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neo-Eubios 67 - Il BIM come approccio al progetto architettonico a 360°

Applicazione alla progettazione multifisica

di Matteo Bellè, Marco Caniato.

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In questo articolo verrà presentata e discussa una panoramica che introduca al meglio il Building Information Modeling e la sua possibile applicazione alla progettazione multifisica. Si intende non trattare tale strumento come qualcosa di a sé stante, ma contestualizzarlo all’interno dell’ambito progettuale che gli appartiene, con un esempio che ne possa mettere in luce i pregi, gli aspetti in ombra e migliorabili e le differenze con ciò che lo ha preceduto.

Un’introduzione al BIM

“Una rappresentazione computabile delle caratteristiche fi - siche e funzionali di una struttura e delle sue informazioni relative al ciclo di vita previsto utilizzando standard aperti per il processo decisionale d’impresa rivolto alla migliore profi ttabilità. Un unico contenitore di dati grafi ci - disegni - e attributi - specifi che tecniche, schede e caratteristiche. Modello di dati grafi ci e attributi riguardanti l’intero ciclo di vita della struttura, strutturato in forma di database.”

Con queste parole esordiscono quasi tutti gli scritti chiamati ad introdurre l’argomento BIM (Building Information Modeling), siano essi trattati generici o manuali diretti all’uso di determinati software. Più che di una definizione vera e propria, trattasi in effetti di una breve descrizione che tocca i punti nevralgici circoscriventi questo tipo di software. Ognuno di essi risulta necessario per scindere in maniera netta il mondo CAD (Computer Aided Design, o Drafting in un’accezione più ristretta), di cui in seguito si tratteranno le generalità, da quello BIM, per far intendere con maggior semplicità possibile le difformità fra i due ambiti da qualunque lato si approcci la questione. Se da ciò si evince che esiste una rottura con i sistemi di progettazione precedenti, sia informatici che non, va specificato come si possa quindi definire il BIM, sviluppando perciò i punti, solo abbozzati nelle poche righe riportate, che nello specifico lo contraddistinguono da ciò che lo ha preceduto. Il Building Information Modeling, non è un software, un formato o un tipo di rappresentazione. Il BIM è un processo, un metodo di lavoro, che sfrutta mezzi informatici, ovvero dei software idonei ed appositi, per sviluppare un progetto approcciabile da più utenti possibile e da più punti di vista possibili. Consta sostanzialmente nel creare una copia virtuale della costruzione da realizzare, che ne abbia le stesse peculiarità, non solo d’aspetto o unicamente formali. Si intende infatti replicarne anche tutte le caratteristiche intrinseche (di materiali ed elementi costruttivi) e simularne nella maniera più veritiera possibile l’intero ciclo di vita, per poter estrapolare e prevedere informazioni come deterioramento, consumi, costi e tutto ciò che può risultare come una variabile se si prende in esame un arco temporale e non più un istante puntuale (Figura 1).

Figura 1 – Fasi di progettazione/gestione/dismissione

Dal cartaceo al digitale

Si volesse spiegare concettualmente che cosa sia il BIM e collocarlo temporalmente, si potrebbe quindi dire che è di fatto il passo successivo al CAD nei metodi di progettazione moderni. Quest’ultimo vede la propria evoluzione negli anni ’80 e ’90 (anche se i primissimi esempi molto rudimentali possono essere fatti risalire già agli anni ’60), sviluppandosi di fatto parallelamente al sempre crescente uso dei computer e all’evoluzione tecnologica che di pari passo rendeva le macchine sempre più a “misura d’uomo”. Questo costante avvicinamento fra l’utilizzatore ed il mezzo avveniva (e avviene tutt’ora) grazie ad alcuni fattori che risultano determinanti per una diffusione a più ampia scala possibile del prodotto: a partire dal dato fisico non trascurabile delle dimensioni (e quindi della maneggevolezza e praticità); per poi passare alla facilità di utilizzo, che trasse notevole giovamento da avvenimenti come l’introduzione della GUI (Graphical User Interface) ad implementazione della meno user-friendly CLI (Command Line Interface), o dalla novità che apportò l’indicatore di posizione nel piano in xy dello schermo (chiamato comunemente mouse). Tutte queste migliorie hanno quindi innalzato la reperibilità sul mercato anche per quell’utilizzatore medio che non si può definire di settore (al giorno d’oggi praticamente tutti possono usufruire di un sistema operativo informatico, sia esso quello di uno smartphone oppure quello di un personal computer professionale). Per CAD non si intende quindi nient’altro che la trasposizione di ciò che prima veniva fatto con carta e penna, trasposto in ambito informatico. Il passaggio al mondo digitale portò senza dubbio molti benefici, primo fra tutti la possibilità di replica di un disegno (non era più su un foglio di carta bensì su un file) per un numero potenzialmente infinito di volte e che una sua modifica non comportasse necessariamente la perdita dell’elaborato originale. Non avendo più a che fare con un supporto fisico (che non fosse il computer stesso) un altro aspetto che trasse giovamento da tale innovazione fu la mobilità e la possibilità di interscambio dei dati: anche se i cosiddetti “portatili” che avessero una certa capacità operativa apparirono sul mercato successivamente, i files potevano però lo stesso essere “trasportati”. Il computer era ed è, infatti, nient’altro che il mezzo di lettura e di interazione, la “stazione” dove il “treno” delle informazioni virtuali trova sbocco e dà all’utente la possibilità di interagire con esso. Tale “trasporto” è da intendere nel senso letterale e fisico del termine, mediante le prime schede di memoria, fino all’arrivo della rete evolutasi poi nel World Wide Web e dei più moderni metodi di file sharing messi a disposizione da moltissime piattaforme virtuali. Quando il CAD e l’informatica entrarono nel mondo della progettazione e anche l’archiviazione dei dati cominciò a venire digitalizzata (processo molto più lento, ancora oggi non ultimato in tutti gli ambiti e in tutti i settori), questioni come una diffusione più agevole degli elaborati o una loro replicabilità sicuramente più facile e veloce trovarono quindi parziale soluzione.

Disegno ≠ Modellazione

Si può quindi senz’altro affermare che il digitale abbia portato passi in avanti positivi nell’ambito della progettazione, che permettevano un risparmio in termini di tempo e di versatilità. Si noti però come il procedimento di lavoro non abbia di fatto subito cambiamenti rispetto al modo di operare precedente. Le novità maggiori riguardavano infatti principalmente la gestione del materiale e non la sua elaborazione; si continuava a lavorare sempre e soltanto con piante, prospetti e sezioni, immagini bidimensionali del progetto totalmente separate fra di loro (Figura 2).

Figura 2 – Procedimento di lavoro CAD che punta allo sviluppare prospetti (es. “sud”) e sezioni (es. “AA’”) partendo dalle planimetrie (es. “PT”) per poi unire il tutto in elaborati in 3D

Anche con la nascita dei primi software di modellazione 3D, la resa del costruito nello spazio veniva sempre intesa come un fine, un punto d’arrivo al quale si giungeva al termine del processo progettuale e compositivo; è vero che modelli di studio e degli ingombri di massima sono sempre stati strumento molto utilizzato dai progettisti, ma essi per forza di cose non comprendono tutti i particolari dell’oggetto finito, tralasciando quindi molte informazioni che potrebbero in qualche modo essere utili a chi progetta fin dal principio.

Altra mancanza non indifferente è che la maggior parte delle volte un modello o un disegno bidimensionale, fisici o virtuali che siano, sono orientati ad analizzare perlopiù un solo aspetto dell’oggetto che rappresentano; per fare alcuni esempi un modello concettuale può porre l’accento sulla forma, mentre un’immagine di rendering derivante dalla modellazione solida è focalizzata di più sulla materialità e la luce. Il problema che emerge quindi con l’utilizzo di metodi di progettazione tradizionale, sia essa intesa in 2D o in 3D, è che l’elaborato che ci si trova davanti risulterà “muto” riguardo a molti aspetti (Figure 3-4). Questo comporta che esso non sia utile, o perlomeno comprensibile, da tutti gli operatori che potrebbero entrarci in contatto e che quindi risulti molto “settoriale”. Solitamente infatti i disegni e gli elaborati che vengono utilizzati da professionisti diversi sono differenti fra loro, risultando essere delle rappresentazioni “tematiche”. Trattandosi quindi di materiale che non ha sostanzialmente una base comune, la possibilità di incongruenze in caso di sovrapposizioni è più elevata di ciò che accadrebbe nel caso opposto.

Figura 3 – Pianta architettonica di un appartamento con arredo e pavimentazione

Figura 4 – Pianta con indicazione della rete elettrica, punti di allacciamento e tubature dell’acqua

Il BIM si spinge proprio in questa direzione. Il fondamento su cui si basa è quello di realizzare virtualmente un oggetto “intelligente” che in qualche modo “conosca” la sua funzione. Queste premesse fanno sì che ciò che si realizza tramite il software sia una copia molto fedele di quello che accadrà nella realtà, non solamente nell’aspetto, ma anche nelle sue proprietà intrinseche e nel comportamento a cui i vari elementi vanno incontro in determinate condizioni ambientali. Questa descrizione molto astratta sta ad indicare che sostanzialmente ogni oggetto, elemento o materiale che si possa trovare nel modello digitale, avrà un corrispettivo fisico a lavoro ultimato del quale rispecchierà le caratteristiche estetiche, fisiche e chimiche. La “I” di “Information” nell’acronimo sta infatti ad indicare che il modello deve includere al suo interno quante più informazioni possibili, per fare in modo che il maggior numero possibile di professionisti ed operatori possano comprenderlo e trarne beneficio. La maggior parte dei software che lavora mediante tale procedimento ha, a questo proposito, al proprio interno più ambiti operativi, che coprono i vari settori professionali che possono avere a che fare con un intervento edilizio architettonico o urbano. Questo accade per la volontà di far interfacciare tutti gli stakeholders con lo stesso metodo di lavoro e soprattutto con lo stesso file. In questa maniera ogni aspetto della costruzione viene tenuto sotto controllo contemporaneamente, rendendo possibile un confronto nell’immediato (Figura 5). Questo passo risulta molto importante, di fatto il BIM lavora trattando l’edificio come fosse una macchina e quindi avvicinandosi molto di più ai software di progettazione meccanica piuttosto che a quelli architettonici di stampo classico. Il grande ostacolo che si riscontra in edilizia, se la si confronta con ambienti di stampo più ingegneristico, è proprio questa non coesione di tutti i professionisti coinvolti, causata dalla vasta gamma di ambiti che vengono toccati in un processo di progettazione architettonica. Questi il più delle volte sono anche carenti per quanto riguarda un background di formazione comune, basti pensare ad esempio ai percorsi formativi diversissimi fra loro da cui provengono architetti, ingegneri civili, geometri, urbanisti e così via. Un esempio pratico di procedura che avviene in ambito BIM è il calcolo e la progettazione degli elementi portanti di un edificio che solitamente verrà effettuato dagli ingegneri strutturisti sullo stesso modello che vedrà anche il dimensionamento degli impianti di ventilazione controllata da parte degli impiantisti. Si noti come anche in questo esempio semplificato due figure professionali differenti entrino in contatto con lo stesso medesimo materiale, evitando così possibili fraintendimenti o errori anche solo per quanto riguarda la collocazione degli elementi costruttivi in questione. In questa circostanza sarà infatti impossibile che venga lasciato troppo poco spazio per il posizionamento dei macchinari di areazione, o che una trave ed un canale dell’aria debbano passare per lo stesso punto, in quanto tutte queste situazioni verranno rese evidenti nel modello digitale prima che in fase di costruzione. Con il BIM non si intende fermarsi al coinvolgere solamente più professioni possibili della fase di progettazione, ma si vuole estendere il raggio d’azione anche lungo la linea temporale, andando quindi a trattare l’intero ciclo di vita del costruito, non interrompendosi alla pura realizzazione. La novità, anche in questo caso, è riconducibile ai diversi ambiti per mezzo dei quali un software BIM permette l’avvicinamento alla progettazione. Spiccano infatti in questo senso la computazione e le aree di calcolo, che permettono un’analisi di ciò che si va a modellare, riuscendo quindi ad ottenere una progettazione denominata in “7D”, dove la quarta dimensione è quella temporale e con la quinta si intende l’aspetto economico.

Figura 5 – Il BIM come manager di progetto fra gli stakeholders

Si aggiungono poi ulteriormente l’ambito energetico come sesto punto cardine e la manutenzione (che torna in qualche modo a ricollegarsi all’aspetto temporale), intesa come gestione del costruito (figura 6). Visto che in simili software si parla di “Modeling”, quindi di modellazione di un oggetto tridimensionale unico, si intuisce quindi facilmente come si possano ottenere illustrazioni dettagliate di settore e tematiche a partire però da una fonte in comune che racchiude al suo interno già di per sé tutte queste informazioni che hanno bisogno solo di essere esplicitate ed isolate, per poter essere messe in luce. Ecco il perché non si parla più restrittivamente di “Design”, ma di “Modeling”, non si tracciano più delle linee su un foglio, sia esso fisico o virtuale, che vadano a comporre e a raffigurare muri, scale, infissi, ma si posizionano proprio tali elementi in un modello digitale, ognuno di essi completo delle sue caratteristiche, che visualizzati da angolature differenti daranno vita ad una vista in pianta piuttosto che ad un prospetto. Si può perciò forse azzardare un paragone fra questi strumenti digitali e il mondo dell’economia, non essendo totalmente fuori luogo affermando che nel BIM si attua un processo “top-down”, creando i materiali da esportare in differenti contesti tutti da una base comune (Figura 7). Si contrappone quindi un metodo deduttivo della sfera BIM, ad uno maggiormente induttivo se si guarda al CAD e a ciò che lo ha preceduto.

Figura 6 – Progettazione in 7D

Figura 7 – Procedimento di lavoro BIM che punta allo sviluppare un modello 3D dal quale estrapolare poi le viste 2D

Limiti?

L’utilizzo della maggior parte dei software BIM, oltre che permettere una progettazione completa a tutto tondo, prevede una differente distribuzione delle tempistiche e della mole di lavoro. Anche se nelle primissime fasi che precedono il modellare vero e proprio, si necessita di un’impostazione più complessa rispetto ad un ambiente CAD, come la creazione di livelli e piani di riferimento, la costruzione dell’intero modello, una volta superato questo primo momento, sembrerà un processo più compatto e logico rispetto a quello che avviene con altri programmi. Ciò è riconducibile al fatto che la modellazione BIM sfrutta oggetti standard, ovvero elementi costruttivi raggruppati in famiglie con determinate caratteristiche, modifi cabili con più o meno semplicità. Osservando il diagramma (Figura 8), si nota che la velocità di esecuzione sembrerebbe incrementata, anche e soprattutto grazie al doversi curare principalmente di un solo modello invece che di tanti disegni a sé stanti, da aggiornare di volta in volta. Risulta però necessario per l’utente essere in grado di interagire nella maniera più opportuna possibile con il modello. Questo vuol dire riuscire a modifi care e creare a sua volta quegli oggetti standard che prendono posto all’interno di un fi le di progetto, per non risultare troppo veicolati nella modellazione da quello che il software mette a disposizione di default.

Figura 8 – Distribuzione della quantità di lavoro BIM/CAD

Il processo di realizzazione necessiterà quindi di conoscenze tanto più approfondite, quanto più singolare sarà l’oggetto della progettazione, ovvero quanti più degli elementi costruttivi che lo compongono dovranno essere modellati anch’essi ex-novo, senza potersi accontentare di utilizzare oggetti già modellati e reperibili nelle librerie oppure messi a disposizione dai siti delle aziende di produzione.

Metodo di lavoro di un software BIM

Se l’acronimo BIM indica una metodologia di lavoro nel mondo della progettazione, si capisce come la maggior parte delle software house e delle aziende che hanno accesso a questa branca del mercato tentino di presentare un proprio prodotto in tale ambito. Essendo tutti programmi creati in circostanze differenti, sono dunque varabili e diverse fra di loro anche le impostazioni generali di ognuno di essi, i modi di operare ed anche i formati digitali di output. Si possono però individuare delle linee comuni che caratterizzano in maniera più o meno accentuata ognuno di tali software. Per prima cosa, è necessaria una “frammentazione” della modellazione attuabile mediante tali programmi, ossia una divisione più o meno marcata fra delle aree di progetto che nella maggior parte dei casi si possono racchiudere in due macrogruppi: uno adibito al progetto di edilizia vero e proprio e uno che permetta la realizzazione degli elementi minori che vanno poi a comporlo (elementi costruttivi, arredo, componenti tecniche,…). Il controllo e l’interazione poi con gli elementi così realizzati, una volta importati nel progetto, avviene mediante valori, misure e caratteristiche preimpostate, che possono essere modificabili (e in questo caso si parla di parametri) o meno anche in fase post-modellazione. Seguendo tale ragionamento si capisce come per poter sfruttare in toto tali software si rende necessario saper “scendere di scala”, per essere in grado di interagire con il progetto ad ogni grado di progettazione.

Un esempio: modellazione della skin di un’ampia tensostruttura

Per fornire anche un caso pratico di ciò che si ha illustrato finora è bene presentare un esempio adatto al caso. Si presta bene allo scopo la copertura esterna con fini fonoassorbenti e fonoisolanti pensata per un auditorium da 2300 posti. Trattasi di un corpo esterno alla struttura esistente voluto per proteggere le abitazioni limitrofe dalle emissioni sonore che, essendo la struttura del teatro in questione paragonabile a quella di una costruzione temporanea, non subivano smorzamenti o impedimenti di sorta che ne ostacolassero il propagarsi durante le ore di attività sul palcoscenico. Il design della copertura parte dalla volontà di prendere spunto dal fine della stessa per giungere al suo aspetto finale. Formalmente essa simula infatti il propagarsi sinusoidale di un’onda sonora sia nel disegno della planimetria che in quello delle sezioni lungo i due assi principali. Il volersi ricondurre alla funzione della costruzione ritorna anche da un punto di vista “energetico” per così dire, non solo nell’aspetto. Si è tentato infatti di creare un filo conduttore fra ciò che la copertura ha il compito di bloccare, ovvero le onde sonore e ciò che poi rilascia all’esterno, coinvolgendo anche l’illuminotecnica nel progetto. Va fatta la premessa che la copertura è sostanzialmente composta da due tipi di elementi: opachi e riflettenti. Si è fatto quindi in modo che gli elementi riflettenti fossero anche illuminanti in assenza di luce solare, in corrispondenza delle ore in cui l’auditorium ospitasse eventi all’interno. Uno dei maggiori ostacoli nel lavorare con strumenti BIM si presenta quando non si può far affidamento su modelli già disponibili nelle librerie. La tensostruttura citata racchiude bene al suo interno questa problematica, non relativamente agli elementi costruttivi presi singolarmente (archi lamellari e pannellatura sono infatti piuttosto ricorrenti in un certo tipo di edilizia), ma per il metodo di assemblaggio degli stessi e per il dimensionamento da adattare all’esistente. Analizzando più da vicino la forma dell’oggetto ci si renderà conto di come l’immagine finale della struttura sia chiaramente delineata dal risultato della giustapposizione di più elementi costruttivi (portanti e non), differenti fra loro per dimensione, forma e materiale. Ognuno di tali elementi necessita di una propria modellazione, che avviene per vie diverse, in modo tale da facilitare il più possibile la stessa, tenendo quindi conto non solo della forma finale dell’oggetto, ma anche della sua funzione e di come si dovrà comportare nello spazio, una volta inserito nel contesto.

Le modalità di approccio al modello

La geometria dell’oggetto è volta a linee sicuramente di impronta più “naturale” che non “razionale”, o comunque di matrice più antropologica e artificiale. Essa porta con sé l’esigenza di adattare elementi costruttivi reali che nella maggior parte dei casi sono di stampo ortogonale, con presenza di angoli e spigoli, ad una figura complessiva dove tali spigoli devono lasciare posto a linee continue ed arrotondate. Si può quindi affermare che la difficoltà stia in primo luogo nel realizzare la forma complessiva dell’oggetto e successivamente anche nel fare in modo che i moduli costruttivi scelti per la realizzazione si adattino in maniera ottimale alla stessa. Ai fini del superamento di tali problematiche è necessario non rimanere vincolati ad operare unicamente in un ambito denominato di “progetto”. Si deve bensì cominciare a modellare anche nelle sezioni del programma parallele e complementari a quella nella quale si svilupperà poi in via definitiva il progetto del corpo edilizio. Così facendo si scende di scala, andando ad operare sui singoli componenti edilizi ed elementi costruttivi, modellandoli però in file nei quali i riferimenti e i procedimenti di modellazione stessi sono differenti da quello utilizzato fino ad ora. Trattandosi di realizzare elementi differenti fra di loro sia nella forma che nella funzione, il procedimento stesso di modellazione sarà spesso differenziato, in modo da agevolare oltre alla creazione dell’oggetto anche la sua gestione e catalogazione in ottica futura. Dimensioni e conformazione arcuata della tensostruttura si pongono sicuramente come primo ostacolo, dettando un’alternativa alla normale modellazione tramite elementi di chiusura verticale ed orizzontale. Per qualsiasi architettura del genere risulta necessario svincolarsi quindi dai livelli di riferimento inseriti nei file di progetto, se non altro in fase iniziale, per poter definire la forma, le linee dell’oggetto, potendosi muovere liberamento nello spazio in tutte le tre dimensioni. Si rende ancora più evidente questa necessità se, come in questo caso, la sezione trasversale varia per tutta la profondità della copertura (Figura 9).

Figura 9 – Sezione longitudinale che pone il focus sulla variazione delle dimensioni in profondità

Così facendo viene a mancare anche la possibilità di operare tramite una sola figura piana generatrice, costringendo quindi di fatto il progettista, in condizioni normali, a modellare le varie parti ognuna singolarmente, per poi dover quindi fare un passaggio in più ed unirle in qualche maniera. Tramite il BIM in casi come questi si ricorre a modellazioni, per lo più tramite delle NURBS (Non Uniform Rational Basis – Splines), di forme che successivamente fungeranno come piani di appoggio ausiliari per adattarci poi attorno i vari elementi costruttivi. Il software nello specifico utilizzato per questo caso denomina questo modo di procedere “modellazione di masse” (figura 10). Chiaramente in questa maniera non si avrà a che fare con i livelli di appoggio che normalmente il software imposta di default, non solo come potrebbe risultare scontato in fase di modellazione di tali forme, ma anche una volta importate nell’ambiente di lavoro definitivo di progetto potranno essere mosse e gestite in maniera autonoma, senza essere soggette a vincoli. Il procedimento fin qui illustrato può rivelarsi sostanzialmente sufficiente per costruzioni che prevedono una sorta di struttura “autoportante” o comunque qualcosa dove gli elementi portanti risultino distaccati o comunque “altri” rispetto all’elemento curvo in sé. Se invece, come in questo caso, si tratta di una copertura che include al proprio interno sia un ordine strutturale che il tamponamento, quindi sia l’ordito che l’impalcato e non trattandosi quindi di un solo elemento omogeneo nella composizione, serve chiaramente uno strumento con il quale si possano individuare le venature, il reticolato lungo il quale inserire la struttura e i vuoti dove trovino spazio gli elementi portati. Questo risulta essere sicuramente uno dei punti in cui il BIM mostra i propri vantaggi rispetto al CAD in maniera più rilevante; nel caso preso in esame il software utilizzato propone la suddivisione delle masse precedentemente create mediante un pattern, che vi individui i singoli moduli (figura 11).

Figura 10 – Modello di masse

Figura 11 – Modello basato su pattern

Una superficie resta suddivisibile anche mediante strumenti di disegno informatico tradizionali, ma il BIM tratta questa divisione parametrizzando dimensioni e linee generatrici e senza “scindere” l’elemento a priori. Mentre con il CAD infatti, se si decide di frammentare una superficie essa nella gran parte dei casi cessa di essere un elemento unitario (e quindi viene reso più complesso modificare a posteriori quanto fatto), nel nostro caso il reticolato viene trattato quasi come un elemento a sua volta, distinto dalla superficie sulla quale si appoggia e come conseguenza resta modificabile nelle dimensioni e nell’aspetto anche nelle fasi successive del lavoro. Questo comporta per esempio che si possa passare da una maglia quadrata ad un triangolare solamente modificando alcuni valori, invece che dover ricreare una nuova superficie dall’inizio e poi appena procedere con la suddivisione. Altro vantaggio si riscontra anche al momento di dover effettivamente modellare gli elementi da inserirsi su tale maglia. Invece di dover editare ogni frazione di superficie singolarmente, cosa che avviene nel CAD nel caso non si abbia a che fare con una parcellizzazione perfettamente omogenea a causa dalla forma irregolare, si può importare un modello creato una tantum appositamente in uno spazio che replica la trama del reticolato adottato mediante dei punti base di riferimento. Tale elemento si ripeterà poi per tutta l’area interessata a cui verrà applicato. Come accennato in precedenza, l’architettura trattata presenta una sezione trasversale variabile e ciò influenza in maniera diretta anche la realizzazione di altri elementi differenti dalla copertura, che pur dovendosi ripetere in maniera seriale hanno in qualche modo interazioni con la forma della stessa. Un valido esempio possono essere le travi portanti del primo ordine strutturale: la loro sezione resta sempre uguale ma la lunghezza e la concavità si modificheranno a seconda dell’andamento della copertura. Si sopperisce ad esigenze di questo tipo con una classe di modelli che nel caso di alcuni dei software BIM più conosciuti prendono il nome di “masse adattative” (figura 12). A questi elementi vengono associati dei punti di ancoraggio e durante il posizionamento della famiglia nel progetto tali punti dovranno essere posizionati su una traiettoria che definirà poi la forma che prenderà l’elemento. È evidente come l’operare in questa direzione abbia il vantaggio di far passare attraverso la fase di vera e propria modellazione del singolo elemento una volta sola, invece che doverne costruire uno nuovo che abbia le dimensioni adatte ad ogni sezione dove lo si vuole inserire. Oltre ai casi illustrati in cui ci si offre la possibilità di operare con elementi particolari, spesso non veri e propri oggetti fisici (per l’appunto le masse di vario genere), anche nei software BIM si ha la possibilità di lavorare mediante modelli per così dire “classici”, realizzati tramite le operazioni di modellazione solida presenti anche nella maggior parte dei CAD. Le varianti in questo caso includono la possibilità di modellare famiglie di oggetti in un file proprio a sé stante e quindi potendole poi importare in ogni file di progetto in cui si abbia la necessità, oppure di crearle direttamente all’interno del progetto in cui serve l’oggetto (potendolo quindi adattare a spazi e posizioni più specifiche, avendo a disposizione il resto delle costruzioni come riferimento). Quando si decide di creare un nuovo progetto solitamente, all’apertura del software, ci si confronta con un file con un template già installato che non si presenta del tutto vuoto, ma con varie famiglie già importate di default, come possono essere una buona gamma di infissi, arredo e altri modelli che possono tornare utili in molti casi. Una delle famiglie cosi impostate che più ricorrono e che più spiccano per differenze con

Figura 12 – Modello di massa adattativa

il mondo CAD sono quelle che a seconda dei software vengono chiamate curtain walls o simili: con ciò si intendono le chiusure verticali, oblique ed orizzontali con pannellatura (spesso vetrata) e montanti (figura 13).

Figura 13 – Modello di curtain wall

La loro forte connessione con l’ambiente BIM sta nel fatto che sono di fatto superfici modulari che, come nell’esempio della tensostruttura trattata in precedenza, possono essere modificate nella suddivisione globale ma anche nell’editare un singolo modulo (un pannello) e che la modifica di dati parametri può avvenire in qualunque fase della progettazione senza che si necessiti di grandi stravolgimenti o di un’elevata mole di lavoro. Proprio la parametrizzazione ora nominata risulta essere l’elemento cardine sul quale si basa il concetto del Building Information Modeling nella pratica. Si è già esplicitato il significato di “information”, che da un punto di vista operativo di chi si va poi ad interfacciare con il software, tende ad identificarsi poi proprio con i parametri di cui ogni oggetto è dotato. I parametri non sono altro che tutti i valori, gli attributi che risultano modificabili dall’utente senza intaccare la modellazione base, il disegno in sé dell’elemento: come già reso esplicito nel caso della maglia dei pattern, o la suddivisione delle facciate continue, ma anche per cose di utilizzo magari più frequente e banale come le dimensioni editabili di un oggetto (infissi, arredi, oggettistica) o i materiali di cui è costituito. In tutti questi esempi ognuno dei dati elencati non è altro che un parametro, reso tale, quindi modificabile, in sede di modellazione della famiglia. Nel caso infatti non si specifichi che un dato attributo necessità dell’etichettatura di “parametro”, la modifica non sarà più attuabile a prescindere da un intervento sulla modellazione dell’oggetto. Il metodo di costruzione e l’opportuna parametrizzazione dei vari elementi all’interno di un tale ambiente sono quindi in sostanza la chiave attraverso la quale si riesce ad usufruire di uno strumento BIM utilizzandone tutti i tratti distintivi; riuscendo quindi a sfruttare questo strumento per realizzare modelli poliedrici nei metodi costruttivi, come può essere l’esempio qui riportato (figure 14-15).

Figura 14 - Panoramica dello stato di progetto

Figura 15 - Particolare dello stato di progetto

Conclusioni

La giusta attenzione prestata alla parametrizzazione diventa importante anche nei momenti riguardanti la gestione del costruito, successivi alla modellazione. Uno dei tratti distintivi del BIM è l’operare nello spazio a cosiddette “7D”, quindi avere una buona overview sul modello ultimato risulta fondamentale. Questo avviene se i vari elementi, importati o creati ad hoc che siano, vengono da subito utilizzati nella maniera più opportuna, facendo sì che ognuno ricopra esattamente il ruolo per cui è stato pensato, in aggiunta ad una corretta impostazione dei parametri. In questo modo il software riuscirà a catalogarli in maniera esatta, facendoli rientrare negli insiemi corretti e si sarà in grado quindi di stabilire quantità e misure nella maniera corretta in qualunque fase della vita dell’oggetto costruito; inoltre anche grazie a questo fatto sarà possibile sviluppare un processo di progettazione su più livelli, oltre che compositivo, anche energetico, piuttosto che meccanico. Opportunità che viene fornita dai parametri intrinseci non solo agli elementi costruttivi, bensì ancora più specificamente ai materiali che li compongono. Il caso particolare della tensostruttura analizzata ora, solleva poi una di quelle che possono essere le frontiere per il futuro di questi software. Aspetti come l’acustica (di rilevanza notevole in questo esempio), come molti altri ambiti della fisica tecnica edilizia che risultano più complessi, risultano ancora marginali e non coinvolti direttamente in un procedimento di progettazione BIM. Le diverse aziende sopperiscono a tali questioni mediante plug-in e con i vari aggiornamenti riscontrabili man mano nei costanti release dei software che spesso semplificano e migliorano il modo in cui il loro prodotto si approccia ad una determinata questione. Chiaramente più la tematica presa in considerazione è complessa o innovativa per l’edilizia e maggiore sarà la difficoltà con la quale verrà coperta anch’essa dalle funzionalità di questi software. Date le differenze fra i metodi di approccio delle software house al BIM, i programmi che incanalano l’utente lungo binari più facili all’utilizzo ma allo stesso tempo dai quali risulta più difficile variare nel metodo di lavoro, risultano essere spesso quelli che necessitano di più tempo per recepire ed adeguarsi ad eventuali nuovi ambiti. Al netto quindi delle inevitabili differenze circa le linee di sviluppo fra i vari software, coinvolgere sempre più anche tali aspetti, insieme ad un orientamento volto maggiormente all’Open BIM, sono sicuramente le frontiere verso le quali si spingerà questo metodo di progettazione, rendendo, ad avviso di chi scrive, sempre più approfondito il controllo sul progetto da più punti di vista, ma allo stesso tempo, più accessibile a possibili stakeholders non necessariamente legati al mondo dell’edilizia.

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