numero 1 - maggio 2017
NETT Economy è un progetto di formazione e informazione digitale creato da
appleseed
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IMMAGINI E NUMERI
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PRIMO PIANO
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AGENZIA DI MARKETING DIGITALE
in collaborazione con: MAIN PARTNER Assindustria Trapani ManPower GlobalCom Multi Erice srl Unisom, consorzio universitario PARTNER TECNICI Duotek
NETT Economy Magazine n° 1 - Maggio 2017 Direttore editoriale Franco Mennella Editore Appleseed srls Stampato da
L’infografica Chi ha paura del piano marketing? TIPS & TRICKS
Tutta la verità FOCUS
THE ITALIAN CONNECTIONS Lo sviluppo condiviso Il network che non ti aspetti Si fa presto a dire social Il migliore brand? Se stessi! Il Flex Shopper
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COMUNICAZIONE AZIENDALE
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L’INTERVISTA
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NEWS
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IMPRESA GIOVANE
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COMMUNITY
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DOMANDE E RISPOSTE
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L’impresa responsabile L’unica strada è il turismo Pronto, chi viaggia? In scena l’economia digitale Tutti insieme appassionatamente A volte basta chiedere GLOSSARIO
Ma che Ctr hai?
MAIN PARTNER
L’Editoriale Presentiamo gli obiettivi e anche un po’ la genesi di una rivista che vuole essere qualcosa in più di uno strumento d’informazione.
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envenuti. Quello che vi trovate tra le mani è qualcosa in più di un magazine. È un progetto. Per spiegarlo partiamo dal nome: NETT Economy, dove NETT rappresenta l’acronimo di Non È (mai) Troppo Tardi, un omaggio alla trasmissione della Rai ideata e condotta dal maestro Manzi che, negli anni ’60, diede una spinta a favore della lotta all’analfabetismo, in quegli anni una vera piaga sociale. Con questo penso sia palese lo scopo educativo alla base di tutto questo. Un progetto, dicevamo, e non è nemmeno particolarmente nuovo. Quindi vi racconto la storia, che è anche un po’ la mia storia, almeno degli ultimi anni. Intorno al 2006, dopo oltre vent’anni di ininterrotta professione giornalistica mi rendo conto che quel lavoro non mi piaceva più. Cambio strada e guardo verso Internet, ma lo faccio alla mia maniera. Piuttosto che concentrarmi su come utilizzare il web, parto da un’analisi più approfondita su come funziona e, principalmente, su cosa puntava a diventare in futuro. Ma quello che allora era il futuro, oggi è il presente. O forse il passato prossimo. Nel frattempo, quelle che erano opportunità, adesso sono diventate emergenze. Nelle altre pagine di questa rivista e sul sito www.netteconomy.it troverete spiegazioni su quella che all’epoca dei fatti era un’intuizione e portava già ad una inevitabile conclusione: per sviluppare realmente un sistema di aziende è necessario e preliminare fare crescere l’intero territorio.
franco mennella Su questa base cominciai ad elaborare un progetto che fosse di natura territoriale e lo presentai alla politica. Arrivai a ottenere una partecipazione della Provincia regionale e della Camera di commercio. Collaborazione che si racchiuse in un mero contributo economico, quando la necessità era quella di una partnership più ampia, che avesse un valore strategico. Fallita questa strada provai a coinvolgere il mondo dell’associazionismo di categoria, ma anche in quel caso non si arrivò a comprendere l’obiettivo, probabilmente per una eccessiva focalizzazione sugli obiettivi personali ed aziendali rispetto quello generale. Arrivo fino a quella che doveva essere la base di partenza, un evento, il primo nato con una logica di condivisione, dove a costo minimo per il Comune sono state organizzate due settimane costellate da oltre 200 microeventi. Si chiamò Festival del Vento e doveva rappresentare l’inizio. Invece rappresentò la fine per uno sfilacciamento del gruppo, anche in questo caso per l’eccessiva impazienza di raccogliere i frutti di un progetto che, essendo strategico, necessitava di tempi diversi. Ho fatto anche altri tentativi, ma il fascino dell’idea scemava quando si comprendeva che c’era da lavorare. E da progettare. Ma a volte s’incontra il gruppo giusto, che condivide l’idea ed il progetto prende vita perché, come dice un proverbio africano, se un uomo sogna è solo un sogno, se sognano in molti è la realtà che comincia.
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IMMAGINI & NUMERI
L’infografica Un’immagine vale più di mille parole. E l’immagine che vedete sulla destra racchiude quanto bisogna sapere sullo sviluppo dell’e-commerce in Italia. Dati interessanti per una provincia dove si producono diversi beni e servizi unici che possono trovare un nuovo sbocco sui canali digitali, annullando quella marginalità geografica che, da sempre, è la condanna economica del territorio. I numeri ci dicono che siamo poco sotto la media europea e il trend è in crescita. Ma il punto non è soltanto il vero e proprio commercio online. Esiste ancora una fetta di pubblico per cui affidare i dati della propria carta di credito a uno sconosciuto rimane un problema. Inoltre c’è ancora poca dimestichezza con le formule alternative (carte prepagate, bit-coin, portafoglio elettronico, ecc...). Ma questo non ci porta fuori dal mercato digitale considerato come il 70% degli utenti s’informa online anche per acquistare fisicamente in un negozio. Una tabella interessante è quella relativa alle differenze nazionali sui desideri del cliente rispetto alle modalità di acquisto online. La prima riflessione è che per affrontare mercati diversi bisogna considerare esigenze e culture diverse. Emerge con chiarezza, comunque come l’attenzione verso gli utenti è il vero motore della fidelizzazione. La grande infografica nella pagina a sinistra, invece, ci racconta un’altra, importantissima, storia. L’immagine racconta come funziona realmente Google, il principale motore di ricerca al mondo ed il più grande player del mercato digitale. Cosa succede in quelle frazioni di secondo che passano da quando inseriamo i nostri termini nella casella di testo a quando si compone la pagina dei risultati? Conoscere questo meccanismo ci fa comprendere una cosa essenziale: quando effettuiamo una ricerca non “spulciamo” realmente il web, ma cerchiamo all’interno di un database che Google ha creato leggendo le nostre pagine web. Questo porta ad una conclusione inevitabile: non conta quello che scriviamo noi, ma quello che capisce Google. Pensateci bene quando affidate le vostre pagine ad un tecnico smanettone.
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Chi ha paura del piano marketing? Abbiamo località incantevoli e uniche, una enogastronomia riconosciuta come eccellenza e una storia millenaria. Ma allora come facciamo a non fare turismo?
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a prima cosa di cui parleremo è la redazione di un piano marketing. E questo ci porta inevitabilmente alla prima domanda. Perché dovremmo elaborare un piano marketing? La risposta è semplice: perché è l’unica strada che può garantire lo sviluppo. Ogni azienda che vuole competere sul mercato sa che deve pianificare le proprie azioni, condurle a una strategia generale da perseguire in ogni aspetto. Questo diventa ancora più evidente se al posto di un’azienda mettiamo un territorio che, così come una grossa azienda corporate, è sicuramente troppo ampio per gestire in maniera “intuitiva” i flussi d’informazione, le azioni delle diverse componenti e le risposte dei suoi mercati. Ancor più perché molte componenti (le aziende private, i singoli cittadini, ecc…) sfuggono totalmente a un controllo diretto. Elaborare, diffondere e “difendere” una strategia complessiva è l’unica strada percorribile per rendere un territorio competitivo.
Conoscere, pianificare, agire. La sfida dei mercati digitali non consente improvvisazione o pressapochismo. La competizione è senza esclusione di colpi. Ma poi bisogna conoscerli, questi benedetti mercati. I numeri sono cresciuti in questi anni. La nostra “clientela” non è più di prossimità da molto tempo e la nostra esperienza imprenditoriale non può materialmente essere in grado di rappresentare la complessità di un mercato globalizzato. In particolare se parliamo di settori articolati come quello turistico, dove il lato “emozionale” è sicuramente molto forte. L’emotività s’intreccia fortemente con i dati culturali di un territorio, i desideri
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sono strettamente connessi agli stili di vita e agli impianti sociali di ogni singola nazione o, meglio, di ogni singolo territorio. È un gioco con troppi giocatori per basare la gestione di una iniziativa imprenditoriale soltanto sulle intuizioni personali e sull’esperienza maturata nel proprio campo. Parlando di gioco, il primo tavolo è Internet. Dalle nostre parti, però, siamo lontani da un utilizzo consapevole ed efficace della Rete. Il problema, contrariamente a quanto si pensa, non sono le conoscenze che mancano ma quelle errate che ci sono. Per questo, il primo passo è accettare l’idea che ci stiamo muovendo in un territorio nuovo, che segue regole poco o per nulla mutuate dai suoi predecessori, i media tradizionali. È cambiato sostanzialmente tutto e provare a spingere “a forza” vecchi concetti in nuovi paradigmi è una prova di scarsa intelligenza territoriale. Partiamo da un dato. Non è possibile conoscere con esattezza quante pagine web esistano al mondo, ma limitandoci a quelle presenti nei principali motori di ricerca si arriva a un numero che oscilla fra i trenta e i cinquanta miliardi. Va però precisato come le pagine raggiungibili dai motori di ricerca siano solo una piccola percentuale delle pagine web esistenti al mondo. Ci sono intere praterie digitali assolutamente sconosciute, il cosiddetto deep web. Se si tiene conto anche di queste informazioni il numero di pagine è stimato in almeno mille miliardi e la differenza rispetto alle pagine indicizzate è il cosiddetto “web invisibile”. Senza scomodare i mille miliardi complessivi, basterà concentrarci sui 50 miliardi di pagine recensite dai motori di ricerca per entrare in argomento. Pensare che la semplice realizzazione di un sito,
l’apertura di una pagina Facebook o l’inserimento di un contenuto sul web abbia un qualche peso all’interno di questi numeri dimostra una sostanziale ignoranza dell’ambiente nel quale ci stiamo muovendo. Non parliamo di un telefono più complicato, ma di un ambiente comunicativo totalmente nuovo, basato sulle interrelazioni e sulla comunicazione uno-a-uno, diversa nel concetto e nei modi dalla comunicazione uno-a-molti, tipica della veicolazione old media.
La “qualità del messaggio” (che ovviamente rimane un parametro importante) diventa assolutamente secondaria rispetto la “qualità della veicolazione”. Gran parte del nostro problema d’interpretazione dei tempi è dato dal nostro “retaggio televisivo”. La televisione ha un numero “finito” di opzioni. Anche dopo lo switch-off e la sedimentazione della tv digitale, i canali si contano, al massimo, in centinaia. Lo stesso possiamo dire dell’editoria su carta. Niente a che vedere con i numeri a 10 cifre che interessano il web. Eppure si continua a pensare ad Internet come una soluzione evoluta della Tv. In particolare quando parliamo di comunicazione. L’attenzione è tutta puntata, nella migliore delle ipotesi, sulla costruzione del messaggio e sulla sua efficacia: un bel logo, un buon claim, una interessante campagna. Avere affrontato e risolto questi aspetti fa ritenere di avere risolto il problema. Ma provate a sciogliere un cucchiaio del migliore sciroppo di frutta che riuscite a preparare in un silos da 100 mila litri d’acqua. Pensate di riuscire ancora a sentirne il sapore? Andiamo avanti e inseriamo un altro elemento di diversità tra vecchi e nuovi media, partendo da un semplice e condivisibile assunto: conoscere bene il proprio interlocutore è il modo migliore per definire il messaggio o il prodotto. Usando tv o giornali (e, in generale, tutti i media “unidirezionali”) possiamo contare su una cono-
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scenza molto approssimativa del pubblico al quale ci rivolgiamo. Certo, esistono “prodotti di nicchia” anche nel mercato degli “old media”, basti pensare ai programmi o alle riviste fortemente specializzate. Ma in realtà potremo avere un quadro, comunque approssimativo, soltanto dopo la diffusione del messaggio stesso e soltanto attraverso un’analisi professionale e attenta dei feedback. Sul web è diverso. In particolare da quando si sono inseriti due elementi nuovi: i social networks e gli UGC, un acronimo che ha trasformato tutto. Significa letteralmente user generated contents e, cioè, contenuti generati dagli utenti. Il cambiamento è stato tale che si è creato un nuovo termine, internet 2.0, proprio per sottolineare come si tratti di un nuovo paradigma di comunicazione. Il Web 2.0 è un'espressione utilizzata per indicare uno stato dell'evoluzione del World Wide Web, rispetto a una condizione precedente. Si indica come Web 2.0 l'insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono un elevato livello di interazione tra il sito web e l'utente come i blog, i forum, le chat, i wiki, le piattaforme di condivisione di media come Flickr, YouTube, Vimeo, i social network come Facebook, Myspace, Twitter, Google+, Linkedin, Foursquare, ecc. ottenute tipicamente attraverso opportune tecniche di programmazione Web e relative applicazioni web afferenti al paradigma del Web dinamico in contrapposizione al cosiddetto Web statico o Web 1.0 (Wikipedia). Occhio all’ultimo passaggio. La trasformazione da 1.0 a 2.0 si basa su una semplice contrapposizione: staticità contro dinamicità. Questo comporta come le strategie di web 1.0, centrate fondamentalmente sulla semplice presenza e sulla
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diffusione unidirezionale d’informazioni, siano le stesse degli old media. E hanno le stesse controindicazioni. Il cambiamento non è quindi “stare” o “non stare” su Internet ma conoscere e utilizzare questo nuovo quadro di comunicazione in maniera corretta e, principalmente, cosciente. Cominciamo dicendo come il centro di tutto, nella comunicazione 2.0, non sia più il messaggio. E nemmeno il prodotto. Almeno non lo sono nel senso tradizionale del termine. Il centro di tutto è quello che viene definito engagement, un termine che definisce la capacità di relazionarsi con i propri utenti e che letteralmente può essere tradotto anche come “fidanzarsi”. Non si tratta soltanto di “dire” qualcosa al proprio utente ma di conoscerlo in maniera approfondita, capirne necessità e desideri per offrirgli, nei modi e tempi dovuti, quello di cui ha bisogno. Proprio come con il partner...
Il cambiamento non riguarda soltanto la creazione del messaggio, ma la stessa rete di relazioni tra chi parla e chi ascolta, generando una vera rivoluzione rispetto ai media tradizionali. I grandi numeri che citavamo prima, inoltre rendono il tutto totalmente discriminante: in un mercato di tali dimensioni: chi non si adegua è destinato a essere marginalizzato progressivamente e alla fine ad uscirne letteralmente. L’engagement, come il fidanzamento, non può quindi essere un’azione “finita”, che abbia, cioè, un avvio e una conclusione identificabile. È un processo costante basato sulla lettura dei segnali (in particolare quelli definiti come social signs) e il conseguente adeguamento della nostra comunicazione. Ma non può nemmeno basarsi esclusivamente su questo. Per avere una “storia da week-end” puoi anche basarti solo sul tuo aspetto e sulla parlantina (comunicazione). Se però vuoi fidanzarti sul serio è necessaria una reale concretezza e avere qualcosa da offrire. Qualcosa realmente desiderata dal tuo interlocutore. In una semplice parola, devi avere un prodotto. E in questa babele di vecchie e nuove parole è il momento di rispolverarne una non proprio nuovissima: mar-
Gli sforzi e il coraggio non sono abbastanza senza uno scopo ben preciso e una direzione da seguire John F. Kennedy
L’indice di maturità digitale definisce il grado di competenze digitali e il livello d’uso delle nuove tecnologie all’interno di un territorio. Il grafico a destra evidenzia con molta chiarezza una diretta corrispondenza tra la maturità digitale di un’area e la crescita del PIL pro-capite.
keting. Lo facciamo partendo dal significato reale, non da quelle assonanze con la comunicazione che, dalla fine degli anni ’90, hanno stravolto il termine, rendendolo quasi un sinonimo di “pubblicità”. Leggiamo una delle definizioni più adottate, quella data da Philip Kotler nel 1967: Il marketing è quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotti e valori. È l’arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un prodotto. Allarghiamo il campo con un’altra definizione, questa volta elaborata e diffusa dalla prestigiosa American Marketing Association: Il marketing è il processo che pianifica e realizza la progettazione, la politica dei prezzi, la promozione e la distribuzione di idee, beni e servizi volti a creare mercato e a soddisfare obiettivi di singoli individui e organizzazioni. In entrambe le definizioni viene utilizzato il termine processo. Questo perché il marketing non consiste in una singola azione (ad esempio la vendita) o strumento (ad esempio la promozione del prodotto/servizio), ma è un insieme di attività finalizzate al raggiungimento di un obiettivo.
Il marketing è l’insieme delle attività intraprese dall’azienda per soddisfare bisogni attraverso processi di scambio ottenendone un utile. Chiarita la definizione di base, va aggiunto come oggi questo termine deve contenere anche i concetti di ascolto, comunicazione, creazione di valore e di relazione. Non è solo un processo manageriale, ma anche un processo sociale, basato sulla relazione tra chi vende e chi acquista. Rappresenta l’insieme di tutte le attività volte a promuovere valori e soddisfare i desideri e i bisogni delle persone e dei mercati. Fare marketing significa quindi ascoltare, interagire, trasmettere valore e comunicare con i clienti (coloro che comprano i prodotti/servizi) e consumatori (coloro che utilizzano i prodotti/servizi), studiarne i bisogni e le preferenze per soddisfarli nel modo migliore, instaurando una relazione duratura e proficua per entrambi (azienda e consumatore). Come abbiamo già sottolineato, c’è una parola che rappresenta tutto questo: engagement. Si tratta di un processo multidisciplinare che ha bisogno, a monte, di un’attenta pianificazione e progettazione. Ma, prima di tutto, ha assoluto bisogno di tanta “conoscenza”.
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Il Piano Marketing nell’era digitale La necessità di agire, professionalmente e velocemente, è data dalla crescita esponenziale del mercato e la sua costante apertura verso nuovi strumenti, come l’ultimo arrivato: il mobile. Mettiamo un po’ di numeri intorno a questi concetti, riferendoci ai dati riassuntivi 2016 dell’Osservatorio Multicanalità, condotto da Nielsen, Connexia e la School of Management del Politecnico di Milano. La ricerca conferma la fotografia di un’Italia multicanale, dove il 60% della popolazione al di sopra dei 14 anni di età compra attraverso un mix di interazioni tradizionali e digitali (cataloghi, vetrine, ricerche desktop e mobile, social networks, blog, ecc..) e dove la multicanalità ha cessato di rappresentare un fattore occasionale o opzionale. I comportamenti si sono evoluti e i consumatori italiani sono ormai abituati a vivere la rete come un ambiente unico composto da una molteplicità di canali cui attingere. Al significativo cambiamento delle abitudini di consumo si accompagna un primo dato rilevante: il 63% degli Internet Users si connette a internet da smartphone, un valore in crescita esponenziale rispetto al 2012 (+43%). Crescono anche gli utenti che utilizzano il tablet per accedere al web (+14 % rispetto al 2012) e diminuiscono gli accessi da pc (-15% rispetto al 2012). Muta di conseguenza anche il ruolo giocato dal punto vendita fisico, non più e non solo touchpoint per la vendita diretta, ma anche punto di riferimento per il reperimento di informazioni, spazio per l’erogazione di servizi integrativi e ambiente privilegiato per la relazione tra prodotto e consumatore, fino a divenire, in taluni casi, luogo stra-
tegico in cui costruire percorsi esperienziali personali con la marca. Questo ha portato alla suddivisione tra InfoShopper ed eShopper. I primi, che possiamo definire i più tradizionalisti, utilizzano il web e i canali digitali unicamente per ottenere informazioni su prodotto e/o marca. Sono 11 milioni di italiani, che formano il 35% degli Internet Users globali e si caratterizzano per il grado di “diffidenza” verso l’utilizzo del digitale per finalizzare transazioni online ma formano comunque in Rete la loro decisione d’acquisto. Gli eShopper sono invece tutti coloro che utilizzano la rete sia per informarsi sia per effettuare acquisti, che prediligono il web al punto vendita fisico e che, nel 2016, rappresentano 20,5 milioni di italiani, pari al 65% degli utenti internet. Emerge inoltre come il 40% dei consumatori multicanale condivida sul web le proprie esperienze, positive o negative, su un prodotto o un servizio acquistato. Sulla base di questi dati appare evidente come, concludere il proprio approccio digitale facendosi fare il sito dal nipote che “ne capisce di computer”, ci porta ben distanti da un approccio reale al mondo del commercio e della comunicazione digitale. La “multicanalità” è un approccio che coinvolge sia aspetti tecnici che di comunicazione. Perché un messaggio sia in grado di essere perfettamente disponibile su diversi dispositivi, dal web al mobile, dalla tv di casa alla Playstation, deve essere “pensato” in forma diversa. E realizzato in forma adeguata. Ma torniamo a quelle 50 miliardi di pagine. Mettiamo il numero per esteso perché dia anche visivamente l’idea di che cosa stiamo parlando: 50.000.000.000 di pagine. Spostiamoci dalle pagine alle persone, e analizziamo la sola
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utenza di Facebook. Parliamo di oltre due miliardi di utenti, in pratica il primo paese al mondo. Questo ci porta a un’altra tipologia di approccio che emerge anche algebricamente. A fronte di un mercato conteggiabile in centinaia di milioni, qualsiasi percentuale di contatto può essere produttiva.
SERVIZI ONLINE CHE INFLUENZANO L’ACQUISTO
Su due miliardi di utenti Facebook, raggiungerne “efficacemente” appena lo 0,1% significa poter contare su due milioni di potenziali utenti. E ci sono molte attività che ambirebbero ad avere un mercato del genere. Stiamo parlando di un approccio al mercato chiamato “logica di nicchia” del quale parleremo diffusamente nei prossimi numeri e che rappresenta, indubbiamente, il metodo ottimale per fare incontrare la frammentarietà di un tessuto territoriale e imprenditoriale come quello trapanese con la complessità della Rete. Detto così sembra facile, ma in realtà non lo è. Per niente. Per raggiungere in maniera efficace quello 0,1% devi conoscerlo a fondo, devi sapere esattamente cosa vuole e devi individuare strade e meccanismi per fornirglielo. Che non sono più quelli di una volta. Prendiamo un esempio recente: la comunicazione dell’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, mutuata dalla strategia già attuata tempo fa da Obama negli USA era basata, sostanzialmente, sull’occupazione strategica dei social. L’uso di Twitter attuato dal presidente del Consiglio bypassava completamente la comunicazione istituzionale, imponendo un dialogo diretto con l’elettorato. Ma la cosa non si è fermata li. La corretta pianificazione gli ha permesso una piena copertura anche sugli old media sui quali rimbalzavano le posizioni espresse nei social networks. Questo ha modificato l’approccio comunicativo. Basti pensare alle conferenze stampa di palazzo Chigi nell’era Renzi. Per ottenere questo effetto ha dovuto, però, ricodificare il dialogo, rendendolo più attivo e scenografico. In una parola, più social. Basti pensare alle slide, all’uso di claim e slogan, agli atteggiamenti informali. Il linguaggio (verbale, non verbale e iconografico) non era mai realmente diretto alla stampa, che pure affollava la saletta, ma “pensato” per essere condiviso in Rete. Perché non si tratta di portare i contenuti sul web, ma di creare contenuti che siano “adatti” alla comunicazione digitale. Rimaniamo sul confronto tra old e new media e parliamo di risultati.
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TEMPO SPESO SU INTERNET Se non bastasse il sorpasso registrato tra la pubblicità tradizionale e quella web, è stato dimostrato come una pubblicità old media abbia un grado di credibilità inferiore al 20%. Un consiglio di acquisto postato da un blogger qualificato convince fino al 85% dei suoi lettori, percentuale che sale al 93%
nel caso di condivisioni di acquisto sui social. Come detto all’inizio, tutto è cambiato. Tranne noi. Quando si parla di conoscenze, al di là di quelle tecniche, bisogna avere il coraggio di abbandonare ogni certezza e “studiare” con attenzione i mercati e i segmenti che c’interessano. Perché non è detto che il nostro pensiero sia la realtà dei fatti. Parliamo di turismo e prendiamo un caso emblematico basandoci sui dati messi a disposizione dal China Consumer Travel Report. La Cina non è proprio il target più adeguato alla nostra offerta turistica ma è un mercato dalle grande potenzialità sia dal punto di vista economico che numerico, con 256 milioni turisti pronti a partire. Comunque risulta interessante per comprendere come il semplice intuito non basti più.
Conoscere per agire. L’analisi effettiva dei dati di mercato consente di fare le scelte giuste nel marketing dei propri prodotti. E in Rete sono disponibili tutte le informazioni. Per avere un’idea dei numeri, sottolineiamo come tra il 2012 e il 2016 la crescita del mercato travel in Cina abbia registrato un più 35% e degli attuali 250 milioni di viaggiatori oltre il 50% ha in programma di viaggiare e spendere di più. Dal punto di vista tecnologico, si prevede che il mercato online cinese crescerà del 116% e addirittura per il mobile le cifre diventano da capogiro, con un vero e proprio boom, che sfiora il 2.828%. I numeri sottolineano efficacemente quanto sia appe-
tibile cominciare a cavalcare la “marea gialla”. Il punto è non lasciarsi fuorviare da false certezze o dai “sentito dire”, perché ci farebbero clamorosamente mancare l’obiettivo. Quando parliamo di mercato turistico cinese, inevitabilmente ci si forma in mente l’immagine del tradizionale “gruppo vacanze” di asiatici sorridenti e armati di macchine fotografiche. Quindi poggeremmo le nostre strategie sulle strategie di gruppo, organizzeremmo torpedoni e itinerari fotografici con annessi e connessi. In realtà, invece, i dati ci dicono che i nuovi turisti cinesi non viaggiano in gruppo, o meglio, lo fa solo il 20%. Più di uno su due (il 57%) viaggia in coppia, il 35% in famiglia e il 39% con amici. Un buon imprenditore lavorerebbe sulla coppia e sulla famiglia, che insieme ci permettono di raggiungere oltre il 70% di potenziali clienti, un’offerta completamente diversa, nella composizione e nella comunicazione, da quella del “gruppo vacanze”. O, meglio, studieremo offerte specifiche per i diversi segmenti.
Conoscere per investire. È sempre stato così, ma l’avvento del web ha estremizzato questa necessità. Di contro ci ha dato anche strumenti per soddisfarla. Bisogna solo conoscerli e saperli usare. Sempre sulla Cina c’è un altro fattore macroscopico di conoscenza che ci fa comprendere quanto sia importante studiare con attenzione il proprio mercato. Non vi anticipiamo nulla ma poi andate a sfogliare lo speciale sui social networks e la classifica, abbastanza inaspettata, dei primi quattro social nel mondo.
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Proseguiamo a sottolineare come un’adeguata conoscenza sia fondamentale per organizzare un mercato e, rimanendo in ambito turistico, poniamoci una domanda: come si elabora una corretta timeline, cioè la calendarizzazione delle diverse azioni di produzione e promozione? Qual è il momento migliore per vendere un prodotto? Nel nostro esempio parliamo di turismo quindi la domanda è: quando è meglio mettere in circolo un’offerta turistica per massimizzare le possibilità di prenotazione? La risposta è: dipende. Partiamo da uno studio del sito specializzato Cheapair.com, che ha analizzato le tariffe di 4 milioni di voli acquistati nel corso del 2016. Dallo studio emerge come il periodo ottimale per l’acquisto varia a seconda del Paese in cui ci si trova. In Europa, per esempio, il momento in cui i biglietti mediamente costano meno è 151 giorni prima della partenza, in Medio Oriente 80, in Nord America 54. Per i Caraibi conviene muoversi con 101 giorni di anticipo, per l'Africa 166, per l'Asia 129. In generale, lo studio indica che il momento migliore per acquistare un biglietto aereo per le vacanze di Natale (uno dei periodi di maggior traffico in tutto il mondo) è il 4 giugno. Aggiungiamo un altro elemento. In molti paesi del Nord Europa c’è una divisione delle ferie molto diversa dalla nostra. Loro hanno una settimana a stagione disponibile per i loro viaggi. Conoscendo queste date e incrociandole con gli anticipi medi nelle prenotazioni diventa quasi semplice comprendere come essere pronti a soddisfare la richiesta del potenziale cliente proprio mentre lui sta presumibilmente ponendo la domanda. Sono questi i dati che c’impongono una scaletta di marcia, non le nostre impressioni. Sulla base di questi flussi diventa importante farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, rendendo disponibili offerte nei momenti in cui un maggior numero di potenziali clienti è alla ricerca del nostro prodotto. Queste considerazioni ci riportano al concetto iniziale
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dove le modalità con le quali viene veicolato il messaggio sono importanti almeno quanto il messaggio stesso. E che la qualità, in particolare nei nuovi mercati, batte agevolmente la quantità. Avendo una pagina Facebook che commercializza bistecche alla fiorentina, preferireste avere 2.000 “mi piace” da altrettanti amanti della carne o 10.000 di cui il 90% vegetariani? Avere delineato tutto questo evidenzia con chiarezza come la conoscenza e la progettazione siano una condizione indispensabile per la crescita. E questo ci riporta alla domanda iniziale, quella del titolo: chi ha paura del piano marketing? Perché non si deve provare questa strada?
La lunga lotta contro le emergenze ci ha fatto dimenticare il valore e l’importanza della pianificazione in un settore strategico come quello dell’economia turistica. La progettazione a medio-lungo termine può essere affiancata parallelamente da azioni concrete che, pur inserite nell’ambito del quadro generale, diano piccole risposte in tempi brevi o addirittura contestuali. L’obiezione classica delle “priorità”, quindi, non regge. Inoltre, tra le varie possibili iniziative tese alla promozione di un territorio, la pianificazione è sicuramente la meno “pesante” dal punto di vista finanziario. Questo per mettere a posto anche l’immancabile obiezione delle “vacche magre”. Non stiamo pensando ad alcun complotto, sia chiaro, il titolo è solo volutamente provocatorio. Nessuno ipotizza una sorta di Spectre malvagia che soffoca l’economia trapanese per loschi e oscuri scopi. Pensiamo però che la lunga corsa all’emergenza abbia impedito di alzare lo sguardo e vedere il problema in forma più ampia. Questo è l’inizio di un percorso che vogliamo percorrere insieme ai lettori per mettere in campo conoscenze e strategie che possano aiutare lo sviluppo e rompere questo schema.
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TIPS TRICKS
Tutta la verità Il marketing digitale deve vedersela con le nuove tecnologie. Avete mai sentito parlare dello ZMOT?
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he cos’è il Momento Zero della Verità? Il Momento Zero della Verità, o Zero Moment of Truth – ZMOT (pronunciato “ zee-mot ”) è un nuovo momento del processo decisionale e d’acquisto che consiste nella ricerca di informazioni in rete prima di recarsi in negozio. Gli utenti, una volta ricevuto uno “stimolo”, prima di recarsi in un punto vendita (o su un sito e-commerce) si informano leggendo le recensioni, i commenti e i giudizi degli altri utenti, chiedendo agli amici oppure consultando i social network, facendo ricerche sui motori di ricerca, consultando siti web, guardando video, e così via. In pratica gli utenti si informano e decidono nel “momento zero della verità”, effettuando ricerche in rete, sui motori di ricerca ma anche sui social networks. Il momento zero della verità, quando si sta pensando all’acquisto di un prodotto, può avvenire in vari momenti della giornata e in tante situazioni differenti. La logica ZMOT diventa più chiara affrontando un’altro termine che sta cambiando il marketing digitale: micromomenti.
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I micromomenti sono quegli istanti nell’arco della giornata in cui si manifesta una necessità, un bisogno o una curiosità che vengono soddisfatti tramite una consultazione online. Sono istanti nei quali può anche iniziare (o ter minare) il processo d’acquisto di un bene o servizio. La conquista di tali micromomenti è divenuta, secondo Google, il nuovo terreno di sfida dei marketer (digitali e non). L’imperativo categorico del marketing (non solo del real time marketing ) è infatti quello di presidiare tutti i punti di contatto (touchpoints) del processo decisionale dell’utente (buyer’s Journey) in qualunque istante si manifestino. La soddisfazione del bisogno nei microments avviene prevalentemente tramite la consultazione dello smartphone. Questo comporta che l’approccio deve essere complessivo: presidiare i punti di contatto mobile comporta dotarsi di strumenti adeguati e mettere in campo strategie adeguate. Il primo passo è comunque conoscere il proprio utente, i suoi gusti, le sue abitudini e i suoi tempi.
the italian connections Attaccati allo smartphone e costantemente connessi. L’ultima rilevazione sull’uso di internet e dei social networks ci restituisce dati inequivocabili su come siano gli italiani nei confronti del digitale, in particolare in rapporto al mobile. Le nuove piattaforme stanno cambiando il modo di fare impresa, anche a livello locale. Il futuro è alle nostre spalle.
FOCUS SOCIAL
Lo sviluppo condiviso Le gestione dei social media per l’impresa è ormai un fatto inevitabile. I numeri dimostrano come il mercato si stia spostando verso questi canali. E sono cambiate le regole del gioco.
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ella pagina precedente abbiamo visto i numeri. La penetrazione dei social networks nella vita quotidiana è or mai assoluta. In queste percentuali si trova una prima risposta alla domanda sull’opportunità o meno d’investire nella gestione di questo media. La risposta viene rafforzata se si scende nel dettaglio, perché, se ben utilizzati, i social networks rappresentano un canale commerciale unico. Ma bisogna capirne le regole interne. La forza dei networks è data dalla loro capacità di diffondere capillarmente un messaggio attraverso le diverse forme di condivisione. Individuare cosa stimola l’utente a condividere un contenuto è il primo passo per innescare il meccanismo. Così come è importante comprendere bene chi sia il nostro utente potenziale. Ogni contatto, in qualche modo, “costa”. Bisogna quindi limitare i contatti ai soli potenziali “clienti”. E poi c’è il messaggio. La forza dei social nasconde anche il suo più grande pericolo. La condivisione non è un atto passivo. Chi pubblica un post nella propria bacheca può aggiungere un commento. E in molti casi diventa virale la “rivisitazione” fatta dall’utente piuttosto che il nostro messaggio. C’è un caso storico. Una campagna della Shell, la multinazionale del petrolio, che ha lanciato un concorso via Facebook per un nuovo slogan da usare in una campagna pubblicitaria. La Rete ha ribaltato il messaggio e la comunicazione, per la compagnia, è stata disastrosa. Tra le “proposte”
più votate quella che vedete qui sopra. Eravamo a pochi mesi dal disastro in Artico e il sarcastico claim recita: “ Alcuni li chiamano disastri, noi le chiamiamo opportunità ”. Niente di strano; lo strumento era ancora nuovo e anche i grandi sbagliano. Questo, però, rende chiaro il pericolo che si corre approcciando questi strumenti senza le dovute precauzioni. L’interazione con il mobile ha reso Facebook & co. sempre più intrecciati con la vita quotidiana. Essere presenti in for ma corretta su questa piattaforma fluida è un problema tecnologico, ma anche concettuale. In ogni caso necessità di “conoscenza”. In un territorio che vuole proporsi come destinazione turistica è necessario che ogni singolo operatore possegga le competenze necessarie per la competizione. Sul turismo in particolare, inoltre, il tavolo da gioco è planetario, quindi conta poco il raffronto con i propri “vicini”. Cominciamo a saperne qualcosa in più.
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In ogni numero di NETT Economy presenteremo un inserto di 8 pagine che conterr presenza sul web e, in particolare, sui social media. Si tratterà, ovviamente, di info (www.netteconomy.it) e sul portale tuttotrapani.it. Gli inserti, staccabili e conserva online disponibi
Si fa presto Facebook, Twitter, Google+, Linkedin, Instagram, Pinterest, Youtube e tutti Ma siamo davvero sicuri di usare i canali giusti per raggiungere gli obiettivi
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on tutti i social sono uguali. Almeno non per le aziende. Ogni canale ha il suo pubblico, il proprio linguaggio, le proprie regole di comportamento. Ma, cosa più importante, ha un ruolo diverso nelle nostre politiche di marketing. Ma andiamo per gradi e partiamo dalle differenze nelle principali funzionalità. Il grafico nella pagina a destra prende in considerazione Facebook, Twitter e Google+ secondo diversi parametri, partendo da quello della Relazione . Quelli che per Twitter sono Follower e Following, per Facebook sono Amici e per Google+ sono Persone. Mentre per Twitter non c’è modo di condividere nulla con gruppi o liste particolari, per Facebook i Gruppi (o le Pagine) consentono di condividere contenuti. Su Google+ questi gruppi diventano Cerchie e si ha la possibilità di rendere visibile o meno dei contenuti rispetto ad altri. Una differenza non da poco, se la paragoniamo
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a Facebook dove questo non è del tutto possibile. Gli ultimi due passaggi spiegano meglio le differenze specifiche nell’inserimento e visualizzazione dei contenuti. Su Twitter il rapporto è più gerarchico e basato sull’idea che vedi i post degli account che segui. Su Facebook l’amicizia e la visibilità dei post è legata ai settaggi del singolo utente, su Google tutto è organizzato intorno all’inserimento delle rispettive Cerchie. Nel secondo grafico (sempre a destra) analizziamo quale sia il network più “adatto” in base al nostro ruolo e all’obiettivo che vogliamo perseguire. E anche il modo più corretto per utilizzarlo al meglio. Dopotutto, come abbiamo detto, ogni canale è strutturato per rispondere meglio a specifiche esigenze di comunicazione o di commercializzazione. Se il vostro ruolo è quello dell’ opinion leader e l’obiettivo è quello di diffondere messaggi verso persone presumibilmente interessate, lo stru-
rà informazioni, dati, strategie e tutorial per gestire nella maniera più cosciente la rmazioni di base che potrete approfondire attraverso l’area web sul sito principale bili, rappresenteranno comunque una parte delle dispense da utilizzare per i corsi li nell’area web.
a dire Social gli altri networks sono diventati uno strumento indispensabile di lavoro. del nostro business?
mento più adatto è Twitter. Malgrado il numero più limitato di utenti rispetto, per esempio, Facebook, la sua struttura si presta meglio a questo scopo, come è dimostrato dalla predilezione verso i 140 caratteri di Twitter da parte di politici e VIPs. La gestione del marketing dei prodotti è più complessa e va necessariamente spezzettata nelle diverse funzioni, ma appare chiaro come anche in questo caso c’è un social per ogni obiettivo. Inoltre ci sono strumenti che sono diventati il canale prin-
cipale nel proprio settore. Come nel caso di Linkedin che, negli USA, è da tempo il canale di selezione dei dipendenti più utilizzato in assoluto dalle aziende di ogni dimensione, ma di questo parliamo più diffusamente a pagina 24. Sul blog di NETT Economy affronteremo i diversi social, le loro potenzialità e le specificità da sfruttare per la comunicazione. Il punto centrale è comprendere come un social non valga un altro e, principalmente, nessuno è da considerare, in assoluto, il migliore o il più produttivo. Dopotutto, si dice che il marketing abbia sempre una risposta per qualsiasi domanda. E quella risposta è: dipende .
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Il network che non ti aspetti Internet ci offre le porte per il mondo, ma queste porte hanno delle chiavi. E sono diverse per ogni mercato.
GLI UTENTI SOCIAL NEL MONDO
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tare su Inter net significa stare sul mondo. Ma il mondo, spesso, è diverso da come ce lo aspettiamo. Prendiamo i social networks. Se provassimo a chiedere quali sono i quattro social più diffusi al mondo la risposta sarebbe quasi unanime. Ma sarebbe anche sbagliata.Tra le piattafor me social più usate a livello mondiale ce ne sono alcune che non abbiamo neppure sentito nominare. Per esempio, il secondo maggiore social network dopo Facebook si chiama QZone. Nonostante sia utilizzato quasi esclusivamente in Cina, questo social conta oltre 630 milioni di utenti attivi ed è in continua crescita. È cinese anche il quinto social network più diffuso al mondo. Tencent Weibo è una piattaforma di microblogging, la risposta asiatica a Twitter. Anche qui, gli utenti possono condividere messaggi di 140 caratteri o replicare quelli altrui. Inizialmente permetteva di usare soltanto gli ideogrammi, ma ora ha anche una versione inglese. Altra sorpresa riguarda il russo, una delle lingue più parlate su Inter net. Quando si tratta di socializzare, i russi pre-
feriscono un social che parli la loro lingua. Facebook ha difficoltà a penetrare a causa dell’enorme popolarità di Vkontakte, il secondo maggiore network in Europa. L’interfaccia è molto simile a quella di Facebook e anche le funzionalità sono più o meno le stesse; ci sono i like, i gruppi, le news, i messaggi privati e i filtri per la privacy. Questa classifica potrà risultare sorprendente ma è sostanzialmente inutile per gli utenti finali dei social networks. Per le imprese il discorso diventa assolutamente diverso. Inter nazionalizzare, in particolare quando si parla di turismo, non significa soltanto mettere i contenuti nella lingua del nostro potenziale utente. Bisogna conoscerne la cultura, le esigenze e, prima di tutto, gli strumenti che usano. Pianificare una campagna social per il mercato cinese o su quello russo usando Facebook, se si punta sul mercato consumer , sarebbe una scelta sicuramente sbagliata dal punto di vista imprenditoriale. E se gli strumenti sono diversi, provate a immaginare quanto potranno essere diversi i modi d’interagire e quindi, di fare veicolare un messaggio.
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di Lorenzo Martinez
Il miglior brand? Se stessi Fondamentale per impostare una strategia che punti alla ricerca del lavoro è individuare i propri punti di forza e comunicarli nella giusta maniera.
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n fenomeno sempre più diffuso, a causa della crisi nel mondo del lavoro e della sempre maggiore digitalizzazione, è quello del freelance o lavoro autonomo. Negli Stati uniti un lavoratore su tre è un freelance con una percentuale pari al 34% dei 157 milioni di occupati, ed è un fenomeno in crescita. Secondo i dati riportati dal più grande sindacato americano dei lavoratori autonomi, il Freelencers Union, l’83% dei nati fra il 1981 e il 1997, i cosiddetti millennials vedono un futuro nel lavoro da freelance. Come fare quindi in un mercato sempre più affollato da professionisti non dipendenti a farsi scegliere? Come vincere la competizione rispetto i tuoi concorrenti? Una risposta è il personal branding. Secondo William Arrudae e Deb Dib autori del libro Personal branding per il manager far diventare il proprio nome un brand è di fondamentale importanza in quanto il Personal Brand è la ragione per cui un cliente, un datore di lavoro o un partner ti sceglie. Fare Personal Branding significa impostare una strategia per individuare o definire i propri punti di forza, quello che rende unici e dif-
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ferenti rispetto ai concorrenti e comunicare in maniera efficace cosa si sa fare, come lo si sa fare, quali benefici si possono apportare e perché gli altri dovrebbero scegliere proprio te. Ma come fare a differenziarsi in questo marasma? Sicuramente i social media ci danno l’opportunità di creare l’immagine giusta che vogliamo dare di noi, ma vanno usati con attenzione in quanto il web ha sempre memoria delle nostre azioni. Di più: bisogna usare ogni social secondo le sue peculiarità e i suoi linguaggi. In questo contesto lo strumento più efficace di promozione risulta essere Linkedin, un social pensato e progettato in ottica personal branding. E’ l’unico social in cui tutti gli elementi sono costruiti attorno alla persona intesa come professionista, dove il focus è sulle esperienze e competenze. Proprio per comunicare le proprie competenze Linkedin mette a disposizione un nuovo strumento di blogging: Pulse. La sua funzione è quella di far produrre contenuti agli utenti, contenuti che per gli stessi utenti diventano di primaria importanza. I linkedin pulse vengono, infatti, indicizzati su Google e possono portare decine, centinaia di visualizzazioni ai vostri contenuti e quindi a voi! Questo social dà inoltre la possibilità di monitorare la capacità di vendere il proprio brand attraverso un altro strumento: il social selling index, che oltre il monitoraggio ci offre l’opportunità di costruire relazioni e di interagire con informazioni rilevanti nel proprio settore di interesse creando engagement verso potenziali lead. Come ogni social possiede la possibilità di produrre reddito attraverso promozioni mirate al pubblico di Linkedin. Essendo un portale che racchiude professionisti, la creazione di un target è gia presupposta a monte dell’iscrizione. Le possi-
bilità più interessanti sono però offerte dall’incremento di assunzioni che passano da Linkedin. In America è ormai il primo strumento utilizzato dalle aziende nella selezione di candidati e a Milano negli ultimi dodici mesi 49mila assunzioni sono state fatte attraverso Linkedin, utilizzato in maniera trasversale da PMI (55%), grandi aziende (25%) e quelle intermedie (20%). Nella creazione di un profilo si dovranno indicare i titoli di studio, le esperienze lavorative pregresse e le proprie competenze, come se si stesse scrivendo un curriculum. Come nella stesura di un CV anche su Linkedin vanno curati i termini con i quali ci si descrive. Secondo il Sole 24 ore ci sono degli aggettivi iperinflazionati che in un ottica di differenziazione sono da evitare, come: specializzato, esperto, appassionato, etc. L’uso di termini abusati è controproducente in quanto appiattisce le caratteristiche del candidato. Al contrario invece vanno enfatizzate le cosiddette soft skills ossia le caratteristiche soggettive del singolo lavoratore. Altro passo fondamentale su Linkedin è la costruzione della propria rete professionale. Questa si può costruire attraverso il collegamento con i propri contatti mail, sfruttando la rete di contatti off-line come colleghi di lavoro e università. La rete si può allargare sfruttando le impostazioni avanzate con la ricerca di keyword condivise o ricercando nei vostri gruppi personalità che possano valorizzarla. Dare un’immagine professionale di se in rete risulta di fondamentale importanza nell’evoluzione del mercato lavorativo e per farsi trovare pronti bisogna investire sulla comunicazione di ciò che ci rende unici. Bisogna investire sul brand più importante: se stessi.
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L’impresa responsabile E se il modo migliore per promuovere un’impresa fosse quello di fare la nostra parte per il territorio? Quando l’economia prende due piccioni con una fava.
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rmai è una vera e propria definizione. Un’impresa viene chiamata socialmente responsabile quando tiene in considerazione gli effetti della propria attività sia in relazione al singolo consumatore (offrendogli di conseguenza prodotti di qualità, affidabili, sicuri, e così via) che all’intera collettività (ispirando la filosofa aziendale al rispetto dell’ambiente, alla correttezza dell’informazione pubblicitaria, ecc.). Niente accade per caso. L’evolversi della comunicazione ha costretto il mondo dell’impresa a riflettere e investire sulla propria responsabilità sociale, cercando attraverso essa di ottenere legittimità presso il proprio ambiente di riferimento. La credibilità delle imprese verso i consumatori è genericamente in forte calo e il “buon nome della ditta” diventa spesso un fattore competitivo essenziale. Oggi si chiama brand awareness, ma il concetto è quello. Negli anni il marketing sociale ha subito notevoli cambiamenti trasformandosi, di fatto, in una serie di opportunità da sfruttare attraverso l’apertura di nuovi mercati utilizzando strumenti innovativi. La tappa finale di questo processo evolutivo della responsabilità d’impresa è rappresentata dalla sua estensione anche ad altre attività, quali la sponsorizzazione di eventi di varia natura, le donazioni ad organizzazioni non profit, la partecipazione a campagne di marketing sociale, e così via. Un modello che sta conoscendo un’espansione eccezionale: a fronte del grande consenso del pubblico, si stima che circa il 70% delle imprese italiane finanzi iniziative di carattere sociale (precisamente il 64,4% delle PMI ed il 73,3% di quelle grandi). L’azienda dispone di molteplici modi per farsi carico della propria responsabilità sociale: essa può decidere d’impostare la propria attività produttiva in modo che preservi il benessere del consumatore e della società in generale, ispirare la propria politica interna ed esterna a principi di giustizia ed eticità, oppure partecipare con modalità diverse a inizia-
tive di tipo sociale. Sulla base di questa scelta s’imposta la campagna di comunicazione che non tende alla vendita diretta del prodotto ma a diffondere l’idea che la ditta svolga un ruolo attivo nel tessuto territoriale. Bisogna essere estremamente chiari. Il Marketing sociale infatti non ha nulla a che fare con un’azione di beneficenza. Le sue azioni contribuiscono alla soluzione di problematiche sociali ma, da parte dell’impresa, nelle finalità di simili alleanze è l’elemento economico che predomina: attraverso il supporto alle attività di organizzazioni no profit o alla promozione di cause sociali, l’azienda mira consapevolmente a specifici obiettivi di business (aumento dell’apprezzamento verso un prodotto o un servizio, miglioramento della brand awareness in senso ampio, raggiungimento di nuove nicchie di mercato, ecc.). Non è un caso che queste iniziative siano state definite come esempi di pubblicità d’immagine indiretta: attraverso un loro uso strategico infatti si perseguono miglioramenti nella complessiva immagine aziendale.
CSR (Corporate Social Responsability) Responsabilità sociale d’impresa
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L’INTERVISTA di Carmela Barbara
“L’unica strada è il turismo” Trapani è naturalmente votata e non ha altre prospettive. A questo punto non resta che fare rete. Parola di Gregory Bongiorno, presidente di Assindustria.
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regory Bongiorno presidente di Assindustria Trapani dal 2013 una “ricetta” vincente per lo sviluppo del territorio ce l’ha eccome. Quarantadue anni, imprenditore lui stesso nei settori dei rifiuti, dell’edilizia e del turismo Bongiorno comincia dagli elementi base del ‘fare impresa’. “Intanto è necessario snellire la burocrazia la cui mole è ormai diventata intollerabile in un mondo sempre più digitalizzato e smart. Se vogliamo essere competitivi dobbiamo essere veloci, immediati. Non possiamo più perdere tempo prezioso dietro alle scartoffie”. Su cosa il nostro territorio può e deve puntare per essere competitivo? Certamente il turismo. E’ la chiave di volta se vogliamo assicuraci un’economia solida che ci consenta di andare al di là della semplice sopravvivenza e di buttare le basi per un futuro concreto da consegnare alle nuove generazioni. Per fare questo dobbiamo rendere il più possibile attrattivi i nostri luoghi, renderli cioè appetibili e soprattutto fruibili. Serve cioè un buon piano di marketing territoriale che possa contare sulle giuste infrastrutture. Infine, mi permetto di dire che
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un maggior coraggio da parte degli imprenditori non guasterebbe. Che intende per ‘coraggio’? Il rischio d’impresa che ogni impresario porta sulle sue spalle è già abbastanza pesante. Se a tutto questo aggiungiamo l’impazzimento dello Stato e degli Enti locali che sembrano piuttosto remare contro anziché coadiuvare e incoraggiare le nuove e vecchie realtà a ramificarsi e consolidarsi ci si renderà conto di come e perché chi vorrebbe investire da queste parti preferisce invece andare altrove, dove le cose sono decisamente più semplici. Soprattutto dal punto di vista fiscale. Le così dette ‘zone franche’ possono essere la soluzione? Dalle nostre parti se ne parla da almeno un ventennio ed esistono anche alcune realtà in fase sperimentale. Non credo che sia questa però la soluzione. La zona franca è una realtà troppo complessa da mettere in pratica. Piuttosto invece parlerei di incentivi per nuove assunzioni e di sgravi fiscali sulle imposte locali. Sull’Irap in particolare. Consideri che, visti i disastrati bilanci regionali, in Sicilia la pressione dell’Irap è la più alta d’Italia.
Come vede, c’è una via più semplice e immediata della zona franca e si chiamano incentivi automatici. Accennava prima alle giuste infrastrutture… La Sicilia è un posto difficile da raggiungere. Prendiamo come base di partenza il Nord Europa per rendere l’idea e facciamo una serie di ipotesi: in automobile? Complicato. In treno? Impossibile? In nave? Si potrebbe fare, ma i costi cominciano a risultare proibitivi. L’unica via d’accesso alla nostra splendida isola risultano gli aeroporti. E per Trapani, Birgi è davvero l’unica porta d’ingresso. Ma la situazione è tutt’altro che risolta. Del contratto di co-marketing con la società irlandese di Ryanair si è parlato profusamente in questi ultimi tempi. E nonostante la Regione abbia previsto in Finanziaria i fondi necessari (17 milioni per i prossimi 3 anni, più 4 milioni per ricapitalizzare Airgest), la situazione è ancora pericolosamente in stallo. Mancano all’appello i 2 milioni e 300 mila euro in quota ai comuni del territorio. Alcune amministrazioni sono alle prese con le elezioni per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali, mentre altre non hanno ancora predisposto i propri bilanci. Questo significa che potremmo perdere Ryanair? E se così fosse, davvero non c’è un alternativa agli irlandesi? Non credo che ci sia questo rischio. E in ogni caso Airgest ha studiato un bando di evidenza pubblica per attrarre nuovi vettori. Si tratta di 3 lotti per un totale di 23 milioni di euro. Certo, non è la soluzione per lo sviluppo turistico del territorio ma è sicuramente una buona base di partenza. Con questa operazione ci auguriamo di raggiungere la soglia dei 2 milioni di turisti. Poi spetterà agli operatori qualificare l’offerta e offrire i servizi.
In pratica, servono strutture pulite, moderne e accoglienti oltre a collegamenti adeguati e puntuali. Pian piano dall'iniziativa privata inizia a nascere qualcosa ma siamo ancora lontani. Infine, serve l’impegno dei sindaci perché le nostre città si presentino in maniera decorosa. Oltre alla pulizia e all’accoglienza è necessario che i nostri siti storici e archeologici siano facilmente fruibili… Non si possono trovare i musei, per intenderci! Presidente, si tratta degli elementi base per fare turismo. Perché non ci riusciamo? Nel nostro territorio c’è un grande individualismo e non riusciamo a fare sistema. Manca una regia comune. Il Cous Cous fest, per esempio, è una manifestazione che ricopre ormai carattere internazionale ma non sempre riesce a coinvolgere l'intero territorio trapanese. Però una cosa l’abbiamo capita: abbandonata l’idea di un’industria manufatturiera a due passi dal mare, il nostro futuro sarà principalmente il turismo. Ora non resta che attuare tutte le azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo: lo sviluppo pieno di una destinazione turistica “Sicilia Occidentale”. Non si può più pensare a San Vito o Favignana slegate. Dobbiamo essere bravi a programmare una rete. Assindustria è stata partner di Appleseed nel corso di formazione per “Operatore di marketing digitale”. Cosa l’ha convinta? Quando me lo hanno proposto ho accettato dopo pochi secondi. Non solo il turismo ma l'ecommerce e la promozione di un territorio passano ormai tutti attraverso la rete internet e i social. Noi come territorio anche li non eravamo pronti e stiamo cominciando ora a formare nuovo personale. Da corsi come questo possono nascere nuovi posti di lavoro.
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NEWS
Pronto, chi viaggia? Il 45% della popolazione mondiale possiede ormai uno smartphone.
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a febbre da mobile sta mietendo sempre più vittime. I proprietari di smartphone aumentano a vista d’occhio e oggi sono circa 3.4 miliardi pari al 45 % della popolazione mondiale. Nei prossimi 4 anni, secondo il rapporto sulla mobilità Ericsson, le sottoscrizioni associate a smartphone passeranno da 3,4 a 6,3 miliardi. Nessun pericolo! Anzi un’ottima opportunità perché questo vuol dire che abbiamo un modo in più per raggiungere i nostri clienti ed essere connessi con loro. Ed è inutile opporre resistenza, facendo finta che questo fenomeno non esista. Bisogna semplicemente prenderne atto e soddisfare questa nuova domanda, adottando alcune misure fondamentali. E’ sufficiente guardare alcuni dati per rendersene conto: - l’84% delle ricerche legate ad un prodotto o un servizio che si intende acquistare avviene on-line, anche se l’acquisto avverrà off-line. In questo processo di acquisto le categorie merceologiche più richieste risultano essere prodotti fisici per il 52 %, ristoranti e bar per il 32%, turismo per il 30 % e informazioni immobiliari per il 12 %; - le ricerche via mobile sono cresciute del 44% rispetto agli anni passati; - un’esperienza mobile poco gratificante indirizza ben il 40% degli utenti verso i siti dei competitor; - se un’attività ha un sito non ottimizzato per il mobile il 57% delle persone non lo raccomanda. Volgendo lo sguardo all’e-commerce si prevedono 1,61 miliardi di utenti nel 2017, con una penetrazione del 22%. Chi utilizza il mobile è 27 volte più propenso a prenotare un ristorante che ha un sito ottimizzato per il mobile. Principalmente il mobile viene utilizzato per collegarsi ad internet (51%), ai social network (27%), per controllare le mail (38%), per fare fotografie (54%), per inviare foto e video (54%) e per scrivere messaggi (73%). Un dato interessante e al tempo stesso sorprendente è come le persone, pur di non rinunciare per una settimana al proprio smartphone,
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farebbero a meno volentieri dell’alcool (70%), della cioccolata (63%) e addirittura del sesso (33%). E questo conferma ancora un altro dato: ben 5 persone su 10 dichiarano di essere mobile-dipendenti. Non a caso, secondo una ricerca effettuata da lastminute.com, il 27% dei turisti inglesi non prenota alberghi che non hanno il wi-fi. La possibilità di essere connessi è più importante del lusso della struttura. Oltre l’85% delle persone intervistate porta in vacanza con sé smartphone o tablet. I più legati al mobile ovviamente sono i giovani che lo utilizzano anche nella ricerca di informazioni relative alla meta della propria vacanza. Secondo un’indagine condotta da Tradedoubler, un intervistato su 5 afferma di utilizzare il mobile per prenotare i propri viaggi. Le possibilità a portata di finger touch sono infatti così numerose che ormai non ci si rivolge più alle agenzie di viaggi. Ben il 62% degli europei intervistati affermano che confezionarsi una vacanza dal proprio mobile, utilizzando solo app e siti, è facile e comodo. Il 95% degli intervistati di un sondaggio TrustYou legge recensioni prima di prenotare. In crescita anche la tendenza a prenotare separatamente voli e soggiorno: solo il 41% cerca pacchetti e solo il 20% offerte all inclusive. È un dato di fatto il mercato turistico è sempre più mobile.
IMPRESA GIOVANE
di Salvatore Montemario
In scena l’economia digitale Novantacinque milioni di euro destinati alle startup innovative.
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’economia, da Quesney a Sen ha classificato il capitale tra i fattori produttivi: Marx lo ha trasformato in un demone da abbattere, la finanza lo considera il nume tutelare di una nuova religione plutocratica. Comunque la pensiate, qualsiasi sia il vostro approccio all’economia, non potrete negare che per fare impresa la sua disponibilità è imprescindibile. Oggi si parla di venture capital, di emissione di bond e di altri più o meno sofisticati strumenti di accesso al mercato del capitale. Purtroppo, rischio regione e marginalità territoriale, tengono lontane queste opportunità già diffuse in altre realtà. Se a questo si aggiunge la difficoltà di accesso al tradizionale credito bancario il quadro diventa complicato. Per provare a superare le barriere all’accesso al mercato dei capitali, le Istituzioni, a tutti i livelli, hanno elaborato forme di finanziamento rivolte alle start up e agli investimenti in digitalizzazione dei processi aziendali delle PMI. Di seguito troverete un breve vademecum per districarsi in questo dedalo di normative. Smart&Start sostiene le startup innovative e l’economia digitale. La misura è stata rifinanziata dal MISE con 95 MIO (2017). Destinatari: startup innovative già iscritte alla sez. speciale del Registro delle Imprese.
Attività ammesse: Produzione di beni ed erogazione di servizi ICT e innovativi e/o prodotti, servizi nel campo dell’economia digitale (esclusa agricoltura) Cosa finanzia: Investimenti, da . 100 mila a .1,5 MIO, per beni di investimento e/o per costi di gestione. Spese ammissibili: impianti, macchinari e attrezzature; brevetti, licenze, consulenze ICT; personale, licenze e diritti industriali, canoni di leasing, interessi su finanziamenti. Agevolazione: mutuo tasso 0, fino all’80% delle spese ammissibili, per startup costituite da giovani e/o donne. Fino al 70% delle spese ammissibili negli altri casi. Per la Sicilia una quota a fondo perduto pari al 20% del mutuo. Nuove imprese a tasso zero è l’incentivo per i giovani e le donne. La dotazione finanziaria è di circa 150 MIO. Destinatari: micro e PMI composte in prevalenza da maggiorenni fino a 35 anni oppure da donne di tutte le età. Attività ammesse: Iniziative per produzione di beni in tutti i settori; fornitura di servizi alle imprese e alle persone commercio di beni e servizi, turismo. Cosa finanzia: Programmi d’investimento fino a 1,5 MIO. Agevolazione: prevede un finanziamento per max 8 anni a tasso 0, fino al 75% delle spese ammissibili. Spese ammissibili: terreni, opere murarie, impianti, macchinari, attrezzature, brevetti, licenze, marchi, servizi ICT, formazione, consulenze. Le voci di spesa hanno limitazioni quantitative in relazione al settore d’investimento. I voucher digitalizzazione sono un'iniziativa introdotta dal decreto destinazione Italia, per favorire la digitalizzazione delle micro e PMI. Il beneficio, consiste in un contributo, dato sotto forma di voucher fino a . 10.000, per adottare interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico. (prima parte).
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COMMUNITY
Tutti insieme appassionatamente Numeri e parole. Oltre a dare dati e illustrare strategie, è il momento di discutere. Due pagine e un sito web per dire la propria sullo sviluppo del territorio.
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iciamolo subito: il progetto di NETT Economy non si ferma solo a questo giornale. Andando sul portale di tuttotrapani.it potrete accedere all’area web dedicata. Li troverete un blog dove proveremo a tenervi informati sulle novità più interessanti relative al web, ai social media e alle opportunità di marketing e business. Ci sarà un’area dedicata al Destination marketing e al marketing turistico per hotel e strutture ricettive. Ci saranno corsi online con webinair per quegli imprenditori o professionisti che vogliono approfondire questi temi. E all’interno del palinsesto della web tv di Tuttorapani ci sarà un programma settimanale d’informazione e approfondimento su questi temi. C’è molto altro per la verità, ma non vogliamo farla lunga e quindi vi basta andare sul sito per avere tutte le informazioni sull’argomento. Se volete, potrete iscrivervi per essere sempre aggiornati sulle novità che, ve lo preannunciamo, saranno davvero tante. Questa rubrica rappresenta il “ponte di collegamento” tra il giornale e il web. Vi daremo le notizie e le anticipazioni su quello che stiamo preparando ma useremo questo spazio anche per fare la sintesi del dibattito che, siamo certi, si svilupperà intorno ai temi proposti. Perché non abbiamo intenzione soltanto di diffondere informazioni sugli strumenti e le opportunità di sviluppo economico, ma vogliamo anche stimolare il dibattito, coinvolgere le imprese, scuotere i politici e trovare, insieme, le possibili direttrici di sviluppo. I dati dell’ultimo Rapporto “CongiunturaRes” redatto dalla Fondazione Res danno un quadro economico chiaro. Se l’andamento dei prestiti a livello provinciale, nel 2016, vede il territorio attestarsi in crescita del 3,2%, e questo potrebbe essere un se-
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gnale interessante, non si nota un corrispondente aumento della spesa produttiva. La paura fa 90, e la crisi complessiva fa registrare un aumento altrettanto consistente nel deposito di capitale. Per quanto riguarda, infatti, la raccolta bancaria delle famiglie consumatrici e delle imprese trapanesi, si scorge, secondo i dati della sede di Palermo della Banca d’Italia, una crescita pari al 2,8% rispetto al 2015. Un aumento dei risparmi in un momento in cui circola già meno denaro del solito, significa che la macchina sta proprio per ingolfarsi. Meno economia che genera meno investimenti che, a loro volta, generano meno economia. Ed il circolo, pericolosamente vizioso, si chiude. Ma c’è quel barlume di speranza: la crescita turistica. Una risorsa illimitata e a portata di mano, con un territorio che contiene al suo interno tutte le caratteristiche ideali per essere un prodotto turistico a 360 gradi. Ma tra disponibile e redditizio passa un mondo fatto di pianificazione, strategie e conoscenza. Questo indica immediatamente alcune opzioni che potrebbero fare la differenza. Prima di tutto bisogna agevolare gli investimenti. E per farlo bisogna creare le condizioni e le opportunità. L’onda lunga della Coppa America si è spenta ed il calo si fa sentire, al netto di alcune zone, come Favignana e San Vito, che bene o male sviluppano una propria attrattiva autonoma. La “guerra delle destinazioni” è in corso da tempo e si gioca su tantissimi tavoli. Al momento Trapani è completamente fuori dalla competizione. Se sovrapponiamo i dati di sviluppo turistico con i dati del traffico a Birgi possiamo notare una quasi totale equivalenza. Questo ha un’unica ed evidente spiegazione: siamo assolutamente dipendenti da Ryanair. Un dato che tutti diamo per scontato, ma non ci soffermiamo abba-
stanza a riflettere su quanto ci costi non essere una destinazione turistica autonoma. Il costo non è legato soltanto alle mancate presenze, ma pesa immediatamente anche nel rapporto con la compagnia irlandese. Se il territorio è richiesto dai turisti, ogni compagnia aerea ha tutto l’interesse ad aumentare tratte e voli. Nel nostro caso, invece, l’attrattività è data essenzialmente dall’esistenza o meno di un volo low cost di collegamento. Appare quasi sostanzialmente corretto che gli irlandesi vogliano essere pagati “un tanto a turista”. Per comprendere quanto siamo “trovabili” dai turisti europei, se avete qualche amico all’estero, provate a fargli digitare su Google un qualsiasi termine che riguardi una delle eccellenze trapanesi: le spiagge, le saline, i templi dorici, l’archeologia o qualsiasi altra cosa gli venga in mente e che la nostra provincia potrebbe offrire. Ovviamente nella sua lingua e senza aggiungere alla ricerca alcun parametro territoriale. Come pensate che un turista scelga la destinazione della sua vacanza? In realtà non c’è bisogno che lo immaginiate, perché Google si è già posto la domanda e ha dato una risposta. Il 90 per cento dei turisti sceglie la propria destinazione online. E lo fa con molto anticipo rispetto la vacanza, “girovagando” nella Rete alla ricerca di posti che potrebbero piacergli, in base alle proprie predilezioni. Le occasioni sono molte, non si tratta solo di “fare il sito”, ma di usare tutte le occasioni possibili per “esserci” rispetto ai nostri potenziali visitatori. I territori che non riescono a farsi trovare in quel momento sono tagliati fuori dal gioco. E noi siamo tra questi. Il dibattito sul turismo trapanese si è spesso centrato sulla necessità di mettere voli charter, interessare nuove compagnie e potenziare
l’aeroporto. Ma qui nasce una discussione che potrebbe sembrare simile a quella dell’uovo e della gallina: sono i voli a portare turismo o il turismo a portare i voli? Se miglioriamo la nostra attività non saranno le compagnie a cercare noi? Ma il punto è: che strada prendere? Questo è solo uno degli argomenti possibili. Noi mettiamo a disposizione ambito e luogo. L’ambito sono le possibilità di sviluppo economico del territorio, il luogo di discussione è il nostro sito web dove potrete non solo dire la vostra, ma anche proporre i prossimi argomenti. Ci vediamo online.
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DOMANDE&RISPOSTE
A volte basta chiedere Questions and Answers, domande e risposte. Postate i vostri dubbi e le vostre curiosità sulle pagine web del nostro mensile e noi cercheremo di rispondere nella maniera più compiuta alle vostre domande. Le più interessanti verranno pubblicate su questa pagina. A pagina 39 troverete il “lancio” dell’argomento generale del prossimo speciale. Se avete domande, curiosità e dubbi relative all’argomento proposto raggiungete la nostra pagina Facebook o il nostro sito (http://netteconomy.tuttotrapani.it). E domandate! Q. Quanto spesso bisogna postare sui canali social? A. La frequenza con cui è più indicato postare dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di pubblico e il social media utilizzato. Un post su Facebook ha una vita più lunga rispetto ad un Tweet, che può essere considerato obsoleto anche solo dopo un paio di minuti. Più che sulla quantità di comunicazioni, bisogna puntare sulla qualità . Avendo contenuti di qualità da condividere e un buon riscontro dal pubblico, vale la pena postare anche 5-6 Tweet e un paio di post su Facebook al giorno, senza per questo essere visto come spam. L’importante è avere un buon equilibrio tra qualità e varietà dei contenuti proposti. Semplici testi, foto, video, contenuti condivisi da blog, domande: tutto deve essere bilanciato in base agli obiettivi della tua strategia e alla propria audience. E poi il consiglio più importante: essere costante. Non c’è cosa peggiore che rimanere in silenzio su un social per giorni o addirittura settimane e poi bombardare improvvisamente il target di comunicazioni come se non ci fosse un domani. Si rischia di perdere credibilità e, quindi, di essere ignorato.
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Q. Come creo engagement su Facebook? A. Semplice, almeno da dire: proponendo contenuti di valore per il tuoi clienti. Affidarsi a contenuti organici, a pagamento, fare domande, contest, proporre offerte. L’importante è ricordarsi di non snaturare lo strumento. I social network nascono come piattaforme di condivisione e creazione di relazioni. Per stimolare l’engagement conta il coinvolgimento empatico tra la pagina e i fan. Usare l’account Facebook come una vetrina commerciale non incentiva gli utenti ad appassionarsi al brand e a sentirsi parte di una comunità virtuale. Visti i recenti aggiornamenti degli algoritmi di Facebook è di fondamentale importanza proporre contenuti di qualità e di valore, ingaggiando solo utenti interessati a ciò che l’azienda ha da offrire.
Il progetto NETT Economy Perchè? Partiamo da una precisa ed esplicita premessa: la gestione pubblica ha fallito pienamente sul versante dell’ammodernamento strutturale delle imprese, a livello locale come a livello nazionale. Ma il peso di questa inefficienza è totalmente sulle spalle dei privati. È necessario che aziende più lungimiranti “tirino la volata”, spingendo il territorio a lavorare insieme verso un obiettivo comune: la crescita economica diffusa. Cos’è NETT Economy? NETT Economy è un progetto di crescita territoriale centrato sulla diffusione di conoscenze e tecniche per l’utilizzo consapevole delle nuove tecnologie digitali a supporto dell’economia locale. Un progetto ampio, che vuole coinvolgere tutte le categorie produttive, con un focus specifico sul turismo e sul destination marketing. Come funziona? Si tratta di un progetto multipiattaforma. Considerato come l’esigenza del progetto parta dall’analisi del ritardo territoriale sull’utilizzo degli strumenti digitali, sono stati predisposti anche dei canali off-line mirati per coinvolgere anche le imprese più distanti dal web. Insieme alla rivista NETT Economy Magazine, periodico bimestrale su carta, stampato in 4.000 copie e diffuso gratuitamente presso le partite IVA del territorio trapanese, sono stati attivati questi canali:
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Web Al centro c’è un sito web (netteconomy.it) all’interno del quale vengono pubblicati articoli e tutorial per imparare a usare correttamente il web a vantaggio della propria attività e raccogliere informazioni che possano aiutare a scegliere partner e fornitori in ambito digitale. Il sito prevede anche strumenti di interazione avanzata, con forum, chat con esperti, test di autovalutazione ed altro. Video Le informazioni più rilevanti (e le news più calde) saranno diffuse anche attraverso una trasmissione settimanale in video, condotta da Franco Mennella e diffusa attraverso la webTv del portale TuttoTrapani. Eventi off-line In calendario ci sono già un evento off-line nel maggio 2017. In seguito è prevista la convocazione (ottobre/novembre 2017) degli Stati Generali del Turismo, un incontro destinato a diventare annuale per analizzare i dati della stagione estiva appena conclusa e programmare la stagione successiva. Infine, NETT Economy è parte integrante del progetto TuttoTrapani, ideato dall’agenzia di marketing digitale Appleseed srl proprio per creare, all’interno del progetto e ad integrazione dei canali generalisti tradizionali off-line (editoria ed eventi), un canale generalista di contatto per l’ambito digitale.
Le partnership Un progetto di crescita territoriale deve fondarsi sulla collaborazione dei principali attori sociali ed economici del mercato. Il nostro, che si basa sull’utilizzo dei nuovi paradigmi digitali, generati dal concetto di Rete e da un modello centrato sulle connessioni, non poteva essere da meno. Abbiamo creato un ambito ed un modello di discussione per coinvolgere aziende (ed enti) che vogliono fare la loro parte per la crescita della provincia. Perché aderire a NETT Economy? I motivi possibili sono due: il primo proiettato sul medio-lungo termine, l’altro più immediato. Lo sviluppo economico territoriale ha un evidente ritorno su ogni singola azienda, ma ci sono alcuni vantaggi, nell’aderire al progetto, che hanno sicuramente un impatto più immediato. Cosa otterrete? La revenue di un simile progetto non può essere calcolata in termini numerici diretti. Il primo impatto riguarda la responsabilità sociale d’impresa, che rappresenta uno dei più efficaci canali pubblicitari. Associare l’immagine della propria azienda ad un’azione positiva per il territorio significa ingenerare nel
cliente quel senso di fiducia che è alla base di ogni processo di vendita. Ma gli aspetti da valutare in termini di ritorno netto per l’azienda Partner sono classificabili in tre ambiti: Brand Awareness: La responsabilità civile d’impresa impatta in termini assoluti sul brand. Targeting: la diffusione in 4.000 copie della rivista e la profonda targetizzazione di tutta la comunicazione connessa al progetto, naturalmente protesa verso il mondo delle aziende e dei professionisti, vede una coincidenza assoluta con il vostro mercato di riferimento; Lead generation: la partecipazione al progetto in qualità di Main partner permetterà, a conclusione della campagna, di accedere al database di contatti altamente profilati costruito intorno al progetto, per campagne specifiche centrate sui vostri prodotti/servizi. Main Partners ManPower Global Communication Multi Erice Assindustria Trapani UNISOM - Consorzio universitario Appleseed - Agenzia di Marketing Digitale
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GLOSSARIO
Ma che Ctr hai? Vocabolario dei termini più usati all’interno del complesso mondo del marketing digitale e della comunicazione in rete. Article marketing Strategia di Advertising che promuove un'azienda o i suoi prodotti attraverso articoli redazionali. Lo scopo è di generare traffico diretto al sito inserendo links negli articoli pubblicati. Buzzing Forma di marketing virale che utilizza l'opinione di bloggers influenti per ingaggiare discussioni attorno ad un brand, un personaggio o un prodotto. Crisis management La gestione delle crisi è il processo attraverso il quale una organizzazione si occupa di un evento che minaccia di danneggiare il brand, l'organizzazione, i suoi stakeholder o il pubblico in generale. CTr (Click-Through rate) Uno dei parametri impiegati per misurare l’efficacia di una campagna online. Si ottiene dividendo il numero di utenti che hanno cliccato su un link per il numero delle visualizzazioni. Endorsement Diffusione di un messaggio pubblicitario con l'intervento di testimonial chiamati a presentare un prodotto a potenziali acquirenti, dimostrandone il funzionamento in determinati contesti e occasioni; in senso più generale si usa per definire l'uso di una persona rilevante ai fini di una testimonianza positiva. Geotagging Letteralmente: Georeferenziazione. Si esegue su immagini e documenti digitali pubblicati, aggiungendo dati riguardanti la posizione geografica cui i contenuti stessi si riferiscono (ovvero coordinate, direzione di orientamento ecc.). Si possono così ricercare sul web infor mazioni aggiuntive sulle località "taggate" o, viceversa ricercare tutte le immagini relative a una deter minata posizione geografica. Glocal Glocalizzazione o glocalismo sono termini introdotti per adeguare il panorama
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della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali. In Internet è un paradigma che mette in relazione un territorio ben delimitato con la rete. Influencer Sono tutti i soggetti, a vario titolo e tipo, che hanno una reputazione forte nel contesto in cui si deve operare e sono in grado di diventare opinion leader e influenzare un bacino di utenza, con i contenuti prodotti e certificati da loro. Location-based services (LBS) Servizi che utilizzano l'infor mazione sul punto geografico di un utente per for nirgli risposte appropriate alle sue esigenze, in base alle caratteristiche del contesto circostante o alle sue abitudini. Social customer caring Si tratta di soluzioni particolari di Customer Care che, mantenendo gli obiettivi di gestione della postvendita, utilizzano le reti sociali per rendere più 'caldo' il dialogo tra utenti e operatori e permettere l'interazione con altri pareri pubblici. Social tagging Definita anche come folksonomy (da folks , gente e thaxonomy , catalogazione). Si tratta della possibilità da parte degli utenti di etichettare con poche e personali parole chiave un qualsiasi documento o pagina web. Team collaboration Sono suite di applicazioni online che permettono a gruppi di lavoro e collaboratori esterni di interagire tra di loro pianificando gli aspetti temporali, il project management , il brainstorming , l'accesso e la produzione di documenti e risultati lavorativi finali e in continuo. Web analytics Definisce delle tecniche con le quali si misurano i risultati di operazioni di web marketing e comunicazione on line in genere.
Un manuale utile ed efficace per usare professionalmente le campagne pubblicitarie sul social network piĂš grande del mondo. Di Alessandro Sportelli
www.seogarden.net Blog sulle tecniche SEO e sul web semantico curato da Francesco Margherita
NEL PROSSIMO NUMERO Il sondaggio: quale prioritĂ per il turismo trapanese? Partecipa su www.netteconomy.it