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Elementi di Marketing 1: il marketing strategico L’evoluzione del concetto e il modello Customer Oriented
Le dispense di NETT Economy
Formazione e informazione per l’ingresso nei mercati digitali
appleseed - agenzia di marketing digitale | area formazione
SOMMARIO La definizione di Marketing
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La Customer Satisfaction
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Marketing strategico/marketing operativo
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L’evoluzione del marketing nell’impresa
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Il Marketing passivo (Orientamento al prodotto)
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Il Marketing operativo (Orientamento alla vendita)
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Il Marketing strategico (Orientamento al cliente)
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Il Market-Driven Management (Orientamento al mercato)
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Il marketing mix (le 4P)
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Prodotto
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Prezzo
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Distribuzione
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Promozione
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La Unique Value Proposition (UVP)
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Conclusioni
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Il marketing Customer Oriented
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Il ruolo d’acquisto
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Le 4C
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Consumer
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Cost
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Convenience
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Communication
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Conclusioni
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Il prodotto e gli obiettivi strategici
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I modelli di analisi
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Product Vision Board
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Gli obiettivi di comunicazione
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Promozione (Brand popularity / Brand awareness) Canali di diffusione del marchio
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Lead Generation/Engagement/Conversione
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Engagement Marketing
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Gli influencer
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Coinvolgere gli influencer
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Strategie di Vendita/Customer Relationship Marketing
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Brand advocacy
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Strategie di vendita finale
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Il CRM (Customer Relationship Management)
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Creare delle comunicazioni One To One e profilate.
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Analizzare la soddisfazione del cliente
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Anticipare le esigenze dei propri clienti e criticità del mercato
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Modello generale di analisi Analisi del prodotto
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Risposte disponibili
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Nuove proposte
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Analisi del mercato
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Il sentiment generale
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Individuazione degli influencer
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Domanda soddisfatta e domanda potenziale
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Individuazione target
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Il Team Operativo Il calendario editoriale
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Pianificare, poi pubblicare
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KPI, Key Performances Index
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KPI: definizione base e caratteristiche
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Come scegliere le KPI
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Le KPI nella Customer Journey
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Le Micro-conversioni
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Perché è importante misurare le micro-conversioni?
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Come monitorare le micro-conversioni?
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I Micromomenti Perchè sono importanti i micromomenti? Conclusioni
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Conclusioni generali
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Keypoint di riepilogo RISCRIVERE TUTTE
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Definizione: maggio 2018 NETT Economy è una realizzazione Appleseed srls, agenzia di Marketing digitale Se vuoi costruire una nave, non richiamare prima di tutto gente che procuri legna, che prepari gli attrezzi, non distribuire compiti, non organizzare il lavoro. Prima, invece, sveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Antoine De Saint Exupéry
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Elementi di Marketing: Il marketing strategico L’evoluzione del concetto e il modello Customer Oriented
a cura di Franco Mennella
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Premessa Perché iniziare con una premessa teorica sul marketing strategico? Perché l’errore più comune nelle strategie di commercializzazione di prodotti e servizi è proprio quello di non identificare con sufficiente chiarezza l’obiettivo, ma anche di non tenere nella dovuta considerazione le competenze e le risorse necessarie per raggiungerlo efficacemente. E questo fa rovinosamente fallire ogni progetto, pur se valido nella sua idea di base. Partiremo dall’inizio, anche se procederemo velocemente, cominciando proprio dalla definizione stessa di marketing per giungere, attraverso un percorso coerente, alle possibili applicazioni pratiche. Soltanto in questo modo alla fine potremo contare su di un quadro di riferimento concreto che ci aiuterà efficacemente nelle scelte. Per affrontare questi temi in maniera produttiva, però, è necessario accettare un concetto di base: i gnorare i presupposti teorici e gli studi sulle dinamiche dei mercati archiviandoli come semplice “filosofia” è quanto meno miope. Nel corso degli anni sono state provate svariate tecniche e strategie nei diversi mercati e queste azioni sono state studiate, analizzate, comprese. In questo campo la ricerca punta essenzialmente a individuare una efficace correlazione tra causa ( la nostra azione di marketing) ed effetto (la risposta dei clienti e del mercato). Dopo decenni di studi, molte cause sono note e molti effetti sono stati codificati; conoscere il meccanismo di queste relazioni permette di elaborare strategie più efficaci e, quantomeno, di evitare errori già commessi. Un imprenditore che vuole entrare in un mercato complesso senza conoscerne le dinamiche è come un chirurgo che vuole operare senza conoscere l’anatomia del paziente. La rivoluzione digitale, in realtà, sta rimettendo al centro l’uomo e la sua capacità di elaborare strategie: la tecnologia è accessibile sostanzialmente a tutti e, quindi, non può essere un fattore competitivo. Ma le strategie si nutrono di dati e della capacità di analizzarli, ed è su questo che si basa il marketing strategico moderno. L’obiettivo di questa dispensa non è certamente quello di trasferire la conoscenza di un’area complessa e variegata come quella del marketing strategico ma semplicemente fornire le basi per mettere nel giusto ordine le azioni da individuare e perseguire all’interno di una strategia. Si vogliono trasferire quei concetti che definiscono perché bisogna postare su Facebook in un dato modo, piuttosto che usare Twitter o scrivere di un determinato argomento per promozionare un prodotto o un servizio, oppure lanciare una campagna su AdWords. Questa dispensa si propone di spiegare il “perché” prima del “come”. Per lo stesso motivo affronteremo, brevemente, le “trasformazioni” del marketing e la sua evoluzione nel tempo. Faremo anche chiarezza su alcuni termini che, spesso, vengono usati in maniera non corretta, se non apertamente a sproposito. Gli equivoci generati dalla cattiva comprensione generale di questo scenario, anche nell’utilizzo dei termini, sono alla base del ritardo nella ripresa da parte dei paesi con una minore maturità digitale. E vale per le le singole aziende come per i territori. Comprendere è la precondizione irrinunciabile per agire correttamente. Cominciamo a farlo.
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Questa infografica prova a disegnare il percorso di un’azienda che vuole coltivare la propria presenza sul web, in particolare usando i social networks. Vedremo nelle prossime pagine il dettaglio delle azioni, ma quello che emerge con chiarezza è la complessità del percorso, gli elementi da considerare e la necessità di avere un chiaro quadro dei processi.
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La definizione di Marketing In questo mondo denso di nuove parole è importante accordarsi esattamente sul significato che viene dato ad alcuni termini. Il rischio è quello di non comprendere che si sta parlando di cose completamente diverse, anche se magari gli affibbiamo lo stesso nome. Partiamo, quindi, proprio dalla parola m arketing. Diamoci subito un tono accademico dicendo che il termine “marketing” fa riferimento ai rapporti di scambio che avvengono sul mercato inteso come l’ambito all’interno del quale si realizzano scambi di beni o servizi tra l’offerta (il venditore) e la domanda (chi necessita di qualche bene/servizio). Rimanendo nelle definizioni “ufficiali”, una delle tutt’ora più adottate è quella data da Philip Kotler n el 1967: “Il marketing è quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotti e valori. È l’arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto”. Notare come l’attenzione è tutta sulla soddisfazione del mercato. Il profitto è la naturale causa, non l’obiettivo dell’azione. Ma riprendiamo anche la definizione “da enciclopedia” del termine profitto: Il profitto rappresenta l’utile che si ricava da un’attività imprenditoriale, inteso quale eccedenza del totale dei ricavi sul totale dei costi di una o più operazioni commerciali o finanziarie o dell’intera gestione di un’impresa. In pratica, alla fine dell’azione di marketing, l’azienda deve registrare un aumento del proprio ricavo sensibilmente superiore al costo dell’azione stessa. Se ho speso 100 euro su AdWords devo ricavare almeno 101 euro in più rispetto a quanto avrei guadagnato senza alcun investimento. Anche quando si punta ad un vantaggio strategico deve essere tenuta presente la necessaria monetizzazione finale. Una visione strategica può portarci a spostare in avanti nel tempo il momento dell’incasso, ma non può non tenerne conto. Può sembrare una considerazione banale, ma è un errore progettuale più comune di quanto si pensi. Questo succede anche perché la “quantificazione” degli effetti è spesso complessa, sia in termini di costi che di ricavi, prevedendo azioni ed effetti sia a breve che a medio e lungo termine. Complessità aumentata dalla trasversalità del ruolo del marketing all’interno dell’azienda. Entriamo così nel complesso mondo degli indicatori e del monitoraggio dei risultati. Lo scopo di questa dispensa è anche quello di fornire le conoscenze di base per valutare la qualità di possibili fornitori di servizi per l’accesso ai mercati digitali, un mercato dove esiste molta offerta u rlata, spesso poco professionale. Comprendere quali siano i numeri che contano, gli indicatori che disegnano realmente il successo o meno di un’azione, rappresenta la premessa fondamentale, oltre che per elaborare strategie, anche per scegliere partners e fornitori. Il termine corretto da usare è KPI, Key Performance Indicator, letteralmente indicatore chiave di performance ma è un argomento complesso che approfondiremo alla fine di questa dispensa. I numeri del web sono tanti: like su un post, condivisioni, visualizzazioni, click, reazioni, interazioni, conversioni, ecc… E nessuno di questi è migliore degli altri, non in assoluto almeno. Nel marketing le categorie di giusto e sbagliato tendono a scomparire: è più corretto parlare di adatto e inadatto, efficace e non efficace. E poi c’è il mito dell’essere “primo sui motori”, dichiarazione roboante che si scontra
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contro una semplice domanda: primo per cosa? La ricerca di informazioni e prodotti, sul web, è cambiata tanto quanto lo scenario generale. Ed anche di questo aspetto parleremo diffusamente. Per parlare di KPI, però, dobbiamo parlare di obiettivi chiari, definiti e, soprattutto, misurabili. Il punto generale è che bisogna comprendere quali siano i numeri che contano nella nostra strategia ed alla fine del percorso che abbiamo appena iniziato sarà più facile individuarli. Ma torniamo all’analisi del termine con un’altra definizione “storica”, quella adottata dalla A merican Marketing Association: “Il marketing è il processo che pianifica e realizza la progettazione, la politica dei prezzi, la promozione e la distribuzione di idee, beni e servizi volti a creare mercato e a soddisfare obiettivi di singoli individui e organizzazioni”. Il fatto che venga sempre utilizzato il termine “processo” ci aiuta a capire come il marketing non consista in una singola azione (ad esempio, la vendita) o un singolo strumento (ad esempio, la promozione del prodotto/servizio). Il marketing è l’insieme delle attività intraprese dall’azienda per soddisfare bisogni attraverso processi di scambio. E generare profitto attraverso questo processo di soddisfazione. Analizza e interviene, quindi, sulla relazione tra chi vende e chi acquista. È l’insieme di tutte le attività volte a promuovere valori e soddisfare i desideri e i bisogni delle persone e dei mercati. Ed è il consumatore ad essere il perno attorno cui ruota il marketing, con i suoi bisogni e desideri. Un marketing corretto dovrebbe puntare a massimizzare il valore ottenuto dallo scambio per entrambe le parti (sia per chi vende che per chi compra). Nello scambio deve esserci valore per tutti, creando profitto per chi vende e generando soddisfazione in chi acquista.
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La Customer Satisfaction Con questo termine si identifica un articolato processo volto a rilevare il grado di soddisfazione di un cliente/utente nell’ottica del miglioramento del prodotto/servizio offerto. Il termine racchiude un insieme di tecniche e fasi di ricerca sviluppate a partire dagli anni ‘90 soprattutto nell’ambito delle imprese private. Anche questa parola, però, viene utilizzata troppo spesso in maniera non efficace, confondendola con una generica attenzione verso il cliente. Non stiamo parlando semplicemente di stare attenti al cliente ma di focalizzare le nostre politiche strategiche e le azioni operative verso la sua soddisfazione. Ma prima di ogni cosa dobbiamo conoscerlo bene, questo cliente, e sapere cosa vuole. È importante sottolineare come il concetto di soddisfazione non sia un valore assoluto, ma vada strettamente collegato alle aspettative esplicite e latenti del cliente/utente e alla percezione della qualità del prodotto/servizio. Se vado ad alloggiare in un ostello della gioventù per una vacanza sarò favorevolmente colpito, per esempio, dalla semplice pulizia dei locali. Se alloggio in una suite a 5 stelle noterei la presenza o meno del cioccolatino sul cuscino e l’annata dello champagne nel frigo bar. Rilevare la Customer Satisfaction per un’azienda privata o un ente pubblico, non significa esclusivamente gestire in maniera efficace le crisi o attivare una percezione positiva verso il cliente/utente ma deve essere anche un orientamento verso il miglioramento reale della qualità dei servizi/prodotti. Per questo motivo è necessario avviare adeguate strategie di ascolto. Non conta cosa pensiamo noi del nostro prodotto, ma come viene percepito dai nostri utenti e cosa possiamo modificare per assecondare i loro desideri, palesi o meno. Un’azione di Customer Satisfaction deve prevedere, per esempio, dei report comunicabili ai settori produttivi dell’azienda per suggerire modifiche che possano andare verso le esigenze del mercato. L’azienda deve dotarsi di efficaci sistemi di rilevazione (online ed offline) delle percezioni degli utenti, coinvolgendo tutto il personale e le risorse. Non si tratta soltanto di seguire un profilo “etico” ma di costruire una strategia di lunga durata. Ancor di più oggi: l’interconnessione generata dai social network rende difficile “tenere a lungo” una strategia basata esclusivamente sulla comunicazione di un’immagine a cui non corrisponda la realtà del nostro prodotto. Le recensioni sono implacabili quando le aspettative vengono disilluse.
Marketing strategico/marketing operativo La definizione fin qui data del marketing dovrebbe almeno avere sfatato un grosso equivoco: la confusione tra marketing e pubblicità. Come vedremo in dettaglio più avanti, la pubblicità è una sottocategoria delle azioni di marketing e comprenderlo sul serio significa iniziare a percorrere un sentiero corretto. Ma entriamo nel dettaglio. Tra i principi del marketing s’incontra la distinzione tra marketing operativo e marketing strategico. Qual è la differenza tra questi due aspetti? Iniziamo con il dire che il marketing operativo è la proiezione “sul campo” di un piano di marketing strategico più ampio.
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ESEMPIO Il management rileva che il marchio è poco presente nel mercato di riferimento e decide di avviare una campagna di Brand Awareness, ponendosi come obiettivo di essere visualizzato da 100.000 utenti in target. Il Team operativo realizzerà una campagna di Content Marketing supportata su una campagna AdWords su Rete Display per raggiungere l’obiettivo definito dal marketing, individuando le risorse necessarie e monitorando l’andamento. Sarà sempre il Team a valutare e attuare eventuali correttivi necessari a raggiungere l’obiettivo. Alla fine del percorso (o a una data stabilita) il Team consegna un report al management per le valutazioni e le eventuali modifiche alle strategie generali. Per questo, le dimensioni temporali e di obiettivo sono elementi chiaramente distintivi. Se da una parte, il marketing strategico è un’analisi ampia che tende a individuare la collocazione ottimale del prodotto e a gettare le linee strategiche per guadagnare il vantaggio competitivo, il marketing operativo è una strategia a breve o medio termine, che prevede l’allocazione di un budget definito e si pone obiettivi facilmente misurabili. Possiamo riassumere in questo modo la differenza tra queste due dimensioni: ● il marketing strategico si occupa di analizzare i bisogni dei potenziali consumatori per sondare le opportunità del mercato e sviluppare le nuove proposte competitive ● Il marketing operativo agisce direttamente con azioni operative e attua le singole misure elaborate dal marketing strategico, perseguendo obiettivi definiti e misurabili.
Keypoint Il marketing strategico definisce obiettivi, seleziona KPI e assegna le risorse generale; il marketing operativo acquisisce gli obiettivi e, utilizzando le risorse assegnate, definisce c osa fare e c ome e q uando farlo.
L’evoluzione del marketing nell’impresa Nel corso degli ultimi decenni di veloci cambiamenti nel mondo e nei mercati, il ruolo del marketing si è evoluto di conseguenza. Gli strumenti e le modalità di approccio hanno subìto delle trasformazioni, pur rimanendo assolutamente coerenti con la definizione originaria. Partiremo, infatti, dall’analisi, ovviamente molto sommaria e veloce, di un mercato semplice, quello della prima metà del ‘900, a cavallo tra le due guerre, verificando in che modo sia cambiato in forme sempre più complesse fino ai giorni nostri.
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Vedremo anche come, pur modificando i meccanismi, i presupposti teorici e le linee guida rimangono immutati. Il centro rimane la definizione “storica” di marketing come processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotti. Il concetto rimane e rimarrà invariato, ma la metodologia di attuazione si adatta, nel tempo, al cambiamento dello scenario.
Il Marketing passivo (Orientamento al prodotto) E’ un sistema di marketing che si sviluppa in quei mercati in cui la domanda è superiore all’offerta e riguarda fondamentalmente beni e servizi “necessari”. L’eccesso di domanda rende i bisogni esaurientemente conosciuti, di conseguenza il marketing strategico si sviluppa spontaneamente. Quello operativo invece svolge la sola funzione di “smercio” poiché la promozione è quasi inutile vista la scarsità dell’offerta e la difficoltà di ampliare il mercato. L’orientamento dell’impresa ruota inevitabilmente intorno al prodotto e vengono privilegiate l’organizzazione e il funzionamento aziendale (produrre meglio, abbattere costi di produzione/distribuzione, ecc..) anziché la soddisfazione dei clienti. Siamo nel periodo di crisi tra le guerre e il mercato non era schizzinoso. Oggi questo modello si sviluppa prevalentemente nei paesi in via di sviluppo dove però risulta nocivo nel medio-lungo termine in quanto non sblocca l’economia e porta, tendenzialmente, alla creazione di oligopoli statici.
Il Marketing operativo (Orientamento alla vendita) Questo sistema si va formando negli anni 50’ quando la domanda, supportata dalla ricostruzione post bellica, era in forte aumento e la capacità di produzione era in grado di assecondarla. Questo generò una situazione di forte crescita e espansione del mercato. In questa ottica la missione prevalente diviene quella di creare a tutti gli effetti una struttura commerciale efficiente. Il Marketing diventa un sistema meno passivo e punta sulla ricerca di sbocchi commerciali per i prodotti. Ciò che si propone è l’organizzazione dell’insieme dei compiti relativi all’organizzazione commerciale. Nasce l’ottica di vendita e la figura del “rappresentante”, poi evoluta in diverse forme di vendita più o meno “in rete”
Il Marketing strategico (Orientamento al cliente) Alla fine degli anni ‘60 la crescita rallenta, il mercato si segmenta in gruppi, l’innovazione accelera e la conoscenza aumenta. Questo costringe l’impresa a modificare la propria modalità di approccio al mercato. L’obiettivo principale dell’analisi diviene quello di identificare segmenti a potenziale crescita. La saturazione della domanda dei prodotti di soddisfazione dei bisogni di base (che rappresentano il nucleo centrale del mercato) porta alla nascita di prodotti più specifici, volti a soddisfare i bisogni individuali di gruppi distinti di clienti. Il prodotto comincia ad essere qualcosa “di più” che un bene da utilizzare. Il concetto di brand comincia a prendere la forma attuale. La macchina non è più solo un mezzo di trasporto ma uno status symbol, l’orologio non serve solo a misurare il tempo ma è un complemento d’abbigliamento, ecc… La frammentazione del mercato orienta le imprese a spostare il loro campo di analisi. Nell’ottica dell’orientamento al cliente l’obiettivo del marketing non è più quello di vendere ma diventa quello di aiutare il cliente ad acquistare e l’attività di promozione alla vendita si basa essenzialmente sullo stimolo di bisogni (reali o indotti) del cliente.
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Siamo anche in una fase di calo evidente dell’economia con l’affievolirsi degli effetti del Boom economico. Diminuiscono i soldi ma non le esigenze di un mercato ormai abituato a chiedere qualcosa in più. Esplode la vendita rateizzata ed il credito al consumo (aiutare il cliente ad acquistare) e nasce la pubblicità aggressiva e la costruzione del marchio, alla ricerca di bisogni da indurre nel cliente. Sono i tempi della Swatch, della pubblicità aggressiva di Oliviero Toscani con la Benetton, dei marchi che tendevano a presentarsi, prima di tutto, come “stile di vita”. Un campo che raggiunge l’apice con l’Apple di Steve Jobs. Tutto questo cambia decisamente a cavallo tra i millenni. L’interconnessione globale non coinvolge più soltanto persone e informazioni; con la Digital Disruption i sistemi economici e di gestione del mercato cominciano ad intrecciarsi tra di loro in maniera inestricabile. L’avvento di social e mobile ha reso la modifica strutturale. L’attenzione, quindi, passa dalle componenti del sistema all’analisi complessiva del quadro di relazioni che lo “tiene insieme”.
Keypoint Prima di passare ad analizzare il prossimo step è necessario riflettere sull’elemento che accomuna queste trasformazioni. Il centro dell’attenzione sta sempre nel migliorare il rapporto tra l’azienda ed il cliente. Cambiamenti sociali, economici, politici o tecnologici hanno, nel tempo, “imposto” delle modifiche. Quelle avvenute dall’inizio di questo millennio sono state particolarmente significative ed il cambiamento è stato repentino e violento. Il prossimo passaggio vede l’approccio strategico spostarsi dalla produzione al mercato nel suo complesso, ma vedremo subito dopo come l’impennata digitale abbia reso necessaria una nuova (e veloce) riscrittura di alcuni modelli. Con l’approccio Market-Driven arriviamo, comunque, alla prima formulazione coerente di una visione del marketing più vicina ad un mondo digitalizzato e marcatamente social.
Il Market-Driven Management (Orientamento al mercato) Questo tipo di orientamento al mercato prevede che le funzioni dell’impresa tengano conto di tutti gli attori del mercato che influenzano in modo diretto o indiretto la decisione d’acquisto del cliente o comunque partecipano al mercato in senso ampio (ambiente). L’azienda vive e prospera in un sistema di relazioni dove clienti, fornitori, istituti finanziari, ambiente politico ed economico, ma anche culturale, rappresentano elementi che vanno considerati ed inseriti all’interno della strategia.
Sono stati delineati 5 diversi tipi di attori nei mercati e la gestione del rapporto tra questi e l’impresa rappresenta la chiave del successo aziendale:
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Il Cliente Finale e il cliente diretto: la soddisfazione di questi due attori del mercato è il primo obiettivo del concetto tradizionale di marketing. In un mercato di beni di consumo il cliente diretto e quello finale sono vicini o coincidono. In altri mercati possono risultare anche molto distanti nell’ambito della filiera.
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Ad esempio un “prodotto” come Facebook ha una clientela diretta (gli utilizzatori) ben diversa e distinta dalla clientela finale (gli inserzionisti). I due attori vanno approcciati in maniera completamente diversa ma sono entrambi essenziali per il successo. ●
Il Cliente distributore: Con la crescita del potere del settore della distribuzione per i prodotti di largo consumo, la figura del distributore ha iniziato ad assumere anche le sembianze della concorrenza, di un partner o, comunque, di un cliente intermedio. Nasce così il Trade Marketing, un approccio di marketing applicato ai distributori, non più considerati come intermediari ma clienti a tutti gli effetti. Promozione mirata, customer care e benefits diretti al venditore sono strategie da tempo applicate, fino ad un’identificazione totale tra cliente e distributore con il network marketing. Con l’avvento di prodotti virtuali il quadro è diventando più complesso arrivando alla figura del “cliente produttore”: il prosumer.
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La Concorrenza: Le figure dei concorrenti assumono un ruolo fondamentale nei mercati proprio perché in relazione ad essi un’impresa costruisce il proprio vantaggio competitivo sul quale orientare la propria linea di sviluppo. Vengono elaborati in questa ottica degli appositi apparati di controllo della concorrenza, e si sviluppano flussi di informazioni all’interno dell’impresa che tengano conto delle azioni dei competitors.
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I Clienti Prescrittori: Sono quelle figure del mercato che hanno acquisito l’importante ruolo di consiglieri che suggeriscono, raccomandano e prescrivono marche, prodotti e servizi a clienti e distributori.(es. i medici nel settore farmaceutico). Nel mercato di beni industriali business to business il ruolo dei prescrittori è ricoperto da società di progettazione, da esperti o consulenti che raccomandano o certificano gli impianti e pubblicano liste di prodotti approvati. Nel mercato rivolto ai consumatori si è affermato il ruolo degli a dvocates, clienti che raggiungono un tale grado di adesione al prodotto da rappresentarne un vero e proprio testimonial. Questa figura esplode naturalmente nel mondo dei social networks dove le recensioni sui prodotti dei cosiddetti influencer, utenti dal largo seguito di pubblico, dettano, di fatto, le regole del mercato.
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L’ambiente Macro-marketing (Stakeholders1): La visione attuale del marketing tende a considerare in maniera coerente tutti i fattori del contesto sociale, tecnologico, economico, ecologico, politico e che partecipano in modo diretto o meno allo sviluppo del mercato. Dal punto di vista dell’impresa essi possono rappresentare Opportunità, Minacce o Vincoli. Una legislazione di supporto alle energie rinnovabili, ad esempio, rappresenta una opportunità per investire nei pannelli solari, ma anche un
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Stakeholder: Il termine significa letteralmente "portatore d'interesse" e individua tutti i soggetti o categorie che hanno un interesse rilevante in gioco nell’ambito analizzato. Tale interesse può essere dato da un investimento specifico, da un eventuale rapporto con altri attori o semplicemente dai possibili effetti positivi o negativi a cui può essere colpito dalle azioni analizzate.
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cambio di vertice politico o all’interno di determinate associazioni può influenzare, anche pesantemente, il mercato di un’azienda. Un corretto e funzionale orientamento al mercato perciò prevede anche un monitoraggio costante di tali fattori in modo da prevedere gli effetti e in modo da saper adattarsi in tempi reattivi alle loro incidenze sul mercato. E, dove possibile, intervenire, anche creando asset specifici che coprano una esigenza o esaltino una opportunità. Questo vuol dire che rientreranno nelle azioni di marketing anche tutte quelle iniziative tese, per esempio, ad influenzare l’ambiente politico-istituzionale, la dimensione culturale del territorio, il rapporto con e fra gli s takeholders, ecc…
Keypoint Analizzare l’evoluzione delle strategie di marketing con il mutare degli scenari economici ha uno specifico obiettivo: c omprendere come il marketing si adatti ai cambiamenti. Se l’azienda non si adatta allo stesso modo viene automaticamente esclusa dal mercato.
Il marketing mix (le 4P) Affermare che il marketing attraversi tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto è sicuramente vero, ma questa dichiarazione non basta per capire come bisogna operare. Nel corso degli anni sono stati individuati e studiati i “punti d’intervento”, gli elementi che bisogna considerare per comprendere lo “stato di salute” del proprio mercato e del proprio prodotto. Questi sono anche gli elementi dove intervenire per ottenere i risultati desiderati. Identificarli e classificarli permette di comprenderne le relazioni e quindi di colpire “chirurgicamente” sul mercato (o sul prodotto) con una buona possibilità di prevedere gli esiti e limitando al minimo inconvenienti o effetti collaterali non voluti. Si parla infatti di marketing mix, un termine che indica la combinazione (mix) di variabili controllabili che le imprese impiegano per raggiungere i propri obiettivi. Queste variabili sono dette anche leve decisionali in quanto vanno usate per gestire il flusso di decisioni del mercato e influenzarle a favore del proprio prodotto e perché, come una leva, agiscono su un punto specifico per amplificare la forza; la massa da muovere, ovviamente, è la decisione d’acquisto da parte del cliente. I dati e la nostra capacità di analisi ed azione ci permetteranno di trovare il “punto di appoggio” per usare la nostra leva nel modo più efficiente, minimizzando lo sforzo iniziale e massimizzando il risultato. Per questo ci serve la definizione esatta delle possibili variabili che possiamo utilizzare per influenzare la scelta del cliente.
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Keypoint Questo è il punto dove molti imprenditori storcono il naso ed archiviano l’argomento con la frase “è tutta filosofia”. Sbagliando profondamente. Perché su questa “filosofia” sono basate le scelte (e le fortune) delle aziende e dei territori che hanno superato la crisi. Mentre vengono ignorate dalle aziende e i territori, come il nostro, che annaspano nella recessione. Le variabili tradizionalmente incluse nel marketing mix sono le 4P teorizzate da Jerome McCarthy e riprese in seguito da molti altri. Anche se, l’avvento delle nuove tecnologie ha modificato il quadro, l’approccio proposto è rimasto strutturalmente corretto. Partiamo quindi dalle principali leve decisionali da utilizzare, per come definito da McCarthy, per impostare una fattiva strategia di marketing: ● ● ● ●
Product ( Prodotto) Price ( Prezzo) Place (Punto Vendita, Distribuzione o Posto) Promotion ( Promozione)
Prodotto
Il prodotto (Product) è il bene o servizio che si propone ad un mercato per soddisfare i bisogni dei consumatori. Analizzare il prodotto significa individuare le sue peculiarità, definire “a cosa serve”, comprendere quale bisogno del potenziale cliente è in grado di soddisfare ed in che modo. La più importante leva decisionale di marketing che riguarda il prodotto è la politica di b rand management.
Prezzo
Il prezzo (Price) è il corrispettivo in denaro che riteniamo il consumatore sia disposto a pagare per ricevere un determinato bene o servizio. Esistono varie politiche di pricing che un'impresa può attuare, in funzione degli obiettivi che l'impresa si propone. Il prezzo non può più essere definito semplicemente dalla somma algebrica di costo più aspettativa di ricavo. Influenza la scelta del consumatore e quindi va definito all’interno di un progetto più complessivo ed usato come leva. Queste le principali azioni possibili:
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la scrematura del mercato (skimming pricing) Si fissa volutamente un prezzo talmente alto da mettere il prodotto o il servizio al di fuori della portata della maggioranza dei consumatori per attrarre quelli che cercano esclusività ad ogni costo. Viene utilizzata, ad esempio, quando si introducono nuovi prodotti di più elevata qualità rispetto a prodotti simili già presenti sul mercato.
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la penetrazione nel mercato (penetration pricing) Un prodotto immesso su un mercato in cui sono presenti altri prodotti simili, viene venduto ad un prezzo ribassato nel primo periodo di vendita.
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la diversificazione dei prezzi (segment pricing) I prezzi di uno stesso prodotto variano a seconda del tipo di consumatori, del tipo di luogo o del periodo di riferimento. Viene utilizzato per focalizzare la strategia su uno specifico segmento, valorizzandolo o penalizzandolo. Un esempio classico di segment pricing è la stagionalità delle tariffe per le strutture ricettive (alta e bassa stagione).
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Distribuzione
La Distribuzione (Place) è l'insieme di attività necessarie a far giungere un determinato prodotto al consumatore finale, con i vari passaggi intermedi. La distribuzione avviene tramite la gestione, detta channel management, dei canali di distribuzione e dei magazzini. Anche in questo caso non viene considerato solo la funzione meramente “logistica” di spostamento delle merci. Le modalità attraverso le quali il cliente entra in possesso del prodotto, se gestite, diventano un motivo di scelta o, comunque, un fattore di penetrazione del mercato. A volte le tecniche di distribuzione possono arrivare a coinvolgere anche gli stessi utenti-consumatori: si pensi ai sistemi di network marketing o le vendite “diffuse”, sul modello Avon.
Promozione La Promozione (Promotion) comprende l'insieme di attività volte a promuovere, pubblicizzare e far conoscere al mercato un'azienda o un suo determinato prodotto o servizio. La promozione rappresenta sicuramente il campo più intuibile nella sua funzione di “leva decisionale” nei confronti del cliente, ma non per caso viene posto in fondo alla lista. La produttività reale di una strategia di promozione è legata alla definizione degli altri elementi del marketing mix ed alla coerenza tra la comunicazione ed il prodotto. La Promozione deve tenere conto delle altre leve e sottolinearle. ESEMPIO Se si decide di attuare una politica di skimming pricing, alzando il prezzo per conquistare un target alto, la comunicazione deve essere centrata fortemente su questo aspetto, con claim tipo “Per molti ma non per tutti” o che comunque sottolineano l'esclusività del prodotto. Le azioni possibili in questo campo sono diverse ● ● ● ● ● ● ● ● ● ●
pubblicità (advertising) / propaganda (publicity) direct marketing/direct response advertising sponsorizzazioni (sponsorship) / pubbliche relazioni (public relations) product placement licensing merchandising pubblicazioni economico-finanziarie promozione delle vendite vendita personale (ad esempio porta a porta) packaging
Personal selling e Positioning È importante sottolineare ancora una volta come diverse azioni solitamente identificate genericamente come “marketing” siano, in realtà, una “sotto componente” dell’impianto generale. Le nuove dinamiche di mercato, violentemente scosse dalla Digital Disruption, costringono presto a rivedere questa classificazione, aggiungendo due nuovi elementi. Sono più recenti come elaborazione, ma anche se tutto sommato appartengono ancora ad una visione “tradizionale” del marketing, rappresentano un passo importante verso l’attuale visione totalmente interconnessa del mercato.
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Il Personal Selling è l'insieme delle attività di supporto e informazione per il potenziale cliente al quale viene dettagliatamente spiegato il prodotto in un rapporto diretto, one to one. Tradizionalmente è il ruolo svolto dal venditore classico, il “rappresentante”, infatti questa “quinta P” è stata per anni patrimonio quasi esclusivo del marketing business to business. Oggi ha preso largamente piede anche nel marketing business to consumer, grazie alle tecnologie informatiche che hanno reso agevole e conveniente la creazione di reti di contatto dirette con gli utenti.
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Il Positioning è un fattore fondamentale nella percezione del consumatore e rappresenta l’area di mercato dove l’azienda deciderà di posizionarsi. Quando il consumatore si è fatto un'idea su di una marca è difficile fargli cambiare la sua percezione. Ad esempio, una marca conosciuta per prodotti a basso prezzo non riuscirà ad imporsi nel mercato del lusso senza prima cambiare posizionamento. Questa “suddivisione” deve aiutarci ad individuare con efficacia su quali punti sia necessario (o conveniente) intervenire nella strategia di marketing generale. ESEMPIO Il cliente dell’era digitale è un cliente informato. Prima di acquistare il prodotto vuole conoscerne i dettagli e pretende assistenza anche nella fase post vendita per essere aiutato ad utilizzarlo al meglio. App e siti web dedicati all’assistenza cliente e manualistica digitale, preferibilmente interattiva, rappresentano strumenti potenti, a patto che siano (o comunque appaiano) costruiti sull’esigenza del singolo utente.
La Unique Value Proposition (UVP) Prima di passare all’analisi dei nuovi scenari, introduciamo un concetto che, teoricamente, è sempre stato al centro dell’attenzione nel marketing aziendale. Oggi, però, è diventato l’irrinunciabile cardine centrale. Il sovraffollamento di proposte causato dalla globalizzazione e dal digitale, insieme alla presenza di Big Player che risultano imbattibili sulle offerte generaliste (come Amazon nel retail o Tripadvisor nel turismo) rende necessario avere un forte tratto distintivo nella propria offerta, un motivo chiaro e comunicabile del perché il tuo prodotto debba essere preferito alla concorrenza, una proposizione unica di valore. O, in inglese, Unique Value Proposition (UVP). Nello storico libro “Le 22 leggi immutabili del Marketing2” la terza legge recita: E’ meglio essere i primi nella mente che i primi sul mercato. Con la frase “primi nella mente” vogliamo intendere un’associazione secca del marchio. Per comprenderci meglio, parliamo dell’associazione naturale che facciamo tra l’idea generale di 2
Le 22 leggi immutabili del Marketing
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bibite gassate e la Coca Cola o l’equivalenza che istintivamente facciamo tra Google ed il mondo dei motori di ricerca. Vedremo meglio in seguito come il mercato digitale ha cambiato, in parte, l’applicazione di questa legge. Oggi, essere nella mente del cliente non è più l’unica opzione: possiamo accerchiare ed assediare il potenziale cliente fino a diventare l’opzione migliore nella sua mente nell’unico momento che ci interessa veramente: quando avrà deciso di comprare. Detta in maniera più semplice: fai di tutto per “connetterti” in tutti i modi ai tuoi potenziali clienti ed inseguirli fino a quando non comprano (ed anche dopo). La grandezza estrema dei mercati digitali e la possibilità di segmentarli in nicchie identificabili e raggiungibili cambia molto le modalità con le quali costruire la propria UVP. Il tema delle nicchie di mercato è stato approfondito in altre dispense, ma il concetto base è semplice: non dobbiamo trovare qualcosa che ci faccia preferire genericamente alla concorrenza ma trovare una specificità che ci renda più attrattivi rispetto uno specifico e definito segmento di pubblico. Gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione ci consentono di analizzare dettagliatamente il mercato, individuare bisogni specifici e creare prodotti che soddisfino in maniera forte uno specifico aspetto delle richieste del mercato. ESEMPIO Ho un ristorante ed il mio competitor è affermato come leader della ristorazione nel territorio. Uno scontro frontale sarebbe dispendioso ma, analizzando il mercato e verificando i numeri dei possibili target, possiamo scegliere una specializzazione (pesce, dolci, cucina tradizionale, vegana, ecc..) e proporci come il meglio di quella categoria dove, presumibilmente, non avremo competitors. L’impatto digital su questo aspetto è enorme, visto che i nuovi media ci consentono abbastanza agevolmente di intercettare la potenziale clientela interessata alla specificità che intendiamo proporre. Se sono specializzato in menù vegani ci sono centinaia di pagine Facebook dove condividere i miei contenuti e posso agevolmente indirizzare i miei annunci AdWords o Facebook Ads direttamente a quella specifica audience. Focalizzate il concetto di UVP perché ci aiuterà ad affrontare meglio i prossimi capitoli. Parleremo di soddisfazione del cliente e di come comunicare nella maniera efficace proprio la nostra UVP, partendo proprio dall’idea che dobbiamo intercettare quello specifico target di pubblico che riteniamo siano interessati alla nostra specifica proposta.
Keypoint La UVP è il punto d’appoggio della leva, ma deve essere indirizzato verso il target giusto e puntare ad un obiettivo corretto.
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Conclusioni Questo conclude la parte di analisi “storica” del marketing, il racconto del processo che ha portato all’attuale forma, focalizzata sui bisogni del consumatore. Quello che emerso, speriamo con sufficiente chiarezza, è come lo scenario delle azioni di marketing si modelli costantemente sui mutamenti dello scenario globale. La differenza fondamentale tra i precedenti processi di trasformazione e quello attuale sta nella velocità. O meglio nelle v elocità. Usiamo il plurale perché vanno tenuti presenti tutti gli ambiti dove questa accelerazione modifica le modalità di approccio. La velocità dei mercati, che affronteremo nel prossimo capitolo, la velocità delle mode e dei mutamenti sociali, supportata dalla facilità di diffusione del web, la velocità dell’evoluzione tecnologica, che si trova al centro di una “tempesta perfetta” dove le rivoluzioni hardware e software si alimentano a vicenda in una spirale sempre più frenetica. Computer quantistici, clouding, intelligenza artificiale, big data, robotica, Internet of Things, stampa 3d, realtà virtuale ed aumentata… tutto concorre a movimentare lo scenario.
Vedremo anche come “si fa presto a dire marketing”, e lo schema che vedete nella pagina seguente lo mostra in maniera “plastica”. Superata la macro divisione tra strategico ed operativo, il marketing si declina in una miriade di forme, modelli ed azioni. Oggi più di ieri, considerato come la rivoluzione tecnologica abbia aperto spazi nuovi, tutti da esplorare. Spazi che, se non cominciamo ad occupare noi, verranno occupati dalla concorrenza. La scelta non è se adeguarsi o meno, ma soltanto in quale metà si vuole stare perché, sempre per citare Kotler, ci sono soltanto due tipi di aziende: quelle che si evolvono e quelle che falliscono.
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Il marketing Customer Oriented Un punto dovrebbe essere ormai chiaro: l'unica reale costante è il cambiamento. Oggi, però, è arrivata la Digital Disruption ed i suoi effetti nel tessuto sociale ed economico, rendendo il cambiamento eccessivamente veloce e imprevedibile. Eccessivamente per alcuni Prendiamo il dato più evidente: lo stravolgimento repentino, avvenuto negli ultimi anni, di quella che viene definita la curva di crescita di un prodotto. Una rivoluzione che ha un nome: Shark Fin.
Shark Fin significa letteralmente Pinna di Squalo ed il perché emerge chiaramente guardando il grafico. Ci racconta chiaramente come il ciclo di vita di un prodotto non sia più una lunga guerra di trincea ma sia diventato una veloce e competitiva azione di guerriglia. Affronteremo in altra sede le ragioni di questo cambiamento. Intanto prendiamo come dato di fatto alcuni elementi che emergono in maniera palese. I mercati sono diventati: ● ● ●
Instabili Complessi Veloci
Pur non entrando adesso nel dettaglio, questo cambio assoluto di paradigma è legato alla diffusione delle nuove tecnologie in ambito digitale, in particolare social e mobile. I nuovi media, oltre a modificare il ciclo di vita dei prodotti e dei mercati, hanno cambiato anche un altro modello base del marketing: il percorso d’acquisto. Fino agli anni ‘90 il marketing tradizionale considerava tre momenti chiave nel percorso di un cliente verso l’acquisto: 1. lo stimolo, ovvero la comunicazione del prodotto (passaparola, pubblicità) 2. il primo momento di verità, (FMOT, First Moment Of Truth) ovvero la visualizzazione del prodotto (scaffale, e-shop) 3. il secondo momento di verità (SMOT, Second Moment Of Truth), ovvero la prova del prodotto (fruizione)
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Proprio uno dei Big Player della tecnologia, Google, ha individuato un altro e molto più interessante elemento: lo ZMOT (Zero Moment Of Truth), il momento zero di verità. In sintesi rappresenta quel momento, precedente alla scelta d’acquisto, durante il quale girovaghiamo sul web alla ricerca d’informazioni. Sempre più spesso può essere considerato l’attimo determinante del percorso d’acquisto dei nostri clienti.
Questo rende tutto ancora più concitato; la competizione per la conquista dei clienti nei nuovi mercati è una lotta senza quartiere. E si gioca sul tempo di reazione rispetto quello che accade dentro e fuori l’azienda. Ne parliamo in altre dispense (Come compra un cliente: la Digital disruption ed il percorso d’acquisto)) ma è utile qui sottolineare come queste due visioni interagiscono tra di loro, come mostrato nello schema sottostante.
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Analizzando la curva dello Shark Fin appare evidente come l’affermazione del prodotto nel target degli Early Adopter fa schizzare la curva in verticale. Quel momento è lo SMOT degli Early Adopter; hanno appena comprato e provato il prodotto/servizio e, naturalmente, condivideranno l’esperienza nelle proprie cerchie, essendo degli appassionati del prodotto al punto di volerlo provare prima degli altri. Gli Early adopter, inoltre, tendono ad essere degli Influencer nel loro campo d'interesse e il loro SMOT diventerà lo ZMOT di tanti altri possibili utenti. In aggiunta alla comunicazione c’è l'implicita “raccomandazione” contenuta nella condivisione dell’Early Adopter/Influencer, elemento da non sottovalutare, considerato che aumenta (e di molto) le possibilità di un aggancio positivo. Bellissime opportunità, quindi, ma disponibili per tutti, anche per i nostri concorrenti, e giocate tutte sul terreno della prontezza di riflessi e velocità di esecuzione. Il cuore di tutto rimane la pianificazione, ma non era pensabile che le vecchie metodologie di processo fossero adeguate a gestire i nuovi scenari. Queste opportunità, infatti, possono trasformarsi rapidamente in catastrofi, perché in questo scenario gli Early Adopter hanno letteralmente in mano il successo o la rovina di un prodotto. In particolare, se lo SMOT va male e il prodotto/servizio non risponde alle loro aspettative, quella curva diventerà immediatamente piatta e per farla riprendere, oltre a sostanziali modifiche all’offerta, bisognerà investire molto (e bene) nella comunicazione per il riposizionamento.
Keypoint Delineare con esattezza le caratteristiche del prodotto servizio e la loro corrispondenza con le aspettative ed i bisogni della fascia degli Early Adopter è assolutamente essenziale. Un buon prodotto offerto al target sbagliato ha le stesse probabilità di fallimento di un pessimo prodotto. Ovviamente la regola vale anche al contrario: qualsiasi prodotto accettabile offerto al target corretto sarà percepito (e raccontato) come un ottimo prodotto. In questo quadro così veloce e complesso, anche gli stessi modelli di progettazione cominciano ad apparire inadeguati, ed è in questo scenario che prende forma l’approccio chiamato Agile. Dedicheremo una dispensa all’argomento; qui ci basta dire che si tratta di una filosofia che ha riscritto la gestione dei processi strategici e dei flussi di lavoro interni nelle aziende. Un approccio usato dalle Fortune 500, le 500 aziende più grandi al mondo, e che viene imposto alle start-up dalle società di venture capital per dare i finanziamenti alle idee progettuali. Agile è un idea nata da un dato assolutamente empirico: oltre il 70% dei progetti costruiti su tecniche di progettazione tradizionale (TPM, Traditional Programming Management3) non funzionavano più e, principalmente, non davano i risultati attesi. La domanda è stata subito: perché? La risposta, tutto sommato, era semplice. Ragionare per obiettivi inamovibili e programmazione blindata non può funzionare se il mercato è diventato instabile e veloce. Questo sposta l'attenzione dal prodotto alla persona, intesa sia come cliente che come soggetto interno all’azienda e parte del team. L’immagine seguente ci fornisce un’idea generale del processo di lavoro basato su un approccio Agile. 3
Traditional Programming Management
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Il percorso è lineare: il management fa delle richieste al team operativo, che possono essere relative alla realizzazione di progetti o all’analisi dei dati. Il team elabora la richiesta rilasciando prodotti/servizi o, se servono dati, interrogando il mercato. In ogni caso lo stesso team raccoglie il feedback e lo rielabora in report leggibili dal management per supportare le sue scelte. Sulla base dei report potranno essere elaborate nuove richieste, riaprendo il ciclo all’infinito. Tra poche pagine parleremo di marketing customer oriented, il modello vincente dei nuovi mercati che ha sostituito il modello product oriented. Il dettaglio lo vedremo dopo, ma, come dice il nome stesso, i nuovi approcci mettono al centro il cliente, lo rendono un elemento chiave del ciclo produttivo. L’approccio Agile e il modello dei cicli continui di sviluppo e controllo si presta perfettamente allo scopo. Ma c’è un’altro elemento che rende interessante questo approccio, quando viene applicato in forma completa e convinta. Ogni ciclo viene registrato e monitorato, ogni azione catalogata e conservata attraverso modelli che ne rendono semplice la lettura e la consultazione. Grazie a questo, ogni ciclo servirà anche ad ottimizzare i processi, risparmiare risorse, aumentare la qualità. L’errore sarà possibile, ma difficilmente sarà ripetuto. Inoltre, quando si avranno abbastanza dati storici, sarà semplice fare previsioni sul futuro. Questo è uno dei motivi principali perché le aziende che adottano questi modelli si trovano oggi nella lista delle Fortune 500. Ma torniamo al marketing in senso più stretto e riprendiamo un’altro dei pilastri dell’approccio strategico ai mercati: l’individuazione del ruolo d’acquisto.
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Il ruolo d’acquisto Il processo di acquisto può essere genericamente definito come una serie di attività intraprese da un consumatore per giungere all'acquisto di un determinato bene o servizio. In questo processo accade spesso che l’acquisto stesso interessi non un singolo soggetto, ma più persone che ricoprono differenti ruoli e che influenzano la scelta finale (come avviene ad esempio nell’acquisto di una casa, di una nuova automobile o semplicemente l’acquisto di un regalo). Da questo punto di vista è di fondamentale importanza, per qualunque operatore di marketing, riuscire ad identificare i diversi ruoli che un individuo può rivestire durante una decisione d’acquisto. Se prima abbiamo parlato di “leve”, adesso cerchiamo di comprendere verso chi dobbiamo usare queste leve per essere efficaci nel nostro modello di business.
Vediamo quindi quali sono i principali ruoli d’acquisto secondo il guru del marketing Philip Kotler: ● ● ● ● ●
L’iniziatore: è la persona che per prima ha l’idea o comunque suggerisce l’acquisto di un particolare prodotto; L’influenzatore: persona i cui consigli hanno peso nella decisione finale; Il decisore: chi determina, in tutto o in parte, la decisione d’acquisto finale; L’acquirente: persona che materialmente effettua l’acquisto; L’utilizzatore: la persona, o le persone, che materialmente consuma o usa il prodotto o servizio;
In questo schema, un singolo soggetto può rivestire anche più ruoli, mentre alcuni ruoli possono anche non attivarsi. ESEMPIO In una famiglia si pensa di comprare un computer al figlio. L’iniziatore d el processo può essere il figlio stesso che lo richiede, o qualcosa di più immateriale, come un testimonial o magari il contesto (ce l’hanno tutti a scuola). A questo punto si cerca sul web qualche recensione o si chiede all’amico che ne capisce (influenzatore). Il padre alla fine stabilisce l’acquisto (decisore) e magari va direttamente a comprarlo (acquirente). Alla fine del percorso torna il ragazzo che rappresenta l’utilizzatore del bene.
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Riuscire ad identificare non solo il target, ma anche le persone che, in ragione del proprio ruolo, siano maggiormente determinanti nella scelta verso il nostro specifico prodotto è di fondamentale importanza per riuscire a costruire una campagna di marketing ed una strategia di vendita ottimale. Tornando al nostro esempio del computer, una delle figure chiave è l’influenzatore. Le altre figure, in questo percorso, esprimeranno esigenze o definiranno un budget. Con tutta probabilità sarà l ’influenzatore a stabilire realmente quale specifico prodotto comprare ed è quindi conveniente “puntare” su di lui. Praticamente, seguendo sempre l’ipotesi di vendere computer, nell’impostare una campagna di banner su AdWords dovremmo preferire siti d’informazione tecnica o, via social, pagine d’informazione specialistica di settore: dobbiamo contattare l’influenzatore e convincere lui che il nostro prodotto e migliore di quello dei competitor, non l’utilizzatore finale. Ovviamente bisogna avere cura, in ogni caso, di seguire tutto il percorso: una cattiva percezione del prodotto in una qualsiasi delle fasi d’acquisto può essere determinate. Ad esempio, un pessimo punto vendita può impedire la vendita, creando un blocco nell’acquirente che pure avevamo indicato come fattore marginale nel nostro esempio. Oppure una comunicazione massiccia sul brand può “spostare” la centralità del ruolo. È il caso di prodotti “griffati” dove il desiderio dell’utilizzatore finale tende a sopraffare tutti gli altri ruoli. Basti pensare ai prodotti Apple o alle firme della moda o, nel target dei bambini, a determinati merchandising come Winx, Gormiti, Pokemon, ecc… Conoscere con esattezza chi è il nostro interlocutore, comprendere qual è il suo ruolo all’interno d’acquisto, analizzare quali sono i migliori canali per contattarlo e cosa dirgli per coinvolgerlo è, come si direbbe in matematica, condizione necessaria ma non sufficiente. Abbiamo stabilito con chi parlare, come farlo e cosa dirgli. Ma c’è la domanda più importante a cui dare una risposta precisa, se vogliamo fare marketing sul serio: perché lo abbiamo contattato? Rispondere semplicemente: “Per vendere” è una risposta semplicistica che non fornisce alcun aiuto.
Le 4C Quando la trasformazione è diventata così radicale, è apparso subito insufficiente limitarsi ad aggiungere due P (Personal selling e Positioning) alla definizione delle leve di marketing. Oggi il problema è diventato impellente, ma da tempo si ragionava sulla reale esigenza di una modifica anche strutturale del modello delle leve di marketing. In particolare, la percezione della rivoluzione digitale ha portato Robert F. Lauterborn ad ipotizzare una classificazione diversa, spostando il focus dalla prospettiva dell'impresa a quella del cliente e aprendo la strada al modello Customer Oriented.
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Cambiano le parole e le 4 P diventano 4 C: ●
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Il Prodotto diventa Consumer, o Consumer models: si punta sulla soddisfazione del cliente o sul modello di cliente da soddisfare piuttosto che sul prodotto; Il Prezzo diventa Cost: costi sostenuti dall'acquirente, ovvero quelli che il cliente deve sostenere per usufruire del nostro prodotto piuttosto che di quello di un concorrente. Comprende costi accessori e benefit collegati; La Promozione diventa Communication: comunicazione, un concetto più ampio rispetto a promozione, che include le pubbliche relazioni, pubblicità virali e ogni tipo di relazione tra impresa e consumatore; La Distribuzione diventa Convenience: con la nascita di Internet e di modelli ibridi di acquisto si allarga il concetto verso la facilità di acquistare il prodotto, trovarlo o avere informazioni su di esso.
Questa evoluzione della prospettiva di marketing, che si sposta dal prodotto al cliente, è la chiave delle nuove tecniche d’ingresso e posizionamento sui mercati. Non si tratta solo di cambiare parole ma di guardare con occhi diversi le funzioni dell’azienda ed il suo rapporto con il mercato. Cambiare schemi di pensiero per leggere nuovi scenari.
Consumer
Le domande che ci ponevamo in un modello Product Oriented erano semplici: come posso produrre al meglio il mio prodotto? come posso distribuirlo efficacemente? come posso promuoverlo? Anche nel modello Customer Oriented, si parte dall’analisi del prodotto e del mercato. Ma quest’analisi deve rispondere a domande diverse: quale bisogno soddisfa il nostro prodotto, quali problemi risolve? O, se parliamo di qualcosa d’immateriale, come una idea o un brand, quali bisogni intercetta, a quali domande risponde? E c hi è la persona che ha questo bisogno? Il primo passo: cercare le personas Con il termine “personas” (o buyer personas, persone che comprano) si definiscono tipologie di utenti accomunati da un determinato bisogno/problema/domanda verso il quale la nostra proposta può dare una risposta. Rappresentano una visione più moderna ed efficace del concetto eccessivamente ampio di target che identificava il pubblico solo per dati demografici e quantitativi. Il quesito da porsi per disegnare queste categorie diventa, quindi: che tipo di persona ha quel determinato bisogno, si pone quella domanda, vive quella specifica esigenza? Quest’analisi parte dalla classificazione del bisogno individuato nello schema noto come Piramide di Maslow. I bisogni sono inseriti all’interno di una scala gerarchica all’interno della quale è considerato difficile, se non impossibile, stimolare efficacemente dei bisogni di tipo superiore verso soggetti che non hanno ancora soddisfatto quelli inferiori.
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Nell’estrapolare l’identikit delle personas va quindi tenuto presente il modello di Maslow, centrando l’analisi su quelli soggetti che abbiano soddisfatto i bisogni inferiori e/o trovando strategie effettive o di comunicazione verso le altre. In questo senso è importante tenere presente anche la possibilità oggettiva della persona individuata (possibilità economica, logistica, culturale, ecc.…) di entrare in contatto col prodotto proposto. Alla fine di questo percorso avremo un elenco specifico di obiettivi, dei quali dobbiamo identificare: ● ● ●
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Dati personali (Età, sesso, stato civile, figli, residenza, reddito, lavoro) Interessi principali Modalità d’interazione (canali utilizzati, frequenza di utilizzo, device utilizzato, propensione all’acquisto online, propensione ad informarsi online, propensione alle dinamiche social) Sentiment generale (caratteri generali della p ersona) Sentiment verso i social (utilizzo attivo/passivo, capacità d’influenza) Sentiment verso il prodotto (interesse latente e palese, Lead, cliente)
Keypoint Il centro non è più il prodotto in sé, ma la soddisfazione, attraverso il prodotto, del bisogno di una specifica buyer persona. Identificate le personas dal punto di vista qualitativo si passa alla definizione quantitativa di ogni singola tipologia per una valutazione obiettiva del rapporto costi/benefici delle azioni che si andranno a mettere in atto. I numeri dei mercati (immediato e potenziale) rappresentano la base per la definizione del budget.
Cost Il termine più esatto sarebbe Cost to the consumer, e sposta il pricing verso la necessità di comprendere il prezzo che il consumatore è disposto a pagare. Abbiamo già visto come il pricing non sia la semplice somma algebrica di costo più ricavo, ma nel modello Customer Oriented l’obiettivo è sempre la soddisfazione del cliente, ed è alla sua soddisfazione che dobbiamo dare un valore. Le politiche di positioning e skimming price rimangono inalterate, ma si collegano direttamente all’analisi del target, alle modalità di pagamento, alla logistica e alla comunicazione.
Convenience Una traduzione “intuitiva” del termine potrebbe ingannare. In realtà sarebbe più corretto leggerlo come Comodità del consumatore. Questo significa, ad esempio, scegliere le modalità distributive più convenienti per il consumatore piuttosto che per l’azienda, non pensando quindi solo alla struttura aziendale ma valutando, ad esempio, compensazioni sul prezzo o nuovi modelli di logistica, piuttosto che non rispondere adeguatamente a quelle che sono le reali esigenze del consumatore;
Communication Oggi non ha più senso parlare di promozione. In questo scenario non si punta a costringere, persuadere o ipnotizzare il potenziale cliente. Dobbiamo mostrargli i benefici che riceverà con il nostro prodotto o servizio, avendo cura di sapere in precedenza quali possano essere i suoi bisogni e/o aspettative. Una comunicazione che deve tenere conto di tanti fattori, anche tecnologici, ma che deve puntare a dipingere i vantaggi della nostra proposta rispetto la concorrenza non all’interno di una singola comunicazione diretta (come uno spot pubblicitario), ma costruendo un “sistema comunicativo” che possa raggiungere l’obiettivo prefissato (blog, pagine social, comunicati stampa, interazione con il target, ecc..).
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I punti chiave sono: ●
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Posizionamento, come un prodotto o servizio trova collocazione nella mente del potenziale utente, mediante la costruzione di una Proposizione unica di valore (UVP, Unique Value Proposition), un elemento caratterizzante rispetto la nostra nicchia di mercato e le p ersonas che la compongono; Nicchia di mercato, insieme di consumatori definiti da caratteristiche specifiche che, in qualche modo, li accomunano; Focus, focalizzazione delle strategie e delle azioni verso un obiettivo/target; Target, bersaglio di un’azione di marketing, b uyer personas.
Si passa, quindi, dall'interrompere il cliente mentre naviga o socializza per provare a vendergli qualcosa, all’avere il permesso di proporgli offerte di vendita. L'audience va conquistata fornendo contenuti interessanti ed utili per il mercato di riferimento. Questo ci consentirà di inviare offerte commerciali solo quando ci sono tutte le condizioni favorevoli per concludere la transazione, invece di interrompere continuamente l’utente con proposte che possono diventare pressanti e, quindi, generare l’effetto opposto a quello desiderato.
Keypoint
La comunicazione nel modello customer oriented non punta alla vendita ma a creare una relazione con un target selezionato di utenti (buyer personas). Ovviamente la comunicazione deve essere strettamente collegate alle scelte operate sulle altre leve d’acquisto. Una scelta di posizionamento d’alto livello comporta una comunicazione adeguata, così come una politica di penetrazione attraverso leve di prezzo deve essere accompagnata da un diverso tono di comunicazione.
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Conclusioni Un valore che deve attraversare tutte le componenti, oggi, è la verità. L’interconnessione globale ha dato voce agli utenti ed ai consumatori. Se nei modelli Old Media si tendeva a dipingere il prodotto in maniera forte, spesso falsata o comunque sovradimensionata, nei nuovi media una simile pratica è estremamente pericolosa. La soddisfazione del cliente non è un dato assoluto ma è data dalla differenza rispetto le aspettative generate dalla comunicazione del prodotto. E se rimane deluso ha molte armi per vendicarsi e minare la posizione sul mercato del prodotto incriminato. Torniamo al punto iniziale ribadendo come, alla fine, si tratta di realizzare dei profitti, quindi di vendere. Ma abbiamo già visto come la stessa figura del cliente è meno monolitica di quanto si possa pensare. Per raggiungerlo bisogna conoscerlo, contattarlo e, infine, conquistarlo. Riprendiamo le premesse teoriche e concentrandoci su come sia cambiata la modalità d’acquisto dei clienti nell’era digitale. L’obiettivo è sempre quello di sottolineare come il marketing, per quanto si basi su premesse solide ed immutabili, adatti le sue metodologie ai mutamenti di scenario, che siano sociali, economici o tecnologici. Bisogna anche ricordare che non stiamo affrontando un semplice cambiamento, ma una rivoluzione in termini copernicani dalla quale possiamo uscire solo in due modi: vincenti o sconfitti. Per una strategia efficace ed efficiente è assolutamente necessario individuare con esattezza i nostri obiettivi di marketing. Anche in questo caso bisogna fare attenzione al termine. In italiano, la parola obiettivo non rende bene l’idea perché restituisce un’immagine eccessivamente generica. Per essere davvero efficaci, invece, gli Obiettivi di un’azienda o di un progetto vanno catalogati ed individuati con attenzione, seguendo uno schema preciso. Cominceremo ad analizzare questo versante partendo da una specifica componente, gli Obiettivi di Comunicazione, quelli basati più specificatamente sull’interazione con il cliente (potenziale o acquisito). Come si vedrà con chiarezza, gli obiettivi non sono isole nell’oceano, azioni puntiformi che devono raggiungere un risultato specifico ed autonomo, ma segmenti di una strategia complessiva. Parleremo di Brand Awareness, la diffusione della conoscenza del marchio, ma anche di azioni più dirette verso le persone che sono già nostri clienti e verso i quali puntiamo ad aumentarne la redditività per l’azienda. Ma alla fine parleremo dei meccanismi interni dell’azienda che devono necessariamente adeguarsi ai nuovi modelli, essere flessibili o meglio, per usare un termine che incontreremo spesso, devono essere agili.
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Il prodotto e gli obiettivi strategici Abbiamo identificato il target o, meglio, le personas che hanno bisogno del nostro prodotto, anche in maniera non consapevole. Adesso dobbiamo definire come intercettarle e, quindi, analizzare prima di tutto il nostro prodotto. Esistono diversi strumenti per analizzare il nostro business, partendo proprio da strumenti di progettazione come il Business Plan, il quadro generale che dovrebbe guidare la vita e le scelte dell’azienda. Gli studi di marketing hanno prodotto, negli anni, diversi schemi e matrici per aiutarci a dipingere il nostro business evidenziandone le caratteristiche più sensibili. Ne segnaliamo sommariamente qualcuno, rimandando ad un’altra dispensa una dissertazione più approfondita.
I modelli di analisi Analisi SWOT Organizza la classificazione dei punti di forza e di debolezza del prodotto e le opportunità, insieme alle minacce, connesse allo scenario economico, tecnologico, culturale e anche normativo. Rientrano nelle minacce (o nelle opportunità) i trend del momento legati alle decisioni strategiche dei big player. Il modello è quello dell’analisi SWOT e le domande base diventano quindi queste: ●
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Strenght (Punti di forza) Quale caratteristiche del prodotto rappresentano una importante leva verso le personas individuate? Quale aspetto risponde maggiormente alle loro aspettative o risolve in maniera più adeguata il loro problema? Weakness (Punti di debolezza) Quale caratteristiche specifiche del prodotto rappresentano un problema per le personas individuate? Quale aspetto contrasta le loro aspettative o crea dei problemi collaterali? Opportunity (Opportunità) – Threats (Minacce) Quali condizioni culturali, economiche, tecnologiche e/o normative influenzano la diffusione del prodotto? Il prodotto è nel solco delle innovazioni avviate dai big player? Può esserne agevolato o soppiantato?
Le 5 Forze di Porter Il modello delle cinque forze competitive (anche detto analisi della concorrenza allargata) è uno strumento utilizzabile dalle imprese per valutare la propria posizione competitiva e si propone di individuare le forze (valutandone intensità ed importanza) che operano nell'ambiente economico e che, con la loro azione, influenzano la redditività a lungo termine delle imprese. Tali forze agiscono infatti con continuità, e, se non opportunamente monitorate e fronteggiate, possono danneggiare la competitività. Gli attori di tali forze sono: Concorrenti diretti: soggetti che offrono la stessa tipologia di prodotto; Fornitori: coloro dai quali l'azienda acquista materie prime e semilavorati necessari per svolgere il processo produttivo; Clienti: i destinatari dell'output prodotto dall'impresa; Potenziali entranti: soggetti che potrebbero competere sul mercato; Produttori di beni sostitutivi: soggetti che immettono sul mercato prodotti diversi da quelli dell'impresa di riferimento che soddisfano, in modo diverso, lo stesso bisogno del cliente/consumatore.
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L'analisi di queste forze permette all'impresa di ottenere un quadro completo sulla sua posizione competitiva, di prendere decisioni strategiche, di stabilire i comportamenti e atteggiamenti da adottare nei confronti di queste forze. Nel framework di Porter la capacità di un'azienda di ottenere risultati superiori alla media nel settore nel quale è inserita dipendono dunque dalla sua capacità di posizionarsi all'interno del settore e dall'effetto di queste 5 forze. La Matrice BCG (Boston Consulting Group) La matrice BCG venne creata negli anni Settanta dal Boston Consulting Group. Tale matrice permette di classificare le aree strategiche di affari (ASA/SBU) o attività dell'impresa. Le matrici di portafoglio sono uno strumento di analisi del portafoglio business di un'impresa, tramite il quale il management decide come allocare le risorse nelle varie attività. I parametri utilizzati per la classificazione sono: ○ ○
Tasso di crescita del mercato; è una misura di attrattività del mercato. Quota di mercato relativa; misura la forza dell'impresa in quel mercato.
Dalla combinazione di questi due elementi si possono individuare 4 categorie: Question Mark, Star, Cash Cow, Dog. Per ognuna delle combinazioni descritte esiste un comportamento consigliato in fase di valutazione.
Da sottolineare il ruolo dei segmenti Cash Cow, letteralmente mucca da contanti. Malgrado si trovino in una fase stabile, se non calante, del ciclo di vita del prodotto, la sua stabilità aiuta a consolidare il flusso di cassa, elemento estremamente importante nella vita dell’azienda.
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Product Vision Board Si tratta di un template che, usato correttamente, porta alla formulazione di una strategia coerente e a definire il percorso verso gli obiettivi prefissati. Si basa su alcune domande standard alle quali il management deve rispondere per costruire un modello efficiente. L'obiettivo della Vision Board è quello di catturare quattro aspetti fondamentali di un prodotto: Target. A chi è rivolto: le categorie di utilizzatori finali del prodotto che state pensando. Cercate di non essere troppo dettagliati ma di identificare le macro-categorie. Man mano che completerete la vision, potrete far emergere nuove categorie oppure aggregarne di esistenti. Needs. Quali bisogni soddisfa o che problemi va a risolvere il nostro prodotto. Bisogna identificare almeno un "need" per ogni gruppo bersaglio. Nel caso il need sia sentito da più target group e un gruppo bersaglio non abbia un bisogno unico è possibile aggregare i Target Group. Product. Quali sono le caratteristiche principali e di maggior rilievo del prodotto? Descriverne da 3 a massimo 5. In questa lista ristretta, non vanno elencate quelle scontate ma bisogna descrivere quelle di maggior rilievo. Business Value (Goals). Quali sono le aspettative di business che ha l'azienda che sta realizzando questo prodotto o che erogherà il servizio oggetto della vision? Le aspettative possono essere sia di incremento di ricavi sia di altra natura come risparmio di costi di esercizio, mantenimento della quota di mercato, miglioramento della soddisfazione dei propri clienti.
Questo approccio dovrebbe essere il primo passo nella formulazione di una strategia efficace e duratura. La compilazione della Product Vision Board va svolta all’interno di un brainstorming generale che metta insieme i ruoli strategici ed operativi dell’azienda. Sulla base del risultato s’imposteranno tutte le azioni future.
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Gli obiettivi di comunicazione L’analisi effettuata attraverso gli schemi e le matrici che abbiamo brevemente descritto ci mette nelle condizioni di scegliere con efficacia quali sono le azioni più importanti per il nostro business, quali modelli produttivi e di relazione con il mercato vogliamo attuare e qual è il rapporto, complessivamente, con lo scenario. Abbiamo anche stabilito dei chiari Obiettivi di Business, i Goals descritti nella Product Vision Board. Adesso si tratta di dialogare davvero con il mercato e, quindi, elaborare gli Obiettivi di Comunicazione che ci permetteranno di entrare in contatto direttamente con i nostri potenziali clienti. Abbiamo ribadito più volte come vendere non sia l’obiettivo della comunicazione, ma l’effetto che si vuole scatenare raggiungendo l’obiettivo. Dobbiamo decidere, quindi, quale sia il modello di comunicazione più congeniale al prodotto/servizio che vogliamo vendere e puntare su quello. La suddivisione principale è tra queste tre tipologie di azioni: 1. 2. 3.
Branding/Promozione Lead Generation/Engagement/Conversione Strategie di Vendita/CRM
Le prime due azioni sono profondamente strategiche, mentre l’ultimo gruppo riguarda l’aspetto più “aggressivo” del marketing, quello finale, diretto alla vendita o, comunque, all’incremento diretto della redditività di un cliente acquisito. Va aggiunto, per essere precisi, come le politiche di Promozione abbiano una distribuzione che possiamo considerare abbastanza “orizzontale”, attraversando e coinvolgendo gran parte degli ambiti. Non sottovalutate questa semplice classificazione; comprendere e determinare con esattezza quale tipo di obiettivo si intende raggiungere e perché sia necessario farlo è una condizione necessaria, oggi, per costruire una efficace strategia di comunicazione.
Promozione (Brand popularity / Brand awareness) Nel Marketing digitale la Brand Awareness4 è un parametro fondamentale. Migliorare la propria Brand Awareness, la conoscenza del marchio e del prodotto, ci consente di raggiungere diversi traguardi, tutti importanti per il raggiungimento dell'obiettivo primario. Nel marketing tradizionale gli intermediari o i rivenditori giocano un ruolo fondamentale per far conoscere e vendere un prodotto o un servizio ad un mercato più ampio. Su Internet il rapporto con l’utente/cliente è diretto; la sua conoscenza del marchio agevolerà ogni comunicazione e relazione successiva, in particolare se al marchio è associata una immagine positiva o comunque coincidente con i bisogni del potenziale cliente. Per raggiungere questi obiettivi non è possibile limitarsi a un solo campo di intervento ma bisogna adottare tutte le tecniche che caso per caso saranno necessarie sulla base del piano marketing generale. Non si tratta di fare uno spot, una campagna o una qualsiasi singola azione. Nella dispensa “Le illusioni del web” abbiamo ampiamente dimostrato come la comunicazione digitale punta a creare una sorta di ecosistema informativo fatto di post sui blog, uso dei social, coinvolgimento degli influencer e molto altro. 4
Brand Awareness: Notorietà di marca. La notorietà (o consapevolezza) di marca (brand awareness) definisce la capacità di una domanda di identificare un particolare marchio (brand).
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Anche per allontanare definitivamente la pericolosa analogia tra marketing e pubblicità, analizziamo un mero elenco di possibili canali utili per la diffusione del marchio, tutti più affini naturalmente alla vecchia idea di promozione Canali di diffusione del marchio
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campagne di article marketing posizionamento sui motori per le parole chiave legate al brand campagne di social media marketing ottimizzazione del corporate blog comunicazione tra brand e clienti (passati, presenti e futuri) rivendicazione di tutte le pagine legate al marchio sui portali online
e molto altro ancora. Ma bisogna tenere sempre ben presente come quelli illustrati siano gli strumenti per la diffusione del brand e non rappresentano in se il marchio. Questo va analizzato e progettato preliminarmente, anche per individuare i canali più corretti e produttivi. N ella pratica si tratta di: ● ● ●
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fare un'analisi dettagliata della Brand Awareness del prodotto/servizio e della diretta concorrenza; sviluppare il piano marketing delineando quale immagine si vuole trasferire e quale messaggio deve essere associato al brand selezionare le parole chiave che si vogliono associare al marchio / prodotto / servizio e individuare le tecniche per ottenere il miglior posizionamento possibile per tutte quelle parole chiavi e frasi di ricerca legate alla vostra riconoscibilità del marchio, in particolare nel target di riferimento; selezionare il target social che può maggiormente essere interessato al prodotto e raggiungerlo con campagne mirate di Content marketing, preferibilmente supportato da campagne paid. attuare le tecniche adottate, monitorare i risultati e produrre report dettagliati e trasparenti. correggere costantemente il tiro.
Differentemente da azioni più mirate, le strategie di supporto alla brand awarness non necessitano di una call to action, non devono cioè necessariamente spingere l’utente ad effettuare qualche specifica azione. L’obiettivo è quello di creare una adeguata conoscenza del marchio al fine di agevolare successive azioni più mirate. Dovendo definire il modo in cui l’utente vedrà il prodotto (o l’azienda, o il territorio), la fase di definizione del marchio, la costruzione dell’immagine e, quindi, il messaggio che si vuole trasmettere diventano fattori assolutamente cruciali. I concetti di Posizionamento sul mercato, di identità del prodotto devono essere la base di partenza per costruire il messaggio e definire il brand. Così come è centrale la individuazione del gruppo delle buyer personas che abbiamo individuato: scegliere attentamente a chi rivolgersi consentirà di elaborare strategie più performanti. Tornando agli schemi e alle matrici, per elaborare gli obiettivi di comunicazione, ed in particolare proprio quelli di Promozione, è necessario mettersi davanti la Product Vision Board e ad uno schema visivo dell’analisi SWOT per trovare le strategie più efficaci e i contenuti da comunicare.
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Lead Generation/Engagement/Conversione Diffuso il nostro marchio, il passo successivo è arrivare dai nostri clienti, e partiamo dalla definizione secca di lead: cliente che ha dimostrato interesse in seguito ad un'iniziativa promozionale, che si può poi concretizzare nell'avvio di una trattativa commerciale. Una definizione larga che mette dentro qualsiasi utente sia, o potrebbe diventare, un nostro cliente, partner o collaboratore. La lead generation è quindi quel processo che tende ad agganciare target che riteniamo possano essere interessati alla nostra proposta, spingendoli ad azioni che li avvicinino sempre di più all’obiettivo della nostra strategia. ESEMPIO Un esempio molto “visivo”, anche se banalizzante, può essere quello del “pastone” che i pescatori gettano in acqua per fare avvicinare i pesci prima di calare il proprio amo. Prima si crea un interesse generale sull’argomento e poi, analizzando le risposte degli utenti, si attuano le strategie finali di vendita per chiudere la transazione, cioè “si getta l’amo”. Ma vediamo una definizione operativa di lead generation. Il termine indica la generazione o creazione di un interesse nel contatto potenziale. Nella pratica, la lead generation viene perseguita per assolvere a molteplici scopi: ad esempio nella creazione di mailing list, nel marketing telefonico o digitale o per l'acquisizione di clienti, partner e collaboratori qualificati. In un certo senso rappresenta l’obiettivo centrale e punta a trasformare i Prospect5 in Lead, cioè clienti potenziali verso le quali attivare azioni di engagement diretto e la proposizione di una Call To Action6 (CTA). I due obiettivi (Lead generation e CTA) possono quindi incrociarsi e coesistere in un’unica azione che, in ogni caso, punta anche al popolamento e la profilazione dei dati all’interno del nostro CRM.
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Prospect: Call to action: sono inviti a compiere un’azione. Nel Web design e soprattutto, nel campo della usability, le Call to Action sono appunto elementi, distinguibili, che sollecitano il navigatore a compiere un’azione. Sono esempi classici i moduli di sottoscrizione ma anche gli inviti a compiere azioni social (like, condivisioni, retweet, ecc…) 6
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Nel mondo del world wide web, la lead generation viene normalmente creata attraverso i motori di ricerca o usando il marketing diretto (PPC). Per dimostrarsi efficace, questa pratica di marketing deve offrire dei riscontri reali ed utilizzabili dagli operatori alle vendite. Una buona attività di lead generation parte sempre dall'analisi del prodotto e del suo rapporto mercato ed anche dalla estrapolazione di un cliente tipo, la buyer persona, prima d’impostare la strategia di comunicazione. Ogni metodologia deve essere poi testata attentamente. Dato che non esiste una strategia valida in ogni caso, saranno necessari diversi aggiustamenti da eseguire in base agli esiti dei feedback e dei primi audit strategici. Lanciato il “pastone” bisogna trasformare il l ead in cliente per stimolare engagement e conversioni. Engagement Marketing
L'engagement marketing, spesso chiamato marketing partecipativo è una strategia di marketing che incoraggia i consumatori a partecipare alla crescita del brand. Piuttosto che considerare il consumatore come un ricevitore passivo di messaggi, l'engagement marketing, lo pone al centro della produzione e della co-creazione dei programmi di marketing, fino al coinvolgimento diretto nella creazione del prodotto. Ma partiamo, come sempre, dalle definizioni: cosa s’intende con engagement? Con questo termine s’intende la capacità di relazionarsi con i propri utenti, letteralmente può essere tradotto anche come “fidanzarsi”. Non si tratta, quindi, soltanto di raccontare qualcosa al proprio utente ma di conoscerlo, capirne le necessità ed i desideri e offrirgli, nei modi e nei tempi dovuti, quello di cui ha bisogno, stimolando una reazione (call to action) L’engagement, come il fidanzamento, non può essere un’azione “finita”, che abbia, cioè, un avvio ed una conclusione identificabile. È un processo costante basato sulla lettura dei segnali (in particolare quelli definiti come social signs, provenienti dal mondo del web e dei social networks) ed il conseguente adeguamento della nostra comunicazione. Ma non può nemmeno basarsi esclusivamente su questo. Per avere una “storia da week-end” puoi anche puntare solo sul tuo aspetto e sulla parlantina (comunicazione). Se però vuoi fidanzarti sul serio è necessaria una reale concretezza ed avere qualcosa da offrire. Qualcosa realmente desiderata dal tuo interlocutore. In una semplice parola, devi avere un prodotto. Per coinvolgere in modo efficace il target non basta la volontà dei brand, perché non tutti i clienti vogliono impegnarsi con tutte le marche. Non è semplice far scattare realmente la scintilla dell’engagement. Si tratta d’innescare un dialogo stretto fatto di ascolto, di azioni e di rispetto. Per quanto difficile, metterlo in atto rappresenta un versante che, se trascurato, può costare significative quote di mercato. La migliore forma di engagement è operare per rendere la marca “memorabile” e raggiungere i consumatori attraverso comunicazioni a due vie. Occorre stabilire un rapporto di reciproco rispetto dove la soddisfazione delle esigenze e delle aspettative arrivi a costruire in modo solido un forte impatto sul processo decisionale, per un coinvolgimento reale tra le parti. Facile da dire, difficile da farsi. Per questo prima di investire tempo e budget nei canali e nei modi sbagliati è necessario chiedersi chi si sta cercando di coinvolgere e con quale obiettivo, un argomento già affrontato parlando del concetto di buyer personas. D’altro lato, è sempre più evidente come le marche che mancano di questo collegamento sono punite pesantemente dai consumatori.
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Ogni individuo sa di appartenere a una comunità, indipendentemente dalle pagine Facebook o Twitter dei loro brand, o dagli eventi a cui partecipano. Ognuno di noi esprime una personalità che proprio i marchi hanno contribuito a crearci e per alcuni il desiderio di engagement viene naturale perché i prodotti che amiamo sono come accessori indispensabili del nostro essere, delle protesi utili a mostrare agli altri chi siamo (o meglio, chi vorremmo essere). ESEMPIO L’aggregarsi a una pagina Facebook significa quindi dichiarare apertamente di far parte della comunità, con la sensazione di essere a contatto con chi condivide la stessa passione in giro per il mondo. P er esempio, Ducati, che su Twitter conta quasi 50.000 followers, alimenta il suo mondo con anticipazioni, notizie, proposte. Emergency racconta quel che fa a chi la sostiene. Persino i biscotti Pan di Stelle gratificano i propri consumatori ospitando le loro ricette ed esperienze varie. L’accesso ai social network dagli smartphone, il coinvolgimento pervasivo nella nostra vita quotidiana, sta alimentando queste abitudini in modo esponenziale, perché il desiderio di “affetto digitale” moltiplica il valore di ogni community. Esiste una formula per definire l’importanza dell’engagement in una strategia di creazione del brand, creata dall’Advertising Research Foundation: (Engagement + Trust) x Contatti = Brand Impact La forza dell’ engagement, associata alla credibilità del marchio (trust), rappresenta il fattore moltiplicativo che trasforma I contatti nella forza del prodotto. Il valore di una community, nella logica social, può essere moltiplicato attivando un modello di engagement fuori e dentro la rete: tutto passa attraverso le attività che i brand devono mettere in campo sul piano reale (eventi, tour, promozioni, …) e contemporaneamente su quello digitale (social media, digital marketing, …) sfruttando i canali emergenti, utilizzati sempre più dai target interessanti, con un occhio all’ottimizzazione dei budget. Le azioni di engagement possono seguire strade diverse: oggi è molto semplice imbattersi in termini come storytelling, gamification, insight story e molti altri. Ma tutte questa parole hanno un solo ed unico obiettivo: agganciare il lead e trasformarli in cliente. Se la lead generation può essere paragonata al “pastone” per i pesci, l'engagement può essere considerato “l'amo”. La comunicazione social ha reso “raggiungibile” obiettivi che, fino a qualche anno fa, erano patrimonio esclusivo delle imprese in grado di compiere consistenti investimenti in comunicazione. Gli influencer
L’influencer non è una celebrità. Si tratta semplicemente di una persona attiva nel mondo web e social, che ha voluto specializzarsi in una specifica materia, scrive e produce contenuti relativi all’argomento scelto e genera delle reazioni all’interno della propria comunità online. Fornisce engagement e contatti qualificati, ma l’affidabilità, il trust, rimane (e deve rimanere) una caratteristica del brand. La definizione di influenza online passa attraverso tre criteri : ● Esposizione: pubblico potenziale sulle reti sociali e nei medi; ● Echo: capacità di divulgazione sui temi che copre (propria o di riflesso); ● Share of voice: livello di partecipazione / interazione con la sua comunità. L’importanza di agganciare questo settore (spesso collaterale, se non coincidente, con gli Early Adopters di settore) l’abbiamo già affrontata analizzando ZMOT e
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Shark Fin: sono loro a innescare i meccanismi di crescita esponenziale del mercato e, volenti o nolenti, dobbiamo tenerne conto. Vediamo come fare. Coinvolgere gli influencer Sono tre gli step necessari per poter includere un influencer nelle strategie comunicative aziendali. ● Identificarlo. Attraverso tool di monitoraggio oppure facendo ricerche sul web e social individuare chi sono gli attori più influenti; ● Seguirlo. Una volta identificato tenerlo sott’occhio per un determinato periodo di tempo per capire se il modo di porsi e le sue prese di posizione sono compatibili con le esigenze aziendali e quale sia il modo più efficace per coinvolgerlo; ● Contattarlo. Li si può convincere attraverso la fornitura di notizie in anteprima, inviti ad eventi esclusivi, live twitting, corsi gratuiti e materiale omaggio. Per quelli più professionali possono servire compensi economici o benefit. Tutto dipenderà dal vostro settore e dal numero di persone influenti e dal potenziale comunicativo che metteranno a disposizione.
Strategie di Vendita/Customer Relationship Marketing Il termine Customer Retention indica complessivamente il mantenimento di continue relazioni di scambio con i clienti nel lungo termine e rappresenta quindi una delle sfide attuali per le aziende: riuscire a consolidare il cliente per assicurarsi un vantaggio competitivo e benefici economici duraturi. Recenti studi evidenziano una stretta relazione fra Customer Retention e Customer Experience. Ben l’82% dei consumatori dichiara di smettere di acquistare da un’azienda per un’esperienza negativa in fase di acquisto, di relazione o nel post- vendita. Il tasso di perdita cresce quando il cliente lamenta di aver ricevuto da parte dello staff un pessimo servizio, sia in termini di poca cortesia e/o scarsa formazione, che per i ritardi nella risoluzione di un problema. Anche chi ha vissuto una pessima Customer Experience, nel 92% dei casi dichiara di poter riallacciare i rapporti con l’azienda se interviene un superiore per rimediare all’errore, se viene offerto uno sconto o viene garantito il miglioramento del Customer Service.
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Fedeltà e lealtà del cliente sono determinati da fattori come la cortesia del personale addetto al Customer Service, la personalizzazione dell’esperienza, la facilità con cui si reperiscono informazioni online e la reputazione del brand. Per i clienti vivere un’esperienza positiva in relazione all’azienda potrebbe determinare non solo la loro fedeltà ma anche un incentivo ad investire di più sul prodotto o servizio (ben l’85% dei consumatori pagherebbe di più per avere una migliore Customer Experience). I benefici economici della Customer Retention per un’azienda sono notevoli: un incremento del 5% del tasso di Customer Retention incrementa i profitti dal 25% al 95%, e in media i clienti fidelizzati “valgono” 10 volte di più rispetto al loro acquisto iniziale. Il risultato per un’ottima Customer Retention dipende fortemente dai fattori in gioco all’interno dei processi che coinvolgono i clienti: dall’organizzazione delle risorse umane alle strategie di business dei processi, dalle tecnologie utilizzate alle campagne di marketing e Customer Care messe in pista dal business. E da efficaci sistemi di monitoraggio online ed offline per “tracciare” i comportamenti, i desideri ed i feedback dei clienti. Brand advocacy
La brand advocacy è uno dei principali obiettivi delle strategie di relazione con gli utenti. Rappresenta l’atto spontaneamente compiuto da un cliente soddisfatto di raccomandare/consigliare a conoscenti ed amici un determinato prodotto/brand così da influenzarne le scelte ed è il possibile (e auspicabile) punto di arrivo di ogni strategia social
Keypoint
Una strategia di engagement serrato che punti ad una brand advocacy estremamente forte apparentemente sembra sempre la migliore opzione. Ma un utente advocate è un utente estremamente esigente. La struttura sarà poi in grado di “curarlo” come lui pretende? Non c’è furia peggiore di un advocate che si senta tradito dal brand. Bisogna prevedere le conseguenze, quando si sceglie una strada. Muoversi adeguatamente sul versante social significa salire sul palco. E i fischi viaggiano più velocemente degli applausi.
Coltivare gli advocate, inoltre, è una scelta costosa in termini di tempo, risorse e finanze. L’obiettivo, in termini di redditività, giustifica l’azione? La risposta a queste domande, insieme alle altre che abbiamo già delineato, rappresenta la base delle scelte strategiche. Lo abbiamo detto all’inizio e lo ribadiamo: l’obiettivo del marketing è la soddisfazione del cliente, ma il risultato finale deve essere la redditività dell’impresa, n on soltanto quella del consulente di marketing.
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Prima di passare al riepilogo per punti chiave di quanto affrontato fino ad ora, focalizziamo l’attenzione proprio su un termine: la scelta. Nel libro “Le 22 leggi immutabili del marketing” si citano due principi, speculari e complementari: la legge della focalizzazione e la legge del sacrificio. Entrambi dicono una solo casa: combattere una guerra su troppi fronti significa condannarsi all’insuccesso. Scegliete una strada, percorrete quella e sacrificate il resto. Strategie di vendita finale
Alla fine di tutto questo percorso c’è la vendita. In realtà non sempre è alla fine, ma rappresenta comunque uno dei punti determinanti, quello dove si “crea valore”. La profilazione dei clienti, la scelta del target, la definizione della strategia dovrebbe averci fornito un sufficiente quadro d’azione. Ora si tratta di stabilire come “chiudere” la vendita, come giungere al cliente finale per effettuare lo scambio. Ovviamente si tratta di una fase delicata perché bisogna convincere il target a “dare” qualcosa per “ricevere” qualcos’altro. In questo ambito intervengono fattori di diverso tipo, in particolare psicologici. Il quadro diventa ancora più complesso affrontando servizi e prodotti immateriali mentre è più percepibile quando affrontiamo beni tradizionali e di consumo. Ricordiamo che il primo passo è essere già in contatto con i possibili clienti attraverso la creazione di quella sorta di “ecosistema informativo” di cui abbiamo già parlato. Oggi può risultare più interessare ed efficace impiantare la nostra parola nella mente di Google. Se immetti termini di ricerca come “Enjoy” o, più recentemente, “taste the feeling”, termini assolutamente generici e che affrontano situazioni molto ampie, il sistema di correlazioni dei motori di ricerca non potrà prescindere da come la Coca Cola abbia da tempo presidiato questi termini. E questo rappresenta un vantaggio assoluto. In generale, quindi, l’obiettivo è quello di produrre contenuti quantitativamente e, principalmente, qualitativamente adeguati a convincere Google che, ad esempio, il nostro brand di bici da mountain bike sia associato a termini generici che riguardino il nostro mercato, come “cicloturismo”, “passeggiate ecologiche” o quant’altro abbiamo previsto nella nostra strategia di marketing e comunicazione. La prima strategia di vendita l’abbiamo affrontata parlando di Funnel, engagement e Call to Action. Un modello che ci vede coinvolti in un rapporto con l’utente che arriva fino alla proposta di vendita. Ma le possibilità non si fermano lì. L’approccio di vendita può essere modulato per raggiungere più facilmente l’utente e trasformarlo in cliente. In particolare se, grazie alla corretta gestione del database dei nostri clienti e dello storico di contatti e relazioni, abbiamo sufficienti informazioni per costruire la nostra proposta nel modo più efficace e vicino alle esigenze e le preferenze del nostro target. Le principali modalità d’approccio sono le seguenti: Up sell Si parla di up sell quando ad esempio si riesce a vendere ad un cliente una versione più costosa di un prodotto esaltandone i benefici rispetto ad una versione meno costosa. Di solito si mostra il modello meno costoso e poi si tenta di vendere quello più costoso. Ad esempio un concessionario di automobili potrebbe mostrare al cliente un modello base di automobile e poi – successivamente – magnificare i benefici dello stesso modello con tutti gli optional. Oppure potrebbe mostrare un modello più costoso tout court.
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ESEMPIO Potrebbe dire: ” beh, certo, con il modello X ha anche l’aria condizionata, il computer di bordo, i sedili riscaldati, l’aiuto parking che va molto oggi. Certo, se vuole ci sarebbe quel modello lì, quello con i vetri che si abbassano con la manovella…” ecco, quel concessionario sta facendo up sell. La chiave qui è il valore percepito del prodotto: valore = benefici percepiti. L’obiettivo è quello di mostrare valore così alto da far diventare irresistibile l’acquisto del prodotto. Magari con frasi del tipo: “rateizzalo e lo otterrai spendendo *solo* 15 euro al mese in più…” sottolineando la parola “solo” … Cross sell Il cross sell avviene quando si vendono dei prodotti insieme ad altri collegati. Un esempio classico è quello di grossi servizi di ristorazione tipo McDonald’s, dove reclamizzano a caratteri cubitali un prodotto ad un prezzo basso e irresistibile. ESEMPIO Ad esempio:“hamburger a 1 euro”. Il cliente viene invogliato ad entrare perché pensa: costa solo 1 euro. Con 1 euro mangio un hamburger. Poi quando è entrato dentro, scopre che le patatine costano “solo” 2 euro. Beh, non si può mangiare un hamburger senza patatine, no? Sempre dopo che è entrato, il cliente scopre che l’acqua costa 1 euro. Ovviamente non si può mangiare hamburger e patatine senza bere. In fondo costa solo 1 euro. E siamo arrivati a 4 euro. A questo punto si potrebbe andar via, ma la foto del gelato lo convince a comprarlo aggiungendo “solo” 1 euro. Eri entrato con l’intenzione di spendere 1 euro per un hamburger ed esci dopo averne speso 5. Il principio chiave è: o ffrire più di quello che cerca il cliente! Down sell Lo scopo quello di vendere un prodotto facendo credere di aver fatto un affare. ESEMPIO Funziona così: si mostra prima l’oggetto più costoso e poi – dopo – uno leggermente meno costoso. Sembrerà che starai proponendo un affare e il cliente avrà la sensazione di risparmiare. Tornando all’esempio del concessionario: mostri prima la BMW e poi vendi una Honda Accord. La frase potrebbe essere: “le caratteristiche sono *quasi* simili ma questo modello è molto più economico e si risparmia. Lo dico contro il mio interesse…” Le persone sono attratte dalle versioni di prodotti che costano di meno. Questo perché hanno la sensazione di risparmiare. Mettendo in relazione questi 3 tipi di vendita, arriviamo ad un punto fondamentale che li unisce: il valore percepito. Non è importante tanto il valore reale del prodotto quanto quello percepito.
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Il CRM (Customer Relationship Management) Mantenendo lo schema che abbiamo seguito fino ad oggi, le domande alle quali trovare risposta per la definizione degli obiettivi strategici derivano proprio dall’analisi SWOT e dalla Vision Board: ○ ○ ○
Come posso esaltare e utilizzare a vantaggio del prodotto i punti di forza e risolvere o minimizzare i punti di debolezza? Come posso approfittare delle opportunità ed evitare (o almeno gestire) le minacce evidenziate? Quali azioni sono necessarie o utili per raggiungere questi scopi?
Ovviamente alcune di queste azioni saranno pratiche e atterranno alle decisioni aziendali. Queste azioni, se individuate, vanno semplicemente riportate all’azienda che valuterà la loro risoluzione. In questa sede dobbiamo individuare piuttosto gli obiettivi specifici di comunicazione per poi trasformarli in azioni concrete. Per agire abbiamo bisogno di uno strumento per gestire le relazioni con i clienti: un sistema di C ustomer Relationship Management. Il nome va tradotto come gestore delle relazioni con i clienti. Si tratta di un database che tiene traccia dei contatti con tutte le persone con le quali abbiamo avuto un rapporto commerciale definito o in corso, ma anche la tipologia dei contatti e una profilazione il più possibile accurata del tipo di cliente, delle sue aspettative e delle possibilità che abbiamo di soddisfarle. Il CRM quindi è sostanzialmente un approccio al rapporto con la clientela ma è anche uno strumento software. Nelle strategie decisionali del management vanno tenuti in alta considerazione gli aspetti tecnologici e gli strumenti software che possono diventare un asset fondamentale per una Customer Retention efficace. Viceversa, la tecnologia non sapientemente gestita può rappresentare un collo di bottiglia non indifferente, spesso vincolando la possibilità di attuare campagne mirate, profilare in maniera ottimale i clienti e utilizzare tale profilazione per una maggior efficacia di azione. Dotarsi di strumenti idonei alla raccolta e gestione delle informazioni della propria clientela, che coinvolgano tutte le fasi del ciclo di vita del cliente e poter mettere in atto strategie di marketing e Customer Care su misura è sicuramente uno dei principali e più importanti passi decisionali che il management deve affrontare.
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Analizziamo alcune delle azioni che il nostro CRM deve consentire. Creare delle comunicazioni One To One e profilate.
Lo strumento deve consentire di automatizzare le campagne di marketing anche nella fase post-vendita, grazie a comunicazioni in multi-canalità con contenuti strettamente verticali, in base al profilo del cliente o alle sue azioni. Indirizza le comunicazioni su base territoriale, automatizzando processi che inviano specifiche informative geolocalizzando la presenza dei propri clienti. Ma anche inviare update di prodotto a seguito della consultazione da parte del cliente di certe sezioni del sito. Il cliente riceverà così informazioni e update da parte del brand strettamente correlate alle proprie azioni, profilazione e località. La percezione ottenuta è così migliorativa rispetto alla ricezione di email e contenuti generati indistintamente per tutti i clienti. Analizzare la soddisfazione del cliente
Determinante anche la creazione automatica di CSI (Client Service Insights, storici dell’attività del cliente), correlate a specifiche azioni dei propri clienti, ad esempio a seguito di un nuovo acquisto o del rinnovo del contratto di un servizio. CSI one-to-one pianificate in base ad azioni specifiche dell’utente permettono di ottenere un’elevata retention da parte del cliente. Il dialogo con il cliente può avvenire attraverso le più classiche canalità mail/web oppure attraverso sistemi più evoluti e specifici come canalità social. Anticipare le esigenze dei propri clienti e criticità del mercato
L’obiettivo è quello di promuovere i propri prodotti/servizi o offrire assistenza basandosi sulla storicità delle informazioni e delle attività raccolte grazie al disegno di processi e regole decisionali che permettono di scaturire attività di marketing mirate. Ad esempio inviando automaticamente coupon e/o gift-card a quei clienti che escono da certi parametri di utilizzo del servizio. Con un CRM ben organizzato potremmo mettere in campo le strategie operative come, ad esempio modelli di Customer care come ○ ○ ○
Retention Consumer>Promoter Sell (Up/Down/Cross)
Oppure avviare azioni di Retargeting e Remarketing, strumenti estremamente potenti che appartengono al marketing operativo ma che, sostanzialmente, supporta efficacemente due tipologie di azioni : ○ ○
Profilazione e definizione utenti (verso il CRM) Azioni di vendita (dal CRM)
Il CRM ci restituisce gli storici dei nostri rapporti col mercato. In base al grado di dettaglio possiamo valutare la possibilità reale d’azione. Trovandosi alla fine del Funnel, questi obiettivi giocano su due ambiti diversi: ○ ○
Utenti che sono all’interno del CRM, verso i quali possiamo attivare azioni di Customer care, definire in maniera più accurata la profilazione, proporre offerte ed occasioni, ecc.. Utenti che esterni al CRM, verso i quali avvieremo azioni di promozione, lead generation ed engagement individuandoli come b uyer personas
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Modello generale di analisi Abbiamo affrontato i diversi aspetti del marketing nell’era digitale, centrando l’attenzione sui presupposti di un approccio strategico al business. Per trasformare gli approcci teorici in azioni concrete è però necessario avere dei modelli di lavoro che ci consentano una pianificazione efficace delle cose da fare, delle risorse necessarie e degli strumenti utili a raggiungere gli obiettivi. Parleremo approfonditamente di possibili strutture e framework che possono dare ordine ai nostri flussi di produzione, comunicazione e commercializzazione, mettendoci realmente ed efficacemente con il mercato e i nostri clienti. A titolo puramente esemplificativo e per dare un’idea sommaria di come approcciarsi operativamente ai nuovi modelli di marketing, tracciamo una semplice checklist delle azioni che dovrebbero accompagnare il lancio di un prodotto o di un servizio, ma anche una specifica offerta o nuove comunicazioni di un brand.
Analisi del prodotto Analizzato il mercato, bisognerà incrociare l’offerta con le diverse declinazione del prodotto, individuando quali risposte è già in grado di dare, se sono necessarie modifiche per un aumento del coinvolgimento, ed eventualmente identificarle.
Risposte disponibili o o o o
Motivazioni Modifiche strutturali Risposte a mercati effettivi Risposte a mercati potenziali
Nuove proposte Infine deve essere valutata la possibilità (e l'eventuale esigenza) di elaborare nuovi asset del prodotto per incontrare nuovi mercati effettivi e/o potenziali o Motivazioni o Format o Proposte per mercati effettivi o Risposte a mercati potenziali Affrontate tutte le problematiche relative al prodotto in se, abbiamo in mano tutti gli elementi per definire una strategia di comunicazione efficace avendo a disposizione tutti gli strumenti strategici, che riepiloghiamo per promemoria: ● ● ●
Un target definito e del quale conosciamo necessità e interessi Una quantificazione sommaria ma concreta dei numeri del mercato L’individuazione dei canali di diffusione più efficaci
Keypoint
Il successo si raggiunge soddisfacendo in pieno i bisogni di uno specifico target. Possiamo indifferentemente modificare il prodotto o cambiare il target con modifiche nella comunicazione. L’importante è lasciare invariato il totale.
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La scelta tra le due opzioni, però, non deve essere del tutto “istintiva”. Il management deve poterla fare con supporto di numeri precisi. Modificare il prodotto altera i costi, modificare la comunicazione modifica anche i numeri del mercato. Avere una quantificazione di questi valori (e dei loro trend nell’immediato futuro) consente un scelta efficace ed è la vera ed unica chiave per il successo imprenditoriale nei nuovi mercati.
Analisi del mercato Tracciare con esattezza i confini del “campo di gioco” è essenziale. Abbiamo ripetuto diverse volte quanto sia inutile una comunicazione generalista, considerati i numeri immensi del web. Individuare il mercato, comprenderne le dinamiche ed il linguaggio, ma anche i principali attori a qualsiasi titolo, è la condizione preliminare di qualsiasi strategia.
Il sentiment generale
Individuare i principali trend di discussione, gli argomenti più letti e condivisi, le tipologie d’immagini/video più diffuse negli ambienti social. Su questi dati vengono effettuate analisi semantiche per individuare i punti comuni dei contenuti più attrattivi.
Individuazione degli influencer
L’analisi del sentiment farà emergere larvatamente anche i soggetti che, più di altri, scatenano catene di condivisioni e commenti. Individuati i soggetti bisognerà analizzarne con cura comportamenti e modalità d’interesse e condivisione. o Tipologie o Interessi o Analisi quali/quantitativa
Domanda soddisfatta e domanda potenziale
Avendo un quadro complessivo dell’andamento del mercato è necessario individuare quali “domande” del mercato sono attualmente soddisfatte da prodotti già esistenti e se esistono segmenti di domanda che, al momento, non trova risposta o, comunque, non la trova in maniera compiuta. o Tipologie o Interessi o Analisi quali/quantitativa
Individuazione target
L’analisi della domanda dovrà portare all’individuazione ed alla segmentazione (anagrafica, geografica, per interessi, ecc…) dei diversi target, giungendo ad un’analisi quali/quantitativa necessaria per potere predisporre e “dosare” l’investimento necessario al raggiungimento dei target individuati. o Effettivi o Potenziali
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Il Team Operativo Prima di parlare del Team Operativo dobbiamo delineare velocemente un’altra struttura, il management team. Senza entrare nel dettaglio, perché ci porterebbe troppo lontano, bisogna comprendere come ogni strategia necessiti di una forte leadership che ne tracci rotta, ne fissi gli obiettivi e ne verifichi l’andamento, pronta ad effettuare le correzioni necessarie. Anche se non ha bisogno di specifiche competenze tecniche, deve conoscere profondamente il prodotto dell’azienda dell’azienda stessa. Deve avere le idee estremamente chiare su dove vuole arrivare e quali risorse sono a disposizione per giungere a destinazione. Ovviamente deve conoscere profondamente il marketing strategico ma anche saper leggere le azioni del marketing operativo. E deve avere un team che sappia trasformare in azioni concrete la progettualità e le richieste.
Lo schema superiore traccia una ipotesi per gestire efficacemente le tante competenze tecniche e strategiche necessarie per un processo efficiente. Una descrizione più dettagliata di questo schema la affronteremo parlando approfonditamente di Agile e di modelli operativi, ma un dato emerge con chiarezza. In maniera molto semplice, e alla luce di quanto fin qui detto, il management si occupa del marketing strategico, il team gestisce il marketing operativo. Il team operativo, oltre ad occuparsi degli obiettivi di produzione e della realizzazione degli strumenti necessari, opera attivamente sui social networks e sul web, diffondendo contenuti ma anche raccogliendo informazioni e, principalmente, attuando strategie specifiche e verificandone in modo costante l’andamento, in modo da effettuare contestuali (e previste) correzioni di rotta. Dialoga costantemente con il management, che è deputato ad analizzare i report ed elaborare, di conseguenza, le diverse strategie da mettere in atto.
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Il team operativo può essere interno o esternalizzato, ma è necessaria la presenza del management aziendale, perché solo l’imprenditore conosce davvero la propria azienda. In strutture più grandi che, comunque, preferiscono esternalizzare il servizio, è indispensabile formare un soggetto per fare da “ufficiale di collegamento” tra l’azienda e la società di consulenza e gli eventuali fornitori di servizi.
Strutturalmente, quindi, il management elaborerà i piani strategici. Elaborato il piano, comunque, questo viene consegnato al team operativo che provvederà autonomamente a produrre gli strumenti necessari al raggiungimento degli obiettivi e a diffondere i contenuti delineati nel Piano strategico generale. Contestualmente analizza il feedback degli utenti, con delle schede di monitoraggio che verranno ciclicamente discusse insieme al management team per l’attuazione di eventuali correzioni di rotta rispetto il piano editoriale e strategico.
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Il calendario editoriale Creare contenuti di qualità per i mercati digitali è impegnativo: bisogna pianificare le attività con largo anticipo e lasciare meno spazio possibile all’improvvisazione. Qui entra in gioco il calendario editoriale, la bussola del media manager. Un calendario editoriale ben fatto aiuta a evitare la pubblicazione di post poco coinvolgenti, improvvisati, non in linea con i valori del brand o con gli obiettivi prefissati. Se il piano editoriale definisce visione e strategia digitale del brand, come se fosse una mappa, il calendario editoriale indica le tappe da raggiungere: è necessario tracciare il percorso prima di muoversi. Il calendario editoriale dunque è uno strumento di cui non si può far a meno se si vuole far le cose per bene: è utile non solo a organizzare il lavoro, ma a visualizzare i risultati ottenuti e a cambiare strategia e tattica, se necessario. Senza un calendario editoriale si corre il rischio di creare contenuti mediocri, privi di mordente. Improvvisare è diverso dall’essere flessibili, qualità preziosa per un media manager: prendere spunto dall’attualità e dai trend del momento può dar vita a contenuti sfiziosi (vi dice niente real time marketing?), ma pubblicare all’ultimo momento post raffazzonati che, il più delle volte, non portano a nulla, è deleterio.
Pianificare, poi pubblicare Pianificare i contenuti sui social significa anche sfruttare le ricorrenze e gli eventi più importanti dell’anno per creare post coinvolgenti, divertenti e utili. Avere una sorta di calendario di marketing sotto mano è un’ottima cosa perché ci permette di programmare per tempo post legati alle ricorrenze annuali, dando alla creatività il tempo di sedimentare e dare i suoi frutti. ESEMPIO Accanto a festività religiose come Pasqua e Natale, troviamo ricorrenze più tradizionali come la Festa del Papà o la Festa della Mamma e ricorrenze curiose come la giornata dedicata a Star Wars, la giornata dell’orgoglio Freak e, addirittura, la giornata mondiale dei Puffi, senza dimenticare gli eventi sportivi più attesi (il campionato di calcio di Serie A, il Giro d’Italia ecc.). Quello che abbiamo definito “calendario di marketing” serve dunque a creare in anticipo dei contenuti sagaci, spassosi e, soprattutto, coinvolgenti. Una strategia di social media marketing efficace si fonda dunque sulla programmazione: bisogna improvvisare il meno possibile e “calendarizzare” le pubblicazioni, organizzare le attività del team e, soprattutto, cogliere le opportunità offerte dalle ricorrenze e dagli eventi per coinvolgere il più possibile i fan: in primis, il social media marketing serve a creare engagement e brand awareness. Infine, le pagine social non devono essere considerate al pari di un enorme cartellone pubblicitario, dove mettere sempre in primo piano noi stessi (ossia i prodotti e servizi aziendali), ma uno spazio dove creare un rapporto di fiducia tra il pubblico e l’azienda, in modo che prima di tutto si crei un legame e, da questo, si arrivi a raggiungere gli obiettivi prefissati (e, in ultima istanza, alla vendita).
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KPI, Key Performances Index Lo abbiamo ripetuto spesso: il monitoraggio è la chiave di tutto, ma cosa va monitorato? Qui si torna ai fondamentali del marketing e si parla di indicatori chiave di prestazione (o performances). Quando ci muoviamo sul web, allarghiamo la nostra comunicazione virtualmente a milioni, se non miliardi, di utenti. Ovviamente solo una minima parte di questi sono nostri potenziali clienti, ma su quella massa ogni percentuale è appetibile. Vi piacerebbe riuscire a conquistare lo 0,0005 degli utenti Facebook? Quella percentuale da componente attivo delle medicine, che può apparire assolutamente risibile, rappresenta in realtà 1 milione di utenti. Ma se questo vi sembra un esempio troppo lontano dalle vostre esigenze, pensate di dover promuovere la vostra attività in provincia di Trapani. Gli utenti Facebook sono 280.000, se ne beccate l’1% sono 2.800 clienti che rappresentano sicuramente un buon risultato per qualsiasi attività di tipo locale. Ed una fluttuazione dello 0,1% dei nostri risultati mette in gioco quasi 300 potenziali clienti. Vi sembra interessante come cosa? Quando le percentuali su cui si lavora sono così piccole, è necessario regolare con attenzione massima le nostre azioni, avere la contezza precisa degli effetti di ogni singolo post che pubblichiamo o di ogni campagna che mettiamo in essere. E dobbiamo settare obiettivi che sia possibile quantificare e monitorare.
KPI: definizione base e caratteristiche
Un indicatore chiave di prestazione è una misura quantificabile usata per determinare in quale misura gli obiettivi prefissati, operativi e strategici, vengono raggiunti. Questo significa che azioni diverse hanno diversi KPI a seconda dei loro rispettivi criteri di performance o priorità. Tali indicatori non devono necessariamente essere di natura finanziaria, ma sono importanti nell’indirizzare veicoli di marketing per la gestione. Un indicatore chiave di prestazione deve essere basato su dati legittimi e fornire un contesto che richiama gli obiettivi di business. ESEMPIO Se gestiamo un locale pubblico, dove il perno è l’interazione continua con gli utenti, il numero di fan della pagina può essere un KPI interessante: valutando il livello medio d’interazione reale (ad es. il 20% degli iscritti) ed ipotizzando un livello sufficiente di utenti per arrivare ad una redditività adeguata (ad esempio 400 utenti) sappiamo che dobbiamo raggiungere 2000 fan nella nostra pagina per considerare raggiunto l’obiettivo. Ma questo è solo un esempio e, in base ai nostri obiettivi di marketing, possiamo scegliere i “numeri che contano”. Ma ci sono delle regole di base; i KPI devono essere definiti avendo cura che fattori al di fuori del controllo di una società non possano interferire con la loro realizzazione e possono essere stabiliti in modo anche arbitrario ma perché siano utili devono soddisfare precisi requisiti.
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Vediamoli nel dettaglio: ○ ○ ○ ○
Quantificabilità: i KPI possono essere presentate sotto forma di numeri. Praticità: si integrano bene con gli attuali processi aziendali. Direzionalità: contribuiscono a determinare se una società sta migliorando. Operatività: possono essere messi in relazione al contesto pratico per misurare un cambiamento effettivo.
Un fattore chiave riguarda la definizione di scadenze temporali predeterminate per l’analisi dei report, puntando a dividere il processo in diversi check-point che consentano di percepire il trend (positivo o negativo) rispetto gli obiettivi prefissati ed essere in grado, quindi, di effettuare in tempo utile eventuali correttivi. ESEMPI I KPI di un’organizzazione non corrispondono necessariamente agli obiettivi specifici dell’organizzazione stessa. Ad esempio, una scuola può avere l’obiettivo che tutti i suoi allievi superino un corso, ma potrebbe utilizzare il suo tasso di fallimento come un indicatore KPI per determinare le proprie performance. D’altra parte, l'azienda può utilizzare la percentuale di reddito che riceve da clienti ricorrenti come suo KPI, piuttosto che l’incremento in uno specifico mercato. Altri esempi di KPI per le imprese includono: ○ ○ ○ ○ ○ ○
Lo status dei clienti esistenti; I nuovi clienti che hanno ottenuto; Il tasso di abbandono dei clienti; La segmentazione della clientela per redditività o demografia; Il tempo di attesa per gli ordini dei clienti; La lunghezza degli stock-out.
Come scegliere le KPI
Le imprese dovrebbero adottare una serie di passaggi prima di scegliere i migliori indicatori di prestazione, tra cui: ○ ○ ○ ○
definire i processi di business; definire i requisiti per i processi di business; avere a disposizione misurazioni qualitative e quantitative dei risultati; determinare varianti e regolare processi per soddisfare obiettivi a breve.
Insomma, fare tutto quello che abbiamo affrontato fino a questo punto, ed è abbastanza evidente perché la gestione e l’analisi delle KPI siano una parte integrante del processo. Gli indicatori chiave di prestazione sono importanti per un business perché lo aiutano a concentrarsi su obiettivi comuni e garantire che tali obiettivi rimangano allineati all’interno dell’organizzazione. Questa attenzione aiuterà il business a
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rimanere sul compito e a lavorare su progetti significativi che aiuteranno a raggiungere gli obiettivi più velocemente.
Le KPI nella Customer Journey
Andiamo alla definizione dell’indicatore di performances più conosciuto (quanto meno p er sentito dire), parlando di web: l a conversione. La conversione è un tipico indicatore di performance impiegato per valutare l’efficacia di campagne di marketing online. Si ottiene una conversione ogni volta che l’utente compie un’azione predeterminata in risposta agli stimoli trasmessi da un messaggio pubblicitario; ad esempio, un atto d’acquisto, la compilazione di un form, la sottoscrizione di una newsletter, ecc. Il risultato dell’azione pubblicitaria può essere espresso in termini assoluti o percentuali. Nel primo caso le conversioni misurano il numero totale di operazioni effettuate con successo in un dato intervallo di tempo; nel secondo caso, invece, indicano la percentuale di visitatori unici che ha portato a termine con successo l’operazione promossa dalla campagna (conversion rate). Abbiamo visto come gli indicatori chiave di prestazione costituiscano una parte delle informazioni necessarie per determinare e spiegare come un’organizzazione progredisce verso i suoi obiettivi di business e marketing. Ma in una ottica di marketing digitale, basata sull’analisi dell’intero processo d’acquisto, questi non devono essere necessariamente legati alle azioni finali. Oltre alle conversioni, di cui abbiamo parlato prima, ci sono, ad esempio le micro-conversioni.
Le Micro-conversioni Le micro-conversioni sono tutte quelle azioni e strategie messe in atto al fine di portare l’utente al raggiungimento di un determinato obiettivo, ossia tutti i passaggi intermedi che portano a sviluppare una macro-conversione. Le micro-conversioni possono essere suddivise in: ●
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Pietre miliari del processo: ossia tutte quelle conversioni che rappresentano un movimento lineare verso una conversione macro primaria. Azioni secondarie: non rappresentano obiettivi primari del sito ma vengono considerate piccoli step capaci di raggiungere possibili future marco-conversioni. ○ l’iscrizione alla newsletter ○ la visita ad una determinata pagina ○ la richiesta di una chiamata ○ una nuova recensione ○ l’aggiunta di un prodotto al carrello ○ la creazione di un account ○ la visualizzazione di un video ○ il download di un ebook in pdf ○ il “Mi piace” ad una pagina Facebook ○ il tempo di permanenza sul sito
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Tutte queste micro-conversioni hanno l’obiettivo di misurare il livello di interesse o impegno dell’utente a svolgere un’azione (individuata come conducente al risultato finale) prima di effettuare una vera e propria macro-conversione.
Perché è importante misurare le micro-conversioni?
Provando a vendere un prodotto/servizio o fornire delle informazioni in merito, difficilmente si riuscirà a ottenere una conversione immediata. Tendenzialmente prima di procedere all’acquisto gli utenti si documentano e cercano informazioni visitando alcune pagine del sito, come blog, commenti o recensioni. Qui entrano in gioco le micro-conversioni, capaci di analizzare tutto il processo di interazione dell’utente a seguito di un numero elevato di visite, passando da diversi canali marketing, fino a concludere poi con il pagamento (quindi la macro-conversione). Risulta abbastanza chiaro come ogni passaggio da una fase all’altra del funnel di acquisizione rappresenta una micro conversione che porta alla prima macro conversione (l’acquisizione del cliente). Superata questa fase si aprono nuove linee per portare il cliente acquisito verso il nostro prossimo obiettivo. Perché è chiaro che la storia non si chiude con l’acquisto. Il cliente acquisito potrà ricomprare da noi, acquistare qualcos’altro o consigliare il prodotto ai suoi amici. Tutte azioni che vanno coltivate e, quindi, monitorate con attenzione, valutando tutte le interazioni con il cliente. Più correttamente questa fase riguarda i sistemi di CRM, ma di questo ne abbiamo già discusso. Il punto era (ed è) comprendere perchè è importante un monitoraggio attento delle azioni digitali e dei risultati delle nostre strategie.
Come monitorare le micro-conversioni?
Tutte queste azioni possono essere analizzate in diversi modi. Il metodo più comune per tenerne traccia è quello di impostarle in strumenti di tracking come Google Analytics. Questo strumento consente di registrare ogni azione dell’utente sia come “evento”, cioè un’azione secondaria, che come “obiettivo”, quindi una pietra miliare del processo. In questo modo diventa possibile incrociare i dati con altri parametri come parole chiave e fonti di traffico. Su questo modello viene costruito il monitoraggio vero e proprio, che si ottiene registrando la conversione finale come “obiettivo”. In questo modo è possibile misurare tutti i passi che un visitatore ha fatto nel processo di acquisto, analizzando singolarmente ogni fase del percorso. Tracciando efficacemente la linea ideale che collega queste fasi fino all’obiettivo finale possiamo giungere alla creazione di un funnel di conversione sulla base di questi passaggi.
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I Micromomenti I micromomenti sono quegli istanti nell’arco della giornata in cui si manifesta una necessità, un bisogno o una curiosità (con cui può anche iniziare o terminare il processo d’acquisto di un bene o servizio) che vengono soddisfatti tramite una consultazione online. La conquista di tali micromomenti è divenuta, secondo Google, il nuovo terreno di sfida dei marketer (ricordate lo ZMOT?). L’imperativo categorico del marketing (non solo del real time marketing) è infatti quello di presidiare tutti i punti di contatto del processo decisionale dell’utente, in qualunque istante si manifestino. La soddisfazione del bisogno nei microments avviene prevalentemente tramite la consultazione dello smartphone.
Perchè sono importanti i micromomenti? Perché l’avvento del mobile ha stravolto completamente il modo di ricercare, di informarsi e di soddisfare i bisogni, sia che si tratti di necessità e decisioni di acquisto poco rilevanti, sia che si tratti di scelte importanti. Il trend è in continua ascesa e pensare mobile first non significa solo realizzare siti ed e-commerce progettati per dispositivi portatili (responsive o mobile) ma significa reimmaginare completamente l’esperienza dell’incontro dell’azienda con l’utente che, risulta totalmente differente, rispetto agli schemi con cui eravamo abituati a confrontarci. Il terreno di gioco non è più soltanto il posizionamento delle keywords, ma bisogna prevedere i tempi ed i modi di contatto col potenziale cliente. Un gioco apparentemente complesso ma nel quale Google e i motori, sapendoli usare, sono potenti alleati. Per approfondire l’argomento dobbiamo introdurre il concetto di funnel di acquisizione e riprendere il percorso d’acquisto nel mercato digitale. Con il termine funnel (letteralmente imbuto) s’intende un complesso di azioni e strategie che tendono ad intercettare un pubblico, trovarne al suo interno i potenziali clienti, contattarli per una proposta d’acquisto, curarli nel post vendita per trasformarli in promoter.
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Conclusioni Se tutto questo vi sembra difficile da applicare alla vita quotidiana del vostro business dobbiamo tornare alla premessa iniziale di tutto il progetto di NETT Economy: non è più in discussione se seguire questo approccio o meno. L’esigenza è chiara ed impellente. In discussione ci sono soltanto le modalità d’intervento. Se invece vi sembra semplicemente “difficile”, dobbiamo riprendere la differenza tra i termini complicato e complesso. Il sistema digitale è complesso, nel senso letterale del termine: complesso: Costituito da più elementi formanti un'unità funzionale. E siccome gli elementi di cui è costituito l’universo digitale sono molto di più di quanto si possa seriamente comprendere, dobbiamo accettare il fatto che è molto complesso. Ma non è complicato, e non può esserlo strutturalmente. Si tratta di un universo governato dalle macchine a da sistemi automatici che, per loro natura intrinseca, non possono essere “complicati”. Un sistema informatico complicato è un sistema informatico inefficiente. Punto. A prima vista potrà sembrare che la definizione “complesso ma non complicato” non risolva il nocciolo della questione. Ma la complessità è un problema “tecnico”. Se siete un imprenditore, un ente territoriale o comunque avete qualcosa da “fare” sui mercati digitali, il problema non è vostro, ma del vostro fornitore di servizi. Vi basta raggiungere quel livello di conoscenza sufficiente per comprendere quale siano le vostre esigenze reali e per selezionare il fornitore di servizi più adatto alle vostre richieste. Poi vi resta da fare la cosa più semplice ed importante del vostro business: focalizzare correttamente gli obiettivi.
Keypoint
La potenza è nulla senza il controllo ed il controllo è impossibile se non ci si pone degli obiettivi chiari e misurabili. L’enormità dei numeri che ci troviamo a gestire all’interno del mondo digitale è così fuori dai nostri parametri tradizionali che la possibilità di intuire il comportamento degli utenti è mera utopia. Possiamo ipotizzare, teorizzare, supporre. Ma abbiamo l’assoluta necessità di verificare la correttezza delle nostre ipotesi, teorie, supposizioni. La buona notizia è che, in linea teorica, ne abbiamo anche la possibilità. Monitorare i comportamenti degli utenti, i risultati di un’azione di marketing o l’efficacia di una strategia di comunicazione è possibile, quasi semplice, a patto che abbiamo fatto le cose “per bene”. Per raccoglierli dobbiamo avere predisposto una serie di meccanismi, alcuni logici, la maggior parte tecnologici, dobbiamo avere elaborato una strategia, aver fissato degli obiettivi e messo in campo delle specifiche azioni. Insomma, dobbiamo fare Marketing. Sul serio.
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Conclusioni generali C’è una massima orientale che sottolinea come quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Le tecniche e le teorie di marketing fin qui illustrate, in realtà, sono il dito e ci servono per indicare efficacemente gli ambiti dove guardare per capire dove (e come) sia più corretto (o conveniente) intervenire. Ora si tratta di guardare i l cielo. La parte teorica di questo corso è stata costruita con un preciso e delineato obiettivo: mostrare la struttura di un processo di marketing e farne comprendere la complessità. Questo per consentire un utilizzo cosciente degli strumenti che ci troveremo ad utilizzare nella fase pratica. È come nell’agopuntura: abbiamo definito la mappa del mercato per comprendere dove piazzare gli aghi. Lo abbiamo fatto in questa dispensa ma anche, e soprattutto, negli altri contenuti che vi hanno portato a questo percorso. Come abbiamo visto, il quadro di analisi è ampio e tiene conto di una serie di elementi. Fin qui, infatti, è il terreno di gioco del management, la struttura che legge i dati, elabora strategie e predispone interventi. Abbiamo verificato anche come alcune di queste azioni siano strutturali (interventi sul ciclo produttivo, scelta del posizionamento, investimenti aziendali, ecc…). Altre riguardano la percezione del prodotto verso il mercato e le strategie di comunicazione. Le prime si affrontano con l’azienda (o con gli altri settori in caso di prodotti interni), le seconde verranno composte in uno strumento che, vedremo in seguito, rappresenta una parte importante del piano di lavoro quotidiano di un team operativo: il piano editoriale. Usiamo il piano editoriale come puro esempio, ma vale per tutte le azioni pianificate ed inserite all’interno di una programmazione, per quanto mutabile ed agile come quella di cui abbiamo diffusamente parlato. Seguire un piano editoriale, comunque, può essere un lavoro semplice e meccanico. Oppure può diventare una esperienza interessante (e produttiva) di relazioni. Perché dovrebbe essere ormai chiaro come il mercato digitale sia fondamentalmente un mercato di relazioni. La differenza è data dalla consapevolezza con la quale si gestiscono queste azioni. Perché un conto è postare una foto su Facebook, un conto è partecipare ad una strategia complessiva. Una strategia con obiettivi dichiarati di cui quella foto è un elemento del percorso. La visione del quadro generale, inoltre, facilita il lavoro in team: si gioca meglio quando le regole del gioco sono ben chiare. È questo, quindi, che dovrete riuscire a portare con voi: il quadro generale, quella visione d’insieme che vi consentirà di mettere nella giusta relazione le azioni che verranno messe in campo, di comprenderne l’obiettivo e quindi misurarne correttamente gli effetti. A questo punto dovrebbe essere chiaro come le azioni del marketing operativo, e quindi del team, puntano sui singoli segmenti di un processo per ottenere gli effetti stabiliti all’interno di una strategia generale. Questo comporta, però, avere un quadro preciso delle criticità da tenere sotto controllo, i punti caldi della struttura in senso complessivo, prevedendo gli attacchi della concorrenza e le evoluzioni del mercato.
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Le modalità di lavoro sono dirette e puntano a raggiungere gli step prefissati, lasciando le decisioni strategiche al livello del management. Le stesse strategie operative sono specifiche e puntano ad obiettivi precisi e quantificabili, come l’identificazione del target ed il raggiungimento di specifiche KPI o il coinvolgimento di i nfluencers e a dvocates. Risultati che dovranno essere schematizzati sotto forma di report che possano costituire un affidabile storico del mercato in generale e di ogni singolo utente, ma anche agevolmente leggibili dal management per correggere continuamente il tiro della strategia generale e coordinare gli effetti per giungere al risultato finale. Il termine marketing comprende l’insieme delle azioni connesse alla vita del prodotto, dalla sua progettazione alla commercializzazione. Ma questo vuol dire che un’azione di marketing sarà più efficace quando è materialmente messa nelle condizioni di intervenire in tutte le fasi di vita del prodotto/servizio offerto, o comunque partecipare alla pianificazione. L’immagine, la comunicazione, le caratteristiche tecniche del prodotto, lo stesso ruolo del consumatore sono soltanto elementi di un percorso complessivo che va analizzato globalmente. Non soltanto una singola azione scollegata è spesso improduttiva, ma all’interno di un quadro strategico, la mancata cura di un singolo aspetto può fare collassare l’intera strategia. Abbiamo parlato di Agile e di nuovi sistemi nella gestione dei progetti e dei flussi di lavoro, e tutto porta ad un’unica conclusione. Il percorso di progettazione deve seguire una metodologia bottom-up, con la elaborazione di una strategia di largo respiro e con obiettivi ben definiti (marketing strategico) dalla quale, seguendo gli schemi analizzati, fare risalire le esigenze del mercato e le azioni da mettere in campo (marketing operativo) per ottenere l’effetto deciso nella strategia. Ovviamente questo è attuabile in senso completo soltanto quando si opera in una start-up o, comunque, si è presenti alla fase di nascita del progetto. Nella realtà del mercato è più frequente trovarsi davanti un prodotto già formato e ad un ciclo avanzato di vita. Questo non modifica l’approccio. Lo rende solo un po’ più complesso: la strategia non potrà svilupparsi liberamente sulla base del semplice ascolto del mercato ma dovrà necessariamente tenere conto dell’esistente, individuando una strategia che esalti i punti di forza e minimizzi le debolezze del prodotto o della struttura. La criticità sta quindi non soltanto nella capacità di analisi del quadro generale, ma anche, e forse soprattutto, nella scelta degli strumenti operativi da usare. Strumenti che, come abbiamo già visto e focalizzeremo meglio nel prossimo capitolo, si sono evoluti nel tempo, seguendo le evoluzioni del mercato. La cosa importante è focalizzare un concetto: il mercato ed i processi di vendita sono strutture complesse che vanno analizzate nella loro globalità per stabilire i punti effettivi d’intervento. Pensare che sia sufficiente la definizione di un singolo ambito (il prodotto, piuttosto che la comunicazione o la rete vendita) è sicuramente fallimentare. Gli elementi che entrano in gioco sono molti e ignorarli impedisce la progettazione e l’attuazione di strategie efficaci.
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Keypoint di riepilogo R ISCRIVERE TUTTE Concludendo, avviamo un riepilogo dei concetti chiave illustrate in questa dispensa con una precisa premessa: non stiamo più parlando d’innovazione, parliamo di sopravvivenza.
1. Il profitto si raggiunge attraverso la soddisfazione del consumatore. E non viceversa. Questa premessa deve sempre rimanere come punto di partenza generale. Non deve essere una mera enunciazione di principio ma la base di ogni ragionamento; qualunque fattore interno della strategia che non punti verso questo obiettivo è da scartare.
2. Bisogna conoscere il prodotto, il mercato e le loro relazioni. Bisogna avviare una identificazione efficace del prodotto (analisi SWOT, quali bisogni soddisfa, competitor, scenario), nonchè analizzare il ruolo d’acquisto principale e gli eventuali ruoli secondari. .Questo rimane comunque il primo passo, tenendo presente come, in ogni caso, il punto di vista da tenere presente è quello del consumatore, analizzando le diverse leve che lo possano coinvolgere nel processo di acquisto (4P – 4C).
3. Individuare target/personas (caratteristiche, bisogni, interessi). L’identificazione del mercato non può essere sommaria, ma deve entrare in connessione diretta con il target, che può essere individuato seguendo diverse metriche (anagrafiche, geografiche, d’interesse, ecc…), ma deve essere valutato anche in base al suo sentiment verso il prodotto e verso il mercato. Una esatta segmentazione, in particolare con i moderni sistemi di promozione paid, consente una notevole ottimizzazione delle risorse ed una maggiore garanzia sul risultato..
4. Focalizzare obiettivi: il percorso d’acquisto Ritornando al primo punto, l’obiettivo è il consumatore. Avendo identificato sia il cliente che il prodotto dobbiamo tracciare la linea che li unisce, operando per raggiungere efficacemente un preciso obiettivo: essere al posto giusto, nel momento giusto, con la persona giusta.
5. Passo successivo: come funziona il web. Il mercato è digitale, oltre l’80% delle decisioni d’acquisto è influenzato dalla Rete. Per essere presente al momento giusto nella customer journey dobbiamo comprendere bene come il web nel suo complesso (ed ogni singolo ambiente) seleziona e ci fornisce i
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contenuti che cerchiamo. In che modo i social come Facebook e Twitter selezionano i contenuti che saranno visualizzati sul nostro stream? E come compone Google la pagina dei suoi risultati di ricerca? E come funziona il complesso mondo delle pubblicità a pagamento?
6. Glocal. Che vuol dire? Se parliamo di internet pensiamo sempre al mercato globale, alle centinaia di milioni di utenti di un social ed ai numeri stratosferici delle case history. Ma Internet è molto di più. L’avvento del mobile ha dato nuova vita alle strategia glocal, l’attuazione di meccaniche e strategie solitamente utilizzate nei mercati internazionali che diventano strumenti di business locali.
7. Web listening: ascoltare il web. Il web non serve soltanto a comunicare. Per fare la differenza in una strategia di marketing efficace il primo passo è ascoltare. Utilizzare i tools che la Rete ci mette a disposizione per capire i trend è prioritario ad ogni elaborazione di strategia.
8. Influencer e content marketing. Nel web viaggiano i contenuti. Il punto è realizzarli e “formattarli” nel modo più efficace, puntando sempre ad intercettare le customer journey che stiamo seguendo. Ed in questo mare d’informazione ci sono dei “traghettatori chiave” che possono accompagnare i nostri contenuti per giungere dove vogliamo. Individuarli ed agganciarli in modo corretto è una delle chiavi principali di successo.
9. Metriche e controllo. E poi si controlla in maniera continua e approfondita. Ogni strategia va attentamente verificata, elaborando (e pre determinando) meccanismi, step e metriche di controllo.
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Evolversi o fallire
Il resto del mondo sta vincendo la partita del business perché segue pedissequamente questo approccio. La scelta non è più se adeguarsi o meno, ma trovare il modo di farlo nella maniera più veloce ed efficace possibile.
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