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La Filosofia Agile e l’approccio Appleseed La nostra visione e il modello di rapporto con il cliente
costruiamo premesse
appleseed - agenzia di marketing digitale
SOMMARIO
Introduzione
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La concorrenza è infinita, non basta “fare”
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Una volta qui era tutta televisione
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Tutto il resto è marketing
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Anche la tecnologia non sta tanto bene
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Just in time, no Just in case
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Crisi, che fare?
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Il futuro è alle nostre spalle Manifesto Agile I principi sottostanti al Manifesto Agile
11 12 12
Premessa ad Agile
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L'unica costante è il cambiamento
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A proposito di Scrum.
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Scrumban
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Le iterazioni
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Pianificazione su richiesta
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Il Product Owner
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La Vision board Il modello NeXT
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
La Filosofia Agile e l’approccio Appleseed La nostra visione e il modello di rapporto con il cliente
a cura di Franco Mennella
a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
Definizione: maggio 2018 NeXT è una realizzazione Appleseed srls, agenzia di Marketing digitale
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
Introduzione Prima di tutto fatti una domanda: conosci delle esperienze a te vicine che abbiano avuto un reale successo economico sul web? Tieni questa risposta da parte e fatti un’altra domanda: ti rendi conto che tutte le aziende che attualmente hanno successo sono totalmente digitali o, comunque, hanno una preponderante componente digitale? Mi rivolgo, adesso, a chi ha risposto “no” alla prima domanda e “sì” alla seconda. Se hai risposto positivamente alla prima domanda sai già di cosa sto parlando; se hai risposto no alla seconda… ritengo inutile che prosegua nella lettura. Ai rimanenti consegno le uniche possibili conseguenze di queste due risposte: 1. il digitale è la chiave del successo; 2. da queste parti non sappiamo farlo. Non si tratta soltanto di rivedere tecniche e tecnologie, ma di sposare un approccio diverso, partendo dall’accettazione di un cambiamento che ha sconvolto gli scenari socio-economici.
La concorrenza è infinita, non basta “fare” Partiamo con una premessa: il marketing aziendale è molto più della semplice promozione di un prodotto. Questo è un equivoco frequente che rende spesso difficile affrontare seriamente l’argomento. Il marketing, se prendiamo la definizione ufficiale è “l’arte e la scienza d’individuare un bisogno del mercato, trovare una possibile risposta ed impostare su questa un modello di business”. Molto di più della semplice promozione, quindi, che deve essere considerata soltanto uno dei tanti strumenti necessari per attuare una strategia di marketing efficace. Nella prima parte di questa dispensa, comunque, ci concentreremo anche noi sulla “pubblicità”, ma solo perché è il campo che si presta meglio a raccontare e spiegare il cambiamento avvenuto. Parliamo di pubblicità, dunque. Quando pensi alla promozione del tuo prodotto riduci il tutto a “combattere” la concorrenza: trovare l’immagine migliore, inventare lo slogan più efficace, finanziare la campagna più capillare. Purtroppo, però, il tuo nemico non è soltanto la concorrenza. Quando scrivi un post su Facebook, se vuoi semplicemente apparire sulla bacheca del tuo potenziale cliente, non devi “sgomitare” soltanto con i tuoi competitors. Ogni 30 secondi vengono pubblicati più di un milione e mezzo di post su Facebook; il sistema seleziona una piccola percentuale di questo oceano sterminato di informazioni e te la somministra, mescolando post di amici e proposte commerciali. Sperare di essere scelto senza attuare alcuna strategia equivale ad impostare il proprio marketing sul “gratta & vinci”. Per scegliere cosa somministrare ai suoi utenti, l’algoritmo di Facebook sbircia nella tua vita, nei tuoi interessi, nei tuoi comportamenti e tenta di offrirti i contenuti più vicini ai tuoi gusti personali. Detta così può sembrare un modello molto invasivo, ma non siamo qui a discutere di etica dei media, ma di funzionalità e opportunità. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
Semplicemente per apparire sui wall dei tuoi potenziali clienti, quindi, non devi competere solo con i concorrenti, ma anche con gli auguri dei parenti, i gattini carini, i meme di Lercio, le frasi di Osho, e così via. Citiamo Facebook soltanto come esempio, ma questo concetto vale in generale ed abbraccia tutte le forme nuove della comunicazione. Non si tratta di un'opinione, ma della presa d’atto che i nuovi media sono diversi.
Una volta qui era tutta televisione Per comprendere pienamente la trasformazione digitale dei media analizziamo la comunicazione possibile sulla “regina” dei media tradizionali: la televisione. Tutti i componenti del pubblico che si piazza davanti la Tv per guardare un programma televisivo vedono la stessa cosa, nello stesso momento, in condizioni tutto sommato omogenee, rendendo semplice organizzare una comunicazione efficace che tenga conto del contesto. Spieghiamo meglio: se devo promuovere un ristorantino-barbecue basato su chianina e scottona sceglierei accuratamente il programma dove comparire e sicuramente non finirei tra i commercial di una puntata di Report sulla macellazione industriale e sul maltrattamento dei vitelli negli allevamenti intensivi, giusto? Chiaramente il mio spot che mostra una succosa fiorentina non farebbe un bell’effetto dopo le immagini di vitelli seviziati e macellati. Nella comunicazione digitale non posso “scegliere” dove comparire, non direttamente almeno. Ma posso guidare il processo affinché la mia comunicazione sia coerente con il contesto. Non è semplicissimo, ma è possibile. Basta sapere come fare. La comunicazione Old Media, inoltre, è fortemente unidirezionale: io costruisco il contenuto e lo spettatore lo guarda. Nei nuovi media l’utente non è più un semplice “spettatore”, ha la possibilità di agire e reagire in tempo reale. Questo lo abbiamo capito un po’ tutti, ma non tutti arriviamo alla conclusione pratica di questa premessa: quando comunichiamo sul web dobbiamo aspettarci un risultato finale che può essere molto diverso dal messaggio che abbiamo costruito noi: la comunicazione digitale è la somma di quello che diciamo noi e delle interazioni degli utenti. Un esempio “storico” vede protagonista la Shell, multinazionale del petrolio. Per migliorare la propria immagine decide di lanciare una campagna basata sullo slogan “We Do It”, lo abbiamo fatto, mostrando una serie di realizzazioni ed interventi messi in campo negli anni. La Rete, che non ha mai particolare simpatia per le grandi corporazioni, in particolare petrolifere, s’impossessa del claim e, ricopiando grafica e schema visivo, prende una foto che mostra un drammatico sversamento di petrolio nell’artico, con pinguini e orsi soffocati dalla marea nera e aggiunge lo slogan: “Gli altri li chiamano disastri, noi le chiamiamo opportunità, We Do It”. La comunicazione finale di questa campagna non è sicuramente quella sperata e la cosa da tenere presente è che l’investimento effettuato per far circolare i messaggi “voluti” ha comunque spinto anche i messaggi “non voluti”. Questo deve farci riflettere molto su come, quando e cosa mettere nella nostra comunicazione.
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
Dove ci sono problemi, però, si annidano anche delle opportunità: il mondo digitale ci offre la possibilità di monitorare il comportamento di chi trova i nostri contenuti e l’eventuale collegamento tra le azioni e il risultato (ad esempio un post su Facebook e un acquisto su un e-commerce). Questo aggiunge un elemento da non sottovalutare in una strategia di marketing: negli Old Media, se voglio raggiungere un obiettivo attraverso i miei contenuti, posso valutare il reale effetto soltanto molto tempo dopo la trasmissione e comunque in modo ipotetico e parziale. L’unico dato affidabile può essere una modifica del fatturato, ma sapremo troppo tardi se la nostra azione ha funzionato come speravamo. Questo paradigma salta completamente nella comunicazione digitale. Possiamo sapere in tempo reale chi ci legge, come lo fa, che cosa lo ha colpito maggiormente e molte altre informazioni che ci permettono di migliorare il nostro approccio e la nostra comunicazione. Ho detto “possiamo”, non è un automatismo. Strumenti come profilazione utenti, utilizzo dei big data e marketing automation sono raccontati come una specie di magia da evocare per ottenere risultati. Ovviamente non funziona così; bisogna avere competenze strategiche e tecnologiche, mettendo in campo strumenti efficaci per raggiungere obiettivi concreti. Insomma, come sempre, la competizione non si vince sperando, ma imparando e lavorando. Il vero punto focale, però, quello che spariglia del tutto i vecchi approcci, lo abbiamo sottolineato all’inizio e riguarda la modalità di scelta dei contenuti che guardiamo. ●
Nei vecchi media l’utente selezionava il programma, attraverso il telecomando;
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Nei nuovi media il sistema individua i tuoi contenuti preferiti e te li mostra.
Anche quando pensiamo di avere il controllo assoluto, per esempio quando facciamo una ricerca su Google, in realtà guarderemo i primi dieci risultati di una ricerca che racchiude spesso milioni di possibili risultati. Dieci risultati che ha scelto Google, non sicuramente noi. La classifica di Google, però, non è assoluta. Fate una ricerca su computer diversi, collegandovi con diversi account, oppure semplicemente effettuate la stessa ricerca sul vostro computer desktop e sul vostro smartphone: i risultati saranno diversi. Google, quando stila la sua classifica e ve la propone come risultato della vostra ricerca, non ha punteggi assoluti che definiscono un contenuto semplicemente migliore di un altro in ogni contesto. Attraverso complessi algoritmi, sistemi di intelligenza artificiale e modelli di profilazione, Google monitora chi sta effettuando la ricerca, individuando come, dove e su quale dispositivo la stia facendo: Mette insieme tutto questo, lo elabora confrontandolo con i Big Data in suo possesso e prova a capire quali possano essere le sue esigenze. Sulla base di questi dati prova a stilare una classifica dei migliori risultati in base alle specifiche caratteristiche e aspettative dell’utente che sta effettuando in quel momento la ricerca. Una breve nota a margine rispetto questo versante, rivolta direttamente a chi si appresta ad entrare nei mercati digitali, o lo sta già facendo in maniera “artigianale”. Comprenderete come sia assolutamente inutile analizzare i risultati delle vostre azioni guardando il wall del vostro Facebook o cercandovi su Google attraverso quelle che ritenete essere le migliori parole chiave per il vostro business. Abbiamo appena assodato come i risultati di Google e i post che vedete sui social sono assolutamente “personalizzati” in base all’utente. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
Quello che vedi tu non è quello che vedono gli altri, ed è proprio su questo campo che si gioca la sfida digitale. I sistemi per verificare la validità delle nostre azioni sono altri.
Tutto il resto è marketing Torniamo alla nostra analisi ribadendo come per il motore di ricerca non esistono risultati “migliori”, ma soltanto risultati “più adatti” all’utente che sta effettuando la ricerca. Questo cambia il modo d’intendere la comunicazione e più avanti vedremo come. Intanto assumiamolo come dato di fatto acquisito e arriviamo all’unica, logica conseguenza: quello che facevamo fino a ieri non ha più senso, non può tecnicamente funzionare. Fino a questo punto, comunque, abbiamo parlato soltanto di comunicazione e di come “leggere” le specificità ed i comportamenti dei nostri utenti e potenziali clienti. Ma avere un dato senza un sistema che ci permetta di trasformarlo in azioni concrete sarebbe come avere ettolitri di benzina e nessuna macchina da rifornire. Ed è qui che ci allarghiamo, passando dalla comunicazione al marketing vero e proprio. Qui si tratta di fare uno sforzo ed aprire la mente verso un modello di mercato diverso rispetto a quello che abbiamo sempre praticato. Prima di segnare le differenze, levatevi dalla testa l’idea che stiamo parlando di opportunità o di opzioni. Adeguarsi velocemente ai nuovi mercati non è semplicemente un’opzione: è una necessità. E anche impellente. Più avanti vedremo come tutte le aziende e i territori di successo adottino delle modalità di gestione codificate dei processi aziendali strategici ed operativi. L’adeguamento ai nuovi mercati è il motivo alla base della nascita di questi nuovi modelli. La loro convinta ed effettiva applicazione, invece, è il principale fattore competitivo. Assodato che sia indispensabile comprendere come sia cambiato il marketing nell’era della Digital Disruption (e adeguarsi velocemente), cominciamo ad entrare in argomento, partendo dal nome maggiormente usato per descrivere i nuovi modelli: marketing customer oriented, cioè marketing orientato direttamente dal consumatore, contrapposto al marketing product oriented, cioè marketing orientato direttamente al prodotto. Numerose ricerche sostengono che nel prossimo decennio l’azienda di successo non sarà quella con il prodotto migliore (le differenze tra prodotti sono sempre di più minimali), ma quella in grado di fare leva sulla conoscenza dei clienti per instaurare rapporti sempre più interpersonali, anticipandone i bisogni e rispondendo con celerità alle esigenze dei clienti. In altre parole, le aziende dovranno essere in grado di disegnare le migliori customer experience (CX) in tutte le sue fasi e dovranno essere in grado di comunicare in modo unico e riconoscibile, instaurando con il consumatore una relazione personale. Solo a quel punto non si parlerà più di aziende product-oriented ma si potrà parlare di aziende customer-oriented, in cui il cliente viene messo al centro di ogni processo aziendale. Un processo tutt’altro che automatico da avviare all’interno di un’azienda, dove le resistenza al cambiamento sono inevitabili e di diversa natura: culturali, caratteriali, finanziarie, ecc… a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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I modelli Agile e l’approccio Appleseed
Su questo punto bisogna essere estremamente chiari: non stiamo parlando semplicemente di “customer care” ma di utilizzare efficacemente le nuove tecnologie per creare un sistema di ascolto del mercato in generale ma in particolare del tuo cliente, inteso come singolo individuo, con le sue peculiari necessità, i suoi interessi e le sue preferenze. Ascoltare, però, non basta: bisogna agire di conseguenza. Il marketing customer oriented ha quindi un presupposto che a volte può essere difficile da accettare all’interno dell’azienda. Però è il più rilevante: bisogna essere sempre disposti a mettere in discussione il proprio prodotto in base ai feedback dal mercato e dai clienti.
Anche la tecnologia non sta tanto bene Abbiamo accennato come l’ascolto del mercato e dei propri clienti abbia una importante componente tecnologica, ed è quindi il caso di fare chiarezza sull’argomento. La citazione nel titolo di questo paragrafo doveva essere più estesa e vuole essere un omaggio a Woody Allen, perché la versione estesa sarebbe: la pubblicità è morta, la SEO è morta, ma anche la tecnologia non sta tanto bene. Un incipit volutamente provocatorio, ma se dobbiamo parlare di competitività, in realtà non siamo lontani dal vero. La tecnologia, anche la più avanzata, è ormai disponibile per tutti, sia in termini di accesso che di costi, sicuramente per quanto riguarda gran parte dei servizi di digitalizzazione per le aziende. Questo vale tanto per i sistemi di produzione e diffusione dei contenuti, per chiudere il capitolo dedicato alla promozione, che per i sistemi di gestione e monitoraggio degli scenari interni ed esterni di un’azienda. Sigle come CRM (Customer Relationship Management) e ERP (Enterprise Resource Planning) sono abbastanza conosciute e i software relativi sono accessibili a tutte le tasche. L’unica conseguenza possibile è evidente: una risorsa accessibile a tutti non può rappresentare un fattore di competitività. Diventa, piuttosto, una “condizione necessaria ma non sufficiente” per il successo. Quindi bisogna conoscerla, e anche in maniera profonda e completa, con un occhio attento a cosa sta succedendo, alla prossima “diavoleria” che si inventeranno, piuttosto che concentrarsi su quanto sia già accaduto. Ma la tecnologia va soprattutto superata, se ci si vole giocare pienamente la partita e puntare al successo. Bisogna prendere esempio dai grandi artisti jazz: arrivare a conoscere perfettamente la tecnica e padroneggiarla come un fervente ortodosso soltanto per avere la capacità di abbandonarla e improvvisare. Bisogna conoscere profondamente le regole per infrangerle nella maniera corretta Dalai Lama
Se la tecnologia non è il vero fattore competitivo, il fattore umano torna ad essere l’elemento centrale. Ti prego, però di cancellare dalla mente l’immagine dell’imprenditore geniale con in tasca l’idea del secolo che fa saltare il banco.
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Quando si parla di fattore umano s’intende un mix di competenze, quelle necessarie al vostro business, organizzate efficientemente per operare e decidere in maniera efficace. La versione romantica dell’One Man Band che se la canta e se la suona da solo non è più adatta ai nuovi mercati.
Just in time, no Just in case E poi c’è la velocità. Nei mercati, nelle mode, nella tecnologia e complessivamente nel cambiamento degli scenari. Una velocità letteralmente impazzita e sospinta dal vento della Digital Disruption. Questo ci porta alla domanda che ci siamo posti all’inizio: perché, in altre parti del mondo, il digitale funziona egregiamente e crea economia e sviluppo? Perché in quei posti del mondo hanno compreso che la strada era adattare le aziende allo scenario digitale e non il contrario. Noi proviamo, inutilmente, ad adattare il digitale ai nostri modelli aziendali. Il problema è che, semplicemente, così non funziona. La complessità degli elementi in gioco, la velocità di mutamento degli scenari, i numeri enormi connessi alla rivoluzione digitale, tutto mette al centro la necessità di strumenti efficaci di monitoraggio e di analisi, e i nuovi modelli aziendali usano il digitale per avere risposte veloci dal mercato, comprendere i trend e analizzare i mutamenti. Ma a cosa serve avere un modello di previsione se l’azienda non è pronta a rispondere in tempo reale? Sarebbe come avere un sistema che ci dice i numeri del lotto quando le puntate sono già chiuse. Non basta avere dati corretti ed essere in grado di leggerli. Bisogna essere pronti ad agire di conseguenza. E velocemente. I modelli di progettazione della business idea e i protocolli di gestione dei processi interni ed esterni dell’azienda sono il vero elemento di competitività. Nella mancata attuazione di questi modelli è la chiave della nostra incapacità a emergere nei mercati digitali. È indispensabile sapere cosa fare e quando farlo, ma per ottenere risultati concreti è necessario un sistema pronto a realizzare gli obiettivi nei tempi stabiliti e di rimodularli “just in time” rispetto i cambiamenti, rapidi ed imprevedibili, del mercato. Che ci crediate o meno, il vero problema sta tutto qua. Per essere chiari, tra quelli che ci credono c’è l’Ecofin, che ha stabilito in oltre 450 miliardi di euro l’anno il costo del gap digitale europeo con il mercato statunitense. E ci credono ancora di più proprio negli USA, dove l’American Marketing Association ha previsto un turnover del 50% nelle aziende: la metà delle attuali imprese falliranno per la loro incapacità di innovarsi, a favore di nuove imprese più marcatamente digitali o digitalizzate. Ma il vero problema è che stanno cominciando a crederci i tuoi concorrenti. La società di consulenza Accenture ha fatto uno studio sulle aziende che adottano modelli di gestione moderni rispetto chi resiste al cambiamento. Più avanti ne parliamo meglio, ma anticipaimo un dato: la crescita di performance media nei diversi settori (redditività, gestione dei costi, personale, sicurezza, ecc…) oscilla dal 65% al 85%. Come pensate di competere con un concorrente che vi stacca in questo modo?
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Crisi, che fare? Ripeto spesso che funziona come la riabilitazione da una dipendenza: il primo passo è l’accettazione. Cancellate dalla mente la frase “il problema è un altro”, semplicemente perché non è vero: il problema è proprio questo. Parlando con le imprese si parla quasi sempre di tasse, infrastrutture mancanti, burocrazia asfissiante, banche criminali e molto altro che viene additato come causa della nostra arretratezza. Ovviamente avere un sistema Paese che funziona meglio sarebbe estremamente gradito e darebbe una grande mano, ma un approccio efficace poggia su due pilastri fondamentali: empirismo e adattabilità. Empirismo perché si deve basare esclusivamente su dati misurabili, su obiettivi percepibili, su risultati quantificabili. Adattabilità perché deve considerare tutto l’esterno dell’azienda (sistema Paese compreso) come lo scenario dove muoversi. In uno scenario non ci sono problemi, ma condizioni da affrontare, situazioni di cui tenere conto, ostacoli da rimuovere o aggirare. Raggiunta l’accettazione di questa visione delle cose, si torna a quello che si diceva prima, che si racchiude in pochi punti, in strumenti chiave di cui l’azienda deve dotarsi se vuole giocarsi la partita efficacemente. I tre strumenti principali sono: ● ● ●
una strategia di largo respiro in grado di reagire ai mutamenti del mercato; un efficace sistema di gestione del flusso di lavoro e di monitoraggio dei risultati; un team cross funzionale in grado di gestire il processo.
Il primo punto riguarda il management ed è il campo di gioco proprio dell’imprenditore, a cui spetta l’onere di costruire l’idea e il modello generale di business. Alla fine del percorso c’è il team, la vera chiave del successo di ogni progetto. Un team che può essere in house, affidato in outsourcing o in qualsiasi forma intermedia, l’importante è che contenga al suo interno tutte le skills necessarie agli obiettivi di business. In mezzo c’è l'elemento sicuramente più rilevante: un efficace sistema di gestione del flusso di lavoro e di monitoraggio dei risultati. Quì c’è da studiare, perché sulla ricerca del modello di gestione si è lavorato tanto. Le più grandi aziende del mondo hanno investito tempo e risorse, hanno sperimentato, valutato e ottimizzato, hanno individuato i punti cruciali e quelli deboli. Nessuno può affermare che siano sistemi “perfetti”, ma sicuramente sono la base dalla quale partire. Adesso useremo una serie di termini “strani”: Agile, Scrum, Kanban, XPM, tutti modelli di organizzazione aziendale, e, che vi piaccia o meno, l’analisi dei casi di successo e fallimento ci dice come uno dei fattori competitivi più rilevanti sia proprio il modello organizzativo. Tutte le Fortune 500, le aziende più grandi del pianeta, utilizzano questi approcci e le società di venture capital “impongono” alle start-up di a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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modulare in questo senso i flussi di produzione come condizione per finanziare i loro progetti. Inoltre, le aree del pianeta che hanno abbracciato la trasformazione digitale sono uscite dalla crisi. Le altre no. Ma alla fine tutto si riduce alla presa di coscienza che il digitale esiste, funziona ed è la strada del presente, non quella del futuro. E che è inutile guardarsi intorno. L’Europa è indietro, per stessa ammissione dell’Ecofin, l’Italia è indietro rispetto l’Europa e la Sicilia è indietro rispetto l’Italia. Smettetela di copiare chi è nella crisi fino al collo come voi. Guardarsi intorno non è soltanto inutile: è stupido. Oggi dobbiamo guardare avanti.
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Il futuro è alle nostre spalle Il titolo di questo paragrafo è la chiave di tutto. L’Europa ha ammesso di essere in ritardo tecnologico rispetto il mercato statunitense, un gap che ci costa qualcosa come 450 miliardi di euro l’anno, centesimo più centesimo meno. Pensiamo questo basti a dimostrare l’assunto iniziale: il futuro è alle nostre spalle. Anche i pochi che provano a guardare verso i nuovi modelli, si fermano spesso all’aspetto più appariscente: la tecnologia. Questo impedisce, di fatto, soluzioni reali perché abbiamo già sottolineato come la tecnologia non può essere un vero strumento competitivo; una volta sul mercato è un valore comune, non può creare differenze sostanziali se non nei rari casi di tecnologie proprietarie, brevettate o difficilmente replicabili. In parte (e in senso inverso) vale lo stesso per le difficoltà di scenario, quelle legate alle arretratezze ed alle storture del “sistema Paese”. Un problema comune rimane un problema, ma non può essere un vero fattore competitivo, nemmeno negativo, se comune ai competitor. Anzi, può anche diventare un fattore positivo, se si trova una soluzione. La vittoria di alcuni modelli ed aziende rispetto ad altri ha sicuramente una motivazione in parte tecnologica (o di scenario), ma il vero fattore competitivo è quello umano. Non inteso come singolo individuo, come eccellenza solitaria, ma come capacità di utilizzare efficacemente la capacità d’interazione tipica dell’essere umano. Ciò che serve è la nostra parte più ideativa, empatica e fantasiosa. Le cose “meccaniche” vengono svolte più efficacemente dalle macchine, e a costi inferiori. Se quello che ci serve è utilizzare la parte più “caotica” dell’essere umano, diventa indispensabile costruire un modello solido che “organizzi il caos” e lo trasformi in uno schema efficiente in grado di produrre risultati. Ovviamente, quando si sentono cose del genere il primo pensiero in molti è: ma questa è filosofia! La risposta è: SÌ, senza alcun dubbio! Ma a questa risposta va aggiunto come gran parte del management attuale delle Big Company esca dagli studi umanistici e di filosofia, piuttosto che da quelli prettamente economici. E nelle scuole di economia, per dirla tutta, non s’imparano le tabelline, ma si studiano filosofie dell’economia, modelli e sistemi teorici. Gli anni ‘90 hanno fatto nascere l’insana convinzione che bastasse il know-how per avere successo. Non è mai stato vero e le aziende nate davvero su questo presupposto sono state le protagoniste della più famosa bolla speculativa del secolo scorso. Il know-how, sapere come, è nulla senza il know-why, sapere perché. La soluzione ai problemi pratici va cercata negli approcci generali, trovando quelli che sono davvero in grado di essere efficaci sia a livello logico generale che nell’applicazione particolare. Qui parleremo del modello Agile, e per farlo partiamo dal “Manifesto”, la dichiarazione esplicita delle linee guida e dei pilastri che sostengono questa “filosofia”.
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Manifesto Agile Riteniamo importanti Gli individui e le interazioni più dei processi e gli strumenti Un prodotto funzionante più di una documentazione esaustiva La collaborazione col cliente più della negoziazione dei contratti Rispondere al cambiamento più che seguire un piano Ovvero, consideriamo più importanti le voci a sinistra, fermo restando il valore delle voci a destra.
I principi sottostanti al Manifesto Agile 1. La nostra massima priorità è soddisfare il cliente rilasciando prodotti funzionanti1 e di valore, fin da subito e in maniera continua. 2. Accogliamo i cambiamenti nei requisiti, anche a stadi avanzati dello sviluppo. I processi agili sfruttano il cambiamento a favore del vantaggio competitivo del cliente. 3. Consegnamo frequentemente prodotti funzionanti, con cadenza variabile da un paio di settimane a un paio di mesi, preferendo i periodi brevi. 4. Management e Team devono lavorare insieme quotidianamente per la durata del progetto. 5. Fondiamo i progetti su individui motivati. Diamo loro l'ambiente e il supporto di cui hanno bisogno e confidiamo nella loro capacità di portare il lavoro a termine. 6. Una conversazione faccia a faccia è il modo più efficiente e più efficace per comunicare con il team ed all'interno del team. 7. Un prodotto funzionante è il principale metro di misura di progresso. 8. I processi agili promuovono uno sviluppo sostenibile. Il management, il team e gli utenti dovrebbero essere in grado di mantenere indefinitamente un ritmo costante. 9. La continua attenzione all'eccellenza tecnica e alla buona progettazione esaltano l'agilità. 10. La semplicità - l'arte di massimizzare la quantità di lavoro non svolto - è essenziale. 11. Le architetture, i requisiti e la progettazione migliori emergono da team auto-organizzati. 12. A intervalli regolari il team riflette su come diventare più efficace, dopodiché regola e adatta il proprio comportamento di conseguenza.
Adattabilità ed empirismo. Abbiamo già detto come questi siano i binari dei nuovi modelli di gestione. Ma va sottolineato come Agile provi a coniugare la ricerca dell’eccellenza con la necessità di erogare continuamente prodotti funzionanti per rispondere alle esigenze immediate del cliente mentre si sta progettando la trasformazione futura..
Prodotto funzionante: con questo termine indichiamo qualsiasi intervento percepibile e misurabile che migliora lo status del cliente e lo avvicina sempre più, in maniera quantificabile, agli obiettivi generali. Nel modello Scrum viene considerato “Prodotto funzionante” un Incremento, cioè un corpo di lavoro "Fatto", ottenuto alla fine dello Sprint, che supporta l'empiricismo e quindi sia misurabile e percepibile. E' un passo verso una vision o un goal. 1
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Premessa ad Agile Prima di leggere il resto è importante dare una precisa chiave di lettura a queste pagine che sono costruite con uno specifico obiettivo: fornire i presupposti di massima per comprendere la necessità di cambiare registro e cominciare a pensare il mondo dell’impresa in maniera più simile a quella dei mercati vincenti. Abbiamo già detto che affronteremo un metodo di progettazione ed organizzazione del lavoro partendo dalla filosofia che lo ha generato, chiamata Agile. Malgrado il termine significhi esattamente quello che vuol dire anche in italiano, la sua radice è anglosassone e quindi la pronuncia corretta sarebbe agiail. O per chi conosce l’alfabeto fonetico, ˈædʒaɪl/. Questa dispensa apre una sorta di “trilogia” che comprende la Guida Ufficiale di ScrumTM, una traduzione della guida originale fatta dai rappresentanti di Scrum Italia, e la struttura progettuale del Modello NeXT, una revisione proprietaria, realizzata dalla Appleseed, di un sistema Agile per la progettazione a medio-lungo termine, basato su Scrum. Come vedrete meglio in seguito, Scrum non è un vero e proprio “metodo” per come lo si intende normalmente. Va considerato piuttosto un framework, un ambiente dove sviluppare approcci più operativi. Nel secondo allegato di questa dispensa, per giungere alla elaborazione del Modello NeXT, affronteremo le modalità operative che abbiamo “riscritto” per adattarle allo scenario economico circostante senza snaturarne le premesse. In queste pagine affronteremo soltanto marginalmente “come” questi modelli operino e quali trasformazioni impongono alle aziende. Definiremo piuttosto i “perché” della loro ineludibile attuazione, partendo dall’affrontare il primo ostacolo. Le aziende in difficoltà hanno paura a muoversi verso nuovi modelli, soffocati dalle emergenze, solitamente di natura economica, che li spingono verso una “fretta del fare” che è spesso inutile, se non deleteria. Di contro il problema esiste e nessuna strategia di lunga durata può funzionare se, nel frattempo, l’azienda fallisce per mancanza di economicità. Per questo il modello proposto punta ad integrare i processi di miglioramento aziendale con le funzioni operative in una logica di sviluppo incrementale. Si rilasciano continuamente release e prodotti che abbiano un valore e producono effetti immediati, anche in termini economici, sull’azienda. Le stesse azioni però, essendo inserite in una strategia generale, portano verso una trasformazione strutturale in senso moderno e collegato agli stravolgimenti della Digital Disruption. Questo permette di ottenere immediatamente riscontri economici e innescare una modifica progressiva, evitando all’azienda di subire uno shock da cambiamento. Si procede attraverso risultati successivi, incrementali e misurabili che la porteranno naturalmente ad adeguarsi al modello, piuttosto che forzare un’adesione che, senza convinzione, non sarebbe produttiva. Bisogna radicalmente cambiare approccio in diversi ambiti della visione e gestione dell’azienda. Essere agili significa avere un sistema pronto al cambiamento.
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L'unica costante è il cambiamento L’affermazione del titolo è sempre stata vera, ma oggi il cambiamento è diventato troppo veloce e imprevedibile per confinare questa frase all’interno dei meme da condividere su Facebook. In particolare se si gestisce un’azienda o un territorio. Prendiamo il dato più evidente: il cambiamento repentino della curva di crescita di un prodotto avvenuto negli ultimi anni. Questa rivoluzione ha un nome: Shark Fin.
Letteralmente significa Pinna di Squalo ed il perché emerge chiaramente guardando il grafico che ci racconta come il ciclo di vita di un prodotto non sia più una lunga guerra di trincea ma sia diventata una veloce e competitiva azione di guerriglia. Il motivo più intuitivo di questo cambiamento è sicuramente legato all’impatto dei social network. Come si vede dal grafico, la curva s’impenna quando Innovators ed Early Adopter2, segmenti di pubblico molto attivi e seguiti sul web, saturano la loro quota di mercato. In quel momento la comunicazione sui social relativa allo specifico prodotto esplode quasi naturalmente, facendo impennare la curva anche sopra le proprie possibilità e provocando subito dopo un calo quasi verticale. C’è molto altro, ma intanto prendiamo come dato di fatto i dati che emergono, che ci dicono come i mercati siano diventati: ● ● ●
Instabili Complessi Veloci
Questo se guardiamo il problema dal punto di vista del prodotto. Guardando con gli occhi del cliente verifichiamo come il cambio assoluto di paradigma legato alle nuove tecnologie in Early adopter ("utente precoce", a volte indicato come trendsetter) indica un utilizzatore di nuovi prodotti, di nuovi servizi o di nuove tecnologie subito prima della loro diffusione di massa. Tendono a comunicare sui social la loro scelta d’acquisto. 2
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ambito digitale, in particolare social e mobile, abbia cambiato anche un altro modello base del marketing: il percorso d’acquisto. Fino agli anni ‘90 il marketing tradizionale considerava tre momenti chiave: ● ● ●
lo stimolo, ovvero la comunicazione del prodotto il primo momento di verità (FMOT, First Moment Of Truth), ovvero la visualizzazione del prodotto il secondo momento di verità (SMOT, Second Moment Of Truth), ovvero la prova effettiva del prodotto
Il superamento di ogni singolo momento porta a quello successivo. Chiudendo il ciclo e superando il secondo momento di verità, il nostro cliente si trasforma in un Promoter, un utilizzatore soddisfatto del nostro prodotto che attirerà nuovi clienti, in particolare se si attuano delle precise strategie per valorizzare questo passaggio. Ma proprio uno dei Big Player della tecnologia, Google, ha individuato un altro e molto più interessante elemento: lo ZMOT, il momento zero di verità. In sintesi rappresenta quel momento, precedente alla scelta d’acquisto, durante il quale girovaghiamo sul web alla ricerca d’informazioni o, comunque, ci troviamo nelle condizioni più favorevoli per ricevere la proposta di uno specifico prodotto o di un contenuto. Sempre più spesso rappresenta l’attimo determinante del percorso d’acquisto dei nostri potenziali clienti.
In questo caso il versante tecnologico la cui evoluzione ha trasformato completamente lo scenario è chiaramente quella legata ai Big Data, alle tecniche di profilazione utenti ed ai sistemi d’intelligenza artificiale che attraversano questi ambiti. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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Questo trasforma i mercati in una versione quasi drammatica del vecchio “gioco della bandiera”. Lo ZMOT è il momento cruciale che innesca il percorso del cliente verso l’acquisto, ed è un momento definito nello spazio (digitale) e nel tempo. Chi lo conquista vince la partita, gli altri stanno a guardare. Uno scenario del genere rende tutto ancora più concitato; la competizione per la conquista dei clienti nei nuovi mercati è una lotta senza quartiere. E si gioca sul tempo di reazione a quello che accade in azienda e fuori dall’azienda. Il cuore di tutto rimane la pianificazione, ma non era pensabile che le vecchie metodologie di processo fossero adeguate a gestire i nuovi scenari. Abbiamo parlato di come “gestire il caos” dei processi ideativi e produttivi, ma quella era soltanto una parte del problema: il vero “caos” è quello dei nuovi mercati digitali. Le interazioni social, i numeri enormi del web, l’impatto delle nuove tecnologie, la profilazione degli utenti, la velocità dei mercati e delle tendenze e molto altra ancora sono elementi che dobbiamo saper trasformare in schemi leggibili per supportare decisioni efficaci e non soccombere alla concorrenza. La Digital Disruption3, lo abbiamo detto, ha reso i mercati instabili, complessi e veloci. In questo scenario prende forma l’approccio Agile, un approccio nato da un dato assolutamente empirico: il 70% dei progetti costruiti su tecniche di programmazione tradizionale (TPM4, Traditional Programming Management) non funzionavano più e, principalmente, non davano i risultati attesi. La domanda è stata subito: perché? E la risposta, tutto sommato, era semplice. Ragionare per obiettivi inamovibili e programmazione blindata non può funzionare se il mercato è diventato instabile e veloce. Questo ha spostato l'attenzione dal prodotto alla persona. Sin dalla prima applicazione, focalizzata sullo sviluppo software, la visione Agile ha puntato tutto sul mettere le persone e le loro interazioni al centro del processo produttivo. L’approccio ha funzionato bene sin da subito nell’ottimizzazione della produzione in team di software avanzati, ma il campo d’intervento si è subito allargato. Il modello si presta perfettamente ad integrare nel processo anche i dati provenienti dal mercato e, cosa più importante, integra lo stesso cliente all’interno del ciclo. Ed è proprio il cliente l’elemento che i nuovi modelli di marketing customer oriented considerano il più rilevante dell’intera catena di produzione e commercializzazione. La filosofia Agile è un approccio ai processi di produzione che si concretizza in una serie di applicazioni. Tra queste, noi abbiamo scelto Scrum e per raccontarlo partiamo dal nome, che spiega molto della logica operativa di questo modello. Lo scrum è la mischia iniziale tipica del rugby, il momento in cui i giocatori si riuniscono dopo un’interruzione e da quel punto procedono compatti portando la palla sempre in avanti, come prevedono le regole. Scrum è un modo di applicare la filosofia Agile e punta a facilitare i rapporti tra le persone del team e il rapporto del team con il cliente finale e le sue esigenze (percepite e non), tenendo presente i feedback del mercato.
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Digital Disruption: TPM, Traditional Programming Management: a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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Risulta interessante soffermarsi sull’analogia con il rugby: un team di persone con le qualità giuste ed una serie di schemi preordinati, la squadra, si riunisce per un attimo, lo scrum, la mischia, e si lancia verso l’obiettivo finale, la meta, sapendo ognuno quale sia il proprio ruolo e cosa deve fare. Ma, come nel rugby, quello che conta veramente non è giungere alla meta, ma conquistare terreno, migliorare costantemente la propria condizione, puntando alla meta finale attraverso incrementi successivi (la conquista delle yarde), piccoli passi più semplici da gestire di unica, interminabile e sfiancante cavalcata. La differenza è che nel rugby la meta è stabile e chiara. Nel business,proprio a causa del caos che attraversa i nuovi mercati movimentati dalla Digital Disruption, la meta, l’obiettivo cui puntare, può cambiare. E i dati ci dicono pure che cambia spesso. Il crollo dei modelli TPM sta tutto qui: la strada è spesso troppo rigida per i nuovi mercati. In un modello Agile si prende atto del cambiamento al primo scrum, alla prima riunione, e si modifica la strategia, con una ottimizzazione assoluta delle performances e un controllo più accurato dei costi e dei flussi di cassa. Ogni passaggio è stato codificato per gestire al meglio il flusso operativo e d’informazioni all’interno di una organizzazione e sta funzionando in vari campi, dalla programmazione, al copywriting, alla gestione di aziende e territori. Per archiviare, speriamo definitivamente, l’argomento per cui “i problemi sono altri”, vediamo alcuni dati che rappresentano fatti, non opinioni. Quello che vedete sotto è uno schema sviluppato dalla società Accenture che ha misurato il miglioramento nei processi e nelle risorse rilevato nelle aziende che hanno sposato i nuovi approcci.
Le differenze di performances, come si vede, sono enormi e deve essere assolutamente chiaro a tutti come non adeguarsi significa competere con una concorrenza che avrà sempre questi vantaggi competitivi. L’adeguamento è fatto di tecnologia e conoscenza, tutto questo deve necessariamente essere organizzato attraverso un metodo che risponda alle nuove dinamiche e consenta una velocità effettiva di adattamento al cambiamento, garantendo una misurabilità delle azioni e dei progressi per influenzare efficacemente le scelte del management. Se la tecnologia e la conoscenza sono il software che muove il nostro modello di business, la gestione del flusso di lavoro rappresenta sicuramente l’hardware. E nessun software, per quanto avanzato e performante, potrà mai funzionare efficacemente se l’hardware non è pienamente compatibile.
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A proposito di Scrum. Questa sezione vuole essere semplicemente una premessa alla guida ufficiale di ScrumTM, perché riteniamo importante abbracciare la filosofia generale di questo modello prima di comprenderne le dinamiche, fortemente basate sull’empirismo, sulla valutazione pratica e tangibile di progressi e successi, ma anche sull’analisi approfondita dei rallentamenti e dei fallimenti, insieme alle cause che li hanno generati. Sul versante prettamente organizzativo, Scrum si basa su team cross funzionali. Non è una possibilità, è una precondizione. I team cross funzionali sono gruppi di lavoro dove le competenze sono condivise, privilegiando il modello conosciuto come formazione a T5.
Il modello è ben noto e prevede che ogni soggetto abbia conoscenze generiche di tutta la knowledge base6 del team e sia fortemente specializzato in uno degli aspetti. Le competenze generali devono consentirgli di potere comunicare, esprimere pareri, collaborare al project management. Le competenze specifiche devono consentirgli di analizzare profondamente uno degli aspetti e di trovare soluzioni ai problemi e alle richieste. Il team, inoltre, è assolutamente orizzontale, senza posizioni dominanti, pena il fallimento del sistema. Dimenticate le tradizionali linee gerarchiche ed i sistemi command&control7. 5
Formazione a T | T-skills: Nella competenza “a T” La linea verticale della T rappresenta la profondità delle competenze e delle esperienze in uno specifico settore, mentre la linea orizzontale rappresenta l'abilità di collaborare con esperti di altre aree, e di usare in modo appropriato concetti propri degli altri settori. 6 Knowledge base: base di conoscenza di interesse aziendale. Si propone l'esplicita conoscenza di una organizzazione, inclusa quella che può servire alla risoluzione dei problemi, e concerne articoli, rapporti, manuali per gli utenti ed altro. Una base di conoscenza dovrebbe rispettare una ben progettata struttura di classificazione, osservare (pochi) determinati formati per i contenuti e disporre di un motore di ricerca. 7 command&control: Le funzioni di comando e controllo sono eseguite attraverso la gestione di personale, attrezzature, comunicazioni, strutture e procedure utilizzate da un comandante nella pianificazione, direzione, coordinamento e controllo delle forze e operazioni nella realizzazione della missione. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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L’immagine che vedete sopra illustra velocemente come si svolge un progetto Agile: il management elabora una strategia e fa delle richieste al Team operativo. Le richieste (Request) possono essere di sviluppo e produzione o, magari, relativi a dati e report sul mercato. Il Team processa la richiesta rilasciando quello che vengono chiamati MVP, Minimum Viable Product, letteralmente prodotto minimo funzionante. Questo può essere un sito web, una pagina Facebook, una campagna di comunicazione o anche una specifica features che serva a raggiungere gli Obiettivi prefissati ed a soddisfare le Request del Management in tempi certi e predefiniti. Una visione più dettagliata del processo fa emergere come la logica sia quella di “spezzettare” il problema per renderlo più affrontabile, all’interno di un framework generale che consenta di mantenere sempre solida la visione d’insieme.
Contestualmente, questo sistema genera continuamente dati ed informazioni attraverso le quali il management può effettuare correzioni di rotta quando cambia lo scenario. Per intervenire Just-In-Time piuttosto che Just-In-Case. L’utilizzo di questi modelli porta, però, a rivedere totalmente alcuni approcci. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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Partiamo da un aspetto marginale che, invece, rappresenta spesso uno degli ostacoli maggiori nell’applicazione efficace di una qualsiasi metodologia Agile. Quando si affronta un problema, siamo portati ad associargli immediatamente una soluzione. Se vogliamo, ad esempio, contattare tutti i nostri clienti per comunicare un nuovo prodotto, solitamente il nostro pensiero è qualcosa come “inviamo una newsletter”, oppure “facciamo una campagna”, o cose del genere. Questo approccio non tiene conto delle infinite possibilità del mondo digitale, possibilità che possono essere esplorate efficacemente soltanto da chi ha specifiche competenze. Il discorso vale per tutte le cosiddette hard skills, le componenti verticali della formazione “a T”, ma i nuovi scenari digitali lo rendono un concetto assoluto. Per usare efficacemente la tecnologia dobbiamo guardare alla prossima rivoluzione, non all’attuale scenario. Un approccio che va supportato da competenze adeguate. Per questo motivo è necessario dividere ruoli e competenze: il management deve dipingere l’esigenza, il team deve trovare la migliore soluzione. Questo modello ha un nome: User Stories, le storie dell’utente. Ne parliamo diffusamente illustrando il metodo NeXT e dedichiamo un'intera dispensa di NETT Economy all’argomento (Il Product Owner, l’uomo delle Storie). Qui ci basta dire che le Storie sono il racconto di un esigenza da trasferire al Team operativo. Seguendo l’esempio di prima, l’esigenza è “contattare i clienti” mentre la Storia sarà scritta dal Team, individuando gli strumento migliori per raggiungere l’obiettivo e soddisfare la Request. Usiamo il termine Request (richieste) proprio per sottolineare come il management ponga problemi e delinei obiettivi, mentre tocca al Team trovare le soluzioni, visto che al suo interno c’è il mix di competenze più efficace per scegliere la migliore opzione. Un’altra delle chiavi principali per la buona riuscita di uno Scrum è la corretta definizione di “Fatto”. Detta così sembra quasi una banalità, un semplice modo “markettaro” per dire che le cose vanno fatte, ma entrando all’interno dei meccanismi comprenderete come il motivo di queste definizioni apparentemente capziose sia empirico: una cattiva definizione dei vari momenti di un processo, e principalmente la sua fine, crea dei loop infiniti che rallentano il processo e generano un consumo irrazionale di risorse, rendendo vano tutto il resto.
Scrumban Nella elaborazione del modello NeXT siamo partiti da Scrumban, un framework che prova a prendere il meglio di due approcci (Scrum e Kanban8), e che viene largamente utilizzato per la gestione di processi complessi dove è difficile giungere ad una definizione preliminare affidabile di tutte le necessità legate al prodotto. In Scrumban, il lavoro di squadra è organizzato in piccole iterazioni e monitorato con l'aiuto di una scheda visiva.
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Kanban: termine giapponese che letteralmente significa "insegna", indica un elemento del sistema Just in time di reintegrazione delle scorte mano a mano che vengono consumate. Oggi viene usato in termini più ampi per indicare sistemi simili di gestione del flusso produttivo di un team. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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Al centro ci sono le riunioni di pianificazione durante le quali vengono determinate le Storie Utente da completare nella successiva iterazione. Vengono anche analizzati i feedback e interni ed esterni, costruendo report da affidare al management.
Le iterazioni Con il termine iterazione s’intende un ciclo ripetuto per un numero indefinito di volte. Nella logica Agile ogni iterazione deve rilasciare prodotti e considerazioni sul prodotto stesso e sul processo di produzione, con l’obiettivo di migliorare il prodotto e le performance in ogni ciclo. Le iterazioni di lavoro in Scrumban (chiamate Sprint) sono tenute corte per adattarsi e cambiare il proprio corso d'azione in un ambiente in rapida evoluzione. La lunghezza dello Sprint è misurata dal numero di storie utente che s’intende realizzare e dalla velocità della squadra (la quantità di storie che il team può processare).
Pianificazione su richiesta La pianificazione in Scrumban si basa su cicli iterativi, ma può essere influenzata dalle modifiche di scenario, interne o esterne all’azienda. In questo caso, oltre ai momenti di pianificazione prestabiliti con le riunioni canoniche, viene avviato un altro momento di pianificazione intermedio, ma che si verifica soltanto quando il numero di task rimasti nella sezione To Do, la lista delle cose da fare, scende sotto un certo numero e, quindi, si comprende di avere tempo e/o risorse a disposizione per svolgere altre task. Le attività pianificate per la prossima iterazione vengono aggiunte alla sezione "To Do" del tabellone, assegnando un ordine di priorità durante l'evento di pianificazione per aiutare i membri del team a sapere quali attività devono essere completate per prime e quali possono essere completate in seguito. a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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Il Product Owner Dopo questa spiegazione sommaria dell’approccio Agile e del metodo Scrumban, entriamo nel dettaglio su un elemento centrale di questo ciclo, in particolare per comprendere meglio le prossime pagine, dove affronteremo come Appleseed utilizza i modelli appena descritti nel rapporto con il cliente. In questo ambito diventa importante la figura del Product Owner. Con questo termine viene definito un preciso elemento del Team che rappresenta le esigenze del progetto e, genericamente, il collegamento quotidiano con il management. Ma nel caso del modello Appleseed rappresenta principalmente il punto di collegamento con il cliente. In contratti particolarmente impegnativi è possibile che il cliente sia esso stesso, o deleghi un suo collaboratore, a ricoprire questa figura. Dedicheremo un’intera dispensa a definire compiti, poteri e ruoli del Product Owner, considerata la sua importanza all’interno di ogni processo Agile e, in particolare, nell’approccio Appleseed. Adesso ci limiteremo a tracciarne gli ambiti e gli aspetti più rilevanti. Il Product Owner ha a sua disposizione un sistema di assegnazione di tempi e risorse del Team, chiamato Punti Storia, che viene illustrato dettagliatamente sia nella dispensa dedicata al modello NeXT che al manuale specifico (Il Product Owner: l’uomo delle Storie), Questo sistema gli consente di definire priorità e obiettivi e assegnare risorse all’interno di uno Sprint, il ciclo minimo di realizzazione operativa. Spetta a lui valutare l’ordine di priorità nello Sprint corrente, o l’eventuale posticipazione in un altro Sprint, di ogni singola azione, ma anche la valutazione finale di Fatto, le condizioni, cioè che soddisfano il cliente nella costruzione dello strumento o della feature. Malgrado in una logica Agile i ruoli siano assolutamente orizzontali, il Product Owner ha una importanza strategica davvero rilevante. Deve avere competenze estremamente ampie, dalla comprensione generale degli strumenti a disposizione a una conoscenza approfondita di ogni singolo aspetto del Prodotto e dell’Azienda produttrice. Inoltre rappresenta la presenza costante del management all'interno dei cicli produttivi, come previsto dal manifesto Agile, ed è l’artefice principale del processo di trasformazione aziendale. Il ruolo può essere svolto dall’imprenditore o da un suo delegato di massima fiducia, ma è assolutamente necessario un breve periodo di formazione specifica sui modelli Agile e sui compiti specifici per assicurarsi una corretta gestione dei flussi operativi e dei dati di ritorno. Il Product Owner, infatti, è anche il responsabile della trasformazione dei dati raccolti all’interno degli Sprint in report comprensibili da affrontare nelle Sprint Review, le riunioni finali di ogni ciclo, e da trasferire al management per le decisioni strategiche.
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La Vision board Quello che proveremo a delineare sommariamente è lo strumento iniziale di ogni processo produttivo condotti con metodi Agile all’interno dell’approccio Appleseed. I modelli al centro dell’approccio Appleseed si basano tutti sulla chiarezza degli Obiettivi, ma è proprio lo stesso modello di controllo che si attua nei cicli iterativi si basa su questo: una definizione poco precisa o addirittura errata degli obiettivi settati dal management avrebbe conseguenze estremamente gravi su tutto il progetto. Questo comporta la necessità di non saltare subito all’esecuzione, bensì dedicare tempo alla formulazione della strategia, fino a definire il percorso verso gli obiettivi prefissati.Diventa necessario e preliminare definire una vision aziendale che nasce dalla risposta ad alcune domande fondamentali: ● ● ● ● ● ●
Chi sono gli utenti? Per quale motivo potrebbero essere interessati ad usare il prodotto? Perché dovrebbero comprarlo? Che cosa rende unico il prodotto? Quali sono le caratteristiche chiave?. Quali sono gli obiettivi di business?
Per guidarci nella risposta a queste domande Roman Pichler, Product management expert, autore di “Strategize” e “Agile Product Management with Scrum”, ha elaborato un tool semplice e potente che può essere applicato in svariati ambiti: la Product Vision Board, una semplice tabella divisa in 5 aree:
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La Product Vision Board è un punto di partenza e traduce l’idea iniziale in una strategia che contiene delle ipotesi che vanno verificate empiricamente, attraverso un esame approfondito di quali siano le principali assunzioni fatte all’inizio del percorso e i possibili rischi legati ad una valutazione errata. Mettendoli in ordine di priorità (per esempio in base alla gravità dell’effetto che possono produrre) si può procedere con la fasi di testing che deve prevedere soluzioni automatiche, basata su dati certi e misurabili, unite ad interviste ad utenti e clienti. Le domande a cui risponde la PVB sono le seguenti: ● ● ● ● ●
La visione aziendale (vision) Qual è lo scopo del prodotto? Quale cambiamento positivo dovrebbe comportare? I mercati di riferimento (target) Quale mercato o segmento di mercato raggiunge? Chi sono clienti e utenti target? I bisogni che il prodotto soddisfa (needs) Quale problema risolve il prodotto? Quale vantaggio fornisce? Le caratteristiche chiave del prodotto (product) Che prodotto è? Cosa lo distingue? È fattibile sviluppare il prodotto? Gli obiettivi di business (goals) In che modo il prodotto andrà a beneficio dell’azienda? Quali sono gli obiettivi aziendali?
La Product Vision Board è sostanzialmente un cartellone sul quale incollare immagini e/o scritte che ci ispirano e che rappresentano ciò che desideriamo ottenere. Serve come una sorta di bussola, perché ci mostra dove vogliamo andare e quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere. Funziona così. Per ognuna delle colonne ci si pone una serie domande e si risponde attraverso frasi secche, di poche parole, che raccolgono il concetto in non più di 3-4 termini. O anche con una immagine che chiarisca immediatamente il concetto. E’ bene tenere la vision board in bella vista, per averla sempre sotto gli occhi come ispirazione, ma anche per effettuare continue modifiche ed aggiustamenti. Il nostro cervello non funziona bene se ha di fronte possibilità illimitate. Questo è il motivo per cui viene suggerito sempre di fare la vision board su un cartellone, dove lo spazio è limitato, e non in digitale. La creatività ha bisogno di restrizioni per funzionare efficacemente. Quando ci poniamo dei limiti (fisici, come in questo caso) ci focalizziamo su ciò che è veramente importante. Quando decidiamo di riempire uno spazio circoscritto, selezioniamo le immagini e i termini che davvero contano per noi, e solo quelle. Lo spazio limitato ci permette di fare scelte, e questo piace un sacco al nostro cervello che si concentra su cosa è importante, trovando il modo di arrivare lì, dove desideriamo davvero. Nell’approccio Appleseed, la Vision Board è il primo documento che viene compilato, insieme al cliente, subito dopo la stipula del contratto. Insieme a un altro documento, la Scheda Cliente, rappresenta la roadmap delle fasi operative iniziali. Durante queste fasi, la Vision Board viene costantemente aggiornata e modificata sulla base dei feedback ricevuti nelle fasi operative. Per comporre la PVB, il Team si rifarà ad uno strumento base della fase di Intervista, il primo passo dell’approccio Appleseed. Si tratta di un set di domande studiate per raccogliere le a ppleseed. agenzia di marketing digitale
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informazioni essenziali anche se il cliente non possiede le necessarie competenze di marketing e gestione dei processi aziendali di nuova concezione per elaborare correttamente il quadro generale e le possibili applicazioni operative. Le risposte alle Domande Chiave consentono al Team di incasellare correttamente obiettivi, target e goal all’interno degli strumenti di pianificazione. Ultimata la fase preliminare e arrivati al Rilascio Finale, sarà la versione ultima della Vision Board a rappresentare la base degli strumenti derivati, Piano Marketing e Calendario Editoriale. Questi strumenti, in realtà, derivano a loro volta da quello che rappresenta il modello caratterizzante dell’approccio Appleseed e che viene costruito direttamente sulla Product Vision Board finale. Lo abbiamo chiamato NeXT.
Il modello NeXT Nell’applicazione dei nuovi modelli troverete sempre dei passaggi dei quali vi può sfuggire l’importanza perché, inseriti nel contesto culturale e mentale dei vecchi modelli di business, sembrano quanto meno secondari o collaterali. Ma se i vecchi modelli sono crollati è anche perché non consentivano di individuare correttamente priorità e linee di processo. Pensiamo sia giunto il momento di provare approcci che, se per noi hanno ancora il sapore dell’innovazione, nei territori economicamente più avanzati sono assolutamente sedimentati e comuni. E stiamo parlando dei territori e delle aziende che stanno vincendo, per intenderci. Noi abbiamo fatto nostro questo approccio elaborando, sulla base dei modelli Kanban, Scrum e Scrumban, un approccio globale che prova ad unire le esigenze della programmazione di medio-lungo termine con il modello Agile, focalizzato sulle iterazioni a breve termine. Questo modello ha un nome: NeXT, che sarebbe l’acronimo di Nested eXtreme Timeline, letteralmente timeline estrema nidificata. Il nome è un richiamo all’eXtreme Programming Management, mentre il Nested (nidificato) si riferisce al sistema di suddivisione degli Obiettivi in Task operative ed alla “nidificazione” di timeline basate su archi temporali diversi che vanno dalla progettazione globale pluriennale fino allo Sprint bisettimanale, passando per una serie di modelli di 12, 6 e 3 mesi, chiamati Basket. Il modello è sinteticamente illustrato in un’altra dispensa, dove viene illustrato l’approccio Appleseed rispetto la progettazione aziendale interna e verso il rapporto con i clienti per lo sviluppo dei loro progetti. Un approccio che, ovviamente, si basa sull’applicazione completa del modello NeXT.
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