New Demo Magazine - Novembre 2013

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Sommario

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IN QUESTO NUMERO

Science & Life

Pagina 12 / Focus On

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IL DISASTRO AMERICANO, IL GRANDE FRATELLO COLPISCE ANCORA

Pagina 15 / Contemporary L'INESAURIBILE FEMMINILE

Pagina 16 / Focus On

IL RINASCIMENTO TECNOLOGICO IN PUGLIA CON IL PROF. CINGOLANI

GEO-INGEGNERIA E MANIPOLAZIONI CLIMATICHE

Pagina 22 / Libere Riflessioni OSTUNI, UNA CITTÀ A FUMETTI

Pagina 25 / People UNO PER TUTTI LA PAROLA AD ANTONIO ALOISI

Pagina 41 / Storie di Artisti BUON COMPLEANNO JIMI HENDRIX

BOOMDABASH

People

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Pagina 45 / Society REGOLE E LEGGI DEL CONDOMINIO

SCOPRI IL FEDIFRAGO CON UNA SOLA APP

Society

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Fuori dalle righe

Editoriale di Agnese Poci / Direttore DemoMagazine

C

arissimi lettori e lettrici di Demo Mag, eccovi un numero fresco di stampa del nostro periodico che si fregia di avere in copertina Franco Battiato, uomo e artista poliedrico quanto sobrio, che ci ha concesso un pò del suo tempo per un’interessante intervista. Sono molte le novità che troverete a partire da questo mese: tante nuove rubriche che saranno curate dai nostri esperti e che sapranno rispondere ai vostri dubbi. In questo spazio mi addentro sui contenuti del nostro Magazine. Questa volta, lascio che sia il sommario a guidarvi e occupo diversamente le battute del mio editoriale. Il 25 novembre è stata la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Di messaggi per contrastare e, in alcuni casi, arginare questo triste fenomeno in preoccupante ascesa ce ne sono stati tanti: dalle trasmissioni televisive, sino al braccialetto arancione indossato da 12 attori italiani (tra cui Alessio Boni, Fabio Troiano, Claudio Santamaria e Luca Ward) per la campagna Intervita, passando per la spiacevole lista di crimini sciorinata durante i telegiornali. Nel 2012 sono stati 124 i femminicidi avvenuti in Italia e solo a partire dal 2013 i crimini registrati sono più di 80. Un numero tristemente destinato a salire. Spesso a ferire gli uomini è la capacità che le donne dimostrano di avere nel riprendere in mano le redini della propria vita. Quando l’assassino (marito, compagno, fidanzato o ex) non porta a termine il suo percorso d’odio con la morte della vittima prescelta, ci pensa con le lesioni: il crescente fenomeno degli aborti provocati da percosse, i traumi cranici, i pestaggi, le fratture, i lividi. A far più male, però, sono le continue vessazioni psicologiche, invisibili all’occhio umano perché feriscono lì, dove le ferite son più difficili da rimarginare. Una volta le donne sopportavano le continue umiliazioni credendo di averle meritate, con la convinzione che il loro amore sarebbe bastato a cambiare il loro uomo. Oggi è elevato il numero delle vittime che denuncia i propri aguzzini, spesso padri di famiglia, in pubblico dolci e comprensivi, bestie nelle quattro mura domestiche. L’ aiuto più concreto da fornire alle donne? Una legislazione che non preveda che allo stalker o all’ex geloso, denunciato, vengano notificati gli atti delle querele con il nuovo indirizzo delle donne, fuggite per nascondersi dalla furia e dalla prepotenza. Credo sia come servire la vittima su un piatto d’argento. Senza parlare del trattamento che, in più occasioni, è stato riservato a quelle coraggiose che, al momento della denuncia di un crimine violento, non sono state credute e delle quali abbiamo avuto modo di conoscerne la storia perché ormai vittime. Eppure, esistono esempi positivi di uomini che si rendono conto del male che fanno sulle donne con il loro comportamento e se ne pentono. Non con mazzi di rose e cioccolatini, ma frequentando un centro (troppo pochi, ancora, in Italia) di recupero per uomini che maltrattano le donne, come quello attivo a Modena. Perché ad imparare a voler bene e a rispettare l’altro c’è sempre tempo. E se facciamo intendere ai più giovani che questo non è possibile, non abbiamo speranze: saremo un Paese destinato a morire.

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INTERVIEW

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INTERVIEW

FRANCO

BATTIATO di Agnese Poci

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uando si parla di lui, del Maestro, lo si fa sempre con un certo timore reverenziale ed anche nell’approccio a questa intervista è stato così. Franco Battiato è un musicista, un cantautore, un’artista a tutto tondo, ma per molti rappresenta un’intera filosofia di vita. Il suo stile semplice, sobrio ed essenziale traspare dalle sue liriche, spesso arricchite da un linguaggio sofisticato, di rara bellezza. Franco Battiato è conosciuto anche per la sua poliedrica produzione artistica: certo, son più famose le sue canzoni, che hanno fatto da colonna sonora ai sentimenti e alle riflessioni di molti italiani. Ma a Battiato fa capo anche una casa editrice, L’Ottava e sempre a lui vanno attribuite numerose tele e sperimentazioni dal gusto cinematografico. Sarà impegnato, sino al 10 dicembre prossimo, in un tour che unisce sullo stesso palco artisti diversi, all’insegna della riscoperta di una cultura dimenticata, di una lingua che ha solcato le nostre terre, lasciando una traccia profonda del suo passaggio. Abbiamo parlato con lui del suo impegno lungo lo Stivale (che lo vedrà esibirsi anche in Puglia), ma anche del periodo storico che l’Italia sta attraversando. Maestro, Lei sarà a Brindisi il prossimo 6 dicembre con lo spettacolo “Diwan. L’essenza del reale”. Ci racconti come si inserisce nel suo mondo questa sua ennesima prova. «Quello che porto nei teatri italiani dal 21 novembre è un tour

prodotto da Fondazione Musica per Roma, Puglia Sounds e Progetto Calliope. Un pò si sa che il mio mondo è abbastanza eterogeneo e che gli esperimenti mi piacciono. Il lavoro trae origine da un’importante scuola poetica araba che prese vita intorno all’anno 1000 nella mia amata Sicilia e che, in quasi tre secoli di attività, lasciò tra i manoscritti dell’Andalusia e del Nord Africa, tracce preziose di una ricca produzione e di un variopinto intreccio di culture. Peraltro, questo è un progetto nato nel 2011 e che abbiamo presentato solo in poche realtà». Nel progetto musicale si sposano diverse culture del Mediterraneo per ridar vita ad una lingua, a testi quasi dimenticati. Con quale criterio è stato formato il gruppo che sale con Lei sul palco? «Il gruppo è quasi come quello di due anni fa. Sul palco mi onorano della loro presenza Etta Scollo e Nabil Salameh dei RadioDervish alla voce, H.E.R. al violino e voce, Carlo Guaitoli al pianoforte e tastiera, Gianluca Ruggeri alle percussioni, Jamal Ouassini al violino, gli Al Kamandjâti e Pino Pischetola ingegnere del suono. Quest’anno abbiamo anche due strumentisti in più». La sua è una carriera di tutto rispetto: sin dagli esordi, ha potuto vantare l’appoggio di numerosi artisti, tra cui Giorgio Gaber. Quanto ha influenzato il Suo percorso l’aver vissuto a stretto contatto con artisti come Gaber? «Sono stato molto fortunato perché vivere in un ambiente stimolante e culturalmente ricco mi ha aiutato a essere”libero”di spaziare, sperimentare, trovare una strada che fosse solo mia».

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INTERVIEW

Lei è, probabilmente, il musicista e paroliere più sofisticato nell’intero panorama nazionale. Ad un primo ascolto, la sua musica raffinata e ricercata parrebbe lontana dai giovani d’oggi, che invece la apprezzano. Come si spiega questo consenso? «Non ho mai cercato spiegazioni. Il compito degli artisti è dedicare la propria vita alla ricerca e allo studio, per poi condividerla con un pubblico disposto ad accettarla. Ben venga che ci siano giovani e giovanissimi ad affollare i miei concerti. Significa che ho saputo svolgere il mio compito». Qualcuno si azzarda a rintracciare un’attività «politica» sottesa a quella artistica. Come reagisce a queste affermazioni? «Ci si stupisce che anch’io abbia una mia opinione. Anche io vivo i miei momenti di indignazione. Spesso, l’ho trattato nelle mie canzoni: “Povera patria”, “Strani giorni” e “Bandiera bianca” sono solo alcuni esempi…». Rientra in un momento di indignazione la Sua affermazione sul continuo mercimonio di favori, regalìe e donne in Parlamento? «Credo che la classe politica pensi che il popolo sia incosciente. La realtà è diversa e la situazione sta cambiando. E per quel che riguarda quella mia affermazione, il tempo è stato galantuomo. Oggi se per strada la gente mi ferma, mi fa i complimenti per quella frase e non mi riconosce come il musicista Battiato».

Cosa pensa dei giovani che si affacciano ora nel mondo della discografia, che spesso devono sottostare ai diktat delle etichette per vendere qualche copia in più? «Ognuno fa il suo percorso. Parecchie volte, cantanti rifiutati da molti discografici, hanno avuto un grande successo con il pubblico. E parecchie volte, discografici che hanno intuito del talento in giovani, ancora non maturi, a poco a poco li hanno portati al successo». La Sicilia, sua terra amatissima, viene da Lei affrescata come in un mosaico: pazientemente, uno o più tasselli vengono disseminati in ogni album, a mo’ di segno distintivo. Come vede la Sicilia oggi Battiato e come vorrebbe vederla? «Purtroppo questo non è un momento facile per la Sicilia. Inutile dire che vorrei vederla solare, viva come forse non lo è stata sinora. La Sicilia e l’Italia sono vicine oggi alla Grecia per la stessa, disastrosa crisi economica come lo furono secoli fa perché culle del sapere e della cultura del Mediterraneo». E cosa si sente di dire ai tanti giovani che, valigia alla mano, scelgono di trasferirsi all’estero? «Oggi, molti giovani in gamba sono costretti a lasciare l’isola come accade in tutta Italia. Ma questo non è un male. Gli italiani che lavorano all’estero sono molto apprezzati. La legge dell’appartenenza e i suoi legami, a volte, sono un limite che va superato e rinegoziato». 

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FOCUS ON

IL DISASTRO AMERICANO DA ORWELL A SNOWDEN, IL GRANDE FRATELLO COLPISCE ANCORA

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FOCUS ON

di Cristina Mignogna

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ineteen Eighty-Four non è la data di nascita di un individuo storicamente importante, sia esso politico, imprenditore o sportivo, bensì il titolo di uno dei più futuribili e quanto mai attuali libri di George Orwell: dispotico e politicamente accattivante. Scritto nel 1948 (gli ultimi due numeri sono stati invertiti per dar vita al titolo), il libro parla di un Grande Fratello impegnato a tenere sotto stretto controllo qualunque forma di vita, ricordando costantemente la piramide gerarchia a cui si era per natura sottoposti e il relativo potere, desunto dalla supremazia, e messo dunque in pratica. Poche sono le informazioni che permettono nel libro di capire quanto di reale ci sia nella figura di questo controllore e quanto invece possa essere un puro e semplice simbolo creato dal partito per far rispettare le concezioni assunte. E 30 anni dopo? Vi è una Nazione che si crede al di sopra di ogni legge, trattato di pace e consuetudine per il buon vivere, un Capo che sa o che poco vuole sapere per rimanere quanto più trasparente possibile davanti alla comunità, una Potenza che per mantenere il suo predominio politico, economico e sociale, ripropone schemi già visti, messi su carta da un autore di romanzi allora, e vivibili oggi, nel quasi ormai vicino 2014. Perché così tanta cura nel voler, di proposito, spiare ogni umano che possa in qualche modo avere, nel suo piccolo orticello, quella qualifica di capo tribù? Cosa mai spinge un qualificato, riconosciuto ed a dir poco affermato Stato come quello americano, nonostante la considerazione e reverenza nei suoi confronti, il perenne paragone e la schiacciante vittoria del primo su ogni altro Paese nel mondo, a volere sapere? Paura? Ossessione?

Sempre tante domande e poche risposte, come in quel libro, anche oggi nella quotidianità si combatte il delirio di onnipotenza, quella follia umana aiutata dalla tecnologia che tutto può e tutto permette alle spalle di chiunque. Segreti rivelati e accordi quasi saltati: vorremmo fosse l’intrigante trama di un film, invece sono le news sull’America costretta a chiedere scusa ai suoi “amici” e a trovare soluzioni alternative per far si che il suo piedistallo continui a sorreggerla: non si tratta certo di essere pro o contro l’americanismo nel mondo, ma di fiducia e collaborazione, di alleanze utili alla pace, di condivisione del giusto e di lotta contro ciò che è sbagliato. Chissà che diventi, per l’America, un’occasione per fare un esame di umiltà! Intanto in pochi credono che ciò possa accadere: non c’è quotidiano nazionale o straniero che oggi non ponga l’accento sulle continue ed imbarazzanti rivelazioni, facendo del Datagate una simpatica notizia degna delle trame ordite dagli autori di una soap opera. L’autorevole The Guardian ha dato il via alla competizione da “notizia da prima pagina”, ha preso la testimonianza di Edward Snowden e ne ha fatto il caso politico più importante degli ultimi decenni. Un lavoro pressante, quello svolto dall’occhio americano, il cui tacito consenso da parte del resto del mondo, ha permesso il costante monitoraggio di Nazioni, Capi di governo e di Stato, organizzazioni politiche ed economiche di caratura internazionale: in Germania (una delle nazioni “spiate” dagli States, NdR) hanno detto che “un affronto più grande da parte di un Paese amico è a malapena concepibile”; in Francia, il giornale Le Monde ha documentato un lavoro di spionaggio tra il 10 dicembre 2012 e l’8 gennaio 2013. Un finale ancora tutto da scrivere per una storia dai contorni ancora poco chiari. Ciò che ne verrà fuori continuerà ad essere accettato o qualcuno deciderà che non è più sopportabile un comportamento simile? 

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CONTEMPORARY

di Alessandro Passaro

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L'INESAURIBILE FEMMINILE

el corso della storia dell'arte, la figura femminile è stata raccontata attraverso i molteplici aspetti che la caretterizzano. Dalle rappresentazioni dell'uomo paleolitico, giungendo fino ai nostri giorni, l'artista affronta la figura della donna come madre, santa, diavolo, amante, simbolo di archetipo umano e di perfezione, corpo e carattere, amica preziosa o incompresa nemica, forte o debole, seduzione del male o sublimazione dell'amore. Ogni aspetto contrastante dell'essere donna è stato contemplato, evidenziato e sublimato nell'arte, ma non è stato sufficiente a esprimerne l'interezza del suo essere. Sì, perchè la donna, seppur essenza dell'essere più vicino alla perfezione, si esprime in modo differente e imparziale, sintomo proprio di quella lunaticità che la rende eclettica nelle sue molteplici rappresentazioni, un'emozione altalenante, sempre diversa dalle altre creature, sempre diverse da sé stessa, sempre musa. La donna nell'arte è musa principalmente dell'uomo artista che, nel creare rappresentazioni intorno a sé, esorcizza l'impossibilità di raggiungere la condizione creatrice della donna che si eguaglia a Dio, creando vita. E' così che nascono capolavori infiniti come la serie delle Madonne di Giotto che raccontano la donna madre e santa nella sua terrena e umile umanità; i capolavori del '500 che antropomorfizzano la donna con la natura, la denudano come decantazione dello splendore, la espongono come modello perfetto di poesia della forma. Ogni artista, attraverso il proprio punto di vista, illuminerà un aspetto: per Caravaggio, si tramuta nella profondità di un passaggio spirituale in cui la donna appare esposta nel mondo reale delle emozioni e dell'irrazionale. Qualche secolo dopo, col Romanticismo, diventa forma da valorizzare, contenuto da illuminare, piacere e tempio dell'amore. Fino alla donna di Schiele, che ne sottolinea la grazia come la disperazione carnale e patologica, di una pubertà non superata, dove la magrezza delle carni irregolari si fonde con il realismo dell'esperienza, dove carne è realtà. E ancora l'intimità delle scene concettuali di Seraut fino alla donna prostituta e scomposta di Picasso o al nudo moderno e veloce del Futurismo che ne smembra la forma a favore del simbolo di una società in accelerazione. E ancora, la donna corpo, di Francis Bacon che diviene colante su se stessa, come sciolta in sé in una perdita delle normali convenzioni descrittive e formali che da sempre la distinguono. “Ti amo”dice un uomo ad una donna, “affinchè tu possa farmi scendere nell'irrazionale dell'amore e risalirne arricchito”. DEMO MAGAZINE

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FOCUS ON

GEO-INGEGNERIA E MANIPOLAZIONI CLIMATICHE ECCO CHI CONTROLLA I NOSTRI CIELI SONO IN CORSO DA PIÙ DI SESSANT'ANNI TENTATIVI DI CONDIZIONARE ARTIFICIALMENTE IL CLIMA: CONTROLLARE PIOGGE E NEVICATE, ALTERARE LA TEMPERATURA ATMOSFERICA, GENERARE TORNADO E TSUNAMI. SCOPRIAMO CHI CONDUCE QUESTI ESPERIMENTI E A QUALE SCOPO!

di Antonio Scoditti

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stati torride di terra secca e assetata, primavere e autunni pressoché spariti. Si passa oramai dall’estate all’inverno in pochi giorni, da giornate soleggiate a nubifragi e alluvioni in poche ore. Che il clima stia cambiando sotto ai nostri occhi è ormai un dato di fatto. Ma il cambiamento è solo frutto del nostro stile di vita, conseguenza inevitabile dell’inquinamento atmosferico, oppure esistono altri fattori? Il dibattito sulle variazioni climatiche si focalizza sull’impatto delle emissioni dei gas serra, chiedendosi se queste costituiscano l’unica causa dell’instabilità climatica. Possibile che nessun governo abbia mai sollevato il problema dei rischi legati alla “guerra ambientale” o alla “geo-ingegneria clandestina” impiegati per futuri scopi militari? La GEO-INGEGNERIA Geo-ingegneria è il termine principale per designare l’attività di modifica meteo-climatica per opera dell’uomo. Si tratta di una élite, fra i migliori scienziati e fisici della terra riuniti in 16

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un organizzazione internazionale. Il loro “dichiarato” scopo è di migliorare la stabilità del clima, “difendendoci” così dal riscaldamento globale, ma infischiandosene alla grande degli effetti collaterali che i loro esperimenti determinano sia sull’uomo che sul pianeta. La componente fondamentale dei programmi di geo-ingegneria riguarda il rilascio in atmosfera di tonnellate di aerosol e altri metalli pesanti con lo scopo di modificare drasticamente le quantità di pioggia, i periodi di siccità e caldo torrido e, allo stesso modo, di prolungare periodi di freddo e temperature rigide. TECNICHE UTILIZZATE: SCIE CHIMICHE Secondo una teoria molto diffusa in rete, miliardi di nanoparticelle verrebbero quotidianamente diffuse attraverso le cosiddette scie chimiche, scie di pulviscoli bianche e persistenti rilasciate in cielo da aerei non segnalati con lo scopo i modificare il clima in determinati periodi dell’anno e in determinate zone. Quello che molti si chiedono è cosa contengano queste scie e cosa viene immesso nell’aria.


FOCUS ON

I pochi coraggiosi che si sono presi la briga di analizzare la composizione delle scie hanno accertato la presenza di sostanze come bario, piombo, mercurio e, infine, la più pericolosa di esse perché ritenuta cancerogena: il dibromuro di etilene. A QUALE SCOPO? La “solita” versione ufficiale sui motivi che spingono fondazioni, multinazionali e governi ad investire nella ricerca sulla manipolazione del clima è combattere il surriscaldamento globale o studiare i possibili scenari futuri. Ma è pur vero che ci sono ben altri scopi. Bellici, ad esempio. LA GUERRA DEL VIETNAM E IL PROGETTO POPEYE Gli Stati Uniti furono i pionieri delle tecniche di modifica ambientale-meteorologica. Infatti, durante la guerra del Vietnam, tra il 1967 e il 1972, l’Operazione Popeye condotta dagli Stati Uniti, portò, tramite l’utilizzo di aerei modificati C-130, all’inseminazione delle nubi con particelle di ioduro di argento che, rendendo più pesanti le singole particelle di

acqua, diedero come risultato un prolungamento delle piogge di 30-40 giorni nella zone di guerra. Questo intensificò le piogge, rendendo difficile il traffico stradale, saturando il suolo e facendo esondare i fiumi, inondando il sentiero di Ho Chi Minh e distruggendo anche le risaie del Vietnam del Nord. Quest’ultime di importanza strategica per i Vietcong. RIPERCUSSIONI ECONOMICHE Potrebbero poi sussistere motivazioni economiche. Le multinazionali più potenti del pianeta potrebbero trarre profitti enormi dai cataclismi ambientali, dai disastri, e persino dal surriscaldamento globale grazie ai cambiamenti dei prezzi sul mercato delle materie prime e i beni di consumo. Tutto lascia pensare che, se le cose dovessero restare così come sono ora, i disastri continueranno a presentarsi con intensità sempre più feroce. Si potrà attaccare il “bersaglio” usando il meteo, negando ogni tipo di responsabilità.  DEMO MAGAZINE

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rubrica a cura di

Mesagne

COMPANY

CASA MELISSA

LA COOP. SOC. O.S.A. ALLARGA I PROPRI ORIZZONTI PER ACCOGLIERE I DIVERSAMENTE ABILI TRA I 18 E I 64 ANNI

L

a Cooperativa Sociale O.S.A. (Operatori Sanitari Associati), già presente sul nostro territorio con la RSSA “VILLA BIANCA” destinata agli ultra 64enni, estende i propri servizi socio assistenziali con l’apertura a Mesagne di una RSSA di fascia alta ( ex art.58 R.R. N.04/2007) dedicata a persone di età compresa tra 18 e 64 anni, denominata “Casa Melissa”. La RSSA è operativa a partire dal mese di settembre offrendo, in regime residenziale, prestazioni socio-sanitarie a persone in situazione di handicap con gravi deficit psico-fisici. Persone che non necessitano prestazioni sanitarie complesse in RSA, ma che richiedono un alto grado di assistenza alla persona con interventi di tipo educativo, assistenziale e riabilitativo ad elevata integrazione socio-sanitaria. Gli interventi socio-assistenziali offerti hanno come obiettivo principale il mantenimento e il recupero dei livelli di autonomia degli ospiti e il sostegno delle famiglie. La Residenza dispone di 20 posti letto organizzati in un modulo abitativo, offrendo prestazioni di assistenza sanitaria (medica, infermieristica, riabilitativa), di attività socio-assistenziale, tu-

telare ed educativa, di attività alberghiera. Le camere, sia singole che doppie, sono dotate di ogni tipo di comfort e servizi: telefono, TV, climatizzazione, letto con telecomando, bagno adeguato per la non autosufficienza, domotica per l’agio e la sicurezza dell’Ospite, rete LAN. La Residenza Casa Melissa è inoltre dotata di una sala multifunzionale per le attività giornaliere ricreative, una sala di musicoterapia, una sala ristorazione fruibile anche da parenti e amici degli Ospiti, una palestra per le attività di riabilitazione motoria, ampio spazio esterno attrezzato per la vita all’aria aperta, parcheggio per familiari e amici. Casa Melissa nasce dal bisogno espresso della popolazione, in particolare dalle famiglie che quotidianamente si confrontano con tali problematiche. La Residenza concorre ad assicurare una presa in carico appropriata ed efficiente della persona non autosufficiente, al fine di favorire un servizio di sollievo al caregiver familiare impegnato nell’inevitabile lavoro di cura. La RSSA costituisce una valida alternativa all’assistenza domiciliare, laddove le condizioni del soggetto portatore di disabilità non ne permettano più il mantenimento in famiglia. 

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rubrica a cura di

SICUREZZA

Zona Ind. Mesagne

AMBIENTI CONFINATI:

COSA SONO E A CHI INTERESSA? LA FORMAZIONE PRIMA DI TUTTO di Dott. Marco Campana Biologo valutatore Rischio Chimico e Biologico nei luoghi di lavoro Cosa si intende per ambiente confinato? Ogni spazio con limitate aperture di entrata e uscita, nonché sfavorevole ventilazione naturale in cui le sostanze inquinanti, tossiche o infiammabili , possono accumularsi o creare un'atmosfera carente di ossigeno. Tali spazi, infine, non sono destinati all'occupazione continua da parte dei lavoratori. Obblighi di Legge DPR 177 del 14.09.2011 Regolamento sulle norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti A chi interessa? A tutti coloro che sia come azienda, che come privato,si trovano ad intervenire in pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas nocivi e mortali. Come procedere. Se si analizzano le cause e le dinamiche degli incidenti emerge come, all’origine

di tutte queste disgrazie, spesso ci sia la scarsa consapevolezza e la superficialità nell’effettuare specifiche operazioni. Pensiamo ad esempio alla nostra realtà territoriale e immaginiamo i lavori nelle cantine, con le attività di travaso e di fermentazione, o negli oleifici, con la pulizia di cisterne e silos, o nelle celle frigo, con le attività di immagazzinaggio: queste sono tutte situazioni apparentemente comuni ma altamente rischiose. E’ fondamentale, quindi, che i privati che le aziende, in caso di necessità di intervento, facciano riferimento SOLO ad aziende specializzate che abbiamo frequentato specifici corsi di formazione e addestramento nonché siano equipaggiati con specifici dispositivi di protezione. Chi non commissionasse le attività all’esterno, ma eseguisse le operazioni con personale interno è OBBLIGATO per legge a garantire la formazione specifica per i propri lavoratori e la dotazione dell’equipaggiamento specifico. La Control S.r.l., da tempo impegnata

nella ricerca e nella garanzia della sicurezza, ha così elaborato un programma di interventi, soprattutto formativi, per chi necessitasse di adeguarsi alla normativa vigente così da non incorrere in gravi sanzioni. Già nel mese di novembre 2013 si terrà presso la propria struttura alla Zona Industriale in Via A. Montagna a Mesagne, un “Corso di formazione ed addestramento per lavori in ambienti sospetti di inquinamento e confinati”, tenuto da docenti di documentata esperienza, nonchè ispettori dello SPeSAL (Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro) – Asl Brindisi e tecnici di azienda specializzata nel settore dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) per la fase di addestramento. Alla fine del corso verrà rilasciato attestato, qualificante e fondamentale per non incorrere in sanzioni. Per informazioni: CONTROL S.r.l. Tel. 0831-777380 formazione@controlcertificazione.it

INCIDENTI 25 AGO 2010: San Ferdinando di Puglia: durante l'impermealizzazione di una cisterna per l'acqua piovana, un operaio muore e due rimangono feriti per le esalazioni di gas. 03 MAR 2008: Molfetta Tragedia sul lavoro in un'autocisterna di zolfo. Cinque le vittime, morte una dopo l'altro nel tentativo di aiutarsi. La dinamica è tipica di questi infortuni: la prima vittima perde conoscenza nella cisterna, gli altri soccorritori intervengono senza precauzioni e rimangono intossicati. 18 AGO 2006: Monopoli: due operai muoiono nella cisterna di un oleificio. Solo alcuni degli incidenti sul lavoro rivelatisi mortali, che potevano essere evitati con la prevenzione, DEMO MAGAZINE

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LIBERE RIFLESSIONI

Ostuni una cittĂ a fumetti Storie appassionanti che vivono grazie ai disegnatori. Anche pugliesi.

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LIBERE RIFLESSIONI

di Ferdinando Sallustio

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a Papa Francesco a Tex, da Geronimo Stilton ai Beatles, da Domenico Modugno a Walt Disney, il fumetto si occupa di molteplici realtà e crea un ponte fra le generazioni: è stato questo il motivo ispiratore della quarta edizione di “Ostuni: una città a fumetti” svoltasi ad Ostuni. Grazie al linguaggio fumettistico, che fonde l’arte figurativa e la letteratura, i genitori hanno ritrovato pagine della loro infanzia e i bambini si sono appassionati ad una forma espressiva che unisce tradizione e novità; un appuntamento gradito alle famiglie, quindi, che ha consentito uno scambio di esperienze ed ha trasformato per tre giorni il Palazzo comunale in un regno di giochi e fantasia. L’iniziativa è stata organizzata dal Rotary Club Ostuni-Valle d’Itria-Rosa Marina (presieduto da Antonio Muscogiuri) e da “Fioriverdi” di Lecce, col sostegno determinante dell’Assessorato alle Attività produttive del Comune di Ostuni, retto dal dott. Nichi Lo Tesoriere, che ha dichiarato:” Anche quest’anno abbiamo chiamato ad Ostuni i personaggi dell’arte del fumetto, un linguaggio consolidato e moderno al tempo stesso che consente di valorizzare le risorse e le bellezze del nostro territorio, favorendo un’estesa rete di progetti e professionalità nel settore, mettendo insieme talenti di valore internazionale con giovani emergenti locali”. Infatti potrebbe nascere da questa manifestazione una “Storia di Ostuni a fumetti” e più di cento giovanissimi disegnatori della scuola elementare “Pessina - Vitale” hanno preso parte al concorso ispirato alla figura di Papa Francesco, con molti lavori collettivi; per quelli individuali o a coppia sono stati premiati i piccoli Sara Zurlo, Vincenzo Sacco, Mimmo Panaro e la coppia Antonio Vincenti- Francesco Sciacca, mentre il giovanissimo Marco Dragone, di soli sei anni, ha ottenuto il riconoscimento per essere stato il partecipante più giovane (ma già bravo). Claudio Procopio di “Fioriverdi”, inventore di giochi didattici, ha animato una sorta di gara olimpica con i giochi di un tempo. Le targhe di merito di “Ostuni: una città a fumetti” sono sta-

te consegnate ai fumettisti ed agli artisti ospiti: Federica Salfo, disegnatrice della Walt Disney America e di Geronimo Stilton, che tornava ad Ostuni dopo aver fatto diventare personaggi dei fumetti il nostro olio ed i nostri ulivi (la bottiglia abbracciava l’albero dicendo: “Ostuni ed i suoi ulivi: una storia di amore ed olio”), Dante Spada (disegnatore della Bonelli, di “Martin Mystère” e Tex), Pietro Favorito (ideatore del fumetto “Lady Mafia”, ambientato in Puglia, con protagonista una colta emula di Diabolik), Chiara Criniti (illustratrice di rilievo nazionale, che curerà le illustrazioni per il libro, di prossima uscita, “La ruota delle favole”, progettato dal Rotary Club), Donatello Pentassuglia (disegnatore, grafico, caricaturista e percussionista ostunese), Enzo Farina (vignettista satirico de “Lo Scudo” di Ostuni), Stella Nacci (animatrice del laboratorio d’arte “Tiffany” ad Ostuni), Serena Bagnardi (disegnatrice ostunese), Gianni Greco (ideatore del manifesto dell’iniziativa con l’Uomo Ragno ad Ostuni), Antonio Ferrante (della Lab Edizioni di Altamura, per le sue pubblicazioni sulla storia a fumetti e sulla vita dei pugliesi illustri: infatti durante l’evento è stato presentato “Mimmo: un sogno dentro il sogno” fumetto sull’opera di Domenico Modugno; ospite anche il coro dell’Associazione musicale “Antonio Legrottaglie”, diretto da Gabriele Semeraro, con il bravissimo solista baritono Carlo Sgura. Nella serata conclusiva ha suonato nel Chiostro la validissima cover band dei Beatles, “The Skywards”: era infatti dedicata ai quattro baronetti di Liverpool una parte della mostra a fumetti. Abbiamo così appreso da Federica Salfo che nei cartoni animati hollywoodiani ci sono schiere di disegnatori super specializzati: uno responsabile del movimento dei capelli di un personaggio, l’altro solo del riflesso degli occhi, e così via, tutti coordinati da bravissimi supervisori: ciò non toglie che, anche se nulla è lasciato al caso, ci sia spazio per l’inventiva personale di un disegnatore, che può migliorare così tanto un particolare da spingere a modificare la sceneggiatura; Dante Spada ha narrato le sue vicissitudini di disegnatore di Tex, al quale è approdato dopo severe prove grafiche, e le sue 220 pagine finali sono state esaminate ai raggi X dai lettori, attenti anche all’esatta distanza dalla cintura alla quale Tex appende la pistola!  DEMO MAGAZINE

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PEOPLE

UNO PER TUTTI LA PAROLA AD ANTONIO ALOISI IL RAPPRESENTANTE DEGLI STUDENTI DELLA BOCCONI RACCONTA LE EMOZIONI DA PROTAGONISTA DELL’APERTURA DELL’ANNO ACCADEMICO IN VIA ROENTGEN

di Cristina Mignogna

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l 22 ottobre si è tenuta in Bocconi l’Inaugurazione dell’Anno Accademico, occasione ufficiale dal fascino celebrativo, reso ancor più emotivamente trascinante quest’anno, dalla presenza di Antonio Aloisi, rappresentante degli studenti, neolaureato in giurisprudenza economica e di origini salentine. Aloisi ha avuto, per la prima volta, l’occasione di parlare alla platea, accanto al Rettore Andrea Sironi, al vice Luigi Guatri, al consigliere delegato Bruno Pavesi e al Presidente Mario Monti. Si riconosce fierezza per avere fatto parte del “made in via Sarfatti” e soddisfazione per essere stato uno dei quattordicimila bocconiani, ma il primo a parlare da quel palco. Cosa hai pensato mentre raggiungevi il leggìo, cravatta in ordine a parte? «Sembra una contraddizione, lo ammetto, ma è il modo perfetto per spiegare il significato della mia presenza lassù: alcune liturgie di questa Università continueranno ad esistere, ma aver azionato una “rivoluzione” determina l’attenzione verso ciò che gli studenti chiedono. La stessa totale libertà nello scrivere il discorso ha la sua rilevanza: il “come” ho raggiunto gli obiettivi mi ha permesso di costruire credibilità e considerazione. Ho lavorato per realizzare un ponte tra gli studenti e la macchina organizzativa e nonostante qualcuno abbia ancora dubbi, rispondo che non siamo meri sabotatori, la Bocconi è diventata la nostra casa in questi anni e la vogliamo fortificare con il cacciavite e non con il martello. Fare rappresentanza qui ha ancora un gran bel significato, narcisismo personale a parte».

Parliamo di Milano con un misto di razionalità e sentimento: ambizione e fantasia sono le due facce del cambiamento. Troppa utopia per rispondere a questa realtà in crisi? «La mia prospettiva è quella di un salentino. Non mi reputo un disertore di guerra perché ho deciso di prendere una strada che mi ha portato lontano da casa: non dimenticherò mai i vecchi sapori. Non c’è nulla di quei colori, ma Milano allora, rappresentava la scelta giusta per iniziare a scrivere storie, nonostante i cambiamenti siano stati inevitabili: cambiano gli obiettivi e cambia la famiglia a cui senti di appartenere, da un certo punto in poi. Milano è un laboratorio continuamente a lavoro, dove il futuro accade prima di rendersene conto e di questa crisi, non più ciclica, ma permanente, c’è da considerare un aspetto interessante: le qualità delle persone sono divenuti punti di forza, utili per risollevare le sorti delle imprese. Se pensi a te stesso poi, ognuno ha la possibilità di scoprirsi: durante l’università e in una città grande come questa, tempo e spazio diventano amici della personalità e ne fanno l’occasione della vita per un giovane di essere chi è». Ci chiamano privilegiati, ma le tue parole fanno dell’essere “bocconiano” una grande responsabilità. «Lo ripeterò sempre: c’è differenza tra privilegiati e fortunati. La fortuna può arrivare anche all’improvviso, il privilegio lo devi invece meritare. Io mi immagino così la responsabilità: questo campione di studenti, con in mano gli strumenti migliori per affrontare il mondo, deve sentirsi all’avanguardia, senza dimenticare alo stesso tempo di condividere con gli altri. La classe dirigenziale è esigente ma non veritiera, non tutti potranno ambire

a quel posto, ma è la diligenza, secondo me, che meriterebbe più spazio nella consapevolezza di ognuno: bisognerebbe prima essere bravi cittadini, nel rispetto del lavoro e delle regole». Spicca il concetto di futuro, volontà di far parte del progresso e partecipare ai progetti di innovazione. Cinque anni fa hai lasciato il Salento e sei approdato qui. Il prossimo passo? «Si prova a riparare il mondo, a farlo con umiltà. Non ho giocato alla politica in questi anni, ma ho provato a piantare valori fondamentali per la crescita dell’uomo: non essendo bravo a giocare a calcetto ho cercato la mia strada e l’ho trovata. Ho imparato che le idee vengono dalla conoscenza di ciò che sta intorno, e se provassimo a fare delle periferie luoghi di incontro e partecipazione, si riuscirebbe a recuperare tanta di quella potenzialità che il miglioramento non resterebbe una bella parola. Cercherò di non togliere il disturbo anche se il mio percorso qui si è concluso per ora. Spero di non perdere di vista le tante belle persone incontrate finora perché con alcune di loro vorrei davvero continuare a disegnare mondi nuovi, a fare del mio appagamento personale lo strumento di lavoro. Come dice anche Amelie, “è meglio consacrarsi agli altri, che a un nano da giardino”». 

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SCIENCE AND LIFE

IL RINASCIMENTO TECNOLOGICO IN PUGLIA CON IL PROF. CINGOLANI QUANDO LA VIA PER LA RIPRESA PASSA DAGLI INVESTIMENTI SUI GIOVANI DALLE GRANDI CAPACITÀ

di Ferdinando Sallustio

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edico quest’articolo al mio amico di Mesagne, Luigi Nibio: è un uomo speciale, perché non lo ha fermato neppure un terribile incidente che ha trasformato una banale giornata al mare in una tetraplegia. La sua prima tesi di laurea, titolo preso a pieni voti, riguardava Christopher Reeve, il grande interprete di “Superman”, che visse gli ultimi nove anni della sua vita costretto all’immobilità totale dallo spostamento di due vertebre cervicali, in seguito ad una caduta da cavallo. Cercate su Internet il suo sito ufficiale, sul portale “Direktor”, e troverete la sua

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storia, le sue riflessioni, e una raccolta di frasi celebri che, mai come nel suo caso, gli fanno davvero da guida: “Non lasciare mai che un problema da risolvere diventi più importante di una persona da amare”, “Non prendete la vita troppo sul serio: tanto non ne uscirete vivi”, e poi un monito alla politica da parte di Albert Einstein: “Siamo dominati dalla teoria quando si sa tutto, ma niente funziona, dalla pratica quando tutto funziona, ma nessuno sa il perché, dalla politica quando nulla funziona e nessuno sa il perché”. L’Italia è un Paese che si avvia ad invecchiare prepotentemente e non investe sui giovani: è invece tutta italiana la ricerca che potrebbe dare nuove speranze a persone come Luigi o come il musicista Vincenzo Deluci, tetraplegico dopo un incidente stradale, presidente

dell'associazione AccordiAbili e relatore, a fine ottobre, delle conferenze “TEDX” a Lecce. Dopo l'incidente Vincenzo Deluci, compositore di fama internazionale, suona una tromba elettromeccanica. Tra gli altri componenti di AccordiAbili sono intervenuti al TEDX Fabrizio Giannuzzi e Roberto Denicolò (quest'ultimo socio di Informatici senza frontiere), che ha spiegato dettagliatamente il processo di realizzazione e accessibilità della Tromba di Vincenzo. Gian Maria Greco (direttore artistico di Soundmakers Festival) ha spiegato come è possibile rendere accessibile l'arte ai diversamente abili perché bisogna diffondere l'accessibilità culturale. Ed è un vanto per la Puglia che il fisico Roberto Cingolani, barese d’adozione e fondatore di un laboratorio di nanotecnologie a Lecce, sia il capofila


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di un progetto per la realizzazione di un robot umanoide in grado di aiutare anziani e diversamente abili a fare cose come riempire un bicchiere o sfogliare un libro. Ecco cosa diceva Cingolani all’incontro “Repubblica delle idee” dell’aprile scorso a Bari: “Se in Italia c'è fuga dei cervelli vuol dire che questi cervelli qualcuno li prepara, vuol dire che la nostra comunità produce capitale umano di prima grandezza. Poi ci sono due livelli su cui intervenire: il primo è la valutazione, chiudere o riconvertire le cose che non funzionano e fare delle scelte nette; e poi certo, investire più soldi, servono, non c'è dubbio ma devono essere gestiti con meccanismi internazionali: intendo meno burocrazia, senso del tempo e della competizione. Altrimenti sono soldi sprecati”. “Il

nostro robot iCub è una fantastica piattaforma molto comprensibile al grande pubblico. Ma adesso c'è anche un robot quadrupede e c'è Coman che ha un equilibrio incredibile. E sono in grande crescita le ricerche legate alle scienze della vita e ai nuovi materiali. Insomma sono tante le cose che brillano di luce propria". ICub è un robot androide costruito dall'Istituto Italiano di Tecnologia. Alto 104 cm, pesa 22 kg e la sua estetica e funzionalità ricordano quelle di un bambino di circa tre anni. Si stima che iCub, nella sua versione finale, avrà 53 gradi di libertà di movimento. Potrà così imparare e migliorare le sue prestazioni fino al punto, dice ancora Cingolani, “di riconoscere la mia espressione se sono arrabbiato o disteso, e quindi abbassare la sua voce o invece

mettere su la mia musica preferita”. “Sarà come un bambino intelligente- conclude Cingolani- se avrà imparato a spostare il braccio meccanico per versare il latte in un bicchiere e io muoverò il bicchiere, non ripeterà lo stesso movimento versando il latte sul tavolo, ma cercando il bicchiere: non è un robot stupido”. Cingolani è tra i primi cento scienziati italiani, in una graduatoria che misura l’impatto del loro lavoro nelle citazioni su pubblicazioni e siti scientifici: se una ricerca scientifica miglioraeccome- la vita di persone affette da grave disabilità, allora diviene davvero di attualità la frase dell’imprenditore informatico Phil McKinney, che afferma “l’innovazione fa parte più della poesia che della scienza”. Dedicato a Luigi Nibio e Vincenzo Deluci. 

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BEAUTY

Salus Per Aquam

LA SALUTE PER MEZZO DELL’ACQUA

di Redazione

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emo Mag, da questo numero, accoglie nelle sue pagine un nuovo spazio dedicato al benessere, che verrà curato da Tiziana Caforio e Donato De Castro , responsabili della prima urban spa della provincia di Brindisi: Messeìde urban spa. Con loro abbiamo voluto parlare di questa nuova realtà sul territorio e della rubrica che cureranno a partire dalla prossima uscita. Da cosa nasce il nome “Messeide”? Messeide è il nome di una fonte d’acqua anticamente sita in Terapne, vicino Sparta. Di questa fonte parla Ettore alla moglie Andromaca , la notte precedente il suo duello con Achille: “… allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela, e portar acqua di Messeìde o Iperea…” La vostra è una urban spa. È diversa dalle spa di cui sentiamo parlare? Ciò che è differente è la fruizione del sevizio. Una urban spa deve possedere una caratteristica fondamentale: deve essere situata al centro di una città, vicina ad uffici, luoghi di lavoro ed anche ad alberghi. In un tempo limitato è possibile trovare quei servizi che altrimenti richiederebbero uno spostamento in auto fuori città e spesso un pernottamento come nel caso delle resort spa. Che filosofia sposa la vostra spa? La nostra filosofia si basa sul concetto della soddisfazione dei cinque sensi: un 30

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ambiente ricercato, profumi delicati e avvolgenti, suoni piacevoli come scrosci d’acqua e musica rilassante, trattamenti dedicati a diverse parti del corpo, bevande gradevoli. Che tipo di prodotti utilizzate nella vostra spa? Utilizziamo solo prodotti con principi attivi già esistenti in natura. Sono composti da vitamine, oligoelementi ed estratti vegetali. Le creme, ad esempio, contengono unicamente il principio attivo al 100% e sono prive di conservanti, profumi artificiali, umettanti sintetici e derivati del petrolio: rispettano il principio di “simile che accetta il simile”. Cosa intende con “simile che accetta il simile”? La pelle è una barriera praticamente impenetrabile. Ci protegge dall’ambiente esterno, assorbe e blocca le radiazioni, regola la perdita dei liquidi e ci protegge dall’attacco dei batteri. Bene, perché la pelle accetti qualcosa di esterno, deve riconoscerlo come simili a se nella composizione. Che tipo di trattamenti offrirete? Lavoreremo principalmente con protocolli al fine di garantire sempre lo stesso standard qualitativo. I bisogni specifici di ogni singolo tipo di pelle saranno diagnosticati attraverso l’utilizzo di tecnologie innovative. Allo scopo ci serviremo, già in fase di anamnesi di microcamere digitali, che ingrandiscono la pelle fino a 200 volte. L’anamnesi è fondamentale per consigliare al nostro Cliente il trattamento specifico più adatto alle esigenze del proprio tipo di pelle.

Cosa intende per protocollo? Quando si parla di protocollo non si deve pensare solo alla quantità ed al tipo di prodotto da usare, ma soprattutto ad un metodo consolidato frutto di esperienza e professionalità. Tutte le singole azioni, trattamenti, e quant’altro sono poste in una sequenza logica che rispetta la fisiologia della pelle e delle zone che si vanno a trattare. Per far sì che questo avvenga, è importante che ci sia un personale qualificato? Infatti. La formazione del personale è uno dei punti fondamentali che differenziano Messeìde. Da noi il Cliente si scrive con la C maiuscola, perché ogni Cliente riceve, oltre al trattamento specifico una cura costante per tutta la durata della sua permanenza. Anche nei momenti di attesa, durante alcuni trattamenti non verrà mai lasciato solo ma riceverà piccole attenzioni che vi invitiamo a scoprire. Per garantire tutto ciò abbiamo investito sulla formazione professionale dei nostri collaboratori, avvalendoci della consulenza di docenti con background aziendale a livelli direttivi sia nel campo della cosmetica che nel campo della salute in generale. Insomma, da come ne parlate, tutto è curato sin nei minimi particolari. Sì. Tutto il nostro lavoro è basato sull’attenzione al particolare, sul dettaglio, che rende differente la nostra offerta da tutte le altre. Chi entra qui, lascia il mondo fuori. E lo ritrova appena varcata la porta. La nostra offerta non si limita a trattamenti estetici e percorsi: abbiamo a nostra disposizione anche un’ampia palestra in cui si potranno svolgere diverse attività.


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Quali, nello specifico? Insegnanti qualificati terranno corsi di yoga meditativo, pilates, danza del ventre con annesso rituale del tè, sedute di terapia con le campane di cristallo le cui vibrazioni stimolano diverse parti del cervello. Sperimenteremo anche sedute di ginnastica bioenergetica, corsi di massaggio ayurvedico per neonati, per creare un legame maggiore tra le mamme e i loro bambini.Se richiesti, potremo offrire corsi di difesa personale femminile.

In pratica tutto ciò che soddisfa mente e corpo farà parte dei nostri servizi attuali e futuri. Cosa tratterete, invece, nella rubrica sulle nostre pagine? Affronteremo diversi argomenti: parleremo di bellezza, benessere, cosmetici, cronobiologia, articoli sullo yoga, danza del ventre e sulle altre attività di palestra, scoprirete nel corso dell’anno cosa abbiamo in serbo per voi. 

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PEOPLE

boomdabash DA NORD A SUD SPOPOLANO CON LE LORO HITS E STRIZZANO L’'OCCHIO ALL’ESTERO

di Agnese Poci

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n principio, fu “Uno”. Poi, nel 2011, arrivò “Mad(e) in Italy” a sconvolgere le vite medio- borghesi del sud Italia. Ma è con “Superheroes” che i Boom Da Bash hanno letteralmente conquistato lo Stivale e non solo. Biggie Bash, Paya e Blazon hanno stregato i giovani italiani viaggiando in lungo

e largo per tutta la nazione con il tour legato al loro ultimo disco, il terzo della loro carriera. Il gruppo reggae canta i supereroi di ogni giorno, quelli che la mattina si alzano e sfidano le

consuetudini, che non vogliono farsi etichettare e che vivono la vita con la gioia nel cuore, nonostante i mille problemi e le brutture dell’esistenza. Abbiamo incontrato poco tempo fa i Boom Da Bash in uno dei loro concerti sold out. Con loro, abbiamo parlato della loro scalata al successo, costruita con sudore ed impegno, durante una tappa che ha fatto sentire il gruppo come a casa: Torre Regina Giovanna. Esibirvi in Puglia è come stare tra amici, per voi. «Assolutamente. Per noi essere qui è come essere a casa. Solo lo scorso anno ci esibivamo sullo stesso palco, ma provando


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emozioni diverse. Tanto è cambiato nel nostro percorso in questi mesi: c’è il nostro nuovo disco, una nuova consapevolezza dei nostri mezzi, ed anche l’adrenalina che proviamo è a livelli altissimi». In questo anno c’è stata anche un’altra elettrizzante esperienza: un mini tour negli Stati Uniti, che vi ha visto suonare a New York. «Quella americana è stata l’esperienza che ha dato una marcia in più al nostro percorso. Lì abbiamo avuto un’ottima accoglienza, anche perché il nostro genere è molto apprezzato negli States. Anzi, ti racconto un aneddoto: quando eravamo a New York, una ragazza giamaicana stentava a credere che fossimo italiani. Sentendoci cantare, credeva fossimo del luogo, di Brooklyn o di Miami. Ad un certo punto, abbiamo dovuto insistere: siamo italiani! In America hanno un’idea diversa della musica italiana: per loro chi viene dall’Italia non può fare musica diversa dallo stile tradizionale...Strano, ma nel nostro piccolo, abbiamo sfatato questo mito». Per voi si potrebbero aprire anche altri mercati in terra straniera? «Noi lo speriamo. In Italia e negli Stati Uniti abbiamo avuto ottimi riscontri, ma vorremmo farci conoscere meglio anche all’estero. Inutile nasconderci: nei nostri sogni ci sono l’Europa e il Sudamerica come terre da esplorare... Chissà, magari il prossimo anno... (ridono, NdR)» Spesso la vostra musica è associata ad uno stile di vita molto tranquillo, eppure nei vostri testi trovano accoglienza anche tematiche impegnate. «Sì. Abbiamo un mezzo, la musica, che viaggia su onde che

non dipendono dal nostro controllo. La musica riesce a veicolare più facilmente messaggi che altrimenti avrebbero difficoltà ad essere ascoltati da un grande pubblico. I Boom Da Bash hanno deciso che era il caso di dar voce a chi spesso prova a denunciare delle situazioni che il territorio pugliese vive. Lo abbiamo fatto con l’Ilva di Taranto, su cui la magistratura sta indagando e con la centrale di Cerano, a Brindisi. Ovvio, però, che con la musica si può solo comunicare. Soltanto chi è al potere ha la facoltà di cambiare il corso degli eventi». Il vostro percorso musicale è iniziato dieci anni fa: sogni, speranze, qualche delusione...Oggi, potete sicuramente dirvi soddisfatti. Ma come eravate agli inizi? «Ognuno di noi sognava, in un modo o in un altro, di fare della musica la propria vita. Alcuni di noi lo facevano già a livello semi-professionale. Porte in faccia, rabbia, delusioni piccole e grandi che abbiamo ricevuto nel corso del tempo, non hanno fatto altro che rinsaldare la voglia che avevamo di far musica. Possiamo dirlo: non è facile, non è affatto facile, ma abbiamo incontrato chi ha deciso di puntare su di noi. L’unico consiglio che ci sentiamo di dire è che non bisogna mai arrendersi alle avversità, impegnandosi al massimo e lavorando sempre con professionalità». E il sogno dei Boom Da Bash alla conquista della musica continua: dopo il premio Mtv New Generation, il gruppo reggae hanno avuto un ulteriore riconoscimento. Sono stati infatti inseriti in una dettagliata selezione musicale da Repubblica XL, che ha dedicato una compilation alla musica pugliese in tutte le sue sfaccettature. Una dimostrazione in più della loro crescita esponenziale nella reggae music e nel panorama d’interesse nazionale.  DEMO MAGAZINE

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Hair Language


BEAUTY

di Redazione

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uella di Demo è una ricerca costante per incontrare il gusto dei propri lettori e per comprendere quali siano le tendenze e le preferenze nel campo della moda e della bellezza. La nostra strada ha incrociato quella di un grande professionista che opera da anni nel campo della moda e dello styling. Marcello Caforio, nome noto del settore, ha deciso di illustrare, mese dopo mese, in una sua personale rubrica, le ultime tendenze in fatto di stile, moda capelli e bellezza in generale. È un binomio vincente quello tra Marcello Caforio e Demo Mag, in cui si mescolano diverse forme di creatività, bilanciandosi perfettamente e dando vita ad una profonda armonia. Marcello, come nasce l’idea di creare “Hair language”? «Tutto nasce dalla voglia di raccontare ai lettori ciò che il mondo della bellezza è capace di esprimere in termini di colore, tendenza, creatività, sviluppo, tecnica, attraverso la mia esperienza, costruita in diversi anni e con l’entusiasmo del primo giorno». Quando hai capito che era questa la tua strada? «Credo fosse già tutto scritto: nel 1946 mia madre e mio padre hanno deciso di lavorare entrambi nel mondo della bellezza e per me è stato naturale trovarmi a fare lo stesso lavoro. Così, dopo diverse esperienze vissute intensamente al fianco di grandi professionisti dell’hairstyling, come Ugo Sticchi (Lecce), Giuseppe De Robertis (Milano), Bertram K(Austria), Massimo Ceragioli (Lucca), Francesco Calutas (Direttore Laboratori SAIPO), da diversi anni rappresento come testimonial e ambasciatore in Italia la più importante azienda del settore, la L’Oréal». Il tuo percorso professionale è stato sempre in divenire. «Vero, anche perché questo è un mondo in cui non si può star fermi. Dal 2000 condivido con Roberto Arcadi, di Galatina, l’esperienza come responsabile di una partnership denominata “Capelli d’ Autore“, che raggruppa19 saloni nelle provincie di Brindisi, Lecce e Taranto. Convinto come sono della estrema validità della formazione, dal 2009 con Roberto Arcadi e il dott. Carlo Martina ho dato vita alla nascita dell’Accademia della Bellezza, a Nardò». Quanto è importante la formazione nel suo settore? «Fondamentale. Da sempre credo nella formazione d’eccellenza e anche in questo si inserisce la mia presidenza, da tre anni, di Confartigianato Benessere Brindisi e l’istituzione del “Marchio di Qualità”, ideato appunto insieme a Confartigianato. Un modo per essere sempre vicini agli operatori del settore benessere, a garanzia del consumatore. Nel nostro lavoro sono tante le trasformazioni che hanno portato ad un radicale restyling anche delle nostre figure professionali, in cui vivono diverse professioni». In che senso? «L’hair stylist ricopre, senza tuttavia sostituirne le professionalità, le vesti di uno psicologo e di un chimico. Manager e formatore, commerciante ed artigiano, artista e stilista e, perché no, esperto in comunicazione. Questo mi sento io, oggi, dopo l’esperienza maturata nei miei saloni a Brindisi, in via Appia,139

e a Latiano, in via Torre, 35. La marcia in più dei miei servizi sono la competenza, la professionalità e un team composto dai miei collaboratori e da Elona, mia moglie, preziosissima esperta e specialista nel mondo delle protesi e parrucche per chemioterapia e alopecia. È da qui che con immenso piacere, passione e semplicità, metterò a disposizione dei lettori di Demo Mag le mie conoscenze, fornendo informazioni che possono tornare utili a soddisfare le curiosità e l’interesse di chi ama la bellezza». Quali saranno gli argomenti che affronterai in questo anno? «Cercherò di coinvolgere i lettori, di mese in mese, con argomenti e curiosità che offriranno un panorama ampio e variegato su ciò che oggi rappresenta il costume, la bellezza, la modacapelli, i colori e le tendenze cui, ahimé, non ci si può sottrarre». Perché ahimé? «Ognuno di noi si illude di vestirsi o pettinarsi a proprio gusto o di indossare i colori che più si preferiscono. In realtà, scopriremo quali strategie di mercato e di influenza sulle masse siamo portati a seguire e come sia impossibile sottrarsi a ciò che ci viene imposto in modo incondizionato». Da dove scaturisce il titolo della rubrica, Hair Language ? «Alcuni anni fa il semiologo ed esperto in comunicazione Prof. Ugo Volli in un suo libro sottolineava l’importanza dei capelli come strumento di comunicazione non verbale. Quello che ci appresteremo a fare sarà appunto decodificare un linguaggio (quello della moda e del costume), così da essere consapevoli di cosa ci propone questo universo». Come pensi di sviluppare questo percorso? «Rappresenterò gli argomenti della rubrica come in una tavolozza di colori: all’interno del riquadro verde, per esempio, parleremo della storia della bellezza; nel riquadro rosa affronteremo il tema dell’importanza dei colori; nel riquadro bianco della sposa; in quello arancio della moda capelli, e così via… Alla fine di questo percorso, avremo una visione più chiara e una maggiore consapevolezza del ruolo che moda e costume hanno nelle nostre vite». E allora ci apprestiamo a iniziare questo viaggio, eccitante e contagioso, in compagnia di un amico straordinario, portatore sano di energia positiva. Buon lavoro a Marcello Caforio.

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Questo mese abbiamo scelto una piccola storia che ha come punto di forza il suo protagonista e più specificatamente il punto di vista scelto dal narratore che si muove agilmente tra quelli che tecnicamente vengono definiti un “monologo verso l’esterno” e una “prima persona con visione periferica”. Seguiteci tutti i mesi su Demo e sulla pagina Facebook “Cine Script – l’accademia di Cinema e Scrittura Creativa” dove troverete informazioni su tutti i nostri corsi. Buona lettura. Anna Rita Pinto Direttrice corsi Cine Script e docente di scrittura narrativa e sceneggiatura

La Serratura di Giuseppe Summa Don Eugenio. Sì, don Eugenio me li darà i soldi per la bombola del gas. Ogni volta che vado da lui, qualcosa me la dà sempre. E poi don Eugenio non mi chiede mai di confessarmi. I preti, generalmente, te lo chiedono, ma in realtà ti obbligano, ti fanno sentire in difetto. Un povero è sempre in difetto. Un povero, per esempio, non ha diritto a godersi un caffè seduto al tavolino di un bar, mentre parla di Juventus o di donne o di automobili con gli amici. Se lo fa, tutti si sentono in diritto di dire: ecco come spende i soldi che elemosina; se ne sta lì a perdere tempo, anziché cercarsi un lavoro. Come se per vivere bastasse solo il pane. Io conosco bene, per esempio, il gusto del caffè preso al bar. È un gusto speciale. È un gusto che per prima cosa ti entra dagli occhi. Non so, quel tono di nero…; io lo prendo corretto. All’anice. Mi piace di più. Dopo gli occhi ti entra dal naso e ti arriva dritto dritto al cervello e ti dice: forza, muoviti, la vita è una merda, ma, se sei fortunato, oggi avrai anche tu la tua razione di felicità. Be’, non è sicuro, ma almeno il caffè te lo dice. E infine lo senti in bocca. Ti sembra che il sapore ti esploda dentro e ti entri dappertutto. Intanto senza la bombola non posso neanche prendermi la schifezza che faccio con la mia moka. O non dovrei prendere nemmeno quella? Sta celebrando messa. A quest’ora ci sono solo vecchiette. Mi tocca aspettare. Nelle borsette hanno solo pidocchi e santini di padre Pio. Mi fossi fatto monaco! Adesso avrei tutto, avrei soldi, avrei da mangiare, da dormire e probabilmente avrei anche compagnia, se volessi. Avessi dato retta a mia madre, era una santa donna quella. Me lo diceva sempre: fatti prete, vai in seminario, togliti dalle palle, che qui siamo già in molti e tu mangi per tre. Me lo diceva perché vedeva che venivo sempre all’oratorio. Mi tiravo dietro Alfredino, il più piccolo dei miei fratelli, per alleggerirla un po’. Mi piaceva venire in chiesa, avevo un sacco di amici. Si giocava a pingpong, a calciobalilla e anche a pallone. Si facevano scommesse, di nascosto ovviamente, giusto per racimolare gli spiccioli per tirare fuori il biglietto del cinema e le sigarette la domenica. In cambio bisognava ogni tanto servire messa, andare alle processioni e suonare le campane quando c’era da suonarle a distesa, perché Bartolo, il sacrestano, s’era fatto vecchio e aveva l’artrosi. Ma io non mi sarei mai fatto prete, manco morto, perché una volta mi dissero che ai preti glielo tagliavano. Ci ho creduto, ed è andata così. Adesso le vecchiette stanno andando alla comunio36

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ne. Sì, portatevi appresso le borsette. Vi faccio paura, eh? Cantate, cantate che è meglio, va. Ma che fa don Eugenio? Non riesce ad aprire lo sportello dell’urna. La serratura si dev’essere incastrata. Si sta incazzando. Proprio non ce la fa ad aprirla. Sembra che stia litigando. Il canto è finito e lui fa segno di farne un altro. Adesso mi alzo, vado lì e gli dico: posso provare io? È una questione da niente. Col mio temperino faccio miracoli. Ma forse non posso farlo. Forse è peccato. Don Eugenio è disperato. È finito anche l’altro canto e le vecchiette adesso bisbigliano. Qualcuna mi guarda, e mi guarda anche don Eugenio. Che vogliono da me? Mi alzo, vado verso l’altare e salgo i gradini del presbiterio: “Posso provare io? se non è peccato?” “Ma quale peccato”, dice don Eugenio. “Prova, prova!” Da quanto tempo! Da quanto tempo non salivo quassù. Da bambino non ci arrivavo all’urna, nemmeno se mi mettevo in punta di piedi. Il viso di quell’angelo d’argento simile ad Alfredino, rieccolo che mi guarda sorridente come allora. Faccio caso alla raggiera d’oro attorno all’urna. Mi sembra scadente, deve essere a quattordici carati, ma basta piegare avanti e indietro un raggio perché si stacchi. Quanto peserà? Una diecina di grammi suppergiù. Dal Monco ci ricavo un centone pulito pulito. Introduco il temperino nella serratura, faccio una minuscola rotazione a destra verso l’alto per sentire la scanalatura e poi giù di colpo, rapido, verso il basso. Là. “Sia lodato Gesucristo”. Esulta visibilmente sollevato Don Eugenio. In coro le vecchiette rispondono: “Oggi e sempre sia lodato”. Don Eugenio prende la pisside dall’urna, si volta verso di me e, porgendomi un’ostia, mi dice: “Corpo di Cristo”. Sono sorpreso, spiazzato, non so che fare. Fuggirei, ma lui insiste. Gli direi: ma io sono un peccatore, sono un disgraziato, sono la feccia della società ma lui aspetta. Aspetta, finché non apro la bocca. Dopo la messa attendo che si tolga i paramenti e gli dico: “Don Eugenio, ho finito la bombola…” Lui mi guarda e fa: “Sei fortunato! Ti devo retribuire il lavoro che hai fatto”. “Lavoro?” Dico io. “Sì, se chiamavo un fabbro per aprire l’urna, non lo avrei dovuto pagare?” Don Eugenio prende dieci euro dal portafogli e me li dà. Poi mi guarda negli occhi e dice: “aspetta, non andar via, adesso andiamo al bar e ci prendiamo un bel caffè”. E’ forte Don Eugenio. Sì, è proprio forte.


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Cine Script Via Eugenio Santacesaria, 14 • Mesagne (BR) 0831.1792991 • 327.4237720 www.cinescript.it • infocorsi@cinescript.it facebook: Cine Script – l’accademia di cinema e scrittura creativa in Puglia

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COMPANY PROFILE

CAFFÈ EDOR, IL CAFFÈ CHE CONQUISTA IL PALATO

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CON CAFFÈ GUSTO NAPOLI NASCE LA COPPIA VINCENTE CHE CI GUIDERÀ NEL PROFUMATO MONDO DEL CAFFÉ

uanti di noi si ritrovano a parlare, al bancone di un bar o seduti comodamente a casa, dinanzi ad una tazzina di caffè? Sin dal suo arrivo in Europa, questa bevanda ha conquistato il palato di milioni di persone, con le sue mille versioni. Per Demo Mag, a partire dal prossimo numero, una rubrica tutta dedicata ai chicchi più amati nel mondo verrà curata da Caffè Gusto Napoli e Torrefazione Caffè Edor. A presentarci questo binomio vincente, Gianfranco Russo, noto imprenditore dei trasporti, da sempre impegnato nel settore del commercio e dei servizi alla persona, che distribuisce il Caffè Edor attraverso il brand giovane che sta imponendosi nel mondo variegato dei caffè, Caffè Gusto Napoli. Com’è nata l’idea di creare una torrefazione? «Mio cognato ha lavorato per anni per la Caffè Kimbo, mentre mia sorella ha una ditta che si occupa essenzialmente di esportare in tutto il mondo prodotti alimentari campani: parliamo di pomodori pelati, sottaceti, olio e vini. Ad un certo punto delle loro vite, hanno deciso che era il tempo di cambiare. Così, con l’esperienza maturata negli anni, a Nola è nata la torrefazione Caffè Edor, sin dal nome dedicata a mio nipote Eduardo». Che rete distributiva ha il Caffè Edor? «Questo caffè viene distribuito principalmente all’estero. Abbiamo valutato che il 70% delle vendite avviene in Paesi come Regno Unito, Russia, Emirati Arabi ed Est Europeo. In Italia il Caffè Edor viene distribuito solo a Roma, in alcune zone del Settentrione e, attraverso la Caffè Gusto Napoli, in esclusiva in Puglia». Quanto influisce il binomio “torrefazione – distributore”? «È essenziale. Non tutti i distributori vendono caffè forti della vicinanza della torrefazione. Nel caso del Caffè Edor, la formula vincente sta proprio in questo, nell’affiancamento di Caffè Gusto Napoli alla Torrefazione Caffè Edor. E poi, permettimi di dirlo: il nostro caffè è buono e questo fa sì che si venda da solo».

Quali sono le miscele che la Caffè Gusto Napoli distribuisce? «Distribuiamo caffè in chicchi con diverse miscele: dall’Espresso Bar, corposo e dall’aroma intenso, sino all’Espresso Oro, delicato e bilanciato. La punta di diamante della produzione della Caffè Edor è l’Espresso Top 100%, pura Arabica dall’aroma persistente. Trattiamo anche le cialde espresso, il caffè decaffeinato e con gustose varianti al cioccolato, nocciola e ginseng». Quello del caffè è un settore molto competitivo. Qual è per voi la caratteristica fondamentale che deve avere un prodotto? «Sicuramente la qualità. Il caffè è spesso una pausa dai propri impegni, un momento da ritagliarsi nelle lunghe giornate di lavoro. Deve essere un intermezzo piacevole, quindi è fondamentale che il prodotto sia buono e gustoso. E il nostro lo è». Distribuite solo caffè? «No. Oltre al filone dei prodotti strettamente legati al caffè, la Caffè Gusto Napoli distribuisce e commercializza Meladaj, l’energy drink a base di succo di mela prodotto da un’azienda leader di Parma. Lo presenteremo presto in una serie di eventi al grande pubblico, perché è un prodotto che merita». Dove si può trovare il Caffè Edor? «Il nostro caffè viene distribuito presso locali commerciali del filone della ristorazione (bar, pub, caffetterie, ristoranti), ma non solo. Attraverso la ditta Frog , distribuiamo anche macchinette per il caffè in comodato d’uso con capsule annesse. Attenzione, però: è bene sapere che le nostre capsule sono compatibili con altre macchinette che utilizzano lo stesso sistema. Quindi, oltre che ad essere gustoso, è anche conveniente per il consumatore»! Di cosa tratterete nella rubrica? «Ovviamente, parleremo del caffè, delle mille sfaccettature che assume a seconda della miscela in cui viene realizzato. Il caffè è una bevanda che affonda le sue radici nella storia e vorremo rendere tutti partecipi delle curiosità legate a questa gustosa tradizione».  DEMO MAGAZINE

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FOCUS ON

SE BELLA VUOI APPARIRE… Urla di bellezza di Giovanno D'Arco

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ssere una donna e sottostare alle strazianti leggi del vivere in società non è affatto semplice ragazzi. Cercherò di rivisitare per voi il concetto di donna oggi. Per essere definita tale, una donna, si cimenta ogni giorno in prove ardue come scalare vette, altezze improponibili che portano al calo dell’ossigeno dovuto alla rarefazione dell’aria causata da certe altitudini. Come? Grazie all’utilizzo di impalcature, comunemente definite tacchi. Vedi lunghe e formose gambe che spiccano il volo verso l’alto, non rendendo possibile definire nemmeno il volto di coloro che con quei trampoli sfilano, giorno dopo giorno. Una Donna che passa l’aspirapolvere, cucina, stende i panni deve usare solo le articolazioni interfalangee, se non vuole che il gel applicato con cadenza settimanale estirpi qualsiasi traccia biologica di unghia prima esistente. Una Donna deve curare i propri capelli: shampoo per capelli lisci e crespi, riccio ostinato, liscio indefinito, riccio ma non troppo e chi più ne ha... Una Donna è come Hulk: sopporta gelide temperature, pur di sfoggiare la propria scollatura. E se usa degli accessori, certo non sono calde sciarpe, ma foulard di seta che fanno da scudo agli sguardi diretti alla V, ma che non proteggono dal gelo. Per il freddo, la donna usa il trucco, quintali di polvere che annidandosi nei pori della pelle ne intorpidiscono i sensi. Ciglia, gote, labbra: tutto curato, tranne il collo. Guai a toccarlo! Deve trasparire il distacco di tonalità. Altrimenti, come sembrerebbe di porcellana un viso, se non risentisse del tono “brasileiro” del collo? Una vera Donna deve soffrire. Pur di eliminare qualsiasi pelo sulla superficie della pelle, interviene drasticamente con ceretta e pinzetta! Gambe, braccia, volto e… pube! Nulla viene tralasciato dalle esperte estetiste dei

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nostri centri urbani. Credetemi, farsi strappare i bulbi piliferi nelle zone ormai da me definite “Zone X”, è pari al subire un intervento invasivo, senza anestesia. Ricordo ancora le contrazioni involontarie dei tendini delle mie gambe su quel lettino e lo sguardo soddisfatto, orgoglioso della mia estetista amica (ex, dopo questa esperienza): con occhi sgranati, mi guardava e un sorriso compiaciuto iniziava ad apparire sul suo volto, mentre con disinvoltura strappava e strappava ancora, prima che io la fermassi lacrimante e dolorante. Nelle mie future esperienze eviterò l’asportazione pilifera e cutanea della mia zona pubica, poco ma sicuro! Le belle non nascono pelose, ma glabre! L’unica traccia di pelo deve essere il capello, da trattare con shampoo e balsamo su citati. Se bella vuoi apparire, le puzze con profumi devi coprire! Qui il ruolo è dei nauseabondi “odori” che interagiscono con il nostro naso nei bus delle nostre città, facendo la spesa o in attesa dal medico, ma quell’odore, ahinoi, si sente lo stesso. È quello il dramma! E l'uomo non è escluso: inutile coprire miasmi ascellari con inutili deodoranti. Nella scelta del profumo, la donna è oculata. Perché scegliere una fragranza delicata, quando possiamo comprarne una per ogni parte del corpo? Crema alla lavanda distensiva, lozione corpo alla calendula, crema urto anticellulite al ginseng, antismagliature al burro di karitè...tutto spalmato con mani che profumano di crema dedicata all'olio d'oliva...Olé! Dall’insieme di queste doti innate e acquisite, si è evoluta la donna d’oggi, che sfoggia imperterrita un invidiabile(?) portamento. Memorabile la scena finale di “La Morte Ti Fa Bella”, dove una Meryl Streep, troppo artefatta, perde l’equilibrio sulle scale per frantumarsi in mille pezzi sul piazzale antistante una chiesa. Cerchiamo realmente una donna come quella interpretata dalla Streep? Avete mai sofferto per apparire belle? E, soprattutto, siete davvero disposte a fare tutto questo per essere “Vere Donne”? 


STORIE DI ARTISTI

BUON COMPLEANNO

JIMI f guitar

di Davide Petiti

J

o l e g n a k c a l The b

ames Marshall Hendrix, conosciuto come Jimi Hendrix, è stato un chitarrista e cantautore statunitense. Uno dei più grandi, se non il più grande, chitarrista della storia della musica tanto che, nella sua vita breve, ma intensa, si è reso precursore ed icona di molti movimenti musicali e sociali. Nato a Seattle, il 27 novembre del 1942, da Allen Hendrix e dalla diciassettenne Lucille Jeter, vive la sua infanzia senza il padre, impegnato nella seconda guerra mondiale e allontanato dalla madre considerata, dagli stessi familiari, incapace di crescere il piccolo di soli tre anni. Per questo, la nonna materna Claire, decide di affidarlo alla famiglia Champ che lo accudisce sino al ritorno in patria del padre Al. Il piccolo James cresce con una spiccata passione per gli strumenti a corda, infatti, pur di suonare, costruisce meccanismi e sistemi del tutto primitivi come il “filo sul muro”, in sostanza una rudimentale steel guitar. La sua prima vera chitarra, un'acustica, viene acquistata dal padre per cinque dollari quando Jimi ha 16 anni e da questo momento inizia la storia di un mito e di un mistero, che riguarda la sua morte e non solo. E’ il 5 Aprile 1996 quando, la quiete di un tranquillo cottage della campagna inglese di Sifford, viene turbata dal fumo che esce dal garage e dal rombo costante di un motore acceso. Quando la polizia arriva sul posto trova all’interno di una mercedes, una donna bionda cinquantenne: è Monika Dannemann. Fin dall'inizio si parla di suicidio perché Monika ha attraversato un periodo difficile, lungo 23 anni, iniziato precisamente la notte in cui assiste alla morte del grande Jimi Hendrix. Monika, pattinatrice sul ghiaccio della squadra del Dusseldorf (città che al tempo faceva parte della Germania dell'Ovest), ama molto la musica e conosce Jimi dopo uno dei suoi concerti perché, grazie al suo

temperamento esuberante, riesce a farsi invitare dietro le quinte del palco su cui si è esibito. La ragazza si innamora di lui, forse ricambiata, ma appena un anno dopo Jimi Hendrix muore a Londra: è il18 settembre 1970. L’appartamento londinese di Monika, in cui Jimi andava a dormire, era il 22 di Lansdowne Crescent presso il Samarkand Hotel ed è lì che, la sera della sua morte, Jimi rientra dopo una festa con degli amici durante la quale ha fatto uso eccessivo di alcol e anfetamine, in gergo Black Bomber. Fino alle sei del mattino chiacchiera con Monika che, non riuscendo a dormire, prende un tranquillante, mentre Jimi assume nove pillole di Vesparax. Al suo risveglio, Monika esce per comprare le sigarette e al suo ritorno, trova Jimi riverso sul letto ricoperto di vomito, così chiama Eric Burdon degli Animals, amico di Hendrix, che capisce subito cos’è successo: alcool, anfetamine, barbiturici…un mix fatale. Immediatamente viene chiamata l’ambulanza che arriva dopo venti minuti, ma gli infermieri, trovandosi davanti un hippie di colore, ridotto in quel modo, lo legano ad una sedia e così giunti al Saint Mary Ebols Hospital, il dottore non può che dichiararne il decesso. Sono le 11:25 e, contestualmente alla morte, nasce il mito di Jimi Hendrix. Da quel momento diverse sono le teorie che cercano di spiegare l’accaduto. Una riguarda l’attività dell' FBI, che osservava Jimi, non ben visto dalle autorità degli USA. Ma è quella del “Club J27” che più attrae l’interesse degli amanti del rock e dei miti maledetti. “J” è infatti l’iniziale che accomuna il nome di diversi miti del rock: Jimi Hendrix, Janis Joplin, James Morrison; 27 sono invece gli anni che avevano quando sono morti, tutti per altro in circostanze misteriose. Riguardo il nostro Hendrix, infatti, gli infermieri dichiararono di averlo trovato già morto, ma Monika, l'unica presente, ha sempre cambiato versione, modificando dettagli importanti e ai tempi fu accusata da Kathy Etchingham, sua ex fidanzata e musa della celebre canzone Foxy

Lady. La stessa donna lo incontrò, insieme ad un'altra sua ex, la sera della festa, ingelosendo Monika. Il caso finì in tribunale e la controversia durò dal 1973 al 1996, anno della sentenza per la quale Monika dovette pagare 31000 sterline per danni e spese processuali. Arrestata, fu rilasciata presto, ma due giorni dopo, Monika si uccise o, come da molti viene asserito, fu uccisa perché pare volesse dichiarare come era morto davvero Jimi. Ma non è tutto. Per James Tappy Wright, road manager di Hendrix e degli Animals, Jimi sarebbe stato assassinato da Michael Jeffery, suo manager, perché il chitarrista non voleva più lavorare con lui. L’uomo morì poi in un incidente aereo nel 1973, alimentando ulteriormente il velo di mistero che avvolge ancor oggi il mito di Hendrix. Ma tutto sembra più chiaro se si decide di sposare l’idea secondo la quale dietro la morte di Jimi, Monika e Michael ci sia stato un complotto della famiglia di Hendrix per ereditare tutto. Un episodio rilevante in questa storia risale al 26 luglio 1970, meno di due mesi prima della misteriosa morte di Jimi il quale doveva suonare a Seattle, dove 13 anni prima si era esibito Elvis, suo mito. Quella poteva essere per Hendrix una rivincita nei confronti di una città, la sua città, che non l’aveva mai amato. Purtroppo quando Jimi salì sul palco, dopo i gruppi spalla, la gente andò via a causa della fitta pioggia. Pochi giorni dopo, Jimi confessò al suo impresario, Juch Wein, che sarebbe tornato a Seattle solo in una bara. E così fu. Oggi voglio ricordare Jimi Hendrix con un suo successo, "Little Wing": «Ero per strada a morire di fame e le ragazze mi aiutavano. Erano le mie migliori amiche e da allora mi sono detto: devo mostrare il mio apprezzamento. Little Wing era una ragazza molto dolce che mi diede tutta la vita e io pazzo come ero non sono riuscito a darle ciò che meritava…». A 71 anni dalla sua nascita, per tutti gli amanti del Rock, della chitarra e della forza d'animo di questo self-made man, il mito non è mai morto! Buon compleanno, Jimi. 

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FOCUS SOCIETY ON

rubrica a cura di

ANTONIO PEPE:

“ORECCHIO BIONICO PER ASCOLTARE E TAGLI ALLA BUROCRAZIA”

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a ricetta del presidente nazionale Noiconsut e neo coordinatore regionale P.D.I. Popolo d’Italia, per rilanciare l’occupazione con un nuovo modo di fare politica. Il presidente nazionale Noiconsut, Antonio Pepe, definisce le sue linee guida dopo aver ricevuto ufficialmente dal presidente nazionale P.D.I. Popolo d’Italia, prof. Antonio Magistro, la carica di coordinatore P.D.I. per la Puglia. Qual’ è, secondo Lei, la caratteristica principale di Noiconsut? «La nostra missione deve avere come segno distintivo un orecchio bionico, ossia un orecchio che ascolti, affinché si possa sviluppare, definire e mettere in atto un programma serio di interventi in funzione delle diverse problematiche». Quanto è importante per Lei avere una classe politica seria e preparata? «Ritengo che la formazione politica sia propedeutica ad un’attività che deve essere di servizio per il territorio e non per fini propri. Come Noiconsut, ci stiamo impegnando a favorire investimenti in Puglia con l’obiettivo di incrementare l’occupazione su un territorio del quale spesso non si conoscono le opportunità. Spesso poi si è sorpresi dalle decisioni di alcune banche sempre più restie nel concedere finanziamenti. E’ evidente, quindi, il disagio occupazionale. Così non si favorisce l’apertura di nuove imprese». La burocrazia non aiuta, in questo senso. «Non aiuta, anzi: funge da ostacolo e, di conseguenza, anche quei pochi piani occupazionali presenti sono frenati dalla burocrazia, che si potrà accorciare solo se ci saranno le leggi». Il Popolo D’Italia si propone di abbattere le lentezze burocratiche? «Sì, il suo impegno si svilupperà anche su questo punto. Il Popolo d’Italia, essendo un partito nuovo e di recente costituzione, come la nostra associazione dei consumatori, è sempre più in crescita sul territorio nazionale ed è pronto a

misurarsi nell’ascolto attorno ad un progetto che possa dare sviluppo alla Puglia e creare opportunità lavorative». Quale potrebbe essere il volano dello sviluppo in Puglia, per uscire dalla crisi? «La Puglia è terra di lavoratori seri, che investono la loro forza lavoro nella produzione di prodotti fatti a mano. Pochi sanno che le nuove misure comunitarie dell’asse 2014-2020 destineranno parte importante delle proprie risorse al rilan-

cio del manifatturiero. La Puglia ha una tendenza manifatturiera, ma ad oggi c’è bisogno che aziende del Nord vengano o tornino ad investire al Sud. E’ questa la strada da perseguire: il cambiamento parte dall’ascolto e dalla ripresa occupazionale, la quale può trovarsi nello sviluppo agricolo e turistico e attraverso la formazione dei giovani nel settore dell’artigianato agevolando gli artigiani che formano i giovani stessi».  DEMO MAGAZINE

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SOCIETY

SCOPRI IL FEDIFRAGO... CON UNA SOLA APP! Le applicazioni studiate per la geo-localizzazione possono essere utilizzate per scoprire le infedeltà coniugali e le scappatelle di ogni genere nei minimi dettagli! SOLO PER TRADITORI APP-ASSIONATI!!!

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l tradimento è sempre di moda e si evolve di continuo con nuove tecniche che lo rendono difficile da smascherare. La follia di una sera oppure una sbandata? Il vostro partner ha commesso un tradimento? Quali sono le cause? Forse coppie annoiate dal poco movimento sotto le lenzuola, oppure partner costretti a trascorrere lunghi periodi lontano da casa, che sentono la necessità del brivido e di situazioni eccitanti fuori dall’ordinario? I motivi rimarranno opinabili, ma le scappatelle diventeranno certe e documentate. Come? C'è chi è pronto ad assumere un detective privato e chi invece è disposto ad improvvisarsi investigatore pur di scoprire se viene tradito. Ora, grazie a delle nuove applicazioni, ci penserà il vostro cellulare! Il web è stracolmo di queste nuove app per iPhone e smartphone. Vi elencheremo gli 007 migliori in assoluto della ricerca al tradimento!

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CATE Cate è un'applicazione per Android che, se installata sul telefono del proprio partner a sua insaputa, permette comodamente, dal proprio cellulare anche a chilometri di distanza, di spiare il traffico delle telefonate e dei messaggi senza destare sospetti. La App Cate è stata inventata da un detective di Miami preoccupato dagli strani movimenti della moglie. Ha poi venduto il prototipo ad uno studente del Texas, che ha reso il tutto accessibile e scaricabile da internet al prezzo di 4,00 $. Non è dato sapere se le sue preoccupazioni erano o meno fondate...

SPYBUBBLE SpyBubble è un software di controllo cellulare facile da installare e utilizzare su iPhone. E’ in grado di tener traccia e memorizzare tutte le informazioni inserite tramite un iPhone. Usando SpyBubble, si potrà segretamente sapere cosa sta facendo una certa persona ed accedere a queste informazioni anche se sul cellulare spiato sono applicati tutti i filtri di sicurezza tipici dei modelli iPhone. BOYFRIEND TRACKER In cosa consiste esattamente? Si tratta di un'applicazione che spia tutti i movimenti sullo smartphone del vostro compagno e manda addirittura degli aggiornamenti per tenervi al corrente di ciò che succede. In buona sostanza, vi dà la possibilità di avere accesso a sms, chat, mail: insomma, a tutto ciò che c'è sul cellulare tramite degli screen pilotati da questa app. Gli screen non sono altro che delle foto fatte allo schermo del telefono che ti permettono di avere in tempo reale le immagini con i testi dei messaggi, chat o mail inviate e ricevute. FIND MY FRIENDS Non fatevi addolcire dalla parola Friend: è ingannevole. Alla domanda: “Dove sei, amore?” giunge la consueta risposta: “Sono a casa”. Se lui o lei in quel momento si trova davvero a casa ve lo dirà l'app “Find my Friend” che, una volta lanciata, tramite una cartina che si appoggia sui comuni navigatori dei cellulari vi darà l’esatta posizione del vostro partner! Se il partner avrà mentito, allora partirà la corsa sfrenata verso quel puntino rosso della mappa, al grido: “Eri a casa,sì!... Ma a casa di chi?” 


REGOLE E LEGGI DEL CONDOMINIO

rubrica a cura di

“… E SE TU ABITASSI IN UN CONDOMINIO?” “La soluzione ai dubbi sulla convivenza condominiale”

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ono numerosi i quesiti che sorgono nella vita di ogni condominio. Spesso semplici dubbi o errate interpretazioni normative possono sfociare in spiacevoli discussioni o, addirittura, in cause civili e penali. Da questo mese la dott.ssa Volpe, titolare dello studio, unitamente all’avv. Paola Campana, consulente legale, forniranno consigli ai lettori che hanno posto le loro domande via email.

E’ possibile sostituire l’amministratore prima della fine del suo incarico? Secondo il codice civile riformato, “l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale durata”. La revoca dell’amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall’Assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio. La revoca ad opera dell’assemblea può intervenire in qualsiasi momento ed anche senza giusta causa; può essere anche implicita attraverso la nomina di un altro amministratore. La convocazione dell’assemblea a tal fine può avvenire ad opera di due condomini che rappresentino almeno 1/6 del valore dell’edificio; costoro possono chiedere all’amministratore di convocare l’assemblea e se questi non provvede, decorsi dieci giorni, provvedono direttamente alla convocazione. La revoca può anche essere disposta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, nei casi indicati dal codice civile ed in quelli elaborati dalla giurisprudenza.

L'amministratore può esporre sulla bacheca condominiale il nome dei morosi o comunicarlo ai fornitori? Uno dei compiti più delicati che l'amministratore ha assunto negli ultimi anni è quello della gestione della privacy in un contesto, come quello condominiale, dove si vive a stretto contatto. L'amministratore, secondo i principi indicati dal garante della privacy, nei documenti condominiali (come il bilancio) può indicare il nominativo dei condomini che non sono in regola con i pagamenti anche indicando la cifra di cui sono debitori. Non può, invece, affiggere documenti che evidenzino tali dati in locali aperti al pubblico (es. bacheca nell'androne condominiale), perché in tal modo sarebbero visibili anche per i terzi non condomini. In pratica, tutti i condomini possono conoscere i nominativi dei morosi, ma non possono essere diffusi ai terzi. La recente riforma ha, però, stabilito che l’amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti (es. ditta appaltatrice delle pulizie, di manutenzione ascensori, etc.) che ne facciano richiesta, i dati dei condomini morosi. Il legislatore, infatti, dà maggior rilievo all'interesse di tutti i condomini in regola con il versamento delle quote condominiali a non essere sottoposti ad azioni giudiziarie, rispetto alla tutela della privacy del singolo condomino moroso. Naturalmente il creditore potrà utilizzare i dati ricevuti esclusivamente per il recupero del suo credito e non per altri scopi.

Abito al piano terra di un condominio di tre piani. Il condomino proprietario di un appartamento al secondo piano può stendere i panni fuori dal suo balcone e farli gocciolare sul mio giardino? E’ cosa usuale per molti condomini stendere i panni all’esterno del proprio balcone. Tale operazione è effettuata o tramite l’avvicinamento e l’esposizione dello stendino mobile al bordo del balcone oppure, è un’ipotesi molto ricorrente, tramite il fissaggio alla ringhiera del balcone stesso di stendibiancheria che sporgono al di fuori della proprietà esclusiva. Molte volte tale pratica, per i condomini proprietari di giardini o balconi dei piani inferiori, è causa di fastidio e di liti. La risposta al quesito se tale abitudine possa essere o meno lecita, però, non può essere data in modo univoco in tale sede, perché le norme di legge dettate in materia non prevedono in alcun modo un riconoscimento generale del diritto a stendere i panni facendoli gocciolare sui piani inferiori. E’ necessario, in primo luogo, consultare l’atto d’acquisto ed il regolamento di condominio per verificare se tale facoltà è concessa. In secondo luogo, occorre verificare da quanto tempo tale pratica viene esercitata per comprendere se tale diritto possa essere stato acquisito per la mancanza di contestazione da parte di chi subiva lo sgocciolamento (termine tecnico: usucapione della servitù).

Sono un lettore di Demo Mag e sto prendendo in considerazione l’ipotesi di acquistare un appartamento in condominio. Come posso ricevere informazioni per conoscere preventivamente regole e vantaggi di un condominio, prima di procedere all’acquisto? E’ consigliabile informarsi prima di procedere a qualsiasi acquisto evitando di farsi condizionare dal “sentito dire” molto spesso non veritiero. A tal proposito, lo studio Volpe fornisce un servizio di consulenza a chiunque voglia avere una prima informazione e sciogliere i dubbi sull’universo condominio. 

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COMPANY PROFILE

NEW BAR CONCEPT

UNA CONCRETA OPPORTUNITÀ DI LAVORO ATTRAVERSO LA FORMAZIONE E IL DIVERTIMENTO di Redazione

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el 1988 il film “Cocktail”, con la regia di Roger Donaldson, presentava al grande pubblico un giovanissimo ed affascinante Tom Cruise. Con le sue evoluzioni, il barman acrobatico Brian Flanagan incantava e divertiva la gente, in attesa del suo drink. Con quel modello e con l’aspirazione di realizzare un sogno, a 14 anni il brindisino Chicco Greco cominciava a muovere i suoi primi passi nel mondo del bartendering. Una passione che sin da subito l’ha portato a chiudersi in una stanza e ad allenarsi anche per 10 ore al giorno per trasformarsi in un barman acrobatico professionista. A 26 anni e con piazzamenti da podio in numerosi concorsi internazionali, Chicco Greco ha dato vita a New Bar Concept, sotto cui si riuniscono i professionisti del bartendering. E non solo. Chicco, come definiresti New Bar Concept? «La nostra è una realtà leader, nella provincia di Brindisi, per la formazione di figure professionali nel settore beverage». Com’è nata l’esigenza di creare questa realtà? «Anzitutto ci siamo inventati questo genere di lavoro e in questo settore siamo stati originali ed unici. Tutto è nato da una specifica richiesta, partita dal cliente: il desiderio di avere qualcosa da bere che segua uno standard qualitativo buono. Il cocktail che prepara un barman non deve essere più buono o più alcolico di quello offerto da un altro: deve invece essere miscelato in modo equilibrato, così da mantenere alto il livello qualitativo del servizio offerto, che è fondamentale». Come rispondete a questa richiesta? «Per i nostri associati sviluppiamo dei corsi di formazione che insegnano il corretto comportamento di un barman: dalla giusta impugnatura di una bottiglia, sino all’esatta preparazione di un cocktail. A tal fine la conoscenza ed un appropriato utilizzo delle tecniche, unito ad un alto livello della qualità degli ingredienti, sono fondamentali. Il percorso formativo porta il singolo ad eccellere nel settore dell’American Bar e in quello della caffetteria». Al bando l’improvvisazione, quindi. «Assolutamente: preparazione e corretta formazione risultano essenziali. Inoltre, quello del bartendering, è un settore in continuo sviluppo, che offre molteplici sbocchi professionali. Allora, perché non fare di una passione e di una vocazione un’opportunità di lavoro»? Quella del barman è anche una forma di spettacolo, in un certo senso. «Sì, perché curiamo il drink sotto ogni punto di vista: qualità del prodotto finito, velocità della costruzione di più drinks e della spettacolarità nella preparazione dello stesso. Quando in un locale si vuol prendere da bere spesso si fa la fila, c’è da aspettare e anche l’attesa del drink deve essere piacevole: un conto è attendere col ticket in mano, un altro è farlo guardando lo spettacolo della realizzazione del cockail».

Quella che la New Bar Concept offre è formazione del futuro personale, ma attraverso i vostri servizi informate i clienti sul giusto approccio da avere con l’alcol. «Senza dubbio. Le porto l’esempio dei criteri di miscelazione, fondamentali, perché per creare un cocktail bisogna rispettare delle specifiche porzioni. E’ sbagliato pensare che un cocktail sia buono solo perché è molto alcolico! L’alcol può essere considerato come un’arma a doppio taglio: piacevole all’inizio, è pericoloso per chi ad esso si avvicina in modo incosciente. Bere un drink molto ricco di alcol, realizzato senza rispettare le regole, può provocare seri danni alla persona, portando a gravi conseguenze. Se invece si segue un protocollo, che in questo campo è dettato dalle ricette di ogni singolo cocktail, il cliente è più al sicuro e imparerà a gustare un vero cocktail». La professionalità sta in questo. «Assolutamente: girando i locali e servendo i cocktail con questo spirito, educhiamo i clienti a bere in modo giusto e responsabile, facendo apprezzare loro il drink dal punto di vista qualitativo e non per la quantità di alcol versata». Solitamente chi si iscrive ai vostri corsi? «L’utenza della New Bar Concept varia: si va dal semplice studente a colui il quale proviene da un istituto alberghiero che vuole specializzarsi, sino ai giovani imprenditori e gestori di locali. Si parte dai 16anni sino ai 35-40 anni ed oltre e come per i corsi di sommelier, è molta la gente che apre i propri orizzonti a questo settore, anche solo dettati dalla passione o dal piacere di preparare a casa propria un drink per i propri amici, imparando a gustare un cocktail così come si fa per un vino». Da chi sono tenuti i corsi? «Dal sottoscritto per quanto riguarda l’area dell’American Bartendering, mentre per la sezione caffetteria abbiamo docenti esterni, così come per il fruit garnishment (l’arte dell’intaglio sulla frutta)». New Bar Concept si occupa anche di portare il bar a domicilio. «Sì e siamo molto orgogliosi dell’idea che abbiamo avuto. Ci occupiamo di portare il bar a casa dei clienti. Abbiamo attivato, con successo, i servizi di Bar catering e banqueting: semplicemente, con il servizio catering portiamo la nostra esperienza e le nostre attrezzature (bevande incluse) direttamente dal cliente che indice una festa a casa propria e che vuol offrire ai propri amici un servizio di alto livello, lo stesso che forniamo presso locali commerciali, garantendo un lavoro competente e conveniente. Il servizio banqueting, invece, riguarda solo il noleggio del nostro servizio e delle attrezzature». Un lavoro che offre mille opportunità, il vostro. «Sì, senza tralasciare che lo si può portare avanti anche solo come una passione: lo sport che è nato e che è completamente dedicato ai barmen che si sbizzarriscono nella creazione dei cocktail, si chiama Flair da molti chiamato in gergo freestyle. È una disciplina oggetto di numerosi concorsi, in cui la passione ha libero sfogo e, attraverso un costante allenamento, si possono raggiungere risultati che fanno la differenza tra un bartender e un semplice barista».  DEMO MAGAZINE

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HANNO COLLABORATO: Stefano Blasi Pietro Borrello Antonio Scoditti DEMO MAGAZINE • anno VIII • N. 25 NOVEMBRE 2013 Periodico in distribuzione gratuita • Reg. Trib. di Brindisi n° 14/2005 Edito da: BEST IN PUGLIA SRL, via Roma, 93 Mesagne (Br) Direttore Editoriale: STEFANO BLASI Direttore Responsabile: AGNESE POCI Grafica Pubblicitaria: DANIELA DIPRESA Stampa: Mesagne Per la pubblicità su Demo Magazine Telefono 349.38.61.180 / 347.62.88.198 amministrazione@bestinpuglia.it Per informazioni, segnalazioni e suggerimenti direttoredemo@gmail.com

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