il nuovo mensile di informazione gratuita / n. 21 agosto 2013
Focus On
MAFIA BUNKER
I luoghi inaccessibili dei boss in piena latitanza
Outside
la protesta infiamma il brasile
Curiosity
matrimonio da vip Il si di Mirko Vucinic e Stefania Scoditti
La cronaca degli scontri durante la Confederations Cup
Malika Sfoglia Demo Magazine sul tuo smartphone
r l'Italia� e p o ir g in re o m a e ca si “La mia vita tra mu
Sommario
#22
in questo numero
Pagina 8 / People malika ayane, la mia vita tra musica e amori in giro per l'italia
Pagina 12 / Contemporary pittura immortale
la protesta infiamma il brasile
Pagina 24 / Salute Outside
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La cronaca degli scontri durante la Confederations Cup
PAG
giuseppe, media.dipendente parte prima
Pagina 25 / New Generations si fa presto a dire giovani
Pagina 27 / Curiosity Reportage
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PAG
monteruga citta' fantasma Salute
giuseppe media.dipendente PAG
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prima parte
la seconda parte nel prossimo numero di Demo Magazine
Sport
37
PAG
calcio all'ultima spiaggia
matrimonio da vip il si di mirko vucinic e stefania
Pagina 32 / Focus On gravidanze: inversioni di tendenza
Pagina 40 / Underwater il recordman paolo de vizzi
Fuori dalle righe
Editoriale di Agnese Poci / Direttore DemoMagazine
G
razie a tutti i nostri lettori, che hanno dimostrato di apprezzare la nuova versione di Demo Magazine, esaurita nel giro di pochi giorni! Il vostro interesse nella rivista ci riempie d’orgoglio e ci spinge a continuare su questo percorso. In questo numero abbiamo voluto dedicare uno spazio alla protesta che in Brasile occupa le strade delle maggiori città del Paese: il Movimento Passe Livre raccontato dalla penna precisa e accurata del giornalista Paulo Lencina, collega e amico che ha gentilmente collaborato con noi per questo approfondimento. Un’altra notizia di cronaca che ci ha colpito è stata quella di un uomo, arrestato dai Carabinieri di Cittadella, che è entrato in un bar e ha distrutto a colpi d’ascia le macchine videopoker che, giorno dopo giorno, gli hanno rubato soldi e dignità: così, Ivaldo Penta ha incontrato un bambino che a Brindisi è in cura per guarire dalla sua dipendenza da videogiochi, tv e fumetti. Meno costosi ma non per questo meno dannosi per la psiche di un bimbo. Leggerete anche la storia dei bunker di camorra e ndrangheta, cunicoli nascosti diversi metri sottoterra stanati dalle Forze dell’Ordine. Antonio Scoditti ha parlato con uno dei loro rappresentanti e ci ha fornito un’istantanea dei nascondigli più elaborati scovati nel corso di lunghe indagini. Un borgo abbandonato del Salento, Montreruga, rivive grazie a Federico Micelli, che ne ha voluto proporre la storia. Sotto la lente di Valeria Morleo, il miracolo della vita, con i parti plurigemellari e il matrimonio del calciatore della Juventus Mirko Vucinic con la mesagnese Stefania Scoditti. Una new entry della nostra squadra è Cristina Mignogna, che ci parla della sua generazione, quella degli studenti universitari fuori sede, abituati ad affrontare la vita a vele spiegate, nonostante le difficoltà. Con Alessandro Passaro, si parla invece di arte e della morte della pittura: con il suo occhio indagatore ecco un’analisi attenta del panorama artistico nazionale e oltre confine. Per lo sport, non manca un approfondimento sul beach soccer, seconda vita dei grandi sportivi di serie A e dintorni, e una sfida portata a termine dal recordman di Manduria, Paolo De Vizzi, che ha vissuto 34 ore immerso nelle acque di Santa Caterina di Nardò. Immancabili gli amici di Cinescript, che proseguono la loro avventura con noi, mentre l’appuntamento con le “Libere riflessioni” di Ferdinando Sallustio tornerà a settembre. La copertina, infine, è dedicata a Malika Ayane, una delle regine della musica italiana, che con la sua voce e il suo charme affascina e cattura il pubblico nel suo tour “Ricreazione”, che torna a fare tappa in terra brindisina. Con lei, abbiamo voluto ricostruire il suo percorso musicale e umano sino ad arrivare ad oggi. Buona lettura! Arrivederci a settembre!
Demo Magazine
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people
Malika
“La mia vita tra musica e amore in giro per l'Italia”
di Agnese Poci
M
odesta, preparata e disarmante nella sua semplicità. É un'artista completa, Malika Ayane, cantante che stupisce ed affascina con una voce a metà tra le dive degli anni passati e uno stile inconfondibilmente personale. Con lei abbiamo voluto ripercorrere il lungo percorso che l'ha legata a doppio nodo alla musica, con qualche cenno alla sua vita privata, in punta di piedi.
Malika, come è cominciato il tuo grande amore con la musica? Tutto è cominciato quand'ero piccola. Ho studiato alla scuola per voci bianche del Teatro alla Scala. Avevo fatto per caso un provino quando frequentavo le medie al conservatorio. Sono Pucciniana. E poi ho avuto la fortuna di cantare con il coro l’opera completa di Bach. Con la musica è sempre stato così: mi riempiva talmente di gioia che quando uscivo dal conservatorio o dalla Scala cantavo a squarciagola per strada. Prima hai prestato la tua voce per delle pubblicità, poi è arrivato il contratto con la Sugar di Caterina Caselli. E hai dato il via a numerose collaborazioni con altri artisti. Com'è lavorare con autori come Conte, Pacifico, Cremonini? Assolutamente un'esperienza necessaria per crescere. Paolo Conte è il maestro che tutti vorrebbero avere, come Gino Paoli, del resto. Pacifico per me è uno di famiglia, mentre trovo che Giuliano Sangiorgi abbia un cuore immenso, una rara capacità di descrivere mille sfumature e sensazioni nei suoi testi. Credo che Giuliano e Cesare Cremonini rappresentino la giovane scuola cantautorale del sentimento in Italia. 8
Demo Magazine
I brani presentati all'ultima edizione di Sanremo, “Niente” e “E se poi”, rappresentano la prova della sintonia con Giuliano Sangiorgi, animo salentino. Quando ci siamo messi al lavoro, ho chiesto a Giuliano di scrivere qualcosa di nuovo ed esclusivo per me. Già da tempo, sono concentrata sul raccontare i sentimenti in prima persona. “Niente” parla proprio di questo, di quando si è legati in modo molto forte a qualcuno, ma si è già capito e deciso che non si potrà andare avanti e che bisogna tagliare. Quando Giuliano mi ha mandato un’incisione per piano e voce, mi ha avvertito: “Stai attenta, ti farà piangere”. Una volta ascoltata, l’ho rifatta chitarra e voce e gliel’ho rimandata. Ed è stato lui a piangere! É un brano intenso, si sviluppa lentamente, c’è un crescendo con gli strumenti che si aggiungono progressivamente. Per Sanremo l’abbiamo condensata fino ai 3’45” richiesti. È stata l’unica modifica. Per il resto, è una canzone che respira come vuole, l’ho arrangiata e prodotta con il mio gruppo con un andamento sinfonico, senza semplificazioni studiate per le radio. Non ha un’atmosfera idilliaca, ma c’è una poesia che si tiene con coerenza, secondo me. Con “E se poi” invece, si cambia registro. Parte immediatamente con un ritmo molto sostenuto, come un treno che sfreccia veloce. Mi piace il basso come in “Coffee and Tv” dei Blur, con sovrapposta una batteria eterea, cristallina. Un ritmo a 110 BPM che ti dà la sensazione di una camminata che ti dà energia, una malinconia che ti carica. I testi che Giuliano ha scritto per come mi sente, come mi conosce, li sento addosso come uno degli abiti su misura che ho vestito sul palco dell’Ariston.
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Demo Magazine
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“Ricreazione” è il tuo ultimo lavoro che sta continuando a riscuotere un successo notevole. Cosa ti ha più soddisfatto di questa esperienza? Intanto lasciami dire che sono orgogliosa del mio album. Ho auto-prodotto questo lavoro per evitare quello che spesso può succedere in questo settore, ossia di finire travolta dal gusto di un’altra persona. Avevo un desiderio: divertirmi e levarmi tutti gli sfizi che avevo in testa, dalla foto di copertina alle collaborazioni con tanti artisti. Allora ho pensato: dato che non sai mai come andrà un disco o uno show, tanto vale farlo come piace a me. E il risultato è stato premiato dal pubblico. E molto, anche perché il settore discografico vive da anni un periodo di crisi. Sono molto felice per il successo di questo disco, specialmente in un momento come questo di enorme crisi, anche discografica. A differenza del passato, oggi nessuno vende milioni di copie. Quindi bisogna puntare tutto sulla la qualità, l’unica cosa per cui lottare. Oltre all'onestà, sul lavoro e nella vita di tutti i giorni. Cambiamo per un attimo argomento: a giugno del 2011 ti sei sposata a Las Vegas. Come mai hai fatto questa scelta? In realtà io e Federico (Brugia, regista di videoclip e spot pubblicitari, NdR) siamo andati semplicemente a fare un viaggio in America. Una volta arrivati a Las Vegas, però, non abbiamo potuto fare a meno di sposarci, come in un film! Comunque, sposarsi è un modo di definire meglio il rapporto a due, di mettere tutti più in pace. Ora siamo una grande famiglia! Come riesci a conciliare famiglia, lavoro e tempo libero durante il periodo del tour? In un modo molto semplice: sacrifico il mio riposo. Se ho un concerto nel raggio di 200 chilometri, una volta scesa dal palco torno a casa. Tutto qui. Con la tua voce hai ridato vita a dei grandi classici della musica italiana: lo hai fatto già con “La prima cosa bella” di Nicola Di Bari, ora con “ Cosa hai messo nel caffé” di Antoine, che le radio non possono fare a meno di passare più volte al giorno. Ho scelto di riproporre “Cosa hai messo nel caffé” per ascoltare una mia scelta di leggerezza, ma non di superficialità, che dobbiamo a noi stessi e al pubblico che ci segue. Non si può essere impegnati per forza, né si può essere superficiali per forza. Quindi il momento storico che per me ha rappresentato al meglio questa combinazione tra bellezza e leggerezza è stato quello degli anni '60, con i varietà e il buonumore che invadeva il nostro Paese. Ho scelto, per farlo, una canzone che io adoro, da molti dimenticata. Mi sono divertita a riproporla, uscendola dall'armadio e mi è sembrata una buona mossa. Demo Magazine
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contemporary
La Pittura Immortale
di Alessandro Passaro
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ggi la pittura è morta”, affermò il poeta maledetto Baudelaire alla vista del Dagherrotipo (prima forma di macchina fotografica). La pittura muore nel 1839, ma risorgerà qualche decennio dopo con il Post Impressionismo di Cézanne, Van Gogh, Matisse, fino a Picasso. La pittura muore nei primi anni del 1900 con la nascita del Dadaismo di Duchampe, Lazlo Moholy Nagy e del Teatro Futurista che prende il pubblico e ne fa arte, facendo apparire la pittura non più in grado di reggere il potenziale di coinvolgimento della nuova epoca. Risorgerà negli anni 20 con i Surrealisti francesi come Max
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Ernst, fino all'espressionismo astratto americano, di De Kooning, Matta, Kline e di Pollock. Alle soglie degli anni 60, l'arte esplode letteralmente nella sua sperimentazione di generi. Nascono così il Living Theatre, la performance e gli happening di Cage. La pittura viene resa parte di operazioni in divenire; come per esempio il gruppo Gutai, che dipingeva quadri con i corpi lanciati contro i supporti. E poi ancora, con la Body Art, la Land Art, l'Iperrealismo concettuale delle sculture in lattice, la video art degli anni 70. Apparentemente, anche questa volta, la pittura sembra non essere in grado di esprimere l'incipit del momento. Ma negli anni 80, ecco che ritorna con la Transavanguardia di Cucchi, Clemente e Di Salvo, la visionarietà di Blekner, il virtuosismo narrativo di Fischl, la seduzione del colore di Sandro Chia. Tante
le figure di pittori che si sono affermate finora, definendo delle nuove direzioni, come Alex Katz, Shnabel, Damien Hirst, Cecily Brown e Ryan Mendoza, americano cresciuto a Napoli. Escluso per alcuni nomi noti, la percezione della morte della pittura si avverte. Come è accaduto sempre, anche in questi ultimi anni, la pittura sembra apparire buona, ma non di particolare significato. Sembra realizzare la sua performance contemplativa ma diviene facilmente archiviabile nelle menti. E la cosa più strana è che questa sua assenza di personalità e di capacità incisiva che la rende sterile diviene la migliore condizione di vendita, perchè non inquieta, non sconvolge, ma conforta. Ecco, è con questo che la pittura deve competere per non annullarsi, con la sua stessa possibilità di essere venduta. A presto
focus on
MAFIA BUNKER Passaggi segreti, tunnel, vie di fuga. I bunker, luoghi spesso inaccessibili, rendono possibile al boss il comando in piena latitanza
di Antonio Scoditti
C
’è chi è abituato a dominare la propria terra, a fare affari, indisturbati. E c’è chi passa la propria vita a cacciarli nell’ombra, senza sosta. Lo Stato contro i fantasmi. Dite addio alla vecchia storia tra guardie e ladri. Oggi le Forze dell’Ordine danno la caccia ai latitanti creando una rete di spionaggio invisibile che non tralascia nulla. Scovando uno dopo l’altro i loro covi segreti. Una nuova, drammatica fase della lotta contro il crimine: Il Clan dei Casalesi. I boss hanno migliaia di bunker dove nascondersi. Per capire come e perché, partiamo dalla Campania. Casal di Principe. Qui i clan dei Casalesi hanno la loro 14
Demo Magazine
roccaforte. Qui la Camorra domina tutta l’economia e da oltre un secolo si respira aria di sospetto e chiusura. Si comanda, in latitanza: resti invisibile, acquisti prestigio e diventi quasi un mito tra la gente. Leader storico del clan è Francesco Schiavone. “Sandokan”, latitante per 8 anni, fonda l’impero Casalese mentre è nascosto sottoterra. Viene catturato nel ’98, dopo 48 ore di ricerche nella sua casa. La DIA di Napoli irrompe nella sua
"Sandokan" Francesco Schiavone
focus on
Michele Zagaria
abitazione: il bunker è nelle fondamenta dell’edificio. Per un latitante preso, un altro prende il suo posto. L’arresto di Sandokan fa crescere il clan, che controlla illecitamente appalti pubblici e traffici internazionali di droga, armi e dei rifiuti tossici. Pare inafferrabile Michele Zagaria, il capo supremo dei Casalesi, latitante da 16 anni, l’uomo più ricercato d’Italia. Zagaria cura ogni aspetto degli affari del clan: capomafia, businessman, maestro nel nascondersi. Renato Roberto, Ispettore della Mobile di Napoli, guida le ricerche senza tralasciare nulla, ed emergono indizi sulle abitudini di Zagaria. Con alcune intercettazioni ambientali, la Polizia restringe il cerchio su una zona del Casertano, Casapesenna, scovano un vicolo quasi inattaccabile: vico Mascagni, dove vive la famiglia Inquieto, presunti fiancheggiatori del boss. 7 dicembre 2011. Irruzione in casa Inquieto. Dopo ore di carotaggi nelle pareti, si scopre un binario meccanico che solleva l’intero bunker, dove si nasconde il boss. Il più sorprendente dei bunker: niente botole, niente ascensori, è la casa che si sposta attorno al bunker. Niente linee telefoniche intercettabili. Il boss impartisce gli ordini con un citofono collegato tra i diversi punti di comunicazione nelle vicinanze. L’arresto di Zagaria sembra il simbolo della vittoria dello Stato sulla Mafia. Farlo sarebbe un grave errore. L’organizzazione Criminale più potente: La Ndrangheta
Francesco Pesce detto "Ciccio"
Il bunker di Zagaria
Nasce e cresce in Calabria. A differenza di Cosa Nostra, rimane nell’ombra, senza attirare l’attenzione dell’opinione pubblica che ha sempre sottovalutato la sua pericolosità. Aspromonte. Platì è la culla della Ndrangheta, in cui i Cacciatori di Calabria, corpo speciale dei Carabinieri, combattono una guerra silenziosa. Platì è il paese più povero d’Italia. É impensabile che sotto le sue case esista una città sotterranea. É nelle viscere della terra che i boss creano dei bunker, nascosti da botole. I loro cunicoli collegano fino a dieci bunker. Labirinti in cui il boss è l’unico in grado di orientarsi. La Piana di Gioia Tauro e Rosarno. La Ndrangheta è suddivisa in 3 aree, i “Mandamenti”: la zona montuosa chiamata Locride, l’area di Reggio Calabria chiamata “La Città” e la Piana di Gioia Tauro. Proprio nella Piana di Gioia Tauro c’è Rosarno, il regno della famiglia Pesce, la cosca calabrese più attiva. Francesco “Ciccio” Pesce è il capo: è dal mare che viene la maggior parte della sua ricchezza. Sul porto di Gioia Tauro, la Ndrangheta si fa dare 1,5 dollari per ogni container che transita all’interno. La gestione e supervisione del porto permette ai Pesce di far arrivare con facilità droga, armi e rifiuti speciali. Dopo anni di studio, si scoprono i punti deboli di Ciccio Pesce: il calcio e le belle donne. É tramite il pedinamento dell’amante di Ciccio Pesce che i Carabinieri vengono a conoscenza di una zona fino ad allora poco battuta: un’azienda di autodemolizione a Rosarno. Ad insospettire i Cacciatori, entrati nel casolare, è stata un’antenna tv, insolita in un deposito di autodemolizioni: così, seguono il cavo tv. Sottoterra c’era un televisore. Nel bunker di Ciccio Pesce. La sua cattura avviene il 9 agosto 2011, ma la lotta alle mafie non finisce. É una battaglia che si può vincere, se combattuta da Polizia, Carabinieri e da tutta la società civile. Lo Stato è più forte di una singola persona. La latitanza può essere lunga, ma non eterna. La storia ce lo insegna. Demo Magazine
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rubrica a cura della
sicurezza
Zona Ind. Mesagne
Generazione e distribuzione dell’energia elettrica a Mesagne: gli albori di Ing. Antonio Summa Responsabile Tecnico della Control s.r.l. di Mesagne.
P
enso che un argomento sempre interessante è “la storia”, ed in particolare, per me (ma penso per tanti concittadini) la Storia della Centrale Elettrica che ha dato il nome ad una via ed un quartiere. Ma non vi nascondo, che c’è qualcos’altro. Sarà forse l’estate con tutte le pigrizie, le pause non solo fisiche che ci concediamo, i ricordi che ci affiorano dal passato… forse anche l’aver raggiunto una certa età e quindi la voglia di raccontare ai più giovani cosa eravamo e cosa c’era in quei luoghi che oggi distrattamente osserviamo, forse il desiderio di risvegliare in chi c’era allora come me immagini e sentimenti… forse qualcos’altro chissà… e che oggi vorrei parlare brevemente di un angolo della ns. città che ha visto nascere “la luce”, come veniva definita (e così come viene ancora eufemisticamente denominata oggi) l’energia elettrica. Luoghi che nel tempo si trasformano (oserei dire si deformano) ma poi lasciano, quasi distrattamente, monconi del passato, fantasmi pur sempre presenti: un cancello, una cabina di trasformazione… Entriamo, allora, in argomento. La storia dell’industria elettrica in Puglia è strettamente legata alle caratteristiche idrogeologiche della regione, che non hanno mai consentito la realizzazione di impianti idroelettrici economicamente convenienti e di una certa potenza; se si escludono le centraline dell’Acquedotto Pugliese, la Puglia, infatti, rimane l’unica regione italiana rimasta priva di impianti idroelettrici. Da qui lo sviluppo degli impianti termoelettrici, in gran parte dislocati nei principali centri abitati. alimentati da gas povero di antracite, da olio combustibile e, non di rado, anche da sanse. Dopo la prima guerra mondiale a Mesagne, per merito di un gruppo di audaci imprenditori (tra i quali Scipione Terribile) che fondarono la Società Ano-
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Demo Magazine
nima Elettrica Mesagnese, su progetto datato 8 marzo 1915 a firma dell’ingegnere industriale Luigi Dell’Aglio, si costruì la centrale costituita da due motori diesel da 75 CV alimentanti due generatori da 50 kVA. Accanto fu realizzata una centrale frigorifera in modo che si potesse sfruttare appieno la risorsa energetica attigua e gli uffici. In questa centrale iniziò ad operare a soli sedici anni mio padre (Francesco Summa) che da studente-lavoratore (quando si dice alternanza scuola-lavoro!) riuscì nel tempo a conseguire il diploma di Perito Elettrotecnico poco più tardi. Nel 1930 la Società Generale Pugliese di Elettricità assorbiva le principali aziende operanti in Puglia, tra le quali quella mesagnese. Della presenza di simile centrale, oggi non è rimasto praticamente nulla. Da un documento del 1952 si desume non fosse più in funzione.
Verso la fine degli anni ’50, l’incremento abitativo nella zona determinò l’esigenza di un adeguato luogo di culto; l’allora arciprete don Daniele Cavaliere ottenne dal comune di Mesagne la donazione di una parte dell’hangar che ospitava la centrale da destinare a usi cultuali: nacque la chiesa di S. Giuseppe Artigiano. Del poco di documentale (capitolato, pianta progettuale su carta pergamena) fu ceduto da mio padre come reliquia al sottoscritto. Attualmente è rimasto solo il manufatto murario della cabina elettrica di trasformazione ed un cancello che dava accesso ad un ampio cortile interno ove venivano depositati i pali in legno e materiali vari. Un’altra traccia è rimasta nell’intimo del sottoscritto che ha perseguito la strada sulla cultura dell’utilizzo e sulle verifiche di sicurezza degli impianti elettrici e di terra.
outside
la protesta infiamma il brasile
Cronaca delle proteste contro le nuove tariffe dei trasporti, corruzione e per migliori servizi pubblici di Paulo Lencina
Testo: Paulo Lencina Traduzione: Nadia Nisi 18
Demo Magazine
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orto Alegre. 4 aprile. Piove, 9o C. 25 mila persone invadono la città. Si canta, si salta, i tamburi suonano. Non è Carnevale, ma la 3a settimana di proteste contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico. Durante l’evento arriva la notizia del ribasso da 3,05 a 2,80 reali (€1,13). A Porto Alegre, dalla lunga tradizione socialista, nasce la prima vittoria del Movimento Passe Livre (Biglietto Gratuito), che chiede il trasporto pubblico gratuito.
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Se sanità e istruzione sono pubbliche e gratuite, perché non possono esserlo i trasporti? Le proteste organizzate dalle reti sociali si diffondono in tutte le città, chiedono la riduzione delle tariffe. L’aumento di 20 cent avvenuto all’inizio dell’anno grava sul salario minimo di R$ 645 (€240), soprattutto ora che l’economia ha avuto una crescita vicina allo zero. Colorate, allegre e contraddittorie: le manifestazioni dicono molto sul Brasile. Disabituati a lottare per i propri diritti, i brasiliani hanno sorpreso politici, media, polizia e se stessi. “Il popolo si è svegliato” è uno degli slogan più usati. La riduzione delle tariffe rinnova le speranze di lotta a Natal e Goiânia, seguite da Rio de Janeiro e San Paolo. Ipanema, il Cristo Redentor e il Pan di Zucchero convivono con le proteste quotidiane, violentemente represse dalla Polizia Militare, nonostante la Costituzione sancisca il diritto di riunirsi in pubblico. Megalopoli, centro economico, San Paolo vive nella tensione. Più il Passe Livre scende in strada, più sono intense le partecipazioni popolari e le repressioni. Mentre il mondo esplode, il governatore dello Stato Geraldo Alckmin e il sindaco Fernando Haddad sono a Parigi per la candidatura della città come sede dell’Expo 2020. Da lontano Alckmin ordina alla PM di essere dura. Il governo ordina la repressione, i media mostrano di essere conservatori. La rete televisiva Globo, alleata della Dittatura Militare, accusa i manifestanti delle violenze nonostante le immagini diffuse su YouTube. Sullo stesso canale l’opinionista Arnaldo Jabor prima condanna il Passe Livre, poi si pente e lo appoggia. Sul canale televisivo Band, José Datena, presentatore di un programma popolare, pubblica in diretta il sondaggio “Concordi con la violenza dei manifestanti”. 5 mila a favore, 900 contro: il popolo sapeva che era la PM ad attaccare i manifestanti. I giornali Estado de São Paulo e Folha de São Paulo chiedono la fine delle proteste. Tutto inizia a cambiare il 13 giugno. Un quieto corteo viaggia su Avenida Paulista, strada principale di San Paolo: la PM attacca la folla con munizioni non letali, spray al peperoncino e violenza. Nel cielo, gli elicotteri. Disarmate, le persone gridano “senza violenza”.
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Non va bene ai cronisti: la reporter di TV Folha Giuliana Vallone è ferita all’occhio destro, protetto dagli occhiali, mentre il fotografo Sérgio Silva perde la vista da un occhio. L’apice della contraddizione? La PM blocca l’Avenida per evitare che i manifestanti la blocchino. Il Paese è scioccato dalle immagini brutali delle violenze. I media cambiano postura. 17 giugno, manifestazione nazionale. Medici e avvocati organizzano punti di pronto soccorso e assistenza giuridica a feriti e arrestati. Da case e attività commerciali, i cittadini aprono le proprie reti wi-fi per permettere ai video reporter Coletivo Mídia Ninja (twitcasting.tv/ midianinja) la trasmissione in rete. L’agenda ampliata include lotta contro la corruzione e miglioramenti del servizio pubblico. “Non è per 20 centesimi, è per i nostri diritti”, dice un cartellone. Un altro critica l’uso del denaro statale per gli stadi della Coppa 2014: “Vogliamo ospedali con gli stessi standard della FIFA”. 75 mila i fischi per la presidente Dilma Rousseff e il presidente FIFA Blatter durante l’apertura della Confederations Cup. Solo a San Paolo 1 milione di persone scende per strada. Assente, stavolta, la PM. L’evento, senza scontri, porta il popolo a dire: “Che coincidenza, senza polizia e senza violenza”. I primi risultati. Il Congresso Nazionale ripresenta un progetto fermo da 2 anni per proibire il nepotismo nella Camera e nel Senato. La presidente Dilma, dopo una riunione col suo consulente João Santana, riceve gli integranti del Passe Livre. Gli avversari politici Alckim e Haddad annunciano la riduzione del biglietto del trasporto pubblico a San Paolo. E poi, in altre 200 città. Le contestazioni continuano, ma l’attenzione dei media è ancora poca. I manifestanti si accampano sotto la casa di Sérgio Cabral, governatore dello Stato di Rio. Sotto i riflettori, anche le spese per la visita di Papa Francesco. Perché uno Stato laico usa 380 (€141,7) milioni pubblici per ricevere il capo del Vaticano, ricco Stato teocratico? Perché usare la Forza Aerea Brasiliana per portare la Papamobile per la GMG, evento della Chiesa Cattolica? All’arrivo del Pontefice la PM ha represso con violenza le proteste contrarie al Papa. Questo carnevale brasiliano sembra proprio non aver fine. Per fortuna. 20
Demo Magazine
cine script
Raccontare in prima persona con l’attenta volontà di non far mai trasparire il sesso della voce narrante e di tutti coloro con cui il protagonista interagisce non è impresa facile. Ed è per questa abilità che l’autore trentunenne di Cellino S. Marco (Br), guadagna ex aequo il 4° posto nella prima edizione “Borsa di studio in scrittura narrativa Melissa Bassi”, istituita e finanziata dall'Associazione Cabiria nell’ambito del progetto Cine Script. Seguiteci tutti i mesi su Demo e sulla pagina Cine Script di FB. Buona lettura. Anna Rita Pinto
Indefiniti di Michele Manca Avevo fatto tutto alla luce del sole, senza preoccuparmi de-
con la stessa gentilezza di una decapitazione, ma non lo vo-
gli sguardi altrui, in attesa di rendere conto dei miei gesti
levo. Avrei voluto chiudere come tutte le persone normali e
a chi di dovere. Successe senza avvisaglie. Sentendomi ar-
magari, rivedendoci dopo anni, avremmo fatto finta di es-
rivare in casa mi venne incontro <<È vero?>> Io, senza che
sere amici. Questa possibilità non mi era stata data ed ecco
dicesse altro, sapevo già a cosa si riferisse. Quando risposi
il risultato. Un bagno di sangue. Come avessi fatto a tradire
di sì la sua rabbia esplose verso ogni oggetto che aveva a
non aveva importanza, era un mezzo per raggiungere il mio
tiro ma nessuno di questi mi colpì, come non mi colpirono
scopo. Non avevo provato nulla, paura, ansia, eccitazione.
le sue parole né mi preoccupava che sentissero i vicini. La
Appena un battito di cuore in più. Tutto questo era servito ad
verità sa essere dura, potente e impietosa. Non continuò
allontanare l’unica persona che mi sarebbe rimasta accanto
a lungo, sentii la porta sbattere forte e il silenzio tornare
qualunque cosa avessi osato fare. Con l’eccezione del tradi-
nell’appartamento. Allora diedi una parvenza di normali-
mento. Fu una pessima sorpresa l’apparizione di quel part-
tà alla stanza e preparai le mie cose per andare via. Presi
ner occasionale un paio di minuti dopo aver lasciato il palaz-
tutto quello che potevo, lasciando vigliaccamente alla sua
zo alle spalle. Aveva risalito il torrente delle mie conoscenze
mercé il resto. Una volta a casa, trovando l’appartamento
come fanno i salmoni suicidi. Era felice di vedermi lasciare
vuoto, avrebbe avuto qualcosa di mio su cui sfogarsi per un
quel posto, pensava che fosse la sua buona occasione per
eventuale secondo round. Lasciare l’appartamento era una
occupare il seggio vacante e non faceva nemmeno nulla per
liberazione, come lo era stata chiudere. Avevo dovuto farlo
nasconderlo. Insistette perché andassi a dormire a casa sua,
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Demo Magazine
cine script
almeno per quella notte, si offrì di preparare anche la cena.
nando la pace, voltandole le spalle. La sofferenza era lì che
Io avevo pianificato di trovarmi un letto in un bed and bre-
mi aspettava sulla soglia, per accompagnarmi di nuovo.
akfast e poi decidere il resto ma accettai purché la smettesse
La cena fu discreta, il dialogo andò a senso unico. Con una
d’insistere. Le sue richieste, le sue attenzioni, le gentilezze
scusa riuscii a evitare il sesso ma dormii poco, pensando a
che mi riservava equivalevano a cinghiate sulla schiena, ma
quello che avrei dovuto fare al mattino. Mi svegliai in pie-
era troppo felice per accorgersene. In questa seconda visita
na notte, andai in cucina e scrissi un biglietto dove spiegavo
riuscii a vedere il resto del suo appartamento perché mi ac-
le mie ragioni, pregando che non mi cercasse. Non c’erano
compagnò in camera per farmi sistemare le mie cose. Pas-
scuse, non puoi chiedere scusa quando sai di far soffrire una
sando davanti alla portafinestra che dava all’esterno vidi un
persona. Lasciai il foglio piegato sotto la prima cosa che mi
pezzo di città incastrata tra le luci dei lampioni e quelli delle
trovai vicino e uscii di casa alla cieca, senza produrre alcun
finestre. Non avevo mai vissuto così in alto e non guardavo
suono. Camminai per strada senza fretta, senza accorgermi
verso l’alto da tropo tempo: il cielo era un pezzo di sfondo
che l’alba mi stava aspettando. La luce viola nel cielo len-
fuori fuoco. Eppure in quell’attimo in cui i miei occhi era-
tamente diventava arancione allontanando poco per volta
no rivolti all’esterno sentivo il cuore, lo sentivo battere per
l’oscurità. Poi vidi uno stralcio di sole sorgere tra due pa-
davvero, come quei luoghi dove si tengono tutte le cose per
lazzi. Era intenso, forte, ma non distolsi subito lo sguardo. Il
cui valga la pena ridere e piangere, non come l’organo ste-
tramonto è per tutti, l’alba è per pochi. Avevo deciso: volevo
rile e inutile che si limitava da un po’ a tenermi stoicamente
partire, andare in un posto nuovo dove tentare di cambiare,
in vita. Pensavo che la prima volta che andai in casa sua
in meglio si sperava. Avevo maturato quell’idea pensando
non andammo oltre il soggiorno, facemmo sesso per terra.
al balcone. Un posto nuovo forse sarebbe stato in grado di
Mentre mi stava sopra tenevo la testa reclinata all’indietro,
fare quello che la mia sola volontà non era stata in grado
scambiò quel gesto per piacere e io lasciai che lo credesse.
di fare. Entrai in stazione, andai verso la biglietteria, dissi
Dal suo punto di vista era stata una serata indimenticabile,
dove volevo andare. Il treno mi aspettava quieto sul terzo
per me una scopata che metteva la mia relazione sotto tre
binario. Andai a sedermi in uno scompartimento vuoto, pen-
metri di terra e una lapide senza epitaffio. Andai di nuovo
sando alla strada che avremmo percorso insieme. Un tizio,
verso la porta finestra, uscii fuori e oltre il pavimento di cotto
Seneca mi pare, diceva che non importa dove vai, se non ti
e la ringhiera marrone c’era quello spicchio di città, appeso
liberi delle preoccupazioni nessun luogo ti sembrerà acco-
al cielo nero coperto di stelle appena visibili. A quella vi-
gliente. Diceva che bisogna cambiare il proprio animo, non
sta mi sentii un po’ meglio. Avevo bisogno di convincermi
il cielo sotto cui si vive. Io speravo di essere l’eccezione che
che quella sensazione non fosse qualcosa d’irripetibile. Non
confermava la regola. Speravo che un posto nuovo del quale
so quanto tempo rimasi lì, in piedi. Mi risvegliai sentendo
non avevo memoria potesse aiutarmi ad essere felice, a non
che mi chiamava per cenare. In silenzio rientrai abbando-
avere alcun pensiero.
I racconti di Piccole Storie di Cine Script sono protetti e di proprietà degli Autori. Ne è vietata la riproduzione totale o parziale per mezzo stampa o in altre forme, anche di rappresentazione teatrale o filmica, se non previo consenso dell'Autore stesso. Per informazioni: annaritapinto@cinescript.it
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salute
di Ivaldo Penta
prima parte
C
ome ti chiami? Giuseppe Che fai nella vita? Vado a scuola. Ho dieci anni, faccio la quarta elementare... Ora sto andando all'Arci, frequento un campo scuola, dalle 8 alle 14. Dopo aver pranzato che hai fatto oggi? In che senso? (silenzio stizzito) Io non capisco. Oggi che hai fatto? Non sono fatti tuoi! (Si agita sulla sedia) Non è che scrivi tutto quello che ho detto, no? (Interviene il padre) Giuseppe perché non lo vuoi raccontare? (Il bambino si alza dalla sedia e scappa via... Torna qualche minuto dopo su insistenza del padre) Io non voglio fare l'intervista! Non ti voglio dire cosa ho fatto oggi... Non sono affari tuoi. Cosa vuoi nascondere? Non ho niente da nascondere. Sono stato a letto, bla bla-bla... Ho visto la tv! Cosa c'è di strano? Voglio eliminare questa risposta! (Si alza e sbatte senza violenza la fronte contro il legno della porta della stanza che lo accoglie) (Interviene nuovamente il padre) Ti stai comportando come una persona immatura e poco seria. Prima hai preso l'impegno di fare quest'intervista ed ora scappi senza motivo. L'obiettivo di questa intervista è sapere e comunicare agli altri come occupa il suo tempo libero un bambino di dieci anni che abita a Brindisi, con una sorella di diciotto anni e due genitori che vivono con lui. Io sono insegnante e la mamma sta conseguendo una laurea. Io non capisco perché tu non vuoi dire che fai nel tempo libero! Giuseppe: No no...(Agitando la cuffia collocata sul collo, si muove sulla sedia) Fine dell'intervista. Io me vado a casa! È stupido che io debba dire che tutto il tempo che passo a casa lo occupo a guardare la televisione, al Nintendo e alle carte da gioco. Cancella tutto! Fai un'intervista normale! Cambiamo argomento. Che voti hai avuto a scuola? Tutti otto. Che cosa ti interessa? I manga, guardare la televisione, il computer, i fumetti…. e poi giocare a calcio L’esperto. Solo ad uno sguardo superficiale si potrebbe pensare che Giuseppe non comprenda le domande. Egli usa anzi delle strategie comunicative complesse. Egli meta-comunica: invece di rispondere commenta le domande al fine di screditare l’interlocutore, ora l’intervistatore, ora il padre. Non sfugge il tono aggressivo delle sue risposte, non aderente al suo ruolo sociale. Solo alla fine si comprende che egli si difende attivamente dal comuni-
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Demo Magazine
la seconda parte nel prossimo numero di Demo Magazine
Giuseppe, media.dipendente la storia di un bimbo drogato di tv, videogiochi e fumetti
care che passa la maggior parte del suo tempo libero a guardare la televisione, a giocare al Nintendo e, da solo, con delle carte da gioco. La difesa esprime la sottile consapevolezza che tale autentica dipendenza da stimolazioni multimediali non è un comportamento inappropriato, che peraltro il bambino non può o non desidera modificare. Non lo commenta, lo nega, finché gli è possibile. In sostanza il bambino è affetto da una severa dipendenza dagli strumenti multimediali. Nel caso specifico, la dipendenza riguarda le stimolazioni emozionali che riproducono, come nei fumetti giapponesi Manga, una dimensione virtuale e per nulla reale. Inoltre essa è stereotipata, povera di elementi di sviluppo psicologico. Per quanto il bambino non abbia nulla di autistico, tale è la dipendenza multimediale per Giuseppe. Essa è priva di ogni confronto con modelli ed abilità sociali concrete e fruibili nella realtà sociale di appartenenza e con contenuti informativi utili per un adattamento al suo ambiente.
Sei capace di descrivere in 10 righe la tua maestra? No. È una brava maestra. Quali sono i tuoi amici? Gabriele. Parlami di papà. A volte è intelligente, a volte scemo. É generoso, non è bravo a scrivere perché usa sempre il PC. Parlami di tua sorella, sta sempre al computer. È un po' scema perché quando entro nella sua stanza pensa sempre che io voglia rompere tutto. Parlami di mamma É molto buona. A volte è nervosa. In questo periodo sta a Milano per occuparsi dei nonni malati. Mia madre è molto magra, ha i capelli rossi ed è vegetariana. Parlami del tuo cane. Si chiama Luna, ha quattro anni; è un meticcio buono con gli altri cani e con le altre persone. Quali sono le cose che non ti piacciono? Insetti, ingiustizie, guerra, bulli e coccodrilli. Quali sono le materie che ti piacciono a scuola? Matematica e storia. L'ultima volta stavano parlando degli egiziani. Hai sentito di che cosa sta succedendo ora in Egitto? No. All'intervista è presente la nonna, che prova a commentare l'intervista del nipote. Giuseppe le risponde“ Non devi parlare! Devi stare zitta!
new generations
Si fa presto a dire GIOVANI di Cristina Mignogna
L
’epiteto “nuova generazione”, su cui tanto si è speculato, spesso non aiuta a comprendere quanti giovani ci siano in giro a lavorare o studiare, lontano dalle loro prime quattro mura, in Italia o all’estero. Si sono spese innumerevoli parole, scritti articoli e rilasciato interviste per parlarne e spiegare il fenomeno, ma nessuno ha scomodato usi e consuetudini di questa grande famiglia per descriverne le caratteristiche. Si è preferito immaginare una quotidianità verosimile, basandosi sui luoghi comuni e optando per la sicura classificazione di vecchio – saggio e giovane – egoista. Sembrerà strano, ma il posto più fugace che può venire in mente pensando ad un viaggio, il Caronte dei nostri tempi
(un aeroporto, per intenderci), potrebbe davvero diventare teatro di incontri e racconti: chissà cosa potrebbe rivelare l’attesa della partenza se solo si aguzzasse la vista e, guardando quei giovani visi presenti, concentrati sui loro smartphone, si iniziasse a parlare con loro. Così, si riscoprirebbe l’arte del fare conversazione e si prenderebbe coscienza che questi giovanotti non sono “monaci mancati”, ma l’abito che hanno rappresenta semplicemente quello che è più facile mettere loro addosso, così come è più facile dire che sono figli del progresso tecnologico. Senza considerare che questa generazione deve osservare, riflettere, escogitare, progettare ed inventare per poter vedere i propri sogni realizzarsi. Allo stesso modo, sarebbe utile conoscere come fare ad ammortizzare i fallimenti, accettare le sconfitte e riprendersi subito se non si vuole rincorrere gli altri. I giovani vivono
al massimo, a prescindere dal vento che muta e dal mondo che gira al contrario: ci sono perché vogliono esserci, con le loro paure, le loro ansie da prestazione, i quaranta esami da sostenere per conquistare una laurea. Nel momento in cui decidono di continuare gli studi, si aziona la giostra del cambiamento, con i pro e contro di un trasferimento, l’arte del vivere lontano e da solo, i sacrifici economici, le aspettative dei genitori, il dovere di farcela, l’obbligo di finire quanto prima! L’università mette alla prova dal primo all’ultimo giorno. Privata o pubblica, essa non risparmia nessuno dalle forti emozioni, che si abbiano venti euro in tasca per le uscite o si debba arrotondare, lavorando nei weekend. E se ai grandi va ricordato che non siamo così ingestibili e incoscienti come pensano, noi dovremmo solo provare a dare più spazio all’ambizione di superare i nostri limiti. Demo Magazine
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curiosity
Matrimonio da ViP
Il sì di Mirko e Stefania, i retroscena svelati dai bodyguards
di Valeria Morleo
P
er molti il caos mediatico per il matrimonio di Mirko Vucinic e Stefania Molfetta è stato esagerato, ma per Mesagne questo è stato l’evento clou dell’anno. Una città “abituata” ai riflettori che gradisce eventi di questo genere. C’è chi ha avvistato presunti invitati, con tanto di vip in giro per la città e nei locali. Ma qual è la verità? Per capirne di più abbiamo intervistato uno dei responsabili del servizio d’ordine di quella giornata. Mesagne in tilt: verità o una delle tante fandonie? Mesagne non è andata in tilt, anzi. È stata bloccata Piazza IV novembre e l’inizio di via Albricci, ma senza causare troppi disagi, dato che tutto si è svolto nel giro di poche ore. A parer mio, dovrebbe sperare in altri matrimoni vip perché l’attività mediatica e pubblicitaria aiuterebbe a
cancellare quanto di cattivo questa città ha subìto Com’è stato organizzato il servizio d’ordine? Eravamo in 35 unità, volute dal signor Vucinic. A noi è toccato controllare l’ingresso in chiesa dei numerosi ospiti presenti nella lista degli invitati, per evitare possibili intrusioni di curiosi o tifosi che avrebbero potuto disturbare la funzione religiosa. Quali e quanti sono stati gli imprevisti? Nessun imprevisto di nota, se non la piccola ressa nel primo pomeriggio per le foto dei paparazzi accorsi a “catturare” un momento intimo, una scivolata, una scollatura o tutto ciò che fa tendenza nel mondo degli scoop. Comunque, nulla di rilevante. Sapevamo che sarebbe stato un servizio d’ordine tranquillo perché era stato ben studiato nei giorni antecedenti l’evento e per l’esperienza maturata nel settore. Ognuno di noi conosce le fasi importanti, come sanarle e prevederle. Non
c’è stata alcuna esclusiva di foto a giornali o tv: gli sposi hanno voluto vivere la funzione religiosa come un normale matrimonio. Quali sono state le bufale più grosse dei giornali locali e nazionali? Mister Conte, la coppia Totti-Blasi, Jovetic e Lapo Elkann: voci infondate per aumentare la curiosità. Qualche informazione sugli ospiti? Ho gestito personalmente la lista degli invitati (che non posso svelare per privacy e professionalità), ma di nomi importanti presenti alla funzione c’era solo Storari, testimone dello sposo e Barzagli, che ha raggiunto il compagno di squadra al ristorante a cerimonia già iniziata, reduce dal Brasile. Se non ci fosse stata la Confederation Cup ci sarebbero stati più ospiti dalla Juventus e altri club. Tra i più in vista, Alena Seredova… Per rivelare altri nomi, dovrei chiedere oltre 200 autorizzazioni. Quindi rimangono top secret, Lei mi capirà. Demo Magazine
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reportage
Monteruga
citta' fantasma di Federico Micelli
S
iamo nell’agro di Veglie. All’ incrocio tra i quattro feudi di San Pancrazio Salentino, Avetrana, Nardò e Salice Salentino. Precisamente sul confine di una collinetta riversa da un lato, sulla costa di Torre Lapillo, e dall'altro su un panorama di campagne che lascia scorgere in lontananza il Duomo di Lecce. Qui ci si imbatte in un luogo tanto singolare quanto interessante: Monteruga. Si tratta di un borgo feudale esteso per centosettanta ettari, nato in epoca fascista attraverso l' "Ente di Riforma Fondaria" il cui scopo era rivalutare l'agricoltura nazionale bonificando diversi terreni del Meridione. Ad oggi, per Monteruga si intende un luogo abbandonato a se stesso, preda delle visite dei curiosi, vittima del tempo che lo deteriora e della storia che lo ha dimenticato dopo che l'azienda statale divenne privata e poi chiuse i battenti. Per arrivare all'interno del complesso residenziale, composto di nove piccoli appartamenti, occorre oltrepassare la fitta rete di ce-
spugli radicata in corrispondenza dell'ingresso principale. Uno stradone sterrato separa in due questo villaggio fantasma così suggestivo; la chiesetta del paese, una pompa di benzina, il frantoio, il deposito tabacchi assieme alla scuola elementare che conserva ancora ogni mobilio, incorniciano questo villaggio in un contesto fuori dal tempo. La semplice idea che fino a trent'anni fa Monteruga fosse un posto abitato, la cui quotidianità possiamo immaginarci essere stata quella di chi, fuori dall'asfissiante modernità, riesce a sopravvivere in una campana di vetro della tradizione, è surreale. Nel massimo
momento di sviluppo del borgo, a viverci erano quasi ottocento persone: contadini e latifondisti provenienti dal Salento, Molise e Calabria. Ad oggi, l'intervento delle forze dell'ordine ha smantellato un giro di prostituzione che aveva luogo proprio fra queste mura dimenticate... evidentemente non da tutti. E' quello che succede quando si lascia in balia dell'erosione una roccaforte del genere. Cambiano i tempi e le persone; la cultura si modifica, a volte si arricchisce. E ai nostri figli non saremo più in grado di insegnare il valore che le cose acquistano per il fatto stesso di esistere e durare nel tempo.
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focus on
GRAVIDANZE: INVERSIONE DI TENDENZA Sono sempre più numerose le donne che danno inizio ad una gravidanza in tarda età. “Tutto nella donna è un enigma, e tutto nella donna ha una soluzione: questa si chiama gravidanza”. Friedrich Nietzsche
di Valeria Morleo
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iò accade per motivi ovvi e comprensibili: non solo la necessità di trovare la persona con cui poter fare questo passo, ma soprattutto un lavoro per garantire un futuro ai figli. Così, donne e uomini si sposano e fanno figli non più ventenni. Ma sempre di meno sono anche i giovani tra i trenta e i quarant’anni che riescono a mettere su famiglia. Talvolta, però, la realizzazione professionale è solo un’illusione e spesso si arriva a quarant’anni ugualmente precari, ma vista l’età si accelerano i tempi per cercare di avere un figlio. Il desiderio di avere un figlio è comune tra uomini e donne, ma per queste ultime cresce con l’avanzare dell’età. Ed è così che ci ritroviamo ad osservare mamme a quaranta o cinquanta anni con figli che frequentano i primi anni di scuola o che stanno per nascere. Una logica conseguenza di un desiderio primordiale o un egoismo insensato? Forse raggiunta una certa età il desiderio di avere un figlio non contempla il “domani” e tutti i problemi correlati alla crescita del pargolo. Probabilmente non si pensa a quando il bambino avrà quindici anni e dovrà essere seguito nelle sue peripezie adolescenziali da due genitori non più giovani. Oppure quando sarà ventenne o venticinquenne e i suoi genitori quasi settantenni non avranno la forza di seguirlo e aiutarlo per le sue necessità rispetto ad un genitore più “giovane”. E’ vero anche che i cinquanta e i sessanta anni di adesso non corrispondono fisicamente e mentalmente a quelli del secolo scorso. Oggi anche a questa età si ha più predisposizione mentale e fisica a crescere, seguire bambini o adolescenti. Per l’occasione abbiamo voluto interpellare il Dottor Latini, primario del reparto di Neonatologia dell’Ospedale Perrino di Brindisi.
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Demo Magazine
Dottor Latini, come è cambiata l’età delle donne in gravidanza e come mai? Sicuramente l’età è decisamente aumentata. Le gravidanze avvengono più tardi per motivi sociali come la mancanza di lavoro e per la volontà personale di carriera. Donne e uomini tendono ad aspettare a concepire. Un cambiamento drastico rispetto ai tempi passati, che vedevano mamme quindicenni o ventenni come protagoniste. Quali sono le problematiche riscontrate in questo tipo di gravidanze? Il problema è soprattutto di natura pratica: una donna a quarant’anni sarà meno fertile di una venticinquenne, è l’orologio biologico a dettar le regole. L’uomo non può sostituire la natura. Ad oggi si nota una maggiore incidenza di gravidanze plurime, come mai c’è quest’aumento? Proprio a causa di questo ritardo nel concepimento. Troppo spesso le donne si ritrovano a non poter più avere figli e ad optare, quindi, per metodiche alternative come l’inseminazione artificiale. Attualmente, grazie alle nuove metodiche le gravidanze sono seguite con accorgimenti e tecniche superiori rispetto a quindici anni fa, il che riduce notevolmente i rischi per mamme e futuri nascituri. Ma con l’impianto di più embrioni il rischio di gravidanze plurime potrebbe aumentare. A proposito di rischi, quali e quanti sono? E’ chiaro che ci sono dei rischi oggettivi al momento del parto. Le gravidanze plurime portano spesso a parti prematuri, il che comporta dei rischi per i bambini. La pancia della mamma non può essere sostituita da un’ incubatrice, nonostante la tecnologia abbia fatto passi da gigante. Il nostro organismo è predisposto per portare avanti una gravidanza alla volta, quindi le gravidanze plurime sono quasi “contro natura” e, di conseguenza, soggette a rischi.
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sport
CALCIO ALL’ULTIMA SPIAGGIA
Il Beach Soccer: uno sport dalle mille fatiche, crocevia tra ex talenti e non
di Antonio Scoditti
I
l Beach Soccer, il calcio sulla sabbia, è lo sport più spettacolare dell'estate: acrobazie, rovesciate, gol impossibili, sole, mare e tanta sabbia sono gli ingredienti che rendono questo sport sinonimo di divertimento. Che si tratti di qualcosa di più di un semplice gioco da spiaggia, di un intratteni-
mento da vacanza, ce l’ha fatto capire la tv satellitare, che negli ultimi anni d’estate ci propone ore di partite di uno sport sempre più popolare. Il Beach Soccer nasce in Brasile, sulla sabbia di Copacabana a Rio de Janeiro, dove dal 1994 la Beach Soccer World Wide ha promosso un Campionato mondiale. In Italia arriva solo nel 2000, ma la vera svolta si ha nella stagione 2003/04, quando la Federazione Italiana Giuoco Calcio organizza il primo
campionato di Serie A, affidandolo alla Lega Nazionale Dilettanti. Di lì in poi questo sport comincia a prendere sempre più piede, grazie soprattutto ai dirigenti che riescono a portare sulle nostre spiagge i migliori giocatori del mondo. Un tour itinerante che spazia su tutte le nostre stupende spiagge. Catanzaro, Viareggio e Milano sono l’Inter, il Milan e la Juventus della sabbia, e si sono spartiti la maggior parte dei titoli. Anche la stessa Nazionale Italiana di Beach Soccer ormai è nell’élite di questo stupendo e faticoso sport. Ex professionisti fanno parte della Nazionale: Maurizio Ganz, Beppe Bergomi, Gigi Di Biagio, Paolo Di Canio, Filippo Maniero e Gianluca Pagliuca. Loro rappresentano l’Italia all’interno dei tornei organizzati dall’Italia beach soccer che porta in tutta Italia sfide spettacolari tra vecchie glorie del calcio europeo. Rovesciate, tacchi e colpi spettacolari sono nel repertorio di tutti i giocatori da spiaggia. Vederli fare da ex campioni della serie A ha un gusto tutto particolare.
Il Beach come riscatto Il nome non gli lasciava tregua. Essere il figlio del «Pibe de Oro» non l’ha mai aiutato. Eppure Diego Maradona Junior ha trovato la sua dimensione nel calcio da spiaggia. Dal 2008 ha intrapreso la carriera nel beach soccer. Argento ai Mondiali con l’Italia, poi nel 2009 lo scudetto con Napoli. Chi invece fenomeno lo era per davvero, nelle giovanili del Genoa, è Pasquale Carotenuto, uno dei veri talenti del calcio non espressi. Classe ’82, Carotenuto non ha sfondato nel calcio che conta, ma è il centravanti titolare della nazionale di beach soccer. Un bomber che accende la passione sulla sabbia, a tal punto da essere stato ribattezzato il «Ronaldinho delle spiagge». Demo Magazine
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memories
Ciao Francesco “Wish you were here”, vorrei che tu fossi qui, cantano i Pink Floyd e io son sei anni che non faccio altro che ripeterlo. La vita è davvero strana... Un mistero. Sembrava un giorno come tanti, quel 3 agosto… Come lo è oggi e come lo sarà domani. Un giorno che improvvisamente è diventato orrendo, maledetto e che col passare del tempo tutti vorremmo cancellare ma purtroppo, non si può. Tu da allora non ci sei e giorno dopo giorno tutto parla di te… Tu manchi. Son passati già sei anni e noi che ti amavamo dobbiamo ancora accettarlo. É difficile credere che tu non ci sia, non crescerai più accanto a noi, che vivevamo per un tuo sorriso, con il quale eri capace di illuminare le giornate più buie. Tante volte ci siamo chiesti un perché e tutte le volte non abbiamo trovato risposta. Francé, non è semplice spiegare quante sono le cose che ci hai lasciato… Tu eri un grande, uno come pochi! Era facile amarti... É difficile continuare a non farlo… Tu, anche se lontano, esisti in noi. Quante gioie e soddisfazioni hai dato, in particolare ai tuoi genitori, sei stato il figlio, il cugino, l’amico che tutti avrebbero voluto avere. Con alcuni di loro, hai condiviso la tua vera passione, la musica. Come mi sentivo orgogliosa quelle sere in cui ti ascoltavo suonare e quando venivo a complimentarmi, tu nella tua semplicità mi abbracciavi e sussurravi un “grazie”.. Non puoi immaginare quanto ti ho cercato e ti cerco, in un sorriso, nelle note di una canzone e nel cuore di chi come me ti ha adorato.. Ed è per questo che sono qui a scriverti... A voler credere che, nonostante la tua assenza, la vita sia comunque un dono. Perciò ancora una volta mi ritrovo a dimostrarti il mio affetto dedicandoti queste parole con la speranza che da lassù tu possa sorriderci ancora! Ti voglio bene Con tutto l’amore del mondo Tua cugina Federica
In ricordo di Francesco Morleo, scomparso il 3 agosto del 2007 a seguito di un incidente stradale
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underwater
Il recordman
paolo de vizzi Oltre ogni barriera
di Agnese Poci
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aolo De Vizzi è entrato negli annali per aver fatto registrare il record mondiale per un’immersione in acqua lunga ben trentaquattro ore e trenta secondi nelle acque di Santa Caterina, marina di Nardò. La sua è un’impresa riuscita grazie ad un impegno prolungato nel tempo, non solo quello misurato da un cronometro. Un uomo, Paolo De Vizzi, che ha voluto sfidare l’estremo, riuscendoci e incontrando nella sua avventura non poche difficoltà. Come l’allagamento della muta, che alla diciannovesima ora d’immersione, ha messo Paolo dinanzi ad una sfida nella sfida, quella con l’ipotermia. 40
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Cos’è che spinge un uomo a superare certi limiti, ai più, inaccessibili? «Direi che l’ho fatto soprattutto per una mia soddisfazione personale. Ho voluto sfidare me stesso. E poi ho voluto far capire a tutte le persone che hanno avuto la mia stessa sventura di non mollare e di combattere sempre per una vita migliore». Nel 1996 De Vizzi è stato travolto da un pirata della strada a bordo di un camion. Un brutto incidente stradale, subìto mentre andava in discoteca e senza ricevere soccorso dal suo investitore. Abbandonato sul ciglio della strada, De Vizzi ha avuto una lesione midollare, riportando una paresi dal collo in giù. Dopo tre anni in carrozzina, però, oggi cammina, non bene, ma con le sue gambe, dimostrando tanta forza di volontà per andare avanti.
Durante questa sfida, sono stati in tantissimi a sostenerti: dalla gente comune sino a diverse associazioni, passando per l’Esercito Italiano. «Ho avuto accanto il 185° reggimento Rao dei Paracadutisti della Folgore di Livorno, è stato molto bello collaborare con loro. Mi sono sempre stati affianco, non mi hanno mai lasciato solo. Il primo incontro è avvenuto a Roma, durante una fiera della subacquea, dove ho conosciuto il Maggiore Enzo Lipari e sin dall’inizio è nata una splendida amicizia. Così abbiamo deciso di collaborare. Poi ringrazio la gente che mi ha sostenuto: quest’anno avevo cinquanta assistenti subacquei e un’équipe medica di Grosseto. Mi sono stati tutti vicini nelle difficoltà, cercando di riscaldarmi durante le quindici ore d’ipotermia: mi hanno dato mezzo chilo di miele, tè bollente e cioccolata calda». Teatro di queste esperienze estreme è spesso Santa Caterina. Come mai scegli questo luogo? «Perché lì ho conosciuto Andrea Costantini, il mio maestro del Costa del Sud Diving. È una persona veramente fantastica che mi segue da sempre, ed io mi sento sempre sicuro con lui. È molto professionale». Sono tante le foto in Rete che immortalano lo spazio che ti sei creato sott’acqua, come se fosse la tua casa. «I soci dell’associazione che ho aperto a Manduria, “Il mare senza limiti di Paolo De Vizzi”, hanno allestito degli striscioni. Poi, ho voluto portare un tavolino per giocare a dama con tutti i miei amici: non mi sono mancata né la caffettiera, né le tazzine per abbellire il posto, oltre ad una panca su cui poggiarmi per cambiare le bombole. E poi avevo anche un lettino subacqueo, sotto il quale ho potuto fare un riposino».
Durante le 34 ore di immersione, cosa ti è passato per la mente? «Ogni volta che faccio queste immersioni lunghe, non penso a niente, dell’esterno. Penso solamente a quello che sto facendo in quel momento. Mi rilasso tantissimo sott’acqua: fuori, invece, soffro per tantissimi problemi causati
dall’incidente. Ho problemi nel camminare, di cervicale dovuti a una lesione cervico-dorsale, dolori di schiena. Invece, in acqua, tutto sparisce. Vivo in completo relax e benessere». Paolo, in tutte le tue imprese hai sempre avuto un seguito straordinario. A cosa è dovuto, secondo te? «Credo che a unire la gente a me sia la forza di volontà, con la quale affronto ogni sfida e il messaggio che ho voluto mandare nel tempo. Dopo il “mare senza limiti”, credo sia arrivato il momento di porre fine anche alle barriere sulla terraferma». Paolo, qual è il tuo prossimo obiettivo? «Ora mi godo un periodo di meritato riposo, anche se sto già pensando a una nuova sfida. Per il momento è un segreto. Poi, si vedrà durante l’inverno. Voglio sperimentare sempre cose nuove, fermo restando che il mare mi ha ridato la vita». Demo Magazine
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Hanno collaborato: Stefano Blasi Marco De Vincenti Antonio Scoditti Demo magazine • anno VIII • n. 22 agosto 2013 Periodico in distribuzione gratuita • Reg. Trib. di Brindisi n° 14/2005 Edito da: best in puglia srl, via Roma, 93 Mesagne (Br) Direttore Responsabile: Agnese Poci Impaginazione: Luca Crescenzo Grafica pubblicitaria: Daniela DIpresa Stampa: Mesagne Per la pubblicità su Demo Magazine Telefono 320.02.07.108 amministrazione@bestinpuglia.it Per informazioni, segnalazioni e suggerimenti direttoredemo@gmail.com
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