliori di “The Dark Side of the Moon”, almeno per ciò che concerne l’aspetto strettamente compositivo. L’argomento-principe su cui ogni critica-rock che si rispetti, quando si ha come “vittima” il combo del periodo di Roger Waters, dovrebbe erigere il suo “epicentro” è la disputa su quale sia stata in realtà la missione musicale intrapresa (e poi egregiamente portata a termine) dai Pink Floyd: verranno ricordati e apprezzati più per le straordinarie innovazioni ed evoluzioni apportate al suono, tanto da meritarsi il titolo di “produttori di cibo per le menti” o per aver saputo coniugare suono, hype, possenti wall-of-sound saturi di colori e distorsioni neo-psichedeliche con superbe melodie, a
tutt’oggi considerate archetipi-rock a cui fare riferimento? “The Dark Side of the Moon”, insuperato marchio sonico-musicale dei Pink Floyd targati Waters, non scioglie il dubbio. “The Dark Side of the Moon” si pone, nel contesto della musica popolare del XX° secolo, come un ricco laboratorio di esperimenti post-lisergici, ai confini del più spregiudicato art-rock della prima metà degli anni 70. Padrone incontrastato di questa “rivoluzione del suono” è Roger Waters, che, in qualità di alchimista floydiano, rileva già dal 1968 Syd Barrett alla guida della band, auto-erigendosi a folle, incontrollabile setacciatore di nuove sonorità che renderanno il “Floyd-sound” universale e istantaneamente riconoscibile in ogni parte del globo. Ma non si può fare a meno di stendere elogi e contro-elogi sull’elaboratissimo, maniacale sistema audio-fonico impresso sui solchi del disco, grazie al lavoro di un ingegnere del suono del calibro di Alan Parsons, che costituisce l’autentica perla ed epicentro musicale-ideologico di tutta l’operazione. Waters, Gilmour, Mason e Wright, orfani del genio anarchico e stralunatissimo di Syd Barrett, proseguono il cammino, dando avvio a un percorso (a partire dal celebre doppio – metà live metà in studio
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– “Ummagumma”) capace di toccare vette di sublime, spesso piacevolmente criptata cerebralità, dando in pasto a un ancora acerbo pubblico le loro ricerche e i loro inusuali connubi di rumori vivisezionati dall’”ingordo” Waters e sapientemente tradotti in accattivanti squarci di quotidianità. Una quotidianita’ in apparente quanto bizzarro contrasto con la complessità, spesso ingovernabile e astrusa, di una mente come quella di Waters, devastata da paranoie e macabre visioni, in eterna oscillazione tra sogno e realtà, schizofrenia e solenni momenti di lucidità. “The Dark Side of the Moon” viene pubblicato il 1° marzo negli Usa e il 24 in Europa, e verrà considerato da gran parte della critica come l’insuperato capolavoro musicale dei Pink Floyd. Cio è vero solo in parte: il fatto che in esso vengano riunite, impareggiabilmente, tutte le contraddizioni ideologiche e simboliche di Waters non giustifica appieno tale titolo. Volendo staccare i piedi dalla Luna e riposandoli sulla Terra, l’album è e verrà sempre considerato un superbo, inarrivabile rivoluzionario prodotto (nel caso lo intendessimo da un punto di vista strettamente “cerebral-onirico”, “sonico/concettuale”), ma al contempo appena discreto nel caso lo riducessimo allo “scheletro”, annientandone, cioè, il cor-
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po sonoro e portando alla ribalta le non del tutto ispirate tracce, a cominciare dall’insipida “Money”, per poi passare attraverso i trucchi (talvolta ruffiani, talvolta “streganti’ le nostre menti, in perenne cerca di “cibo lisergico”) di “Speak To Me” e “On The Run”, perfette comunque nel rendere lo stato di ansia del nostro protagonista, riuscendo a fondere, tra rumori e soluzioni sonore d’avanguardia, momenti di alto contenuto sonico-spaziale, ponendo le coordinate su cui si poggia il pensiero pessimista di un Waters alquanto disorientato, autentico ambasciatore del tema dell’incomunicabilità, di cui “The Dark Side” risulta un compiuto, drammatico spaccato. Non mancano, per la verità, momenti di intenso, assoluto lirismo, come dimostrano “Time”, trascinante nella sua felicissima fusione tra testo e musica, un passo in avanti per un non ancora del tutto sviluppato concetto
filosofico all’interno dei parametri-rock, superba prova di lucidità mentale e intellettiva da parte del quartetto; il brano si avvale anche di un debordante (inteso in senso strettamente lirico/evocativo), spiazzante assolo di Gilmour alla chitarra: si ha la sensazione che esso voglia accompagnare il viaggio attraverso il tempo di un coraggioso, anarchico esploratore, in continuo stato di ansiosa curiosità. In definitiva: il trionfo della suggestione e uno degli squarci più intensi di tutta la discografia floydiana. La prima parte del disco si completa con una elegia della pazzia, ma anche, allo stesso tempo, della libertà dell’uomo, schiavo di una società che tende a opprimerlo: “The Great Gig in the Sky”, dominata dai vocalizzi di Clare Torry, di derivazione soul-gospel, in grado di fondere fiammante liricità e drammaturgia quasi cinematografica. In questo coinvolgente, straziante
frammento della sua vita, l’uomo sembra librarsi verso il cielo, onde aprirsi un varco, grazie al quale potrà regnare indisturbato e solenne, lontano dai rumori e ingiustizie della realtà terrena. “Us and Them” vorrebbe rievocare “Breathe In the Air”, ma la melodia, sebbene pinkfloydiana al 100%, risulta convincente solo se nel contesto dell’album, non certamente come tema isolato. Un discorso che vale un po’ per tutto “The Dark Side of the Moon”: ciò che rende immortale quest’opera è il suo inconsueto approccio con l’art-system dell’epoca, qui fotografato in tutte le sue direzioni possibili. Per il rock si trattò di un prodigioso balzo verso un’era futuristica prossima a venire. Per “The Dark Side” vale lo stesso parametro adottato per “Sgt. Pepper” dei Beatles: “Sgt. Pepper” non si potrà forse considerare il capitolo più felice, musicalmente parlando, dei Beatles: esso comportò una rivoluzione, forse la piu’ significativa e rilevante della storia della musica pop, ma questo non può giustificare appieno alcune “debolezze” compositive insite nel capolavoro di Lennon e soci. Lo stesso dicasi per “The Dark Side of the Moon”: come per “Sgt. Pepper”, esso costituì, per i Pink Floyd, la definitiva acquisizione di status di “semidei del rock”, ma questo grazie più al magniloquente manto sonoro e policromatico, che alla qualità delle canzoni presenti nell’album. E nessuno potrà negare l’importanza avuta nel contesto storico degli anni 70 (un periodo fortemente contraddistinto dalle incessanti, maniacali ricerche di nuove avanguardistiche tecniche all’interno degli studi di registrazione) del “lato oscuro della luna”.
Pink Floyd
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N O C U T R E P A TU
O M I S MAS I L L E BON ccali
di Alessio Bo
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ondatore della iCompany, manager, produttore ed in passato anche musicista, Massimo Bonelli è uno di quegli addetti ai lavori che ha sempre vissuto di musica e ne conosce a pieno ogni sfaccettatura. Quella dell’organizzare il concertone del primo maggio è una delle esperienze più emozionanti della sua carriera, ma anche il palco dell’Ariston non gli è rimasto indifferente. Queste e tante altre curiosità nella chiacchierata che abbiamo scambiato per le pagine di MZK news. Da quale esigenza è partita l’idea di fondare iCompany? Tutto è cominciato, nel 2015, dalla mia esigenza di offrire un servizio differente agli artisti e supportare la loro esperienza in tutti i principali settori della musica prodotta, suonata e distribuita. Grazie alla fiducia guadagnata e anche grazie al vostro portale iEvent, che si occupa di eventi e festival, hai avuto l’opportunità di fare da consulente per importanti manifestazioni… Esatto ed è sempre un grandissimo onore. Pensare che a quarant’anni sia già riuscito ad ottenere la fiducia di grandi manifestazioni e premi musicali mi fa pensare che sto percorrendo la strada giusta. Tornando alla tua professione da manager, mi viene in mente immediatamente l’esperienza sanremese al fianco di Fabrizio Moro… È stata una grande emozione. Non è la prima volta che vado a Sanremo perché già mi ci avvicinai nel 2009 con la mia band dell’epoca. Sì, quasi dimenticavo, in un’altra vita sono anche stato musicista e su quel palco mi ci sarei visto
Il CEO di iCompany e del Concerto del Primo Maggio bene anche con la chitarra, ma gli anni passano e bisogna darsi da fare per non restare indietro. Naturalmente grazie a questa mia esperienza da musicista ho potuto capire l’emozione di Fabrizio in quei momenti di grande adrenalina. L’organizzazione di un concerto storico come quello del primo maggio, in una piazza storica come San Giovanni deve essere una grande emozione, ma anche una grande responsabilità… Sì, considera che io sono da sempre un grande fan del primo maggio. Con i miei amici organizzavamo i pullman da Eboli per venire a Roma ad assistere al concertone col consueto bagaglio di panini, vestiti di ricambio e tanta impazienza. Oggi da dietro le quinte sento ancora forte l’emozione e naturalmente sento anche la grande responsabilità che un evento di questa portata comporta. Per concludere, rimango ancorato al discorso “Concertone” e ti chiedo, correggimi se sbaglio, il futuro della musica
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secondo Massimo Bonelli ed iCompany è strettamente legato al mondo del web? Sto pensando al contest 1M Next… Beh, sì. Oramai tutto passa dal web; la promozione, la comunicazione, la distribuzione e soprattutto la percezione di te e del tuo lavoro la trasmetti inevitabilmente attraverso i social. Col Contest 1M Next il Primo Maggio si è messo alla ricerca di nuovi artisti e nuove idee musicali. Con pochi click ed in modo assolutamente gratuito, chiunque avesse qualcosa di interessante e nuovo da proporre può avere la possibilità di essere valutato da una giuria di grande competenza, e di essere ascoltato dal pubblico della rete ed infine, per i 3 finalisti del contest, di esibirsi sul palco del Primo Maggio. Se poi guardi al successo che gli ultimi anni questo contest ha registrato puoi pensare ai nomi dei La Rua oppure a quello dei kuTso, progetti vincenti che ora si stanno muovendo da protagonisti nel nostro panorama musicale.
Sala prove
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MUSIC
LA PRODUZIONE MUSICALE
TRA SOGNI DI GLORIA E PASSIONE PURA di Luca Vincenzo Fortunato
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n una società sempre più superficiale, è facile l’associazione d’idee artista-musica, senza badare a tutto ciò che si cela nella seconda categoria. E’ più che normale allora partire dal nostro editore per delineare un ruolo primario, sia in termini temporali che funzionali, di una figura tanto complessa quanto affascinante: il produttore discografico. Una persona sempre più ibrida nell’attualità, ma alla base di un processo creativo musicale che giunge come output al pubblico sotto forma di performance. Seppur ancorata nella giurisdizione all’espressione ‘produttore di fonogrammi’ (legge 633/1941), la propria essenza si rivela nell’azione svolta di ‘prima fissazione dei suoni’. In pratica un supervisore che prepara il campo all’artista e lo segue passo passo nella crescita, senza saltare alcun passaggio, dalle sessioni in studio sino al mixaggio. Anzi può addirittura scrivergli i testi, come dimostra Mogol,
oppure racchiudere in sé stesso tutto quanto (l’auto-produzione nel mondo rap è regola quanto mai condivisa). E pensare che la lotta per l’indipendenza, evento storicamente necessario, è durata ben 70 anni, dagli esordi di Gaisberg di fine ‘800 fino alla cooperazione velatamente forzata con gli A&R degli anni ’50. Giunti i Sixties, la libertà è coincisa con l’apertura di studi di registrazione per tutti a Londra, New York, Los Angeles e con essa ‘la fiumana del progresso’: via il classismo reazionario ed ecco la rivoluzione artistica! Il ‘self made musicale’ acquista potere, lanciando con i dovuti rischi molti artisti nel panorama culturale: alcuni hanno fatto la storia, altri sono rimasti a guardarla. Dentro queste scommesse, però, si celava il ruolo del produttore sempre più a metà tra talent scout e manager, a tal punto da offuscare il lavoro tecnico in favore di una maggiore visibilità mediatica tra un format musicale e l’altro.
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Praticamente i produttori hanno spettacolarizzato la loro immagine, tenendo il passo (claudicante) dei tempi. Dov’è finito il ‘lavoro al buio’ che ci faceva domandare quale volto avesse colui che ha scoperto quel talento? Si può rivedere, ancora una volta, nelle produzioni musicali indie, trampolini veri e propri di artisti emergenti che esplodono totalmente in altri lidi iridati. Sarà forse per la supervisione maniacale nelle sessioni in studio, nel mixaggio e nella masterizzazione favorita dalle minori pressioni esterne? Plausibile, ma non del tutto corretta. E’ un fattore di serietà e professionalità, che può nascere solo grazie ad un percorso accademico intriso di passione per questa attività. Un amore platonico per la musica, paragonabile a quello di un pittore per l’arte mentre produce la prima bozza. E noi, spettatori di questo progetto materiale o liquido che sia, dobbiamo solo ammirare e rispettare questo instancabile lavoratore!
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CURIOSANDO NELLA MUSICA 1) Prima di 8 mile Eminem aveva fatto un film su una strega hip hop, il titolo è The Hip Hop Witch 2) Michael Jackson ha scritto una canzone per i Simpson, per la precisione: “Do The Bartman”. 3) Esiste un rapper, Riff Raff che ha i denti da squalo ricoperti di diamanti, il dentista ringrazia, noi un po’ meno.
“Il
SELF MADE MUSICALE
acquista potere”
4) La musica, secondo una ricerca fatta da Dorothy Retallack, prof.essa dell’università del Colorado, aumenta la crescita delle piante. 5) In certi casi, l’ascolto continuativo di musica rock può prevenire i naturali problemi di perdita dell’udito legati all’età.
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MUSIC
ANALISI DEI TESTI di Alessio Boccali
FRANCESCO GUCCINI – L’AVVELENATA
TRACY CHAPMAN – BEHIND THE WALL
Francesco Guccini aveva iniziato a cantare questo pezzo quasi per scherzo durante i suoi concerti, ma non l’aveva mai inserito in nessun disco. Fu il critico Bertoncelli, canzonato all’interno del brano, a suggerire al cantautore di incidere “L’avvelenata” in un LP; fu inserita allora all’interno dell’album “Via Paolo Fabbri 43” e ben presto divenne uno dei pezzi più amati di Guccini. Anni ‘70, i giovani comunisti attaccano ferocemente gli artisti che si esibiscono per denaro. Tra le vittime di questa crociata non poteva mancare Guccini, che fino ad allora aveva sempre fatto propri gli ideali del comunismo e, soprattutto, dell’anarchia. “L’avvelenata” è quindi una risposta a questa situazione; qui Guccini esprime le sue ragioni. Innanzitutto c’è la difesa dall’accusa di essere commerciale “Ma s’io avessi previsto tutto questo… credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni?”, ammette di aver peccato di ingenuità, d’essersi fatto trasportare dall’inesperienza “Lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il crucifige e così sia, chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato...”. D’altronde il cantautore non pretende di cambiare il mondo con le sue canzoni “…Non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni”, bensì vuole soltanto saziare il bisogno di esprimersi, senza costrizioni di sorta “Io canto quando posso, come posso, quando ne ho voglia senza applausi o fischi: vendere o no non passa fra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso...”. I critici, che giudicano con la pretesa di poter insegnare all’artista cosa dire e cosa fare, non meritano ascolto “Io tutto, io niente… Secondo voi ma chi me lo fa fare di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento?” Guccini non giudica nemmeno l’artista che si vende consapevolmente, anzi quasi ne ammira il coraggio “Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po’ di milioni, voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni... Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teoreta, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate!”. Insomma, un inno alla libertà dell’arte figlio di un cantautore schietto e lungimirante.
In tutto il mondo la donna continua ad essere vergognosamente considerata il “sesso debole”, un oggetto da sottoporre a violenze di ogni genere, fisiche o verbali che siano… Eppure l’arte, la forma più bella di bellezza al mondo, da sempre prova a sensibilizzare la nostra società a sopperire a questo abominio. “Behind the wall” di Tracy Chapman è una delle denunce contro la violenza sulle donne più riuscite. Il brano tratta di un episodio di violenza domestica ripetuto, un fattaccio che, come accade spesso in questi casi, non fa notizia finché non si trasforma in una vera e propria tragedia: “Last night I head the screaming, loud voices behind the wall, another sleepless night for me. It won’t do no good to call the police” – “L’altra sera ho sentito urlare voci che gridavano da dietro alla parete, mi aspetta un’altra notte insonne. Non servirà ad un accidente chiamare la polizia”. Eppure com’è possibile pensare che questo sia amore? Anche al di fuori della situazione familiare dovrebbe risultare ben chiaro che dietro a delle lacrime si nasconde una non-scelta di vita insieme, una costrizione figlia di una brutale violenza. Tracy Chapman denuncia invece l’indifferenza che spesso attanaglia le coscienze, o meglio le incoscienze, umane: “They say they can’t interfere with domestic affairs between a man and his wife and, as they walk out the door, the tears well up in her eyes” – “Loro dicono che non possono mettere il naso nelle faccende private tra un uomo e sua moglie e, mentre escono dalla porta, le lacrime le scendono sugli occhi.”. C’è tanta delusione, ma anche tanta sofferenza nelle parole dell’artista statunitense abituata a rifuggire la discriminazione e le violenze nei suoi brani sempre pieni di vita vissuta. Qui, nel 1988, si schierava al fianco delle donne in una lotta a favore della parità dei sessi che ai tempi aveva registrato una prima battuta d’arresto. Eppure in quel muro citato nel titolo son certo ci fosse un’allusione a quel Muro di Berlino, simbolo per eccellenza della violenza della discriminazione… Beh, se nel 1989 persino quel muro fu finalmente abbattuto, c’è una flebile, ma importantissima speranza che anche questo “muro” di ipocrisia misogina venga distrutto.
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MUSIC
IL DISCO COME Quando immagini e musica si incontrano dando vita a delle icone
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MUSIC
OPERA D’ARTE
di Alessio Boccali
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n progetto discografico, se ben fatto, è già di per sé un’opera d’arte; tuttavia può capitare che un bel progetto venga arricchito ulteriormente da una bella copertina d’autore. Nel corso della storia della musica tanti sono stati i pittori, street artist, fotografi, fumettisti e altri artisti del mondo visivo hanno pensato e progettato delle rappresentazioni grafiche che ben racchiudessero il senso della musica contenuta in quei vinili o in quei compact-disc. Tutti, ad esempio, conosciamo la banana disegnata da Andy Warhol per la copertina, divenuta per questo iconica, del primo album dei Velvet Underground, prodotto dallo stesso pop artist statunitense. E ancora, in molti custodiscono gelosamente l’album del 2003 dei Blur intitolato “Think Tank”, arricchito dall’opera magnifica del writer Banksy in copertina, oppure il ritratto molto “warholiano” creato dallo street artist Mr.Brainwash per l’album della popstar Madonna intitolato “Celebration”. La verità è che spesso un disco lo immaginiamo prima di ascoltarlo; nella nostra mente già fantastichiamo cosa andremo ad ascoltare e quali emozioni proveremo semplicemente prendendolo tra le mani. La copertina per questo motivo è di certo già indicativa del mood del progetto discografico. Tanto per capirci, non credo molto a chi dice che un libro non si giudica dalla copertina. Magari non solo da quella, ecco. Altri due casi eclatanti di artisti che hanno prestato la loro arte visiva al mondo della musica provengono dal mondo della fotografia; basti pensare che sono i lavori di William Eggleston ad aver reso indimenticabili molte cover di Big Star, Green On Red, Joanna Newsom, Primal Scream ed addirittura Cat Power, oppure basterà spulciare tra le fotografie di Robert Mapplethorpe per incontrare le meravigliose copertine di “Horses” e “Wave” di Patti Smith o di “Night work” degli Scissor Sisters. La forza dell’immagine, soprattutto se ben pensata come nel caso di tutti gli artisti sopracitati e di tanti altri, rende immortale l’opera discografica. Questo accade anche nel caso di cover provocatorie, a rischio censura. Impossibile non ricordare, e quindi non citare, le copertine realizzate dal pittore George Condo per il rapper Kanye West; opere d’arte a metà strada tra satira e blasfemia – come quella dove il rapper nudo fa sesso con una misteriosa creatura alata oppure quella dove un prete è rappresentato con le sembianze di un roditore -, che mettono ben in evidenza questo speciale sodalizio artistico tra genio musicale e genio pittorico-visivo. In questa speciale collaborazione tra arte grafica e musica ci guadagnano entrambi i mondi; entrambe le sfere, infatti, possono allargare i loro orizzonti di pubblico e attirare sempre nuove schiere di fan o semplici curiosi: con questo processo le copertine vengono trasformate in delle vere e proprie icone, che ogni appassionato di uno o l’altro settore artistico coinvolto non può farsi mancare.
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MUSIC
È Gli
ARTISTI DI STRADA LA LUCE SEMPLICE DELLA FELICITÁ
Visti come vagabondi, gli artisti di strada sorridono alla vita scegliendo le loro avventure. di Andrea Paone
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difficile capire il perché ad un certo punto una persona diventi un artista di strada. Sicuramente una scelta di libertà indiscussa, ma a dire che cosa muove un modo cosi singolare di gestire la propria vita è impossibile. Ne ho conosciuti molti e ho passato molto tempo con loro, non limitandomi al momento di osservazione che solitamente si dedica, ma ho passato delle giornate a parlare, a conoscerli e a divertirmi con loro. Ricordo di Federica e Paolo studenti dell’artistico di una città del sud, facevano i Madonnari cercando di sovvenzionarsi un viaggio in Italia e se mai ci fosse stata la possibilità anche all’estero. Due ragazzi spinti dall’indipendenza dalla loro famiglia e dalla voglia di conoscere animati da un ottimismo senza pari e da una semplicità nelle cose ineguagliabile. Ricordo anche John, con affetto, è stato un assiduo frequentatore per anni di un locale di Roma che frequentavo spesso e poi un giorno lo ritrovai sulla riviera ligure con un simpaticissimo teatrino costruito da lui e dalla sua famiglia: la moglie e i tre figli collaboravano con lui in una sorta di impresa famigliare, costruivano marionette di legno che poi lui muoveva con i fili, il quale azionava anche la grancassa e una manona che ritirava i soldi offerti. Per John fare l’artista di strada cantando con chitarra e armonica a bocca era motivo di sopravvivenza, ma anche una scelta molto coraggiosa. Infatti, a Torino, era insegnante di inglese, però mi diceva che quel sicuro modo di vivere non gli piaceva e che la sua famiglia lo aveva appoggiato molto nella sua svolta. Bisogna ammettere che per una donna e dei figli scegliere una vita di questo tipo senza pretese e con semplicità estrema non è affatto facile e consueto ma è comunque ammirevole. Di lui ricordo il sorriso sempre stampato sul suo viso anche quando i vigili lo costringevano a spostarsi o addirittura ad andarsene, questo succedeva spesso. Non so se lo incontrerò ancora, comunque è stato bello conoscerlo come gli altri d’altronde. Non mi hanno cambiato la vita o il mio modo di pensare però mi hanno fatto riflettere e prendere coscienza che c’è molta brava gente, indipendentemente dalla loro scelta o dal metodo di sopravvivenza. E che dire di Pierre, il mimo. Arriva la
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mattina presto per prendere un buon posto, possibilmente uno spiazzo, e poi si infarina dalla testa ai piedi. Sale su una pedana improvvisata e per ore sta immobile ad aspettare che qualche persona, di solito bambini, getti una monetina nel cappello liso posato in terra, ringrazia, tira fuori la caramella dalla tasca e la sporge con gentilezza sfoggiando un sorriso enigmatico. Lui è francese, come si può intuire dal nome, ed è un giramondo. Puoi parlare di Londra e lui sa descrivertela, di Vienna, di Roma, di New York e lui sa sempre rispondere. Parla numerose lingue, ha una buona cultura e forse è anche laureato. Viene da chiedersi perché una persona così con le possibilità che avrebbe di un inserimento più consistente nella società faccia una scelta di vita di questo tipo. Questo è esattamente quello che gli ho chiesto. La sua risposta era quasi scontata, e cioè la voglia di libertà la rottura degli schemi e poi lo spirito di avventura e di conoscenza che lo anima. Naturalmente ci si potrebbe dilungare sulla descrizione di altri personaggi di questo tipo, come chi per passione e a tempo perso anima un teatrino per bambini, ritornando ad essere una persona “normale” il giorno dopo, o chi si esibisce
nelle fiere solo per il gusto dello spettacolo. Prendo ancora uno di questi, con cui ho passato del tempo: Rudy. Ogni anno veniva a fare la fiera al mio paese, ogni maggio, siamo diventati amici. Arrivava al mattino con una bicicletta che aveva pitturato e modificato con le sue mani rendendola pittoresca, piena di lucine con bandierine ovunque e attrezzatissima di sporgenze utili ad esporre la sua merce. E si! la sua merce, collanine amuleti braccialetti e mille altre cosette che lui a tempo perso, con pazienza, armato di pinzette costruiva e poi vendeva. Passava da me per farsi quattro chiacchiere e un caffè che gli offrivo puntualmente, mi chiedeva sempre di dargli un’occhiata alla bici perché era la cosa più importante. Mi diceva che alla sera, quando sbaraccava tutto doveva fare 20 km per tornare a casa e senza la bicicletta sarebbe stato un guaio. Parlando venni a sapere che una casa l’aveva e anche una famiglia con un bimbo. Era un personaggio singolare vestito da cowboy con una giacca a frange come Custer, capelli lunghi legati a coda di cavallo con nastrini colorati che pendevano ai lati. Manteneva la sua famiglia in questo modo. Gli piaceva essere libero e
in un certo qual modo era un artista di strada con i suoi ninnoli che non trovavi da nessuna parte se non da lui e poi gli piacevano soprattutto le fiere paesane ed era sempre presente. Dopo qualche anno l’ho incontrato, e purtroppo senza più il suo cappello e la sua bicicletta. Seduti ad un bar mi raccontò che non aveva più la sua famiglia, che sua moglie e suo figlio ad un certo punto si vergognarono di lui e lo abbandonarono. La bicicletta l’avevano rubata e lui si era abbattuto fino al punto di non fare più nulla. La stessa fortuna di John a lui non è toccata, la vita è andata in modo diverso. Si era messo a fare il barbone e viveva non so come. Lo aiutai un po’ all’inizio poi di lui non seppi più nulla. Ma gli artisti di strada sono un popolo di gente che sorride e a lui comunque questo spirito era rimasto e l’ho visto sul viso di tutti quelli che ho conosciuto, indipendentemente dalle diverse motivazioni, dalle strade diverse e dalle cose diverse che fanno o facevano. Sono gente semplice, su questo non ci piove e poi passeggiando fa piacere vederli ci si ferma volentieri sono sempre un’immagine gradevole agli occhi di tutti e ti fanno pensare che in fondo basta poco per essere felici.
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MUSIC
N O I T A R E N E G a
La rubric
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ttron e l E a c i s di Mu
Paul Kalkbrenner “Back to the future” Storia e ricordi di un ragazzo diventato uomo, ma soprattutto artista di Carlo Ferraioli
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ià, se non di arte, di cosa potremmo mai pensare si tratti? È chiaramente così. Con una certa dose di tranquillità, infatti, si può affermare che PK abbia messo ancora una volta tutti in fila. Ritornare sui propri passi, lì dove si è stati, si è cresciuti, lì dove si è fatto più volte a pugni con la vita, con gli affetti e finanche con la passione più grande, quella di sempre, quella per la musica, non è per niente semplice. Non lo sarà di certo stato per Paul, vero e proprio genio, capace di creare musica anche solo ascoltando i suoni prodotti dai vagoni delle metro berlinesi, quelle che gli passavano sotto casa. Eppure ce l’ha fatta, Paul, e in modo per niente banale: la storia della techno fra il 1987 ed il 1993, quella che si ascoltava quando il famoso muro che divideva il mondo era ancora in piedi, quella che ha ispirato la giovinezza di un ragazzo, di una mente, che vide creazione ed
unione lì dove c’erano ancora divisioni, conflitti, scontri. È tutta lì, in 60 brani, quella storia. Tutti remixati ad hoc e distribuiti in tre diversi volumi, facenti però capo allo stesso progetto musicale. È la storia della Berlino Est, delle frequenze di Berlino Est DB 64, radio dei tempi che furono, e che PK era solito ascoltare. È la storia dei suoni che arrivano chiari dalle luci di una camera del quartiere Lichtenberg, quartiere in cui Kalkbrenner si trasferì da piccolo, e dal quale vide distintamente due cose, il muro cadere e la sua voglia di sfondare crescere, sempre di più. È la storia dei parties e dei rave, dei primi anni ’90, di un’apparente serenità ritrovata, dell’abbandono, sebbene parziale, di un permanente stato d’ansia. È semplicemente la storia di una leggenda. È semplicemente storia, da ripercorrere. Aspetti, questi, che ben si percepiscono dalle melodie e dai ritmi che artisti dell’epoca quali Todd Terry, Voodoo
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Child ed Aphex Twin furono capaci di creare, e che si trovano, oggi, inseriti e campionati a dovere nel nuovo piano di PK. Stiamo pur sempre parlando dei padri dell’elettronica, e, a tal proposito, sarebbe bene e doveroso ricordare una cosa. Durante il tour che si è aperto lo scorso 7 aprile a Berlino, e che si concluderà a Friburgo il prossimo 16 luglio, Kalkbrenner non è solo protagonista di un’esibizione come le altre, come magari quelle che lo hanno visto in scena per anni e anni: Paul, come dice anche il titolo dell’opera, proverà (e siamo sicuri ce la farà) a fare un salto indietro nel tempo, ritornando, quindi, tecnicamente al passato. Ma lo farà con gli strumenti, i metodi e le conoscenze dell’oggi: sviluppi tecnologici, artistici e musicali che trent’anni fa potevano solamente essere utopia, e che ora invece sono realtà. È un ritorno sì, ma è anche un grande passo in avanti, frutto di rispetto, di dedizione e di amore per il proprio lavoro.
MUSIC
REDAZIONALE
Emme A DI Il Rapper romano che sogna Hollywood passeggiando per Roma
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resco, potente e giovane. Questo è “Non vivo ad Hollywood mixtape vol.3”, il suo ultimo album mixtape.
Spiegaci questo album, che cosa dobbiamo aspettarci? Io faccio Rap, Hip Hop da 10 anni. Fortunatamente ho trovato Micky della TdB, e siamo entrati subito in sintonia, abbiamo registrato il mio primo Mixtape in una settimana, facendo un sacco di cose insieme e in maniera molto veloce, lo consiglio a tutti. Volume 3 di “Non Vivo ad Hollywood”, è la fine di un ciclo di mixtape, per chi fosse profano, assume la connotazione di un album non ufficiale, contenente materiale inedito e prodotto dagli artisti per incrementare l’attesa di un nuovo album, o dare ai propri fan pezzi che non potrebbero altrimenti fare uscire attraverso il normale circuito discografico, specie se sotto contratto con una major. Questo è un po’ atipico, sono 24 tracce di cui la metà sono originali. Perché lo consiglieresti? Lo consiglio, perché è un suono nuovo, e si stacca molto dalla scena odierna Hip Hop. Riprende campioni funk e la nascita di questo genere musicale. Non parliamo solo di soldi, ha molti contenuti. Il tour? Molto probabilmente partiremo dal Nord Italia, poi andremo al Sud per l’estate e il Centro ce lo terremo per settembre. A chi ti ispiri? Senza ombra di dubbio gli Articoli 31, all’epoca sono stati l’incarnazione perfetta del rap italiano. Sono stati fondamentali per il mio percorso artistico. Come definiresti “Non vivo ad Hollywood Vol. 3”? Nuovo, fresco e potente. Voglio anche ricordare che ci sono un sacco di featuring in “Non vivo ad Hollywood mixtape vol.3”: Dj Fastcut, Scuro, Reset, Wiser, Sgravo, Maidanez aka Nezu Lamike, Engiom, Little Salvo, Jamiro, Da Silva, Still Early, Mario Greco, Jacopo Tricoli, Paolo Comito Viola, Flaminia Hope, Faux, Muzzarella Flow, 2B, Oméga, Broy.
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MUSIC
O T U T A ST ica s u m a r t s no a l , a t a i a r n o a t r s g a r e t La nos e il nostro cuor
itelli
sco Nucc
di France
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MUSIC
“Noi siamo nati per dare un’espressione al movimento Mod”
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ruppo con una storia invidiabile, anni e anni in giro per l’Italia a portare un genere poco ascoltato, portandolo al successo. Il leader degli Statuto, oSKAr, ci ha concesso un’intervista, dove si è parlato della loro storia e della loro musica” Prima domanda, molto generale, come nasce e come si sviluppa la storia di una band storica come gli Statuto “Beh è una storia molto lunga, si può riassumere in maniera abbastanza semplice. Noi siamo nati per dare un’espressione al movimento Mod, prima a Torino e poi su scala nazionale. Attraverso la nostra musica, abbiamo cercato sempre di dare la priorità al mondo mood e questa priorità ci ha consentito di avere una carriera lunga, che ci ha dato la forza e l’energia e divertendoci. Facciamo anche lo Ska, un genere musicale che nasce in Giamaica e si rinnova in Inghilterra, con dei suoni più elettrici. Poi il Rhythm and Blues e
ciò che deriva dalla cultura africana. Gli Statuto, come detto a più riprese, possono vantare una carriera lunghissima e fortunata. Chissà quante soddisfazioni? “Na abbiamo avute tante, mi è difficile dirtene una. Molte sono quelle che ci hanno permesso di suonare su palchi, dove mai avremmo pensato di arrivare. Abbiamo avuto il piacere di avere l’intera squadra del Torino in uno dei nostri video o il grande Paolo Pulici (il nostro Dio del calcio). Potrei dirti di Cuba, suonare li è stata una gioia, ci avevano invitato le autorità quando c’era ancora Fidel Castro, poi ce ne sono tante altre”. Parlando di palchi siete stati anche a Sanremo con ‘Abbiamo vinto il Festival di Sanremo’ “Beh questa canzone venne scritta su consiglio della EMI, la dovevamo far uscire durante il periodo sanremese ma non a Sanremo, poi quando venimmo
accettati organizzammo una sorta di Referendum, visto che all’inizio eravamo molto titubanti”. Stiamo alle battute finali della nostra intervista e non possiamo non domandare del venticinquennale dell’album Zighidà “L’album Zighidà uscì appunto nel 1992 ed è il nostro album di maggior successo e raccoglieva le nostre canzoni più importanti fino ad allora. Siccome molte delle canzoni di quell’album le suoniamo sempre, abbiamo pensato di farlo riuscire con contenuti extra, in versione deluxe e con la partecipazione di artisti come Caparezza. Per quanto riguarda il Tour abbiamo molte date, proseguirà per tutta l’estate e per tutta l’Italia”. Chiudiamo con una piccola battuta “Un saluto agli amici di MZKnews, sarà un piacere apparire sul vostro bimestrale e speriamo che leggendo di noi qualcuno voglia venire ad un nostro concerto, dove ci si diverte sempre ed è una bella occasione per stare insieme”.
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MUSIC Intervista a
Daniele TEODORANI, un direttore di produzione 2.0 di Alessio Boccali
Nessuno conosce meglio il mondo della musica di chi lo vive tutti i giorni. Daniele Teodorani è uno di quegli addetti ai lavori, che hanno trasformato la loro passione per la musica in una professione. Ho scambiato quattro chiacchiere con lui per comprendere meglio il suo mondo.
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iao Daniele, puoi spiegarci in cosa consiste il tuo ruolo di direttore di produzione? Sì, certo. Il direttore di produzione è quella figura che dirige l’organizzazione dell’intero spettacolo. Ti spiego: una volta esisteva un tour manager ed un direttore di produzione, con ruoli distinti. Oggi queste due figure nella maggior parte dei casi, si sono unificate, quindi oltre ad organizzare tutto dall’ufficio come faceva già prima, il direttore di produzione molto spesso va anche in tour e controlla da vicino che tutto funzioni al meglio. Quali sono attualmente gli artisti con i quali lavori? Da un po’ di anni lavoro con Fabrizio Moro, con il quale ho una collaborazione consolidata che mi coinvolge molto an-
che per la stima e la familiarità che si e’ creata negli anni. Contemporaneamente ho lavorato con altri artisti tra cui Sergio Caputo, Dolcenera nel suo ultimo tour e quest’anno farò delle date per Briga oltre, naturalmente, a seguire il tour di Moro. Poi ci sono anche le collaborazioni sporadiche, che sono sempre le benvenute. Ti è capitato anche di organizzare concerti all’estero? Sì, mi è capitato con Fabrizio Moro a Londra. È stata un’esperienza molto bella, sicuramente diversa perché ti confronti con realtà meno burocratiche, ma molto fiscali, rigide. È più difficile organizzare delle date in piccoli club dove c’è meno organizzazione, ma anche meno gente oppure è più
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difficile avere a che fare con le grandi arene che accolgono più persone ed hanno un’organizzazione molto più complessa, ma anche più precisa? Guarda, spesso si pensa che organizzare piccoli concerti sia più facile di fare grandi date. In realtà molto dipende dalle risorse che hai a disposizione perché magari nelle grandi date hai un team di persone che ti semplificano il lavoro, mentre nelle piccole date magari questo non puoi permettertelo. Poi può capitare anche che si scelga di fare date in piccoli teatri proprio per avere un pubblico un po’ più selezionato, ma questo è un altro discorso… So che sei stato, e sei ancora, anche un musicista; Sicuramente questo ti avrà aiutato nel rapporto con gli artisti che segui… Certo, quando un addetto ai lavori, specialmente chi segue da vicino un artista, ha una buona preparazione musicale, ha di sicuro una visione più dettagliata di tutti gli aspetti da seguire. Poi quando inizia un concerto l’emozione è diversa; da musicista ti lasci andare, mentre da direttore di produzione stai sempre all’erta affinché tutto vada bene, ti rilassi di meno. Per capirci, la mia tensione da concerto sparisce quando tutte le apparecchiature sono smontate e me ne torno a casa. Perfetto Daniele, ti ringrazio per la grande chiarezza. Vuoi aggiungere qualcosa? Ringrazio te per la chiacchierata ed aggiungo che un direttore di produzione è il primo ad arrivare sul posto del concerto e l’ultimo ad andare via; è un lavoro che dà tante soddisfazioni, ma anche tanta fatica. Serve tanta passione per farlo.
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MALAMANERA : dopo “Il primo passo”, “Dimmi cosa vedi ” ASPETTANDO IL NUOVO ALBUM, SI RACCONTANO A MZK NEWS di Pablo Staccoli
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Malamanera nascono nel 2014, quando Gianluca De Vito, autore e chitarrista, torna dal suo viaggio durato sette anni in America Centrale. Durante questo periodo, Gianluca suona per vivere: per strada, nei bar, nei Chiringuiti, insomma un sogno per qualsiasi musicista. Andare alla scoperta del mondo, fare nuove esperienze, conoscere nuove persone, etnie, e tutto questo grazie al messaggio universale della musica. Tutte queste esperienze, una volta tornato in Italia, sono andate ad influenzare lo stile e la musica dei Malamanera, un progetto musicale che da subito lo ha coinvolto, insieme a Letizia Papi, cantante e autrice, ed altri musicisti come Jury Carmignani, (basso) , Emiliano Pasquinucci (fisarmonica, tastiere e flauto) e Leonardo Orlandi (batteria e percussioni). Il loro primo progetto si chiama Il primo passo, ed è uscito nel 2015, l’album evidenzia bene uno stile Reggae che si arricchisce con un po’ di Cumbia, per fondersi allo Ska e al buon Folk toscano. Non a caso si definiscono una combo latino maremmana tutta da scoprire. Proprio per questo, in attesa del loro prossimo album, siamo andati a conoscere ed intervistare Gianluca De Vito, uno dei fondatori dei Malamanera. Gianluca, questa tua esperienza in America Centrale quanto può aver influenzato la musica dei Malamanera? A comporre i testi e la musica, ce ne occupiamo io e Letizia. Da parte mia è ovvio che l’influenza è marcata e visto la mia esperienza porto un pezzettino di onda latina, Rumba e Cumbia. Poi comunque ci sono i musicisti che ci aiutano nella composizione. Ovviamente ognuno porta un pezzo di se. Due anni fa è uscito il vostro primo album, ed ora ne avete un altro in fase di lavorazione. Raccontaci qualcosa al riguardo.
Il nostro prossimo album uscirà a fine Aprile, e si chiamerà “Dimmi cosa vedi” e sarà composto da tredici pezzi originali, sei in lingua spagnola, e sette in italiano. Sarà un disco molto “ meticciato”, nel senso che dentro ci saranno vari generi, tra cui: Reggae, Cumbia, della Dub quindi anche un po’ di elettronica, delle sonorità latine ma anche molto europee. Quali sono le caratteristiche che differenzieranno questo vostro secondo lavoro dal primo? Sicuramente il lavoro di insieme, perché il primo album era costituito fondamentalmente dai pezzi miei e di Letizia, mentre in questo nuovo lavoro, ci sono tre anni di esperienza insieme. C’è più partecipazione e lavoro di gruppo.
Il vostri lavori sono auto-prodotti? Si, noi ci auto-produciamo i nostri progetti, anche se in occasione del disco, abbiamo fatto una campagna di Crowdfunding, perché le spese da sostenere in queste occasioni diventano consistenti. Oltre all’uscita del disco, avete altri progetti futuri come tour, collaborazioni ecc... ? Se vogliamo parlare di collaborazioni, diciamo che nel nuovo album sarà presente un pezzo realizzato in collaborazione con Patrick Benifei, che ha cantato su Splin, uno dei pezzi di Letizia. Mentre il 25 Aprile partirà il tour da Spartaco, un centro sociale di Roma.
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MUSIC
L’arte
e l’estetica del
VIDEOCLIP Quando il suono si mischia con la componente visuale creando arte pura di Francesco Nuccitelli
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MUSIC
“Anche l’occhio vuole la sua parte”
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niziamo con la domanda più importante: cos’è un videoclip? Il videoclip di stampo musicale è un’arte che ha lo scopo di promuovere un brano, non solo attraverso il suono, ma anche attraverso il visivo. Per quanto spesso considerato solo come propaganda per fini commerciali o promozionali, esso può rappresentare in realtà l’essenza pura dell’arte contemporanea. Con questa risposta però, ci troviamo allo step successivo, ovvero che importanza ha o diamo ad un videoclip? E chi predomina: la canzone/musica o il filmato? In un contesto musicale come quello attuale il videoclip è fondamentale per qualsiasi brano, poiché al pubblico non basta più compiacere solo l’udito e come si dice anche l’occhio vuole la sua parte. Potremmo così rispondere, che attualmente i videoclip sono importanti se no fondamentali per un brano. Tutto ciò lo ipotizziamo poiché c’è un videoclip che ha fatto la storia, nono-
stante non sia il primo (anche perché sul primo c’è ancora un’accesa disputa), “Thriller” di Michael Jackson che non invase solo le radio del mondo intero ma anche le televisioni, portando ad una consapevolezza del formato video – musicale ad uno stato di necessità o essenzialità. Non solo perché vede protagonista il re del pop o una delle canzoni immortali del panorama mondiale, ma perché è forse il primo videoclip con una base di storia narrativa, come un corto cinematografico. Potremmo così definire il regista John Landies (autore di questo video storico e regista di film come: “Una poltrona per due” e “The Blues Brothers”) come un precursore per questa categoria. Se abbiamo analizzato in piccola parte la storia, l’utilità e l’importanza di un videoclip, bisogna anche dire che dietro c’è un lavoro enorme, che lo spettatore non può neanche immaginare. Creare un videoclip è difficile e richiede tanti
sforzi, tanta competenza, tanta inventiva, strumenti che possiamo solo sognare e perché no un budget di tutto rispetto, nonché un buon rapporto con il cantate o il gruppo di riferimento, per costruire “l’abito” migliore alla canzone in questione. Altra cosa da non sottovalutare, è l’idea del videoclip come forma d’arte, non solo musicale ma anche cinematografica poiché per realizzarlo c’è bisogno della mano di un regista e di un cast che esalti la storia raccontata. Per quanto riguarda l’estetica, è forse una delle cose più difficili da spiegare, potremmo unirla all’idea di immaginario e sensazioni. Si perché ogni canzone ci spinge a provare qualcosa di diverso, l’uno dall’altro. Ed è qui che si verifica la magia del videoclip, ovvero il fatto di far scaturire delle emozioni, che se prima la sola canzone produceva oggi anche il video le mette in mostra, così facendo uscire la parte più intima e fragile di noi anche con le immagini.
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MUSIC
I SEGRETI DELLA FONIA IN PRESA DIRETTA L’intervista al fonico Bruno Glisbergh che ci racconta la sua esperienza come fonico cinematografico di Luca Vincenzo Fortunato
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ome ben sappiamo, nell’industria cinematografica prefigurano moltissimi ruoli dietro la macchina da presa, ma rivendicano un ruolo primario per il risultato finale. Uno tra questi è il fonico, colui che cura il suono in una determinata fase del prodotto (presa diretta, mixaggio o doppiaggio). Noi di MZK News ci siamo immersi nel fascino dell’improvvisazione, nella purezza del momento della registrazione, attraverso un giovane ragazzo chiamato Bruno Glisbergh, che nei suoi 6 anni di attività ha già incasellato parecchi successi tra programmi TV, documentari e film. In cosa consiste essenzialmente il tuo lavoro? “Come fonico di presa diretta nel cinema, sto all’inizio della catena di produzione nella fase di preparazione del film insieme al regista e lo sceneggiatore, poi passo al set come capo-reparto del suono. Lì mi occupo delle decisioni ‘live’ e
dei problemi. Naturalmente ho una responsabilità con un margine di errore pari a 0, anche perché alcuni rumori esterni non si possono eliminare a differenza della fotografia e quindi è di vitale importanza un sopralluogo iniziale e un’interfaccia diretta con le altre parti. Purtroppo in Italia solo le super-produzioni ti coinvolgono in questa fase per evitare problemi come trovarsi un cantiere vicino al set.” Dunque il cantiere è uno degli imprevisti che ti è capitato… “Il cantiere dietro l’angolo, per esempio, appare sempre quando stai per registrare (ride, ndr). Quelli comunque ci sono sempre, devi solo essere bravo a saperli gestire!” Quali sono invece le soddisfazioni nel tuo mestiere? “Quando gli attori e i reparti ti danno retta per raggiungere la qualità del suono, visto che non è facile andare d’accor-
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do con una cinquantina di persone sul set. Adesso è più complicato, visto che il cinema è stato bombardato da molti radiomicrofoni per ridurre i tempi di ripresa e devi mediare velocemente con ogni operatore. Fortunatamente, però, ci sono ancora quei pochi registi che ti lasciano lavorare con un solo radiomicrofono…” Quale strada hai percorso per diventare un fonico? “Ho cominciato con la scuola a Cinecittà nel 2010 dove ho avuto ‘signori’ professori da Tullio Morganti a Gilberto Martinelli che ci hanno insegnato tutto in due anni di frequenza obbligatoria giornaliera! All’inizio abbiamo studiato la teoria, poi al secondo anno la post-produzione e messo in pratica il tutto. Ciò ti fa iniziare la ‘gavetta’ dove si accetta ogni cosa. Poi, piano piano, si alza l’asticella guadagnando fino a dove ti soddisfa, senza dover screditare i tuoi colleghi che non usano lo stesso criterio”.
MUSIC Coez
30/6 – Villa Ada Roma inc ontra il m ondo
Ketty Passa 26/5 – ‘Na cosetta
In occasione de l co uno degli artisti nsueto appuntamento con la m us ita Nella cornice de liani da tenere d’occhio è si ica a Villa Ada curamente Coe l laghetto, il cant z. autore di Nocer birà con le sue ri a In m a farvi ballare pe e e con i suoi ritornelli spacca cl feriore si esiassifiche, pronto r tutta la notte.
alle spalle, in Veejay e deejay con una lunga gavetta la ragazza Ora” “Era m albu dell’ ta occasione dell’usci per la setta dei capelli turchini approda al ‘Na cose ri che ansicu o Siam conda data romana del suo tour. pubblico il re uista conq a che in questo casa riuscirà hip hop. l triba il e rock o lectr e l’ tra col suo stile urban,
ROMA SUONA
ro Fabrizio Mo 26 e 27/5 atica Palalottom a”, subito dopo la emese “Portami Vi nr sa lo go doppio sin l co nella Capitale con un o, disco di platino Il cantautore roman ra tour, porterà il suo “Pace”, e non solo, mo sicuri che anche per il ertu sold out e sia data milanese di ap La prima data è già e. er rd pe n no da appuntamento stesso risultato. 27/5 si registrerà lo
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MUSIC Ludovic o Einaud i 13 e 14/6 Terme d i Caraca lla
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di Alessio Bocc
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MUSIC
SPAZIO a cura di Alessio Boccali e Francesco Nuccitelli
NOME: Giulio Wilson GENERE: FOLK/COUNTRY “Soli nel Midwest” è un album dalle sonorità e dalle melodie tipicamente americane come il folk e il country, che si mescolano in un’inedita veste pop italiana. Giulio Wilson autore ed interprete dell’ album riesce ad unire in modo accattivante i vari strumenti più tradizionali agli altri strumenti a corda tipici della tradizione d’oltreoceano. Il disco, il primo della sua giovane carriera, contiene 12 brani più una bonus track e in questo progetto non mancano partecipazioni speciali come quella di Bobby Solo in “Dove corre il tempo” . Un album da ascoltare e assaporare tutto in una volta.
NOME: Marco Pische GENERE: FOLK/ROCK Lo stile può rimandare alle musiche di Rino Gaetano, la voce e la vena folle al genio di Ivan Graziani, ma lui è Pische, semplicemente Marco Pische. Il suo album è un mix di esperienze maturate tra Roma, le Canarie e la Thailandia. Esperienze trasformate poi in ricchezze in un album, questo “Mutande, calzini, disordine nell’armadio”, che ben si adatta al ruolo di bagaglio pieno zeppo di consapevolezze. Una visione critica di chi viene dal mondo della strada ed anela un mondo migliore a ritmo di una musica allegra, ironica, ma per niente banale. Da ascoltare e riascoltare sotto il calore del sole.
NOME: Ciosi GENERE: BLUES/JAZZ “Into the wild session”, una perla del panorama jazz, blues italiano. Federico Franciosi in arte Ciosi, è riuscito nell’intento di reinterpretare in maniera sublime brani storici, appartenenti ad una cultura musicale tanto distanti dalla nostra. Composto da 9 tracce, questo è un CD che si deve ascoltare in assoluto silenzio, magari di sera, su una poltrona e sorseggiando un whisky, per assaporare i suoni, le emozioni e le vibrazioni che trasmette. Un progetto che vede la consacrazione di un musicista, che insieme alla sua chitarra acustica, fa emergere nuove sensazioni, dando così una nuova linfa alla musica.
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MUSICA
MUSIC “SPAZIO MUSICA” promuove i giovani talenti e le nuove produzioni
I nostri esperti selezioneranno i vostri nuovi progetti musicali promuovendoli sulle prossime uscite di MZK News Inviate il vostro materiale a press.spaziomusica@gmail.com
NOME: Unicostampo GENERE: POP/ROCK “Anime Restanti” è un disco schietto ed intelligente, un sound rock ben distinto e dei testi degni di essere ascoltati e non solo cantati. Un mix vincente che grazie all’esperienza dei due componenti (Fabio Massimo Colasanti e Danilo Cioni) rapisce la mente dell’ascoltatore e la trasporta sul terreno, sempre meno battuto, degli ascolti di qualità. Degno di menzione anche l’apporto del rap nei brani “Altomare” e “Non puoi comprarmi”, tra i pezzi più orecchiabili del disco. Nove brani che hanno la grande qualità di filare piacevolmente liscio e che vi rapirà fin dai primi ascolti. Provare per credere.
NOME: Luoghi comuni GENERE: INDIE/ROCK Se “Luoghi comuni” è il nome della band, la carica indie rock dell’album non ha proprio niente di comune. Testi intelligenti che svettano nel panorama di quel cantautorato indie che negli ultimi anni sta spopolando pur rimanendo originali. Sonorità perfettamente coinvolgenti e che ti lasciano sempre con la voglia di premere il tasto “repeat” e riascoltare il brano appena canticchiato. Un disco per tutte le occasioni, da ascoltare con la testa, dove non è importante, l’importante è farlo a tutto volume. Ah dimenticavo, sono sicuro che i pezzi che vi faranno immediatamente innamorare di questo progetto sono “Aurora” e “Affilate le lame”. Scommettiamo?
NOME: I Botanici GENERE: POP/ROCK “Solstizio”, il nuovo album de “i Botanici” è un progetto che spacca, un disco giovane, forte e ambizioso, una ventata di aria fresca nel panorama arido del rock italiano. L’album è composto da 8 pezzi uno più bello dell’altro, dove la chicca è sicuramente “C’avremo tanto da fare” canzone delicata e forte allo stesso momento e al punto giusto. Un connubio voce e strumenti da far invidia ai migliori artisti italiani e non, con sprazzi di alta scuola cantautorale. Il futuro della musica passa da qui, passa da loro, con un album da 110 e lode.
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MOVIE
A L O D N E M A O I CLAUD
T S I V R INTE
regista a d a im r p a u s a ll a , Claudio Amendola trazione sociale differenti, di etĂ ed es i lib d a tr s e n fi e v re b ta s que 44 | #musicazerokm | MZK News | mzknews.com
MOVIE
O R E T N E G R A A C LU
A I P P O TA D
di Andrea Paone
na n o d a n u e i in m o u e di tr noir, è il burattinaio come utilizzare re e id c e d o n o v e d e h c i, da. iu h ic r i s e h c a im r p à bert mzknews.com | MZK News | #musicazerokm | 45
MOVIE
A Luigi, Donato, Angelo e Rossana sono state concesse 48 ore di permesso fuori dal carcere di Civitavecchia.
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MOVIE
U
n cambio di genere notevole per Claudio Amendola, che si trova alla prima da regista in questo genere. Idem per Luca Argentero che è passato dalle commedie romantiche ad un film noir. Che cosa ci dite in proposito? C: Beh, è il genere che più mi appartiene: il noir l’action o comunque un crime movie e quando ho letto questa sceneggiatura ho riconosciuto la “roba mia”, il sapore di quello che mi ha creato come attore ed ero convinto di potermi confrontare con questa materia con cognizione di causa. Sono molto felice di ciò. L: Credo di essere sulla strada giusto a per diventare un attore completo. Mi considero ancora uno “studente” con tantissime cose da imparare e passare attraverso diversi generi è l’unica cosa che ti garantisce la crescita professionale. Questo film non è stato proprio un battesimo perché io e Claudio abbiamo già lavorato insieme sul set del film di Marco Risi “Cha cha cha” un thriller, dove interpretavo un investigatore privato. Con il “Cecchino” di Michele Placido facevo il rapinatore di banca e in “Saturno Contro” di Ferzan Ozpetek, ho interpretato un ruolo drammatico.
Claudio come mai hai pensato ad Argentero per questo ruolo? In ” Cha cha cha” ho conosciuto molto bene Luca come persona. Nella mia carriera è successo di fare scene d’azione con molti colleghi e purtroppo ne ho ospedalizzati 2/3 perché nello
Luca mette nel suo lavoro, non avevo dubbi. Di Luca ho sempre apprezzato sia le qualità umane che attoriali, sapevo che avrei potuto spingere su determinate corde, perché il personaggio richiedeva particolari caratteristiche.
Foto N.Venditti
scontro di solito si rompevano loro, invece Luca mi ha incrinato una costola ed era la prima volta che un attore mi reggeva la botta, anzi… dissi: “sto ragazzo è tosto”. In “Noi e la Giulia” ci siamo amati tutti e quattro come folli, è stata un’esperienza meravigliosa, abbiamo riso e fatto un bel film, andò pure bene. Instaurammo un’amicizia che abbiamo coltivato anche fuori dal set. Quindi quando ho letto di questo personaggio, sapevo di poter contare sull’estremo rigore che
Luca se ti dicessi: descrivimi il film con una canzone? Stavo pensando alla playlist del film e ne ho scelte due: una è Iron di Woodki, scelta per il film e l’altra è Hurt di Jonny Cash. Il film si chiama “Il permesso 48 ore fuori”. Nella vita reale se vi trovaste in questa situazione che cosa fareste? L: Beh correrei dalla persona che amo. C: Penso anch’io. E avrei tanta voglia di fare l’amore.
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MOVIE
IL PERMESSOfuori di Andrea Paone
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a recensione de Il Permesso – 48 ore fuori, un film di Claudio Amendola e soggetto di Giancarlo De Cataldo con la sceneggiatura dello stesso De Cataldo, Roberto Jannone e Claudio Amendola, il cast è composto da Luca Argentero, Claudio Amendola, Giacomo Ferrara e Valentina Bellè. Distribuito dalla EAGLE PICTURES e prodotto da Claudio Bonivento, Federico Carniel e Claudia Bonivento. Musiche di Paolo Vivaldi e suono di Stefano Campus. Durata 91 minuti al cinema dal 30 marzo 2017. Esordire alla regia Amendola l’aveva già fatto con “La mossa del Pinguino”, ma Il Permesso – 48 ore fuori è “stata la scelta giusta”, almeno in questa maniera ha esternato il suo ottimismo in conferenza stampa. Film affascinante, crudo e pieno di intensità, Claudio Amendola fa bene ad essere entusiasta, ha azzeccato tutti e 3 gli attori, 4 con lui. Un Luca Argente-
48 ore
ro eccezionale in film in cui è riuscito a esprimere tutto quello che doveva diree senza quasi mai professare parola e i due giovani Giacomo Ferrara e Valentina Bellè concludono un cast fresco e genuino, dimostrando che l’Italia ha giovani attori di gran talento, il futuro è nelle loro mani. Adesso parliamo della storia, Luigi (Claudio Amendola), Donato (Luca Argentero), Angelo (Giacomo Ferrara) e Rossana (Valeria Bellè) sono 4 carcerati a cui è stato dato un permesso di 48 ore fuori dal carcere. Cosa fareste se foste in galera e avreste 48 ore di permesso? è questa la prima domanda che si pongono i 4, anche se il comune denominatore è l’amore: per una donna, per gli amici, per un figlio, per la vita… La bellezza della trama sta nel non raccontare per gran parte del film il passato di ognuno dei personaggi, in modo da non giudicarli per il passato. Il passato però, come diceva Emily Dickinson: “non è un pacchetto che si può
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mettere da parte”, una volta usciti faranno inesorabilmente i conti con il mondo che è mutato durante la loro prigionia. La struttura della sceneggiatura a incastro ha contribuito a rendere affascinante il film, tiene alta la tensione e riesce ad attrarre lo spettatore. Il Direttore della Fotografia Maurizio Calvesi è stato bravissimo ad illuminare la scena, con sfumature crude e diverse per ogni personaggio, passando dalla malinconia al violento. Infine le musiche perfette per il film, ottima la scelta di Iron di Woodkid. Consigliamo di vedere Il Permesso – 48 ore fuori, perché è una pellicola ben costruita, intensa e con un gran cast e una regia perfetta. La bella stagione italiana iniziata da Jeeg Robot di Mainetti, proseguita con Veloce come il Vento di Matteo Rovere o Indivisibili di Edoardo De Angelis ha fatto scuola, speriamo di continuare così.
MOVIE
Sabrina CROCCO Dagli inizi agli ultimi successi, la giovane attrice si racconta in esclusiva a ‘MzkNews’ di Andrea Celesti
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ata a New York ma cresciuta in Italia(si è trasferita nel nostro paese all’età due anni), Sabrina Crocco è un’attrice che si divide tra cinema, tv e teatro, con una predisposizione naturale per il grande schermo. La sua carriera inizia sul palcoscenico con lo spettacolo di Federico Garcìa Lorca ‘La casa di Bernarda Alba’(2003). Dopo diverse rappresentazioni, Sabrina passa alla tv con le fiction ‘Volare. La grande storia di Domenico Modugno’(2013), ‘Le Tre Rose di Eva 3’(2015), ‘Provaci ancora prof. 6’(2015). Nel 2014 è nel cast di ‘Confusi e felici’, film campione d’incassi con Claudio Bisio, mentre nello stesso anno recita nella commedia ‘Scusate se esisto’ affianco a Raoul Bova e Paola Cortellesi. Nel 2017 è andata in scena al Salone Margherita di Roma con ‘Brancaleone e la sua armata’, spettacolo diretto e interpretato da Pippo Franco.
in America, magari a fianco ad attori come Meryl Streep, Jack Nicholson, Anthony Hopkins, solo per citarne alcuni”.
Sei nata a New York, come pensi sarebbe potuta andare la tua carriera se i tuoi non avessero deciso di trasferirsi? “Questa domanda mi fa venire in mente il film “Sliding Doors” e il tema che affronta: il destino. Non sono i luoghi che cambiano il percorso di vita, certe “casualitá” che mi sono capitate in Italia, sono sicura che sarebbero avvenute anche in America anche se in tempi differenti e modalità diverse…”
Di recente sei andata in scena al Salone Margherita con lo spettacolo ‘Brancaleone e la sua armata’, diretto e interpretato da Pippo Franco. Come è stato recitare a fianco di uno dei mostri sacri della comicità italiana? “Che dire, è stato fantastico. C’è solo da imparare dai grandi artisti che hanno fatto la storia della televisione e non solo”.
Ti piacerebbe fare un’esperienza lavorativa all’estero? “Sicuramente sarebbe un sogno lavorare
In questi anni hai fatto teatro, cinema, radio, canto e conduzione. Dove senti di esprimerti al meglio? “L’arte deve trasmettere emozioni, deve far pensare, riflettere, comunicare qualcosa di eccezionale, qualunque forma espressiva venga utilizzata. Io sono una persona molto duttile, eclettica, versatile e questo mi ha consentito di poter lavorare in ambiti differenti senza grandi difficoltà, ma è nella recitazione che riesco ad esprimermi al meglio”. Se non avessi fatto l’attrice cosa avresti fatto? “Sicuramente avrei proseguito gli studi di psicologia, cercando comunque di utilizzare l’arte come forma terapeutica”.
Qual è il tuo sogno nel cassetto? “La cosa che più desidero è continuare ad emozionarmi ma soprattutto emozionare il pubblico”.
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MOVIE
David di Donatello 2017
Una cerimonia all’insegna della ‘Pazza Gioia’ di Andrea Celesti
Miglior attrice protagonista Valeria Bruni Tedeschi - LA PAZZA GIOIA
Miglior attrice non protagonista Antonia Truppo - INDIVISIBILI
Valeria Bruni Tedeschi nasce a Torino il 16 novembre del 1964. Dopo aver frequentato i corsi di teatro alla ‘Ecole des Amandiers’ a Parigi esordisce sul grande schermo nel 1987 con il film ‘Hotel de France’. In Italia, interpreta diverse pellicole tra cui ‘La seconda volta’(1996) e ‘La parola amore esiste’(1998), che gli permettono di vincere due David di Donatello, in entrambe le occasioni come migliore attrice protagonista. E’ negli anni duemila che Valeria vive il momento d’oro grazie ai numerosi ruoli nei panni di donne fragili e tormentate. Anche dietro la macchina da presa le soddisfazioni non mancano: nel 2003 esordisce con ‘E’ più facile per un cammello...’, film con cui vince il premio Louis-Delluc come miglior opera prima, mentre nel 2006 gira e interpreta ‘Attrici’, pellicola che ottiene un grande successo di critica e pubblico. Nel 2009 è nel cast di ‘Baciami ancora’, film grazie al quale ottiene una candidatura ai Nastri d’argento come miglior attrice non protagonista, mentre qualche anno più tardi si presenta al Festival di Cannes con ‘Un castello in Italia’(2013), il suo terzo film da regista. Nel 2014 è diretta da Paolo Virzì ne ‘Il capitale umano’, pellicola che gli permette di vincere il premio come migliore attrice al Tribeca Film Festival 2014, ma soprattutto il suo terzo David di Donatello come migliore attrice protagonista. Quest’anno è arrivata definitiva consacrazione grazie alla quarta statuetta ottenuta proprio con la ‘La pazza gioia’.
Antonia Truppo nasce a Napoli il 14 febbraio del 1977. Cresciuta a Secondigliano, quartiere nella periferia nord di Napoli, inizia la sua carriera con il teatro, recitando in ‘Tartufo’ e agli adattamenti di ‘Sei personaggi in cerca d’autore’, grazie ai quali vince diversi premi tra cui il Maschera d’oro. Nel 2001 esordisce sul grande schermo con il film ‘Luna rossa’, in cui interpreta il personaggio di Orsola, anche se è con la serie tv poliziesca ‘La squadra’ che raggiunge la definitiva notorietà. Dopo aver partecipato a diverse serie tv tra cui ‘Crimini’, ‘Il commissario De Luca’ e ‘Il clan dei camorristi’ , nel 2016 arriva la chiamata del regista Gabriele Mainetti che la vuole nel film ‘Lo chiamavano Jeeg Robot’: è proprio grazie a quest’ultima pellicola che Antonia vince il suo primo David di Donatello come attrice non protagonista, confermando la sua grande versatilità. Nel 2016 è nel cast di ‘Indivisibili’, pellicola che gli permette di vincere il suo secondo David grazie anche ad una grande interpretazione. Dal 2 marzo è al cinema con ‘Omicidio all’italiana’, secondo lungometraggio di Maccio Capatonda.
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MOVIE Il 27 marzo si è svolta la 62esima edizione della famosa manifestazione che assegna i più importanti riconoscimenti del cinema italiano.
Scopriamo i vincitori...
Miglior attore protagonista Stefano Accorsi - VELOCE COME IL VENTO
Miglior attore non protagonista Valerio Mastandrea - FIORE
Stefano Accorsi nasce a Bologna il 2 marzo 1971. Dopo aver frequentato la ‘Compagnia del Teatro Stabile di Bologna’, nel 94’ raggiunge la notorietà grazie allo spot di una nota marca di gelato. Il primo grande successo arriva con la partecipazione nel film di Luciano Ligabue ‘Radiofreccia’(1999), che gli permette di vincere il suo primo David di Donatello come migliore attore. Nel 2001 è nel cast de ‘L’ultimo bacio’ (2001), a fianco di Stefania Sandrelli e Giovanna Mezzogiorno, mentre nel 2002 vince la Coppa Volpi come miglior attore grazie al film ‘Un viaggio chiamato amore’. Dopo aver recitato nei panni del commissario Scialoja nella pellicola ‘Romanzo criminale’(2005), successivamente partecipa ad alcune produzioni francesi come ‘La Jeune fille et le loups’(2008), in cui recita accanto ala sua ex compagna Laetitia Casta. Nel 2010 è protagonista del film ‘Baciami ancora’(2010), sequel de ‘L’ultimo bacio’, nel 2011 è nel cast de ‘La vita facile’ insieme a Pierfrancesco Favino. Negli anni successivi si divide tra teatro(‘Furioso Orlando’) e televisione(‘Il clan dei camorristi’, ‘1992’), per poi vincere nel 2017 il suo secondo David come attore protagonista nella pellicola di Matteo Rovere ‘Veloce come il vento’. Il mese di maggio sarà un mese prolifico per Accorsi, infatti ci sarà la presentazione del film ‘Fortunata’ al Festival di Cannes e contemporanemante inizierà su Sky la serie tv ‘1993’.
Valerio Mastandrea nasce a Roma il 14 febbraio 1972. Dopo il debutto in teatro, arriva sul grande schermo nel 1994 con ‘Ladri di cinema’, mentre nel 1996 interpreta Tarcisio nella pellicola ‘Palermo Milano-Solo andata’. Nello stesso anno recita in ‘Tutti giù per terra’, ricevendo la Grolla d’oro al miglior attore e il pardo al Festival di Locarno. La carriera cinematografica prosegue in parallelo con quella teatrale, come dimostra il successo della commedia musicale ‘Rugantino’(1998-1999). Nel 2007 veste i panni di Stefano Nardini nel film ‘Non pensarci’, mentre nel 2010 vince il David di Donatello grazie alla sua interpretazione ne ‘La prima cosa bella’, in cui recita affianco a Stefania Sandrelli e Micaela Ramazzotti. Nel 2013 è un anno magico per Mastandrea, che vince due David di Donatello grazie ai film ‘Gli equilibristi’ (miglior attore protagonista e ‘Viva la libertà’(miglior attore non protagonista). Nel 2016 fa parte del cast de ‘La felicità è un sistema complesso’, nello stesso anno viene diretto da Paolo Genovese nella fortunata pellicola ‘Perfetti sconosciuti’. Sempre nel 2016 recita in ‘Fai bei sogni’ e in ‘Fiore’, film che gli regala il quarto David come attore non protagonista.
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MOVIE
Il CINEMA,
l’arte che ne racchiude altre La filosofia dei ventiquattro fotogrammi: fra verità, imperfezioni e luoghi comuni di Carlo Ferraioli
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prima vista, titolo e sottotitolo potrebbero sembrare astrusi, di difficile comprensione, ma non è così. Stiamo difatti parlando di una forma d’arte a tutti gli effetti, così definita, fra l’altro, da un nostro connazionale, tale Ricciotto Canudo. Canudo (per primo) definì nel 1921 l’opera cinematografica quale settima arte, sostenendo altresì che tale forma avrebbe unito in sé spazio e tempo. C’aveva azzeccato, Ricciotto, e come. Snocciolando infatti le varie skills che le prime due righe di questa pagina co-
lorata lanciano, e consapevoli che trattare di un tema così vasto e sfaccettato sia un’impresa vertiginosa, ardua e non poco complessa (ma non potremo mai e poi mai esimerci dal farlo), non possiamo non soffermarci sull’idea di convergenza mediale. Nella fattispecie, sulla convergenza delle arti in quello che è un motore mai fermo di prodotti culturali, il cinema. Perché esso racchiuderebbe altre arti? E quali sarebbero queste? Ma, soprattutto, perché settima? Preceduta da chi? Domande legittime, così come quelle che
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vi starete ponendo circa “la filosofia dei ventiquattro fotogrammi”. Andiamo per ordine, cercando di non annoiarci. Il cinema nasce più o meno alla fine dell’ottocento, e da subito pare qualcosa di estremamente nuovo. D’avanguardia. Esso, infatti, mette “in pericolo” le arti per eccellenza, quali l’architettura, la musica, la pittura, la scultura, la poesia e la danza. Ma non le pone in ombra, piuttosto le unisce, con un trucchetto che sarà sicuramente nelle mani di un ottimo regista e degli strumenti di montaggio di cui dispone, ma che prima di tutto risie-
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de nei nostri occhi. Già, perché alla base dell’illusione che noi comunemente chiamiamo “cinema”, sta la rapida successione di immagini, le quali contengono una ripresa frazionata della stessa azione; le sequenze filmiche, infatti, sono possibili proprio grazie a questa nostra imperfezione, detta resistenza retinica: l’”inganno” del movimento è dato dallo scorrere di ventiquattro immagini statiche al secondo, che vengono però da noi percepite come un unicum. Ciò è quanto fu scoperto a partire dal 1930, e che si pone ancora come base della tecnica filmica e registica. Curioso, no? Da qui risulta molo semplice percepire quale sia la capillare manovra artistica che risiede dietro la creazione di un prodotto tanto articolato quanto multiforme. Ma, a questo punto, risulta scontato chiedersi dove sia la filosofia in tutto ciò? Beh, semplice. Partendo dalla (per così dire) fatalista idea che dietro ogni singolo scambio, confronto, paragone, dietro insomma qualsiasi tipo di creazione, di costruzione e finanche di distruzione, ci sia la possibilità di cimentarsi nella pratica filosofica, ovvero di leggere quanto si ha dinanzi con gli occhi della “speculazione” mentale, della ricerca spasmodica di qualcosa che è sempre aldilà di ciò che si ha, anche con le arti, e di conseguenza col cinema, è possibile effettuare tale operazione idealistica. Scuserete qualche personalismo, oltre che dei naturali tecnicismi stilistici, ma, detta in breve, l’arte è essa stessa filosofia, e la filosofia è una forma d’arte ancor più profonda, derivante dall’evocazione di sentimenti che la danza, la poesia, l’architettura o altre possono suscitare. La filosofia spiega ciò che le arti creano, sia materialmente che platonicamente: si pone dietro le quinte, ed è uno degli esercizi umani più difficoltosi. Di conseguenza, anche definire le potenzialità del cinema lo è stato, per studiosi, scrittori, appassionati o semplici fruitori. Bazin, critico francese, parlava ad esempio di poetica della trasparenza, riferendosi al cinema. Altri, fra i quali Balàzs, storico e sceneggiatore ungherese, si sono
preoccupati di definire e sottolineare le differenze col teatro: per l’intellettuale, lo strumento del montaggio farebbe pendere in maniera significativa l’ago della bilancia, perché permetterebbe, oltre che di creare la realtà, anche di modificarla più di qualunque altro mezzo espressivo. E ancora Pasolini, riassumendo forse tutte le posizioni, si avventurò nel dire che il cinema fosse lo strumento che permette di compiere la semiologia del linguaggio della realtà. Parole grosse, partorite da menti ancor più grosse e geniali. Ma, attenzione: non tutte le arti svolgono sempre e solo la loro naturale ed intrinseca funzione di gusto, ed il cinema non si esime da questo fenomeno, troppo spesso caratterizzato da interessi, denaro e potere. Come dire, ricordate i prodotti culturali di cui parlavamo? Bene: molto prodotto, poca cultura ed una società, ad oggi, vuota più che mai. Ma questa, care lettrici e cari lettori, è tutta un’altra storia.
Il fascino mutevole di un’attività che da sempre lega l’anima ad un ponte: quello tra finzione e realtà
CURIOSANDO NEL CINEMA 1) La collana indossata da Nicole Kidman in “Moulin Rouge” è il gioiello più costoso mai realizzato per un film: composta da 1308 diamanti, vale più di un milione di dollari. 2) “Mamma Mia!” è il musical che ha incassato di più nella storia del cinema, riuscendo ad incassare 573.000.000 milioni di dollari globalmente. 3) Il film “Donnie Darko” è stato girato esattamente in 28 giorni. Curioso, dal momento che l’intera vicenda del film si svolge nell’arco di 28 giorni, dal 2 al 29 Ottobre. 4) Per la scena “Le peggiori toilette in Scozia” del “Trainspotting”, i wc erano stati “sporcati” con del cioccolato. 5) Durante una recente intervista, il regista James Cameron ha posto fine all’annosa questione sulla scena della porta galleggiante in “Titanic”: stare in due sulla porta l’avrebbe fatta affondare. Non poteva andare diversamente.
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La recensione di Andrea Paone
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Guardiani della Galassia Vol. 2, scritto e diretto da James Gunn con Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Michael Rooker, Kurt Russell, Vin Diesel, Karen Gillan e Bradley Cooper, con le musiche di Tyler Bates prodotto dalla Marvel Studios e distribuito da Walt Disney Studios Motion Pictures il film è uscito il 25 aprile 2017 in Italia e ha una durata di 137 minuti. Al ritmo di una nuova, fantastica raccolta di brani musicali (Awesome Mixtape #2), Guardiani della Galassia Vol. 2, racconta le nuove avventure dei Guardiani, stavolta alle prese con il mistero che avvolge le vere origini di Peter Quill. Come il primo film, questo secondo capitolo è ricco di brani la traklist è composta da classici già usati in altri film, come “Mr. Blue Sky” della Electric Light Orchestra, sentita in Se Mi Lasci Ti Cancello, e “Flash Light” dei Parliament, già sincronizzata in The Heat, ma ovviamente in questa pellicola le canzoni prendono tutto un altro significato. Ironico, immaginifico e, estremamente, permaloso. Questo è Guardiani della Galassia Vol. 2, non è all’altezza del primo film, ma comunque rimane piacevole e divertente. Parte con l’ormai classico style Marvel, quindi coinvolge subito lo spettatore con scene spettacolari, inoltre ci sono forse i
miglior titoli iniziali di sempre, con una scena incredibilmente divertente con la mascotte del gruppo il baby Groot che continua un ballo interrotto nel finale del primo film. I Guardiani sono brutti, sporchi e
cattivi… ed è proprio questa la loro forza, combattono per il bene passando per le vie del male, fregandosene delle classiche leggi dei supereroi, loro sanno di esserlo, ma se ne fregano. Il film è un caso tutto fortuito, inizialmente assoldati per
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proteggere delle batterie di un pianeta, una volta finito il lavoro, rubano le batterie che prima avevano protetto e in quel momento inizierà una serie di eventi che li porterà a vivere un’avventura ai confini del cosmo. L’argomento base di tutto il film è la famiglia, infatti in questo capitolo, viaggiamo fino ai confini dell’universo per scoprire le origini misteriose di Peter Quill e l’odio tra le due figlie di Thanos Gamora e Nebula e il rapporto affettivo di tutto il gruppo, tante gag – forse troppe, battute chiamate e prevedibili - tanti scontri e poche scene veramente essenziali. Già, proprio così, non è mai facile ripetersi, ma per fortuna di James Gunn, questo non sarà l’ultimo capitolo, infatti è stato confermato che ci sarà un terzo e ultimo capitolo, anche se lui ancora non si sbilancia: “Stiamo cercando di venirne a capo. Io devo capire cosa voglio fare, più che altro, devo capire cosa voglio fare nei prossimi tre anni della mia vita. Insomma, farò un altro grosso film, saranno i Guardiani o qualcos’altro? Lo capirò nelle prossime due settimane”. Il film è comunque ricco di potenza, non all’altezza del primo, ma comunque ricco di effetti speciali e di battute, un classico film da vedere con gli amici prima di una serata all’insegna della musica!
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I CONSIGLIATISSIMI Come in ogni numero, qui proveremo a consigliare i 5 film imperdibili che usciranno tra i mesi di Maggio e Giugno, tra sequel, remake e nuove produzioni, tanti sono i film da non perdere.
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rima scelta per: “7 minuti dopo la mezzanotte”. Film dal genere drammatico, che vede un bambino rifugiarsi nella sua fantasia, per scappare alla malattia della madre e dal bullismo dei compagni di classe. Con Felicity Jones e Liam Neeson. Il film si basa sul romanzo vincitore del premio miglior libro per bambini dell’anno in Inghilterra nel 2012. In uscita il 18 maggio 2017. Come seconda opzione, puntiamo per il nuovo ed emozionante film dedicato al pirata più amato di sempre. Johnny Depp rivestirà i panni di Jack Sparrow in “Pirati dei caraibi – La vendetta di Salazar” tra gli attori notiamo anche la presenza di: Javier
di Francesco Nuccitelli
Bardem, Geoffry Rush e quella di Orlando Bloom. Qui l’amato capitano, dovrà scontrarsi contro un vecchio nemico e dovrà cercare un oggetto molto potente per per sopravvivere. La pellicola sarà nelle sale cinematografiche dal 24 maggio 2017. La nostra terza preferenza ricade su un film italiano. “Orecchie” è il titolo del film, una classica commedia all’italiana, che punta alla follia e l’assurdità del mondo che ci circonda. Con un cast che va da Daniele Parisi a Silvia D’amico, passando per Rocco Papaleo, Milena Vukotic e tanti altri. Il film uscirà nei cinema a partire dal 25 maggio 2017. Quarta alternativa per un film tar-
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gato DC comics: “Wonder Woman” la regina delle amazzoni torna al cinema. Dopo averla già ammirata in Batman vs Superman, Diana dovrà salvare il mondo, per trasformarsi in una eroina. Gal Gadot, Chris Pine, Robin Wright e non solo fanno parte di un cast stellare. In uscita nei cinema italiani l’1 giugno 2017. Ultima scelta per noi e optiamo per un film dai toni e dal genere drammatico. Con Kanu Reeves, Renée Zellweger, Gabriel Basso, Jim Belushi e Gugu Mbatha Raw. “Una Doppia verità” un ragazzo è accusato dell’omicidio del padre, un solo avvocato può salvarlo. Uscirà in Italia il prossimo 15 giugno 2017.
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Netflix
Ritorna a colpire con una serie che racconta la realtà Tredici (13 Reasons Why, reso graficamente come “TH1RTEEN R3ASONS WHY”) è una serie televisiva statunitense creata da Brian Yorkley e tratta dall’omonimo romanzo di Jay Asher che ha subito avuto un enorme successo, sin da quando ha debuttato a livello mondiale su Netflix il 31 marzo 2017.
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a prima stagione è composta di 13 episodi (numerologia ricorrente). Racconta la storia di Hannah Baker, una liceale che si suicida. Qualche giorno dopo la sua morte, il compagno di classe Clay Jansen trova un pacco sulle scale di casa che contiene sette audiocassette in cui Hannah spiega i tredici motivi per cui ha deciso di togliersi la vita e lui è uno di questi. Per capire il suo ruolo nella decisione di Hannah, Clay inizia ad ascoltare le cassette, scoprendo segreti celati dalla ragazza e dai suoi compagni di classe attraverso lunghi Flashback. Al di là delle tematiche, una delle chiavi del successo di questa serie televisiva è la credibilità e la contemporaneità dei personaggi, interpretati da un cast giovane ed esilarante. Una serie che funziona perché riesce ad accostare gli inconciliabili mondi della teen comedy leggera in stile Dawson’s Creek al genere drammatico.
di Maria Dastoli
Dylan Minette, nel ruolo di Clay Jensen, si dimostra capace con la sua interpretazione dal carattere ombroso. L’attrice Katherine Langford, la coprotagonista nei panni della defunta Hannah Baker, funziona nell’assumere il doppio aspetto della ragazza dalla gradevole presenza ma da un’interiorità tormentata. La serie è stata acclamata dalla critica che ha lodato l’interpretazione del cast e l’approccio a temi delicati come il suicidio e la violenza sessuale. Importante dunque il valore ‘psicologico’ della serie, che fa emergere anche l’attualissima tematica del bullismo e dei drammi che può generare. L’intento è quello di far aprire gli occhi allo spettatore su argomenti così attuali e sottovalutati. Infatti il pubblico a cui è indirizzata non è di soli adolescenti ma anche, e soprattutto, di adulti che considerano il mondo giovanile spensierato ignorandone le troppe insidie. Tredici apre una finestra su
questo enorme problema, sottolineando la superficialità con cui, nella serie come nella realtà, viene affrontato. Ci porta, in modo crudo e televisivamente realistico, ad immergerci completamente nella storia e a chiederci: e se tutto ciò capitasse a mio figlio, ad un amico, a me? In fondo, forse, tutti potremmo essere Hannah Baker. In fondo tutti potremmo fare del male a qualcuno come Hannah Baker perché quello che un adolescente vive dentro di sé è un altro mondo. Un mondo fragile pronto a frantumarsi se solo lo si stringe troppo o lo si lascia troppo andare. È la storia di piccole differenze che diventano importanti quando la scelta è tra vivere o morire. Questo è il forte messaggio con cui Tredici ci chiama a fare i conti. E allora non si può più chiudere gli occhi. Si attende già con ansia un’altra (si spera) stagione per la quale non ci resta che voltare la cassetta.
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Miglior attrice protagonista LA LA LAND
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La rinascita del
A G I E U J I KA
di Gianluca De Angelis
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l ritorno al cinema di re Kong con il recente Kong: Skull Island è arrivato a breve distanza dal Godzilla del 2014 diretto da Gareth Edwards e ha gettato definitivamente le basi (soprattutto nella sua scena post-credits) per una rinascita in grande stile del filone dei “kaiju” sul grande schermo. Ma se siete tra quelli che credono che il vero Godzilla, ahimé, sia quello che avete conosciuto con il remake americano del ‘98, allora è giunto il momento che vi prendiate quei 10 minuti che vi servono per una lezione-lampo sulla storia e sull’universo dietro a questo filone cinematografico.
Per prima cosa va specificata una cosa per i meno avvezzi al genere: cos’è un kaiju? Kaijū significa letteralmente “strana bestia”, e sono così definiti i mostroni alti come palazzi che hanno popolato decine di pellicole nipponiche, film chiamati, appunto, Daikaijū Eiga.
Anche se il termine si è diffuso in Occidente sin dagli Anni Cinquanta grazie ai film del lucertolone Gojira (americanizzato in Godzilla) che arrivavano da oltreoceano, il primo vero mostro gigante è in realtà statunitense: nel 1933 uscì infatti in America lo storico film di King Kong di Cooper e Schoedsack, che però arrivò in Giappone solo nel 1952 seguito poi da Il risveglio del dinosauro (1953) di E. Laurie. Visto il successo strabiliante di queste due pellicole, accompagnate da una venerazione del popolo nipponico per il gorilla più grande del mondo, arrivò pronta quindi l’idea della casa cinematografica giapponese Tōhō di prendere questo genere e di farlo proprio: il risultato fu il primo, storico film di Gojira (1954), firmato dal maestro indiscusso del genere Ishirō Honda. Questo film era sì un ottimo monster-movie in grado di dettare le regole per tutti i film successivi del genere, ma era soprat-
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tutto intriso di un fortissimo messaggio politico e sociale: nato nel Secondo Dopoguerra come una denuncia verso gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e in particolare del proliferare nel mondo delle armi atomiche, il mito di Gojira si vede infatti strettamente legato alla paura che seguiva i disastri di Hiroshima e Nagasaki (6 e il 9 agosto del 1945), dando allo stesso tempo una voce ad una Nazione ancora incapace di dimenticare le profonde ferite di una guerra persa e segnata dal dramma dell’atomica. Sia il lucertolone che molti dei mostri che esso stesso si vedrà costretto ad affrontare avranno origine infatti da mutazioni genetiche scatenate proprio dalle radiazioni: in aggiunta, il fatto che la minaccia arrivi dal mare incarna un velato riferimento anti-americano che fa da sottofondo politico a queste pellicole. Dopo il suo debutto come acerrimo nemico dell’umanità, nei film che prose-
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guiranno le vicende di Godzilla durante gli Anni Sessanta e Settanta il mostro vestirà invece spesso e volentieri i panni di alleato e protettore del Giappone contro creature sempre più incredibili, spesso di origine aliena. Il bestiario che accompagnerà i kaiju-eiga si arricchirà infatti all’inverosimile, popolandosi di ogni tipo di creatura gigante: tra di esse è impossibile non nominare ad esempio Mothra, gigantesca falena primordiale dalle ali colorate, King Ghidorah, un drago dorato a tre teste proveniente dallo spazio che scaglia raggi e fulmini dalle sue bocche, Rodan, uno pterodattilo gigantesco, Gigas, un mostro cibernetico con una sega circolare sul petto e braccia acuminate e forma di uncini, e persino il figlio di Godzilla, Minilla. Con l’avvento di Jun Fukuda come curatore della saga, le storie di Gojira perderanno però il sottotesto impegnato riducendosi presto a una vagonata di prodotti commerciali rivolti soprattutto a ragazzi-
ni nei quali il mostro diverrà solo un colosso buono, quasi cartoonesco. Nonostante poi Gojira verrà riportato in auge da numerosi reboot che gli ridaranno lo status di temibile minaccia, le vette delle prime pellicole difficilmente verranno raggiunte di nuovo: fatto sta che attualmente la produzione nipponica dell’universo del lucertolone è arrivata a contare ben ventinove film ufficiali, suddivisi in tre ere: Shōwa, Heisei e Millennium. Godzilla non è però il solo mostro giapponese “protagonista” di un suo filone di pellicole: la Daiei (diretta rivale della Tōhō) dopo il successo di Gojira decise infatti di creare il proprio mostro, Gamera, pensato però fin dall’inizio per intrattenere un pubblico di bambini. Gamera è una gigantesca creatura simile ad una tartaruga, rimasta ibernata al Polo Nord per millenni finché un’esplosione (ovviamente nucleare) la risveglia, facendola diventare gigantesca, invulnerabile e dandogli
inoltre il potere di volare come un razzo e di sputare fuoco. Il primo film della serie è Daikaijū Gamera (1965) di Noriaki Yuasa, ed è considerato uno dei migliori kaijū eiga mai realizzati. Le pellicole di mostroni giganti hanno poi, nel corso degli anni, contaminato la cinematografia di tutto il mondo, che li ha riproposti in moltissime versioni e salse: possiamo citare, ad esempio, The Host (2006), proveniente dalla Corea del Sud, l’avanguardista Cloverfield (2008) di Matt Reeves, fino al recente Pacific Rim di Guillermo Del Toro, con mostri ultradimensionali presi a pugni da robot di metallo in pieno stile Evangelion. Tutto questo in attesa della concretizzazione del MonsterVerse, con il ritorno su schermo dello scontro più mastodontico che il cinema abbia mai visto… Tra un lucertolone radioattivo alto 100 metri e un Re-scimmione grosso quanto un’isola intera.
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m l i F
E M O C E C S NA UN
IL SOGGETTO Parte 2 di Edoardo Montanari
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LO SVILUPPO DELLA STORIA
a seconda parte che va curata quando si scrive un film, e solo dopo aver ben presente l’inzio e la fine, riguarda il così detto arco narrativo e cioè il percorso che il personaggio si trova a compiere per raggiungere l’obiettivo del finale. Quante volte vi è capitato di guardare un film in cui i protagonisti sembrano fermi, paralizzati, passivi rispetto agli eventi? Questa componente non è necessariamente in relazione alla fissità del luogo in cui è ambientata la storia, sia ben chiaro, ma è collegata alla tensione narrativa, alla regia ed all’avanzare della narrazione. Per capirci, Perfetti Sconosciuti, 2016, per la regia di Paolo Genovese è un film ambientato all’interno di una singola casa, ma la narrazione è tutt’altro che ferma e passiva: le azioni dei personaggi, sia verso l’esterno dell’ambiente narrativo, sia verso i commensali è evidente e, indipendentemente dai gusti, scorrevole; lo stesso si può dire di Carnage, 2011, regia di Roman Polański. Il primo segno evidente di questo difetto
di sceneggiatura è la noia che si prova, seguita da decine di sbadigli che si susseguono senza tregua mentre non vediamo l’ora che arrivi il finale per andarcene a casa, o spegnere la televisione se ci siamo già. Fatto salvo che sia un film che non vi appassione come storia, nel qual caso, si applica il corolloario: Perché siete andati a vederlo? O, in subordine, perché avete scritto un film che non vi appassiona? Un secondo segno è dato dal fatto che, scena dopo scena, il personaggio si trova sempre allo stesso punto della storia. Ieri sera, per esempio, stavo vedendo un film intitolato Dead Rising: Endgame, del 2016 in cui la successione degli eventi è talmente dilatata ed inframmezzata di combattimenti scanna zombie da rallentare l’avanzamento della storia in modo eccessivo e, in questo caso a mia personale opinione, da rendere la storia noiosa. Tutto l’opposto di uno dei capostipiti di film di zombie come Zombi (Dawn of the Dead), 1978 diretto da George A. Romero dove non solo durante la fuga iniziale ma anche per
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tutta la permanenza nel centro commerciale la tensione è così evidente e sincopata, da tirare “la volata” al finale. La questione principale, infatti, è che la parte centrale di un film serve, dal punto di vista tecnico, ad arricchire la storia ed a caratterizzare i personaggi, a stupire ed a lanciare (come direbbero i ciclisti) a tirare la volata al finale ed alla conclusione della storia. E’ la somma del percorso che porta il protagonista da A ad A+1. E, proprio per questo, non può essere un semplice riempitivo ma deve avere forma, carattere, sogno, speranze infrante, cadute e risalite fino alla risoluzione del conflitto che, se non è ben definito, rende inutile tutta la storia. Immaginiamo Kill Bill senza la vendetta, un film di supereroi senza il cattivo, un giallo senza assassino, una storia d’amore perfettamente corrisposta, che senso avrebbero? Dulcis in fundo, ricordate di essere i primi critici di quello che avete scritto perché, senza una sana dose di autocritica non si va da nessuna parte. Buona scrittura.
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ell’universo internettiano, ogni giorno si crea un nuovo astro, ma la brillantezza si vedrà solo in base ai click che riceverà nel corso dei giorni. E in questa prima metà del 2017 se ne sono accese davvero tante, con tonalità e dimensioni diverse in base ai temi trattati e all’accoglienza del pubblico. Ne sono un esempio le 3 perle uscite dal Cortinametraggio 2017 – ‘La spes’, ‘Il mistero sottile’ e ‘Unisex’ – che sono pronte a gettarsi nel mare magnum della rete, avvalendosi di temi originali e un cast di tutto rispetto. ‘La spes’, il prodotto comedy made in Puglia di Susy Laude, ha puntato sul travestimento di Dino Abbrescia (Maria) e Giampietro Preziosa (Anna) in due amiche di spesa per analizzare la quotidianità di una piccola cittadina nell’entroterra pugliese. ‘Unisex’ di Francesca Marino, invece, ha cavalcato l’onda dei tutorial in un ambito ‘piccante’, il sesso, analizzando nella fattispecie i rapporti di coppia: il coronamento di questa comedy è stato il trionfo come migliore web series al festival. Infine ‘Il mistero sottile’ di Nicola Martini ha sperimentato il giallo attraverso la transmedialità con i vari social e la bravura di Giorgio Pasotti che ha indagato in 6 episodi sulla misteriosa morte della moglie. A differenza dell’auto-finanziamento degli altri 2 prodotti, quest’ultimo ha avuto un sostegno dall’impresa metalmeccanica BTicino che è riesciuta comunque a svolgere un ruolo marginale e non troppo invadente nelle scene. Abbandonata la galassia dei festival, basta farsi un giro in alcuni siti pubblicitari, come Peugeot e Red Bull, per trovarsi di fronte a nuovi contenuti suddivisi per puntate: stiamo parlando rispettivamente di #SensationDriver e ‘Sfide metropolitane’. Due format più sportivi che rilanciano il tema dei sentimenti umani con il leitmotiv dell’auto francese guidata e
Cosa ci offre
IL WEB? di Luca Vincenzo Fortunato
le sfide tra atleti in vista della Wings For Life World Run che si è tenuta lo scorso 7 Maggio a Milano. Elemento comune? Ancora una volta la serialità e l’uso di un pregevole cast come Stefano Accorsi per #sensationdrive e l’ex sciatore Giorgio Rocca per l’altra serie web. Stessi grandi attori che si sono intravisti come guest star nella serie comedy ‘Noi due (e gli altri)’ di De Leonardis che è andata in onda su Repubblica.it dal 20 marzo al 9 Aprile, affrontando le peripezie vissute da due disastrose agenti immobiliari (l’autrice Alessia Barela e Francesca Figus) in giro per Roma. Dai grandi attori ai ‘piccoli interpreti’ per questioni sociali: ecco ‘La scuola della notte’ e ‘Uscite di sicurezza’. Nel primo caso si è cimentato un grandissimo regista, Alessandro D’Alaltri, per raccontare la scalata nella micro-criminalità di un 16enne fino alla completa redenzione con l’uscita dal carcere minorile Beccaria di Milano (seppur ambientato interamente nel riformatorio). L’altra, invece, si rivolge ad un lato prettamente preventivo con 4 video prodotti dai MagazziniOz di Torino che propongono tematiche giovanili unite dal motto finale ‘Sei sicuro?’. Una domanda retorica che poniamo anche ai lettori, per capire se sono pronti a navigare in questo infinito universo!
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La vera storia di DESMOND DOSS Ecco chi si cela dietro il soldato protagonista de “La battaglia di Hacksaw Ridge”
di Andrea Celesti
Nome completo: Desmond Thomas Doss Nato il: 7 febbraio 1919 a Lynchburg, Virginia Morto il: 23 marzo 2006 a Piedmont, Alabama Caratteristiche: Arruolatosi volontariamente nell’esercito americano
nell’aprile del 1942, si rifiutò di portare qualsiasi arma sul campo di battaglia, diventando un soccorritore militare. Riuscì a salvare 75 uomini nella famosa ‘Battaglia di Hacksaw Ridge’.
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utti noi siamo stati colpiti dall’ultimo film di Mel Gibson ‘La battaglia di Hacksaw Ridge’, che racconta la storia di Desmond Doss, un giovane ragazzo che decise di arruolarsi nell’esercito americano per salvare vite anziché combattere. Forse però non tutti sanno che la vicenda portata sul grande schermo da Gibson è accaduta veramente: Desmond infatti è stato il primo di soli tre obiettori di coscienza dell’esercito americano ad aver ricevuto la medaglia d’onore, la più alta onorificenza militare statunitense. Figlio di William Thomas Doss e Bertha E. Oliver, Desmond nacque a Lynchburg in Virginia il 7 febbraio 1919. Nell’aprile del 1942, decise di arruolarsi nell’esercito ma, al contrario dei suoi coetanei, si rifiutò di portare le armi in battaglia per diventare un soccorritore militare. I motivi del rifiuto sono da attribuirsi al fatto che Desmond apparteneva alla chiesa cristiana avventista del settimo giorno, che incoraggiava i suoi giovani a servire il proprio paese senza usare né armi, né violenza contro gli esseri umani. Una posizione che, solo dopo una lunga battaglia davanti alla corte marziale, venne accettata dal governo americano, il quale destinò tutti gli obiettori come lui ai servizi sanitari. Prestò servizio dal 42’ al 46’ con il grado di Caporale e partecipò alla guerra del Pacifico, oltre alle azioni sull’isola di Okinawa, che gli valsero la medaglia d’onore del Congresso il 12 ottobre 1945 per i suoi atti di coraggio. Durante la battaglia di ‘Hacksaw Ridge’, sprovvisto di qualsiasi arma, Desmond riuscì a salvare 75 uomini: un’impresa che durò circa 12 ore, durante le quali il giovane riuscì a calare i feriti giù per un dirupo di 30 metri grazie ad una imbracatura d’emergenza da lui realizzata con una corda. Desmond Doss morì il 23 marzo 2006 all’età di 87 anni a Piedmont in Alabama, a causa di problemi respiratori. Una vita importante la sua, sempre al servizio degli altri senza cercare mai ringraziamenti. Una persona umile, che forse non avrebbe mai voluto un film su di lui. Invece sono arrivati documentari, libri, sculture; mancava però una pellicola, finalmente arrivata grazie al genio di Mel Gibson, che ha riportato alla luce una storia unica, fatta di fede, eroismo e coraggio.
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ROMA Set Mundi
Perdersi un giorno a ROMA e ritrovarsi immersi nel CINEMA di Andrea Paone
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ono così tante le meraviglie e i monumenti da vedere a Roma che non basterebbero anni per visitarli tutti. Michelangelo è riuscito a dipingerne l’anima di questa immensa e meravigliosa città, Fellini ne ha immortalato la Dolce Vita e Audrey Hepburn ha visitato i simboli più veri, a bordo della mitologica Vespa 98 mod. 1946, con l’entusiasmo innocente di una giovane ragazza. Ed è proprio questo felice matrimonio Roma – Cinema che andremo a raccontare. “Marcello come here” diceva Anita Ekberg da Fontana di Trevi invitando Mastroianni a farsi il bagno con lei, nella “Dolce vita” (1960) di Federico Fellini; Gregory Peck e Audrey Hepburn abbracciati sulla vespa in “Vacanze romane” di William Wyler (1953) sullo sfondo di Trinità dei Monti. Immagini eterne, scolpite nella memoria collettiva che ormai da sempre hanno lega-
to Roma al cinema mondiale. Roma eterna ed onirica grazie anche al cinema che l’ha esaltata e presa a prestito come sfondo di bellezza in celebri film che hanno fatto la storia della cinematografia mondiale. Negli studi di Cinecittà si sono formate le maestranze e i tecnici tra i più bravi nel mondo che hanno aiutato molto la grande fortuna del cinema italiano e per i quali registi e produttori venivano dagli Stati Uniti e dal resto del mondo. In un primo tempo, girare a Roma significava usare le vestigia dell’antichità come avvenne per Elizabeth Taylor in “Cleopatra” (1963) accanto all’Arco di Costantino oppure per “Spartacus” (1960) di Stanley Kubrick o per “Quo vadis” (1951) di Mervyn Le Roy con l’Appia Antica. Poi venne il tempo del neorealismo e il cinema scoprì i quartieri popolari. Al Tufello, De Sica girò “Ladri di biciclette” (1948).
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Al Pigneto, dove abitava, Pasolini girò “Accattone” (1961), Rossellini ambientò “Roma città aperta” (1945) con la famosa scena dell’uccisione di Anna Magnani che esce di corsa da un portone di via Montecuccoli. A Campo dei Fiori, nel 1953, si muovevano personaggi come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Per le strade del ghetto passeggiava Alberto Sordi nel film di Steno “Un americano a Roma” (1954). Mentre Carlo Lizzani ha ambientato qui il film “L’oro di Roma” (1961) sulla deportazione dei cittadini ebrei romani durante il fascismo. Sempre al ghetto è ambientato il film di Magni, cantore della romanità papalina, nel film “Nell’anno del Signore” (1970). Alla Garbatella, Nanni Moretti con “Caro Diario” (1993) ha regalato al quartiere una nuova dignità che lo ha reso uno dei luoghi più belli ed apprezzati al di fuori dei rioni del centro storico. Poi ci sono i mo-
MOVIE numenti e i luoghi di riferimento del turismo di massa; al Campidoglio Zampa girò “La Romana” (1954) e Tarkovskij “Nostalghia” (1983). Sulla piazza del Pantheon, Peter Greenaway ha girato una scena del film “Il ventre dell’architetto” (1987) mentre, a piazza del Popolo, Scola ha battuto il primo ciack di “C’eravamo tanto amati” (1974). A piazza Navona Dino Risi ha reso un omaggio indimenticabile della Capitale per le scene di “Poveri ma belli” (1957). A Prati – nel cuore della borghesia romana Ettore Scola ha immortalato ritratti di vita domestica in “La famiglia” (1987) e Nanni Moretti vi ha girato il film che lo ha reso noto: “Ecce Bombo” (1978). E forse, pochi sanno che le prime immagini de “La Dolce vita” (1960) di Federico Fellini sono state girate all’Eur, e poi proseguite a Via Veneto, diventato luogo di culto per gli attori e le celebrità di quel tempo. Sempre all’Eur Michelangelo Antonioni ha iniziato le riprese di “L’eclisse” (1962) e Monicelli “Un borghese piccolo piccolo” (1977). A Roma hanno lavorato con grande soddisfazione anche star internazionali come Orson Welles e Gregory Peck, Gwyneth Paltrow e Cameron Diaz, Leonardo di Caprio e Catherine Deneuve. La città è stata usata come un grande set nel film “Angeli e demoni” (2009) con Tom Hanks o “Il talento di Mr. Ripley” (1999) di Anthony Minghella, “Mangia, prega, ama” (2010) di Ryan Murphy, fino al recente “John Wick: Capitolo 2” (2017) con Keanu Reeves. L’Urbe, quindi ha portato al cinema il suo passato ricco di storia e di episodi leggendari, i suoi monu-
menti conosciuti in tutto il mondo, i suoi cittadini dimostratisi attori unici per la loro amabilità e spontaneità: Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Anna Magnani, Gigi Proietti e Carlo Verdone ne sono soltanto un piccolo esempio. Il Cinema, da parte sua, ha contribuito ad aumentare la fama di Roma, mostrandone in un numero indefinito di pellicole gli angoli unici e meravigliosi, al punto che alcuni di essi sono divenuti il simbolo stesso del film: chi non ricorda la scena realizzata sul Colosseo da Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma” di Steno o a Piazza di Spagna quale donna non ha sognato di essere Audrey Hepburn in “Vacanze Romane”? Roma Set Mundi.
“Roma eterna ed onirica grazie anche al cinema che l’ha esaltata”
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MOVIE
I SEQUEL D
POWER RANGERS Il reboot dei Power Rangers uscito da poco nelle sale è stato accolto dal pubblico in maniera abbastanza varia, guadagnando al box-office decisamente meno rispetto a quanto aveva inizialmente previsto lo studio di produzione. Tra le linee di quelli non proprio entusiasti del progetto, ironicamente, figurano anche gli interpreti proprio della vecchia serie anni ’90 dalla quale il film trae ispirazione: gli attori hanno espresso alcune perplessità soprattutto sulla scelta di stravolgere il modello di cast originale, come anche quello di non utilizzare molte delle iconiche frasi dello show.
I Dopo il succ esso strabilia nte di Avatar ron è stata occ , la m u i suoi sequel. pata praticamente da so ente di James Camelo una cosa: E p lasso di temp bbene,il regista ha da p oco annunci ianificare o verranno ri ato in quale lasciati i quat rilanciato il 3 tr ancora lunga, d al cinema, ovvero tra il o sequel del film che ha 2020 e il 202 ma sicuramen 5. L’attesa te dopo per un bel po’ potremo tornare su Pan è dora di tempo.
AVATAR
L U E L
Dal mond LD 2
WOR JURASSIC
2. erà in Jurassic World e Jeff Goldblum torn ch , co o arrivato da po E’ questo l’annunci passionati della saga ap sorprende tutti gli di tutti i tempi. a os m , preistorica più fa onaggio Ian Malcolm rs Il ritorno del suo pe così alle speranza dei o, risponde rivisto el, Il Mondo Perdut qu se o su l ne boot se avremmo e re l m fil de o lo im to pr pi l ca ne o di o appars ll’annuncio del prim originale.Goldblum affiancherà quin da sin no do ie ch si fan, che no anche o della saga World, che torneran e personaggio amat su schermo qualch las Howard, già protagonisti di Jurassic Dal Chris Pratt e Bryce loro nel sequel.
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MOVIE
RK uolina in I K N DU ire l’acq cente infarci ven
re a continua , Dunkirk. In unate del forman la o N lm an her Christop r il suo prossimo fiempre grande amtterà in maniera s e u a p ista, d ola sfr amere bocca e la pellic fatti il reg ime telec tervista in, ha annunciato chissime e costosissdo ad impiegarto IMAX cedenti le pesant ttacolare, riuscen cabina di pilosenza predere un effetto spe e angusti, come lardy. Purtroppo, per ottenin ambienti stretti all’attore Tom Ha scoprire anche le anche un aereo insieme qualche mese per taggio di attendere ancora dovremo ltato finale! noi il risu
FROZE
N2 Se ne vocifera va ormai da tempo, ma è mente dalla D ar is solo), la data ney, per la gioia di tutti i rivata ufficialdi uscita di F bambini (e n ro o il 27 Novem bre del 2019 zen 2. Il film uscirà nelle n , cercando d sa compito di eg le i bissa uag ricordiamo es liare il successo del prim re il difficile o capitolo, ch se e famoso del m re il film di animazione d el on lo Ci riuscirà? do con i più alti incassi d studio più i tu Nel scaldare l’ugo l’attesa di scoprirlo, com tti i tempi. inciate a rila per prepar arv che seguirà l’o rmai classica i a cantare la canzone Let It Go.
E M I T L
do del cinema
lis di Gia nlu ca De An ge
S STAR WAR Gli ultimi Jedi
io su internet il pr Appena approdat, attesissimo trailer mo, spettacolareli Ultimi Jedi, VIII di Star Wars: G , ai più attenti non capitolo della saga olo particolare riè sfuggito un picc rsonaggio chiave teaser, Forza appare nel subita lla ri guardante un pe D de io m gl da ve (A is R en i Il R lu de della storia: Kylopochi istanti in cui l’antagonista one diversa rispetto alla ferita daa del film, i zi st si gi da , re po ne il a be te un en Eb in eè ver). è arrivato direttam un posto che la sua cicatric appare evidente timo film. A chiarire le perplessitàaver deciso lui di posizionarla ininiziale. al termine dell’ul e ha semplicemente confessato dite più efficace della “buffa” ferita Rian Johnson, ch rso, ritenendola così scenicamen leggermente dive
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LIFE
o l b a P e o r d e P
cconta a r i s o n a m c o ro Il duo comii: dagli esordi fino al a 3 6 0 g ra d l g ra n d e s c h e r m o d e b u tt o s u lesti di Andrea Ce
F
abrizio Nardi e Nico Di Renzo, in arte Pablo e Pedro, iniziano la loro carriera nel 1994. Tanta gavetta, poi nel 99’ l’approdo al ‘Seven Show’, format da cui sono usciti comici e conduttori oggi famosissimi. Dopo tanti programmi tv e spettacoli teatrali, il duo comico approda sul grande schermo con la commedia ‘Ciao Brother’(2016), ottenendo un buon successo. La loro comicità spazia dalla satira fino alla parodia, alla continua ricerca dell’originalità e dell’innovazione.
laggio. All’inizio era un gioco, anche se per noi era una vera e propria palestra: a quel tempo le animazioni erano molto più professionali: c’era rigore, educazione, si recitava tutte le sere tra giochi e cabaret senza usare parolacce. Da li abbiamo cominciato a fare qualche stagione insieme, buttando giù delle idee. I nomi vengono dal nostro primo sketch ‘I tre messicani’, da quel momento abbiamo deciso di mantenerli per gioco, senza sapere quale sarebbe stata la nostra meta...”.
Quando vi siete incontrati per la prima volta e come mai avete scelto questi nomi d’arte? “Noi eravamo amici già dai tempi della comitiva, ci conosciamo da fine anni 80’. Pedro era un animatore e un giorno mi ha convinto ad andare con lui in un vil-
Che emozione avete provato quando siete saliti per la prima volta sul palco? “La nostra prima data in assoluto è stata al locale ‘Mr. Max’ a Frascati, dove lavoravano tantissimi cabarettisti come Antonio Giuliani ed Enrico Brignano. Nel
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giorno di inaugurazione ci siamo fatti vedere per 10 minuti e al proprietario del locale è piaciuto molto il nostro ritmo. L’emozione è stata tanta, anche perché al contrario del villaggio non conoscevamo le persone e ci dovevamo confrontare con dei grandi artisti. Con gli sketch ci alternavamo ed è andata molto bene”. La vostra prima esperienza è stata quella al ‘Seven Show’, programma capace di ‘sfornare’ grandi talenti come Teo Mammucari, Ale e Franz, Ficarra e Picone, Pablo e Pedro, Dado. Secondo voi quanto manca un format di questo tipo nella tv attuale? “Noi avevamo cominciato con l’edizione 96’. E’ stato il programma precursore, andava in seconda serata e allora faceva ascolti importanti. In questo momento c’è
LIFE e quando vai a vedere il prodotto finale hai dentro una grande soddisfazione, anche se a volte c’è il rimpianto per quello che poteva essere. Siamo stati dieci giorni in America dove ci è successo di tutto, sul set poi eravamo come una famiglia: professionali quando si girava, fuori invece tante risate e scherzi, un po’ come quando vai a teatro e monti la commedia. Ci siamo divertiti tantissimo, per noi era la prima esperienza da protagonisti”. Come vi vedete fra 10 anni? Concentrati soprattutto sul grande schermo, oppure vi dividerete tra cabaret, teatro, cinema come state facendo adesso? “Stiamo puntando molto sul cinema ma non lasceremo mai il teatro, rimanere sul palco fino all’età avanzata è il sogno di tutti. Però stiamo cambiando molto la nostra comicità, stiamo puntando sulle commedie brillanti piuttosto che sulla serata di cabaret, anche per avere stimoli maggiori. Inoltre attualmente stiamo scrivendo delle commedie anche per un gruppo di giovani ragazzi. La cosa importante è rimanere con la testa su questo lavoro”.
bisogno di fermarsi un attimo perché ci sono troppe trasmissioni comiche e non esistono le idee. Oggi manca andare a riscoprire il comico vero, che non è soltanto di battuta. Non c’è più il live del ‘Seven Show’, è tutto troppa trasmissione e si è perso un po’ il contatto con il pubblico, che ti stimola sempre a dare qualcosa in più”. Tra i vostri cavalli di battaglia ci sono i ‘Rappers’, gli ‘ Incontri storici’, ‘Dio e l’arcangelo Gabriele’. Qual’è lo sketch a cui siete più affezionati e perché? “Come tutte le cose anche gli sketch seguono il periodo: tutti sono legati a qualcosa, sono figli del momento e di un lavoro dietro più o meno lungo. E’ bello andare a riprendere il vecchio siparietto comico e adattarlo ai giorni nostri, un po’ come
il bambino che ritrova il gioco di una volta e torna a giocare con quello piuttosto che con l’ultimo comprato. In fondo questo è il fanciullo che c’è nel comico”. Dopo tanti programmi tv, spettacoli teatrali, l’anno scorso siete passati al cinema con il film ‘Ciao Brother’. Quali sono le difficoltà che si incontrano quando ci si presenta per la prima volta da protagonista sul grande schermo? Voi cosa ricordate in particolare di quell’esperienza? “La difficoltà più grande è stata passare dal teatro al cinema. I primi giorni il regista ci diceva di non ‘caricare’ troppo le situazioni perché sul grande schermo è tutto più amplificato. La magia del cinema è legata al fatto che vivi con la speranza che quella scena esca come vuoi tu
Che consiglio dareste a chi vuole intraprendere la carriera di comico? “Puoi intraprendere questa carriera solo se te ne fai una ‘malattia’. L’importante è il lavoro, che adesso viene fatto sempre meno anche per colpa dei social, in cui ci sono persone che si riprendono continuamente. Il teatro invece è una base che serve tanto, importante è mettersi continuamente in gioco, provare, scrivere, creare idee, ma anche avere costanza senza mai essere troppo banali. In fondo è questo quello che ti fa divertire”.
a t s i v r e t L’in iva esclus
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LIFE
VIOLETTA CARPINO la
STREET ARTIST che racconta l’emancipazione femminile
di Maria Dastoli
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LIFE
H
ermann Hesse affermava che ‘la natura non si getta tra le braccia del primo venuto, così come del resto la cultura e l’arte, pretende infinita passione, prima di svelarsi’. Che l’arte, la creatività pretendono passione prima di concedersi a qualcuno lo sa bene Violetta Carpino. Giovanissima artista romana, classe 1991, laureata in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Roma. La determinazione guida il suo impegno volto a valorizzare il ruolo della donna nella società. Si tratta di uno spirito tutto al femminile, il suo, e di una forza con la quale rappresenta la voce di tutte le donne. Qual è il messaggio più importante che vorresti trasparisse dalle tue opere? Ogni opera è come una figlia messa al mondo che è libera di esprimersi. Oggi sono incuriosita dal concetto di identità e ciò mi porta a indagare i sentimenti che risiedono nell’anima. Questo implica un grande coraggio. Spesso si preferisce non dare al dolore il tempo necessario di fermarsi nel cuore , pensando di sfuggire alla fragilità che non è debolezza. Dipingendo accade che, mostrando la mia intimità, stia invitando le persone a non avere paura della loro anima. Sei sempre stata sensibile al tema dell’emancipazione femminile e all’educazione sentimentale. Quanto è importante per te la libertà e quando Violetta è davvero libera? L’emancipazione femminile ha sradicato un sistema fatto di stereotipi, ma paradossalmente ne ha creati degli altri: una donna che si mette una gonna corta oggi appare superficiale. L’essere femminista e femminile possano coesistere. Tengo viva l’idea che un nuovo femminismo possa aiutare a superare il periodo che stiamo vivendo. Io mi sento libera quando sono accolta in modo naturale, quando la mia anima è affine con quella della persona che ho di fronte. Mi sento libera nella pittura perché partorisco qualcosa tenuto dentro per molto tempo. Hai mai paura di non suscitare nelle persone le emozioni che vorresti trasmettere? No, credo che la nudità sia verità. Non potrei dipingere i corpi diversamen-
te per esprimere le confessioni della mia anima. Non ho mai avuto paura degli occhi e dei giudizi altrui. Se i miei lavori fossero apprezzati nella stessa maniera dai fruitori, significherebbe che la ricerca della mia anima non è poi così profonda. Per la 23esima edizione della Maratona di Roma è stata scelta la tua medaglia. È la rappresentazione di due figure contrapposte destinate ad inseguirsi senza raggiungersi mai o l’idea era quella del raggiungimento di un unico traguardo? Credo che l’idea iniziale fosse più vicina alle seconda ipotesi. E’ l’equilibrio di un uomo e una donna che corrono individualmente, le cui mani però si collocano sulla testa l’uno dell’altra, come fosse un inno al rispetto e all’amore per l’umanità. L’ispirazione nasce dall’educazione che mi è stata data dai miei meravigliosi genitori . Maschile e femminile si incontrano in una corsa cosmica, sul fondo di una Roma rappresentata dal Colosseo e dai Fori Imperiali. Il principio che governa l’universo, il dualismo, è espresso con due figure contrapposte e separate che si ritrovano insieme in un continuo divenire. E’ un invito ad una riflessione: non miglioreremo la nostra esistenza combattendo le imperfezioni, sarà accogliendole che riusciremo a rendere perfetta la nostra vita.
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LIFE
REAL LIFE DISNEY
l’artista che ci fa tornare bambini Quale sarebbe l’aspetto in carne ed ossa del nostro protagonista Disney preferito? di Morgana Mazzulla
G
randi occhi azzurri, capelli biondi, sorriso smagliante e fisico scultoreo. Non è la descrizione di un modello ingaggiato come nuovo volto di una qualche casa di moda maschile, o di un idolo del social media popolo con un seguito di migliaia di fan infatuate. Stiamo parlando di Jirka Vinse Jonatan Väätäinen, Graphic Designer e illustratore finlandese che è riuscito ad ottenere un discreto seguito sui social non grazie al suo bell’aspetto, ma grazie al suo progetto artistico “Real Life Disney” – reimagining what Disney characters might look like in real life. Ma partiamo dal principio. Quante volte ci siamo chiesti, noi cresciuti a pane e film d’animazione Disney, quale sarebbe l’aspetto in carne e ossa del nostro protagonista disneyano preferito? Quante volte abbiamo pensato che un attore o un’attrice sarebbero stati perfetti nei panni dei nostri idoli d’infanzia? In questi anni la Disney sta producendo la rivisitazione in chiave live action dei suoi grandi classici, dandoci la possibilità di vedere i nostri personaggi del cuore nel volto di persone
reali. Ma la realtà ha i suoi limiti e persino il migliore dei cast non può – ovviamente – rispettare puntualmente i tratti estetici creati nel corso degli anni dalle sapienti mani dei disegnatori. L’arte invece, per quanto realistica, non ha confini. Proprio per questo il progetto Real Life Disney – che ad oggi conta la rappresentazione di una quarantina di soggetti, includendo i non disneyani Anastasia e Dimitri – era destinato fin da principio ad ottenere il favore del web. Tutto iniziò nel 2011, quando Jirka Vinse allora studente di graphic design alla “Arts University Bournemouth” (nel Regno Unito) - decise di mettersi in gioco, come riferito all’Huffington Post: «[all’inizio] ho solo pensato di sfidare me stesso e divertirmi con Photoshop per vedere come avrebbe potuto apparire nella vita reale il personaggio di Ursula da “La Sirenetta”. [...] Penso che molte persone, come me, siano cresciute con la Disney, rimanendo affascinate nel guardare quei personaggi. La cosa bella dell’attribuirgli visi più realistici è che permetterà alle persone di sentirsi più profondamente
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connesse ad essi, di vederli come esseri familiari, facilmente riconoscibili, persone a cui svenire dietro (per una cotta, n.d.r.).» Tutti i personaggi – creati attraverso le tecniche della composizione digitale, della manipolazione fotografica e della pittura digitale – hanno la peculiarità non solo di essere estremamente realistici e altamente fedeli verso i disegni originali della Disney, ma anche di poter vantare delle somiglianze con celebrità in carne e ossa, da cui Jirka Vinse “saccheggia” i tratti somatici in favore di un realismo maggiore. Insomma, grazie all’abilità creativa dell’artista finlandese i personaggi disneyani non divengono semplicemente più realistici, ma si fondono letteralmente con il mondo reale, per un risultato che lascia a bocca aperta. Ovviamente queste opere non sono che una parte della produzione di Jirka Vinse, che porta avanti numerosi progetti come Graphic Designer, ma è interessante vedere come un giovane creativo sia riuscito a far conoscere il suo talento a livello globale grazie all’aiuto dei suoi beniamini d’infanzia. I sogni, a volte, divengono realtà.”
LIFE
REDAZIONALE
Dimensione Danza Spettacolo 2017
Unire la passione e l’amore per la danza all’impegno e alla solidarietà.
E’
quello che il Centro Dimensione Danza, sapientemente diretto da Federico Vitrano, realizzerà con i suoi allievi il prossimo 7 Giugno al Teatro Olimpico di Roma. Uno spettacolo caratterizzato da coreografie ideate da professionisti del centro danza e realizzate da ballerini di danza classica, modern Jazz, e Hip Hop. A 18 anni dalla nascita della scuola, il gruppo esibisce, sintetizzandole, le specialità trasmesse e apprese da ballerini
di tutte le età, devolvendo il ricavato dello spettacolo a ROMA Il “Vanessa Verdecchia”(Associazione Italiana contro le Leucemie), per sostenere l’assistenza domiciliare. L’evento sarà patrocinato dalla Regione Lazio (Beni Culturali Sport e Spettacolo), Roma Capitale, Comune di Formello (Assessorato alla Cultura), il Comitato UISP di Monterotondo e Banca Consulia. La rosa degli insegnanti impegnati alla realizzazione della manifestazione è composta da: Federico Vi-
trano, Gabriele Di Nicola, Fiorella Voccia, Tonia Labriola, Vittoria Fantini. Ad arricchire la scena sul palco dell’Olimpico contribuirà il ballerino solista ospite Alessandro Pastore (Teatro San Carlo di Napoli). La danza è educazione di vita - sottolinea Federico Vitrano, titolare della scuola protagonista della serata – oltre che di corpo. Intendiamo sensibilizzare le nostre allieve a tematiche importanti e a pensare a chi non ha avuto la nostra stessa fortuna.
REDAZIONALE
“Raccontare con la luce, raccontare in modo leggero”
“P
erché aprire un’attività?
oggi
E’ vero che lavoriamo in un mondo fatto spesso di pixel e video ma crediamo molto al contatto umano e alla concretezza. Stringere mani, e avere poi davvero in mano un prodotto confezionato. Tatto e contatto direi! Siamo un gruppo di professionisti e di amici, costruitosi nel tempo,
Abbiamo esperienza con clienti di altissimo profilo, sappiamo ormai come muoverci e muoverci ci piace tantissimo. Ci siamo trovati e “selezionati” per la passione nel raccontare ed è quello che facciamo al meglio, si tratti di un matrimonio, di un’azienda o di un evento. Lightales gioca proprio con queste parole: raccontare con Lightales. In cosa siete differenti? la luce, raccontare in modo leggeCosa offrite in più? ro. Che non significa superficiale, anzi. era arrivato il momento di ufficializzare questo team! C’è chi scatta, chi monta, chi viene dal cinema, chi dal mondo wedding, abbiamo lavorato spesso negli eventi della capitale e in tutta Italia. Aprire questa attività è una bella sfida che ci riempie di energia e positività.
Via Attilio Mori, 17 Roma - info@lightales.it
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LIFE
i p m e t i a A I F La FOTOGRA di Andrea Paone
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LIFE
degli
E N O H P T SMAR
Dalla camera oscura ai pixel, fotografi si nasce o si diventa (comprando un telefonino)?
I
n principio fu la camera oscura, il dispositivo ottico composto da una scatola oscurata con un semplice foro posizionato al centro di un lato della scatola stessa, come obiettivo. Sul retro, poi, un piano di proiezione dell’immagine. La camera oscura rappresenta le fondamenta di quel palazzo chiamato foto-
grafia, ed è precorritrice della fotocamera. È per questo motivo che ancora oggi gli apparecchi fotografici vengono chiamati ‘camere’. Ad interessarsi del fenomeno della camera oscura fu addirittura Aristotele nel IV secolo a.C. ma fu il francese Joseph Nicèphore Nièpce il primo ad applicarla in ambito fotografico all’inizio
dell’Ottocento. Sarà che era agli albori della scoperta, sarà per via del suo nome impronunciabile, ma tutti quanti piuttosto che Nièpce associano l’invenzione della fotografia e il successivo sviluppo delle immagini al più famoso (e indubbiamente dal nome più armonioso) Louis Daguerre, inventore del dagherrotipo.
durato pochi anni grazie agli incredibili sviluppi nell’ambito della fotografia digitale. E qui arriviamo alle novità del nuovo millennio: Internet, smartphone, app e social network hanno radicalmente cambiato il modo di ‘fare’ fotografia. Se prima ci si affidava alla bravura, alla capacità e all’esperienza del fotografo di professione, oggi siamo tutti fotografi più o meno professionisti. Grazie a telefoni cellulari sempre più evoluti (che sembra facciano tutto tranne che chiamare…) è possibile scattare delle foto con definizioni sempre migliori. E se c’è un piccolo particolare che proprio non piace, arriva in soccorso l’app di turno che permette di modificare a piacimento la foto appena scattata. Una volta modificato il tutto, arriva il momen-
to più atteso: la pubblicazione sui social, veri e propri contenitori globali. Da Facebook a Twitter passando per Google +, senza dimenticare il social network per eccellenza per quanto riguarda la fotografia, Instagram. E se la fotografia appena scattata proprio non piace, no problem: si cancella e si rifà! Insomma le evoluzioni in campo fotografico sono state esponenziali, specialmente negli ultimi decenni. Evoluzioni che solo trent’anni fa probabilmente non avremmo nemmeno potuto immaginare. Evoluzioni da prendere comunque con le dovute precauzioni, poiché il mondo è in costante movimento e fatichiamo non poco a stargli dietro. Ma siamo sicuri che siano davvero evoluzioni?
Il cambiamento Una volta dato il la a questo nuovo strumento, la strada è stata tutta in discesa. Nel 1880 c’è stata l’introduzione degli apparecchi fotografici portatili mentre otto anni dopo è scoccata l’ora delle pellicole in rullo. Altri progressi si ebbero con l’introduzione del sistema reflex (1928) e con il processo Polaroid in bianco e nero (1948), che permetteva di ottenere in pochi secondi una copia positiva. Gli anni Ottanta sono quelli della svolta digitale, che permetteva all’immagine di essere trasformata in segnali elettrici che venivano successivamente registrati su un supporto magnetico. L’inconveniente di questo tipo di fotografia era la scarsa definizione delle immagini, in confronto a quella della fotografia tradizionale. Un problema però
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LIFE
CRACKER Quando la privacy viene distrutta di Francesco Nuccitelli
C
i hanno sempre insegnato che rubare è sbagliato, è una delle cose che ci insegnano fin da piccoli e che ti spiegano tutti, dalla famiglia, alla scuola, fino all’idea della religione cattolica, idea si perché a predicare bene tutti sono bravi. Ma allora perché, si continua a rubare? E perché anche il furto si è evoluto? Il discorso come si può immaginare, è riferito agli eventi che hanno colpito molte star negli ultimi mesi. I Cracker sono i ladri del XXI secolo, non rubano più il solo saldo o il solo stipendio, ma anche la privacy: dalle foto intime, alle foto scattate con gli amici, foto particolari scambiate tra innamorati. Il fenomeno, si è sviluppato prevalentemente negli States, per poi diffondersi in tutto il mondo, tante sono le star colpite del mondo dello spettacolo interazionale, da Emily Ratajkowski a Emma Watson passando per Amanda Sayfried, ultima in ordine cronologico, anche se la lista è molto lunga e sarebbe impossibile citarle tutte. Il problema dei Cracker è giunto anche da noi, in Italia, i cosiddetti “Leoni” da tastiera sono riusciti a distruggere la privacy e quindi l’intimità di molte persone, tutto
ciò, non riguarda solo personaggi famosi ma anche le persone più comuni, ragazzi e ragazze di tutte le età che affidavano la loro privacy al web senza pensare ad alcun rischio o pericoli e spesso mettendosi nei guai. Uno dei servizi più semplici e quindi molto colpito, è quello che contiene le nostre foto e video privati, ovvero il servizio di iCloud (come successo per il caso della giornalista Diletta Leotta), poiché inizialmente si accetta e spesso si utilizzano password molto semplici. Ma non è il solo servizio, anche gli account Google e Microsoft, sono sempre a rischio, tuttavia questi servizi mettono a disposizione degli strumenti per proteggere l’utente, da improvvisi attacchi. Anche gli smartphone e i tablet di ultima generazione hanno metodi di difesa come: l’autenticazione tramite impronta digitale o vocale, o dal riconoscimento biometrico. Diversi invece sono i metodi per entrare in un pc o un telefonino, dal più semplice “indovinare” la password spesso il modo più utilizzato per la facilità di molte password, all’accesso abusivo della mail (che può collegarsi direttamente ad iCloud), degli smartphone o dei singoli computer, fino
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alle mail truffe dove si consegnano quasi volontariamente le proprie password, non entro nel merito di spiegarle o di entrare più nel dettaglio, poiché io per primo non saprei come illustrare il tutto. Oltre i metodi di intromissione, appropriazione e della difesa di questo tipo di materiale, contro i vip e non, c’è ancora una cosa da limitare, ovvero la diffusione delle stesse immagini, perché in fondo, il cracker non è il solo colpevole, perché se le ragazze, ma specialmente i ragazzi non fossero pronti alla diffusione immediata di queste immagini sul web, il cracker non avrebbero alcun motivo di infrangere il muro della privacy o avverrebbe per pochi casi isolati (solo per quei vip disposti a pagare per nascondere o non pubblicare le rispettive foto). Tuttavia una protezione totale è difficile se non impossibile, ma si può ridurre il danno con piccoli accorgimenti. Specie se le vittime in questione non sono forti per reggere l’urto di un’umiliazione così forte. La possibile tutela di sé è una strada spesso in salita, tortuosa con mille ostacoli, dove una garanzia di sicurezza non c’è, ma ogni piccolo aiuto alla propria difesa è sempre ben accetto.
LIFE
Parole,
parole, parole…
NON sono soltanto parole 3 parole di cui vi diamo l’origine. di Andrea Paone
L
a nostra lingua è composta da tantissime parole, che tutti utilizziamo ogni giorno. Ma a volte siamo così abituati ad utilizzarle che non ci rendiamo conto quanto dietro di esse ci sia un significato profondo ma non solo: a volte, l’origine della parola è completamente diversa da quella che possiamo immaginare oggi. E in questa lista abbiamo cercato di scoprire l’origine di 5 parole molto comuni: a volte il risultato è stato davvero molto curioso. Ad esempio, lo sapevate che “patrimonio” è il contrario di “matrimonio”?
FREELANCE
Anche se non è un termine italiano, visto che è un modo di lavorare sempre più diffuso oggi quando qualcuno fa dei lavori “a progetto” per diversi richiedenti, è curioso scoprirne la sua origine. Il freelance è il mercenario medievale, che sta per “lancia libera”, ovvero “un uomo con la lancia che va dove viene pagato di più”, senza alcun tipo di onore. Insomma, non è un bel termine da utilizzare per indicare una persona, anche perché l’accezione di mercenario è particolarmente negativa.
ROBOT
Ecco un termine che tutti usiamo ogni giorno, ormai, per indicare le macchine che in qualche modo stanno già sostituendo il nostro lavoro. L’origine di questa parola, spesso ritenuta inglese, invece è di un altro stato dell’Europa dell’Est, precisamente della Repubblica Ceca. Il suo significato è davvero particolare: significa infatti “lavoro forzato”, con l’accezione negativa
di “lavoro dello schiavo”, ed era usato proprio per indicare i servitori delle ville. È legato alle macchine perché un autore di fantascienza lo nominò, relativamente alle macchine-servitori, in una sua opera.
OK
Proviene da militari statunitensi che dopo le battaglie facevano un giro di perlustrazione per contare o recuperare i soldati rimasti uccisi. Alla fine scrivevano su una bandiera il numero dei morti seguito dalla lettera K, l’iniziale di killed che in inglese significa “uccisi”. Quando in rari casi nessuno era morto sventolavano la bandiera con scritto “OK”, ossia zero uccisi.
CURIOSANDO NEL MONDO 1) Roma è la città più verde d’Europa: il verde pubblico rappresenta il 67% del territorio comunale della Capitale. 2) Depressione, male invisibile e in ascesa: la sua incidenza è aumentata del 20% negli ultimi 10 anni. 322 milioni di persone ne soffrono, con una maggioranza femminile. 3) Il ponte che attraverso lo Zhangjiajie Grand Canyon, con i suoi 430 metri di lunghezza e la sospensione a 300 metri dal suolo, è il più lungo e più alto ponte dal fondo di vetro del mondo.
4) Ogni giorno in Europa si sprecano 720 Kcal di cibo a persona. Solo in Italia lo spreco alimentare vale 16 miliardi di euro annui.
5) Dal 2007 (anno del lancio del primo iPhone) sono stati prodotti 7,1 miliardi di smartphone, generando 3 milioni di tonnellate di rifiuti industriali l’anno.
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LIFE Conosciamo l’improvvisazione con gli
” i t t a r “Ast di Morgana Marzulla
“La nostra forza sta nell’essere un gruppo numeroso. Essendo tanti e diversi ci completiamo”
H
o avuto il piacere di intervistare Paolo, Gloria e Claudio degli “Astratti”, una compagnia specializzata nell’improvvisazione. Gli “Astratti” lavorano principalmente in teatro, malgrado si occupino poi di vari progetti all’interno di altri ambiti – feste, matrimoni e aziende. Ecco un estratto dell’intervista (visibile integralmente nel video online): Siete tutte personalità differenti, con storie differenti, com’è nata la compagnia? Come vi siete incontrati, conosciuti, amalgamati? Claudio: Io e Paolo frequentavamo la scuola di improvvisazione teatrale, una delle scuole che c’è a Roma che è “Verba Volant” e stavamo in classe insieme. Ci siamo appassionati pian piano all’improvvisazione e a un certo punto, dopo qualche anno di frequentazione della scuola,sono venuti il bisogno e la voglia di fare degli spettacoli per conto nostro. E’ nata l’esigenza di formare un gruppo, che però voleva essere trasversale, con persone che potevano venire da scuole differenti. La forza nostra è nell’essere un gruppo nume-
roso, con tante personalità che sul palco si vedono, perché ognuno dà sfogo alle proprie caratteristiche. Essendo tanti e diversi diamo questa idea di “completezza”. Paolo: Poi diciamo che il mondo dell’improvvisazione è abbastanza di nicchia ancora, quindi per esempio su Roma ci si conosce quasi tutti. Conoscersi non è così difficile, quindi ci si conosce e poi si inizia magari a collaborare. Gloria: Dietro l’improvvisazione teatrale c’è un grande lavoro e il lavoro più grande è il fare squadra, il lavorare insieme davvero. Una parte fondamentale dell’improvvisatore teatrale è l’ascolto, l’armonia lo stare bene insieme e divertirsi. Per fare ciò ci deve essere un grande lavoro, per poter far convivere persone anche con caratteri diversi. Non avendo una traccia di base, come provate? Come studiate, come vi preparate per gli spettacoli? Gloria: come dicevo prima, è un lavoro sulla squadra, sul gruppo. C’è una scaletta, sappiamo la tipologia di giochi che andremo a fare, ogni gioco ha delle regole, una
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struttura da seguire. Ma non ci sono contenuti, che vengono forniti dagli spunti del pubblico. Il lavoro che si fa è un lavoro di ascolto per saper improvvisare insieme, che è difficilissimo. Claudio: Noi ci alleniamo sulle nostre competenze e caratteristiche personali, quindi sull’ascolto, sulla velocità, sulla prontezza di riflessi, sulla capacità attoriale. Sono tutte caratteristiche che possono essere ampliate e sviluppate attraverso degli esercizi. Poi si possono studiare e migliorare delle strutture che portiamo in scena. Voi garantite l’unicità e l’irripetibilità di ogni vostro spettacolo, proprio perché improvvisato e basato sugli spunti del pubblico. Ma il pubblico può “ripetersi”. Se gli spunti si ripresentano non c’è la tentazione di riproporre uno sketch sullo stesso tema che aveva riscosso successo? Gloria: No, anche perché te li dimentichi! Paolo: Le persone tendono a dare spesso gli stessi suggerimenti, ma noi ci divertiamo a creare e a non ripetere, quindi in caso di temi già trattati molte volte chiediamo spunti ad altre persone tra il pubblico.
REDAZIONALE
Avv. Claudia Roggero Avv. Valentina Mayer www.dandi.media
Cinque luoghi
comuni sui diritti musicali
«A
l di sotto delle 8 battute si può usare tutto quello che si vuole».
Anche una sola battuta non può essere utilizzata in contesti commerciali di qualsiasi tipo qualora non sia stata rilasciata una specifica liberatoria di utilizzo. E’ una vera e propria leggenda metropolitana. «Se acquisto musica legalmente su CD o in digitale ho diritto ad utilizzarla in contesti aziendali» L’unico diritto che acquisisco comprando un CD o un file audio (vedi iTunes) è quello di ascoltare in privato il CD stesso. Se voglio utilizzare anche un solo secondo di musica per scopi commerciali devo sempre assolvere i diritti di sincronizzazione editoriali e
di master. «Se realizzo una versione cover al posto di quella originale non devo pagare nulla» Anche se di fatto ho creato una versione e ne detengo tutti i diritti (in questo caso i diritti di master) dovrò sempre ottenere i diritti di sincronizzazione dagli autori/compositori/editori della musica (diritti editoriali). Se questi negano l’utilizzo non posso utilizzare la registrazione che ho realizzato. «L’utilizzo no profit è sempre libero per legge, non devo richiedere autorizzazioni» Falso. Si devono sempre ottenere le liberatorie dagli aventi diritto anche qualora questi siano disponibili a rilasciarla
gratuitamente (cosa che può avvenire qualora venga formalmente dichiarato e dimostrato che tutto il progetto viene realizzato da tutti i partecipanti a costo zero). «Se utilizzo un brano in pubblicità non devo pagare in quanto faccio già pubblicità al brano stesso» Si tratta di un utilizzo commerciale non consentito in assenza di una specifica liberatoria. Inoltre solitamente una determinata scelta musicale viene fatta con l’intento di dare valore aggiunto al messaggio pubblicitario aumentandone l’effetto ricordo e non il contrario (anche se non è escluso che talvolta un lancio di un nuovo brano possa essere sostenuto proprio dall’utilizzo in una campagna pubblicitaria).
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LIFE
Basquiat a Roma dal 24/3 al 2/7/2017 Chiostro Del Bramante
Continua il percorso di ricerca e d’indagine operato dal Chiostro del Bramante sulle personalità più influenti della street art. Un viaggio nelle opere dell’artista Jean-Michel Basquiat, con 100 lavori esposti realizzati tra il 1981 e il 1987 e tutte provenienti dalla Mugrabi Collection di New York.
B
dal 5/5 al 27/8otero a Roma /2017 – Com plesso de
l Vittoriano A 85 anni dalla sua nascita Rom biano Botero. U a rende omaggi n’ o 50 dei suoi capo esposizione che ripercorre attr al colomaverso più di lavori oltre 50 anni grande retrospe ttiva che mette di carriera pittorica. Una in luce il mon fiabesco di un genio dei colori do onirico e .
N I LDoIveFe coE me assistere REAL BOD
dall’8/4 al 9/7/2 IES 0 Guido Reni Distr 17 ict
L’anatomia umana vista ver amente da vicino. Tanti cor conservati con la tecnica della plastinazione per ind pi di cadaveri donati alla scienza e agare a fondo sul compo sistema muscolare uman rta o nel momento degli sfo rzi compiuti durante l’attiv mento del ità sportiva.
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LIFE
io a Bernini Da Caravagg nelle collezioni reali di Spagna
Capolavori del ‘600 italiano
dal 14/4 al 30/7/2017 – Scuderie
Del Quirinale
ture, la mostra segue gli Attraverso straordinari dipinti e scul e culturali stabilite tra strettissimi legami politici e le strategi corso del XVII secolo. la corte spagnola e gli stati italiani nel testimoniano l’amore ate sion Opere d’arte donate o commis ani dell’epoca. itali ti artis di gran dei iberico per l’arte
Game
dal 4/3 al
4/6/2017
on 2.0
– Spazio E venti Tirso
Dopo Lond Buenos Air ra, Helsinki, Chicago ,H es Italia, la più e Tokyo sbarca a Ro ong Kong, San Paolo ma, per la , g ra nde esp pri giocabili. O ltre 100 esp osizione al mondo d ma volta in nologiche. i videogam erienze vid Da es eo Raider, il p Super Mario ai Poké ludiche e 50 novità te mon, da Pa resente, il p c c-Man a To assato e il fu m tu b ro d famosi am ici pixellati i tutti i nostri più .
! A R T S O M agli eventi culturali di Roma di Alessio Boccali
SPARTACO
Schiavi e padroni a Roma dal 31/3 al 17/9/2017 Museo dell’Ara Pacis
mostra sistema schiavistico dell’antichità. La Un’indagine all’interno del più grande grande ma ’ulti ma nell’antica Roma a partire dall restituisce la complessità di questo siste a.C. 71 il e 73 zò Roma tra il rivolta guidata da Spartaco, che terroriz
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LIFE
Le Donne di
GIOVANNI
“Amare le donne, comprenderle e dipin
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#LaLifeèBella
LIFE
BOLDINI
ngere le loro emozioni sulla tela.” di Alessio Boccali
Prodotta da: Gruppo Arthemisia Data delle opere: Primi anni del Novecento Ubicazione: Dal 4 marzo al 16 luglio 2017 al Complesso del Vittoriano di Roma Nessuno è mai riuscito a tradurre in arte la profondità dell’anima femminile più di Giovanni Boldini.
I
l pittore ferrarese, vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, era completamente rapito dal fascino del sesso femminile, un amore capace di indagare nel mistero dell’animo di una donna e rappresentare in forme pittoriche la sua intima essenza. L’occhio di Boldini non giudica mai, semmai comprende, ammira, rispetta. Le ragazze ritratte sono sempre sensuali senza risultare mai volgari, meravigliosamente femminili nel loro essere semplicemente
sé stesse. Dal punto di vista stilistico, i ritratti rimandano a immagini tipiche delle Belle Époque, in cui il lusso e l’eleganza la fanno da padrone. Le pose non sono mai statiche, ma sublimazioni di movimenti aggraziati, di gesti in fieri. Non sono donne che si mostrano seguendo delle pose accademiche, piuttosto sono inconsapevoli, colte in quegli atteggiamenti così intimi e spontanei, che testimoniano la grande complicità tra loro e Boldini. Il pittore
riproduce con garbo e rispetto la fugacità del tempo e della bellezza; l’attimo ritratto sembra essere il momento migliore per apprezzare pienamente la donna, per amare la sua meravigliosa essenza. Insomma, Boldini riusciva ad avvicinarsi all’intricato e misterioso universo femminile comprendendone il suo grande valore: tutte avrebbero voluto essere le donne di Boldini e non è un caso se ancora oggi la sua arte cattura la sensibilità dell’animo femminile in maniera quasi magica.
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LIFE
CE
A G E I P S O L
O M E F I L O P
ghini
e Berlen
di David
Le polpettine alla cacciatora e due fettucce
Quattro salti in romanesco con lo Chef Davide Berlenghini
C
iao bella gente armonica e musicale, oggi giochiamo a palline! Andiamo a cimentarci con un piatto semplice all’apparenza, perché un po’ di manualità bisogna averla. Però prima un po’ di storia:
la ricetta è di origine antichissima e nacque per l’esigenza di cucinare i resti della carne che, per non essere sprecati, venivano impastati con uovo, erbe aromatiche e pane raffermo. La prima comparsa del termine polpetta risale al Trecento mentre la ricetta appare per la prima volta nel
ricettario del XV secolo, Libro de Arte Coquinaria del Maestro Martino de Rossi da Como, cuoco dell’allora Camerlengo Patriarca di Aquileia. La parola deriva invece da polpa ovvero la parte più morbida e saporita del vitello che era impiegata nella preparazione della ricetta.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE •500 g di macinato misto •2 uova; •mezza tazza di pan grattatato; •mezza tazza di formaggio grattugiato; •Sale, pepe e prezzemolo; •Olio; •Pane in cassetta; •Vino.
Mescolate in una ciotola 500g di macinato misto, manzo e salsiccia, con due uova, mezza tazza di pan grattato, mezza tazza di formaggio grattugiato a vostro gusto, un po’ di sale, pepe e prezzemolo, fate le polpettine della grandezza che più vi piace... preferibilmente piccoline, non piccolissime, visto che poi le servirete con le fettuccine.
LA PREPARAZIONE Procuratevi una padella ampia, in modo da inserivi dentro tre spicchi d’aglio con olio e peperoncino a piacere, metteteci mezzo bicchiere di vino e appena la padella arriva ad una buona temperatura aggiungete le polpettine che prima avrete passato nella farina. Inseritele e giratele con attenzione per
circa cinque minuti a fuoco basso a questo punto aggiungete una tazza d’acqua e vino in egual misura, e infine quattro foglie di salvia e coprite il tutto. Fate cuocere il tutto per 20 minuti controllando e girando spesso, spegnete e lasciate coperto. La pasta deve essere al dentissimo, man-
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tecatela nel sughetto che avrete rifatto bollire due minuti, prima di scolare la pasta. Ovviamente dovrete prima aver tolto le polpettine, e arrivati a questo punto aggiungete una manciatona di formaggio grattugiato per mantecare. Servite con le polpettine sopra e godete... ahahaha! Ciao belli, buon appetito e alla prossima!
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L’arte degli zuccheri di Beatrice Caruso
@torteedolcezze
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iao a tutti amici, ben trovati! Spero che abbiate avuto modo di deliziare i vostri cari con la crostata di frutta di cui abbiamo parlato nel nostro primo appuntamento. Ora per questo secondo incontro vorrei raccontarvi come preparare un dolce di origine francese che trae le sue origini sin dal Rinascimento, formato da bignè di pasta choux, ripieni di crema o panna e ricoperti di
glassa al cioccolato, insomma una vera goduria: il Profiteroles. Questo dessert rappresenta un “must” per noi amanti di questa dolce arte, non peraltro viene riconosciuto come un classico della nostra pasticceria. Ma partiamo dalla pasta per i bignè, la pasta choux, che trova diversi impieghi in cucina, dalle preparazioni dolci a quelle salate, una piccola curiosità, la parola “choux” in francese significa “cavolo” scelta proprio perché
la forma dei bignè richiama quella della pianta. Ma torniamo a noi. Per comporre il nostro profiteroles infatti dovremo occuparci di diverse preparazioni: la pasta choux appunto, poi una farcitura a piacere e per finire una splendida glassa al cioccolato. Vedrete una volta finito, non solo sarete davvero soddisfatti del risultato ma grazie a voi ed a questo magnifico dolce i vostri ospiti rimarranno sbalorditi!
Come la prepariamo.. Un pizzico di sale ed un pizzico di zucchero. Per la farcitura, la scelta rimane a voi, io preferisco riempire i bignè con della crema pasticcera ma possiamo anche montare della panna zuccherata in precedenza oppure, ancora meglio, è possibile unire la crema pasticcera alla panna montata così da formare una crema chantilly. Sarà semplice, basterà bucare il fondo del bignè direttamente con la punta della sac à poche e riempire fino a quando saranno colmi. Per preparare i bignè, prima si devono far bollire in una pentola acqua, burro e sale e in seguito basterà togliere il composto dal fuoco e introdurvi la farina, tutta insieme, continuando a mescolare. Si torna sul fuoco fino a quando la massa si stac-
Per i bignè:
250gr di burro; 250gr di farina; 250 gr di acqua; 500 gr di uova (circa 8 uova)
Per la glassa al cioccolato:
250 ml di panna; 200 gr di cioccolato fondente; 15 gr di burro
cherà dalle pareti e dal fondo della pentola. A questo punto si trasferisce il tutto in planetaria e si aggiungono le uova, una alla volta. Infine, con l’aiuto di una sac à
poche si formeranno i bignè che andranno cotti in forno per 20 minuti a 190/200 gradi. Completiamo il tutto preparando la glassa che andrà a coprire i nostri bignè riempiti e montati uno sopra all’altro fino a formare una sorta di piramide. Versare la panna in un pentolino e aggiungere il burro, metterlo sul fuoco a fiamma bassa e, mescolando con un cucchiaio, attendere che arrivi quasi a bollore. Versare quindi nella panna il cioccolato tritato e continuare a mescolare fino a quando non si otterrà un composto omogeneo poi lasciare riposare. Siamo pronti così per montare il nostro dolce: bignè farciti e golosi ricoperti di cioccolata ma attenti,non esagerate, perché sono talmente golosi che uno tira l’altro!
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A Z A Z PPIZ IZ
LA
LA
ti Nuccitelli boidrdiaFrancesco r a c . . . e e r o am Pizza: pane,
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di Francesco Nuccitelli izza: pane, amore e... carboidrati “Fatte ‘na pizza c’a pummarola ‘ncoppa veatte ‘na pizza c’a pummarola ‘ncoppa vedrai drai che il mondo poi ti sorriderà” citava così che il mondo poi ti sorriderà” citava così il il grandissimo e mai dimenticato cantore delgrandissimo e mai dimenticato cantoredidella la napoletanità, Pino Daniele. Abbiamo deciso ininapoletanità, Pino Daniele. Abbiamo deciso ziare così perché la pizza è un’arte e come tali possono diessere iniziare così perché non la pizza un’arte e come tale può accumunate, soloè attraverso una canzone, essere accumunata, non solo attraverso una canzone, dei versi o delle immagini. La “Pizza” è un’arte, dei guversi o delle immagini. La “Pizza” è un’un’arte arte, gustosa, delistosa, deliziosa e bella da vedere, che unisce ziosa e belladidapalati vedere, artemondo che unisce di unico, palati migliaia inun’ tutto conmigliaia un gusto indiventata tutto il mondo gusto unico, diventata anni negli con anniunvero e proprio simbolonegli di amicivero proprio simbolo di amicizia. A raccontare della pizza zia.e A raccontare della pizza però non ne parlerà un profano come me,un maprofano un ragazzo con però non ne parlerà come che me, maneggia ma un ragazla materia:con Daniele è uno dei pizzaioli più zocura che maneggia cura laPapa, materia: Daniele Papa, è uno famosi del Lazio e non solo e chi meglio di lui può dei pizzaioli più famosi del Lazio e non solo e chi meglio la storia, le curiosità e i segreti per per una diraccontarci lui può raccontarci la storia, le curiosità e i segreti buona pizza? Iniziamo il nostro racconto proprio atuna buona pizza? Iniziamo il nostro racconto proprio attraverso le parole di Daniele, per il concetto di arte, traverso le parole di Daniele, per il concetto di arte, perché chi la oltre ad si perché la pizzasiè la un’pizza arte, èinun’arte, quantoin chiquanto la fà, oltre adfa, avere una avere una preparazione tecnica, deve saperla mixare preparazione tecnica, deve saperla mixare anche con la anche con la propria creatività, creatività che poi si propria creatività, creatività che poi si trova nella presentrova nella presentazione stessa, nel momento prima tazione stessa, nel momento primagiorni di essere di essere gustata. Negli ultimi si ègustata. parlatoNegli tanto ultimi giorni si è parlato tanto degli ingredienti e anche degli ingredienti e anche per questo il nostro caro per Daquesto caro Daniele ci dàperché una grande perniele ilcinostro dà una grande mano, “Gli mano, ingredienti ché “Gli ingredienti primarisono e la lavorazione sonoper il vero primari e la lavorazione il vero segreto una segreto una buona Piùdel la qualità del prodotto è buonaper pizza. Più lapizza. qualità prodotto è alta, più alta, più il prodotto ha una probabilità successomaggiore maggioil prodotto ha una probabilità di di successo reper per il palato Come in tutte le belle palatodel delcliente”. cliente”. Come in tutte lecose belleanche cose anche percilasono pizza ci sono più comuni per la pizza degli errori,degli i piùerrori, comunii sono spesso sonoalle spesso legati nella alle tempistiche nella lavorazione legati tempistiche lavorazione dell’impasto e alle dell’impasto e alle temperature da gestire della farina temperature da gestire della farina stessa. Ma il segreto vero stessa. Ma il segreto vero proprio,nelle comedosi nella vita è è proprio, come nella vita è l’eèquilibrio, dell’iml’equilibrio, nelle dosifinale. dell’impasto e nel piccola condimento pasto e nel condimento Dopo questa infafinale. Dopo questa piccola infarinatura rinatura vi lasciamo con un’altra citazione, chevici lasciamo fa capire con un’altra fa capire quanto meglio quanto citazione, la pizza siache un ci piatto unico meglio al mondo: “Se la pizza sia un piatto unico al mondo: Se c’ è un piatto c’è un piatto universale, quello non è l’hamburger bensì la universale, quello non è l’hamburger bensì la pizza, pizza, perché si limita a una base comune, (l’impasto) sul perché si limita a una base comune, (l’impasto) sul quale ciascuno può disporre, organizzare ed esprimere la quale ciascuno può disporre, organizzare ed esprimesua differenza. re la sua differenza. (Jacques Attali). (Jacques Attali)”
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