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neo-Eubios 67 - Analisi integrata delle prestazioni termiche e meccaniche delle murature storiche

di Enrico Genova, Calogero Vinci, Eleonora Abbate, Giulia Catalano

Introduzione

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L’esigenza preminente di conservare il valore culturale dell’architettura storica ha consolidato da decenni, in campo strutturale e di accessibilità, un approccio che mira non ad adeguare bensì a migliorare l’edificio storico, cioè ad accrescerne le prestazioni in modo compatibile con le caratteristiche formali, materiche e costruttive. Il dibattito scientifico e normativo mostra lo sforzo di estendere tale approccio anche all’ambito energetico [1, 2]. Contestualmente, nelle attività di recupero e conservazione è crescente l’interesse a integrare gli interventi di miglioramento energetico con quelli di consolidamento strutturale, che in molti casi consentirebbero d’incrementare l’efficienza del sistema edificio-impianto senza incidere ulteriormente sui caratteri materici ed estetici della costruzione [3, 4]. Nell’ambito strutturale come in quello energetico, la compatibilità del miglioramento prestazionale con le esigenze conservative richiede una conoscenza accurata delle caratteristiche materiche e costruttive dell’edificio storico. Utili informazioni possono rintracciarsi, specialmente per le architetture maggiori, nei documenti d’archivio: relazioni di consistenza e capitolati d’appalto, infatti, aiutano a ricostruire le fasi edilizie della fabbrica e le modalità esecutive dei componenti tecnici. L’analisi diretta, che resta essenziale, può fondarsi solo in parte sull’esame visivo della costruzione e richiede un ricco corredo di indagini strumentali. In genere, infatti, l’edificio storico è una stratificazione secolare di ampliamenti, fusioni, frazionamenti, mutazioni d’uso; quest’insieme di trasformazioni si traduce in eterogeneità materico-costruttiva, tratto distintivo di molte architetture storiche e dei singoli elementi tecnici che le compongono. Ne discende la necessità di un articolato sistema di analisi strumentali in situ. Alla complessità della caratterizzazione matericocostruttiva si aggiungono gli ostacoli derivanti dalla natura distruttiva di molte indagini: infatti le esigenze di conservazione possono limitare sensibilmente l’esaustività del programma di misura - per esempio in presenza di superfici decorate - o talvolta impedire l’esecuzione stessa delle prove. Le incertezze nella caratterizzazione meccanica, termica e igrometrica interessano in modo particolare le chiusure verticali opache, per l’eterogeneità costruttiva e la variabilità locale di materiali e tecniche. La ricerca qui esposta si propone di contribuire a stimare in modo accurato la trasmittanza termica delle murature storiche, attraverso la caratterizzazione meccanica e termica dei materiali lapidei tradizionali e l’integrazione con i metodi qualitativi diffusi nell’analisi meccanica delle opere murarie.

Sulla trasmittanza termica delle murature storiche

La misura in opera della trasmittanza termica dei componenti opachi, regolata dalla norma tecnica UNI ISO 9869-1:2015, segue una procedura non distruttiva, che consente di caratterizzare il comportamento termico della parete anche nei frequenti casi in cui il rivestimento d’intonaco ostacola l’esame diretto dei paramenti. Inoltre alcuni problemi di compatibilità, legati al potenziale danneggiamento delle finiture per effetto della connessione dei sensori al supporto murario, sono stati affrontati sviluppando soluzioni adatte all’applicazione su superfici decorate [5].

Tuttavia, il regime dinamico nel quale la misura è condotta incide sulla sua durata, che per componenti massicci - quali sono ordinariamente le murature storiche - è in genere ben superiore a una settimana [6-11]. I risultati sono influenzati dall’esposizione del punto di misura alla radiazione solare e agli agenti atmosferici e la stessa norma tecnica correla un’elevata percentuale d’errore a un insieme di molteplici cause. Da queste criticità, che toccano anche l’edilizia recente, traggono spunto ricerche che mirano a modificare la procedura di misura o a sviluppare metodi alternativi per rilevare in opera le prestazioni termiche delle chiusure opache [12, 13]. Per le murature storiche, le difficoltà sono acuite dall’eterogeneità costruttiva: perché i risultati possano considerarsi attendibili è necessario replicare la prova in molteplici punti di misura, soprattutto quando la composizione della parete non è nota. Un valido supporto alla modellazione termica dell’involucro, e dunque alla diagnosi energetica dell’edificio storico, può venire allora dal calcolo della trasmittanza termica. Diverse ricerche, condotte su murature storiche in pietra e in laterizi sia in Italia sia all’estero, mostrano discrepanze non trascurabili fra la trasmittanza o la conduttanza rilevate in opera e i corrispondenti valori di calcolo. Questi ultimi, infatti, dipendono strettamente dai dati di conducibilità termica e dal modello attraverso il quale si descrivono l’apparecchio murario e la stratigrafia della parete [6-11, 14]. Le proprietà termiche e igrometriche dei principali materiali lapidei naturali e artificiali sono descritte in diverse raccolte tecniche, in particolare nelle norme UNI EN ISO 10456:2008, UNI EN 1745:2012 e UNI 10351:2015. Dati di conducibilità termica possono essere tratti anche dall’abaco di strutture murarie del rapporto UNI/TR 11552:2014, che fornisce valori di trasmittanza termica per diverse tipologie di muratura. Confrontando le raccolte citate, si osservano difformità tra i valori di conducibilità termica attribuiti ad alcuni materiali lapidei; ne sono esempio i tufi. Per le malte, alcuni dati sono riferiti alla massa volumica a secco netta del materiale (UNI EN 1745), altri considerano il legante (UNI 10351, UNI EN ISO 10456) ma, oltre a non suggerire una relazione tra massa volumica e conducibilità termica, tralasciano malte largamente diffuse nell’architettura storica, come quelle a base terrosa. Soprattutto, raccolte tecniche di carattere generale non possono tener conto della grande varietà locale dei materiali lapidei utilizzati nella costruzione storica. Le incertezze nel calcolo della trasmittanza termica derivano anche dalle modalità costruttive della muratura. L’apparecchio murario, infatti, si riflette sulla stratigrafia della parete e, insieme alle caratteristiche degli elementi lapidei (dimensioni rispetto allo spessore murario, forma e lavorazione), incide sulla proporzione fra i contenuti di malta e materiale lapideo. Tale rapporto, così come la disposizione dei conci e la presenza di diatoni, è rilevante per le prestazioni termiche della parete, soprattutto quando la muratura è realizzata con materiali lapidei compatti, la cui conducibilità termica è sensibilmente maggiore rispetto a quella della malta. Infine, la qualità esecutiva e lo stato di conservazione della muratura influiscono sulla coesione delle malte e sulla presenza, nello spessore murario, di vuoti e intercapedini, che potrebbero scostare notevolmente i risultati di calcolo dal comportamento effettivo della parete. La forma e la disposizione dei conci, la coesione e il contenuto di malta sono indagati anche nell’analisi meccanica delle murature, che integra in modo consistente le prove di carattere distruttivo con l’esame qualitativo. Gli sforzi volti a interpretare in modo accurato il comportamento strutturale della parete, dunque, possono migliorare sensibilmente l’analisi delle prestazioni termiche, grazie anche a procedure di calcolo che consentono di superare una rigida schematizzazione in strati verticali.

Figura 1 - Scheda di analisi della tipologia muraria

Obiettivi e metodologia

Obiettivo della presente ricerca è contribuire a migliorare la stima delle prestazioni termiche delle murature storiche attraverso l’integrazione con l’analisi meccanica qualitativa delle opere murarie. Il metodo proposto si basa sullo studio dell’architettura storica di comparti edilizi - in genere corrispondenti ai centri storici - nei quali possano essere individuate caratteristiche materico-costruttive tipologicamente omogenee. Attraverso l’analisi diffusa dei paramenti, dello spessore di parete e delle sezioni costruttive, si identificano i materiali lapidei, gli usi prevalenti di ciascuno nelle murature, gli apparecchi più diffusi, e dunque si individuano le tipologie murarie caratteristiche del patrimonio storico locale. Per ciascuna tipologia, mediante il confronto fra più murature a paramento visibile si redige una scheda descrittiva (fi gura 1), che riporta la forma e gli intervalli dimensionali per elementi lapidei e giunti di malta, la lavorazione dei conci, l’andamento dei filari e dei giunti verticali, la presenza di elementi di ripianamento o riempimento, la disposizione e la frequenza di conci diatoni e semidiatoni. La scheda riporta inoltre una stima della proporzione fra malta e pietra, indicando ove possibile l’entità dei vuoti superficiali e di quelli - interni alla muratura - congeniti alle modalità di posa in opera. Su questa base conoscitiva si approfondiscono le proprietà dei materiali e le prestazioni delle pareti. Le proprietà fisico-meccaniche e termiche dei materiali lapidei sono indagate attraverso prove di laboratorio (porosità, resistenza meccanica a compressione, conducibilità termica). I risultati delle misure arricchiscono le raccolte tecniche esistenti, specificandole dal punto di vista locale; in tal modo, essi contribuiscono a limitare le discrepanze fra i valori di trasmittanza calcolati e quelli derivati dalle misure in opera. La raccolta di dati termofisici è utile anche a sviluppare “librerie” di “materiali” e “famiglie”, a supporto delle ricerche che mirano a estendere al costruito storico l’utilizzo del Building Information Modeling (BIM). Per quanto riguarda le prestazioni delle pareti, su alcune murature - espressive delle tipologie murarie locali - l’analisi costruttiva e meccanica è approfondita determinando l’indice di qualità muraria (IQM) [15]. Delle stesse pareti si calcola la trasmittanza termica, secondo le indicazioni della norma UNI EN ISO 6946:2018 e le precisazioni della UNI EN 1745:2012; a tal fine il modello della muratura (percentuale di malta, numero di strati ed eterogeneità degli stessi) è definito sfruttando le indicazioni dell’analisi meccanico-costruttiva e i risultati di conducibilità termica rilevati in laboratorio. Delle pareti esaminate si misura anche la conduttanza termica, in conformità alla norma UNI-ISO 9869-1:2015. Pur nei limiti di precisione che le caratterizzano, le misure in opera di conduttanza termica consentono di verificare l’attendibilità dei risultati di calcolo, quindi anche l’accuratezza che si può conseguire nella modellazione della parete attraverso le informazioni desunte dall’analisi costruttiva e meccanica. In quest’ottica, pareti simili per materiali e tipologia muraria costituiscono una base omogenea di valutazione. Estendendo l’analisi a più centri è possibile esaminare l’influenza che alcune caratteristiche costruttive, in particolare il contenuto di malta e la disposizione dei conci, hanno sulle prestazioni termiche di murature riconducibili alla stessa tipologia ma realizzate con materiali lapidei differenti. Infatti gli apparecchi murari propri di ambiti locali distinti mostrano numerose analogie, che discendono dall’adozione di comuni regole del costruire. Pertanto, studiando in modo sistematico più contesti locali e verificando gli scostamenti fra calcoli e misure in opera, è possibile verificare l’opportunità di trasporre nel calcolo della trasmittanza termica i giudizi sintetici che, nella valutazione meccanica qualitativa fondata sull’IQM, si associano agli aspetti costruttivi che incidono sulle prestazioni termiche della muratura (forma, dimensione e resistenza degli elementi costruttivi di base e della malta, apparecchi murari, ingranamento dei conci, sfalsamento dei giunti). La ricerca, in corso di svolgimento, è condotta sul patrimonio architettonico siciliano, attraverso lo studio di alcuni centri storici. Nel suo sviluppo attuale, essa include l’analisi dei materiali edilizi, la definizione delle tipologie murarie e il calcolo dell’IQM, che il presente contributo discute in riferimento alla possibilità di una correlazione con le prestazioni termiche delle murature.

Materiali lapidei nei casi di studio

La ricerca è condotta su nove centri storici siciliani: Alcamo (TP), Caltabellotta (AG), Cammarata e San Giovanni Gemini (AG), Patti (ME), Petralia Sottana (PA), Scicli (RG), Sutera (CL), Tusa (ME) (figura 2). Poiché la varietà delle murature è influenzata dalla consistenza del patrimonio edilizio, i casi di studio sono differenti per estensione, dalle dimensioni notevoli di Alcamo e Scicli a quelle più circoscritte di Sutera e Tusa. Tuttavia la distinzione più rilevante riguarda la posizione geografica, che in un’isola vasta e geologicamente varia determinava le possibilità di approvvigionamento dei materiali edilizi tradizionali e quindi ne condizionava l’impiego. Per ottimizzare le prestazioni meccaniche e i costi dei materiali, in molti centri storici siciliani le opere murarie erano realizzate con lapidei eterogenei, destinati a usi differenziati nello stesso setto murario. Questa prassi costruttiva è ampiamente documentata dalle murature storiche di Petralia Sottana, Patti, Scicli e Tusa. L’abitato di Petralia Sottana sorge in un territorio - il versante meridionale delle Madonie - costituito prevalentemente da rocce sedimentarie. Tra quelle affioranti nel territorio petralese, in edilizia si adoperavano specialmente le quarzareniti, molto compatte e composte in gran parte da granuli di quarzo, e i conglomerati calcarei con clasti di granulometria grossa. Le quarzareniti erano destinate prevalentemente agli elementi di maggiore impegno strutturale (cantonali, cornici strutturali di aperture, diatoni e ortostati), mentre i conglomerati erano utilizzati in forma di bozze lapidee per le parti correnti delle murature.

Figura 2 - Casi di studio

Petralia è caratterizzata anche dalla presenza di calcari teneri, dalla disponibilità locale di gesso, utilizzato prevalentemente come legante, nonché dall’uso del laterizio, di cui l’area madonita era per la Sicilia uno dei principali centri di produzione; nel costruito petralese, i laterizi erano adoperati soprattutto per opere di completamento o recupero, sopraelevazioni, cornicioni ma anche elementi strutturali quali archi e volte. Per la varietà dei materiali lapidei adoperati nella costruzione storica è particolare il caso di Patti, dove, mancando cave di grandi dimensioni, era diffuso l’impiego di elementi lapidei raccolti, spesso reperiti lungo i torrenti vicini all’abitato. Risulta prevalente l’uso di rocce metamorfiche (fra queste gneiss e scisti) e sedimentarie (calcareniti). Le prime erano destinate soprattutto ai brani correnti della muratura; le seconde, essendo facilmente lavorabili, erano adoperate per cantonali, cornici strutturali ma anche, in forma di parallelepipedi allungati, ortostati e diatoni. Con funzione di ripianamento è invece ricorrente l’uso di filari, talvolta discontinui, di mattoni laterizi. A Scicli, nel ragusano, si utilizzavano essenzialmente due rocce calcaree, delle quali l’una, nota come “pietra di Modica” (o “pietra dura” o “forte”) è poco porosa e molto compatta, mentre l’altra, chiamata “pietra di Siracusa”, è tenera e molto porosa. Se impregnati di bitume, gli stessi calcari erano indicati, indipendentemente dalla compattezza, come “pietra pece”. Presente in buona parte del territorio modicano in forma di massi affioranti sul piano di campagna, la pietra “forte” era largamente impiegata per basamenti, cantonali e in generale, data la notevole durezza del materiale, per elementi che non richiedessero lavorazioni molto elaborate. Il calcare tenero, al contrario, era facilmente lavorabile e dunque era molto utilizzato per realizzare conci intagliati, paramenti murari di pregio (in alcuni casi destinati a restare a vista), elementi decorati o di stereotomia complessa. L’uso delle due pietre era invece pressoché analogo nelle murature composte da bozze lapidee o pietrame informe. Nel costruito storico di Tusa sono preminenti due rocce sedimentarie: le quarzareniti e le argilliti; queste ultime, in relazione all’eccezionale divisibilità, erano adoperate soprattutto per realizzare elementi di spessore ridotto. La disponibilità di più materiali lapidei caratterizza anche i centri storici di Caltabellotta, Cammarata e San Giovanni Gemini, nei quali tuttavia la specializzazione d’uso delle diverse pietre nella costruzione muraria è meno marcata. Nel costruito storico di Caltabellotta si osserva l’uso di calcari compatti e di più tenere calcareniti. I primi, in forma di bozze lapidee, erano i più adoperati nelle opere murarie, mentre le seconde erano utilizzate, prevalentemente in conci di medie dimensioni, per realizzare elementi a intaglio o con stereotomia più complessa. A Cammarata e San Giovanni Gemini erano attive diverse cave di rocce calcaree. Soprattutto nell’edilizia di base era molto impiegata la calcarenite del bacino su cui sorge Cammarata, proprio per l’immediata disponibilità nei siti di costruzione; a causa dell’eccessiva compattezza, questo materiale lapideo era utilizzato soprattutto in bozze ottenute a spacco. Opere murarie con apparecchio pseudoisodomo erano costruite con calcari e calcareniti più facilmente lavorabili, anch’esse provenienti da cave limitrofe all’abitato. Ad Alcamo le calcareniti, seppure disponibili localmente, trovavano un uso limitato in edilizia, ove prevaleva l’impiego di travertino, presente in un vasto deposito nel rilievo calcareo sul quale sorge il centro urbano. Cavato in diversi siti, il travertino di Alcamo varia per composizione e grado di cementazione, che ne influenzavano la lavorabilità e quindi l’impiego. Infine, diverse aree della Sicilia, specialmente nel nisseno e nell’agrigentino ma anche nel trapanese, nell’ennese e nelle Madonie, sono caratterizzate da un ampio utilizzo del gesso, sia come pietra da muratura sia come legante per malte e intonaci, anche in applicazioni esterne. Fra i casi di studio analizzati, il centro storico di Sutera si contraddistingue per l’impiego quasi esclusivo di questo materiale come pietra da costruzione. Localmente si distinguevano due tipi di gesso: l’uno con cristalli più grandi e di più agevole cottura, destinato alla produzione di legante, l’altro con cristalli più piccoli e di difficile cottura, adoperato come pietra da costruzione. Con l’eccezione delle rocce metamorfiche osservate a Patti e dei laterizi impiegati in questo centro e a Petralia Sottana, i casi di studio sono contraddistinti dall’uso di rocce sedimentarie. Per queste la norma UNI EN ISO 10456 indica valori di conducibilità termica di progetto (λ) di 0,85 W·m -1·K -1 e 2,3 W·m -1·K -1 rispettivamente per masse volumiche (ρ) di 1.500 kg·m -3 (natural, sedimentary rock, light) e 2.600 kg·m -3 (natural, sedimentary rock); per interpolazione lineare si può ottenere la λ connessa a valori intermedi di ρ. Questi dati, con i quali è opportuno confrontare tutti i lapidei sedimentari indagati, sono l’unico riferimento appropriato per le argilliti di Tusa. Per i calcari la norma UNI EN ISO 10456 riporta cinque valori di λ, compresi fra 0,85 W·m -1·K -1 (ρ = 1.600 kg·m -3 , limestone, extra soft) e 2,3 W·m -1·K -1 (ρ = 2.600 kg·m -3 , limestone, extra hard). Nella UNI EN 1745, nella quale la conducibilità della pietra naturale è riferita a una temperatura media di 10 °C in stato a secco (λ 10,dry,mat ), i dati forniti per i calcari sono simili, sebbene considerati costanti per intervalli di massa volumica. Più sensibile è la differenza rispetto alla norma UNI 10351, nella quale ai calcari si assegnano quattro valori di conducibilità utile di calcolo, da 1,50 W·m -1·K -1 (ρ = 1.900 kg·m -3 ) a 3,50 W·m - 1·K -1 (ρ = 2.800 kg·m -3).

Con tali dati occorre confrontare i travertini alcamesi, i calcari di Scicli, i calcari e le calcareniti di Caltabellotta, Patti, Cammarata e San Giovanni Gemini. Per le calcareniti, tradizionalmente associate ai tufi, è utile anche il raffronto con i dati disponibili per queste rocce vulcaniche. La norma UNI 10351, in particolare, indica i valori λ = 0,63 W·m -1·K -1 (ρ = 1.500 kg·m -3 ) e λ = 1,70 W·m -1·K -1 (ρ = 2.300 kg·m -3 ); si evidenzia anche il dato λ = 0,550 W·m -1·K -1 (ρ = 1.600 kg·m -3 ) riportato nella UNI/TR 11552 a proposito della “muratura in blocchi squadrati di tufo” (MPI03). Mentre la UNI EN ISO 10456 dà indicazioni solo per le arenarie silicee, dati su quelle quarzose (λ = 2,6 W·m -1·K -1 per ρ da 2.600 kg·m -3 a 2.800 kg·m -3 ) e calcifere (λ = 1,9 W·m -1·K -1 per ρ da 2.000 kg·m -3 a 2.700 kg·m -3 ) si rintracciano nella UNI EN 1745. Con i primi occorre confrontare le quarzareniti di Tusa e Petralia Sottana, con i secondi i conglomerati petralesi.

Figura 3 - Tipologie murarie degli edifi ci storici di Alcamo

Figura 4 - Tipologie murarie degli edifi ci storici di Sutera

Infine, le pietre di gesso di Sutera trovano un riscontro nella UNI EN ISO 10456, che, separandoli da quelli delle pietre da costruzione, riporta per il gesso (gypsum) quattro valori di conducibilità, da λ = 0,18 W·m -1·K -1 (ρ = 600 kg·m -3 ) a λ = 0,56 W·m-1·K -1 (ρ = 1.500 kg·m -3 ).

Tipologie murarie

Le murature di ciascuno dei casi di studio, attraverso l’analisi dei paramenti e dei loro caratteri ricorrenti, sono state associate a un numero contenuto di tipologie. Si sono così esaminati gli elementi costruttivi rilevanti per una schematizzazione accurata della parete nel calcolo della trasmittanza termica: l’eventuale suddivisione in strati, i criteri d’uso di materiali lapidei differenti nello stesso setto, la proporzione fra malta e pietra, la presenza e la diffusione di conci d’ingranamento parziale (semidiatoni) o a tutto spessore (diatoni) e di elementi di regolarizzazione (zeppe lapidee o laterizie, strati di livellamento in conci, mattoni o malta). A titolo esemplifi cativo si riportano i casi di Alcamo (fi gura 3) e Sutera (fi gura 4). Ad Alcamo la forma e la disposizione degli elementi lapidei osservabili sui paramenti hanno permesso d’identifi care tre tipologie murarie prevalenti. Nella prima si distinguono due strati: quello esterno è composto da conci pressoché parallelepipedi di grandi dimensioni, disposti di fascia in fi lari regolari, con piani di posa orizzontali; quello interno è formato da elementi più piccoli e irregolari. Le due parti della muratura sono connesse da conci diatoni, le cui facce di punta possono individuarsi facilmente sui paramenti. Questa tipologia muraria si articola in due sottogruppi, in base allo sfalsamento verticale dei giunti e alla lavorazione dei conci dello strato esterno: in un caso squadrati accuratamente, con giunti di malta di 5-7 mm, nell’altro mediamente, con giunti spessi da 5 a 15 mm. La presenza di malta, espressa come percentuale dell’area di sezione trasversale, resta limitata in entrambi i sottotipi (rispettivamente 4% e 6%) ma è sensibilmente maggiore nello strato interno rispetto all’esterno. In base alla valutazione dell’IQM, i due gruppi si classifi cano in categoria muraria A per azioni verticali e orizzontali fuori piano, mentre per quelle orizzontali nel piano si qualifi cano rispettivamente nelle categorie B e C. Nella seconda tipologia alcamese, i paramenti sono realizzati con pietrame informe di varie dimensioni, alternati a fi lari di conci grossolanamente sbozzati. Poiché le facce degli elementi lapidei non sono reciprocamente perpendicolari, la malta forma giunti di spessore variabile fra 2 e 25 mm e costituisce il 25% circa dell’area di sezione trasversale della parete. Anche in questa tipologia, la muratura è riconducibile a due strati irregolari, ma più omogenei rispetto a quelli della prima tipologia; le due parti del setto sono collegate da conci semidiatoni, mentre nuclei di riempimento in elementi minuti si osservano sia sui paramenti sia nell’intercapedine fra i due strati. La categoria muraria risulta A per azioni verticali e C per quelle orizzontali. La terza tipologia delle murature di Alcamo, che sulla base dell’IQM si classifi ca in categoria muraria C per tutti i tipi d’azione, si distingue per un assestamento caotico di elementi lapidei sbozzati di medie e piccole dimensioni, variabili da pochi centimetri ad alcuni decimetri. A causa dell’irregolarità delle bozze lapidee, lo spessore dei giunti - spesso rinzeppati - è compreso fra 3 e 34 mm e la malta costituisce circa il 26% della superfi cie trasversale della parete. Questa risulta composta da due strati di paramento, nei quali non si individuano piani di posa orizzontali ma solo ripianamenti a tratti, realizzati con elementi lapidei minuti; interposto fra i due strati è un riempimento di pietrame informe di piccola dimensione legato con malta. Mancano invece conci diatoni o semidiatoni. Nel costruito storico di Sutera si distinguono due tipologie murarie. La prima include le murature con paramenti ad assestamento regolare, costruiti con lapidei sbozzati di forma pressoché parallelepipeda. Poiché i conci di uno stesso fi lare possono avere altezze differenti, lo spessore dei comenti di malta, che varia fra 10 e 50 mm, è ridotto interponendo zeppe lapidee o laterizie. Conci disposti di punta, in funzione di semidiatoni, assicurano l’ingranamento fra i paramenti. L’analisi dell’IQM riconduce tali murature alla categoria muraria B per azioni verticali e orizzontali fuori piano, alla categoria C per azioni orizzontali nel piano. La seconda tipologia muraria si caratterizza per un assestamento caotico di bozze lapidee informi, ottenute per spacco. Dall’irregolarità degli elementi resistenti deriva la variabilità dei giunti di malta, il cui spessore è compreso fra 5 e 50 mm. Possono distinguersi due sottogruppi, che l’IQM classifi ca in categoria muraria C per tutti i tipi d’azione. Nel primo il pietrame ha dimensioni medio-grandi (da 5 a 35 cm per la base; da 12 a 25 cm per lo spessore; da 6 a 32 cm per l’altezza) e l’apparecchio è costituito da due paramenti, dei quali l’esterno realizzato con i lapidei più grandi; fra i due strati è interposto un riempimento di malta e pietrame di piccole dimensioni. L’ingranamento è assicurato da conci semidiatoni. Nel secondo sottogruppo, gli elementi resistenti hanno dimensioni medio-piccole (rispettivamente 5-25 cm, 5-20 cm, 3-15 cm) e la muratura, priva di conci d’ingranamento, è costruita per fasce orizzontali, ripianate con ricorsi di malta di gesso a intervalli verticali compresi fra 50 e 60 cm. La percentuale stimata di malta è crescente nei tre gruppi: pari al 13% nella prima tipologia (con differenze fra gli strati interno ed esterno), aumenta al 17% e al 24% nei due sottogruppi della seconda. Tuttavia, l’omogeneità materica degli elementi resistenti e della malta, entrambi a base di gesso, lascia ipotizzare che tale variazione abbia minore incidenza sulle prestazioni termiche della parete rispetto ai centri nei quali è diffuso l’impiego di malte di calce e lapidei compatti.

Conclusioni

L’analisi costruttiva e meccanica è fonte di informazioni preziose per calcolare la trasmittanza termica delle murature storiche. Fondata sull’analisi diretta delle costruzioni di un comparto edilizio locale, l’identifi cazione di tipologie murarie consente di schematizzare in modo accurato la stratigrafi a della parete, la presenza di strati eterogenei (UNI EN ISO 6946), il rapporto fra malta ed elementi lapidei (UNI EN 1745). D’altro canto, attraverso l’analisi termica delle tipologie è possibile specifi care l’abaco della norma UNI/TR 11552 in relazione al costruito storico locale, a supporto delle attività di diagnosi e certifi cazione energetica, nei frequenti casi nei quali esigenze conservative e diffi coltà operative limitino il ricorso a indagini strumentali. In tutti i centri analizzati, secondo una pratica comune dell’edilizia storica, si osserva l’uso di elementi lapidei variamente lavorati, dal pietrame informe ai conci squadrati. Le tipologie murarie, di conseguenza, sono accomunate da alcuni caratteri invarianti, declinati diversamente in funzione della disponibilità e lavorabilità dei materiali locali. Pertanto, le misure in opera di conduttanza termica saranno condotte dapprima su murature ascrivibili a tipologie omogenee, per esaminare - al variare del materiale lapideo prevalente - l’infl uenza degli aspetti costruttivi e della qualità esecutiva sulle prestazioni termiche della parete. La ricerca, in corso di svolgimento, si concentra su centri storici contraddistinti dall’impiego diffuso di pietre da costruzione compatte, poiché la conducibilità termica di queste può differire in modo marcato da quella delle malte poste in opera. Lo studio delle rocce porose, presenti specialmente nei casi di Alcamo, Caltabellotta e Scicli, sarà ampliato attraverso l’analisi dell’architettura storica palermitana. Questa, infatti, è caratterizzata da una ricca varietà di apparecchi costruttivi e dall’uso pressoché esclusivo di calcareniti conchiliari, le cui proprietà variano sensibilmente con la cava d’estrazione. Infi ne, la caratterizzazione dei materiali lapidei e delle malte dovrà essere estesa alle proprietà igrometriche, attraverso prove di permeabilità al vapore, assorbimento capillare e igroscopicità, affi nché i risultati dello studio possano contribuire in modo effi cace a valutare la compatibilità del miglioramento energetico con la conservazione dell’architettura storica.

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