Vademecum per gli escursionisti seniores

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CLUB ALPINO ITALIANO REGIONE LOMBARDIA

Vademecum per gli escursionisti seniores Progetto MAS “Montagna Amica della Salute”


Prodotto Editoriale del Club Alpino Italiano Regione Lombardia (CAI Lombardia), CAI Commissione Seniores CAI Lombardia, Commissione Escursionismo CAI Lombardia AUTORI Gianceslo Agazzi, Luca Barcella, Dario Benedini, Marco Cosentino, Simona Lombardo, Franca Marino, Carlo Plaino FOTOGRAFIE Fabrizio Zanchi, Luciano Breviario, Marco Caccia, Tino Rovetta COORDINAMENTO EDITORIALE E CORREZIONE TESTI Luca Barcella, CAI Commissione Medica CAI Lombardia Progetto Grafico: Naturtecnica Stampa: Grafica BIEMME s.r.l. Questa pubblicazione rientra tra le Azioni del progetto strategico di cooperazione transfrontaliera VETTA - Valorizzazione delle Esperienze e dei prodotti Turistici Transfrontalieri nelle medie e Alte quote - coofinanziato all'interno del Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia - Svizzera 2007 - 2013 Responsabile di Progetto: Renata Viviani; Coordinatori di Progetto: Renato Aggio, Monica Brenga; Segreteria: Giovanni Pozzi, Vincenzo Palomba (Presidente Otto Commissione Escursionismo CAI Lombardia), Marcello Sellari (Presidente Commissione Seniores CAI Lombardia); Consiglio Direttivo: Enrico Radice, Germana Mottadelli, Rinaldo Marcandalli, Claudio Proserpio, Laura Colombo, Carlo Cetti, Giuseppina Ietto, Franco Capitanio, Anna Gerevini, Roberto Guerci.


Vademecum per gli escursionisti seniores Progetto MAS “Montagna Amica della Salute�



Presentazione della Commissione Medica del CAI Lombardia Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo cambiamento della struttura demografica dei paesi industrializzati, con un aumento dell’età media della popolazione dovuto principalmente all’incremento del numero di soggetti che, per definizione, rientrano nella fascia degli “anziani”. Tale fenomeno è inoltre in ulteriore evoluzione; secondo le più recenti stime entro il 2060 in Europa ci saranno solo due persone in età lavorativa per ogni over 65. Oggi il rapporto è di 4 a 1. A tale cambiamento non si sottrae neppure la popolazione italiana, che già oggi è costituita per oltre il 20% da soggetti di 65 anni o più. Arrivare alla terza età e viverla al meglio, conducendo una vita indipendente e attiva il più a lungo possibile è il sogno di tutti, ma è anche una delle principali sfide dei sistemi sanitari mondiali. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, accanto agli anziani “in gamba” convive, infatti, una fetta della popolazione che invecchia male, e fino ai due terzi degli europei in età pensionabile è afflitta da almeno due malattie croniche. L’importanza di questa tematica è stata recentemente riconosciuta e rilevata anche dalla Commissione Europea, che ha dedicato il 2012 all’invecchiamento attivo e in salute. In altre parole, la sfida è rendere la “terza età” sinonimo di salute, preparando ognuno di noi a un invecchiamento dinamico e ricco di vita di relazione e intellettiva. Questa sfida è stata raccolta anche dal Raggruppamento Regionale Lombardo dei soci e delle Sezioni del Club Alpino Italiano (CAI Lombardia) con la partecipazione al “Progetto VETTA”, un Programma Operativo di Cooperazione Transfrontaliera ItaliaSvizzera svoltosi nel periodo 2007-2013 - nell’ambito del quale si è voluta sviluppare la tematica “Montagna Amica della Salute”, proprio per diffondere tra i Gruppi Seniores del Club Alpino Italiano e non la cultura dell’Escursionismo come pratica per migliorare la salute e il benessere psico-fisico. Questo Vademecum nasce quindi nell’ambito di questa iniziativa, con l’obiettivo di fornire agli escursionisti seniores uno strumento di semplice consultazione, contenente le informazioni essenziali per prepararsi all’attività escursionistica e per riconoscere e gestire i più comuni problemi sanitari che possono verificarsi in montagna. Con il più caro augurio di tante, gioiose e sane camminate in montagna! Dott. Luca Barcella Presidente Commissione Medica CAI Lombardia Milano, settembre 2014


Avvertenze Gli Autori hanno compiuto tutti gli sforzi possibili per fornire informazioni accurate e aggiornate al momento della realizzazione del presente vademecum. Tuttavia, considerando che la medicina è una scienza in costante evoluzione, che il trattamento di alcune condizioni non è stato ancora stabilito con chiarezza e che l'errore umano è sempre possibile, gli Autori non garantiscono che le informazioni contenute in questo vademecum siano accurate e complete, e non devono essere considerati responsabili per errori o omissioni derivanti dall'uso di queste informazioni. Inoltre, le informazioni fornite non sostituiscono in alcun modo il giudizio del medico curante, l'unico autorizzato a fornire una consulenza medica. Fotografie a cura di Fabrizio Zanchi, Luciano Breviario, Marco Caccia e Tino Rovetta. Le immagini, gli schemi e i disegni utilizzati per illustrare i vari capitoli sono stati tratti da siti Web. Gli Autori


Gli Autori Dott. Giancelso Agazzi Dirigente Medico presso l’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate Specialista in Patologia Clinica e Farmacologia Clinica Perfezionato in Medicina di Montagna Membro della Società Italiana di Medicina di Montagna Commissione Medica Centrale del Club Alpino Italiano Dott. Luca Barcella Dirigente Medico presso l’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo Specialista in Patologia Clinica Perfezionato in Medicina di Montagna Membro della Società Italiana di Medicina di Montagna Commissione Medica CAI Lombardia Dott. Dario Benedini Medico Pedodontista Istruttore di soccorso dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza della Lombardia Coordinatore Sanitario della V Delegazione Bresciana del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino Perfezionato in Medicina di Montagna Membro della Società Italiana di Medicina di Montagna Commissione Medica Regionale CAI Lombardia



Prof. Marco Cosentino Professore di Farmacologia Medica Direttore del Centro di Ricerca in Farmacologia Medica, Università degli Studi dell'Insubria, Varese Medico Chirurgo, Dottore di Ricerca in Farmacologia e Tossicologia Dott.ssa Simona Lombardo Collaboratore presso il Centro di Ricerca in Farmacologia Medica, Università degli Studi dell'Insubria, Varese Farmacista specialista in Farmacologia, Dottore di Ricerca in Farmacologia Clinica e Sperimentale Dott.ssa Franca Marino Ricercatore di Farmacologia Medica Coordinatore del Corso di Dottorato di Ricerca in Farmacologia Clinica e Sperimentale, Università degli Studi dell'Insubria, Varese Specialista in Farmacologia e Tossicologia Dott. Carlo Plaino Psicologo Clinico e di Comunità Membro dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia


Indice

01 02

PREPARARSI ALL’ATTIVITÀ ESCURSIONISTICA ALLENAMENTO

L. Barcella

05

ALIMENTAZIONE

09

ABBIGLIAMENTO

L. Barcella

L. Barcella e G. Agazzi

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LA MIA SALUTE IN MONTAGNA

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LA MIA SALUTE

D. Benedini

I MIEI MEDICINALI

24

M. Cosentino, S. Lombardo e F. Marino

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NOZIONI FONDAMENTALI RIGUARDO AI PIÙ COMUNI PROBLEMI SANITARI IN MONTAGNA

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PRINCIPALI PROBLEMI DI TIPO TRAUMATICO

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PATOLOGIE DA AGENTI FISICI

L. Barcella e G. Agazzi

L. Barcella


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PUNTURE E MORSI G. Agazzi

76

D. Benedini

86

PRINCIPI DI PRIMO SOCCORSO IN CASO DI PERDITA DI COSCIENZA E D’INALAZIONE DI CORPI ESTRANEI D. Benedini

91

PRINCIPI DI PRIMO SOCCORSO IN CASO D’INALAZIONE DI CORPI ESTRANEI

94

LA CHIAMATA DEI SOCCORSI ORGANIZZATI

MAL DI MONTAGNA

D. Benedini

D. Benedini

102

LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE IN SITUAZIONI DI EMERGENZA

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BIBLIOGRAFIA

C. Plaino


PREPARARSI ALL’ATTIVITÀESCURSIONISTICA


Allenamento - L. Barcella Nell’anziano, ancor più che nel giovane, l’attività fisica rappresenta un fattore fondamentale per il mantenimento della salute. In questa fascia di età, l’attività fisica produce, infatti, degli effetti benefici molto più evidenti che nel giovane e, viceversa, l’inattività e la sedentarietà producono degli effetti negativi molto più accentuati. Tutte le ricerche a oggi svolte sono concordi nell’osservare come l’attività fisica negli over 65 eserciti un’azione protettiva nei confronti delle malattie del cuore, dell’ictus, della pressione alta, del diabete mellito e del cancro (in particolare quello del colon e della mammella) e come si associ a uno stato di benessere psico-fisico più elevato, caratterizzato da una maggiore funzione cardiorespiratoria, muscolare, ossea, metabolica e da una migliore performance intellettiva. Inoltre, l’attività fisica rallenta la perdita di massa muscolare, fenomeno che occorre inevitabilmente già dai 35-40 anni di età, e migliora la coordinazione motoria, fattori entrambi fondamentali per la prevenzione delle cadute e dei traumi. In sintesi, svolgere attività fisica aiuta il nostro corpo a mantenersi più sano e più longevo. Tutto ciò è vero se l’attività fisica è svolta in modo regolare e appropriato, in altri termini se ci alleniamo in modo costante e corretto. A tal riguardo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda, nell’età anziana, lo svolgimento di almeno 150 minuti di attività aerobica d’intensità moderata o di almeno 75 minuti di attività aerobica vigorosa (oppure una combinazione bilanciata di entrambe) nel corso della settimana. In termini pratici ciò corrisponde allo svolgimento di almeno 30 minuti di attività aerobica moderata o di 15 minuti di attività aerobica vigorosa per 5 volte la settimana. Sempre secondo le raccomandazioni dell’OMS, nelle persone di età maggiore ai 65 anni, si possono ottenere ulteriori benefici per la salute aumentando il volume settimanale dell’attività aerobica fino a un massimo di 300 minuti di esercizio d’intensità moderata o di 150 minuti di attività vigorosa. Inoltre è consigliata un’attività di potenziamento dei principali gruppi muscolari almeno 2 volte la settimana. È quindi l’attività aerobica quella fondamentale per allenare la nostra salute. Ma, cosa significa svolgere attività aerobica? Significa che le reazioni biochimiche che producono l’energia necessaria per il lavoro muscolare avvengono in presenza di ossigeno. Il lavoro muscolare aerobico può essere protratto per tempi anche molto lunghi (ore) ed è quindi quello prevalente negli sport di resistenza come il camminare, l’andare in bicicletta e il correre su lunghe distanze. L’attività aerobica si contrappone a quella anaerobica, durante

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PREPARARSIALL’ATTIVITÀESCURSIONISTICA la quale l’energia utilizzata dai muscoli viene prodotta senza il consumo di ossigeno. Il lavoro muscolare anaerobico può essere protratto solo per tempi limitati (minuti) ed è quindi quello prevalente negli sport di potenza, come la corsa sui 100 metri e il sollevamento pesi, durante i quali i muscoli sprigionano il massimo della loro forza. Un modo per capire se stiamo svolgendo un’attività aerobica o anaerobica consiste nel misurare la frequenza cardiaca (FC). In linea di massima, se la FC sta al di sotto dell’80-85% di quella massima teorica (FC max) stiamo svolgendo un’attività prevalentemente aerobica, mentre al di sopra di questa soglia aumenta progressivamente la componente anaerobica. Una stima della FC max può essere ottenuta con la seguente formula: FC max = 220 - (età in anni). La FC può essere facilmente monitorata per mezzo di un cardiofrequenzimetro, che nella maggior parte dei casi può essere impostato in modo da segnalarci quando la nostra FC supera il valore desiderato. In modo ancora più semplice, possiamo affermare che stiamo facendo un’attività prevalentemente aerobica se durante l’esercizio riusciamo tranquillamente a parlare con i nostri compagni e che, viceversa, stiamo facendo un’attività con componente anaerobica crescente se riusciamo a parlare con difficoltà oppure se ci non riusciamo per niente e ci viene il fiatone. Poiché l’attività anaerobica non può essere protratta molto a lungo, se camminiamo con il fiatone dovremo aspettarci che entro non molto subentri uno stato di affaticamento che ci costringerà a fermarci o quanto meno a rallentare il passo. Fatte queste premesse, possiamo meglio comprendere come l’escursionismo in montagna, svolto senza eccessi e in modo regolare, rappresenti un ottimo modo di fare dell’attività fisica aerobica e quindi di allenare la nostra salute, specialmente nell’età anziana. Di seguito alcuni semplici consigli per prepararsi al meglio a tale tipo di attività. Per svolgere in modo sano e sicuro l’escursionismo in montagna bisogna innanzitutto raggiungere una sufficiente forma fisica di base, per esempio seguendo le raccomandazioni generali dell’OMS sull’attività fisica descritte precedentemente. In seguito ci si può cimentare in una prima facile escursione, su un sentiero con una pendenza tra il 10 e il 25%, con un dislivello non superiore ai 500 metri e della durata complessiva non superiore alle 2 ore, e valutare la reazione del proprio fisico. La comparsa nei giorni successivi di una sensazione di benessere indica che siamo in grado di affrontare tale tipo di esercizio e che potremo, in modo graduale, aumentare l’intensità e la durata delle nostre escursioni; viceversa, la comparsa d’indolenzimenti muscolari o articolari e/o di affaticamento ci indicherà che dovremo iniziare con escursioni meno impegnative.

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Una volta definito il proprio livello escursionistico di base si potrà procedere alla pianificazione delle successive uscite in montagna. Per migliorare le proprie capacità escursionistiche si dovrà aumentare in modo graduale l’impegno complessivo delle uscite (dislivello, lunghezza, durata) e la frequenza delle stesse, mentre per mantenere il livello di allenamento raggiunto sarà sufficiente ripetere con regolarità escursioni di simile impegno complessivo. Per un soggetto anziano ben allenato, compiere escursioni giornaliere fino a 3-5 ore di durata costituisce un’attività ben tollerata. Prima e al termine di ogni attività fisica bisogna sempre dedicare una decina di minuti allo svolgimento di alcuni esercizi di stretching dei principali gruppi muscolari. Inoltre nei primi 10-20 minuti di camminata bisogna mantenere un’andatura molto bassa in modo da garantire un adeguato riscaldamento muscolare. Tutto ciò è particolarmente importante nell’età anziana, in cui il rischio di andare incontro a traumi dell’apparato muscolo-scheletrico è più elevato. Si ricorda che in caso di lunghe pause dall’attività fisica il proprio livello di allenamento necessariamente cala; pertanto non si potrà pretendere di riprendere fin da subito con la medesima intensità ma si dovrà riprendere l’attività fisica in modo graduale, per esempio con una prima escursione “test”, come sopra descritto. Un’ultima ma fondamentale, considerazione va infine posta riguardo proprio stato di salute. Prima di cimentarsi in qualsiasi forma di attività fisica è fondamentale un’attenta e onesta valutazione delle proprie condizioni di salute e delle eventuali patologie con cui si convive, in modo da identificare e riconoscere i propri limiti. A tal fine ci si può rivolgere al proprio medico di famiglia che potrà indicare l’esecuzione di eventuali test e/o controlli specialistici. Forzare bruscamente le proprie capacità e i propri limiti determina l’insorgenza d’infortuni o malesseri anche gravi; viceversa allenarsi regolarmente e nel rispetto dei propri limiti, è fonte di benessere e rappresenta uno dei fattori determinanti per un invecchiamento sano, attivo e felice.

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PREPARARSIALL’ATTIVITÀESCURSIONISTICA

Alimentazione - L. Barcella Insieme allo svolgimento di una regolare attività fisica, l’osservazione di un’alimentazione corretta e bilanciata rappresenta l’altro fattore cardine per vivere in modo salutare e positivo, in particolare nell’età anziana. A sostegno di ciò un recente studio su oltre 2500 soggetti anziani ha evidenziato come il seguire un’alimentazione sana, caratterizzata cioè da un alto contenuto di frutta, verdura, pane integrale, carne di pollo, pesce, e di prodotti caseari magri, e da una bassa assunzione di cibi fritti, dolci, carne rossa, bevande caloriche e di grassi, si associa a un miglior stato nutrizionale, a una migliore qualità della vita e a una minore mortalità. Nell’anziano l’alimentazione deve essere particolarmente attenta anche in considerazione delle modificazioni fisiologiche del metabolismo corporeo e dell’eventuale presenza di patologie. In generale, rispetto all’età adulta, quella anziana è caratterizzata da un fabbisogno calorico complessivamente minore (in relazione alla diminuzione dell’attività fisica e della massa muscolare) e da un uguale o aumentato fabbisogno di vitamine, sali minerali e oligoelementi. Ciò significa che non è più possibile mangiare le medesime “quantità” di cibo che si assumevano da giovani e che bisogna curare di più la “qualità” dei cibi. Per esempio, oltre i cinquant’anni, occorre aumentare l’apporto di calcio e di vitamina D, per ridurre il rischio di osteoporosi e fratture. Particolari precauzioni nell’alimentazione andranno poi apportate in caso di malattie metaboliche come il diabete mellito, condizione quest’ultima particolarmente frequente nell’età anziana. In tal caso, prima di intraprendere qualsiasi forma di attività fisica, sarà imperativo sottoporsi a una valutazione specialistica per programmare con attenzione i necessari controlli prima e durante l’escursione e regolare di conseguenza l’assunzione degli alimenti e delle terapie. Per esempio, nel caso si soffra di diabete, sarà necessario monitorare la glicemia prima e durante l’escursione e regolare di conseguenza l’assunzione delle terapie antidiabetiche e del cibo. Un breve cenno anche riguardo il peso corporeo. Quantità eccessive di grasso corporeo costituiscono, infatti, un pericolo per la salute, soprattutto per il rischio d’insorgenza di alcune malattie (diabete, ipertensione arteriosa) che predispongono all’infarto miocardico, per l’aumentato rischio di contrarre alcuni tipi di cancro, e per le conseguenze “meccaniche” provocate dal sovraccarico di peso sulle articolazioni (colonna vertebrale, ginocchia, anche). Tanto maggiore è l’eccesso di peso dovuto al grasso, tanto maggiore è il rischio. Problema

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inverso all’obesità, ma altrettanto grave, è anche quello della magrezza! Di seguito ecco allora una semplice regola per valutare rapidamente il proprio peso corporeo e per apportare gli eventuali adeguamenti della propria dieta (meglio se con l’aiuto di uno specialista!) al fine di raggiungere un peso normale: IMC (Indice di Massa Corporea) = peso (in Kg) / (altezza in metri)2. Valori di IMC compresi tra 19 e 25 indicano una condizione di peso corporeo normale; per valori di IMC < 19 siamo sottopeso; per valori di IMC compresi tra 25 e 30 siamo sovrappeso; infine per valori di IMC > 30 è presente una condizione di obesità. Prendiamo ora familiarità con i principi alimentari, che sono distinti in: carboidrati (rappresentano le riserve energetiche di pronto utilizzo); proteine (hanno una funzione prevalentemente strutturale o enzimatica); grassi (costituiscono le riserve energetiche di lunga durata); vitamine, sali minerali, oligoelementi (presenti in piccole quantità nell’organismo ma assolutamente necessari per il corretto funzionamento dello stesso); acqua (è il principale nutriente e il principale elemento del corpo umano, costituendone oltre il 60% del suo peso). I carboidrati, le proteine e i grassi sono anche definiti “alimenti calorici” poiché sono quelli utilizzati dall’organismo come combustibile per produrre energia. In generale, il fabbisogno calorico giornaliero di un uomo adulto corrisponde a circa 2000-2300 Kcal. Tale valore è minore nelle donne e nell’età anziana, in considerazione della diminuzione dell’attività metabolica basale e della massa muscolare. Consideriamo inoltre che il fabbisogno calorico giornaliero aumenta con l’aumentare dell’attività fisica, e quindi anche con l’attività escursionistica. Nella vita quotidiana, il fabbisogno calorico giornaliero dovrebbe essere ripartito tra i principali nutrienti all’incirca nelle seguenti percentuali: carboidrati 55-60%, proteine 10-15%, grassi 20-30% e dovrebbe essere suddiviso in 4-5 pasti, prediligendo la colazione e il pranzo. Per quanto riguarda il tipo di alimenti è importante consumare quotidianamente frutta e verdura (complessivamente almeno 5 porzioni al giorno) e limitare l’assunzione di carni rosse, formaggi grassi e uova, preferendo come fonte di proteine il pesce, le carni bianche e i legumi che dovrebbero essere alternati tra loro nell’arco della settimana. Per quanto riguarda i condimenti sono preferibili l’olio extravergine di oliva, gli aromi e le spezie e va limitato l’uso del sale. L’apporto di vitamine e sali minerali è in genere garantito da un’alimentazione varia e da un adeguato consumo di frutta e verdura. Come anticipato, l’acqua è il nutriente più importante; se ne dovrebbe assumere circa 1 mL per ciascuna chilocaloria (Kcal) di alimenti introdotti, il che corrisponde a circa 2 litri di acqua al giorno in un uomo adulto. Il fabbisogno di liquidi deve

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PREPARARSIALL’ATTIVITÀESCURSIONISTICA inoltre essere aggiustato in considerazione dell’attività fisica svolta, durante la quale può essere persa una grande quantità di acqua con la respirazione e con la sudorazione. Facciamo molta attenzione al fatto che una rilevante mancanza di acqua (disidratazione) è già presente prima della comparsa della sete, e che tale condizione non è ben corretta dall’assunzione di liquidi indotta da questo stimolo; perciò, è importante prevenire la disidratazione e la sete bevendo regolarmente acqua durante tutto l’arco della giornata. Venendo alle nostre camminate in montagna, nei 3-4 giorni precedenti l’escursione è utile incrementare la quota dei carboidrati (fino al 70% delle calorie complessive) in modo da favorire l’accumulo degli stessi, sotto forma di glicogeno, nel fegato e nei muscoli. I carboidrati rappresentano, infatti, un’importante fonte energetica durante l’attività fisica ma sono consumati rapidamente; è quindi bene cercare di espandere il più possibile la riserva di questi nutrienti. A tal fine è fondamentale anche un regolare allenamento. Sempre nei giorni precedenti l’escursione è inoltre importante aumentare anche l’assunzione di acqua in modo da favorire una buona idratazione dell’organismo. La mattina prima dell’escursione bisogna idratarsi bene e fare una buona colazione, principalmente con carboidrati a basso indice glicemico (per es. pane e cereali integrali, marmellata senza zucchero, frutta fresca) che sono assorbiti gradualmente fornendo una buona fonte iniziale di energia. Sono invece da evitare prodotti preconfezionati o di pasticceria che contengano zuccheri aggiunti e/o grassi (brioche, dolciumi, cornetto del bar, marmellate, succhi di frutta o bibite zuccherate). I primi, infatti, sono ad alto indice glicemico, sono assorbiti rapidamente, e provocano un brusco aumento della glicemia che è sfavorevole per la prestazione fisica e, più in generale, per il metabolismo. I grassi invece rallentano lo svuotamento dello stomaco e quindi la digestione e l’assimilazione dei nutrienti. È invece consigliabile l’assunzione di una piccola quantità di proteine (per es. 2-3 mandorle o una noce) poiché contribuisce a migliorare la risposta metabolica ai carboidrati (questo consiglio è valido per ogni pasto). Durante l’escursione dobbiamo assumere a intervalli regolari piccole quantità di carboidrati e acqua, perché sono questi i due nutrienti che vengono principalmente e più velocemente consumati dal nostro organismo durante l’attività fisica. Inoltre se le riserve di carboidrati e acqua si esauriscono compaiono stanchezza e crampi muscolari. Considerando che il cibo e i liquidi necessari vanno portati con lo zaino dobbiamo anche considerare l’ingombro e il peso degli stessi. Meglio quindi favorire frutta secca, barrette energetiche e qualche biscotto secco, poco ingombranti, leggeri e facilmente digeribili, ai classici panini imbottiti che sono più ingombranti e in genere meno digeribili, soprattutto se conditi con salsine varie. È comunque utile

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portare un pezzo di pane che, riempiendo maggiormente lo stomaco rispetto alle sole barrette, aiuta a risolvere il tipico senso della fame di mezzogiorno, così come della frutta fresca o della verdura che costituiscono anche una fonte di vitamine, sali minerali e acqua. Per quanto riguarda i liquidi, vanno preferite le bevande iso- o ipotoniche (cioè con una concentrazione di sali e carboidrati uguale o inferiore a quella del sangue) subito seguite dalla normalissima acqua. Il the è meno preferibile in quando può avere un’azione diuretica (favorisce cioè l’eliminazione dell’acqua con le urine) anche se in giornate particolarmente fredde una buona tazza di the caldo è senza dubbio sempre apprezzata! Per la loro ipertonicità e per il contenuto di carboidrati ad alto indice glicemico sono invece assolutamente sconsigliate le bibite zuccherate! Mentre camminiamo bisogna bere frequentemente (circa 150-250 mL ogni 10-20 minuti) con l’obiettivo di assumere, complessivamente, 600-1000 mL di liquidi in un’ora. Il principale limite nel rispettare questo suggerimento consiste nel peso e nell’ingombro delle bevande e nella necessità di continuare a fermarsi per bere. Ecco perché è importante idratarsi bene nei giorni precedenti, immediatamente prima e al termine dell’escursione, e conoscere bene le caratteristiche del percorso, la possibilità di rifornirsi di acqua, le condizioni climatiche (umidità e temperatura) e avere un abbigliamento adeguato. Una possibile soluzione per evitare continue soste consiste invece nell’utilizzare le cosiddette “camel-bag”, che sono sacche da collocare nello zaino che possono contenere da 1 a 5 litri di acqua, e che sono fornite di un tubo che può essere comodamente fissato allo spallaccio dello zaino. Infine, conclusa la camminata, dovremo curare il reintegro della rimanente quota di liquidi persa, dei sali minerali, delle proteine consumate e ripristinare le riserve di glicogeno. Per questo ultimo fine è utile sapere che la capacità di sintesi muscolare di glicogeno è massima nelle prime 2-3 ore dopo la fine dell’attività.

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PREPARARSIALL’ATTIVITÀESCURSIONISTICA

Abbigliamento - L. Barcella e G. Agazzi L’abbigliamento da montagna ha subìto nel corso del tempo grandi cambiamenti, legati ad aggiornamenti e miglioramenti volti alla ricerca di una sempre maggiore traspirabilità, impermeabilità e leggerezza. Si è così passati dal classico abbigliamento in fibre naturali (lana, cotone, seta), in voga fino agli anni ‘80, fino all’attuale sviluppo di tessuti in fibre sintetiche e di sistemi di costruzione innovativi che hanno messo a disposizione degli appassionati nuovi capi molto performanti. La scelta di capi tecnicamente adeguati ha lo scopo di proteggere il corpo dalle azioni degli agenti fisici esterni (caldo, freddo, vento, pioggia e radiazioni ultraviolette) e di evitare brusche variazioni della temperatura corporea, consentendoci così di vivere l’ambiente montano in modo confortevole e sicuro. Tutto ciò è particolarmente importante nell’anziano, in cui i meccanismi di controllo della temperatura corporea sono rallentati con un conseguente maggior rischio di abbassamenti o rialzi eccesivi della stessa (ipotermia e congelamenti, così come colpi di calore o di sole e disidratazione). La classica regola dell’abbigliamento a strati è sempre valida e, nei giorni nostri, è facilitata dall’elevata qualità dei capi. Durante l’attività fisica i muscoli sviluppano molto calore che deve essere ceduto all’ambiente esterno, pena un aumento eccessivo della temperatura corporea. Sarà quindi importante indossare un primo strato con capi a elevata “traspirabilità”, capaci cioè di far passare un’alta quantità di vapore acqueo senza che questo sia intrappolato nel tessuto. L’assorbimento e il passaggio allo stato liquido del vapore nel tessuto determinano, infatti, la classica sensazione di “bagnato”, condizione che non solo è sconfortevole ma anche controproducente al fine della dispersione di calore e della protezione del corpo dal raffreddamento una volta cessata l’attività. Naturalmente, tutto ciò assume particolare importanza quando si compiono escursioni in ambienti freddi, durante le quali bisogna contemporaneamente proteggersi dal freddo e cedere il calore prodotto con l’attività muscolare. Gli strati di abbigliamento successivi andranno quindi scelti in base alle condizioni meteorologiche e al tipo di attività che si sta facendo. In caso di una breve sosta con temperature ambientali inferiori ai 20-25 °C andrà sempre indossato uno strato protettivo con bassa “permeabilità all’aria” (k-way tecnico, “guscio”) in modo da evitare bruschi cali della temperatura

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corporea. Ciò diventa particolarmente importante in caso di vento che accelera di molto la perdita di calore corporeo con un meccanismo definito “convettivo”. In caso di soste un po’ più prolungate cambiamo i capi bagnati con altri asciutti, in particolare se costituiscono il primo strato e sono fatti con tessuti poco traspiranti. In caso di pioggia si dovrà indossare uno strato protettivo “impermeabile”, meglio se abbinato a un’alta traspirabilità se si utilizza mentre si cammina, pena trovarsi dopo pochi minuti completamente fradici per la condensazione del vapore nel lato interno dell’indumento (esperienza senza dubbio da tutti sperimentata con l’utilizzo dei classici k-way o mantelline di plastica). In caso di freddo intenso si dovrà invece indossare uno strato a elevata “capacità termica” (per es. pile pesante o giacca in piumino). Infine, ricordiamoci che nessuna parte dell’organismo deve restare priva di protezione. A tal fine ricordiamoci di indossare sempre un cappello per proteggere la testa dal sole, e di tenere sempre nello zaino un copricapo pesante e un paio di guanti in caso di bruschi cambiamenti del tempo. La testa è, infatti, una parte del corpo che perde molto calore, mentre le estremità (mani, piedi, naso e orecchie) sono particolarmente esposte al rischio di congelamenti (ancor più in caso si soffra di disturbi della circolazione).

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LA MIA SALUTE IN MONTAGNA


La mia Salute - D. Benedini Attualmente l’età in cui una persona diventa “anziana” viene convenzionalmente fatta coincidere con la soglia d’ingresso nell’età pensionabile, e cioè i 65 anni: questo criterio è condiviso anche dall’ISTAT, che definisce “popolazione anziana” quella composta da chi ha compiuto 65 anni, contrapponendola alla fascia d’età compresa tra i 14 e i 64 anni, considerata invece “popolazione attiva”. L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) è l’ente italiano che si occupa dei censimenti. I dati relativi alla popolazione italiana ci raccontano che nel decennio compreso fra il 2003 e il 2013 l’età media della popolazione è passata da 42 a 44 anni; l’indice di vecchiaia (ovvero persone ultrasessantacinquenni ogni 100 ragazzi di età inferiore ai 15 anni) è aumentato dal 134% al 154%; la popolazione con più di 65 anni rappresentava il 19% ed ora è il 21%; la speranza di vita a 65 anni per le donne era di 21 anni attualmente è di 22 anni, mentre per i maschi è aumentata da 17 a 19 anni. Molte persone nel mondo vivono più a lungo, soprattutto nel nostro paese, in virtù delle favorevoli condizioni ambientali, alimentari e assistenziali. “ … Il nostro mondo sta cambiando: · Il numero di persone che oggi hanno un’età pari o superiore ai 60 anni è raddoppiato rispetto al 1980 · Entro il 2050 il numero di ottantenni sarà quasi triplicato raggiungendo la cifra di 395 milioni di persone · Nei prossimi 5 anni il numero di adulti di età pari o superiore ai 65 anni supererà quello dei bambini di età inferiore ai 5 anni · Entro il 2050 il numero di adulti in questa fascia di età supererà quello di tutti i bambini di età inferiore ai 14 anni · La maggioranza degli anziani vive in paesi ad alto e medio reddito. Entro il 2015 il loro numero sarà aumentato dell’80%. Ministero della Salute, Dipartimento della Sanità Pubblica e dell’Innovazione, Direzione Generale dei rapporti europei e internazionali, Ufficio III.

L’aumento dell’aspettativa di vita ha consentito a una parte degli individui di raggiungere un’età avanzata in buone condizioni di salute, ma ha determinato anche una crescita del numero di anziani affetti da malattie croniche e disabilità. Il benessere nell’anziano si può costruire affinché la vita che ancora vuole e può vivere si svolga in buona salute. Per questo motivo bisogna chiedersi: cosa possiamo fare per migliorare le condizioni di vita in età avanzata?

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LAMIASALUTEINMONTAGNA La risposta semplice e sostenuta da evidenze scientifiche, prevede tre comportamenti corretti: 1. Alimentazione adeguata 2. Attività fisica regolare e non eccesiva 3. Astensione delle abitudini voluttuarie dannose (fumo, alcol…) Circa 2500 anni fa … Ippocrate (460 – 377) affermava “… se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento e di esercizio fisico ne in difetto ne in eccesso avremmo trovato la strada per la salute…”. Nel corso dell’invecchiamento si verifica una progressiva riduzione età-correlata della funzione di numerosi organi (cuore, reni, polmoni, sistema immunitario …) con conseguente aumento della vulnerabilità di fronte a vari agenti patogeni e stimoli ambientali che genera la condizione di “fragilità” della persona anziana.

· Modificazioni di carattere generale: la riduzione delle riserve funzionali associata ad una minore efficienza dei sistemi integrativi, nervoso, immunitario e endocrino rende l’anziano meno capace di adattarsi all’ambiente.

· Modificazioni cardiovascolari: la competenza del cuore a svolgere la funzione di pompa per soddisfare le esigenze di ossigeno e nutrienti degli altri organi dell’organismo diminuisce. I vasi sanguigni diventano più rigidi con un lume più piccolo che ostacola il flusso del sangue; queste condizioni provocano 4 principali conseguenze:

o ridotta capacità di apporto di ossigeno ai muscoli con conseguente ridotta capacità di esercizio fisico aerobico o aumento della pressione arteriosa massima

o ridotta capacità di adattamento della pressione arteriosa ai cambiamenti repentini di posizione del corpo come ad esempio la transizione dalla posizione sdraiata alla stazione eretta che può associarsi a vertigine e a volte con caduta a terra o aumento del rischio di insufficiente apporto di sangue agli organi (eventi ischemici) come l’ictus o l’infarto del cuore …

· Modificazioni del sistema respiratorio: la gabbia toracica e il polmone per-

dono parte della loro elasticità, i muscoli respiratori diventano meno efficienti, la capacità del polmone di contenere aria e scambiare ossigeno con il sangue si riduce con conseguente difficoltà respiratoria durante lo sforzo fisico soprattutto in montagna.

· Modificazioni muscolari: la massa muscolare si riduce con riduzione della 13


forza, della resistenza e dell’equilibrio. La diminuzione di volume dei muscoli riduce la produzione di calore, il contenuto di acqua, il metabolismo basale e il consumo di glucosio.

· Modificazioni osteoarticolari: la massa ossea si riduce con minor resistenza alle sollecitazioni meccaniche e aumento del rischio di fratture (osteopenia, osteoporosi). Le cartilagini e i tendini contenendo meno fibre elastiche e acqua hanno una ridotta efficienza biomeccanica.

· Modificazioni nella capacità di produrre energia: la capacità massima a

produrre energia attraverso il metabolismo aerobico e quindi di compiere un’attività motoria utilizzando il metabolismo aerobico si riduce con l’età, soprattutto nei soggetti che non praticano regolarmente attività fisica. La funzione cardiovascolare, quella respiratoria e quella muscolare costituiscono i fattori determinanti la capacità aerobica.

La montagna è un luogo favorevole per svolgere una corretta attività fisica, sia per il ridotto inquinamento industriale e urbano che per l’opportunità di stabilire efficaci e salutari relazioni con l’ambiente attraverso l’aria respirata, l’acqua bevuta, gli alimenti consumati e le emozioni sentite, poiché l’uomo come qualsiasi altro organismo vivente è tale solo nella relazione con il proprio ambiente, senza il quale è destinato a diventare concretamente prima ancora che metaforicamente mero cadavere. Il 23 maggio del 2013 l’alpinista Yuichiro Miura, nato in Giappone il 13 ottobre del 1933, è salito per la terza volta sulla cima del monte Everest diventando l’uomo più vecchio a raggiungere la vetta del modo all’età di 79 anni e 7 mesi. Il suo commento è stato: “ … mi sento l’uomo più felice al mondo. Non mi sono mai sentito così in tutta la mia vita. Ma non mi sono mai sentito neanche tanto stanco, posso vedere il paesaggio della catena dell’Himalaya sotto di me. Ringrazio tutti per il loro sostegno ”. Le ascensioni precedenti sono state compiute rispettivamente il 22 marzo 2003 all'età di 70 anni e il 26 maggio 2008 a 75 anni. Yuchiro è inoltre l’unico ad aver percorso con gli sci le pendici dell’Everest sciando dal Colle Sud alla base del Lhotse utilizzando un paracadute per rallentare la discesa. Uno studio giapponese pubblicato nel 2002 su un importante rivista scientifica statunitense (Saito et al. Am J Emerg Med. 2002) ha esaminato 176 escursionisti mettendo in evidenza che il 70% aveva un’età superiore a 50 anni e che fra coloro che avevano più di 70 anni il 75% aveva una malattia preesistente. L’incremento della popolazione anziana, la consapevolezza che l’attività fisica contribuisce a costruire lo stato di salute e che “la buona salute aggiunge vita agli anni” ha determinato un aumento del numero dei frequentatori della montagna con età superiore ai 60 anni sia in buone condizioni che con patologie croniche,

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LAMIASALUTEINMONTAGNA generando la necessità di definire quali malattie possono controindicare, limitare o condizionare l’accesso al mondo della montagna. La Società Italiana di Medicina di Montagna( SIMeM) ha fornito indicazioni comportamentali precise per alcune malattie croniche e in particolari condizioni fisiologiche.  Malattie cardiovascolari  Malattie respiratorie  Malattie metaboliche: diabete mellito, sindrome metabolica  Malattie delle ghiandole endocrine: ipertiroidismo e ipotiroidismo  Malattie dell’occhio  Malattie del sangue  Malattie gastrointestinali  Malattie renali  Malattie neurologiche  Malattie dei denti Prima di prendere in esame la relazione tra alcune patologie croniche più frequenti con l’ambiente di montagna è necessario fornire alcune indicazioni: Definizione della quota (Bartsch, 2008)

· · · · ·

Livello del mare: da 0 a 500 m. Bassa quota: da 500 a 2000 m. Media quota da 2000 a 3000 m. Alta quota: 3000 a 5500 m Quota estrema: > 5500 m

Il coinvolgimento psico-fisico della persona esposta alla quota è maggiore se si tratta di permanenza con pernottamento e svolgimento di attività fisica, rispetto al semplice transito con un mezzo meccanico. Norme generali di comportamento in montagna

· L’attività motoria ricreativa deve essere intrapresa solo dopo il parere favorevole del medico di famiglia o del medico specialista.

· Verificare con il proprio medico di famiglia che la terapia in atto non inter-

ferisca con i farmaci per la prevenzione e il trattamento del male acuto di

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montagna.

· Informare i compagni con i quali si condivide l’esperienza delle proprie con-

dizioni di salute, e quali provvedimenti attuare in caso di necessità, distribuendo un foglio con le istruzioni

· Malattie acute di qualsiasi natura, sono una controindicazione a svolgere l’attività fisica

· Prima di affrontare un esercizio fisico impegnativo in montagna è necessario aver effettuato un adeguato allenamento in pianura condiviso con il medico di famiglia e/o con il medico specialista

· L’attività fisica in montagna deve essere compiuta sempre con gradualità per consentire un accurato adattamento dell’organismo soprattutto i primi 3-4 giorni

· Evitare di svolgere l’attività alpinistica da soli · Evitare ripetute e rapide salite in quota con mezzi meccanici (ad esempio funivie) seguite da altrettanto rapide discese (sciatori)

· La presenza di condizioni ambientali sfavorevoli (temperature molto basse o elevate, vento, umidità) costituisce una limitazione o un impedimento a compiere attività motoria all’aperto

· Bisogna prestare molta attenzione a cambiamenti dello stato di salute insorti

durante o subito dopo l’attività alpinistica come dolore al torace, improvvisa difficoltà respiratoria, vertigini, stanchezza non proporzionata allo sforzo compiuto

· Evitare situazioni alpinistiche che richiedono un impegno muscolare elevato e continuativo o che suscitano una partecipazione emotiva rilevante

· Oltre la quota di 2500 – 3000 m la riduzione del contenuto di ossigeno

dell’aria atmosferica richiede un ridimensionamento dell’intensità dell’attività fisica

· Durane il sonno possono verificarsi episodi di temporanea interruzione del

respiro (apnee). Quando sono frequenti possono peggiorare le condizioni di salute della persona. In questa circostanza è necessario dormire a quote inferiori almeno di 1000 m

Malattie cardiovascolari

 Se la persona che desidera andare in montagna soffre di una delle seguenti

malattie, identificate con l’aiuto del Medico di Medicina Generale (medico di famiglia) e/o del medico specialista, NON PUÒ soggiornare a quote supe-

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LAMIASALUTEINMONTAGNA riori a 1800 m. La condizione clinica deve essere rivalutata annualmente e ogniqualvolta sia riferito un cambiamento delle condizioni di salute. o Infarto del miocardio avvenuto da meno di 4 settimane o Angina instabile

o Scompenso cardiaco congestizio

o Forme gravi di valvulopatia od ostruzione all’efflusso ventricolare o Aritmie ventricolari di grado elevato (> 4a classe di Lown) o Ipertensione polmonare

o Arteriopatia periferica sintomatica

o Ipertensione arteriosa grave o mal controllata

 Se la persona che desidera andare in montagna, soffre di una delle seguenti

malattie, identificate con l’aiuto del Medico di Medicina Generale (medico di famiglia) e/o del medico specialista, NON PUÒ soggiornare a quote superiori a 3000 m. La condizione clinica deve essere rivalutata annualmente e ogniqualvolta sia riferito un cambiamento delle condizioni di salute. o Infarto del miocardio avvenuto da oltre 4 settimane senza scompenso cardiaco, senza angina pectoris residua, senza aritmie, senza insufficienza cardiaca (classe funzionale III – IV NYHA) o Scompenso cardiaco in classe funzionale I e II senza ipertensione polmonare o Cardiopatie operate con giudizio favorevole del medico specialista:  difetti del setto interatriale o ventricolare

 persistenza del dotto di Botallo senza ipertensione polmonare  coartazione aortica  stenosi polmonare  forame ovale pervio  stenosi o insufficienza aortica e mitralica  cardiopatica ischemia aterosclerotica  trapianto di cuore

 Se la persona che desidera andare in montagna soffre di una delle seguenti

malattie, identificate con l’aiuto del Medico di Medicina Generale (medico

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di famiglia) e/o del medico specialista, può soggiornare a quote superiori a 3000 m. La condizione clinica deve essere rivalutata annualmente e ogniqualvolta sia riferito un cambiamento delle condizioni di salute. o ipertensione arteriosa ben controllata con terapia medica

o malattia coronarica stabile senza sintomi sotto sforzo a livello del mare o forame ovale pervio

Malattie respiratorie

 Asma Bronchiale o L’esposizione della persona con asma alle alte quote è favorevole per la ridotta presenza di inquinanti, allergeni. o L’esposizione all’alta quota è possibile solo per chi soffre di un’asma di grado lieve-moderato. o La terapia non deve essere mai sospesa.

o Evitare rapide ascensioni con mezzi meccanici soprattutto dopo i 3500 m. o Le basse temperature e il vento possono scatenare la crisi broncospastica, in queste circostanze la bocca deve essere protetta con una sciarpa. o La persona asmatica deve utilizzare la premedicazione consigliata dal medico nelle seguenti circostanze:  Prima dell’attività fisica, se il broncospasmo è evocato dall’esercizio.  Prima del pernottamento in rifugi a quote inferiori a 2500 m, se il broncospasmo è evocato dall’esposizione agli acari. o Le persone asmatiche che utilizzano, nel loro schema terapeutico, i corticosteroidi dovrebbero raddoppiare il dosaggio a quote superiori a 3000 m per l’aumento, in condizioni di ipossia, della corticotropina.

 Bronchite cronica o L’esposizione della persona con bronchite cronica alle basse quote è favorevole per la ridotta presenza di inquinanti, e per la minore umidità dell’aria.

 Bronchite cronica con ostruzione bronchiale (BPCO) o L’esposizione della persona con bronchite cronica ostruttiva all’ambiente

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LAMIASALUTEINMONTAGNA di montagna deve essere preceduta da una valutazione specialistica che comprenda, spirometria, emogasanalisi e test del cammino dei 6 minuti per valutare eventuale desaturazione dell’emoglobina durante l’attività fisica. o La permanenza in quota è controindicata per le persone in cui è prevista una riduzione dalla pressione parziale di ossigeno in montagna inferiore a 55 – 60 mmHg. o Le persone con Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) che utilizzano, nel loro schema terapeutico, i corticosteroidi dovrebbero raddoppiare il dosaggio a quote superiori a 3000 m per l’aumento, in condizioni di ipossia, della corticotropina. Malattie metaboliche

 Diabete mellito o Le persone con diabete Mellito insulino dipendente (ID) e non insulino dipendente (NID) in equilibrio glicemico, senza complicazioni possono compiere esercizio fisico in alta quota. o Le persone con diabete mellito non compensato e/o in presenza di complicanze non devono andare in alta quota. o I farmaci comunemente utilizzati nel trattamento del mal di montagna possono essere controindicati: l’acetazolamide (DIAMOX) può indurre chetoacidosi soprattutto se coesiste un’insufficienza renale; i corticosteroidi peggiorano il controllo della glicemia. o L’ipossia aumenta la necessità di insulina.

o L’esercizio fisico intenso riduce la necessità di insulina.

o I lettori di glicemia (glucometri) su sangue capillare possono in quota sottostimare i valori della glicemia. o La presenza di una vascolopatia periferica aumenta il rischio di congelamento.

 Sindrome Metabolica o L’esposizione delle persone con sindrome metabolica (obesità, ipertensione arteriosa, aumento della glicemia e del colesterolo) alle medie quote è favorevole. o L’esposizione delle persone con sindrome metabolica alle alte quote aumenta il rischio di male acuto di montagna.

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Malattie renali

 Nefropatia o Il rene svolge un ruolo fondamentale nella gestione della risposta all’ipossia ipobarica. Nelle persone con una malattia renale potrebbe mancare la risposta reale di adattamento all’ipossia la quale può a sua volta peggiorare la malattia renale. Inoltre il trattamento con acetazolamide è controindicato. Per queste ragioni l’esposizione alle alte quote è controindicato.

 Calcolosi renale o Le persone con calcoli renali devono evitare la disidratazione che può precipitare una colica renale. Malattie apparato digerente

 Malattie epatiche o L’esposizione all’alta quota delle persone con epatiti acute e croniche è controindicato per la segnalazione di alcuni autori che il decorso evolutivo peggiorativo della malattia può essere più rapido.

 Malattie infiammatorie croniche dell’intestino o L’esposizione all’alta quota delle persone con morbo di Crohn o Colite Ulcerosa è controindicato durante la fase attiva della malattia.

 Ulcera peptica, ragadi anali, emorroidi o L’esposizione all’alta quota delle persone con queste malattie è controindicato durante la fase attiva della malattia. Malattie della tiroide

 Ipotiroidismo o Le persone con ipotiroidismo compensato dalla terapia possono svolgere attività motoria a qualsiasi quota.

 Ipertiroidismo o Le persone con ipertiroidismo compensato dalla terapia possono svolgere attività motoria a qualsiasi quota. Malattie neurologiche

 Malattie cerebro-vascolari o Le persone che hanno sofferto di un attacco ischemico transitorio (TIA)

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LAMIASALUTEINMONTAGNA possono esporsi all’alta quota, dopo 3-6 mesi dall’evento. o Le persone con un rischio elevato di subire un evento cerebrovascolare acuto non possono esporsi all’alta quota. o Le persone con aneurismi cerebrali o stenosi severa di un’arteria cerebrale devono essere valutati singolarmente per stabilire l’idoneità a salire in quota.

 Malattie demielinizzanti o L’esposizione a quote inferiori a 3000 m non è controindicata; la persona deve però valutare se la propria disabilità è compatibile con le difficolta tecniche da affrontare. o L’esposizione a quote superiori a 3000 m richiede una risposta ventilatoria all’ipossia ipobarica ed è controindica se la muscolatura respiratoria è coinvolta.

 Emicrania o L’esposizione all’alta quota può favorire l’insorgenza di una crisi emicranica. o L’emicrania costituisce un fattore di rischio per eventi cerebrovascolari durante la permanenza in alta quota soprattutto se coesistono altri fattori di rischio quali il fumo di sigaretta, l’assunzione di estroprogestinici e la disidratazione.

 Epilessia o Le persone epilettiche in terapia, libere da crisi da almeno 6 mesi possono esporsi all’alta quota dopo una rivalutazione neurologica. o L’ipossia ipobarica, la risposta iperventilatoria e la conseguente alcalosi respiratoria sono potenziale evocatori della crisi epilettica. Malattie del sangue

 Anemia o L’esposizione alle alte quote di una persona con valori di emoglobina nel sangue inferiori a 10 g/dl è controindicata. o Persone con anemia lieve possono soggiornare a medie quote.

o L’esposizione a quote superiori a 2000 metri di una persona con anemia drepanocitica (anche detta anemia a cellule falciformi) è controindicata per l’elevata probabilità di infarti alla milza e/o in altri organi e di insorgenza di crisi di dolore.

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Malattie dell’occhio

 Occhio secco o Le persone che soffrono di questo disturbo alla quota abituale di residenza dovrebbero utilizzare lacrime artificiali nell’ascesa in quota.

 Difetti di rifrazione o Le persone con miopia, presbiopia, ipermetropia, astigmatismo compensano il loro difetto mediante l’uso di occhiali, lenti a contatto e in alcune circostanze con soluzioni chirurgiche.  Gli occhiali in alta quota possono creare disagio perché si appannano, interferiscono con la maschera d’ossigeno alle quote estreme e in caso di maltempo peggiorano la visione.  Le lenti a contatto sono difficili da gestire in una configurazione alpinistica in alta quota dove l’igiene, il corretto lavaggio delle lenti e la loro manipolazione sono complicate. Le lenti a contatto “usa e getta” risolvono solo in parte questi problemi. Comunque le lenti a contatto a quote estreme non dovrebbero essere utilizzate per un tempo superiore a 8-12 ore. Sono comunque consigliate le lenti morbide.  Chirurgia rifrattiva. Le persone sottoposte a cheratotomia radiale, possono manifestare dopo 24 ore di permanenza a quote superiori a 3000 m modificazioni della visione che rendono impossibile, ad esempio, leggere l’orologio. Gli interventi eseguiti con la tecnica laser sembrano non produrre in alta quota questo disturbo della visione.

 Glaucoma o Il glaucoma associato ad un danno del nervo ottico è una controindicazione al soggiorno in alta quota perché l’ipossia può aggravare le lesioni del nervo ottico. o La terapia con beta-bloccanti potrebbe ostacolare l’acclimatamento e la performance in quota; un efficace alternativa terapeutica è l’acetazolamide, indicata per la prevenzione ed il trattamento del mal di montagna e del glaucoma.

 Cataratta o Le persone con cataratta possono soggiornare a quote elevate senza temere effetti peggiorativi se proteggono gli occhi con occhiali anti-UV.

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LAMIASALUTEINMONTAGNA o Le persone con lente intraoculare, sottoposti a estrazione del cristallino, possono soggiornare a quote elevate. Malattie odontoiatriche

 Ascessi dentali, processi cariosi o Le persone con ascessi dentali o carie in fase attiva o quiescenti che possono riattivarsi durante l’esposizione all’alta quota (depressione della risposta immunitaria), dovrebbero risolvere la malattia odontoiatrica prima di affrontare l’ambiente montano.

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I miei medicinali - M. Cosentino, S. Lombardo, F. Marino CHE COS'È UN MEDICINALE? In base alla normativa nazionale (D.Lgs. 219/2006) un farmaco (o medicinale) è ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane. Talvolta i medicinali possono essere utilizzati sull’uomo o somministrati all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche (ad esempio la pillola contraccettiva), esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica (ad esempio i mezzi di contrasto). IL BUON USO DEI MEDICINALI Secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco il farmaco non è un comune bene di consumo ma un’importante risorsa e un prezioso alleato per mantenere o recuperare lo stato di salute, e deve essere usato correttamente e solo quando veramente necessario. E’ importante, quindi, fare affidamento sugli operatori sanitari (medico, farmacista, …) per la diagnosi di un disturbo e la prescrizione di una terapia, aver cura di leggere il foglietto illustrativo del medicinale (il cosiddetto “bugiardino”), imparare a “leggere” la pubblicità e ad usare altri piccoli accorgimenti per garantire che l’azione curativa del medicinale stesso non sia compromessa. “Nel caso dei farmaci da banco (detti anche OTC, dall'Inglese Over The Counter), che sono destinati a essere utilizzati direttamente dal paziente senza l’intervento del medico, il foglio illustrativo assume un’importanza ancora maggiore”. (4)

Prima dell’uso leggere con attenzione tutte le informazioni contenute nel foglio illustrativo. I medicinali di automedicazione si possono usare per curare disturbi lievi e transitori facilmente riconoscibili e risolvibili senza ricorrere all’aiuto del medico. Possono essere quindi acquistati senza ricetta ma vanno usati correttamente per assicurarne l’efficacia e ridurne gli effetti indesiderati. Per maggiori informazioni e consigli rivolgersi al farmacista.

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IMIEIMEDICINALI Consultare il medico se il disturbo non si risolve dopo un breve periodo di trattamento.

Anche per i farmaci soggetti a ricetta medica il foglietto illustrativo è importante. Prima di usare il medicinale leggere attentamente il foglio illustrativo. Conservare il foglio illustrativo. Si potrebbe aver bisogno di leggerlo di nuovo. Per qualsiasi dubbio, rivolgersi al medico o al farmacista. Ricordare sempre la frase seguente: “Questo medicinale è stato prescritto per lei personalmente. Non lo dia mai ad altri. Infatti, per altri individui questo medicinale potrebbe essere pericoloso, anche se i sintomi sono uguali ai suoi”. Se uno qualsiasi degli effetti indesiderati peggiora, o se si nota la comparsa di un qualsiasi effetto indesiderato non elencato nel foglio illustrativo, informare il medico o il farmacista. COM’È COMPOSTO UN MEDICINALE? Un medicinale è composto da uno o più principi attivi e dagli eccipienti. “Il principio attivo è qualunque componente di un medicinale destinato a conferirgli attività farmacologica o altro effetto diretto di diagnosi, trattamento o prevenzione di malattie. L’eccipiente è qualunque componente, diverso dal principio attivo, presente in un medicinale o usato nella sua produzione”. (1) Gli eccipienti servono a proteggere il principio attivo, facilitarne l’assorbimento, mascherare odori o sapori sgradevoli.

COME SI PRESENTA UN MEDICINALE? “Per forma farmaceutica si intende come il farmaco si presenta. Il farmaco, infatti, deve essere trattato in modo adeguato al tipo di assunzione e per questo scopo trasformato in forme idonee, per esempio in capsule, compresse, granulati, sospensioni, schiume, supposte, eccetera”. (1) “Alcune categorie di forme farmaceutiche sono:  Le forme farmaceutiche a rilascio modificato sono quelle preparazioni in cui il rilascio del principio attivo è differente da quello di una forma farmaceutica convenzionale somministrata per la medesima via.  Le forme farmaceutiche a singola dose sono suddivisioni unitarie del medicinale.  Le forme farmaceutiche a dosi multiple sono quelle forme farmaceutiche che

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prevedono la misurazione diretta della dose prescritta da parte del paziente. E’ questo il caso degli sciroppi, delle soluzioni, delle polveri”. (1)

MEDICINALI E RICETTA MEDICA “I medicinali possono essere suddivisi in tre categorie:  soggetti a ricetta medica (su prescrizione);  dispensabili senza ricetta e su consiglio del farmacista: farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP), per i quali non è ammessa la pubblicità e che possono essere dispensati in regime assistenziale;  dispensabili senza ricetta e su richiesta diretta del paziente: medicinali da banco (OTC = Over The Counter), per i quali è permessa la pubblicità, e che sono esclusi dalla prescrizione in regime di Servizio Sanitario Nazionale”. (4) “I farmaci su prescrizione possono essere acquistati solo presentando al farmacista la ricetta di un medico. Appartengono a questa categoria i medicinali che devono essere utilizzati sotto il controllo del medico. Questa prassi serve a evitare ogni forma di abuso o di non corretto utilizzo. I farmaci su prescrizione possono essere in classe a), e quindi essere rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale (ricetta “rossa”), o in classe c), e quindi pagati interamente al momento dell’acquisto (ricetta “bianca”)”. (3)

"PRIMA DI ASSUMERE I MEDICINALI … LEGGERE ATTENTAMENTE L’ETICHETTA E IL FOGLIETTO ILLUSTRATIVO" COME LEGGERE L’ETICHETTA In etichetta è indicata la data di scadenza del medicinale che generalmente si riferisce all’ultimo giorno del mese. La scritta “Medicinale equivalente” indica che il medicinale è un equivalente o generico ovvero un farmaco a brevetto scaduto.

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IMIEIMEDICINALI Il bollino rosso, che riporta la scritta “Farmaco senza obbligo di ricetta”, identifica tutti i farmaci senza prescrizione (SOP e OTC). “La sigla CM (Composizione Modificata) significa che i principi attivi sono stati cambiati recentemente”. (3)

Farmaco senza obbligo di ricetta

Il bollino, che riporta la scritta “Doping”, identifica i medicinali contenenti sostanze dopanti. Quindi, attenzione quando si svolge attività sportiva di tipo agonistico. Farmaco contenente sostanze dopanti

Il bollino con il sole barrato indica che il medicinale può indurre fotosensibilizzazione ovvero irritazione cutanea dovuta all’esposizione diretta alla luce del sole, che può raggiungere stadi di gravità estrema. Quindi, se si assumono questi medicinali, evitare l’esposizione ai raggi solari e ai raggi UV del solarium.

Il triangolo nero rovesciato è un simbolo che identifica tutti i medicinali sottoposti al cosiddetto monitoraggio addizionale. Per questi farmaci ai medici è richiesta un’accurata definizione degli eventi avversi.

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Farmaco fotosensibilizzante

Farmaco soggetto a monitoraggio addizionale


In alcune etichette può essere presente uno spazio semplice o organizzato per annotare, la data di prima apertura, la data di dispensazione, la posologia prescritta dal medico. L’utilizzo di questi spazi è importante perché aiuta a mantenere la corretta adesione del paziente alla terapia.

In base alla normativa nazionale (D.Lgs. 219/2006) l'imballaggio esterno o, in mancanza dello stesso, il confezionamento primario dei medicinali reca le indicazioni seguenti: A) La denominazione del medicinale, seguita dal dosaggio e dalla forma farmaceutica, aggiungendo se appropriato il termine «prima infanzia», «bambini» o «adulti»; quando la denominazione è un nome di fantasia, esso è seguito dalla denominazione comune; Esempio: Efexor (nome di fantasia). 75 mg (dosaggio). Capsule rigide a rilascio prolungato (forma farmaceutica). Venlafaxina (denominazione comune). Imparare a leggere il nome (nome di fantasia e/o nome del principio attivo), il dosaggio e la forma farmaceutica (compresse, capsule, fiale, eccetera) di un medicinale è importantissimo per individuare facilmente il farmaco da assumere a prescindere dalla confezione, soprattutto, quando si tratta di generici.

B) La composizione qualitativa e quantitativa in termini di sostanze attive; Esempio: Ciascuna capsula a rilascio prolungato contiene 84,85 mg di venlafaxina cloridrato, pari a 75 mg di venlafaxina base.

C) La forma farmaceutica e il contenuto della confezione; Esempio: Capsule rigide a rilascio prolungato (forma farmaceutica). 14 Capsule (contenuto della confezione). E’ buona norma prestare molta attenzione al contenuto della confezione anche durante l’assunzione di un medicinale, altrimenti si rischia di rimanere senza farmaco.

D) Un elenco degli eccipienti; Leggere attentamente l’elenco degli eccipienti sull’etichetta e nel foglietto illustrativo è molto importante per i soggetti allergici.

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IMIEIMEDICINALI E) La modalità di somministrazione e, se necessario, la via di somministrazione. In corrispondenza di tale indicazione deve essere riservato uno spazio su cui riportare la posologia prescritta dal medico; Si consiglia sempre di annotare la posologia sull’etichetta perché questo aiuta a non sbagliare.

F) L’avvertenza: «Tenere il medicinale fuori dalla portata e dalla vista dei bambini»; Si ricordi che, ad esempio, le pastiglie colorate sono molto invitanti per i bambini.

G) Le avvertenze speciali eventualmente necessarie; In particolare le controindicazioni provocate dall’interazione del medicinale con bevande alcoliche e superalcoliche, nonché l'eventuale pericolosità per la guida derivante dall'assunzione dello stesso medicinale; Le avvertenze speciali sono molto importanti per chi utilizza altri medicinali, per chi guida e per chi assume bevande alcoliche e/o superalcoliche.

H) Il mese e l'anno di scadenza, indicati con parole o numeri; Esempio: Scad. (scadenza), 09 (mese), 2015 (anno). Si legga la parte del vademecum relativa alla scadenza.

I) Le speciali precauzioni di conservazione, se previste; Si legga la parte del vademecum relativa alla conservazione.

L) Se necessarie, le precauzioni particolari da prendere per lo smaltimento del medicinale non utilizzato o dei rifiuti derivati dallo stesso, nonché un riferimento agli appositi sistemi di raccolta esistenti; La tutela dell’ambiente non va mai dimenticata.

M) Alcune ulteriori informazioni. - Il nome e l'indirizzo del titolare dell'Autorizzazione all'Immissione in Commercio (AIC) del medicinale, preceduti dall'espressione «Titolare AIC:»; - Il numero dell'AIC;

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- Il numero del lotto di produzione; - Per i medicinali non soggetti a prescrizione, le indicazioni terapeutiche e le principali istruzioni per l'uso del medicinale (si legga la parte del vademecum relativa a SOP e OTC); - Il regime di fornitura: se per l’acquisto di un medicinale è necessaria la ricetta medica, in etichetta si leggerà sempre la seguente dicitura: “ Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica”. - Il prezzo al pubblico del medicinale, quando previsto. - L'indicazione delle condizioni di rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

CHE COS’È IL FOGLIO ILLUSTRATIVO? “Il foglietto illustrativo è la carta d’identità del farmaco e rappresenta un documento ufficiale a tutti gli effetti: allegato per legge alla confezione di ogni farmaco è autorizzato dal Ministero della Salute”. (3) E’ importante leggerlo attentamente prima di prendere qualsiasi medicinale e conservarlo perché si potrebbe aver bisogno di leggerlo di nuovo. Il foglio illustrativo è destinato ai pazienti e non agli operatori sanitari. E’ redatto in termini facilmente comprensibili per il paziente. “Se si hanno difficoltà a leggere le scritte con caratteri piccoli dei foglietti illustrativi, non ci si deve far scrupolo di chiedere consiglio al medico o al farmacista”. (3)

CHE COSA CONTIENE IL FOGLIO ILLUSTRATIVO? COME LEGGERLO? Di seguito si riportano alcune indicazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco: Il foglietto illustrativo è una preziosa guida all’uso del farmaco. Contiene tutte le informazioni relative alla composizione del farmaco, alle patologie per le quali è indicato, alle modalità di somministrazione e di conservazione, ai rischi che potrebbero verificarsi in caso, ad esempio, di sovradosaggio o di interazione con altri farmaci che si stanno assumendo. Tuttavia, è importante ricordare che la lettura del foglio illustrativo non sostituisce la consultazione del medico. Ecco le principali informazioni contenute nel foglietto illustrativo:

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IMIEIMEDICINALI INFORMAZIONE

USO

ll nome commerciale del medicinale, la composizione (principio attivo+eccipienti), il dosaggio e la forma farmaceutica

Servono a identificare univocamente il prodotto e non correre il rischio di assumere un farmaco o un dosaggio errato. Inoltre l’elenco degli eccipienti consente di evitare il rischio di reazione allergica a uno di loro.

La categoria farmacoterapeutica o il tipo di attività e le indicazioni terapeutiche

Indicano le diverse malattie (o i gruppi di malattie) per cui il farmaco è indicato.

Le controindicazioni

Indicano le condizioni per le quali il farmaco non deve essere assunto.

Le precauzioni d’uso

Indicano in quali casi il farmaco può essere assunto ma con attenzione.

Le interazioni con altri medicinali e sostanze

Indicano quali medicinali o alimenti possono modificare l’effetto del medicinale.

Le avvertenze speciali

Informazioni sull’utilizzo in casi particolari.

La posologia, il modo e il tempo di somministrazione

Indicano il dosaggio, la frequenza e la durata della somministrazione. Talvolta, se necessario, è espresso anche il momento appropriato in cui il medicinale può o deve essere somministrato (prima o dopo i pasti, per esempio).

Sovradosaggio

Vengono descritti i sintomi per riconoscere gli effetti dell’assunzione di una dose eccessiva di farmaco e le misure di primo soccorso.

Effetti indesiderati

Indicano i possibili effetti negativi che si possono verificare anche con il normale uso del medicinale e le misure da adottare

“Sul foglio illustrativo è indicata la data dell’ultima revisione dello stesso, in modo che il lettore sappia quanto sono aggiornate le informazioni riportate”. (4)

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GLI EFFETTI AVVERSI CHE COSA SONO? La lettura del foglietto illustrativo dev'essere attenta e tranquilla. Non deve creare inutili allarmismi e paure, soprattutto, in relazione agli effetti ndesiderati. Il rispetto delle istruzioni contenute nel foglio illustrativo riduce il rischio di effetti indesiderati.Per qualsiasi dubbio rivolgersi al medico o al farmacista. Se uno qualsiasi degli effetti indesiderati peggiora, o se si nota la comparsa di un qualsiasi effetto indesiderato non elencato nel foglio illustrativo, informare il medico o il farmacista. Tutti i medicinali possono causare effetti indesiderati, sebbene non tutte le persone li manifestino. Gli effetti indesiderati possono verificarsi con una determinata frequenza, come definito qui di seguito: DEFINIZIONE

SI MANIFESTA IN

Comune

da 1 a 10 pazienti su 100

Molto comune Non comune Raro

Molto raro Non nota

più di 1 paziente su 10

da 1 a 10 pazienti su 1.000

da 1 a 10 pazienti su 10.000

meno di 1 paziente su 10.000

la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili

Il foglio illustrativo di un medicinale può riguardare tutti i dosaggi e/o le forme farmaceutiche del medicinale stesso, ad esempio: Xanax 0,25mg compresse; Xanax 0,50mg compresse; Xanax 1mg compresse; Xanax 0,75mg/ml gocce orali, soluzione. Quindi, quando si va dal medico o dal farmacista per chiedere informazioni, è meglio portare con sé anche la confezione. SE SI MANIFESTANO … Secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco anche i cittadini possono contribuire alla sicurezza di un farmaco attraverso la segnalazione spontanea di effetti indesiderati (reazioni avverse). Basta rivolgersi al proprio medico o

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IMIEIMEDICINALI al farmacista quando si ha il sospetto che una reazione sia causata da un farmaco che si sta assumendo. Qualora il singolo cittadino volesse invece inoltrare direttamente la propria segnalazione può compilare l’apposito modulo inviarlo al responsabile della farmacovigilanza dell’Asl di appartenenza. Attenzione, però, non sono consentite segnalazioni anonime. COME CONSERVARE I MEDICINALI? LE CONDIZIONI DI CONSERVAZIONE L’Agenzia Italiana del Farmaco suggerisce che la corretta conservazione dei medicinali serva a mantenerne inalterate le caratteristiche farmacologiche e terapeutiche per tutto il periodo di validità indicato sulla confezione, in quanto ne garantisce la stabilità, requisito essenziale perché possano esplicare a pieno l'attività terapeutica attesa. La temperatura “Specifiche espressioni che indicano la temperatura di conservazione di un medicinale sull’ etichetta e sul foglietto illustrativo:  non conservare al di sopra di 30°C;  non conservare al di sopra di 25°C;  conservare tra 2°C e 8°C;  non congelare né mettere in frigorifero;  sotto zero – conservare nel freezer”. (2) “Una conservazione e un trasporto effettuati, in modo unitario, ad una temperatura inferiore ai 25°C coinvolge i farmaci con limite a +25°C, a +30°C e quelli senza indicazione”. (2) “L’indicazione non congelare si riferisce a quei prodotti che, a temperature inferiori a 0°C possono subire alterazioni o perdite di potenza (per esempio sostanze proteiche, ormoni, vaccini) o quando si può avere un rischio di rottura del contenitore”. (1) “I farmaci che devono essere conservati tra +2°C e +8°C, e ancor più quelli da

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conservare sottozero, necessitano di un frigorifero”. (2)

L’umidità “I prodotti sensibili all’umidità vanno conservati in luoghi asciutti e in recipienti a chiusura ermetica, cioè impermeabili ai solidi, ai liquidi e ai gas, nelle ordinarie condizioni di impiego, di conservazione e di trasporto”. (1) “La sensibilità di un prodotto all’umidità ambientale è indicata con la dicitura “conservare al riparo dall’umidità“, ma altre utili indicazioni potrebbero essere quelle di conservare il prodotto “in un recipiente ben chiuso” e “nella confezione originaria”.”. (1) La luce L’indicazione “conservare al riparo dalla luce” indica la necessità di proteggere il medicinale dalla luce. “Ad esempio, i blister (accoppiati plastica/alluminio), che sono un tipo di contenitore primario, offrono una buona protezione nei confronti della luce. Ovviamente, il contenitore secondario (normalmente la scatola di cartone) contribuisce, con la sua opacità, a difendere il contenuto dalle sorgenti luminose dirette”. (1)

Il contenitore “Il compito del contenitore, soprattutto del primario, è anche quello di contribuire a difendere la formulazione dalle diverse possibili cause di degradazione, almeno fino al suo limite di validità”. (1) LE INDICAZIONI PRATICHE Di seguito si riportano alcune indicazioni pratiche dell’Agenzia Italiana del Farmaco: Le norme generali Tenere i medicinali fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. Conservare i medicinali nella loro confezione originale, per avere sempre a disposizione il foglietto illustrativo, il numero di lotto e la data di scadenza. E’ importante avere sempre a disposizione le informazioni sul medicinale,

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IMIEIMEDICINALI pertanto conservare sia la scatola che il foglio illustrativo. Per essere certi di conservare il medicinale nel modo corretto, leggere attentamente le modalità di conservazione indicate nelle informazioni del prodotto. Qualora queste non siano specificate, conservare il medicinale in luogo fresco e asciutto a una temperatura inferiore ai 25°. Nel caso non sia possibile conservarlo in frigo e, in caso di viaggi o soggiorni fuori casa, trasportarlo in un contenitore termico. Agenti atmosferici come eccessiva luce e/o sbalzi di temperatura possono infatti deteriorare i medicinali. Evitare sempre, comunque, di esporli a fonti di calore e a irradiazione solare diretta. Se si espone i medicinali per un tempo esiguo (una o due giornate) a temperature superiori a 25° non se ne pregiudica la qualità, ma, per un tempo più lungo, se ne riduce considerevolmente la data di scadenza. Se invece la temperatura di conservazione è specificatamente indicata, non rispettarla potrebbe addirittura renderli dannosi per la salute.

Non riporre i medicinali insieme ad altre sostanze pericolose con cui possano confondersi. I contenitori dei farmaci Evitare l'uso di contenitori (portapillole) non destinati al trasporto di farmaci. Potrebbero facilmente surriscaldarsi o rilasciare sostanze nocive ed alterare così le caratteristiche del medicinale.

Non lasciarsi tentare da costosi pacchetti speciali progettati per "proteggere" i medicinali, come le bolle o le confezioni di alluminio. Non ci sono prove che questi contenitori proteggano le medicine meglio di una confezione standard di pillole.

Conservare i farmaci in contenitori originali etichettati. Il contenitore originale non è scelto a caso. Ad esempio, quelli oscurati sono usati per i farmaci fotosensibili, mentre i contenitori in vetro vengono utilizzati per medicinali che possono essere assorbiti dalla plastica (per esempio, compresse di nitroglicerina). L'etichetta fornisce informazioni importanti.

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L’armadietto dei farmaci Nonostante il nome, l'armadietto dei medicinali è spesso il posto peggiore per conservare i farmaci a causa dell'umidità elevata frequente in bagno. Conservare i farmaci in un luogo fresco e asciutto, come un armadio di tela in un ripostiglio, in camera da letto o anche in un mobile da cucina lontano da fonti di calore. Individuare uno scaffale a un'altezza di sicurezza fuori dalla portata di bambini o animali domestici. In caso di prodotti farmaceutici scaduti, alterati, revocati o difettosi, se non immediatamente eliminabili, in attesa dello smaltimento, separarli dai prodotti in corso di validità, racchiuderli in un contenitore recante la dicitura "FARMACI SCADUTI - DA SMALTIRE". I farmaci scaduti devono essere smaltiti secondo la normativa vigente (DPR n. 254/2003). Il trasporto dei farmaci Se si acquistano farmaci evitare di tenerli per ore in auto al caldo e portarli a casa appena si può. Se si utilizzano farmaci in forma pressurizzata (spray), evitarne l'esposizione al sole o a temperature elevate e utilizzare contenitori termici per il trasporto. Evitare di inserire farmaci diversi in una sola confezione o di mescolarli in uno stesso contenitore per risparmiare spazio in valigia: si potrebbe avere poi delle difficoltà a riconoscere la data di scadenza, la tipologia del medicinale e il dosaggio. Nel caso di un farmaco presente in diverse forme farmaceutiche e in assenza di specifiche controindicazioni (ad esempio la difficoltà di deglutizione), optare per le formulazioni solide rispetto a quelle liquide che, contenendo acqua, sono in genere maggiormente sensibili alle alte temperature (termolabili). Se si deve affrontare un lungo viaggio in auto, trasportare i farmaci nell'abitacolo condizionato e/o in un contenitore termico. Evitare invece il bagagliaio che potrebbe surriscaldarsi eccessivamente. Durante il viaggio in aereo, collocare i farmaci nel bagaglio a mano. In caso di flaconi liquidi di medicinali già aperti, mantenerli in posizione verticale. Se si è in terapia con farmaci salvavita portare in cabina tali medicinali con le

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IMIEIMEDICINALI relative ricette di prescrizione, poiché potrebbe essere necessario esibirle nelle fasi di controllo. Se si deve necessariamente spedire dei medicinali scegliere sempre le compresse o comunque forme solide. COME RICONOSCERE I MEDICINALI ALTERATI? Secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco qualora l'aspetto del medicinale che si utilizza abitualmente appaia diverso dal solito o presenti dei difetti (presenza di particelle solide in sospensione o sul fondo, cambio di colore o odore, modifica di consistenza), consultare operatori sanitari qualificati prima di assumerlo. Tenere presente che non sempre l'aspetto, l'odore o il colore del medicinale rivelano se si è verificata un'alterazione. Pertanto non assumerlo se si ha dubbi sull'integrità del prodotto. Suggerimenti Se si soffre di una patologia cronica come il diabete o di una malattia cardiaca, un'alterazione di una dose di un farmaco fondamentale, come l'insulina o la nitroglicerina, può essere rischiosa. I farmaci a base di insulina vanno conservati in frigorifero (una volta aperti, tuttavia, possono essere conservati a temperatura ambiente). In caso di lunghi viaggi trasportarli in una borsa termica che li mantenga alla giusta temperatura. Prestare particolare attenzione anche con gli antiepilettici e gli anticoagulanti. Piccole modificazioni in farmaci come questi possono fare una grande differenza per la tua salute.

Se si ha bisogno di conservare i medicinali di emergenza in auto, come una dose di insulina, chiedere al proprio farmacista di consigliare un contenitore sicuro che consentirà di mantenere il farmaco alla corretta temperatura. Anche farmaci comuni possono produrre effetti potenzialmente dannosi. Alcune alterazioni che potrebbero verificarsi in antibiotici e/o aspirina potrebbero causare danni ai reni o allo stomaco. Ma non è tutto: una crema a base di idrocortisone, ad esempio, per effetto del calore potrebbe separarsi nei suoi componenti e perdere di efficacia. Qualsiasi tipo di striscia per test diagnostici, come ad esempio quelle utilizzate

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per verificare i livelli di zucchero nel sangue, la gravidanza o l'ovulazione, è estremamente sensibile all'umidità, che potrebbe causare la diluizione del liquido di prova e dare una lettura non corretta. I farmaci per la tiroide, i contraccettivi e altri medicinali che contengono ormoni sono particolarmente sensibili alle variazioni termiche. Questi sono spesso a base di proteine, che per effetto del calore cambiano proprietà. Tenere presente che anche il freddo eccessivo può causare alterazioni dei farmaci. L'insulina, ad esempio, può perdere la sua efficacia se congelata. Lo stesso vale per i farmaci in sospensione. COME SMALTIRE I MEDICINALI SCADUTI? Di seguito si riportano alcune indicazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco: La scadenza dei farmaci Verificare la data di scadenza indicata sulla confezione. La data di scadenza si riferisce al prodotto in confezionamento integro, correttamente conservato. Attenzione: non utilizzare il medicinale dopo la data di scadenza indicata sulla confezione. La data di scadenza, obbligatoriamente presente su tutte le confezioni di farmaci, si riferisce alla confezione integra e correttamente conservata. Ma dal momento dell’apertura ogni tipo di medicinale ha una durata diversa prima che diventi inefficace o addirittura nocivo.

Periodo di validità delle più comuni forme farmaceutiche (per le confezioni monodose o le forme confezionate in blister vale la data di scadenza riportata sull’involucro e nel foglietto illustrativo). FORMA FARMACEUTICA

VALIDITÀ

fiale e siringhe

pochi minuti

granulati e polveri da sciogliere

5 giorni

pomate vaso

Dai 5 ai 15 giorni

spray e gocce per naso

Dai 15 ai 20 giorni

colliri

Dai 15 ai 20 giorni

gocce e sciroppi

Da 1 a 2 mesi

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IMIEIMEDICINALI FORMA FARMACEUTICA

VALIDITÀ

pomate

Da 2 a 3 mesi

compresse in flaconcino

Da 4 a 6 mesi

Massima attenzione va posta, inoltre, nella conservazione di quei farmaci che, una volta iniziati, per le successive ripetute aperture della confezione subiscono gli effetti negativi di luce, aria e sbalzi di temperatura che ne deteriorano il principio attivo e ne causano la contaminazione o l'inquinamento; per tali farmaci deve essere annotata sulla confezione la data di prima apertura e rispettato il tempo riportato in etichetta per la sua validità. Lo smaltimento dei farmaci Quando un medicinale è scaduto o deteriorato è opportuno non gettarlo nel cestino come un qualunque altro prodotto. Le sostanze presenti, infatti, potrebbero essere ancora attive e produrre effetti tossici. Occorre usare gli appositi contenitori per la raccolta dei medicinali collocati all’interno o in prossimità delle farmacie.

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MEDICINALI E MONTAGNA L'USO DEI MEDICINALI DURANTE LE ESCURSIONI La Commissione Medica della UIAA (Union Internationale des Associations d'Alpinisme) e l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) raccomandano che: Qualsiasi malattia cronica dovrebbe essere trattata in maniera ottimale. Assicurarsi di disporre di adeguate quantità dei farmaci che si utilizzano regolarmente, inclusa una certa scorta in caso di perdite. E’ importante avere sempre a disposizione le informazioni sul medicinale, pertanto portare con sé sia la scatola che il foglio illustrativo. Tenere i medicinali fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. Non riporre i medicinali insieme ad altre sostanze pericolose con cui possano confondersi. Per essere certi di conservare il medicinale nel modo corretto, leggere attentamente le modalità di conservazione indicate nelle informazioni del prodotto. Qualora queste non siano specificate, conservare il medicinale in luogo fresco e asciutto a una temperatura inferiore ai 25°. Se è necessario, trasportarlo in un contenitore termico. All’interno degli zaini medici d’emergenza sono state misurate temperature comprese tra i -40° e i +80°. Queste temperature estreme in ambiente di montagna possono addirittura diventare più severe. In alcuni casi è sufficiente trasportare i farmaci all’interno dello zaino, escludendo le tasche esterne più esposte; in altri casi è necessario ricorrere ad un contenitore termico. GLI EFFETTI AVVERSI DEI FARMACI IN ALTA QUOTA Secondo la Commissione Medica della UIAA, l'altitudine e l'ambiente montano influiscono anche sugli effetti dei farmaci, attraverso vari fattori, tra i quali: · l'azione sul sistema respiratorio e cardiovascolare (ridotta pressione barometrica e ridotta temperatura ambientale); · l'isolamento (wilderness) o comunque la distanza da centri abitati (assistenza

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IMIEIMEDICINALI medica non immediatamente disponibile); · l'esercizio fisico (in particolare a carico dell'apparato osteomuscolare e articolare); · lo stress mentale EFFETTI INDESIDERATI DA FARMACI AD ALTA QUOTA Farmaco

Nifedipina Nitroglicerina

Benzodiazepine Antiipertensivi

Alcaloidi dell’Ergot Vasodilatatori

Acido acetilsalicilico Antidepressivi

Sedativi e ipnotici Tetracicline

Corticosteroidi

Analgesici oppiacei

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Possibili problemi

Rischi/conseguenze

ipotensione e collasso

pericolo di cadute; controindicata

ipotensione e collasso

pericolo di cadute

ridotta ventilazione

utilizzare farmaci ad azione breve

ipotensione ortostatica

considerare opportunità riduzione; con diuretici rischio disidratazione

rischio congelamento rischio ipotermia; ipotensione ortostatica

mantenere soggetto al caldo

rischio emorragie

controindicato nell’alpinismo

ridotta capacità di valutazione dei rischi e di concentrazione

pericolo di incidenti gravi

riduzione dell’allerta e della reattività (effetto additivo con ipossia)

pericolo di incidenti gravi

reazioni fototossiche euforia; ridotta capacità pericolo di incidenti gravi di valutazione dei rischi; ridotta tolleranza allo stress depressione respiratoria (effetto additivo con ipossia); riduzione di veglia, concentrazione, reattività

pericolo di incidenti gravi


MEDICINALI E TEMPERATURE “ESTREME” La Commissione Medica della UIAA raccomanda che: Le fiale - Se una fiala è congelata, esaminarla attentamente per escludere incrinature filiformi che potrebbero causare contaminazione o ossidazione del farmaco. In ogni caso, fiale congelate anche se apparentemente integre dovrebbero essere rimpiazzate non appena possibile.

Qualsiasi fiala congelata dovrebbe essere sciolta con cautela e senza esporla ad un calore eccessivo. E' pericoloso sciogliere fiale congelate in bocca! Se si rompono, si rischia l'ingestione del farmaco e la lesione della bocca.

In qualsiasi condizione climatica, il contenuto di una fiala dovrebbe essere limpido e il suo colore normale. Qualsiasi medicinale contenente proteine (ad es., insulina) e qualsiasi emulsione vengono disintegrati dal congelamento. Non utilizzarli mai, dal momento che si rischia un'embolia polmonare con esiti fatali.

Evitare l'esposizione alla luce di qualsiasi fiala più a lungo dello stretto indispensabile: molti farmaci (ad es., nifedipina, teofillina, nitroglicerina, cloralio idrato, insulina) sono sensibili ai raggi UV. Le capsule - Le capsule (ad es., nifedipina, nitroglicerina) sono molto fragili una volta congelate, mentre le polveri liofilizzate sono molto resistenti alla temperatura se non vengono disciolte. Gli spray e gli inalatori - Spray e inalatori per polveri forniscono dosaggi costanti anche a pressioni atmosferiche ridotte (ad es., in alta quota). Gli spray sono molto resistenti al freddo ma possono esplodere se riscaldati oltre i +50°C. Gli inalatori per polveri vanno conservati all'asciutto, specialmente in climi umidi, per evitare l'agglutinazione della polvere. Per lo stesso motivo, bisogna evitare di espirare all'interno di questi dispositivi.

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IMIEIMEDICINALI I suppositori - I suppositori si sciolgono al di sopra dei 25°C. Se congelate, assumono la consistenza del vetro e possono spezzarsi durante lo spacchettamento o l'applicazione, con il rischio di lesioni. E' necessario riscaldarli prima di spacchettarli.

Note (1) Colombo P., Catellani P.L., Gazzaniga A., Menegatti E. e Vitale E. Principi di tecnologie farmaceutiche. 2011 (2) Esperti G. e Lupo M. Il trasporto dei farmaci. 2013 (3) Govoni S., Lucchelli A. e Diano P. L’automedicazione per la famiglia. Piccole patologie, cure e farmaci da banco. 2007 (4) Minghetti P. e Marchetti M. Legislazione farmaceutica. 2010

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NOZIONI FONDAMENTALI RIGUARDO I PIÙ COMUNI PROBLEMI SANITARI IN MONTAGNA


Principali problemi di tipo traumatico - L. Barcella e G. Agazzi CONTUSIONI, ECCHIMOSI, EMATOMI Le contusioni sono lesioni traumatiche causate da corpi contundenti smussati, che esercitano quindi una forza pressoria sulla superficie del corpo senza lacerazione della cute (la classica “botta” per intenderci). Determinano infiammazione (caratterizzata dalla pentade dolore, gonfiore, arrossamento, calore e ridotta funzione della zona colpita) e, nei traumi più forti, lo stravaso di sangue dai capillari con la formazione, rispettivamente, di ecchimosi ed ematomi. Questi vengono progressivamente riassorbiti modificando la loro colorazione dall’iniziale rosso, al porpora, al bluastro, al verde e infine al giallo. Segni e sintomi –

Dolore

Gonfiore

Eritema

Ecchimosi e/o Ematomi

Cosa fare – Applicare localmente ghiaccio o altra fonte di freddo (per esempio riempire un sacchetto con della neve o immergere in acqua fredda) – Interporre sempre un panno tra il ghiaccio e la zona cutanea da trattare, e applicare il ghiaccio al massimo per 20 minuti e quindi aspettare circa 30 minuti prima della successiva applicazione; ciò per evitare la possibile insorgenza di ustioni da freddo. L’applicazione di ghiaccio è in genere utile nelle prime 24-48 dal trauma. – È possibile applicare pomate eparinoidi per favorire il riassorbimento dell’eventuale ematoma Cosa non fare – Non applicare impacchi caldi EMATOMA UNGUEALE Il traumatismo sull’unghia di un dito (martellata, sasso, portiera dell’auto) può provocare la formazione di uno stravaso ematico, al di sotto dell’unghia stessa, molto doloroso.

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO Segni e sintomi – Dolore – Ematoma sub-ungueale Cosa fare – Applicare localmente ghiaccio o altra fonte di freddo con le modalità descritte in precedenza (vedi paragrafo “contusioni, ecchimosi, ematomi”) – La foratura dell’unghia con una graffetta da ufficio aperta o con uno spillone da balia reso incandescente consente di decomprimere l’ematoma e fa cessare immediatamente il dolore. – Se si sceglie quest’ultima soluzione ricordiamoci di trattare il foro ungueale come una piccola ferita, quindi disinfettandolo e coprendolo con un cerotto o una garza sterile (vedi anche paragrafo “ferite”) Cosa non fare – Non applicare impacchi caldi TRAUMI OCULARI E INGRESSO DI CORPI ESTRANEI NELL’OCCHIO Durante un’escursione può capitare che un ramo o un altro oggetto entri o sbatta violentemente in un occhio, oppure che una folata di vento sollevi della polvere, o che un moscerino decida di terminare il proprio percorso proprio nel nostro occhio. Il traumatismo oculare può essere molto doloroso ma soprattutto può rendere molto difficoltosa la prosecuzione della marcia. Cosa fare – Nei casi più severi di traumatismo oculare coprire l’occhio con una benda in modo da non far penetrare la luce e far riposare l’occhio e accompagnare l’infortunato in Pronto Soccorso per una valutazione oculistica oppure chiamare i soccorsi organizzati per l’evacuazione se la lesione è tale da impedire la prosecuzione dell’escursione (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – In caso di corpi estranei è possibile fare un tentativo di rimozione lavando abbondantemente la superficie oculare con acqua – In caso di corpi estranei di difficile rimozione o di schegge comportarsi come descritto sopra nel caso di traumatismo

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Cosa non fare – Non cercare di rimuovere a tutti i costi corpi estranei con mezzi diversi al semplice lavaggio oculare, pena il rischio di peggiorare il problema – Non sottovalutare la necessità di una valutazione oculistica urgente, soprattutto in caso dell’ingresso di schegge che a volte possono produrre uno scarso dolore ma complicaris col passare dei giorni con gravi infezioni FERITE Si tratta di lesioni traumatiche con soluzione di continuo dei tessuti di rivestimento dell’organismo (cute e mucose). Poiché i tessuti di rivestimento costituiscono una barriera protettiva nei confronti dell’ambiente esterno, la loro interruzione causata dalle ferite ci espone al rischio di contaminazione batterica e di infezione. In base al meccanismo con cui si generano, le ferite possono essere distinte in: – da taglio – da punta – lacero-contuse mentre, in relazione alla loro profondità, le ferite possono essere distinte in: – superficiali: sono ferite che interessano la sola cute; sono le più frequenti e sono definite anche abrasioni o escoriazioni – profonde: interessano anche i tessuti sottostanti la cute (sottocutaneo, muscoli, tendini, vasi, nervi) – profonde penetranti: sono ferite molto gravi in quanto mettono in comunicazione l’ambiente esterno con cavità corporee altrimenti isolate, quali il torace o l’addome FERITE DA TAGLIO Sono prodotte da oggetti taglienti (coltelli, rocce taglienti, lamiere, cocci di vetro, fili d’acciaio, ecc …). L’azione tagliente provoca una recisione netta dei tessuti. Caratteristiche delle ferite da taglio: – aspetto lineare – margini netti, in genere ben vascolarizzati

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO – scarsa infiammazione – lunghezza in genere maggiore della profondità – possibile formazione di un lembo cutaneo – nei casi più gravi possono provocare mutilazioni FERITE DA PUNTA Sono prodotte da oggetti perforanti (chiodi, punte dei ramponi, ecc …). L’oggetto agisce divaricando i tessuti per pressione. Caratteristiche delle ferite da punta: – aspetto circolari o puntiforme – profondità in genere maggiore della lunghezza – rischio di infezione a carico dei tessuti più profondi FERITE LACERO-CONTUSE Sono il tipo di ferita più comune, prodotte per contemporanea applicazione sulla cute di pressione (contusione) e trazione (lacerazione). Caratteristiche delle ferite lacero-contuse: – aspetto irregolare – margini frastagliati – contemporanea presenza di contusione – elevato rischio di infezione anche per la frequente presenza di materiale contaminante (per es. terriccio) – riparazione in genere più lenta Primo soccorso delle ferite – Chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato in caso di ferite più gravi e/o che impediscono la prosecuzione dell’escursione (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Mai togliere eventuali corpi estranei penetrati in profondità (coltelli, bastoni, ecc …) in quanto la loro rimozione potrebbe scatenare o peggiorare

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un’eventuale emorragia – Autoprotezione: proteggersi sempre con dei guanti per evitare contaminazioni con sangue estraneo – Pulizia della ferita mediante lavaggio con acqua, soluzione fisiologica oppure con disinfettante; in caso di sporcizia di più difficile rimozione, utilizzare una siringa con cui generare uno spruzzo con maggiore pressione, oppure una salviettina impregnata di disinfettante, una garza sterile o pinzette monouso sterili – Disinfezione: a tal fine molto comode salviettine impregnate di disinfettante, oppure disinfettanti cutanei quali iodio povidone o clorexidina – Sutura con punti adesivi (in caso di lesioni da taglio superficiali) – Medicazione: coprire la ferita con cerotto sterile preconfezionato o, meglio, con una garza sterile, con lo scopo di ricostituire la barriera protettiva e di proteggere la ferita e l’organismo da contaminazioni e infezioni. Medicazioni ben traspiranti favoriranno la guarigione della ferita, mentre medicazioni poco traspiranti causeranno macerazione e rallentata guarigione della ferita – In caso di contemporanea presenza di contusione e dolore è possibile applicare localmente ghiaccio o altra fonte di freddo con le modalità descritte in precedenza (vedi paragrafo “contusioni, ecchimosi, ematomi”) – Accompagnare l’infortunato in Pronto Soccorso se le ferite richiedono l’applicazione di punti di sutura o se col passare dei giorni compaiono segni di infezione (arrossamento, dolore, emissione di materiale purulento) EMORRAGIE Col termine emorragia si intende la fuoriuscita di sangue dai vasi sanguigni. In base al tipo di vaso sanguigno leso si distinguono: – emorragia dal microcircolo (capillare): è la forma più comune che in genere accompagna le ferite cutanee superficiali – emorragia venosa: a partenza da una struttura venosa, è molto meno frequente dell’emorragia capillare; in genere si associa a ferite da taglio profonde – emorragia arteriosa: a partenza di una struttura arteriosa, si caratterizza per la fuoriuscita del sangue a fiotti concordi col battito cardiaco; è il tipo di emorragia più rara e più grave; in genere si può osservare in caso di traumi di grave entità o di ferite da taglio o da punta molto gravi

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO La severità dell’emorragia dipende dal volume complessivo di sangue che viene perso, quindi dal flusso con cui il sangue fuoriesce dal vaso e dalla durata del sanguinamento. Ne va da se che le emorragie capillari sono quelle più lievi (in genere si arrestano spontaneamente o grazie ad una breve compressione della zona interessata) mentre le emorragie venose ed arteriose possono essere molto gravi o fatali. Le emorragie si distinguono inoltre in: – emorragie esterne, se il sangue fuoriesce all’esterno dell’organismo – emorragie interne, se il vaso si raccoglie in cavità o spazi all’interno dell’organismo (cranio, torace, addome, logge muscolari) Le prime sono prontamente riconoscibili, mentre le seconde possono essere molto insidiose e, se non riconosciute, possono portare a shock ipovolemico e alla morte del soggetto. Le emorragie interne devono essere sempre sospettate ed escluse in caso di traumi ad alta energia (per es. cadute da 3-5 metri di altezza in su, incidenti stradali) o in caso di interessamento del capo (trauma cranico). Primo soccorso delle emorragie capillari – Consiste sostanzialmente in quanto descritto per le ferite Primo soccorso delle emorragie venose e arteriose – Allertare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Autoprotezione: proteggersi sempre con dei guanti per evitare contaminazioni con sangue estraneo – Tamponare l’emorragia con una pressione diretta sulla sede della lesione, con le proprie mani (protette da guanti) o, meglio, applicando uno spesso strato di garze o una garza arrotolata, e bendando il tutto con una fascia elastica in modo da stabilizzare la compressione (bendaggio compressivo) – Comprimere le strutture arteriose a monte della lesione (manovra da eseguirsi in caso di emorragia arteriosa, successivamente e contemporaneamente alla compressione diretta sulla sede dell’emorragia); a tal fine bisogna comprimere le strutture arteriose contro il piano osseo disponibile, per esempio l’arteria poplitea contro l’articolazione del ginocchio a livello del cavo popliteo; l’arteria femorale contro il femore a livello della radice della

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coscia oppure l’arteria omerale contro l’omero a livello del braccio – Mantenere il soggetto in posizione sdraiata, supino – Mantenere la sede dell’emorragia in alto (rispetto alla posizione del cuore dell’infortunato) DISTORSIONI La distorsione consiste in una torsione anomala di un’articolazione con conseguente allontanamento temporaneo dei capi articolari. Determina una lesione più o meno grave dell’apparato capsulo-legamentoso dell’articolazione colpita con una conseguente stravaso di sangue all’interno (emartro) o al di fuori dell’articolazione (ematoma, ecchimosi). Segni e sintomi – Dolore – Gonfiore – Ecchimosi, ematoma, emartro Cosa fare – Applicare localmente ghiaccio o altra fonte di freddo con le modalità descritte in precedenza (vedi paragrafo “contusioni, ecchimosi, ematomi”) – Immobilizzare l’articolazione colpita con una benda elastica, senza esercitare una compressione eccessiva (ha lo scopo di tenere a riposo l’articolazione e di alleviare il dolore) – Tenere l’articolazione colpita a riposo e in alto (per favorire il riassorbimento dell’edema e degli stravasi di sangue) – Accompagnare l’infortunato in Pronto Soccorso oppure chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato se la lesione impedisce la prosecuzione dell’escursione (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) Cosa non fare – Non muovere l’articolazione – Non applicare impacchi caldi LUSSAZIONE DI SPALLA La lussazione consiste in una torsione anomala di un’articolazione tale

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO da determinare lo spostamento permanente dei capi articolari dalla loro sede anatomica. Si associa alla rottura dell’apparato capsulo-legamentoso dell’articolazione colpita, ed al conseguente stravaso di sangue all’interno (emartro) o al di fuori dell’articolazione (ematoma, ecchimosi). Le lussazioni possono anche associarsi a fratture; per tale motivo richiedono uno studio radiografico prima di ogni tentativo di riposizionamento dei capi articolari nella loro sede. A causa della sua conformazione anatomica l’articolazione della spalla è quella più frequentemente interessata da lussazioni. Poiché in prossimità di tale articolazione passano le strutture vascolari e nervose del braccio, la lussazione di spalla può provocare pericolose compressione di tali strutture, evidenziate dalla comparsa di formicolii, dolore urente, cianosi e raffreddamento dell’arto. Per tale motivo la lussazione di spalla non va sottovalutata e va richiesto l’intervento urgente dei soccorsi organizzati. Segni e sintomi – Deformazione anatomica dell’articolazione – Dolore molto intenso – Impossibilità di compiere movimenti naturali (impotenza funzionale) Cosa fare – Chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Nell’attesa dei soccorsi, immobilizzare l’articolazione, con bende o con mezzi di fortuna, nella posizione che viene percepita dall’infortunato come quella che arreca meno dolore Cosa non fare – Non tentare manovre per “mettere a posto” la lussazione FRATTURE OSSEE Le fratture ossee sono lesioni traumatiche in cui si verifica la rottura di uno o più ossi. Le fratture ossee possono essere distinte in: – fratture complete: la rottura interessa tutto lo spessore dell’osso – fratture incomplete: la rottura non interessa tutto lo spessore dell’osso – fratture composte: i monconi ossei restano allineati nella sede abituale

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– fratture scomposte: i monconi ossei si disallineano e si spostano rispetto alla sede abituale – fratture esposte: fratture scomposte con uno o più monconi ossei che fuoriescono dalla cute – fratture multiple: l’osso presenta più punti di frattura – fratture comminute: l’osso si rompe in molti punti con la formazione di frammenti ossei La frattura comporta uno stravaso di sangue dalle strutture vascolari dell’osso con la formazione di ematomi di entità variabile. Poiché in prossimità degli ossi frequentemente passano strutture vascolari e nervose, le fratture in particolare se scomposte possono associarsi a lesioni di tali strutture. Le fratture esposte sono invece ad alto rischio di gravi infezioni. L’età anziana costituisce un fattore di rischio per fratture ossee a causa della frequente concomitanza di una condizione di minore resistenza delle ossa (osteopenia o osteoporosi). Segni e sintomi I sintomi possono essere molto lievi, limitandosi alla progressiva comparsa di un ematoma di dimensioni variabili nella sede della frattura e all’evocazione di dolore nel caricare il segmento osseo interessato In altri casi i sintomi sono più evidenti comprendendo: – Dolore più o meno intenso, esacerbato dai movimenti del segmento osseo – Deformità anatomica del segmento corporeo interessato – Difficoltà o impossibilità nel compiere movimenti naturali (impotenza funzionale) per insorgenza di dolore o di instabilità – Ematomi ed Ecchimosi Cosa fare – Valutare con cura la zona colpita per ricercare la presenza eventuali complicazioni (emorragie, lesioni di tronchi nervosi, frattura esposta) – Accompagnare l’infortunato in Pronto Soccorso oppure chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato se la lesione è tale da impedire la prosecuzione dell’escursione o se la frattura è molto dolorosa, esposta o complicata da lesioni di vasi o nervi (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Immobilizzare il segmento colpito dalla frattura; a tal fine il dispositivo

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO utilizzato per l’immobilizzazione (asse, ramo, sci, bastoncino da passeggio o altro mezzo di fortuna) dovrà essere fissato ai segmenti corporei posti a monte ed a valle di quello colpito – Applicare localmente ghiaccio o altra fonte di freddo (sacchetto con neve o acqua fredda) con le modalità descritte in precedenza (vedi paragrafo “contusioni, ecchimosi, ematomi”) – In caso di frattura esposta coprire il moncone osseo con medicazione sterile Cosa non fare – Non caricare ne muovere il segmento osseo fratturato – Non ritardare la valutazione in Pronto Soccorso in caso di fratture o sospette fratture di segmenti ossei “minori” (polso, dita) TRAUMA CRANICO Le lesioni traumatiche a carico del capo non vanno mai sottovalutate. L’energia che si libera col trauma può infatti danneggiare non solo le ossa del cranio ma anche i vasi sanguigni contenuti nella scatola cranica ed il cervello stesso. Conseguenza particolarmente temibile è lo sviluppo di un’emorragia intracranica, che può essere anche molto lento e dare segni di sé dopo molte ore dal trauma. Inoltre un trauma cranico può associarsi anche alla lesione delle prime ossa della colonna cervicale con conseguenze temibili. Per tale motivo il soggetto colpito da trauma cranico va sempre inviato con urgenza in Pronto Soccorso per essere sottoposto ad un adeguato periodo di osservazione. Segni e sintomi indicativi di particolare gravità Indici di maggior gravità del trauma cranico, che richiedono quindi un’azione tempestiva, sono rappresentati da: – perdita di coscienza; in genere è di breve durata; in questi casi l’infortunato presenta tipicamente un’amnesia, cioè non è in grado di ricordare la dinamica e/o le circostanze dell’accaduto; in caso di perdita di coscienza il trauma cranico è definito “commotivo” viceversa è definito come “non commotivo” – perdita di sangue dalle orecchie (otorragia) – perdita di liquido trasparente dalle orecchie o dal naso (liquorrea) – vomito a getto in assenza di nausea – emiparesi o emiparalisi; riduzione della forza o paralisi dei muscoli di un lato del corpo

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– alterazioni della psiche Cosa fare – Chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato, con particolare urgenza se sono presenti segni sintomi indicativi di particolare gravità (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Nell’attesa dei soccorsi mantenere il soggetto in posizione supina con il capo ed il collo allineati e immobili (vedi capitolo “Principi di primo soccorso in caso di perdita di coscienza e di inalazione di corpi estranei”) – Medicare eventuali lesioni traumatiche esterne del capo (vedi i paragrafi “Contusioni, ecchimosi, ematomi”, “ferie” e “emorragie”) Cosa non fare – Non sottovalutare la gravità del trauma cranico ritardando la valutazione dell’infortunato in Pronto Soccorso TRAUMA DELLA COLONNA VERTEBRALE Il traumatismo a carico della colonna vertebrale va accuratamente valutato in quanto può determinare fratture vertebrali, in particolare nell’età anziana in cui le vertebre presentano frequentemente una minore resistenza a causa di una concomitante condizione di osteopenia o osteoporosi. Alcuni tipi di fratture possono causare uno slittamento delle vertebre con possibile compressione e danneggiamento del midollo spinale contenuto nel canale vertebrale. Tale slittamento può verificarsi anche successivamente al trauma spinale come conseguenza di movimenti bruschi o dello spostamento inappropriato dell’infortunato. Segni e sintomi indicativi di particolare gravità Indici di maggior gravità del trauma alla colonna vertebrale, che richiedono quindi un’azione tempestiva, sono rappresentati da: – perdita di coscienza; indica la contemporanea presenza di un trauma cranico (vedi il paragrafo precedente) – formicolii, mancanza di sensibilità o difficoltà di movimento degli arti: potrebbe indicare la presenza di una compressione del midollo Cosa fare – Chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato, con particolare urgenza se sono presenti segni e/o sintomi indicativi di particolare gravità

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Nell’attesa dei soccorsi mantenere il soggetto in posizione supina, allineando e mantenendo immobili capo, collo e colonna vertebrale (vedi capitolo “Principi di primo soccorso in caso di perdita di coscienza e di inalazione di corpi estranei”) – Medicare eventuali lesioni traumatiche esterne (vedi i paragrafi “Contusioni, ecchimosi, ematomi”, “ferie” e “emorragie”) Cosa non fare – Non sottovalutare la gravità del trauma della colonna vertebrale ritardando la valutazione dell’infortunato in Pronto Soccorso TRAUMA TORACICO ED ADDOMINALE Tutti i traumi a carico del torace e dell’addome, in particolare quelli di maggiore intensità, vanno sempre valutati con grande attenzione in quanto in queste parti del corpo sono contenuti molti organi vitali il cui danneggiamento potrebbe non essere immediatamente apparente ma manifestarsi in modo insidioso anche alcune ore dopo il trauma. Segni e sintomi indicativi di particolare gravità Indici di maggior gravità di un trauma toracico o addominale, che richiedono quindi un’azione tempestiva, sono rappresentati da: – Presenza di ferite penetranti – Difficoltà respiratoria – Insorgenza di pallore cutaneo, sudorazione, aumentata frequenza cardiaca (con andamento ingravescente) Cosa fare – Chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato, con particolare urgenza se sono presenti segni sintomi indicativi di particolare gravità (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Nell’attesa dei soccorsi medicare eventuali lesioni traumatiche esterne (vedi i paragrafi “Contusioni, ecchimosi, ematomi”, “ferie” e “emorragie”) Cosa non fare – Non sottovalutare la gravità dei traumi a carico del torace e dell’addome ritardando la valutazione dell’infortunato in Pronto Soccorso

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CRAMPI, CONTRATTURE, LESIONI MUSCOLARI Sono tutte condizioni provocate da un eccessivo o non adeguato carico muscolare. Sono favorite da scarso allenamento, scarso riscaldamento prima dell’esercizio fisico, sforzi di elevata intensità e/o bruschi, disidratazione, affaticamento e, infine, dall’età. CRAMPI Contrazione involontaria, improvvisa e molto dolorosa di un muscolo. In genere interessa i polpacci o i quadricipiti ed è causato dalla fatica e/o dalla disidratazione. Cosa fare Il crampo si i risolve con l’allungamento del muscolo interessato mediante manovre di stretching, col riposo in un posto fresco e ventilato e con un’adeguata reidratazione. Valutare l’opportunità di proseguire o meno con l’escursione. CONTRATTURE Molto simili a crampi in quanto anch’esse sono contrazioni involontaria e insistenti di uno o più muscoli scheletrici, ma da cui si differenziano per la una minor violenza e per la dolorabilità in genere meno intensa, percepita più come un indolenzimento, irrigidimento o mancanza di elasticità muscolare. Proprio per queste caratteristiche le contratture non provocano la necessità di interrompere l’attività fisica, la cui prosecuzione può portare ad un peggioramento della situazione con l’insorgenza di lesioni muscolari. Cosa fare Valutare l’opportunità di proseguire o meno con l’escursione. Eseguire una valutazione specialistica per definire le cure del caso. Il riposo è la terapia più efficace. Per guarire da una contrattura normalmente sono sufficienti 3-7 giorni di stop, che possono diventare molti di più se non si rispettano i giusti tempi di recupero. Esercizi di stretching, massaggi decontratturanti e terapie fisiche quali l’elettroterapia e la ionoforesi favoriscono ed accelerano i tempi di recupero. Farmaci antinfiammatori e miorilassanti vanno utilizzati solo nei casi più gravi e sotto controllo medico. Se la sintomatologia non scompare dopo 10 giorni di riposo, è bene sottoporsi a visite specialistiche per escludere la presenza di lesioni muscolari.

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PRINCIPALIPROBLEMIDITIPOTRAUMATICO LESIONI MUSCOLARI Le lesioni muscolari si verificano in caso di allungamento eccessivo del muscolo. In base alla gravità crescente si distinguono distrazioni, stiramenti e strappi, indicate anche come lesioni muscolari di primo, secondo e terzo grado. Nelle lesioni di primo grado il danno è localizzato all’interno delle cellule muscolari; in quelle di secondo grado si ha la rottura di fibre muscolari che interessa una piccola porzione del muscolo; in quelle di terzo grado si ha la rottura di un ampio numero di fibre muscolari con alterazioni evidenti del muscolo interessato. Le lesioni di secondo e di terzo grado si associano anche alla formazione di ematomi muscolari. Cosa fare In tutti i casi bisogna sospendere immediatamente l’escursione. Applicare localmente ghiaccio o altra fonte di freddo (sacchetto con neve o acqua fredda) con le modalità descritte in precedenza (vedi paragrafo “contusioni, ecchimosi, ematomi”). In caso di lesioni gravi accompagnare l’infortunato in Pronto Soccorso oppure chiamare i soccorsi organizzati per l’evacuazione se la lesione impedisce la prosecuzione dell’escursione (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”). Una lesione muscolare richiede un periodo di assoluto riposo che va dalle 2 alle 4 settimane, durante il quale l’organismo ripara la lesione muscolare, seguito da una fase di riabilitazione muscolare volta alla riacquisizione della forza, della contrattilità e della sensibilità propriocettiva.

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Patologie da agenti fisici - L. Barcella IPOTERMIA (ASSIDERAMENTO) L’ipotermia è una condizione caratterizzata dalla diminuzione della temperatura corporea centrale al di sotto di 35 °C. Tale valore di temperatura corporea esprime una condizione di insufficienza dei meccanismi di conservazione e/o di produzione del calore (cioè dell’omeostasi termica o termoregolazione) in grado di evolvere più o meno rapidamente verso un raffreddamento più grave, e richiede l’immediata correzione delle condizioni che ne hanno determinato l’insorgenza. Fattori che favoriscono ed accelerano l’insorgenza di ipotermia sono rappresentati da: – malnutrizione/sfinimento – immobilità, in particolare se causata da traumi – intossicazione da alcool – alterazioni cognitive (droghe, malattie mentali) – primi anni di vita ed età anziana (entrambe le età sono caratterizzate da una minore capacità di produzione di calore da parte dell’organismo) – presenza di malattie quali l’ipotiroidismo, malattie neuromuscolari, neuropatie (anche queste condizioni interferiscono con la capacità dell’organismo di produrre calore) – vento – umidità – vestiario inadeguato o bagnato Poiché al di sotto di 32 °C i meccanismi di difesa dell’organismo cessano ed il raffreddamento diviene più rapido e grave, l’ipotermia può essere distinta in due stadi principali: – ipotermia lieve, ancora reversibile con la sola cessazione dell’esposizione al freddo, per valori di temperatura corporea > 32 °C – ipotermia severa, con andamento progressivo, per valori di temperatura ≤ 32 °C

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PATOLOGIEDAAGENTIFISICI IPOTERMIA LIEVE Nella fase iniziale dell’assideramento, con una temperatura centrale compresa tra 35 °C e 32 °C l’organismo è ancora in grado di difendersi dal freddo e spinge i suoi meccanismi di difesa fino alla loro massima capacità. Osserviamo quindi: – aumento della frequenza cardiaca, respiratoria e della pressione arteriosa – brividi scuotenti, generalizzati e irrefrenabili – vasocostrizione periferica con cute pallida e fredda – sensazione dolorosa di freddo Cosa fare In caso di ipotermia lieve, con conservazione dei meccanismi di difesa (brivido, tachicardia, vasocostrizione cutanea, ecc...) è necessario: – Evitare ogni ulteriore perdita di temperatura, isolando rapidamente il soggetto dal freddo, mettendogli vestiti asciutti e coprendolo con telini termici (metalline), coperte di lana o con quanto altro a disposizione (riscaldamento passivo); è importante coprire bene il collo e il capo – Poiché il soggetto anziano ha una ridotta capacità di produrre calore potrebbe rendersi necessario un riscaldamento esterno attivo per es. con coperte termiche riscaldabili – Stimolare i movimenti attivi – È possibile somministrare bevande calde e ben zuccherate – Mantenere il soggetto supino per prevenire bruschi cali della pressione arteriosa Il recupero della temperatura centrale è in genere rapido e privo di complicanze se si è raggiunto un rifugio riparato dal freddo e varia tra gli 0,5-2 °C per ogni ora dipendentemente dall’entità della risposta termogenetica del paziente. Cosa non fare – Non somministrare MAI alcoolici – Evitare l’esposizione ravvicinata ad una fonte di calore intenso come una stufa o un camino per il rischio di bruschi cali della pressione arteriosa IPOTERMIA SEVERA Con la discesa della temperatura centrale a valori ≤ 32 °C le capacità di

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difesa dell’organismo cessano e, se l’esposizione alla perfrigerazione non viene interrotta, si innesca un circolo vizioso che determina un progressivo e rapido raffreddamento dell’organismo. Il quadro clinico è caratterizzato dalla progressiva depressione di tutte le funzioni dell’organismo fino allo stadio di morte apparente: – Alterazioni dello stato di coscienza (confusione, sospensione della capacità di giudizio, agitazione psicomotoria, allucinazioni, sonnolenza, letargia) – Aumento della frequenza cardiaca, respiratoria e della pressione arteriosa – Rigidità muscolare – Anestesia e analgesia – Morte apparente (stato comatoso con attività cardiaca e respiratoria impercettibile e flaccidità muscolare, in genere si verifica per valori di temperatura corporea centrale < 28 °C) Cosa fare L’ipotermia severa è un’emergenza medica. È necessario: – Chiamare i soccorsi organizzati; il recupero ed il primo trattamento di un ipotermia severa deve essere eseguito da personale competente (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Nell’attesa dei soccorsi evitare ogni ulteriore perdita di temperatura, isolando rapidamente il soggetto dal freddo con telini termici, coperte o con quanto altro a disposizione avendo cura di coprire accuratamente il capo il collo ed il torace – Non somministrare bevande di alcun tipo Cosa non fare – Non somministrare MAI alcoolici – Evitare movimenti bruschi, movimenti attivi o passivi, per il pericolo di insorgenza di pericolose aritmie cardiache CONGELAMENTO Per congelamento si intende l’abbassamento al di sotto degli 0 °C della temperatura di una parte del corpo, tipicamente delle estremità (dita, mani, piedi, naso, orecchie). Può o meno associarsi all’ipotermia. L’età anziana e gli altri fattori in grado di favorire l’insorgenza di ipotermia,

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PATOLOGIEDAAGENTIFISICI favoriscono anche l’insorgenza del congelamento. A questi bisogna tuttavia aggiungere i seguenti fattori più specifici per il rischio di congelamento: – disidratazione – alterazioni della circolazione sanguigna (malattie vascolari, autoimmuni, diabete, sindrome di Raynaud) – condizioni che ostacolano la circolazione sanguigna (indumenti o equipaggiamento troppo stretto, anelli) – un precedente congelamento – alta quota I congelamenti vengono classificati in quattro gradi di gravità crescente, in base alle lesioni che compaiono dopo lo scongelamento ed alla profondità delle stesse: – Congelamento di 1° grado: si osserva arrossamento e modesto gonfiore della zona interessata. La lesione coinvolge lo strato più superficiale della cute (epidermide) e la guarigione è rapida e completa in 3-4 giorni. – Congelamento di 2° grado: si osserva arrossamento, gonfiore e la formazione di vescicole a contenuto trasparente (flittene sierose). La lesione coinvolge tutta l’epidermide fino alla sua giunzione con gli strati più profondi della cute. La sensibilità può essere attutita. Guarigione in 10-15 giorni, con possibile insorgenza di ipersensibilità al freddo. – Congelamento di 3° grado: la cute della zona colpita si presenta arrossata o bluastra, gonfia, con la formazione di vesciche a contenuto ematico (flittene emorragiche); è assente la sensibilità. La lesione interessa tutto lo spessore della cute (epidermide e derma). Guarigione in circa 3 settimane, con insorgenza di ipersensibilità al freddo e di cicatrici. – Congelamento di 4° grado: come nella lesione di 3° grado, dopo lo scongelamento, la cute della zona interessata si presenta bluastra e gonfia; sono presenti vesciche a contenuto ematico ed è assente la sensibilità. La differenza consiste nella maggiore profondità delle lesioni che nei casi più gravi interessano anche i muscoli e le ossa e muscoli. La guarigione richiede mesi con insorgenza di ipersensibilità al freddo e di cicatrici. Può rendersi necessaria l’amputazione. Cosa fare – Portarsi in un luogo riparato dove è possibile ricevere aiuto – Interrompere il prima possibile il congelamento posizionando la zona colpita

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sulla cute del compagno, oppure immergendola in acqua a temperatura neutra (37-42 °C = ne fredda ne calda, testare col gomito) per 15 - 30 minuti – Reidratarsi con bevande calde – Mantenere la parte colpita sollevata per minimizzare il gonfiore – Somministrare di acido acetilsalicilico (per es. Aspirina) al dosaggio di 250500 mg – Proteggere la parte colpita con garze sterili, come se fosse una ferita – Rivolgersi ad uno specialista Cosa non fare – Non scaldare la zona colpita da congelamento se si incorre nel rischio di un ri-congelamento – Non rompere le vesciche – Non frizionare percuotere o massaggiare bruscamente l’area congelata – Non esporre l’area congelata a fonti di calore dirette – Non somministrare alcolici – Non fumare COLPO DI SOLE È conseguente all’eccessiva esposizione del capo ai raggi solari con conseguente irritazione delle meningi. In genere è una condizione benigna che si risolve spontaneamente dopo adeguato raffreddamento del capo, riposo ed idratazione. Va prevenuta proteggendo adeguatamente il capo dal sole con un cappello. Segni e sintomi – Cefalea molto intensa – Vomito – Capo molto caldo – Arrossamento del volto – Capogiri e/o svenimento (lipotimia e/o sincope) Cosa fare

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PATOLOGIEDAAGENTIFISICI – Stendere l’infortunato in una zona ombreggiata e ventilata – Applicare impacchi freddi sul capo al fine di abbassarne la temperatura – Somministrare bevande reidratanti – In caso di svenimento sollevare le gambe ed allentare cinture ed altre costrizioni che potrebbero ostacolare la circolazione del sangue dalle gambe verso il busto – Se i sintomi non si risolvono o tendono a peggiorare chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) Cosa non fare – Assolutamente vietate bevande alcoliche ESAURIMENTO DA CALORE L’esaurimento da calore rappresenta la più comune delle sindromi da calore e si verifica tipicamente in seguito all’esposizione prolungata al sole e/o ad elevate temperature ambientali. L’esaurimento da calore dipende principalmente da un’importante perdita di liquidi e sali corporei secondaria ad un’eccessiva sudorazione. I principali fattori che favoriscono l’insorgenza dell’esaurimento da calore sono quindi: •

svolgimento di attività fisica in condizioni di prolungata esposizione al sole e/o di elevate temperature ambientali

elevata umidità (superiore al 60-70 %) e scarsa ventilazione ambientale

scarsa introduzione di acqua e sali minerali nei giorni precedenti e durante l’esposizione

abbigliamento non adeguato (troppo pesante e/o poco traspirante e/o poco isolante dal calore ambientale)

l’età anziana, a causa della minore efficienza dei meccanismi di regolazione della temperatura corpore

Nell’esaurimento da calore la temperatura corporea non supera 40°C. In genere è una condizione benigna che si risolve spontaneamente dopo adeguato raffreddamento, riposo ed idratazione.

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Segni e sintomi – Senso di spossatezza – Sudorazione intensa – Crampi muscolari – Volto arrossato – Capogiri e/o svenimento Cosa fare – Stendere l’infortunato in una zona ombreggiata e ventilata – Togliergli gli indumenti più pesanti – Somministrare bevande reidratanti – In caso di svenimento sollevare le gambe ed allentare cinture ed altre costrizioni che potrebbero ostacolare la circolazione del sangue dalle gambe verso il busto – Se i sintomi non si risolvono o tendono a peggiorare chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) Cosa non fare – Assolutamente vietate bevande alcoliche COLPO DI CALORE Il colpo di calore rappresenta la più rara ma più grave delle sindromi da calore e si verifica per un’insufficienza dei meccanismi di regolazione della temperatura corporea, per cui questa inizia a salire superando i 40 °C, limite oltre i quali si possono determinare gravi danni sul sistema nervoso centrale e su altri organi corporei. Un eventuale “svenimento” è quindi più grave e non tende a risolversi spontaneamente. Il colpo di calore si verifica in genere in soggetti che si sottopongono a sforzi estremi (atleti in gara). L’età anziana, in cui i meccanismi di termoregolazione sono meno efficienti, è maggiormente a rischio. Segni e sintomi – Alterazioni del linguaggio, allucinazioni, delirio – Convulsione – Coma

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PATOLOGIEDAAGENTIFISICI Cosa fare – Chiamare i soccorsi organizzati per evacuare l’infortunato (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”) – Nell’attesa dei soccorsi stendere l’infortunato in una zona ombreggiata e ventilata, collocandolo nella posizione laterale di sicurezza se è privo di coscienza (vedi capitolo “Principi di primo soccorso in caso di perdita di coscienza e di inalazione di corpi estranei”) – Applicare impacchi freddi sul corpo al fine di abbassarne la temperatura CHERATOCONGIUNTIVITE ATTINICA (OFTALMIA NIVALIS) La cheratocongiuntivite attinica o oftalmia nivalis è un problema medico estremamente frequente in montagna, in particolare negli ambienti innevati. La causa dell’oftalmia delle nevi consiste nell’esposizione dell’occhio alle radiazioni solari, in particolare alla componente ultravioletta (UVA e UVB), situazione che è accentuata dall’azione riflettente del manto nevoso. Le radiazioni ultraviolette agiscono sulla cornea (la parte centrale trasparente del bulbo oculare) determinando una necrosi (cioè la morte) delle cellule che costituiscono il suo strato superficiale, con la messa a nudo dei piccoli filamenti nervosi che corrono immediatamente al di sotto di questo strato. Queste terminazioni nervose hanno il compito di innescare una reazione di difesa quando un corpo estraneo sfiora la cornea; la loro messa a nudo determina quindi una elevatissima sensibilità della cornea a qualsiasi stimolo (anche al solo sfregamento delle palpebre) con la comparsa di dolore urente, intensa lacrimazione e fastidio alla luce (fotofobia), a cui segue uno spasmo palpebrale (chiusura delle palpebre) che, nei casi più gravi, rende impossibile la vista. Tutto ciò è complicato dalla presenza del vento e del freddo che esaltano l’irritazione delle fibre nervose corneali, sia per azione diretta sulle stesse, sia aumentando l’evaporazione del film lacrimale protettivo. In genere l’interessamento corneale (cheratite) è accompagnato da un’infiammazione della congiuntiva (mucosa che riveste la parte bianca del bulbo oculare e la superficie interna delle palpebre), che si manifesta con una fastidiosa sensazione di sabbia negli occhi, completando così il classico quadro della cherato-congiuntivite da radiazioni solari. I sintomi insorgono in genere dopo 6-12 ore dall’esposizione al sole, quindi in genere la sera o la notte dopo l’escursione. Il dolore e la conseguente difficoltà nel tenere aperti gli occhi si mantengono anche durante la notte. Il danno

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sull’occhio non è di per sé grave in quanto l’epitelio corneale si rigenera in genere in 12-24 ore portando alla risoluzione dei sintomi. La menomazione visiva presente durante la fase sintomatologia può essere invece grave, e può causare incidenti talvolta anche mortali. Infine, bisogna sottolineare che l’oftalmia da ghiacciaio è il pericolo minore conseguente alla scorretta esposizione dell’occhio alla luce solare e rappresenta un campanello d’allarme che ci indica che dobbiamo adottare dei corretti sistemi di protezione. Ben più gravi sono infatti i rischi per la salute dell’occhio in caso di un’esposizione cronica senza un’adeguata protezione, che possono portare a gravi patologie, che danno segno di sé solo tardivamente, quando sono pienamente sviluppate, e per le quali non sempre le cure possono essere efficaci (cataratta, lesioni retiniche, tumori palpebrali). Sintomi – Occhio arrossato e gonfio – Sensazione di corpo estraneo (sabbia) – Aumentata lacrimazione – Fastidio alla luce (fotofobia) – Impossibilità a mantenere aperti gli occhi Cosa fare – Prevenire la cherato-congiuntivite utilizzando sempre occhiali da sole con adeguata protezione anti-UV – Impacchi con acqua fredda – Applicazione di lacrime artificiali o di pomate oftalmiche decongestionanti – Se la sintomatologia persiste oltre le 24-48 ore sottoporsi immediatamente ad un controllo oculistico Cosa non fare – Non strofinare gli occhi – Non applicare colliri anestetici o cortisonici che, pur riducendo i sintomi, possono rallentare il processo di guarigione della cornea USTIONI SOLARI Va ricordato che i raggi UV costituiscono un pericolo che va adeguatamente evitato. L’irradiazione varia a seconda della giornata, della stagione, della

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PATOLOGIEDAAGENTIFISICI latitudine, dell’ambiente che ci circonda. Esistono inoltre vari fototipi cutanei con sensibilità diversa rispetto ai raggi solari. La pelle del viso e le labbra sono la parte del corpo più esposta e più a rischio di danni solari. Tutto ciò va tenuto in considerazione al fine di proteggersi in modo adeguato dai raggi solari mediante l’utilizzo di cappello, occhiali ed adeguate protezioni solari. Le ustioni solari sono la conseguenza immediata di una carente protezione della pelle dal sole, che se ripetuta nel tempo può portare a conseguenze ben più spiacevoli (invecchiamento precoce della pelle, accentuazione delle rughe, macchie cutanee, cheratosi attiniche e lesioni cancerose giusto per citarne alcune). Nella maggior parte dei casi le ustioni solari sono di primo o secondo grado, interessano cioè gli strati più superficiali della cute con formazione di eritema (arrossamento) o di vescicole a contenuto limpido. Cosa fare – Prevenire le ustioni solari utilizzando adeguate protezioni solari in considerazione del proprio fototipo, da applicare più volte nel corso della giornata, senza dimenticarsi di labbra, naso e orecchie – In caso di ustione applicare immediatamente impacchi di acqua fresca – Proteggere le eventuali bolle con garze grasse e con medicazioni sterili – Consultare un medico in caso di ustioni molto estese e/o severe, dolore intenso o che si protrae oltre 48 ore o di comparsa di febbre Cosa non fare – Evitare ulteriore esposizione al sole fino alla completa risoluzione dell’ustione – Non rompere le eventuali bolle – Non utilizzare pomate contenenti antistaminici – Non utilizzare farmaci senza valutazione e prescrizione medica LESIONI DA FULMINI Le lesioni da fulmini sono un fenomeno abbastanza raro, ma non così tanto da consentirci di abbassare la guardia nei confronti di questi spettacolari fenomeni atmosferici. Nei paesi industrializzati si verificano infatti circa 3 incidenti da fulmine ogni milione di abitante all’anno, con 1 caso su 10 mortale. In Italia è quindi possibile stimare circa 180 incidenti da fulmine all’anno di cui circa 15-20 mortali.

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I fulmini causano danni sia per azione diretta della corrente sull’organismo che sia in seguito ai traumi che si verificano a causa delle brusche ed involontarie contrazioni muscolari indotte dalla corrente, che in seguito allo spostamento d’aria del tuono. In genere la morte e le lesioni più gravi si verificano quando la vittima viene colpita direttamente dal fulmine o cade dall’alto. Gli organi più colpiti dalla fulminazione sono il cuore e il sistema respiratorio (possibile insorgenza di arresto cardiaco e/o respiratorio), il sistema nervoso (con insorgenza di disturbi spesso transitori), la cute (ustioni), l’occhio (formazione di cataratta e di danni retinici) e l’orecchio (rottura del timpano). Cosa fare Le lesioni da fulmine vanno principalmente prevenute attenendosi ad alcune semplici regole: – pianificare con attenzione le escursioni in relazione anche alle previsioni meteo ed al rischio di temporali, valutando la presenza di luoghi di riparo lungo l’itinerario – in caso si venga colti da temporale cercare immediatamente un rifugio; i posti migliori sono le abitazioni chiuse, mantenendosi lontano da porte e finestre e le automobili con porte e finestrini ben chiusi; altri posti relativamente sicuri sono rappresentati da profonde grotte, avvallamenti stretti e profondi, fitte boscaglie; costruzioni aperte, alberi isolati, cavità poco profonde, impalcature e creste rocciose sono invece luoghi pericolosi – in caso non sia possibile reperire un rifugio adeguato bisogna adottare una posizione di sicurezza, che consiste nello stare rannicchiati, possibilmente appoggiando solo le punte dei piedi su del materiale isolante (per es. un materassino) e tapparsi le orecchie con le mani; – allontanare da se ogni tipo di materiale metallico – in caso si sia un gruppo, ogni escursionista deve stare ad una distanza di almeno 7 metri dall’altro – osservare la regola del 30-30, cioè che si è a rischio di essere colpiti da un fulmine se passano meno di 30 secondi tra un lampo e il suo corrispettivo tuono, e che non bisogna uscire all’esterno prima che siano trascorsi almeno 30 minuti dall’ultimo lampo o dall’ultimo tuono Se nonostante tutte queste precauzioni si dovesse essere colpiti da un fulmine o ci si dovesse imbattere in una vittima di fulmine, contattare immediatamente i soccorsi organizzati per l’evacuare dell’infortunato e per una sua valutazione e monitoraggio in ambiente ospedaliero (vedi capitolo “La chiamata dei soccorsi organizzati”)

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Punture e morsi - G. Agazzi PUNTURE DI INSETTI (PUNTURE DI APIDI E VESPIDI - IMENOTTERI) Provocano generalmente solo reazioni locali; in casi particolari la sensibilità del soggetto alle sostanze iniettate è tale da provocare fenomeni generalizzati. Le reazioni di tipo locale si verificano nel 15% della popolazione. Quelle di tipo generale nell’1% dei soggetti giovani e nel 2% dei soggetti adulti. Sintomi – Arrossamento – Gonfiore – Edema – Orticaria generalizzata – Vomito – Diarrea – Abbassamento della pressione arteriosa – Aumento della frequenza cardiaca – Shock anafilattico – Prurito e/o dolore – Difficoltà respiratoria anche grave Cosa fare – Con una lametta o un ago rimuovere immediatamente il pungiglione dell’ape, senza romperlo e senza schiacciarlo – Disinfettare con ammoniaca diluita – Applicare ghiaccio o impacchi freddi per ridurre la diffusione del veleno – Sollevare l’arto colpito dal morso – In caso di edema o prurito intenso somministrare antistaminici e/o cortisonici MORSO DI ZECCA Di solito non è pericoloso. I rischi dipendono dalla possibilità di contrarre infe-

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PUNTUREEMORSI zioni veicolate da questi artropodi (malattia di Lyme). Cosa fare – Se si trova una zecca infissa nella cute, va rimossa nel modo corretto, che consiste nell’afferrarla con una pinza a punte sottili il più aderente possibile alla cute, facendo attenzione a non afferrarla per il corpo per evitare un “effetto siringa”, e quindi toglierla tirando verso l’alto senza fare torsioni o rotazioni – Nel dubbio di rottura si può estrarre il microscopico rostro per mezzo di un ago da siringa sterile – Disinfettare accuratamente la sede del morso senza usare disinfettanti colorati – Il modo più adeguato di eliminare la zecca rimossa è quello di bruciarla – Per un periodo di tempo di 30-40 si controllare tutti i giorni la zona cutanea dove si è stati punti. Se dovesse comparire un arrossamento che tende ad espandersi assumendo dimensioni sempre più grandi e spesso a forma di anello, recarsi dal Medico Curante o in Pronto Soccorso riferendo di essere stati punti da una zecca – Consultare il Medico di Medicina Generale se, nel periodo di osservazione sopraccitato, e in persone che non ne hanno mai sofferto in passato, dovessero comparire un’improvvisa artrite acuta oppure un mal di testa non abituale o altri disturbi di rilievo rispetto alle condizioni precedenti alla puntura – Durante i giorni di osservazione non vanno presi antibiotici per evitare di mascherare i segni dell’eventuale infezione in incubazione. Se per altre ragioni, che intervengono durante il periodo di osservazione di 30-40 giorni, si deve far ricorso agli antibiotici, allora vanno usati quei farmaci efficaci anche contro la Borreliosi di Lyme e per un periodo non inferiore ai 21 giorni – Annotare il luogo e la data dove il morso è avvenuto Cosa non fare – Non schiacciare la zecca – Evitare metodi impropri per la rimozione della zecca, quali l’applicazione di caldo (brace di sigaretta, fiammiferi appena spenti, aghi arroventati, …) o di sostanze quali etere, benzina, trielina, petrolio, olio, pomate. Tali metodi inducono nella zecca un riflesso di rigurgito con aumento esponenziale del rischio di contrarre l’eventuale germe che si localizza nel suo intestino e nelle ghiandole salivari

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– Usare i guanti per evitare eventuali contaminazioni col sangue MORSO DI VIPERA La vipera è l’unico serpente velenoso in Italia; non è aggressiva: morde quando la si calpesta o la si attacca . Si tratta di un evento poco comune in Europa. Il panico a volte è più pericoloso del morso. Le complicazioni dovute al morso subentrano in genere dopo qualche ora dall’evento. Sintomi locali – Segno dei denti veleniferi della vipera: due fori ben evidenti distanti circa 1 cm – Gonfiore – Dolore intenso Sintomi generali – Vomito – Dolori addominali – Diarrea – Vertigini – Malessere generale – Stato di ansia – Difficoltà respiratoria – Pallore, tachicardia, calo della pressione arteriosa, shock (nei casi più gravi) Cosa fare – Mantenere calmo e immobile il soggetto – Riconoscere i segni del morso – Se il morso è stato a un braccio: togliere anelli, orologi, bracciali – Per rallentare la diffusione del veleno applicare una fasciatura elastica non troppo stretta all’arto, incominciando dalla zona del morso, e immobilizzare l’arto (per esempio con una stecca come in caso di frattura)

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PUNTUREEMORSI Cosa non fare – Non somministrare siero antivipera – Non incidere – Non succhiare – Non applicare lacci emostatici – Non far camminare l’infortunato – Non somministrare alcolici o sostanze eccitanti

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Mal di Montagna - D. Benedini Il termine Montagna deriva dal latino “mons, montis” con significato di monte che a sua volta trae origine dalla radice indoeuropea “men-“ che esprime il valore di elevato, alzato. La montagna è il luogo sollevato dall’aspetto imponente che manifesta la leggerezza della sua “aria sottile” e della mente dell’uomo che la abita. Per i buddisti il monte è un mandala ovvero la rappresentazione dell’universo. L’ambiente di montagna è caratterizzato dal cambiamento, con l’altezza, delle variabili chimico-fisiche atmosferiche. Alcune diminuiscono come la pressione barometrica, la pressione parziale di ossigeno, la temperatura, gli inquinanti, la densità e l’umidità dell’aria; altre aumentano come l’intensità delle radiazioni solari e la ventosità. La stratificazione dell’ambiente di montagna consente di distinguere 4 suddivisioni oltre il livello del mare (Bartsch 2008): 1. Livello del mare: 0 – 500 m

2. Bassa quota: 500 – 2000 m

3. Media quota: 2000 – 3000 m 4. Alta quota: 3000 – 5500 m

5. Quota estrema: oltre i 5500 m

· L’atmosfera compresa nello strato fra 0 e 500 m non manifesta significative

modificazioni delle sue variabili chimico-fisiche e quindi non evoca risposte di adattamento dell’organismo

· Nello spazio della bassa quota il lieve cambiamento delle variabili

atmosferiche è sufficiente per produrre nell’organismo umano una riduzione delle prestazioni fisiche compensabile con una corretta acclimatazione, soprattutto dopo i 1500 m

· Alla media quota la diminuzione del contenuto di ossigeno dell’aria

atmosferica richiede un adeguato adattamento dell’organismo affichè possa mantenere la propria performance. Dopo qualche ora di permanenza a questo livello possono manifestarsi alcuni sintomi del mal di montagna come la nausea, il mal di testa e l’insonnia

· L’alta quota può essere considerata la soglia alla quale il cambiamento avvenuto nelle variabili atmosferiche richiede, alla maggior parte delle

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MALDIMONTAGNA persone, un’adeguata acclimatazione, senza la quale si rende manifesto il mal di montagna. Inoltre gli adattamenti fisiologici realizzati non consentono comunque di mantenere le proprie prestazioni fisiche come al livello del mare

· La quota estrema è tale perché l’organismo umano non può adattarsi in modo permanente, ma può solo sopravvivere temporaneamente

Come l’organismo reagisce alla quota: adattamento L’esposizione all’ipossia ipobarica (cioè da altitudine) è un evento stressante al quale l’organismo reagisce con l’attivazione del sistema neuroendocrino responsabile delle risposte di adattamento immediate e tardive. L’acclimatazione è il processo con cui un individuo gradualmente si adatta all’ipossia ipobarica. Questo implica una serie di cambiamenti nell’organismo che avvengono in un periodo che va da alcune ore a diversi mesi, finalizzati ad aumentare il trasporto dell'ossigeno alle cellule e migliorarne l’efficienza del suo utilizzo. L’entità di queste risposte dell’organismo dipende da: o o o o

quota abituale di residenza dell’individuo altitudine raggiunta rapidità con cui è stata raggiunta durata della permanenza in quota

La quota soglia alla quale il processo di acclimatazione si avvia è tra 2500 e 3000 m.

SISTEMA RESPIRATORIO L’esposizione all’ambiente della montagna, soprattutto a quote superiori a 3000 m, determina un aumento della ventilazione, cioè della quantità di aria che entra ed esce dai polmoni in un minuto. Questa reazione all’ipossia ipobarica si chiama “risposta ventilatoria all’ipossia”. L’iperventilazione raggiunge il suo valore massimo dopo 4-7 giorni di permanenza alla stessa quota, ma continua a incrementare per ogni successivo aumento di quota. La finalità adattiva è introdurre più ossigeno. SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO L’esposizione acuta all’ambiente della montagna determina un aumento della frequenza cardiaca, della gittata cardiaca (quantità di sangue pompata dal cuore nelle arterie verso gli organi in un minuto) e della pressione arteriosa massima e minima già dai 1500 metri di quota. Durante la permanenza in quota, per effetto del progressivo adattamento, la gittata cardiaca si riduce, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa

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assumono a riposo valori simili a quelli presenti a livello del mare. La finalità adattiva è aumentare la quantità di ossigeno trasportato alle cellule nell’unità di tempo. SISTEMA URINARIO La permanenza in quota determina un’aumenta produzione di urina con eliminazione di acqua, sodio e bicarbonati e conseguente acidificazione del sangue che stimola la ventilazione. Questa condizione rappresenta una buona risposta di adattamento e richiede un adeguato apporto idrico può “prevenire” l’eccessiva disidratazione. La finalità adattiva è stimolare la ventilazione aumentando l’acidità del sangue. MODIFICAZIONI CELLULARI L’ipossia ipobarica (cioè da altitudine) determina:  Aumento del numero globuli rossi che trasportano l’ossigeno legato all’emoglobina  Diminuisce l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno, favorendo così il rilascio di ossigeno ai tessuti  Aumenta la mioglobina, una proteina che trasporta l’ossigeno dentro le cellule  Aumenta il numero dei mitocondri che sono le centrali energetiche della cellula  Aumenta l’efficienza metabolismo glucidico anaerobico che serve a produrre l’energia necessaria alla cellula in assenza di ossigeno  Stimola la vasodilatazione e la generazione di nuovi vasi (angiogenesi) aumentando il flusso di sangue alle cellule e quindi l’apporto di ossigeno  Stimola la produzione di leptina un ormone proteico prodotto dal tessuto adiposo che diminuisce l’appetito (anoressia) Gli elementi che concorro a produrre le risposte adattive sono: o Età e sesso o Quota abituale di residenza

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MALDIMONTAGNA o Condizioni fisiche o Introito di liquidi o Precedenti sintomi di male di montagna o Caratteristiche fisiologiche e metaboliche determinate geneticamente. Non ha importanza la massima capacità aerobica. (VO2max) o Velocità di ascesa o Quota assoluta raggiunta o Dislivello giornaliero Le strategia per conseguire un adeguato adattamento alla quota: o Non salire troppo in fretta troppo in alto. Dopo i 3000 - 3500 m salire in media 400 – 600 m al giorno, dormendo ad una quota più bassa di quella massima raggiunta durante la giornata (ascensione a denti di sega). Per esempio: 1° giorno quota massima raggiunta 3200 m, pernottare a 3000 m; 2° giorno quota massima raggiunta 3700 m, pernottare a 3500 m; 3° giorno quota massima raggiunta 4000 m, pernottare a 3800 m o Salire abbastanza un alto per stimolare il processo di acclimatazione rispetto alla meta che si deve raggiungere. Esempio quota max 7000 m campo di acclimatazione tra 4800 e 5200 m o Non rimanere troppo in alto troppo a lungo; oltre i 5500 metri l’organismo si degrada rapidamente con perdita di peso soprattutto derivante da massa magra (muscoli e cervello) o Non assumere sonniferi e limitare gli alcolici: favoriscono la comparsa del mal di montagna o Bere liquidi (almeno 1,5L al giorno) e alimentarsi regolarmente. Una forte riduzione del volume di urine è segno di aggravamento Il male acuto di montagna (MAM O AMS) È una condizione di malessere caratterizzata da sintomi prevalentemente neurologici e respiratori che appare dopo rapide ascese a quote superiori ai 2500 metri provocata dalla diminuzione della pressione parziale di ossigeno nell’atmosfera.

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Sintomi o Mal di testa. Insorge dopo uno sforzo fisico, aumenta durane la notte e soprattutto al mattino al risveglio o Insonnia o Perdita dell’appetito, nausea, vomito. o Stanchezza, eccessivo affaticamento, lentezza nel recupero dopo uno sforzo fisico o Vertigini o Affanno sotto sforzo e alla fine di un esercizio fisico o Diminuzione della quantità di urine emesse Segni: edemi localizzati (gonfiori) · Il gonfiore si localizza al viso, alle mani e agli arti inferiori · Generalmente compaiono dopo una notte in alta quota · Regrediscono dopo l’acclimatamento o dopo la discesa · Possono essere trattati con un diuretico: acetazolamide (Diamox) Fattori predisponenti · Residenza abituale in bassa quota · Pregressi episodi di male acuto di montagna · Condizione fisica non eccellente · Ridota risposta ventilatoria all’ipossia · Obesità · Russamento, Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno · Emicrania · Interventi chirurgici sul collo

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MALDIMONTAGNA

Fattori favorenti · Velocità di ascesa · Freddo · Esercizio fisico intenso · Infezione delle vie aeree Le manifestazioni del male acuto di montagna.

· Forma lieve; crea un modesto disagio senza limitare l’attività fisica, ha una buona e pronta risposta alla terapia sintomatica

· Forma moderata; provoca una condizione di malessere discretamente

fastidiosa che limita le attività quotidiane. La terapia sintomatica genera una miglioramento transitorio

· Forma severa. Il malessere impedisce qualsiasi attività. Non c'è rsiposta alla terapia farmacologica

Come riconoscere il mal di montagna acuto. Punteggio di Hackett. Questo strumento vi permette di valutare la gravità del vostro Male Acuto di Montagna e di decidere cosa fare.

Mal ti testa o nausea

SINTOMO

Perdita di appetito

Mal di testa resistente agli analgesici Vomito

Affanno a riposo

Affaticamento anormale Diminuzione dell’urina prodotta

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punteggio 1 1 2 2 3 3 3


· Punteggio inferiore a 4 o Male acuto di montagna lieve. Il soggetto avverte un po’ di fastidio che non limita la sua attività; buona risposta ai farmaci sintomatici o Non salire troppo in fretta o Trattamento: aspirina o paracetamolo e antiemetici · Punteggio fra 4 e 8 o Male acuto di montagna moderato. Il soggetto avverte un fastidio discreto che limita le attività quotidiane, temporaneamente controllato dai farmaci (i sintomi si ripresentano quando il farmaco esaurisce la propria azione) o Riposare almeno 24 ore alla stessa quota o Trattamento: analgesici · Punteggio superiore a 8 o Male acuto di montagna grave. Il soggetto sta male e non riesce a svolgere alcuna attività. Scarso effetto della terapia farmacologica o Scendere subito almeno 500 m o Trattamento: corticosteroidi Prevenzione del male acuto di montagna con acetazolamide (Diamox) · Ritarda l’insorgenza del male acuto di montagna · Limita gli edemi localizzati (sottocutanei) · Sopprime il respiro paradosso durante il sonno · Posologia raccomandata: mezza compressa al mattino e mezza compressa a mezzogiorno (qualche giorno prima del trekking è opportuno testare la reazione individuale al farmaco con una assunzione unica)

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MALDIMONTAGNA EDEMA CEREBRALE D’ALTA QUOTA (HACE) Rigonfiamento del tessuto cerebrale provocato dall’inadeguato acclimatamento alle quote elevate. Condizioni di insorgenza · Durante il periodo di acclimatamento alla quote compresa tra 3500 e 5000 · Alle quote estreme oltre i 7000 m Fattori favorenti: · Mancanza di acclimatamento · Stato di mal di montagna Sintomi · Mal di testa resistente al trattamento analgesico · Vomito a getto · Incoordinazione motoria: perde equilibrio quando cammina · Cambio dell’umore · Delirio e/o allucinazioni Evoluzione · Guarigione rapida se si scende di quota · Perdita di coscienza seguita da decesso se si rimane alla stessa quota o si sale Trattamento · Riossigenazione  Discesa di 500 – 1000 m

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 Cassone iperbarico  Ossigeno. · Farmaci  Corticosteroidi: Desametasone 8 mg e in seguito 4 mg ogni 4 ore EDEMA POLMONARE D’ALTA QUOTA (HAPE) È un accumulo patologico di liquido all’interno dei polmoni, conseguente dall’inadeguato acclimatamento alle quote elevate. Condizioni d’insorgenza: · La quota alla quale si manifesta è compresa fra 2000 e 7000 m, soprattutto a partire da 5000 m · Insorge nei primi tre giorni dal raggiungimento della quota critica · È più frequente nei soggetti giovani Fattori favorenti: · Mancanza di acclimatamento · Esercizio fisico intenso in quota · Presenza di infezioni polmonari acute Sintomi Fase d’insorgenza · Difficoltà respiratoria a riposo · Tosse secca · Spesso sono presenti i sintomi del mal di montagna acuto Fase di stabilizzazione

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MALDIMONTAGNA

· Catarro denso e roseo · Rumori durante la respirazione: rantoli · Colorito bluastro delle labbra

Evoluzione · Guarigione se si scende di quota e si attua il trattamento specifico · Il decesso riguarda il 44% delle persone non trattate

Trattamento · Re-ossigenazione  Discesa di 500 – 1000 m  Cassone iperbarico  Ossigeno.  Ventilazione a pressione positiva (PEP) · Farmaci  Corticosteroidi: Desametasone 8 mg ogni 6 ore  Calcio-antagonisti: Adalat 20 mg ogni 6 ore  Sidenafil: Viagra 40 mg ogni 8 ore

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Principi di primo soccorso in caso di perdita di coscienza ARRESTO CARDIO – RESPIRATORIO RIANIMAZIONE CARDIO-POLMONARE (BLS): COSA È La rianimazione cardio-polmonare è una procedura di mantenimento temporaneo e parziale della ventilazione e della circolazione. RIANIMAZIONE CARDIO-POLMONARE (BLS): A CHI SERVE La rianimazione cardio-polmonare si esegue quando la persona è incosciente e non respira o non respira normalmente. RIANIMAZIONE CARDIO-POLMONARE (BLS): QUALI EFFETTI PRODUCE La rianimazione cardio-polmonare fornendo una piccola quantità di ossigeno e nutrienti al cervello ed al cuore rallenta il loro deterioramento in attesa del soccorso sanitario, e aumenta la probabilità di sopravvivenza della vittima. RIANIMAZIONE CARDIO-POLMONARE (BLS): PROCEDURA - Sicurezza del Soccorritore: dispositivi individuali di protezione (guanti in nitrile) - Sicurezza della Scena: ambiente privo di rischi (allegato) - Sicurezza della vittima - Sicurezza degli astanti

Verificare responsività e respiro della vittima Stringere le spalle e chiedere ad alta voce . Signore mi sente? Contemporaneamente osservare se respira (espansione regolare del torace/ ddome senza la produzione di rumori durante la respirazione ).

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PERDITADI CONOSCENZA

SE LA VITTIMA NON RISPONDE, NON RESPIRA O NON RESPIRA NORMALMENTE

Chiedere aiuto : chiamare o far chiamare 112. Posizione corretta della vittima supina su piano rigido. Posizione corretta del soccorritore in ginocchio lateralmente al torace della vittima.

Eseguire 30 compressioni toracihe Porre la parte del palmo della mano vicino al polso ‌

‌ al centro del torace nel punto di mezzo della linea che unisce i due capezzoli sulla parte inferiore dello sterno della vittima.

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Porre la parte del palmo della mano vicino al polso al centro del torace sulla parte inferiore dello sterno della vittima.

‌ sovrapporre l’altra mano alla prima e intrecciare le dita, per tenere le dita staccate dal torace.

Gomiti estesi e rigidi come se fossero ingessati. Braccia perpendicolari al torace della vittima. Forza : abbassare il torace di 5-6 cm. Frequenza compresa fra: 100 - 120 / minuto (quasi 2 compressioni al secondo). Numero compressioni: 30. Tempo di compressione = tempo di rilasciamento. Non staccare mai le mani dal torace durante le compressioni.

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PERDITADI CONOSCENZA

ESEGUIRE 2 VENTILAZIONI estendere la testa con una mano sulla fronte e due dita sul mento per staccare la lingua dalla gola; chiudere le narici, della vittima tra pollice e indice mantenere la testa estesa con la stessa mano appoggiata sulla fronte della vittima.

Sigillare la bocca della vittima con le proprie labbra. Soffiare nella bocca della vittima delicatamente per un secondo. Osservare il sollevamento del torace durante l’insufflazione. Liberare la bocca della vittima. Osservare l’abbassamento del torace della vittima durante l’espirazione. Ripetere l’intera sequenza ancora una volta.

ALTERNARE 30 COMPRESSIONI E 2 VENTILAZIONI Se non te la senti di soffiare aria nella bocca della vittima esegui solo le compressioni toraciche senza interruzione. Continuare fino a quando : la vittima respira o si muove o si lamenta spontaneamente; esaurimento del soccorritore; arrivo dei soccorritori sanitari.

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SE LA VITTIMA NON RISPONDE, NON RESPIRA O NON RESPIRA NORMALMENTE POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA Se la persona è incosciente, ma respira normalmente e non ha subito un trauma deve essere collocata nella posizione laterale di sicurezza come indicato dalle immagini. Questa posizione consente alla vittima di mantenere una posizione stabile, evitare l’inalazione con rischio di soffocamento della saliva, o vomito che potranno uscire spontaneamente attraverso la bocca. La posizione sarà mantenuta fino all’arrivo dei soccorsi sanitari cambiando il lato d’appoggio ogni 30 minuti.

Se l’ambiente presenta dei pericoli oggettivi è necessario spostare la vittima in un luogo adeguato che dovrà possedere le seguenti caratteristiche : • sicuro • pianeggiante dove mantenere in posizione stabile la vittima • asciutto • ventilato, ma non esposto al vento • ampio per consentire la medicalizzazione • facilmente raggiungibile dai soccorritori. Il pericolo più significativo durante “lo spostamento immediato d’emergenza” è l’aggravamento di una lesione vertebrale. Per ridurre questo rischio il paziente deve essere mosso minimizzando i movimenti della colonna vertebrale. Spostamento con più soccorritori : dopo aver ruotato la vittima sul dorso come tutto unico un soccorritore sorregge il capo mantenendolo allineato al tronco in leggera trazione, mentre gli altri si posizionano a cavalcioni della vittima distribuiti lungo il corpo. Al comando di chi sta alla testa l’infortunato viene sollevato e trasportato.

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INALAZIONEDICORPIESTRANEI

Principi di primo soccorso in caso d’inalazione di corpi estranei

Dispositivi individuali di protezione: guanti in nitrile. Valutare se la scena è sicura.

Chiamare e toccare la vittima: è cosciente ma sta soffocando. Chiamare o far chiamare 112.

Guardare in bocca e rimuovere eventuali corpi estranei solo se immediatamente e facilmente afferrabili. Posizionarsi a fianco della vittima con una mano sorreggere il suo torace facendo in modo che si sporga in avanti. Eseguire con l’altra mano 5 colpi fra le scapole.

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Portarsi dietro alla vittima. Cingere con le proprie braccia l’addome della vittima. Porre una mano chiusa a pugno con il pollice all’interno, sull’addome tra l’ombelico e lo sterno. Afferrare con l’altra mano il pugno. Esercitare una trazione decisa con le mani verso l’alto e verso l’interno per 5 volte.

Controllare nella bocca della vittima se il copro estraneo è evidente e accessibile: RIMUOVERLO ! Altrimenti ricominciare la sequenza fino a quando il corpo estraneo è rimosso/espulso o fino a quando la vittima diventa incosciente, in questo caso INIZIARE BLS controllando dopo ogni ciclo di 30 compressioni toraciche se il corpo estraneo è evidente in bocca (in questo caso rimuoverlo) prima di fare le 2 ventilazioni. Continuare la sequenza BLS + controllo bocca fino a quando la vittima respira o si muove o si lamenta spontaneamente esaurimento del soccorritore arrivo dei soccorritori sanitari.

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La chiamata dei soccorsi organizzati - D. Benedini COSA È IL PRIMO SOCCORSO Il primo soccorso è l’aiuto dato alla persona in difficoltà (infortunata o malata) da personale non sanitario in attesa dell’intervento competente. L’AIUTO EFFICACE / EFFICIENTE L’aiuto per essere efficace ed efficiente deve possedere tre caratteristiche: 1. RAPIDO, per contrastare l’evoluzione peggiorativa delle condizioni cliniche della vittima, verso la morte o gravi disabilità permanenti. La rapidità è vita, ma soprattutto è qualità di vita 2. COORDINATO con l’intervento dei soccorritori sanitari. Chiama il 112 3. ADEGUATO alle circostanze, dopo che una valutazione ha consentito la scelta di azioni appropriate al contesto ambientale, alle condizioni cliniche della persona in difficoltà ed alle conoscenze / abilità del soccorritore. L’aforisma “ meglio qualsiasi soccorso che nessun soccorso” è pertinente solo nelle situazioni di emergenza dove l’intervento non può essere differito pena la morte del paziente PERCHÉ È IMPORTANTE IL PRIMO SOCCORSO l’intervento compiuto nei primi minuti dell’emergenza è cruciale per la sopravvivenza e per la qualità di vita residua della vittima. Il testimone di una persona in difficoltà per malattia o trauma dovrebbe compiere quelle azioni non differibili, necessarie sia al mantenimento delle funzioni vitali sia a impedire un’evoluzione peggiorativa delle condizioni di salute della vittima. Elemento fondamentale nell’assistenza alla persona in difficoltà è la valutazione. VALUTAZIONE Valutare significa acquisire le informazioni necessarie per compiere le azioni appropriate alle circostanze rilevate. La valutazione si sviluppa in tre direzioni. 1. La valutazione ambientale riguarda l’analisi del rapporto tra la vittima o le vittime e l’ambiente per soddisfare quattro obiettivi: a) identificare e controllare pericoli ambientali che possono danneggiare l’infortunato, il soccorritore ed eventuali astanti

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LACHIAMATADEISOCCORSIORGANIZZATI b) considerare e controllare il pericolo di trasmissione di malattie infettive attraverso i materiali biologici dell’infortunato c) Quantificare il numero delle persone coinvolte d) categorizzare la vittima come paziente traumatizzato o non traumatizzato, attraverso l’analisi della dinamica lesiva, e la gravità della sua condizione attraverso il colpo d’occhio a. Il Colpo d’occhio è un esame rapido e sommario della vittima effettuato osservando: o Presenza o assenza di segni vitali: occhi aperti, respira, parla, si lamenta, si muove... o Colorito cutaneo: pallore… o Posizione e postura della vittimo o delle vittime o Emorragie imponenti o immediatamente evidenti 2. Valutazione della persona in difficoltà 3. Valutare la necessità di attivare il servizio di emergenza: 112. Nel dubbio chiamare sempre! VALUTAZIONE DELLA PERSONA IN DIFFICOLTÀ La valutazione primaria della vittima è un metodo standardizzato per analizzare le funzioni vitali: coscienza, respiro, circolazione e attuare manovre di supporto quando si rileva la loro assenza o grave compromissione. Questa procedura è costituita dalla sequenza ordinata di fasi, indicate con l’acronimo ABCDE, dove ciascuna lettera è l’iniziale della parola inglese indicante la principale funzione esplorata. Ogni fase è costituita da due momenti uno di valutazione e l’altro di azione.

A Iniziale della parola inglese Airways = vie aeree. In questa fase il soccorritore sollecita, con un doppio stimolo la vittima: stringe le sue spalle e la chiama ad alta voce. Se la persona risponde significa che è cosciente e le vie aeree sono libere da ostacoli. Il soccorritore può procedere con le successive fasi BCDE della valutazione. Nella persona cosciente un impedimento al passaggio dell’aria si rende facilmente evidente con una respirazione difficoltosa e rumorosa. In questa circostanza il soccorritore eseguirà la procedura prevista nei casi in cui

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si sospetta un’ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo (vedi procedura O.V.A.C.E. = ostruzione vie aeree corpo estraneo). L’assenza di una reazione agli stimoli tattile e verbale identifica la vittima come incosciente e impone di valutare la presenza della respirazione. Se la persona respira e non è vittima di un trauma deve essere collocata nella posizione laterale di sicurezza (vedi procedura P.L.S. = posizione laterale di sicurezza). Se la persona è incosciente e non respira o respira in modo anormale è necessario attuare la procedura di rianimazione cardio-polmonare (vedi B.L.S. = supporto di base alle funzioni vitali). Nella persona vittima di un trauma è necessario, in tutte le circostanze, proteggere il tratto cervicale della colonna vertebrale (rachide cervicale = collo) mantenendo la testa allineata al tronco in posizione di neutralità (la linea dello sguardo del traumatizzato è perpendicolare al piano d’appoggio della testa) fino all’arrivo dei soccorsi organizzati. Riassumendo la fase A: · Doppio stimolo: tattile e verbale · La vittima risponde: procedere con BCDE · La vittima risponde ma respira in modo anormale: procedura OVACE · La vittima non risponde, respira, non ha subito un trauma: procedura PLS · La vittima non risponde, non respira: procedura BLS · La vittima ha subito un trauma in tutte le circostanze: proteggere il collo

B Iniziale della parola inglese Breathing = respirazione. In questa fase il soccorritore effettua la valutazione della attività respiratoria nella vittima, osservando e palpando l’espansione del torace e dell’addome durante l’introduzione dell’aria nei polmoni (inspirazione) e la contrazione del torace e dell’addome durante l’espulsione dell’aria dai polmoni (espirazione). La respirazione è nomale quando sono presenti queste condizioni:  Frequenza respiratoria (numero di espansioni del torace/addome in un minuto): 12 - 20 al minuto  Assenza di rumori durante le fasi d’inspirazione ed espirazione

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LACHIAMATADEISOCCORSIORGANIZZATI  Le espansioni dell’emitorace destro e sinistro sono simmetriche: appoggiando la mano destra e sinistra rispettivamente e contemporaneamente su ciascun emitorace si avverte se l’espansione nei due lati avviene con ampiezza uguale Sono segnali di pericolo per la sopravvivenza della persona le seguenti condizioni:  Frequenza respiratoria: < 10 espansioni al minuto o > 30 espansioni al minuto  Ispirazione o espirazione rumorosa  Espansioni asimmetriche delle due metà del torace

C Iniziale della parola inglese Circulation = circolazione. In questa fase il soccorritore valuta l’eventuale presenza di un’emorragia e l’attività cardiaca attraverso il riscontro dei segni di circolo. Sono indicatori di normalità le seguenti condizioni:  Assenza di emorragie  Colore della cute: roseo  Temperatura della cute: calda  Umidità della cute: non bagnata, non secca  Frequenza cardiaca (numero di espansioni delle pareti dell’arteria radiale in un minuto): 60-100. L’arteria radiale si percepisce con i polpastrelli del dito indice e medio al polso dal lato del palmo della mano, sotto il pollice. Sono segnali di pericolo per la sopravvivenza della persona le seguenti condizioni:  Emorragia con abbondante perdita di sangue. È necessario un immediato controllo (vedi procedura)  Colore della cute: pallido (quando associato a cute fredda e bagnata) o con chiazze bluastre  Temperatura della cute: fredda o calda (quando associata a cute secca)

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 Umidità della cute: bagnata (quando associata a cute fredda)  Frequenza cardiaca: < 50 (se associata a malessere) o > 100 (a riposo con sensazione di costrizione alla gola o oppressione sul torace)

D Iniziale della parola inglese Disabylity = disabilità secondaria a compromissione neurologica. In questa fase il soccorritore valuta nella vittima : · Stato di coscienza secondo metodo AVPU. · Asimmetrie del volto · Sensibilità agli arti · Mobilità degli arti · Linguaggio Metodo AVPU A iniziale della parola inglese Alert significa vigile; la persona ha gli occhi aperti e comunica con gli altri è orientata nello spazio (sa dov’è) e nel tempo (sa che giorno è). V iniziale della parola inglese Verbal significa che la persona ha gli occhi chiusi e reagisce solo se chiamato. P iniziale della parola inglese Pain significa che la persona ha gli occhi chiusi e reagisce solo ad uno stimolo doloroso provocato da un pizzicotto ad esempio al lobo dell’orecchio sul margine superiore della spalla. U iniziale della parola inglese Unresponsive significa che la persona ha gli occhi chiusi e non reagisce a nessuno stimolo. Sono segnali di pericolo per la sopravvivenza della persona le seguenti condizioni:  stato di coscienza classificato come V o successivo (P – U)

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LACHIAMATADEISOCCORSIORGANIZZATI  asimmetrie del volto: bocca storta  Insensibilità ad uno o più arti  Paralisi o riduzione della forza di uno o più arti  Pronuncia parole incomprensibili o non coerenti al contesto  Presenza di convulsioni

E Iniziale delle parole inglesi Exposure e Environment, significano rispettivamente esposizione e ambiente. In questa fase il soccorritore valuta nella vittima la presenza di :  Segni di trauma (Ferite, Deformità, Ecchimosi, Ematomi …)  Sintomi riferiti (dolore, senso di peso al torace o all’addome, difficoltà a respirare, nausea, vomito, vertigini …)  Allergie  Terapie con farmaci ( soprattutto nei traumatizzati chiedere se sono in terapia con “fluidificanti del sangue” come anticoagulati o antiaggreganti (aspirina …)  Malattie  Gravidanza in corso Al termine della valutazione la vittima deve sempre in ogni stagione protetta dalla dispersione di calore mediante l’utilizzo di un telo isotermico. Le informazioni raccolte verranno comunicate all’operatore del Servizio di Emergenza Urgenza(112) secondo l’ordine indicato:  Numero persone coinvolte, sesso età

 Dinamica dell’evento / sintomo principale  Coscienza AVPU

 Come respira, quanti atti respiratori al minuto?  Emorragie se presenti e loro controllo  Cute : temperatura umidità, colore

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 Frequenza del polso radiale e ritmo  Sensibilità e motilità degli arti

 Dolore, ferite, deformità presenti dalla testa ai piedi  Allergie, medicine, malattie, cibo assunto

VALUTAZIONE ABCDE

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La comunicazione interpersonale in situazioni di emergenza - C. Plaino Comunicare in genere non è cosa semplice, nelle situazioni di emergenza probabilmente è ancora più difficile. Alcuni stressors a cui i soccorritori sono sottoposti e che contribuiscono a creare elevati livelli di difficoltà emotiva e comunicativa sono: - l’imprevedibilità legata a interventi rischiosi - la morte violenta e la vista di resti umani - l’impatto con la sofferenza fisica - la percezione dell’inefficacia del proprio intervento - le condizioni ambientali avverse in cui si opera Davanti ad eventi stressanti, come ad esempio un infortunio, la reazione tipica dell’organismo umano è l’attivazione del sistema orto-simpatico che, attraverso la secrezione di adrenalina, predispone il soggetto a fronteggiare l’evento traumatico. Tale stato dell’individuo rende molto complicata la comunicazione verbale ed interpersonale; questa reazione è assolutamente fisiologica e naturale e quindi non eliminabile per cui diventa necessario cercare almeno di contenerla avviando un processo che solleciti il sistema para-simpatico ovvero antagonista del precedente che, attraverso il neurotrasmettitore acetilcolina, tende a tranquillizzare e distendere l’individuo stesso. In altri termini è necessario abbassare l’AUROSAL (condizione temporanea del sistema nervoso in risposta ad uno stimolo significativo e di intensità variabile caratterizzata da un generale stato di eccitazione, da un maggiore stato attentivo-cognitivo di vigilanza e di pronta reazione agli stimoli) per aumentare la COMPLIANCE (definita anche aderenza è il grado in cui un paziente segue le raccomandazioni cliniche fornite dal soccorritore) affinché la persona che viene soccorsa possa essere adeguatamente assistita. In generale se la vittima reagisce positivamente all'emergenza conservando la voglia di vivere, la volontà di lottare e la fiducia in se stesso avrà il massimo delle possibilità di sopravvivere. Ricordiamo quindi che il processo comunicativo è particolarmente influenzato da: attenzione (disposizione mentale a ricevere informazioni dall’ambiente), emozioni personali (lo stato emotivo influenza lo stato mentale e di conseguenza anche la capacità ricettiva delle informazioni trasmesse), quantità di informazioni (comunicazioni troppo concise passano generalmente inosservate, comunicazioni troppo lunghe vengono involontariamente semplificate

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LACOMUNICAZIONEINTERPERSONALEINSITUAZIONIDIEMERGENZA dall’ascoltatore). In generale le informazioni che si forniscono influenzano il tipo di risposte che le persone danno a situazioni di crisi dato che: 1. Quanto più si conosce tanto più ampio è il repertorio di comportamenti utili tra i quali il soggetto può scegliere 2. Quanto più si conosce tanto più si abbassano i livelli di ansia e di incertezza del soggetto stesso La tendenza diffusa a minimizzare le informazioni circa un infortunio in realtà provoca l’effetto opposto poiché il panico e l’ansia si scatenano quando sono compresenti scarse/contraddittorie informazioni o atteggiamenti che tendono a non far sentire compreso l’infortunato. Quindi espressioni “killer” diventano il “rilassati!” oppure “non è successo niente” o anche “adesso passa tutto”: espressioni generiche che non aiutano il soggetto ad affrontare con consapevolezza la situazione di emergenza. Il “messaggio ideale” da orientare alla persona soccorsa dovrebbe tener conto di alcuni principi fondamentali per il raggiungimento dell’efficacia comunicativa: 1. Orientare i contenuti su: a. Cosa sta accadendo e potrebbe accadere (messaggio informativo) b. Quanto ciò che sta accadendo è pericoloso (messaggio interpretativo) c. Come contenere i danni (messaggio operativo) 2. Coerenza in caso di diverse fonti di comunicazione 3. Chiarezza 4. Linguaggio semplice Orientarsi quindi a:  Dire subito la cosa più importante  Essere concisi  Evitare lunghe pause  Parlare con frasi brevi  Parlare rivolgendosi direttamente alla persona I passaggi quindi di un messaggio efficace diventano quindi:

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1. DEFUSIONE = abbassamento AROUSAL  “Come si chiama” o “Cosa è successo?” 2. ASCOLTO ATTIVO = più COMPLIANCE  “È preoccupato?” o “Mi faccia vedere” 3. RIFORMULAZIONE = più COMUNICAZIONE  “So che può far male ma ho bisogno che lei…” o “Adesso è molto in ansia e questo è normale ma cerchi di collaborare con me per…” o “Mi ha detto che sente dolore, mi spieghi e mi indichi dove…” Con alcune semplici indicazioni quindi possiamo esprimere messaggi efficaci anche in situazioni di emergenza a forte impatto emotivo.

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BIBLIOGRAFIA


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