DossierIBE_2019

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Anno IX - supplemento a www.newsimpresa.it - diffusione gratuita

DOSSIER 8.11 IIOT, ecosistemi e piattaforme

2019

DESTINAZIONE

outcome ECONOMY

Con la partecipazione di Accenture, AidAM, Altair, Cefriel, Eurotech, Gruppo Camozzi, Politecnico di Milano, ReD Open e Siemens Digital Industries Software


Pentaconsulting vi dà il benvenuto a IBE 2019 In collaborazione con

8.11 2019

AGENDA 08:45 Registrazione partecipanti 09:15 Benvenuto - Cefriel 09:25 Destinazione Outcome Economy: le premesse

Umberto Cugini, Politecnico di Milano

09:45 Outcome Economy: cosa stanno facendo le imprese italiane?

Francesco Cuccia, Managing Director Accenture Strategy

10:05 Digital Business Ecosystems: esempi di successo

Maurizio Brioschi, Cefriel

10:25 Xcelerator: Your Digital Future

Gian Luca Sacco, Siemens Digital Industries Software

10:45 Coffee Break 11:05 IoT, Gemelli Digitali e Data Lake: la digitalizzazione è alla base dell’Outcome Economy

Roberto Siagri, Ceo Eurotech

11:20 L’evoluzione digitale del Gruppo Camozzi

Cristian Locatelli, General Manager di Marzoli Textile Engineering & Camozzi Digital

11:40 Data Intelligence e Machine Learning: una nuova era per il mondo della simulazione

e dello sviluppo prodotto Andrea Maria Benedetto, Ceo di Altair Engineering

12:00 La Data Governance, le identità e gli ecosistemi digitali

Massimo Manzari, Ceo ReD Open

12:20 Il Rinascimento industriale oltre il 4.0

Massimo Fucci, Ceo Pentaconsulting

12:40 Destinazione Outcome Economy, le conclusioni

Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo

13:00 Dibattito interattivo – AidAM 13:30 Business Lunch & Networking


EDITTORIALE di Massimo Fucci massimo.fucci@pentaconsulting.it

IBE 2019 Sesta tappa, l’economia dei risultati Quali i percorsi di trasformazione possibili per le aziende in uno scenario caratterizzato da forti discontinuità tecnologiche e di mercato? Che fare per continuare a competere? Quali risultati sono stati già ottenuti? Le risposte a queste domande ce le possiamo costruire a partire dai contenuti che vengono trattati in questa sesta edizione dell’Industry Big Event. Una sesta tappa che consolida il percorso e il format progettato: abbiamo iniziato con il sottolineare l’importanza del binomio indivisibile costituito da innovazione e cambiamento; siamo passati poi alla gestione del cambiamento continuo e siamo infine arrivati all’economia dei risultati. Un traguardo - guarda caso - raggiungibile solo se si riesce a vivere del cambiamento continuo, facendo scelte e implementando nuove modalità strategiche e operative. Infatti, per le aziende emergono opportunità per avviare modalità di progettazione e ingegneristiche rivolte a migliorare la qualità del prodotto e accelerare il time to market, prefigurando la possibilità di dare vita a modelli di business “as a service” basati sul prodotto connesso. Ma non solo, possono anche essere definiti modelli operativi basati sulla collaborazione orientata al risultato (Outcome). IBE 2019 prevede interventi di scenario e di tendenza da parte del mondo accademico (Politecnico di Milano), della ricerca (Cefriel) e della consulenza strategica (Accenture) e da parte dell’Associazione Italiana di Automazione Meccatronica (AIdAM) e di aziende che presentano percorsi, esperienze e risultati ottenuti. (Altair, Eurotech, Gruppo Camozzi, Pentaconsulting, ReD Open e Siemens Digital Industries Software). Ancora una volta abbiamo approntato un contesto unico per tutti coloro che vogliono avere indicazioni e orientamenti per comprendere come trarre vantaggio dai nuovi scenari imposti dai mercati che cambiano e dalle tecnologie digitali che permettono di attuare il NOSTRO necessario CAMBIAMENTO. Buona sesta edizione a tutti!


DOSSIER

sommario

AIdAM Pensare digitale per continuare a competere

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Michele Viscardi, Presidente di AIdAM e Direttore dello Sviluppo Business di Cosberg

IBE il nuovo contratto economico

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Umberto Cugini, Politecnico di Milano

AIdAM Per sostenere il cambiamento serve un gioco di squadra

26 ACor Il Rinascimento industriale oltre il 4.0

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Massimo Fucci, CEO di Pentaconsulting

cefriel Come affrontare la sfida digitale

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ACCENTURE Outcome Economy Cosa stanno facendo le imprese italiane?

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Francesco Cuccia, Managing Director Accenture Strategy

Massimo Vacchini, direttore di AIdAM

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Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico di Cefriel

ALTAIr Data Automation e Machine Learning: l’intelligenza aumentata per le aziende del futuro Andrea Maria Benedetto, amministratore delegato di Altair


SIEMENS LA STRAORDINARIA ASCESA DEL MODELLO DIGITALE

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Gian Luca Sacco, Sr. Director Marketing, EMEA, Siemens Digital Industries Software

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Cristian Locatelli, General Manager di Marzoli Textile Engineering & Camozzi Digital

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eurotech IoT, la digitalizzazione apre le porte a nuovi modelli di business

46

Roberto Siagri, CEO di Eurotech

Massimo V.A. Manzari, CEO di ReD Open

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Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo

Umberto Cugini, Politecnico di Milano

mindup Every business is a data business

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IBE Opportunità e sfide della società connessa

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Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo

IBE Gli “stregoni” del nuovo mercato

RED OPEN Data Governance, identità ed ecosistemi digitali

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Piero Macrì

IBE Rivoluzioni tecnologiche e rivoluzioni culturali

Gruppo CAMOZZI L’evoluzione digitale del Gruppo Camozzi

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scenario I dati come motore della nuova economia di prodotto

acor Ambienti Collaborativi Orientati ai Risultati

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Ambienti Collaborativi Orientati ai Risultati (ACOR)

di Massimo Fucci

Il Rinascimento industriale oltre il 4.0 Ambienti Collaborativi Orientati ai Risultati (ACOR). Come implementare innovazione e cambiamento sistematico, operando con continuità per sviluppare la mentalità che consente lo sviluppo di strutture operative flessibili, efficaci ed efficienti, integrate e orientate al risultato. Parlare di Outcome Economy senza mettere in atto un processo di innovazione e cambiamento sistematico che operi sull’organizzazione del lavoro, sui metodi, sui processi e, soprattutto, sulle persone e sulle loro modalità di interazione collaborativa, significa essere certi di ottenere un NON RISULTATO. La situazione è complessa al punto tale che per seguire/ dettare i cambiamenti, la capacità di cambiare è diventata equipollente alla capacità di investire. Tuttavia, prima di ogni ulteriore approfondimento vale la pena soffermarci evidenziare alcune importanti questioni: »» Quanto tempo si passa in riunione per ottenere risultati a dir poco risibili se non controproducenti?

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dossier _ IBE novembre 2019

»» È mai possibile che i collaboratori non siano in grado di procedere dalla A alla Z sui compiti assegnati e si debba sempre intervenire? »» Perché non si riesce a marciare tutti nella stessa direzione con lo stesso obiettivo? »» Possibile che non ci si accorge che così non si va da nessuna parte? Spesso, infatti, cambia l’organizzazione, ma questi temi non vengono affrontati. Alcune persone sono ancora nei posti che “contano” anche se la loro visione è quantomeno obsoleta mentre a noi resta solo un aggravio di lavoro. Se qualcuno si riconosce in quanto appena detto allora potrebbe avere un senso approfondire, altrimenti meglio rivolgere la propria attenzione ad altre attività certamente più proficue e gratificanti.


DOSSIER IBE 2019 Liberare l’energia positiva Mi occupo di aziende da più di 30 anni. Dopo essermi occupato di vari aspetti (manageriali, di sviluppo prodotto e di marketing e vendite) ora sono maggiormente interessato a capire come operano in pratica, nella realtà di tutti i giorni. Dalla mia attività ho compreso che spesso i temi da affrontare (o meglio che non si vogliono affrontare) sono sostanzialmente identici per la stragrande maggioranza delle aziende e non risentono di: mercato di riferimento, geografia, dimensione e fatturati generati. Una sorta di leit motiv, un’invarianza che unisce tutti e non proprio allegramente. Le aziende sembrano vivere in una sorta di complessità cromosomica e ci si occupa soprattutto dell’organigramma e dei budget, con un occhio attento alle applicazioni software, alle tecnologie da utilizzare dai macchinari da mettere in auge. Un’attività, senza ombra di dubbio, di estrema importanza che vede l’impiego di intelligenze e risorse economiche decisamente non banali. Ciò nonostante i vari progetti sono sempre in ritardo, i team/dipartimenti lavorano con la non pagante logica dei silos, con il risultato di una bassa sinergia, un discreto malcontento e un abbassamento del livello di energia positiva. Ma soprattutto si evidenzia un aumento dei costi nascosti (non contabilizzati), dei tempi, della non qualità dei risultati che si traduce infine in una insoddisfazione dei clienti.

do la seguente considerazione. In un sistema di rappresentazione vettoriale potremmo identificare ogni dipartimento/gruppo/team come un vettore caratterizzato da un modulo, una direzione e un verso. Lascio a ciascuno di voi l’esercizio di definire quali possono essere le grandezze associabili - nella vostra realtà specifica - a modulo, direzione e verso. Bene, in un sistema ideale, verso e direzione coincidono per cui il risultato finale altro non è che la somma dei moduli. In un sistema pessimo, direzione e verso sono orientati casualmente fino al culmine di generare una catena circolare la cui risultante è nulla. In tutti gli altri casi abbiamo un risultato più o meno buono. Il valore espresso ci dice però quanto siamo capaci a competere in una realtà che continua a cambiare in una logica sempre più orientata ai propri risultati. La sfida è implementare innovazione e cambiamento sistematico, operando con continuità per sviluppare la mentalità che consente lo sviluppo di strutture operative flessibili, efficaci ed efficienti e allo stesso tempo integrate e orientate allo stesso risultato.

Quale modello sostenibile? Cerchiamo di comprendere tutto quanto sinora evidenziato e perché tutto ciò può essere razionalmente definito come un non risultato. Faccio appello alla mia cultura di Fisico abituato a interagire con gli ingegneri, per cui condiviwww.newsimpresa.it

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Per un sistema aziendale “centrico” In un processo sistematico di innovazione e cambiamento, nel sistema messo a punto da Pentaconsulting, frutto di esperienza nata sul campo, la cultura è l’interruttore principale che dà energia a tutto il resto: obiettivi e strategie, business model e organizzazione a supporto. Abbiamo compreso che il crogiolo della cultura per le aziende deve contenere una serie ben mixata di ingredienti: i valori, lo stile, il management, l’orientamento al mercato/ai clienti, la gestione lo sviluppo e il benessere dei collaboratori, la metodologia operativa, l’orientamento al risultato. Un ecosistema che vede sicuramente d’accordo tutti – a parole - ma quando poi si tratta di metterlo in pratica insorgono una serie di difficoltà dovute principalmente al fatto che bisogna passare da un sistema “sé stesso centrico” a uno “aziendale centrico”. Ecco allora la risposta: la messa a regime di Ambienti Collaborativi Orientati ai Risultati (ACOR). Un contesto in cui la focalizzazione del management e dei collaboratori va in unica direzione e si focalizza sulla capacità di implementazione delle attività quotidiane secondo una programmazione strutturata e coordinata tra reparti/team con flussi che fanno riferimento a best practice predefinite basate su metodi condivisi e comunicazioni efficaci in grado di semplificare il raggiungimento de-

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dossier _ IBE novembre 2019

Comunicazione efficace

Sviluppo Marketing e vendite

Cultura innovazione cambiamento

Pianificazione e monitoraggio

MINDUP

Team Collaboration

mappe mentali

Organizzazione e sviluppo del personale

AD HOC

gli obiettivi e, nel contempo, di incrementare l’orientamento ad auto co-implementare il miglioramento continuo in funzione dei mutati obiettivi/organizzazione. Best practice basate sulle Mappe Mentali Fondamentale per il risultato è il metodo da adottare, che deve essere sia di comprensione sostanzialmente immediata da parte di

tutti (management e collaboratori), sia flessibile e adattabile in funzione dei contesti. Da anni ho sviluppato una serie di best practice, denominate Mind-UP basate sulle Mappe Mentali orientate al miglioramento del management e delle operation nelle aziende. Ad oggi, abbiamo istruito circa 3000 persone di diversa scolarità, posizione aziendale e cultura. Bene, nessun rifiuto! Tutti hanno


DOSSIER IBE 2019 imparato ad utilizzarle per lavoro, qualcuno anche per la propria vita privata. Certo, l’implementazione nelle diverse aziende è stata di natura e livelli differenti ma in tutti i casi hanno contribuito al miglioramento della produttività personale e di team, con un conseguente riallineamento più favorevole dei “vettori aziendali”. Un mix di Formazione, Coaching e Consulenza di Direzione Le Mappe Mentali si presentano come una sorta di “coltellino svizzero” poiché si prestano bene a esprimere un concetto, definire un processo, strutturare una banca dati, un documento, una presentazione; pianificare e monitorare; definire obiettivi, percor-

si, responsabilità e competenze. Una volta a regime rappresentano il miglior mezzo per la cattura e la distribuzione della conoscenza aziendale. Tuttavia, per ottenere un buon risultato lo strumento è necessario ma non sufficiente! La nostra esperienza ci ha insegnato che è necessario un adeguato supporto alla messa a regime di un percorso che porti gradualmente a un modo diverso di lavorare. Gli Ambienti Collaborativi orientati al risultato (ACOR), per loro natura, necessitano quindi di una somministrazione progettuale in cui siano presenti tre diversi aspetti: Formazione, Coaching e Consulenza di Direzione. Per la buona conduzione e riuscita necessitano di un coinvolgimento della Direzione (del responsabile di

formare le persone

monitorare i processi

definire gli obiettivi

metodo

MINDUP misurare i risultati

analizzare le esigenze

affermare il cambiamento

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gruppo/team, per un perimetro più ristretto) che da un lato deve trattare il percorso come parte integrante del lavoro, dall’altro deve sia porre in essere misure per incentivare la proattività e l’impegno delle persone, sia facilitare i cambiamenti che vengono decisi durante e dopo il percorso. L’importanza del Coaching Il Coaching dopo la formazione è mandatorio (se si vuole evitare di investire risorse in un piano formativo che non porta a risultati tangibili) ed è fisiologico (anche se impariamo modalità operative migliori, una volta inserite nel quotidiano – per pigrizia e/o per difficoltà oggettive - difficilmente si mettono in pratica). A poco o nulla servano i diktat che a mala pena salvano la forma ma non la sostanza. Quando si parla di metodi e di progettualità in genere si cerca di capire da subito quali siano i benefici tangibili. Se viene ritenuto intangibile il riallineamento dei vettori aziendali e se vogliamo la variazione positiva dei singoli moduli ecco allora di seguito alcune indicazioni sui risultati

già ottenuti su un campione di 120 aziende monitorate: »» Riduzione del 38% del tempo dedicato alle riunioni; »» Incremento del 25% delle decisioni in prima riunione; »» Incremento del 17% delle performance di vendita; »» Riduzione del 37 % delle non conformità; »» Riduzione del 18% dei mancati pagamenti dovuti a contenzioso; »» Riduzione del 64% delle criticità tra reparti. Risultati di tutto rispetto che possono essere monetizzati nella propria realtà aziendale. Non solo, risultati che mostrano in maniera inequivocabile come le aziende nel loro percorso sistematico di innovazione e cambiamento debbano tener di conto delle persone e delle loro interazioni. Una sorta di Rinascimento Industriale, quindi, che travalica il 4.0 perché Innovazione e Cambiamento sono un viaggio continuo e non una meta. Metodi e persone sono infatti le componenti che possono costituire il vero differenziale competitivo di un’azienda.

MetODO DI interventO RISPOSTA INDIVIDUALE AL CAMBIAMENTO

morale & produTTIVITà

CONSOLIDAMENTO

Abilità

Rifiuto

Frustrazione

Decisione

Shock

Spinta all’azione Depressione tEMPO training

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dossier _ IBE novembre 2019

tutor | fase 1

tutor | fase 2


mindupforbusiness.it

!'"

sviluppo contenuti

sviluppo/ realizzazione prodotti

sviluppo comunicazione

mappe mentali

metodo di utilizzo

sviluppo marketing & vendite

sviluppo team

sviluppo management

ser vizi

Sviluppo Sales, Marketing & Communication Change e Innovation Management Formazione sul Campo

MindUp for Business è un brand Pentaconsulting www.newsimpresa.it

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ACCENTURE

Outcome Economy Cosa stanno facendo le imprese italiane? di Francesco Cuccia, Managing Director Accenture Strategy

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DOSSIER IBE 2019

La rivoluzione digitale è ormai una realtà. I principali paesi manifatturieri hanno avviato progetti ad hoc per supportare le imprese nazionali ad affrontare con successo le sfide legate all’Industry 4.0. In Italia, gli investimenti digitali incentivati dal Piano Industria 4.0 stanno facilitando una graduale evoluzione delle imprese italiane verso l’outcome-economy.

Da una recente ricerca Accenture - basata su un campione di circa 300 aziende europee attive in 12 diversi settori di industriali - emerge che le imprese italiane stanno investendo in tecnologie digitali con un'intensità allineata, e in alcuni casi superiore, a quella delle imprese europee. Tuttavia, per quanto

cospicui, questi investimenti non hanno ancora generato una completa trasformazione dei modelli di business sia in ambito B2B che B2C ed il percorso appare graduale e non privo di ostacoli (vedi riquadro alla pagina seguente). Come riportato in Figura 1 le aziende italiane, soprattutto in ambito B2B,

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ACCENTURE

Il percorso evolutivo verso l’outcome-economy E’ graduale, in quanto la generazione di know-how

• Product as a Service (PaaS) - fee legate all’uti-

su nuove soluzioni tecnologiche (es. sviluppo e af-

lizzo del prodotto in sostituzione della vendita del

finamento di algoritmi di Artificial Intelligence), l’e-

prodotto

voluzione di modelli operativi e organizzativi conso-

• Outcome-based commercial model - fee lega-

lidati e lo sviluppo di una nuova “value proposition”

te all’outcome e al valore aggiunto deliverato al

per rispondere ad esigenze operative abilitate dalle

cliente.

nuove tecnologie, prevede degli step chiari: • Vendita Prodotto

Non è privo di ostacoli, le strategie di trasformazio-

• Vendita Prodotto + add-on service - servizi digi-

ne digitale verso un’outcome-economy sono in larga

tali, abilitati da IoT e Artificial Intelligence, per il

misura ferme ad uno stadio di Proof-of-Concept: cir-

monitoraggio dell’uso del prodotto e la relativa ge-

ca il 40% dei progetti lanciati dalle circa 300 aziende

nerazione di insight a valore aggiunto (es. energy

intervistate a livello europeo non è stato scalato e

management; predictive maintenance,..)

portato sul mercato.

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DOSSIER IBE 2019 si trovano in una fase ancora inziale di questo processo evolutivo mentre in ambito B2C l’ampiezza degli add-on service è maggiore e alcuni player stanno iniziando a portare sul mercato soluzioni Product as a Service. Nonostante gli ostacoli il futuro è ormai delineato Quali sono le motivazioni che stanno rallentando il processo evolutivo verso l’outcome-economy? La prima risposta è da ricercare all’interno delle singole aziende e nello specifico nella cultura aziendale. La cultura dell’innovazione non è infatti sufficientemente presente in azienda. Di conseguenza il disallineamento tra visione strategica del top management e la capacità operativa del middle management nello sviluppare e commercializzare

soluzioni di Product as a Service o “outcome-based” in linea alle esigenze del mercato risulta essere una delle cause principali evidenziate dalle imprese italiane. Ma i segnali per il futuro sono chiari: la spesa in Italia in tecnologie abilitanti dell’outcome-economy, in primis IoT e Artificial Intelligence, è prevista in crescita a doppia cifra nei prossimi 5 anni con un CAGR 2020-2024 +10-15%. Outcome economy: nuovi modelli di business L’outcome-economy sarà in grado di generare nuovi modelli di business e relativi nuovi “revenue stream” che richiederanno un adeguamento dei modelli organizzativi e delle competenze aziendali per poter essere implementati con successo. (vedi Figura 2)

Il primo modello Recurring Revenues Model, abilitato dall’IoT e dall’Artificial Intelligence, è incentrato nell’erogazione di servizi le cui fee sono vincolate all’outcome generato dal prodotto. Questo modello consente di creare uno stream di ricavi ricorrente. Il secondo modello, IOT Data Monetization, prevede la possibilità da parte del produttore del bene di monetizzare – in compliance con i vincoli normativi e contrattuali condivisi con gli utilizzatori finali – i dati raccolti dalle sue macchine, vendendo raw data e insights derivanti da big data analytics a soggetti terzi. Il terzo modello di business, IOT Enabled Partnership, prevede la possibilità di creare delle collaborazioni con partner esterni direttamente o indirettamente

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ACCENTURE

coinvolti nello sviluppo, gestione e manutenzione del prodotto connesso facendo leva e condividendo insight generati dall’analisi dei dati: alcuni esempi già testati con successo sul mercato prevedono partnership con fornitori di “consumable goods”, parti di ricambio, fornitori di servizi di manutenzione. Un ecosistema in espansione L’interesse verso i nuovi modelli di business, abilitati dall’outcome-economy, si sta allargando sempre più. Se le prime partnership erano inizialmente circoscritte a partner industriali, come il produttore del

base alle esigenze e alle performance del singoli utilizzatori dei prodotti. Evoluzione dei modelli operativi e organizzativi legati all’outcome-economy L’acquisizione di dati sull’utilizzo dei propri prodotti è un valore che consente di incrementare la top line erogando servizi a valore aggiunto, ma contestualmente anche di ottimizzare i propri processi aziendali impattando positivamente sulla bottom-line. Pensiamo ai processi di sviluppo prodotto: attualmente le aziende sono in grado di effet-

La spesa in Italia in tecnologie abilitanti dell’outcome-economy, in primis IoT e Artificial Intelligence, è prevista in crescita a doppia cifra nei prossimi 5 anni con un CAGR 2020-2024 +10-15%. bene e aziende di manutenzione o fornitori di “spare parts”, le nuove partnership stanno coinvolgendo anche partner non industriali: il mondo dei financial services, banking e insurance per esempio, hanno compreso le opportunità legate agli insight generati dall’analisi dei dati in tempo reale, insight in grado di abilitare servizi sempre più competitivi e customizzati in

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dossier _ IBE novembre 2019

tuare simulazioni di performance tecniche e di costo estremamente accurate grazie all’utilizzo di piattaforme PLM evolute, ma la possibilità di raccogliere dal campo dati in tempo reale su modalità di utilizzo da parte degli utenti dei propri prodotti consente di affinare ulteriormente le analisi in fase di sviluppo prodotto. Ad esempio un produttore di macchine utensili, a

seguito dell’immissione sul mercato di prodotti connessi e della raccolta dati in tempo reale sull’utilizzo e le rese del prodotto, è stato in grado di identificare quali componenti venivano stressati maggiormente sui cui intervenire in fase di ri-progettazione per garantire migliori performance e quali invece venivano utilizzati meno identificando opportunità di downsizing delle specifiche ottenendo un’ottimizzazione dei costi del prodotto. Il produttore ha ottenuto grazie ai dati importanti vantaggi: un macchinario più affidabile e più economico, e una maggiore conoscenza sulle modalità di utilizzo da parte dei propri clienti, tutti elementi fondamentali per poter garantire il raggiungimento di determinate performance e livelli di output, fattori determinanti per il successo di un’offering outcome-based. I processi di ingegneria e sviluppo prodotto dovranno integrare non solo i dati provenienti dal campo ma anche i dati provenienti dai propri stabilimenti. L’ IoT e l’Artificial Intelligence consentono infatti di recuperare dati preziosi lungo il processo produttivo, come ad esempio i livelli di scarto o gli impatti delle rilavorazioni, per stimare, comprendere e mitigare le possibili inefficienze operative legate a specifiche soluzione tecniche di prodotto generando ulteriore beneficio in termini di bottom-line. L’outcome-economy, facendo leva sulla visibilità di dati in termini di performance e utilizzo dei prodotti, consente di aumentare l’accuracy


DOSSIER IBE 2019

Le strategie di trasformazione digitale verso un’outcome-economy sono in larga misura ferme ad uno stadio di Proof-of-Concept: circa il 40% dei progetti lanciati non è stato scalato e portato sul mercato. nelle attività di previsione della domanda, impattando le operations end to end. Ad esempio, in ambito After Sales gli algoritmi supportati da Artificial Intelligence consentono di prevedere in modo puntuale, con un’accuracy che ormai supera il 90%, gli interventi di manutenzione necessari per garantire uptime e funzionalità dei propri prodotti, con il beneficio oltre a quello di garantire la massimizzazione dell’outcome, l’ottimizzazione dello scheduling e dei costi per l’erogazione dei servizi di manutenzione. Rifocalizzazione del business e delle competenze Se alcune funzioni possono trarre un chiaro beneficio dall’adozione dell’outcome-economy e dei relativi enabler tecnologici, altre possono trovarsi a dover affrontare sfide estremamente complesse. In primis la funzione commerciale: la migrazione dalla vendita di prodotti fisici, alla vendita di add-on service fino alla vendita di outcome rappresenta un cambiamento epocale, che necessita di: • nuova go-to-market strategy • approccio client centric e non più product-centric, al fine di comprendere le reali esigenze dei clienti finali • nuove strategie di pricing che non possono essere basate su un approccio cost-plus ma su una chiara comprensione del beneficio generato e sulla relativa “willingness to pay” dei clienti finali • piani di re-skilling del team commerciale • evisione dei KPI.

Un’adeguata attenzione al ridisegno delle strategie e dei processi commerciali in ottica outcome-economy è determinante per il successo di una strategia di trasformazione del proprio modello di business. In aggiunta all’evoluzione delle funzioni aziendali “tradizionali”, le aziende dovranno integrare il proprio modello organizzativo con funzioni ad hoc il cui obiettivo consiste nella generazione sia di insight necessari alla massimizzazione delle performance in termini di outcome da condividere internamente che di insight a valore aggiunto per i partner esterni e/o terzi player. Figure come Data Scientist, IoT solution architect, Embedded software engineer e IoT developer dovranno entrare a far parte dell’organizzazione aziendale per abilitare una strategia di vendita outcome-based.

Competenze Data Scientist, IoT solution architect, Embedded software engineer e IoT developer consentono di abilitare una strategia outcome-based.

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AIdAM

Michele Viscardi, Presidente di AIdAM e Direttore dello Sviluppo Business di Cosberg

Pensare digitale per continuare a competere 18

dossier _ IBE novembre 2019

Secondo i dati dello studio presentato al recente World Manufacturing Forum, entro il 2028 in Italia si creeranno 4,6 milioni di nuovi posti in ambito industriale, 2,69 milioni per pensionamenti e 1,96 milioni per la crescita del settore. È una conferma che automazione e digitalizzazione creano molto più lavoro di quanto ne distruggano. Notizia positiva dunque che però è accompagnata da una altrettanto cattiva. Tra queste, che il 53% del nuovo lavoro rimarrà scoperto per mancan-


DOSSIER IBE 2019

Di fronte a uno scenario in grande trasformazione come e cosa cambia nel mondo delle imprese che operano nell’assemblaggio e nella meccatronica? Abbiamo chiesto a Michele Viscardi, Presidente di AIdAM e Direttore dello Sviluppo Business di Cosberg, quali sono le sfide con cui il comparto manifatturiero si sta confrontando e quali le prospettive per una sostenibilità di lungo termine. za di personale con competenze adeguate. Questo quadro si accompagna poi ad alti tassi di disoccupazione che evidenziano un cronico “mismatch” tra domanda e offerta. «Sono dati che purtroppo riflettono le evidenze emerse anche da nostre indagini», dice Michele Viscardi. «Solo un’azienda su due nei prossimi cinque anni riuscirà a trovare persone con profili tecnici allineati alle nuove necessità. Quello della mancanza di competenze è un fenomeno di cui si ha ormai ampia consapevolezza. Per porvi rimedio è assolutamente necessario rafforzare e incentivare

percorsi formativi in modo che siano coerenti con il nuovo mercato del lavoro. È un progetto ampio che deve partire dalle scuole medie e che deve puntare a far emergere e trasferire il valore dell’industria italiana a tutto il sistema dell’istruzione. A questo riguardo è sempre bene ricordare che il comparto dei beni strumentali speciali realizza un fatturato maggiore di quelli della moda e del vino. Eppure, quando si parla di Made in Italy, nell’immaginario collettivo l’automazione, la robotica e gli impianti speciali sono poco contemplati». www.newsimpresa.it

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AIdAM

In quale modo crede si debba agire per acquisire quelle competenze che le aziende devono avere per poter continuare a competere nel nuovo scenario digitale? Rappresentando uno dei comparti trainanti della nostra industria, come Associazione abbiamo l’obiettivo di creare un ponte reale e concreto tra il mondo accademico e quello industriale.

A tal fine, ad aprile 2018 abbiamo firmato un accordo con il MIUR che prevede un aggiustamento delle linee guida dei programmi scolastici per allinearli meglio alle reali esigenze delle aziende e, al contempo, un rilancio degli Istituti Tecnici. Relativamente a quest’ultimo punto, l’intento è quello di far comprendere a ragazzi e famiglie che la figura del Tecnico Meccatronico non solo sarà sempre più richiesta (e ci sono dati che lo dimostrano), ma permette di acquisire competenze multiple tali da svolgere anche mansioni ad elevato valore aggiunto, che sono adatte perché no - anche alle ragazze (fino ad oggi un po’ precluse da questo mondo). Il progetto di AIdAM dedicato all’Education si sviluppa su più fronti: orientamento dei ragazzi, formazione dei Docenti, stesura di un manuale della Meccatronica, supporto alla creazione di laboratori per le

Solo un’azienda su due nei prossimi cinque anni riuscirà a trovare

persone con profili tecnici allineati alle nuove necessità. 20

dossier _ IBE novembre 2019


DOSSIER IBE 2019 scuole. L’intero progetto è partito con quattro Istituti pilota, distribuite sul territorio nazionale, ma verrà presto esteso anche ad altre scuole. Ma se, da un lato, la nostra associazione è sempre più impegnata per instradare i ragazzi verso competenze che servono al Sistema Paese, dall’altro ritengo altrettanto importante che si agisca sul territorio per valorizzare al massimo la propria presenza, dando l’opportunità a ragazzi e genitori di vedere come è oggi una fabbrica e far loro comprendere quanto queste realtà siano ormai cambiate nel tempo e non rappresentino più - come spesso ci si immagina - il luogo della fatica, ma veri luoghi di innovazione. Del resto, se non assisteremo rapidamente a una inversione di tendenza delle dinamiche associate al mercato del lavoro, rischiamo che prevalga una guerra tra aziende per garantirsi i talenti migliori. Il bisogno di competenze sarà sempre più accelerato. Fino a 10 anni fa bastava avere il meccanico e il softwarista, adesso ci serve il meccatronico e un domani servirà un qualcosa di ancora diverso. Il punto di forza per gestire queste discontinuità è avere apertura mentale e disponibilità al cambiamento. Con gli interventi statali nell’ambito di Industria 4.0 le imprese manifatturiere hanno guadagnato efficienza. Quali sono le sue valutazioni in merito e cosa si attende dal nuovo Governo? Di passi avanti se ne sono fatti un bel po’ nel corso di questi ultimi anni. E di questo dobbiamo ringraziare le iniziative che sono state varate con il Piano Calenda, in quanto hanno rappresentato il vero primo segnale di interesse generale verso l’industria, che ha portato con sé un “innamoramento” anche tra i non addetti al lavoro. È un percorso che dovrebbe essere sostenuto e consolidato. Lo speriamo, perché le aziende si confrontano con un periodo di stagnazione economica che coinvolge non solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Dopo la rimodulazione al ribasso degli incentivi per il 4.0 effettuata dal primo esecutivo Conte ci sono state delle aperture per rilanciare e far diventare strutturale, e non più straordinario, l’impianto del sostegno

statale alle imprese impegnate nella trasformazione digitale dell’industria manifatturiera. Vedremo. Gli incentivi sono stati finora utili a rinnovare il parco macchine ma non hanno determinato un reale cambiamento della visione aziendale. Quest’ultima non la si può certo imporre per decreto. Rispetto a quanto fatto sinora servirebbe poter ragionare su ammortamenti più veloci con orizzonti temporali non più a 5-10 anni ma a 2-3 anni poiché il ciclo di vita prodotto è tendenzialmente sempre più basso. Per rispondere alle sfide del digitale e dotarsi delle implicite risorse e tecnologie abilitanti vi sono aziende che privilegiano la creazione di “business unit” indipendenti - o quanto meno con un alto grado di autonomia – in modo da poter sviluppare la creazione di servizi da associare al core business manifatturiero. È una strategia che condivide o crede sia meglio andare a cercare queste competenze all’esterno del perimetro aziendale? All’atto pratico – in termini organizzativi e gestionali ritengo che non ci sia molta differenza tra le due soluzioni. Ad esempio, per sviluppare un servizio correlato al nostro business, la mia azienda ha deciso di investire in una start-up esterna. Ma non esiste una scelta corretta in assoluto: dipende dalle strategie aziendali, dalla

La figura del Tecnico Meccatronico sarà sempre più richiesta e permette di acquisire competenze multiple tali da svolgere anche mansioni ad elevato valore aggiunto disponibilità degli imprenditori a rivedere il proprio modello di business e dalla volontà di aprirsi a mercati differenti. In ogni caso, le imprese devono essere disposte a mettere sul piatto risorse e investimenti. E, in merito a ciò, ritengo che le grandi aziende abbiano le capacità di muoversi in piena autonomia. Il problema maggiore risiede nelle PMI. Certo, abbiamo assistito nell’ultimo anno alla costituzione di una rete di supporto all’innowww.newsimpresa.it

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AIdAM

Servono ammortamenti più veloci con orizzonti temporali non più a 5-10 anni ma a 2-3 anni poiché il ciclo di vita prodotto è sempre più basso. vazione e al trasferimento tecnologico - vedi digital hub, competence center e Lighthouse Plant– che è di buon auspicio. Vedremo nel tempo quale sarà la reale efficacia di tutte queste iniziative; se si supereranno interessi particolari e se si riuscirà a mettere a fattor comune le indiscutibili risorse e competenze che ciascun soggetto è in grado di rendere disponibili. Insomma, vedremo se ci sarà un vero lavoro di squadra. Al di là di questo ritengo che sia di grande importanza per tutte le imprese di dimensioni più piccole – a livello di distretto o filiera industriale - riflettere sulle opportunità di consorziarsi. È un modo intelligente per far fronte alle nuove esigenze e risolvere lo “skill problem” ottimizzando le risorse disponibili. In alcune realtà sono operazioni che si sono già realizzate, in altre, e per fortuna, le si stanno valutando con grande attenzione.

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I mercati si muovono ad alta velocità. La domanda sembra propendere verso un modello di acquisto basato su una logica di servizio improntata alla soluzione dei problemi. Quali le conseguenze di questa trasformazione annunciata? Il mondo del machinery deve attrezzarsi per cambiare modello di business e ci si deve impegnare per progettare un futuro as a service ovvero “servitizzare” le macchine. Considerata la grande percentuale di fatturato rappresentata dall’export, questa prospettiva potrebbe essere una leva straordinaria per la crescita del nostro comparto sulla scena mondiale poiché i beni strumentali sarebbero in gran parte in mano ad aziende italiane e quindi al Sistema Paese. Tuttavia, la realtà è ancora molto conservativa e legata a vecchi canoni industriali dove l’ottimizzazione delle componenti di produzione dipende ancora dalla “sensibilità” dell’operatore. Con il digitale si ha invece l’opportunità di interagire con la macchina non più attraverso un processo meccanico ma attraverso un processo che deriva dall’acquisizione di dati “on field”. In Cosberg ci crediamo talmente tanto che abbiamo sviluppato una piattaforma per l’analisi dei dati che sarà sempre più orientata a tecniche di intelligenza artificiale. L’obiettivo è riuscire a dare una rappresentazione sempre più digitale di un oggetto fisico, fare in modo che l’interfaccia uomo-macchina sia rappresentata da una realtà “virtuale” - o digital twin - accessibile


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Le aziende devono aggregarsi. È un modo intelligente per far fronte alle nuove esigenze e risolvere lo “skill problem” ottimizzando le risorse disponibili da un qualsiasi device. È una delle logiche che crea i presupposti per abilitare i modelli di business “”pay per use” di domani. Ecco, quindi, che in virtù di queste opportunità, come associazione vogliamo garantire alle aziende un percorso di evoluzione digitale su più fronti, dirottandole progressivamente verso nuovi modelli di business poiché non basta più costruire macchine. Di costruttori di macchine ne nascono di nuovi ogni giorno. E uno dei fattori che concorrerà sempre più a determinare il vantaggio competitivo è

il fatto di riuscire ad essere un soggetto industriale il cui punto di forza sta nel quoziente d’impresa digitale. Ci dobbiamo infine impegnare per convincere le PMI ad aggregarsi, poiché siamo convinti che, spesso, è l’unico modo per garantire la sostenibilità d’impresa nel lungo periodo.

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di Umberto Cugini, Politecnico di Milano

Il nuovo

Contratto Economico

In un mondo in cui l’innovazione, non solo quella tecnologica, si afferma come il principale motore di crescita economica, il problema principale delle organizzazioni e delle aziende diventa la gestione del cambiamento. Ecco i modelli di business che si stanno imponendo con l’affermazione dell’Outcome Economy. Tutto cambia sempre più velocemente: le tecnologie, che seguono una propria logica evolutiva ed autonoma; le necessità, esplicite o latenti dell’utente e del mercato; le aspettative ovvero le prestazioni attese in termini di disponibilità o costo; il contesto, dove l’incontro tra domanda offerta dipende tradizionalmente

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dalla creazione di valore. In questo scenario il mercato acquisisce dinamismo e perde staticità. Poiché il cambiamento è la costante, prodotti, processi e competenze durano sempre meno, condizione che determina un aumento dei consumi ed una fisiologica e tendenziale espan-


DOSSIER IBE 2019 sione dei mercati. Non solo, domande e risposte tradizionalmente formulate per orientare lo sviluppo prodotto diventano valide per spazi temporali sempre più ristretti. Ergo, le opportunità per chi opera dalla parte dell’offerta e fornitura di beni e servizi devono essere colte in modo più puntuale e definito. Non c’è più spazio per i followers: chi prende decisioni in ritardo o commette errori è destinato a perdere progressivamente rilevanza. Tutto questo alla luce delle due classiche ipotesi di mercato: quando è la domanda a chiamare e cercare le risposte; quando sono le risposte invocate a indurre e/o spingere la domanda. Il tutto in coerenza con un “Contratto Economico” che, attraverso l’acquisto di un bene fisico che viene trasferito o reso disponibile temporaneamente, permette al customer di generare e/o gestire la soluzione al suo problema (cosa non marginale in quanto implica conoscenze, competenze e skill adeguate). Oggi, e sempre più domani, l’offerta – di un bene o servizio - evolve a un livello “meno fisico e transazionale”. L’obiettivo diventa prendersi in carico il problema che genera la domanda e risolverlo, cioè fornire tout court la soluzione. Questa è quella che viene definita la nuova era dell’outcome economy. I campioni di questo nuovo gioco sono coloro che, detenendo il contatto diretto con il potenziale acquirente, possono definire in tempo reale necessità vere o latenti, gusti, qualità percettive più apprezzate, struttura del valore percepito, dimensioni dei potenziali mercati, eventuali integrazioni con altri prodotti e/o settori di mercato, sinergie di comunicazione, accesso e, soprattutto, garanzia di “delivery”. Ecco, quindi, l’emergere dei nuovi deus ex machina dell’outcome economy. Che non sono più gli ideatori delle nuove tecnologie e/o dei nuovi prodotti, ma i padroni delle piattaforme di comunicazione e interazione con i differenti contesti di mercato. Tutto questo è più che evidente per quanto riguarda i mercati B2C, ma lo stesso paradigma, le stesse strategie e perfino molti degli stessi strumenti informatici e logistici di supporto (che possono costituire una parte rilevante del servizio e della soluzione) si possono applicare al B2B.

E qui veniamo al nuovo ruolo del contesto legato alla crescita esplosiva dell’IIoT (Industrial Internet of Things). Un contesto non più statico ma dinamico e autonomo; una dimensione in grado di acquisire sempre più rapidamente “oggetti” attivi che diventano soggetti indipendenti che “sentono”, misurano, acquisiscono dati, li elaborano e che, essendo connessi, comunicano autonomamente e/o rispondono se interrogati. Una prospettiva, quella dell’IIoT, virtualmente in grado di cambiare la nostra vita, che continua a crescere in modo esponenziale e che secondo McKinsey, nel 2025 potrebbe valere 7,7 trilioni di $. La disponibilità di questa enorme rete autonoma di “smart device” fa si che ogni situazione reale possa essere riconosciuta, modellata e simulata - autonomamente ed automaticamente - prospettando così possibili evoluzioni e orientando decisioni - di utenti e responsabili della conduzione e del controllo dei più svariati processi - che interessano anche la nostra vita quotidiana, basti pensare ai progressi che si stanno facendo in termini di veicoli a guida autonoma. La rapida diffusione dell’IIoT cambia completamente il quadro di riferimento ma soprattutto le regole del gioco perché questa dimensione smart può interagire con le persone (già oggi più di due terzi della popolazione mondiale è provvista ed usa dispositivi di comunicazione individuale in rete). Il contesto globale definito dall’IIoT diventa così di fatto il mercato di riferimento, per tutti: vendor, utenti, grande pubblico, comparti privati e pubblici. In ultima analisi, il contesto diventa parte essenziale della soluzione o, in molti casi, è esso stesso la soluzione. Ovviamente emerge in tutta la sua evidenza un problema: se il contesto evolve autonomamente, e diventa esso stesso parte della soluzione, come potrà essere controllato e gestito per ottenere obiettivi specifici e personali? Diventa indispensabile prevederne la sua evoluzione e, dove possibile, riuscire a gestirlo almeno per quella parte che serve.

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Per sostenere il cambiamento serve un gioco di squadra

Industrial Iot, Industria 4.0, servitizzazione. Quale futuro per le Pmi manifatturiere? Ne parliamo con Massimo Vacchini, direttore storico di AIdAM, l’associazione che rappresenta il mondo della meccatronica italiano e che festeggia quest’anno il suo ventennale. 26

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Massimo Vacchini, direttore di AIdAM

Con oltre 70 associati, per un totale di oltre 2000 addetti e un fatturato di 600 milioni di euro, AIdAM (Associazione Italiana di Automazione Meccatronica) è il punto di riferimento delle realtà aziendali che gravitano attorno alla disciplina della meccatronica: dai costruttori di impianti di automazione chiavi in mano ai distributori di sistemi e componenti, passando per la robotica e i sistemi di visione. L’associazione ha quest’anno deciso di sponsorizzare Ibe 2019, il tradizionale evento di Pentaconsulting dedicato all’innovazione d’azienda. Il tema all’ordine del giorno della sesta edizione è l’Outcome Economy, l’emergente mercato basato su logiche “product based service” che deriva dall’affermazione dell’Industrial Iot e dell’Industria 4.0. Una tendenza che in maniera molto pervasiva si sta diffondendo in ogni contesto. Per capire come si sta muovendo un gruppo di aziende con soluzioni e prodotti riconosciuti in tutto il mondo abbiamo

incontrato Massimo Vacchini, storico direttore dell’associazione, al quale abbiamo posto una serie di domande per comprendere come si sta muovendo l’associazione e quali siano i temi di interesse. Un colloquio -intervista cordiale in cui il Direttore dell’associazione ha dato prova di essere sul pezzo e di conoscere i temi da affrontare. Siamo nell’era di Industria 4.0 e alle aziende si impongono cambiamenti in termini di innovazione prodotto, di efficienza di processo e, non ultimo, di modelli di business. Lei cosa ne pensa? Tutto vero, ma attenzione, mai commettere l’errore di pensare che Industria 4.0 sia sinonimo di tecnologia. La si deve intendere come un’occasione per pensare l’azienda in modo diverso con l’obiettivo di creare un ambiente più efficiente, produttivo e competitivo. Non esiste “la soluzione Industria 4.0”, esiste la possibilità di creare un’azien-

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Esiste la possibilità di creare un’azienda con capacità di gestione real time in grado di assicurare pieno controllo dei processi attraverso un uso intelligente dei dati. da con capacità di gestione real time in grado di assicurare pieno controllo dei processi attraverso un uso intelligente dei dati, creando al tempo stesso i presupposti per nuovi modelli di business. Un obiettivo che presuppone una digitalizzazione sempre più spinta dei processi poiché il fine ultimo è avere un ecosistema fortemente integrato dove i dati diventano informazioni utili al miglioramento delle performance globali. Ritiene quindi limitativo associare Industria 4.0 alla sola tecnologia? La tecnologia è lo strumento, ma per coronare con successo un percorso di digitalizzazione è indispensabile definire obiettivi d’impresa strategici di lungo periodo poiché Industria 4.0 implica un

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cambiamento a tutti i livelli, che coinvolge l’organizzazione nel suo insieme, dai manager ai dipendenti. Ecco perché credo che il maggior limite per tutte le imprese che guardano alla trasformazione digitale non sia tanto rappresentato dalla tecnologia, quanto dalla capacità di introdurre una nuova cultura d’impresa. Industria 4.0 non è un’utopia, è un intervento multifunzione e multidirezionale che deve contribuire all’incremento della capacità delle aziende di creare di valore. Da prodotto a servizio. Crede che la nuova prospettiva di mercato possa essere questa? Per le Pmi lo vedo un passaggio molto complesso. Per ragioni di dimensioni, per la mentalità degli imprenditori, che in gran parte rap-

presentano microimprese o, per rendere meglio l’idea, una sorta di artigianato evoluto. In linea generale credo che avranno successo quelle aziende che riusciranno a fornire prodotti sempre più personalizzati, quelle che riusciranno a interpretare e anticipare le esigenze degli utenti. Chi invece continuerà ad avere prodotti per un mercato di massa avrà vita sempre più difficile poiché subirà la concorrenza dei paesi dove esiste un basso costo del lavoro e valori produttivi che possono fare leva su una grande scala. Oggi l’Asia, domani, e in prospettiva, l’Africa. Quali le possibili risposte e soluzioni? Il nostro settore continuerà a crescere ma si assisterà inevitabilmente a una riduzione del numero di aziende poiché sarà indispensabile ragionare per aggregazioni. Chi persegue il mito del “piccolo è bello” avrà vita difficile. Serve essere parte di un gruppo composito di aziende che sappia immaginare un futuro dove possano emergere le singole eccellenze. E’ questo il segreto per creare valore in un mercato ormai globale che neces-


DOSSIER IBE 2019 sita di innovazione di prodotto ed economia di scala. E’ un tema che per noi - come Associazione - rappresenta una vera sfida sulla quale, nonostante qualche iniziativa non andata in porto, continueremo a perseguire. Siamo infatti fermamente convinti che la sostenibilità la si possa affrontare solo con una potenza di fuoco non riscontrabile nelle singole aziende. Nel senso che ci avete provato e non ci siete riusciti? Esatto. Ci abbiamo provato nel 2007. Il progetto prevedeva l’aggregazione di 10 diverse realtà. Le premesse erano ottime. Ciascuna aveva una sua specifica identità e poteva contribuire alla massimizzazione di un valore aggiunto. Il tutto avrebbe portare alla creazione di un gruppo di 350 dipendenti, 8 sedi in Italia 2 all’estero e un fatturato di circa 100 milioni di euro. Purtroppo hanno prevalso altri interessi. Risultato? Alcune di quelle aziende non operano più sul mercato. Le più fortunate hanno poi deciso di fare un mini gruppo. Per usare una metafora, abbiamo tanti orti, tutti di ottima qualità, se li mettiamo insieme potremmo farne un campo dove far germogliare nuove e solide colture industriali. In quale modo il Made in Italy può continuare a distinguersi senza perdere terreno sullo scenario internazionale? Ci sono settori, tipicamente l’aerospace e l’automotive, dove continuerà a prevalere una domanda di componenti di alta qualità. Motivo

per il quale chi lavora in queste filiere può stare relativamente tranquillo: nonostante le difficoltà legate alle grandi trasformazioni strutturali, questi settori, sono sostanzialmente immuni dalla concorrenza asiatica. L’industria manifatturiera italiana sta in piedi per capacità, flessibilità e conoscenza applicata alla tecnologia. Sono i valori del Made in Italy e della nostra indubbia predisposizione al problem solving. Ma non è più sufficiente. Serve aggregazione d’impresa cha sappia innescare economie di scala e condivisione conoscenze. Dobbiamo riuscire a mettere insieme realtà che possano esprimere fatturati dell’ordine dei 50 milioni di euro e 50 addetti. Il futuro è questo. Si può immaginare in un futuro ormai prossimo l’affermazione del prodotto inteso come servizio?

potrebbe avverare un’ipotesi ancora più estrema, quella della fabbrica a noleggio. Nel caso, significa che l’imprenditore è responsabile dell’ideazione del manufatto mentre la produzione è a carico di terzi. D’altra parte è il prodotto che stabilisce il valore d’impresa, non la produzione. Un’affermazione tanto più vera se la si colloca in un mercato dove la componente di servizio tende ad assumere una crescente importanza. Se crediamo in uno scenario di questo tipo ne consegue che non saranno in tanti a potere sostenere investimenti per creare “fabbriche as a service”. E’ una logica che in qualche modo e per ragioni diverse si è già ampiamente affermata sul mercato. Basti pensare a gran parte delle multinazionali che delegano tutta o gran parte della produzione a gruppi industriali dei paesi emergenti.

Industria 4.0 corrisponde a un intervento multifunzione e multidirezionale che deve contribuire alla creazione di valore. Implica un cambiamento a tutti i livelli, dai manager ai dipendenti. E’ un fenomeno che sta già emergendo e che in prospettiva potrebbe cambiare in profondità quelli che sono stati i fondamentali del manifatturiero. Per cui, certo, ci saranno aziende che inizieranno a proporre le macchine a noleggio. Non solo, si

In prospettiva come crede si possa attuare uno scenario di questo genere? Sarà un passaggio graduale, che permetterà alle aziende di sostenere gli investimenti in una logica operativa e non di capitale che prewww.newsimpresa.it

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figura per l’appunto la possibilità di confrontarsi con un costo di servizio: non possiedo più la macchina, la uso. In uno scenario di questo genere si apriranno nuove opportu-

perseguire obiettivi di miglioramento del business. Esempi sono quelli legati alla difesa della proprietà intellettuale in modo tale che un progetto industriale non possa essere

Per creare valore in un mercato globale serve aggregazione d’impresa per innescare economie di scala e condivisione conoscenze. nità, in primo luogo quella di poter acquisire una potenza produttiva maggiore in virtù del fatto che gli investimenti diventano più sostenibili. Si riduce la barriera all’ingresso di investimenti e si facilita l’innovazione con ricadute positive nella modernizzazione del parco installato. Al contrario di comprare una macchina e prevedere un piano di ammortamento decennale, si paga una rata mensile comprensiva dei servizi di manutenzione programmata, in prospettiva predittiva, che potranno essere detratte fiscalmente. E’ un qualcosa su cui gli stessi produttori di componenti si dovranno iniziare a interrogare. In quale modo sostenete le aziende vostre associate in un percorso di crescita? Come associazione abbiamo deciso di essere indipendenti da Confindustria poiché la nostra missione è concentraci sui problemi del settore senza dover intervenire in attività di supporto amministrativo, fiscale e sindacale. Liberi, quindi, di

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venduto sottobanco a concorrenti. Le Pmi italiane sanno fare molto bene la tecnologia ma non hanno tempo e risorse con esperienza da dedicare per attività di marketing internazionale. Ecco, quindi, che sosteniamo le nostre imprese associate in tutte le attività di internazionalizzazione, provvedendo a semplificare e orientare un percorso di espansione su mercati di cui si hanno scarse conoscenze. In questo senso si muovono le nostre missioni all’estero che hanno interessato nel tempo paesi dell’est europeo, come Polonia e Romania, e

poi Stati Uniti, Messico, Cina e Iran. Qual è il vostro ruolo per risolvere il problema della scarsità di competenze qualificate e coerenti con le sfide di cambiamento con cui si confrontano le aziende? Con il MIUR (Ministero università e ricerca) abbiamo aperto un tavolo di lavoro per individuare e definire il percorso migliore per formare tecnici meccatronici. Nascerà quindi a settembre la rete meccatronica che potrà contare inizialmente su 60 scuole sparse su tutto il territorio

con piano di studi coordinato a livello nazionale. L’obiettivo è di farle crescere e arrivare a mettere in rete 100 istituti tecnici. Le aziende devono capire che nelle scuole esistono enormi potenzialità e che in Italia ci sono ragazzi di grande talento. Lo dimostrano i recenti successi ottenuti in contesti internazionali su temi importanti quali la robotica. Lo sanno bene le aziende del manifatturiero tedesco che, attraverso la Regione Lombardia, sono riuscite a mettere a punto un progetto di formazione per soddisfare la ricerca di personale specializzato. Assurdo.


DOSSIER IBE 2019 Sembra che ci si rallegri a vedere che aziende tedesche portino via i nostri ragazzi. Su questo abbiamo le idee chiare: faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per incentivare la formazione di modo che i nostri talenti possano trovare una collocazione nelle imprese italiane. Ho avuto l’occasione di essere nelle giurie che dovevano premiare i migliori progetti realizzati all’interno dei vari concorsi indetti da Its e sponsorizzati da varie aziende del settore. Ebbene, dei 100 progetti che ho avuto modo di vagliare, una ventina erano eccellenti, 75 meritevoli e 5 buoni. Che dire? Possibile che non ci siano imprenditori curiosi interessati dare una possibilità a questi ragazzi? Ne trarremo beneficio tutti, le parti interessate innanzitutto, ma anche l’intero paese. I ragazzi sono il nostro futuro.

Chi è AIdAM L’Associazione Italiana di Automazione Meccatronica, AIdAM, nasce nel 2011 dalla precedente esperienza di Aida, per rappresentare al meglio, in Italia e soprattutto all’estero, il comparto industriale della Meccatronica, scienza che studia l’integrazione di meccanica, elettronica e informatica. Con oltre 70 associati, più di 2000 addetti impiegati e un fatturato di 600 milioni di euro, AIdAM è il punto di riferimento delle realtà aziendali che gravitano attorno a questa disciplina, dai costruttori di impianti di automazione "chiavi in mano" ai costruttori e distributori di sistemi e componenti, passando per la robotica e i sistemi di visione. AIdAM è tra i promotori della crescita dell’intero settore manifatturiero, nonché del passaggio a Industria 4.0, attraverso una costante e fattiva collaborazione con le istituzioni, e un sostegno qualificato alle aziende associate in tutte le fasi della trasformazione, mettendo a fattor comune know-how, competenze e innovazioni tecnologiche. Con tre sedi a Milano, Belgrado e Praga, e protocolli d’intesa già avviati con Serbia e Tunisia, AIdAM è presente con le sue missioni anche in: Bulgaria, Finlandia, Francia, India, Iran, Romania e Stati Uniti.

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Come affrontare la sfida digitale La complessità dello sviluppo prodotto, basata sull’integrazione multifisica e sul dominio di conoscenze diversificate, obbliga gli imprenditori a creare una cultura collaborativa, all’interno e all’esterno della propria organizzazione.

L’industria italiana vive una situazione schizofrenica. Siamo il paese dei chiaro-scuri dove accanto al bianco si trova il nero e cento sfumature di grigio. Da una parte esistono aziende storicamente refrattarie al cambiamento, dall’altra vi sono realtà che hanno costantemente innovato e che sono in grado di competere a livello mondiale. C’è chi fa innovazione statica o difensiva, insomma quello che serve per evitare di essere messi fuori mercato; chi invece fa innovazione per acquisire un valore aggiunto e un reale differenziale competitivo. Infine, ci sono quelli, pochi, che agiscono con l’obiettivo di fare “disruption” per introdurre iniziative di business radicalmente nuove. Di fatto, da qualsiasi prospettiva la si guardi, innovare è obbligatorio. Chi non lo fa rischia di perdere rilevanza. Su questa tendenza si sono sintonizzate molte imprese, in particolare quelle che hanno una presenza internazionale ovvero quelle più esposte

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Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico di Cefriel

alla concorrenza, consapevoli della necessità di essere allineati alla trasformazione dei mercati. E’ da queste prime considerazioni che inizia la nostra conversazione con Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico di Cefriel, dove si occupa di orientare le strategie del centro nei progetti di ricerca e innovazione, e di stimolare il raccordo tra mondo accademico, istituzioni e imprese. Dalle riflessioni contenute nell’intervista emerge con forza la necessità da parte delle aziende di incentivare una cultura multidisciplinare fondata su team collaborativi in grado di mettere a fattor comune le singole individualità. Per dirla in linguaggio anglosassone, perché la trasformazione digitale abbia successo non servono Jack of all trades, master of none, ovvero persone che sanno di tutto un po’, ma persone con competenze specifiche avanzate che abbiano apertura mentale e predisposizione al dialogo in


DOSSIER IBE 2019 quanto l’innovazione può nascere soprattutto dall’interazione tra specializzazioni uniche e diversificate. Un approccio collaborativo che deve essere anche alla base di nuovi ecosistemi digitali dove imprese appartenenti a filiere e distretti industriali possono sviluppare interazioni organiche orientate a valorizzare lo scambio dati come fonte di competitività. In uno scenario di mercato in forte trasformazione come stanno cambiando le aziende italiane? In linea generale riscontriamo che si tende a fare più innovazione di processo che di prodotto. Si cambia di più dal punto di vista delle modalità operative, nel modo in cui si sviluppa, consegna e gestisce un prodotto/ servizio. E’ un peccato, considerato quanto oggi si può realizzare in virtù di una massiva disponibilità di dati. Immaginiamo infatti le potenzialità che possono derivare dalla commercializzazione di prodotti connessi. Di fronte a questo scenario le aziende possono continuare a operare in modalità tradizionale – vendere una macchina per poi provvedere a sostituire i pezzi quando necessario – oppure intraprendere un nuovo approccio “as a service” che integri l’analisi dei dati come base per la creazione di un valore aggiunto, che può essere la manutenzione predittiva, l’efficientamento energetico, l’ottimizzazione del time to market, il miglioramento della qualità prodotto, insomma tutte ipotesi di sviluppo che possano trasferire valore al mio interlocutore. Certo, non esiste una risposta univoca: dipende dal prodotto e dal contesto. Ogni azienda deve però iniziare a riflettere ed esser consapevole di quelli che sono i propri punti di forza perché è da questo ragionamento che può essere individuato in quale direzione possa essere ricercato il nuovo modello di business. Nel nuovo scenario digitale qual è il rapporto tra tecnologia e innovazione? Al di là di eccezioni e pura casualità, credo ci sia una sempre più stretta correlazione tra tecnologia e innovazione. Certo, in senso lato, si può fare innovazione anche senza tecnologia. Tuttavia, generalizzare è fuorviante. Vi sono tecnologie abilitanti ed ecosistemi, si pensi al 5G, che creano di per sé stesse innovazione, altre invece che possiamo considerare accessorie o strumentali. Quello che voglio dire è che la tecnologia

è condizione necessaria ma non sufficiente. Secondo alcuni basta mettere dentro tecnologia e si fa innovazione. Non è vero. La sola tecnologia senza innovazione di processo è del tutto sterile. In definitiva, il digitale è il denominatore comune a ogni progetto di trasformazione aziendale ma perché possa produrre risultati tangibili deve saper essere interpretato e gestito. E’ un’affermazione che vale per tutti i settori di industry. Cosa significa introdurre in azienda il digitale? Declinato nel mondo industriale il digitale diventa il filtro attraverso il quale interagire per riuscire ad avere una piena conoscenza di ciò che accade in un determinato sistema fisico. Questa capacità cambia le regole del gioco. Non basta tuttavia avere la capacità tecnica di analizzare i dati. Occorre coniugare il tutto con una visione moderna del business in cui si opera. E’ questo che può dare significato al tutto e interpretare correttamente la grande quantità di dati e informazioni disponibili. Per avere successo, skill e know-how di carattere tecnico e tecnologico non sono condizioni di per sé sufficienti. Serve, sempre e comunque, l’intuito dell’imprenditore e una conoscenza del dominio di mercato di riferimento ovvero competenze e modalità operative in grado di valorizzare a tutto tondo l’ecosistema d’impresa, in tutte le sue sfaccettature. In questo nuovo contesto si tende sempre più ad affermare che le persone devono essere formate secondo una logica multidisciplinare. E’ d’accordo? La multidisciplinarietà tende ad affermarsi come critica alla specializzazione o quanto meno riflette una esigenza di percorso formativo che implica il superamento di un sapere ancorato alla specificità di una singola disciplina. E’ una lettura che non mi trova d’accordo. Ritengo infatti che la multidisciplinarietà sia oggi fondamentale ma non debba essere prerogativa del singolo quanto piuttosto espressione di una condivisione di competenze. Come si usa dire in linguaggio anglosassone, perseguire obiettivi di efficienza puntando sulla multidisciplinarietà dei singoli significherebbe circondarsi di “Jack of all trades, master of none”, ovvero persone che sanno di tutto un po’. La complessità dei problemi richiede invece competenze specifiche e approfondite che vanno peraltro costantemente aggiornate. Le tecwww.newsimpresa.it

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nologie non sono infatti una commodity, sono complicate e richiedono conoscenze che tendono a usurarsi nel tempo. E quindi? Semplice, per affrontare la sfida del digitale serve sì una conoscenza multidisciplinare ma questa deve realizzarsi a livello di team. Ecco la vera sfida che emerge: essere capaci di creare ambienti collaborativi. In un gruppo devo riuscire ad avere persone con la più alta specializzazione, apertura mentale e disponibilità al confronto. Una multidisciplinarietà, dunque, che nasce delle singole individualità. Capacità di dialogo e di interazione, predisposizione al cambiamento diventano le doti che, associate a una forte specializzazione, permettono alle imprese di acquisire un nuovo valore. Servono team di professionisti maturi, capaci di aggiornarsi continuamente, disponibili a mettersi in gioco. La multidisciplinarietà nasce dall’interazione tra specializzazioni. Un esempio? Se devo fare un prodotto connesso devo poter contare su un insieme di competenze eterogenee in quanto devono essere risolte problematiche complesse che non possono essere collassate su un’unica persona altrimenti si corre il rischio di avere scarsa o nulla incidenza in termini di innovazione. Pensiamo all’usabilità dei prodotti. Ci vuole un bravo industrial designer, ma non si può pensare che questa stessa persona abbia quelle conoscenze avanzate – di elettronica e di sensoristica – che necessita un progetto di questo tipo. Non solo, come insegna lo sport di squadra, avere in formazione dei fenomeni non basta. E’ il team nel suo complesso che deve esprimere il risultato. E’ solo in questo modo che si possono impostare processi di sviluppo in grado cogliere tutti gli aspetti funzionali e operativi, prestazionali e tecnici per mettere a punto prodotti facilmente uti-

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lizzabili in grado di rendere disponibili informazioni utili e coerenti con obiettivi di business. Chi è che all’interno della propria azienda può incentivare la formazione di gruppi in grado di esprimere capacità multidisciplinari? Il compito spetta a manager e dirigenti, a quelle figure che hanno la responsabilità di guidare la trasformazione e il funzionamento dell’impresa. Sono le stesse persone che devono aiutare lo sviluppo di una cultura di open innovation, un termine che – ahimè - viene spesso usato in maniera distorta. Vengono spesso citate iniziative come quella degli hackathon, strumenti usati per la ricerca di talenti, per la collaborazione con start-up o il lancio di nuovi servizi e prodotti. Sono iniziative sicuramente utili ma del tutto marginali. Se è vero che nessuna azienda deve illudersi di sapere fare tutto al proprio interno, si devono mettere in atto best practice di open innovation che possano diventare parte integrante del fare impresa. Nel nostro paese, il più delle volte, si tende invece a legarsi a iniziative estemporanee o peggio ad avere un atteggiamento fideistico nei confronti di fornitori o interlocutori classici del passato. Open innovation significa saper andare a cercare le competenze e la qualità che servono in maniera ragionata senza fermarsi alla superficialità delle mode né alle convenzioni del passato. Deve esistere una domanda matura e un’offerta di innovazione altrettanto matura che non sia legata agli slogan. Chi deve guidare l’innovazione in azienda? Uso sempre dire che il pesce puzza dalla testa. Ne consegue che è il vertice aziendale in prima persona che deve avere consapevolezza di come è cambiato il mercato e di come evolvere. Solo le aziende che hanno una direzione e una sensibilità di una visione sono capaci di evolvere; quelle che invece rimangono ancorate


DOSSIER IBE 2019 ai modelli del passato aspettando che le cose cambino in maniera automatica non vanno da nessuna parte. Il ruolo in assoluto più importante è quello dell’amministratore delegato. E’ lui ad imprimere la visione al resto dell’azienda, stabilire quali debbano interpretare i responsabili delle varie line of business. Se il Cio continua per esempio a essere visto come quello che deve risolvere i problemi della sicurezza e ridurre i costi ricadiamo nel passato; è importante invece che sia a tutti gli effetti un membro del team aziendale e che si occupi di definire e sviluppare il futuro dell’impresa. Altrettanto deve avvenire per il marketing, che non può occuparsi di sola pubblicità ma acquisire una funzione chiave nella re-intepretazione del business alla luce delle evoluzioni e trasformazioni del mercato e delle tecnologie. Come riuscire a sviluppare percorsi formativi coerenti con la domanda del mercato? Sull’aspetto formativo è importante lavorare a tutti i livelli. Sicuramente è importante consolidare la formazione degli Its, uno strumento che andrebbe fortemente potenziato. Basti vedere quello che succede in Germania dove gli Its sono in grado di creare una massa critica di tecnici specializzati che incide profondamente nel funzionamento delle imprese. Dovremmo definire una strategia educativa dell’istruzione italiana e spingere perché si sviluppi un’istruzione omogenea che alzi il livello di preparazione medio delle nostre persone. Mancano data scientist, mancano persone di alto livello nell’Ict e mancano al tempo stesso quelle competenze indispensabili - di medio e basso livello - che dovrebbero essere create dagli Its. Non ci si deve focalizzare solo su una delle parti: la formazione deve essere vista come un unicum, orientata quindi a creare competenze diversificate per tutti i gradienti di posizioni lavorative che vengono oggi richieste. Va da sé che questo atteggiamento vada poi bilanciato. Quanto investire nello sviluppo di poli universitari, quanto negli Its? Beh, dipende da un’analisi del quadro generale della domanda e del potenziale di sviluppo.

zazione del dato ovvero “build value from data”, come rendere un oggetto intelligente e quindi competenze in termini Iot, cloud, analytics, machine learning. Attività che non devono essere meccanicistiche ma che devono essere applicate in funzione di un’analisi del dominio di business; e legate a tutto il ciclo di vita del prodotto: dall’industrial design al concepimento dell’esperienza d’uso a tutto il processo che riguarda raccolta, consolidamento, valorizzazione e fruizione dell’informazione. La seconda è legata allo sviluppo degli ecosistemi digitali ovvero a come creare nuove relazioni di business tra più imprese; fare in modo che le imprese possano interagire tra di loro in quelli che una volta si chiamavano distretti industriali o filiere ma che oggi ha senso indirizzare come ecosistemi digitali e cioè interazioni organiche integrate tra aziende che permettono di valorizzare lo scambio dati come fonte di competitività. Tutti questi tipi di intervento devono però avere come obiettivo un’integrazione organica di risorse e asset. Se si procede in questa direzione solo per diminuire qualche costo non si va lontano. Terzo e ultimo filone di attività di Cefriel è quello della creazione della cultura digitale all’interno delle imprese, che per noi non significa solo formazione ma mettere a disposizione strumenti diversificati per far si che il valore del digitale possa diffondersi in tutta l’organizzazione. In ultima analisi per noi significa impegnarci per creare proteine ed energia che aiutino le aziende a sviluppare il proprio business tenendo conto delle potenzialità delle tecnologie.

Su quali attività è coinvolto in prima persona Cefriel? Il nostro impegno è su tre linee principali di lavoro. La prima riguarda il supporto alle imprese per la valorizwww.newsimpresa.it

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ALTAIR

Data Automation e Machine Learning: l’intelligenza aumentata per le aziende del futuro

Con l’attuale evoluzione dei mercati si tende sempre più ad affermare che l’approccio tradizionale alla progettazione non è più sostenibile. E’ d’accordo? Se sì, come potete aiutare le aziende a trovare delle risposte a questa sfida? Quali sono gli ostacoli da superare? Forse il vero tema è proprio quello espresso dalla seconda domanda e cioè quanto sia importante superare la barriera in ingresso verso queste tecnologie. Pensiamo che sia estremamente chiara a tutti l’importanza dell’utilizzo corretto dei dati, della data science e di tutto ciò che ne deriva e quindi il deep learning, il machine learning, l’intelligenza artificiale o, secondo una definizione che trovo più corretta e rassicurante, l’intelligenza aumentata. La barriera all’ingresso è però la complessità dei temi e quindi vogliamo approcciare il tema in modo estremamente pratico, ingegneristico, realistico

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Di fronte alle discontinuità di mercato e alla tendenziale affermazione di prodotti e servizi connessi l’industria è obbligata a un riallineamento in termini di organizzazione, tecnologie, processi e competenze. Quali i percorsi di trasformazione possibili? Ecco le riflessioni di Andrea Maria Benedetto, amministratore delegato di Altair ed incrementale. Negli ultimi anni, con i nostri prodotti, abbiamo perciò affrontato in modo attivo il mercato dei dati e l’IIoT, analizzando il proliferare di dati derivati da oggetti connessi. Tuttavia, vediamo la difficoltà dei nostri clienti nel transitare da approcci basati sulla fisica verso approcci di sviluppo dei prodotti e dei servizi basati sulla capacità di apprendere dalle moli di dati disponibili, dai Big Data. Da questa considerazione nasce un investimento molto importante in DataWatch azienda leader nel mondo della data science in campo Fintech, con la missione di evolvere e rendere disponibili gli strumenti, le tecnologie e gli approcci al mondo industriale e dell’ingegneria. Da sempre al fianco dei nostri clienti, ancora una volta Altair si pone l’obiettivo di diventare un partner per facilitare l’ingresso del mondo industriale in un contesto nuovo, sfidante ma certamente legato al successo futuro. L’obiettivo è chiaro: abilitare e accelerare l’applicazione di nuove tecnologie per creare sempre

più valore attraverso l’innovazione tecnologica. Il core delle attività è e sarà sempre proprio la capacità di supportare i clienti nel prendere decisioni corrette, in tempi veloci, massimizzando gli utili per l’azienda, minimizzando i costi ed i tempi di sviluppo. In che modo la data intelligence modifica l’approccio allo sviluppo prodotto? Quali i vantaggi che possono derivare dalla disponibilità di dati resa possibile dall’affermazione dell’Iot? Altair è da sempre pioniera nel campo del Simulation Driven Design cioè lo sviluppo di concept di prodotto che parte dagli aspetti di ottimizzazione delle prestazioni in un contesto multifisico, nella quale la simulazione precede la formalizzazione geometrica. Spesso il concetto stesso spaventa anche se abbiamo ormai innumerevoli esempi di sviluppi ottimizzati che partono dalla fisica, delle prestazioni, per poi generare le strutture e le soluzioni; evidentemente adesso

ci stiamo affacciando al prossimo passo che è quello che qualche mio collega chiama della “simulazione della simulazione” dove i dati a disposizione permettono di estendere il concetto di simulation driven design in ambiti per i quali la simulazione non è addirittura perseguibile e dove invece l’analisi scientifica dei dati e le tecniche di machine learning possono guidare l’ingegnere verso soluzioni robuste in contesti nei quali è richiesto di valutare molte differenti ipotesi in tempi estremamente compressi. La logica di sviluppo è sempre più legata alla possibilità di realizzare prodotti connessi. Quali implicazioni comporta da un punto di vista progettuale e ingegneristico questa prospettiva? Secondo me qua bisogna innanzitutto contestualizzare nel modo corretto il problema; io penso che nel recente passato si sia spesso parlato di IoT e di IIoT in modo un poco superficiale. Per portare reali benefici l’approcwww.newsimpresa.it

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ALTAIR

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cio deve essere estremamente strutturato e molto forte dal punto di vista ingegneristico. Personalmente ritengo che il grande supporto all’industria nel mondo della IoT possa e debba essere fornito da aziende, come Altair, che hanno molto chiaro quale sia il processo di sviluppo dei prodotti, quali siano le fisiche, quali siano i parametri critici, quali gli obiettivi tecnici e tecnologici da perseguire e quali siano i trade-off da dominare per individuare scelte progettuali ottimizzate. E’ pertanto un lavoro da esperti di ingegneria del prodotto e si esplica attraverso il processo che si definisce “Product

funzionalità del sistema o sul suo avvenuto bloccaggio. Ma se invece dal punto di vista ingegneristico comprendiamo bene quali sono i parametri fisici che testimoniano l’usura e quindi la necessità di intervento predittivo su una sliding door allora riusciremo a far sì che questa porta non sia mai ferma perché anticiperemo l’evento di guasto analizzando l’andamento dei parametri critici. E’ chiaro quindi che il concetto di Product IoTzation vede l’ingegneria gestire la coerenza tra concept prodotto, che ottimizza le prestazioni dei parametri critici, la misurazione dei dati in esercizio riferiti in modo

IoTzation”, cioè la creazione di prodotti che nascano per sfruttare i benefici dell’Internet of Things. Mi piace, nel campo della Predictive Maintainance, portare l’esempio dell’ottimizzazione del ciclo di funzionamento delle porte scorrevoli, con l’obiettivo dell’azzeramento delle fermate per guasto. Se non comprendiamo bene i principi di funzionamento, i parametri critici, le soglie di tali parametri, l’applicazione dell’IoT si ridurrà alla minimizzazione dei tempi di fermo per guasto, potendo in tempo reale l’IoT fornire informazioni sulla

diretto o indiretto alle fisiche rilevanti, e la gestione del Digital Twin che rappresenta e modella il prodotto in esercizio. In un contesto molto più complesso di un cinematismo lineare, nel quale i principi di funzionamento siano meno noti, i parametri in numero elevato, non necessariamente noti, le condizioni di funzionamento molto variabili, il concetto precedentemente espresso presenta i suoi limiti, e pertanto rischia di vanificare le possibilità di ottimizzazione. In questo contesto la data science fornisce gli strumenti e le metodo-

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logie per supportare la comprensione delle relazioni, dei parametri e delle correlazioni, non altrimenti esplicitabili, e quindi permette un approccio di ottimizzazione anche in contesti estremamente complessi. Altair si è sempre distinta per essere un pioniere della simulazione. Cosa e come è cambiato nel tempo il vostro approccio al mercato e la proposizione di offerta ai clienti? Il ruolo di Altair è cambiato ed evoluto insieme ai nostri clienti nei decenni che ci hanno visto partner preferenziale dei più grandi gruppi industriali mondiali. C’è però sicuramente un elemento di grande continuità che è la nostra vicinanza al cliente, la nostra impostazione come azienda di ingegneri che generano opportunità di innovazione di prodotto e di processo fianco a fianco con gli ingegneri dei nostri clienti, ne comprendono le problematiche e le esigenze. Con questo grande valore che è rimasto intatto negli anni la nostra offerta e i nostri prodotti sono invece evoluti non solo per rispondere alle esigenze attuali, ma soprattutto per anticipare le richieste future dei nostri clienti. Oggi la nostra offerta permette ai clienti di avere la confidenza corretta e quindi di porre la simulazione in generale ed il Simulation Driven Design al centro del loro processo di sviluppo prodotto. L’utilizzo dell’IoT, della data science, e la conseguente intelligenza aumentata renderà più capaci, più esperti gli ingegneri dei nostri


DOSSIER IBE 2019 clienti concentrandoli sui processi ad alto valore aggiunto e supportandoli con informazioni facilmente fruibili e dati che altrimenti sarebbero estremamente onerosi se non impossibili da comprendere. In che modo la simulazione può aiutare a creare innovazione e ottimizzazione nel ciclo di vita dei prodotti? Personalmente credo che ormai non ci sia più innovazione in assenza di simulazione, sia questa una raffinata simulazione “tradizionale” basata su multi-fisiche complesse oppure una simulazione basata su gigantesche quantità di dati, apparentemente inaccessibili e incomprensibili ed invece districati, chiariti, analizzati, visualizzati, resi fruibili con metodologie di data science. Il cambio di paradigma della progettazione che è insito nella vostra proposizione tecnologica può accelerare la definizione di nuovi modelli di business data driven? Sicuramente ci deve essere sempre grande coerenza tra la missione del prodotto o del servizio ed il processo con cui questo prodotto o servizio vengono concepiti, generati, ottimizzati e poi gestiti nel loro ciclo vita. Siamo in una fase di profonda evoluzione della complessità richiesta da parte del mercato; i processi che ho menzionato si accelerano reciprocamente. Sta diventando chiaro come non riuscire a comprendere e gestire, non essere parte attiva di questa rivo-

luzione tecnologica sia un grande rischio per le aziende che vogliono continuare ad essere leader di mercato, indipendentemente dal settore di appartenenza. Per quanto riguarda il mercato italiano su quali leve state spingendo per riuscire a diffondere la vostra cultura di progettazione? Onestamente non parlerei di spinta, non ho mai creduto al push di offerta, ma più ad una attenta analisi delle esigenze del mercato. Questa attenzione alle esigenze dei nostri clienti ci ha fatto comprendere come l’industria italiana si trovi in un momento di grande trasformazione, stia comprendendo quanto l’eccellenza tecnica e tecnologica, che poi significa eccellenza in termini di prestazioni dei prodotti in ottica cliente, ma anche di costi di produzione ed in generale del ciclo vita del prodotto, siano assolutamente da perseguire con grande forza. Osserviamo come stia quindi sempre di più diventando chiaro anche alla piccola e media industria la strategicità di partner come Altair, in grado di

di mercato creando modelli di business che permettano ad aziende con budget, skill e dimensioni diverse, rispetto ai grandi costruttori come Airbus, Boeing, Leonardo, Daimler, BMW, Tesla, FCA, di accedere in modo semplice al mondo delle competenze di Altair. Il modello che ci viene richiesto, e che noi applichiamo al contesto dei nostri clienti, è quello di portare le best practice e le più avanzate tecnologie da noi applicate nel mondo alle aziende più grandi, al contesto delle filiere italiane per accelerarne lo sviluppo con metodologie già qualificate. E’ questo, in fin dei conti, una ulteriore applicazione del modello a cascata, nel quale Altair rappresenta il volano e l’elemento di congiunzione che fa ricadere e accelerare l’adozione di metodologie e tecnologie in altri contesti che così ne traggono vantaggio a un costo più accessibile e con tempi più compressi.

Altair supporta i clienti nel prendere decisioni corrette, in tempi veloci, massimizzando gli utili per l’azienda, minimizzando i costi e i tempi di sviluppo supportare i propri clienti dal punto di vista tecnologico e di vision. Abbiamo risposto a questa esigenza

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SIEMENS digital industries software

La straordinaria ascesa del modello digitale

Stiamo vivendo dei momenti straordinari. Il mondo industriale è nel pieno di una profonda trasformazione. L’innovazione non è mai stata così veloce e il futuro digitale non appare più come un’utopia ma un qualcosa che si può realizzare oggi stesso. Il cambiamento cui stiamo assistendo equivale alla quarta rivoluzione industriale i cui effetti si propagheranno con sempre più intensità negli anni a venire. di Gian Luca Sacco, Sr. Director Marketing, EMEA, Siemens Digital Industries Software L’Industrial IoT (IIoT) si sta rivelando una potente leva per reinterpretare e ottimizzare il ciclo di vita del prodotto. Tende ad affermarsi un processo di sviluppo che sfrutta i dati dei dispositivi connessi e dei sistemi aziendali per implementare un contesto ricco di informazioni in grado di supportare analisi e processi decisionali avanzati. Emergono opportunità per avviare modalità di progettazione e ingegneristiche che prefigurano la possibilità di dare vita a modelli di business “as a service” basati sul prodotto connesso. La sfida per il vantaggio competitivo Il prodotto che le imprese manifatturiere possono oggi ingegnerizzare è uno smart product ampiamente personalizzabile in base alle esigenze di ciascun singolo cliente. È allo stesso tempo un prodotto complesso che integra un insieme di elementi meccanici, elettrici, elettronici e software. L’ecosistema di riferimento abilitante è rappresentato da architetture software e piattaforme che implicano la gestione di una molteplicità di

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dati e da un processo organizzativo e un modello di business in grado di sfruttarle. In questo scenario, non saranno le imprese più grandi a sopravvivere ma quelle che si dimostreranno la maggiore capacità adattativa. Ci si confronta con una inedita complessità ed è questa la sfida da superare affinché le aziende possano continuare a giocare un ruolo da protagonista. Ed è nella risoluzione della complessità che risiede il vantaggio competitivo. Il che significa rendere la propria azienda agile e reattiva, sostenibile, e in grado di esercitare una leadership di mercato, ridurre i costi di sviluppo e produzione e, aspetto fondamentale,

definire modelli di business che possano fare leva sui “superpoteri” delle nuove tecnologie abilitanti lo “smart product”. Emerge con sempre maggior forza il paradigma del digital twin ovvero la rappresentazione simbiotica del mondo fisico e digitale (di un prodotto, di un processo produttivo, di un impianto o dell’intera fabbrica). Nella sua più ampia accezione ciò significa acquisire nuovi livelli di efficienza e di performance; rendere accessibili, in un mondo virtuale, tutte le fasi della produzione industriale dando così l’opportunità di acquisire maggiore flessibilità, tempi di commercializzazione più brevi, maggiore efficienza e migliore qualità di prodotto. www.newsimpresa.it

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SIEMENS digital industries software

Progettazione e ingegnerizzazione a ciclo continuo La digitalizzazione rende possibile acquisire nuovi insight e nuovi livelli di automazione in qualsiasi fase della catena del valore. Per consentire alle aziende manifatturiere di affrontare e risolvere oggi le sfide di domani, Siemens ha creato Siemens Digital Industries Software. La logica è mettere insieme asset e risorse in grado di produrre un flusso circolare di processi in modo tale che ciascun singolo input che avviene all’interno di una qualunque fase del ciclo possa determinare un aumento incrementale del valore associato. È così possibile realizzare soluzioni end-to-end a 360 gradi per le fasi di concept, sviluppo, realizzazione, messa di esercizio e utilizzo del prodotto. Tutto questo supportando attività progettuali che integrano le diverse discipline – meccanica-elettrica-elettronica - la gestione dei requisiti e tutto ciò che afferisce allo sviluppo prodotto, alla sua produzione e manutenzione.

Emergono opportunità per avviare modalità di progettazione e ingegneristiche che prefigurano la possibilità di dare vita a modelli di business “as a service” basati sul prodotto connesso. Un’impronta software sempre più forte L’iperconnettività diffusa e la disponibilità di dati che possono essere acquisiti da tutte le componenti coinvolte in un qualsiasi processo produttivo e di supply chain sono ormai una realtà. Servizi di monitoraggio in tempo reale, manutenzione predittiva, digital twin, realtà aumentata, gateway con capacità computazionale “at the edge”, piattaforme cloud dedicate, sono gli

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elementi su cui verte qualsiasi nuovo progetto. Esiste, e continua ad affermarsi, un ecosistema emergente di risorse e applicativo che può dare ossigeno digitale alle imprese. Dallo shop floor arriva un volume di dati enorme - di progettazione, di ingegnerizzazione, di performance, di produzione – e si diffonde l’utilizzo di algoritmi su device sempre più complessi. La sfida è ora interpretare questi dati e fare in modo che emerga chiaro il ritorno sull’investimento. Non è quindi un caso che Siemens abbia consolidato nel tempo, e ora definitivamente sigillato con la creazione della Business Unit Digital Industries Software, un’impronta software sempre più forte. Non tanto in termini di applicazioni, ma di piattaforme. L’obiettivo è infatti ottimizzare macchine e impianti produttivi per dare opportunità di migliorare lead time e time to market riducendo tempi di sviluppo prodotto, aumentando qualità e flessibilità della produzione. Un universo in espansione Dieci i miliardi di euro che Siemens ha investito negli ultimi anni per estendere e consolidare l’ecosistema di risorse abilitante l’Industrial Software. Un percorso che è avvenuto per crescita organica e per acquisizioni. Il cambiamento che interessa Digital Industries sottindende un nuovo paradigma in cui al primo posto non c’è la tecnologia ma la digitalizzazione. Se prima ci si focalizzava primariamente sul contenuto tecnologico ora si cerca di avere una visione di automazione estesa


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dei processi. Integrazione e convergenza diventano le linee guida di sviluppo e operative. Nell’area dello sviluppo prodotto significa, per esempio, avere un unico team collaborativo che si occupa di progettazione e ingegneria avvalendosi di tecniche di simulazione multifisica.

acquisiscono un’importanza preziosa: possono essere convertiti in conoscenza, generando un enorme valore aggiunto nelle prestazioni e nella flessibilità della produzione. Ed è questo concentrato di tecnologie innovative a supportare la trasformazione digitale delle imprese italiane.

Personalizzazione ad alto rendimento Digital Industries ha oggi 5 Business Unit: Software, Factory Automation, Motion Control, Process Automation e Customer Services. Tutte contribuiscono alla condivisione di competenze e conoscenze che si rilevano essenziali per configurare soluzioni verticali. Più di 20 i mercati target sinora identificati, in ambito di processo continuo, ibrido e discreto. Dal punto di vista operativo e attuativo la visione olistica della digitalizzazione viene traslata sul mercato dal Digital Enterprise Team che consiste in un gruppo di persone, tecnologicamente esperte, la cui responsabilità è guidare la trasformazione digitale, poiché quest’ultima non si limita a un prodotto o tecnologia ma implica l’integrazione di una pluralità di componenti e skill che risiedono all’interno di ciascuna business unit. Ecco, quindi, che quando l’automazione, il software, l’hardware e le piattaforme cloud si incontrano e si integrano, i dati che ne derivano

Mindsphere, la piattaforma abilitante l’Industrial Iot Per interpretare esigenze di modernizzazione d’impresa basate sull’Industrial Internet of Things, occorre avere un approccio d’insieme delle tecnologie abilitanti, nuove applicazioni e servizi che investono non solo la sfera produttiva ma processi interni e persone. Altrettanto importante è la definizione di un framework architetturale che possa assecondare la nuova visione poiché è vitale riuscire a dare organicità ed omogeneità ai dati e ai flussi di informazione, compatibilità di linguaggi e protocolli, con sistemi operativi e risorse computazionali flessibili, on e off premise. MindSphere rappresenta uno degli aspetti chiave di questo processo di trasformazione, attraverso il quale Siemens offre applicazioni (App) e servizi digitali in grado di raccogliere e analizzare in modo rapido ed efficiente l’enorme mole di dati prodotti da un asset, da uno stabilimento o da un’infrastruttura, contribuendo alla sua ottimizzazione. www.newsimpresa.it

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GRUPPO CAMOZZI

L’evoluzione digitale del Gruppo Camozzi Il percorso che ha consentito alla multinazionale bresciana, leader dell’automazione industriale, di sviluppare una piattaforma IIOT automatica che permette di trasformare il valore aggiunto del dato in profitto aziendale attraverso una gestione intelligente dei processi produttivi con la possibilità di controllare tali processi da remoto e permettere la manutenzione predittiva. Cristian Locatelli, General Manager di Marzoli Textile Engineering & Camozzi Digital Fondato nel 1964, il Gruppo Camozzi è una multinazionale italiana leader nella produzione di componenti e sistemi per l’automazione industriale presente anche nei settori delle macchine utensili speciali, delle macchine per la filatura e in numerosi altri processi di lavorazione

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delle materie prime. L’offerta Camozzi comprende la realizzazione di soluzioni prodotti e servizi IIOT customizzati, attraverso sistemi cyber-fisici (CPS) per la digitalizzazione dei processi produttivi, nei quali i dati sono costantemente elaborati per migliorarne le prestazioni.


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L’offerta Camozzi comprende la

mare il valore aggiunto del dato in profitto aziendale. Grazie al processo di digitalizzazione infatti si effettuano dei risparmi importanti dell’intera gestione operativa. In un impianto tessile i costi sono suddivisi per il 57% materia prima, tra il 7-14% energia e combustibili, tra 8-11% manutenzione parti di ricambio e tra il 7-11% Human resources. Con il processo inserito all’interno di un sistema cyber-fisico si determinano i seguenti risultati di efficientamento: -15% dei costi di manutenzione, -2% dei costi energetici, +1% di efficienza e +10% di service life dei componenti.

realizzazione di soluzioni prodotti e

servizi IIOT customizzati, attraverso sistemi cyber-fisici (CPS) per la

digitalizzazione dei processi produttivi, nei quali i dati sono costantemente

elaborati per migliorarne le prestazioni. L’avvio del processo digitale Nel gruppo Camozzi il processo di Digitalizzazione è iniziato nel 2010, quando in Marzoli Textile Engineering, un’azienda del Gruppo operante nel settore delle macchine tessili, si è manifestata l’esigenza di un cambiamento di gestione e modalità di erogazione dei servizi di after sales e supporto ai clienti attraverso le nuove tecnologie abilitanti. In particolare, l’esigenza più urgente era di giungere a una gestione intelligente dei processi produttivi con la possibilità di controllare tali processi da remoto e permettere la manutenzione predittiva. Forti della nostra conoscenza di dominio, si sono iniziati a trasformare i dati derivanti dai processi in librerie SW, sviluppando i nostri algoritmi, fino ad arrivare allo sviluppo di una piattaforma digitale e a un vero sistema cyber-fisico. Grazie a Camozzi Digital, azienda del Gruppo dedicata alla ricerca in ambito IIoT, si è sviluppata quindi un’architettura complessa e dettagliata utilizzando un cloud dedicato, creazione di dashboard personalizzate e definizione di KPI di processo.

La trasformazione digitale del Gruppo Partendo da questa esperienza tutto il gruppo Camozzi ha subito una trasformazione digitale. Ciò che rende l’offerta del Gruppo Camozzi unica è l’abilità di sincronizzare esperienza e know how in modo universale attraverso ogni azienda. Ciò significa combinare le conoscenze ed esperienze industriali, manageriali e tecniche trasformando i Big Data in Big Added Value. In questi ambiti sono state realizzate a livello mondiale delle partnership con importanti player tecnologici, istituti di ricerca internazionali e importanti università specializzate – tra cui SAP, Microsoft, ABB, l’Università di Berkeley, l’IIT e il Politecnico di Milano - utilizzando una serie di tecnologie abilitanti, come le soluzioni cloud, i robot collaborativi e l’intelligenza artificiale.

Risultati di efficientamento conseguenti l’utilizzo della piattaforma IIOT: -15%

Il primo impianto digitalizzato Nel 2014 viene installato in Turchia il primo impianto tessile completamente digitalizzato e controllato tramite una piattaforma IIOT automatica, che permette di trasfor-

dei costi di manutenzione, -2% dei costi energetici, +1% di efficienza e +10% di service life dei componenti www.newsimpresa.it

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EUROTECH

IoT, la digitalizzazione apre le porte a nuovi modelli di business

Roberto Siagri, CEO di Eurotech

Il mercato è in costante evoluzione, e l’Outcome Economy stravolge i classici modelli di business: le industrie manifatturiere devono essere flessibili e disposte ad affrontare il cambiamento di paradigma da prodotto a servizio, modificando le strategie, gli investimenti ma, prima di tutto, la mentalità. Intervista a Roberto Siagri, Ceo di Eurotech, azienda internazionale quotata alla Borsa Italiana, da più di 25 anni leader in prodotti e software embedded e fornitore di soluzioni end-to-end nell’ambito Industriale, Medicale, Trasporti ed Energia. 46

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DOSSIER IBE 2019 Si tende ad affermare che IoT e sensorizzazione di prodotti e asset possano realizzare una produzione sempre più flessibile e coerente con la domanda dei consumatori. Ma non è quanto le aziende hanno sempre cercato di fare? Possiamo davvero pensare che il nuovo cocktail tecnologico possa creare reali vantaggi per gli utilizzatori? Ogni rivoluzione ha portato con sé miglioramenti in termini di flessibilità e coerenza con il mercato. Su questo non c’è alcun dubbio. Il fatto che si sia sempre cercato di fare meglio non significa però esserci pienamente riusciti. Intendo dire che ogni sforzo dà risultati commisurati alle tecnologie a disposizione. Qual è oggi la grande differenza rispetto al passato? Che con Industria 4.0 si comincia a estrarre valore dai dati in maniera sistemica. Grazie alla digitalizzazione di asset e prodotti, grazie a sensori e a infrastrutture IoT, siamo in grado di acquisire nuove informazioni che permetteranno di portare l’industria a un nuovo livello di efficienza, con benefici per l’impresa, per il consumatore e per l’ambiente. La digitalizzazione apre quindi prospettive inedite, con vantaggi che si possono riflettere su tutte le componenti ed elementi che ne diventano parte integrante. L'introduzione di nuova tecnologia è stata prevalentemente considerata come fattore di riduzione dei costi e aumento di produttività. Questa logica imprenditoriale viene messa in discussio-

ne? Oppure le vere opportunità risiedono nell'adozione di nuovi modelli di business? Se sì quali sono i macro modelli di business dell'Outcome Economy? La logica della riduzione dei costi e dell’aumento di produttività ha purtroppo dei limiti che sono stati ormai raggiunti. E’ una logica di un’economia di prodotto che è tipica di una società basata sul tangibile, che per definizione, vista la quantità di materia finita presente nel pianeta, non può scalare con lo scalare della popolazione. Serve una transizione da un’economia del prodotto a un’economia del servizio ovvero a un’economia dell’intangibile. E’ ciò che oggi tendiamo

- è il nuovo modello: un’economia che si basa sul risultato del prodotto e non sul prodotto e dunque, non sul passaggio di proprietà del bene ma sull’uso del bene. Quali sono i tasselli tecnologici abilitanti modelli di business associati a prodotti/asset sensorizzati? La sensorizzazione è la porta di passaggio tra il mondo reale e il mondo digitale. Tuttavia, è solo il primo tassello. Serve anche tutto ciò che sta dietro quella porta ovvero tutte quelle tecnologie abilitanti la raccolta, il trasporto e la gestione dei dati in modalità sicura. Il secondo tassello è quindi quello della

L’Outcome Economy – fondata sulla digitalizzazione di asset e prodotti - è il nuovo modello: un’economia che si basa sul risultato del prodotto e non sul prodotto e dunque, non sul passaggio di proprietà del bene ma sull’uso del bene. a indicare come la servitizzazione dei prodotti. Ciò che viene messa in discussione non è tanto la logica imprenditoriale ma i modelli di business sottostanti, che ora devono fare i conti, più che mai, con la sostenibilità e con una conseguente adesione a un modello di economia circolare. In questo scenario l’Outcome Economy – fondata sulla digitalizzazione di asset e prodotti

creazione di un’infrastruttura IoT funzionale alla processo di valorizzazione del dato che può anche essere correlato alla creazione di gemelli digitali ovvero trasposizioni digitali di modelli fisici che possono essere intesi come insiemi di dati che popolano un magazzino, o database, per convenzione definito come data-lake. Il terzo tassello è dato dalle applicazioni che si poswww.newsimpresa.it

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EUROTECH

sono realizzare a partire dai gemelli digitali e che sono funzionali alla creazione o all’efficientamento dei modelli di business. E’ dal data lake che viene estratta la nuova materia prima, i dati, con i quali si alimentano le applicazioni di manutenzione predittiva e/o preventiva, logistica avanzata, business intelligence, customer retention, user experience e tutte le applicazioni funzionali ai nuovi modelli di business “pay as you go”. Vista l’enormità dei dati

che si andranno a sedimentare nel data-lake alle tecniche di programmazione convenzionale si stanno affiancando sempre più sistemi che auto-apprendono dai dati tramite tecniche machine learning di intelligenza artificiale. Quali i vantaggi di un sito produttivo "IoT based"? La fabbrica digitale quali vantaggi può introdurre? La fabbrica del futuro non è soste-

nibile in assenza di un suo gemello digitale. In assenza di quest’ultimo non si potrà fare business, insomma non si potrà essere comeptitivi. Pensiamo per esempio alla sub-fornitura, che è una attività molto importante del nostro tessuto industriale; pensiamo a cosa vende e cosa fattura una fabbrica di componenti. Ebbene, ciò che vende è la capacità di produrre mentre quello che fattura sono le parti prodotte. Se questo è ragionevole, il valore

Chi è Eurotech Eurotech è un’azienda internazionale che sviluppa e offre tutti i componenti necessari per creare efficienti sistemi M2M distribuiti, nei quali migliaia di dispositivi e sensori sono in grado di dialogare e collaborare tra loro, con le business application e le infrastrutture IT. Le soluzioni Eurotech sono costituite da: sensori intelligenti, M2M gateway, e piattaforme software che facilitano la raccolta dati e la gestione di tutti questi dispositivi consentendo ai clienti di concentrarsi sulle proprie attività.

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Con le soluzioni Eurotech, sia il singolo sviluppatore che i più grandi system integrators, possono ridurre il time-to-market e realizzare progetti scalabili ed efficienti. La combinazione di gateway M2M, application framework e piattaforma M2M (o piattaforma IoT) viene definita Everyware Device Cloud (EDC). EDC è un offerta completamente integrata che offre una vasta gamma di piattaforme hardware e servizi software per la realizzazione di soluzioni M2M complete.


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sta nella fabbrica e nella capacità di integrare questa fabbrica con i processi di produzione del cliente. Questo significa che la durata delle relazioni industriali sarà sempre più dipendente dal livello di integrazione. Detto in altro modo: più le fabbriche sono integrate più la relazione - dando per scontato il raggiungimento dei parametri di qualità - diventa sostenibile nel tempo. Oggi l’integrazione, nella grande maggioranza dei casi, avviene per prossimità fisica; in futuro si farà soprattutto per prossimità digitale. Quali sono i presupposti perché imprenditori di piccole e medie aziende possano confrontarsi con successo con la sfida dell'outcome economy? Quale la cultura aziendale che può tradurre in valore le opportunità di mercato? La digitalizzazione delle fabbriche porterà benefici anche a breve indipendentemente dal modello di business in essere ma per questioni di sostenibilità e di crescita, l’outcome economy è ineludibile. E’ chiaro che non tutti i prodotti potranno

essere allineati a questo nuovo modello di business, quanto meno nel breve termine. Per prepararsi alla transizione ogni azienda deve avere chiaro quali sono i propri punti di forza, comprendere se il valore creato dipende dalla fabbrica o dal prodotto. Il passaggio all’outcome economy - ovvero a un modello di remunerazione del risultato o di remunerazione del servizio o funzione erogato dal prodotto - oltre a richiedere la piena digitalizzazione del prodotto e di tutta la supply chain, coinvolge poi anche altri attori come le banche, che devono cambiare il modo di finanziare il ca-

pitale circolante. Insomma, fare business diventa una cosa più “ecosistemica” che in passato e non esiste una risposta facile. Quello che è certo è che gli investimenti richiesti per digitalizzare asset e prodotti sono alla portata di tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione. In ultima analisi, la mia idea è che la cultura aziendale deve essere fondata sui modelli collaborativi e di open innovation propri del digitale. Il che significa pensare di più a come collaborare che a come competere.

Grazie alla digitalizzazione siamo in grado di acquisire nuove informazioni che permetteranno di portare l’industria a un nuovo livello di efficienza, con benefici per l’impresa, per il consumatore e per l’ambiente. www.newsimpresa.it

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RED OPEN

Massimo V.A. Manzari, CEO di ReD Open

Data Governance, identità ed ecosistemi digitali Ingredienti per passare dall’economia degli slogan, all’economia dei risultati sostenibili. Come generare un ritorno economico e un valore competitivo dalle opportunità Big Data. E’ possibile in questi tempi di tempeste e trasformazioni digitali fare in modo che tutti gli slogan che quotidianamente ci circondano e assalgono diventino elementi “costruttivi” in grado di generare un reale ritorno economico, sociale e produttivo? La risposta è banale e certamente ovvia. Da qui a rendere concreto un “sì”, e quindi evitare che anche questa parola rimanga un mero slogan, è azione complicata e piccoli aiuti verso la conquista di una autonomia operativa sono indispensabili. Il sì è risposta ancor più ovvia per chi scrive, dato che opero in un’azienda che vuol far nascere dalle nostre mani la consapevolezza dell’innovazione digitale degli ecosistemi aperti. È per questo motivo che è stata fondata ReD Open.

Valore competitivo e differenziante Eccoci quindi al punto, ovvero aiutare le imprese ad attuare una Data Governance dove le norme, l’etica, la sicurezza, i principi, le regole e le responsabilità che disciplinano i vari tipi di dati, siano elementi che diano modo agli ecosistemi aziendali di acquisire un valore competitivo e differenziante. Questa

Per continuare a garantire una governance e una protezione efficace ed efficiente dei contesti di Automazione Industriale è richiesto un radicale cambiamento culturale, più integrato e aperto.

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DOSSIER IBE 2019 competenze e i gap culturali, tecnologici, operativi, organizzativi e giuridici a cui dare priorità? Esistono? Quali responsabilità e di chi?

la missione di ReD Open. Ed è ciò è richiesto oggi, perché negli ecosistemi d’impresa il perimetro operativo e tecnologico dell’automazione industriale è sempre più aperto verso l’esterno e cresce continuamente per eterogeneità, complessità, competenze richieste, molteplicità di attori coinvolti e requisiti di compliance a normative e standard. Cultura d’impresa per una smart industry Pensiamo ad esempio a ciò che accade per la pervasività di internet in ambiti industriali, sino a ieri chiusi nella propria operatività, oggi invece raggiungibili, connessi e aperti ai mondi esterni all’impresa. Industrial Internet of Things, Wireless Automation, Smart Instrumentation, Cybersecurity, Privacy, Proprietà intellettuale, Data Governance, sono solo alcune

delle variabili in gioco che mettono in forte crisi tanto i sistemi di controllo e i processi industriali, quanto i modelli organizzativi, la cultura d’impresa e le sue subculture, nonché la governance degli stessi processi aziendali e industriali. Ecco quindi che per continuare a garantire una governance e una protezione efficace ed efficiente anche dei contesti di Automazione Industriale è richiesto un radicale cambiamento culturale, più integrato e aperto. Ma quali sono le

Per un ecosistema aperto e collaborativo Assumere la prospettiva della Data Governance, delle identità e degli ecosistemi digitali significa prendere spunto dai cambiamenti in atto per analizzare e contestualizzare come questi temi, ovvero la data governance e le identità degli oggetti, le nuove dimensioni della sicurezza, la governance d’impresa, l’etica e la responsabilità del lavoro e dell’automazione, siano in realtà opportunità per ripensare un ecosistema aperto competitivo, collaborativo e bilanciato nelle sue dimensioni economiche, culturali, giuridiche e di responsabilità sociale. Quelle appena descritte sono alcune tracce su come è possibile trasformare gli slogan che oggi ci circondano, ci affascinano e spesso ci confondono con la loro sovrabbondanza di soluzioni a domande mai poste. Sono punti da cui partire per generare un ritorno economico, sociale e produttivo.

Opportunità per ripensare un ecosistema aperto competitivo, collaborativo e bilanciato nelle sue dimensioni economiche, culturali, giuridiche e di responsabilità sociale www.newsimpresa.it

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Opportunità e sfide della società connessa Piattaforme ed ecosistemi digitali sono i fondamenti dell’outcome economy, uno scenario dove i modelli di business si ispirano alla possibilità di creare valore dalla connettività IOT. Una logica di mercato dietro la quale si cela la grande sfida del secolo: il controllo dei dati. di Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo Immaginiamo di ricevere sul nostro cellulare un messaggio che ci dice che, presumibilmente, nello spazio di due settimane la nostra caldaia di casa si guasterà e che tale messaggio sia accompagnato dal suggerimento di un appuntamento con un addetto che si occupi della sua manutenzione, con tanto di preventivo. Per noi vorrebbe dire assenza d’interruzione di servizio: acqua calda sempre, riscaldamento senza interruzione, e così via. Per il produttore della caldaia vorrebbe dire vantaggio competitivo rispetto a chi non fornisca un tale servizio. Per il produttore maggiori statistiche sui suoi prodotti e relativo miglioramento. Per la rete di manutenzione vorrebbe dire maggiore capacità di previsione, quindi miglior organizzazione e distribuzione dei servizi, minori costi, che si ribaltano sul

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cliente finale. E minor spreco, minor inquinamento, miglioramenti per tutto il pianeta! Dietro a tutto questo, cosa ci sta? Una rete di sensori che raccolgono dati (sull’ambiente, sul consumo di corrente, sullo stato di usura delle apparecchiature, sulle caratteristiche chimiche dell’acqua, e così via), che alimentano applicazioni software che confrontano analoghi dati disponibili attraverso una piattaforma, e che integrano gli stessi con altre informazioni (come le condizioni metereologi che dei giorni seguenti, la disponibilità di energia nella città, eventuali interruzioni per lavori sulla rete pubblica, e così via). Ci troviamo di fronte a un ecosistema in cui non fruiamo più della caldaia o dell’impianto di riscaldamento, ma di acqua calda e di temperatura ambiente. Dietro questo,

sensori, piattaforme condivise, miliardi di dati provenienti da diversi fornitori, adeguatamente condivisi, software di gestione. E una nuova forma di competizione: quella di chi fornisce un risultato finale, non un prodotto e non solo un servizio. L’outcome economy.


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Sensori, piattaforme condivise, miliardi di dati provenienti da diversi fornitori (adeguatamente condivisi), software di gestione. Nasce una nuova forma di competizione: quella di chi fornisce un risultato finale, non un prodotto e non solo un servizio. L’outcome economy.

Questo, portato su scale diverse dei vari settori produttivi, significa cambiamenti epocali: previsione della peronospora e riduzione di pesticidi, miglioramenti nella produttività agricola, ottimizzazione del consumo di energia di impianti, gestione ottimale di scorte di medi-

cinali negli ospedali in modo integrato sul territorio, e chi più ne ha più ne metta! Ma chi vuole giocare in questa nuova arena deve prepararsi: interoperabilità su piattaforme, scelta dei dati da mettere a disposizione, enorme attenzione alla sicurezza,

competenza nell’IIOT, scelta dei partner giusti… La competitività non sarà legata alla dimensione dell’impresa capace di fare massa critica, ma piuttosto alla dimensione dell’ecosistema a cui si partecipa. Certo, c’è il rischio che il leader del gruppo sia proprio la piattaforma, unico grande crocevia delle informazioni, vitale per tutti e dipendente da nessuno. Ma non è tanto un rischio economico. Il problema centrale è la regolamentazione di questo nuovo scenario in particolare in termini di controllo degli ecosistemi e dei dati, vera materia prima dell’outcome economy. Pensiamo come le strade romane abbiano disegnato il loro dominio sull’Europa di allora, pensiamo come lo sciopero degli autotrasportatori portò il Cile alla dittatura poco meno di cinquant’anni fa: è saggio mettere nelle mani di poche potentissime strutture private con fine di lucro il controllo delle strade e dei dati che le percorrono? È prudente mettere nelle loro mani il potere di discriminare chi partecipa e chi no, e come? Quale governo, in una situazione in cui la globalizzazione riguarda i mercati e non la politica, potrà mai imporre regole che valgano per tutti gli stati? Cosa potrà succedere se l’ecosistema controllerà le informazioni che possono influenzare i voti (come già è successo). Quale forma di governo sostituirà le già imperfette democrazie attuali? Domande complesse, dietro cui non ci saranno possibilità di determinare percorsi differenti, ma solo le scelte migliori, con competenza e lungimiranza. www.newsimpresa.it

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Oggi i prodotti sono davvero complicati. E altrettanto lo sono i processi. Pensare di risolvere il tutto senza informazioni adeguate e pertinenti è pressoché impossibile. È vitale riuscire a ottimizzare il contesto di fabbrica facendo leva sulla disponibilità di dati. Ma occorre avere chiarezza di obiettivi, di processi e della tecnologia più adatta per supportarli di Piero Macrì

I dati come motore della nuova economia di prodotto Le tecnologie digitali sono state finora utilizzate in massima parte per creare efficienza di processo ma possono rappresentare una potente leva per innovare i modelli di business e i prodotti. Per continuare a rimanere competitivi si deve agire contemporaneamente su due potenti leve: quella dell’efficienza di processo e quella di innovazione di modello di business e di prodotto. In assenza di quest’ultima le potenzialità di Industria 4.0 non sono sufficienti a garantire, quanto meno nel lungo periodo, una sopravvivenza ottimale delle aziende. Occorre iniziare a vedere il digitale nelle sue opportunità complessive: gli ingredienti che compongono il ricco menu tecnologico di Industria 4.0 possono dare un impulso straordinario alla competitività. È un’esigenza che appare critica per tutta l’industria italiana, culla storica delle

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filiere automotive, aerospace e manifatturiere in generale, dove le altissime competenze ingegneristiche acquisite nel corso del tempo devono ora essere coniugate con la nuova cultura d’impresa digitale. Efficienza traversale a tutte le aree aziendali Per aver successo le aziende devono comprendere che la direzione da seguire deve necessariamente divergere da quella del passato. Significa diventare consapevoli del valore della trasformazione digitale identificando e intercettando potenziali ambiti di innovazione. Se non si procede in questo senso si è destinati a diventare progressivamente irrilevanti. Il problema maggiore risiede nelle piccole e medie imprese che devono ormai rendersi conto che la trasformazione è sì una stra-


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da obbligata ma allo stesso tempo un’opportunità. L’errore più comune è quello di concentrare gli sforzi e gli investimenti sulla sola componente di produzione. Ma avere una linea di produzione super performante, allineata alla logica 4.0, con tanto di intelligenza artificiale a supportare manutenzione predittiva a garanzia

della continuità operativa è importante, a patto però di sapere estendere l’efficienza a tutte le aree aziendali. Solo così è possibile valorizzare il prodotto ed essere competitivi sul mercato. Il rapporto tra imprese e servizi In Italia esistono competenze elevatissime in tutte le filiere manifatturiere. Si deve ora avere la capacità di immaginare un futuro aderendo a una visione di un mondo che non è e non potrà essere uguale a prima. Da parte delle istituzioni e delle associazioni deve arrivare un messaggio forte e un chiaro indirizzo di politica industriale, individuando investimenti e percorsi di trasformazione coerenti con le attuali esigenze. Diventa centrale il rapporto delle imprese con i

Per continuare a rimanere competitivi

si deve agire contemporaneamente su due potenti leve: quella dell’efficienza di processo e quella di innovazione di modello di business e di prodotto

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servizi. Per far sì che si evidenzi una dinamica espansiva di ordine economico e occupazionale è proprio questo il nodo di fondo da risolvere. Il passaggio d’epoca consiste infatti in ciò che avviene dal momento della produzione al sistema allargato dei servizi. In questo mutato scenario rincorrere la produttività e giocare sul taglio dei costi è, quanto meno nel lungo periodo, una politica perdente.

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applicate in un contesto di produzione originale dove può essere vincente adottare uno stile di specializzazione verticale, volumi più ridotti e alta personalizzazione. Sono le strategie basate su innovazione di prodotto, per quanto le più complicate, ad essere quelle che permettono di ottenere un reale valore aggiunto.

Creare nuovo valore Non si può più considerare il costo come unica variabile competitiva. Non essendo un paese competitivo per il costo del lavoro, l’Italia deve trovare strade alternative. Le premesse ci sono tutte: abbiamo una

Flessibilità imprenditoriale Negli ultimi dieci anni le aziende, soprattutto quelle più piccole, hanno fatto in gran parte innovazione di processo con l’obiettivo di ridurre i costi. Un atteggiamento doveroso in un momento di crisi. Il problema è che continuare ad agire in questa modalità espone a rischi grandissimi poiché ci si misura sul mercato in

vocazione naturale a produrre cose più complesse di quelle che sanno fare tedeschi, francesi e americani. Occorre però tenere presente che le tecnologie di Industria 4.0 portano valore aggiunto e competitività se

termini di prezzi. Continuare su questa strada significa entrare in un loop infinito di ricerca di produttività e taglio dei costi. Questa logica porta inesorabilmente a una progressiva contrazione del valore. I risulta-

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DOSSIER IBE 2019 ti positivi si possono infatti ottenere solo su volumi grandissimi. Occorre cambiare registro e individuare un approccio al mercato differente valorizzando le opportunità del digitale. È uno scenario che in Italia non si è ancora concretizzato e che stenta a decollare. Ci si muove in schemi molto rigidi quando invece servirebbe maggiore flessibilità imprenditoriale La ricerca di un nuovo equilibrio Quali le ipotesi di trasformazione che si stanno affermando? Quale la possibile sintesi degli elementi che andranno a plasmare il futuro industriale? Intelligenza artificiale, big data, analytics, digital twin, realtà aumentata, blockchain, 5G, cloud, autonomous computing. I vari tasselli del puzzle digitale stanno iniziando a definire i contorni dell’Industrial Internet of Things e analisti ed economisti iniziano a ragionare in termini di outcome economy, l’ennesima possibile discontinuità di mercato associata alla vendita di prodotti e servizi basata sulla reale misurabilità dei vantaggi

cessi. La crescente diffusione di sensori e microchip applicati a cose e, verosimilmente e in forma progressiva, a persone, implica infatti un automatismo dei processi decisionali, a tutti i livelli. In estrema sintesi significa dare velocità al business, offrendo non solo insight su processi e attività una volta inimmaginabili, ma introducendo capacità attuative all’interno dell’infrastruttura Ict. E se è vero che i robot prenderanno sempre più spazio nella fabbrica è altrettanto vero che l’intelligenza delle infrastrutture Ict in divenire produrrà un non meno significativo livello di produttività. Complessivamente, la nuova automazione generata dall’affermazione dell’Iiot sarà responsabile di una straordinaria accelerazione nella perdita di posti di lavoro in settori labour intensive, in primis quello manifatturiero. Le leve economiche Da un punto di vista teorico l’assunzione del cocktail della nuova frontiera tecnologica può significare più

Sono le strategie basate su innovazione di prodotto, per quanto le più complicate, ad essere quelle che permettono di ottenere un reale valore aggiunto conseguenti la fruizione e utilizzo degli stessi da parte di utenti (scenario b2b) e consumatori (scenario b2c). Di fronte a questi possibili scenari l’industria è obbligata a un riallineamento in termini di organizzazione, tecnologie, processi e competenze. Servirà trovare un nuovo equilibrio, che a sua volta sarà messo in discussione dalla prossima tecnologia disruptive. La quota digitale presente nelle fabbriche italiane è elevata. Può non apparire ma esiste. Quello che latita è la capacità di trasformare le potenzialità in risultati. Si tratta, come dire, di dar fuoco alle polveri Automazione e produttività Il denominatore comune del possibile scenario che va emergendo è di una sempre più forte autonomia funzionale di tutte le componenti abilitanti nuovi pro-

produttività ovvero fare di più con meno. Non solo, maggiore produttività significa capacità di creare e servizi a costi più bassi e, di conseguenza, la possibilità di generare un potenziale aumento della domanda. Tuttavia, la determinazione di una dinamica positiva dei mercati è in larga misura dipendente da fattori economici: l’introduzione di automazione e l’incremento di produttività non sono di per sé sufficienti a innescare un circolo virtuoso dei mercati: in assenza di una domanda la capacità delle aziende di acquisire un aumento di produttività equivale a un esercizio a somma zero. Outcome economy È limitativo continuare a ragionare esclusivamente in termini di produttività. Fare di più con meno è un www.newsimpresa.it

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pensiero legato a una concezione della produzione del secolo scorso. Se andiamo avanti con questo slogan siamo spacciati. Il problema è creare valore. La prospettiva è ragionare secondo quanto viene oggi sottinteso dall’outcome economy ovvero l’ennesima possibile discontinuità di mercato che implica il passaggio dalla vendita di prodotti e servizi tradizionali a quella basata sulla reale misurabilità dei vantaggi conseguenti la fruizione e utilizzo degli stessi da parte di utenti (scenario b2b) e consumatori (scenario b2c). Al centro il prodotto connesso e digitalizzato. La futuribile tendenza è direttamente proporzionale all’affermazione di tecnologie digitali e dell’Iot ovvero dalla progressiva sensorizzazione dei prodotti, dalla capacità di soddisfare analisi real time del dato e dalla disponibilità di infrastrutture edge e cloud. Il cambiamento come costante Disruption significa essere preparati ad affrontare le inevitabili discontinuità. La globalizzazione ha permesso l’affermazione di un mercato in grado di esprimere una domanda espansiva. La libera circolazione delle merci ha significato poter sfruttare opportunità di domanda interna e internazionale. Ora, con la stretta sugli accordi commerciali, si sta profilando una sempre più ampia incertezza. Le imprese devono avere una buona dose di resilienza poiché la crescita non sarà mai lineare. E’ come voler controllare il tempo: impossibile. La dinamica dei mercati può essere ben rappresentata da una frequenza sinusoidale, un costante alternarsi di picchi e flessioni. Chi riuscirà a navigare indenne tra alte e basse maree sarà in grado di assicurare la propria sostenibilità; chi al contrario si dimostrerà incapace di governare la propria flotta in mare aperto è destina-

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to al naufragio. Appare sempre più evidente che è la propensione al cambiamento e la flessibilità a rendere sostenibile la propria competitività. Un qualcosa, il cambiamento, che non si può improvvisare, che non può essere una via di fuga o un semplice escamotage, ma che deve essere inteso come parte integrante della cultura aziendale ovvero diventare un “present continuos tense”. Questo significa comprendere obiettivi e finalità ed agire di conseguenza poiché le tecnologie devono contribuire a gestire al meglio l’alternanza dei picchi e delle flessioni dei mercati.


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Trasformazione digitale Il digitale viene definito come fenomeno “disruptive” che coincide con l’affermazione di un modello, di società o d’impresa, che diverge dal tradizionale sviluppo incrementale e che determina una rottura senza precedenti dello status quo. E’ una novità? No. nell’ambito delle tecnologie ci sono sempre stati punti di flesso e discontinuità. Basti pensare cosa ha significato passare dalla centralità del mainframe all’informatica distribuita del personal computer, all’affermazione delle reti locali, al grande salto quantico di internet e del web o, ancora, all’avvento dello smartphone e del cloud. Sono stati momenti di forte transizione digitale, contrassegnati da una progressiva e costante accelerazione di tecnologie innovative. Quando ci chiediamo come potrà essere il futuro e quale la portata dei prossimi cambiamenti dovremmo sempre riflettere su quanto già

I vari tasselli del puzzle

avvenuto. Come sarà la tecnologia nelle imprese da qui a dieci anni? Possiamo affermare con una cer-

digitale stanno iniziando

ta relativa tranquillità che l’ordine di magnitudo del

a definire i contorni

riferimento aumentato di un fattore di accelerazione

cambiamento sarà lo stesso vissuto nel periodo di

dell’Industrial Internet of

x. Dentro questa x confluiscono tutti gli ingredienti

Things e analisti ed economisti

collante della rivoluzione Industrial Internet of Thin-

ad alto contenuto tecnologico che rappresentano il

iniziano a ragionare in termini

gs ovvero intelligenza artificiale, big data, analytics,

di outcome economy

e autonomous computing.

digital twin, realtà aumentata, blockchain, 5G, cloud

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Rivoluzioni tecnologiche e rivoluzioni culturali La trasformazione digitale mette le aziende nella condizione di definire una nuova carta dei valori. Il focus non è più esclusivamente il fattore economico ma la creazione di un ecosistema virtuoso. In questo scenario Industry 4.0 e IIOT diventano le leve per l’affermazione di modelli di business pienamente sostenibili. di Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo Secondo il modello d’impresa proposto dallo European Foundation for Quality Management i risultati economici - che devono ovviamente sempre e comunque esserci - richiedono il rispetto della soddisfazione del Cliente, del Dipendente e dell’Ambiente.

inoltre che tutto ciò richiede una fortissima Leadership da parte dei vertici. Il modello sembra fatto apposta per suggerire l’adozione delle tecnologie emergenti riferibili a Industry 4.0 e IIOT. Tali approcci possono infatti essere introdotti per soddisfare il modello proposto.

Serve una progettualità di lungo e non di breve termine e serve una leadership che deve tendere a una piena sostenibilità, economica e ambientale. Aggiunge che ciò è possibile solo attraverso il governo sempre più efficiente dei Processi Produttivi che devono essere guidati da adeguate Strategie - dall’attenzione alle Materie Prime e dal Rispetto per le Risorse Umane. Sostiene

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Ecco una riflessione ragionata sui 5 possibili macro-benefici di una trasformazione digitale.

 Definizione di strategie focalizzate sul governo intelligente di tutte le aree indicate dal modello;  Gestione oculata delle materie prime - in virtù di una sempre più forte integrazione dei sistemi e, soprattutto, una corretta gestione energetica, usando quest’ultima solo dove e quando serve. Tutto ciò ha un impatto sull’ambiente meno CO2, meno inquinamento - e sui risultati economici (meno spreco);


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 Processi più produttivi, efficienti ed efficaci e garanzia di una loro costante evoluzione con un impiego di risorse umane sempre più integrato con i processi e un positivo impatto sulla soddisfazione del personale;  Produzione di maggiore qualità, con durata di vita maggiore e minor percentuale di guasti, il che si traduce non solo in una maggiore soddisfazione dei clienti ma in una riduzione di sprechi e quindi un maggior rispetto per l’ambiente;  Economia circolare. L’impiego estensivo di Industria 4.0 e di IIOT è infine in grado di influire su tutte le fasi della vita di un prodotto - dalla progettazione alla dismissione - migliorando la creazione di valore anche nelle fasi di distribuzione e assistenza, con ritorni sul miglioramento della produzione. Quanto evidenziato nei 5 punti sopra citati sembra proprio la quadratura del cerchio. Le nuove tecnologie possono infatti rendere le imprese sostenibili sotto ogni aspetto: migliori prodotti, sempre

più accessibili e a costi sempre più bassi; maggiore soddisfazione del cliente; migliore condizione di lavoro del dipendente; rispetto estremo dell’ambiente ecologico e sociale e, non ultimo, eccellenti risultati economici. C’è tuttavia un “ma”. Il mondo sta orientando l’uomo al consumo e non al benessere. L’effetto collaterale di questa tendenza è mettere al primo posto il denaro e non la felicità. Non è infatti un caso che l’attenzione crescente delle scuo-

le (ma non solo) sia più mirata alla professionalizzazione piuttosto che alla creazione di cultura. Per mettere un freno a questa tendenza dilagante le aziende dovrebbero definire un percorso di trasformazione digitale, coerente con il modello descritto, mettendo al primo posto non tanto la bottom line del bilancio del prossimo imminente trimestre, ma la disponibilità di attori “illuminati” capaci di guardare al futuro. Insomma, serve una progettualità di lungo e non di breve termine e serve una leadership che deve tendere a una piena sostenibilità, economica e ambientale. Ben vengano, quindi, imprenditori illuminati che abbraccino un approccio Industry 4.0! Credo che questa sia la vera sfida. Le tecnologie abilitanti la trasformazione digitale possono essere delle leve straordinarie per raggiungere questi obiettivi. Impegniamoci!

Industria 4.0 e IIOT possono influire su tutte le fasi della vita di un prodotto - dalla progettazione alla dismissione migliorando la creazione di valore anche nelle fasi di distribuzione e assistenza, con ritorni sul miglioramento della produzione. www.newsimpresa.it

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Gli “stregoni” del nuovo mercato Cambiano, e in modo significativo oltre che rapido, le prospettive, i modelli di business e il modo di operare delle aziende. Per chi non è disposto ad allinearsi all’Outcome Economy si prospetta una lenta ma progressiva emarginazione dal mercato. Chi sono i nuovi potenziali leader? Quali le caratteristiche del fornitore di successo? di Umberto Cugini, Politecnico di Milano

L’ economia delle soluzioni ha impatti molto rilevanti, a volte dirompenti, su molti mercati e categorie di operatori delle filiere tradizionali. E’ un qualcosa che si verifica in quasi tutti i contesti economici ed industriali. Se da una parte questo fenomeno crea grandi e immediati problemi per chi presidia le attuali strutture, dall’altra solleva inedite opportunità per tutti coloro che, con coraggio, affrontano il cambiamento sviluppando capacità adattive alla nuova logica di mercato. Per avere successo o per garantire quanto meno una sostenibilità futura significa essere disposti a effettuare una transizione all’economia dei risultati (Outcome Economy). Quest’ultima si concretizza con un cambiamento sostanziale del modello di business e l’implicito passaggio dalla vendita di prodotti e/o servizi alla fornitura di soluzioni globali basate su sistemi cyberfisici. Il cambiamento riguarda la fornitura delle stesse risorse abilitanti che vengono

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DOSSIER IBE 2019 oggi offerte in modalità “as a service” così come già ampiamente testimoniato da varie use case, basti pensare, tanto per citarne alcune, a “Rolls Royce power-by-the-hour”, “Michelin Solutions” o “HP Instant ink”.

Time to market Il successo del processo di cambiamento dei fornitori è il tempismo. E’ bene infatti tenere presente che le opportunità di mercato se da un lato si aprono rapidamente con altrettanta rapidità si possono chiudere. In questo scenario le caratteristiche dei potenziali leader sono: la velocità di percezione e le capacità di cambiamento e reazione in sintonia con la velocità dei cambiamenti in atto. In virtù di un mercato sempre più orientato a soluzioni di problemi, il punto di partenza è quindi il monitoraggio e l’analisi accurata delle potenziali opportunità che si possono evidenziare, anche in settori di mercato che divergono dal business mainstream.

Cambia il ruolo dei fornitori Poiché tutto si muove rapidamente, anche i mercati tradizionali, intesi come bacini di acquisto di beni e servizi relativi a determinate tipologie di bisogni, tendono ad allinearsi a una nuova logica di mercato. Per i fornitori cambiano totalmente sia le responsabilità (relativamente ai risultati) sia gli impegni finanziari sia il possesso degli asset. Cambiano anche, e in modo sostanziale, le necessità e i trasferimenti sia di know how che di

competenze, come pure i rapporti, le relazioni e quindi la conoscenza del mercato sia potenziale che reale. Last but not least, si modificano sia l’immagine sia il ruolo da interpretare. A questi cambiamenti sono interessati sia i newcomer, che si affacciano a nuovi mercati con soluzioni avanzate, sia gli incumbent ovvero i player tradi-

Un mondo di ecosistemi e piattaforme In questa attività di contatto continuo con il potenziale “customer”, da cui ricavare dati e informazioni, e di rapida aggregazione di competenze, tecnologie e prodotti per confezionare in tempo e per primi soluzioni customizza-

In virtù di un mercato sempre più orientato a soluzioni di problemi, risulta vitale il monitoraggio e l’analisi accurata delle potenziali opportunità che si possono evidenziare in molteplici settori di mercato zionali e dominanti che intendono estendere o innovare l’offerta con una proposizione “as a service”, integrando magari prodotti e/o servizi di terze parti. Tutti questi attori, nuovi e vecchi insieme, hanno un obiettivo comune: instaurare e/o intensificare il contatto diretto con i singoli potenziali clienti per poter monitorare interessi, orientamenti e intenzioni di acquisto. Si va quindi verso una dinamica tutta “pull”: è il mercato potenziale che indica le necessità e i problemi, reali o emergenti, e che “tira”/genera l’offerta di soluzioni; non più l’innovazione tecnologica e la relativa offerta di migliori o più convenienti prodotti.

te, giocano un ruolo prevalente le piattaforme supportate da ecosistemi. Questi ultimi sono costituiti da un insieme variabile di fornitori di tecnologie, competenze e infrastrutture - integrabili ma anche concorrenti - che vantano modalità di connessione, interfacciamento e integrazione per costruire soluzioni su misura da erogare sulla piattaforma esistente, o da costituire ad hoc, come investimento comune per ulteriori utilizzi congiunti.

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Every business is a data business Pentaconsulting MindUp for Business. Idee per un rinascimento organizzativo e imprenditoriale. Quali le modalità attraverso le quali ottimizzare e rendere più efficienti processi di produzione sempre più articolati e on demand? La questione è ovviamente complessa e richiede soluzioni e software in grado di mettere le aziende nelle condizioni di operare con agilità e velocità poiché “every business is a data business”. Significa avere le capacità per garantire l’interconnessione dei sistemi e dei siti produttivi, così come una re-interpretazione

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delle relazioni all’interno e all’esterno dell’azienda. In questo scenario la disponibilità di dati e informazioni – quando servono e dove servono – è un prerequisito fondamentale abilitante il rinnovamento. La gestione efficiente del dato significa infatti trasparenza di processo, controllo e capacità di agire in modo resiliente ovvero saper confrontarsi con gli ostacoli che incontriamo lungo il nostro percorso sviluppando le endorfine necessarie per intraprendere progetti di rinnovamento allineati alle dinamiche di mercato. Mai però pensare che il tutto possa risolversi dando ascolto alle sirene dell’hype tecnologico. Industria 4.0 non è di per sé il rimedio universale ma solo una parte di un progetto molto più ampio che riguarda un rinascimento organizzativo e imprenditoriale. Un traguardo che, per essere raggiunto compiutamente, deve mettere in discussione regole e processi consolidati. L’industrializzazione di future soluzioni “data driven” dipende dalla capacità di sviluppare ecosistemi di relazioni in un contesto di massima apertura e collaborazione. Per lungo tempo le aziende hanno invece promosso soluzioni ed ecosistemi chiusi. Quanto oggi sta avvenendo spinge le organizzazioni a dare vita a una nuova generazione industriale. La sfida per la modernizzazione e il rinnovamento coerenti con una

evoluzione all’insegna del digitale non è certo irrilevante. Misurarsi con i temi della trasformazione significa infatti mettere a fattore comune competenze che per lungo tempo sono state estranee a gran parte delle aziende. Al tempo stesso serve creare una cultura più agile e flessibile. Una qualità ormai non più rinviabile. Affinché si possa affermare un cambiamento positivo è necessario un ripensamento globale di tutta l’organizzazione e del valore che deve generare. Vecchie logiche d’impresa e di produzione hanno fatto il loro tempo. Le pressioni che vengono innescate dalle dinamiche evolutive dei mercati determinano la necessità di valutare, selezionare e integrare modelli di progettazione e sviluppo capaci di incrementare il vantaggio competitivo. Si afferma una logica di sviluppo condivisa, aperta e collaborativa ed è questo il vero driver per un’evoluzione a supporto della trasformazione digitale. La mission di Pentaconsulting è aiutare le aziende a migliorare la capacità di competere operando sui processi che concorrono sviluppo del business e sull’implementazione modelli operativi ad alta efficienza. Pentaconsulting rende disponibili MindUp for Business un portafoglio di servizi personalizzati atti a generare, trasferire e capitalizzare nuovo valore.


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ACOR

ACOR Ambienti Collaborativi Orientati ai Risultati

Il mercato è cambiato; la concorrenza è cambiata; la struttura dei margini è cambiata E noi? Quanto siamo cambiati? Quanto è cambiata l’azienda in cui operiamo? Quanto ci siamo strutturati per competere con successo? L’evoluzione e la sostenibilità di un’impresa sono strettamente legate alla capacità di

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adattamento rispetto alle discontinuità tecnologiche e di mercato. La sfida per le aziende consiste nell’individuare un percorso di innovazione - a livello organizzativo, tecnologico e imprenditoriale per l’acquisizione di nuova competitività e capacità allineati agli obiettivi di business.


DOSSIER IBE 2019

Le dinamiche di ogni mercato sono sempre più veloci; l’unica costante è il cambiamento. Per competere con successo la sfida risiede nella capacità di implementare modelli di business e strutture operative flessibili, efficaci ed efficienti, integrate e orientate al risultato. A tutte queste esigenze risponde il percorso formativo sul campo ACOR, percorso che è parte integrante della piattaforma di servizi MindUp for Business sviluppata da Pentaconsulting. È questo l’obiettivo del percorso formativo ACOR. Nel contesto quotidiano il tempo sembra essere diventato la risorsa più scarsa di cui disponiamo: la sensazione è di non avere mai abbastanza tempo per fare tutto. Le attività hanno infatti raggiunto dinamiche sempre più elevate e spaziano su una molteplicità di domini diversi. Per le aziende è quindi importante di individuare le modalità e gli strumenti più adatti per riuscire a gestire competenze estese e diversificate ottimizzando il fattore tempo. Con ACOR le aziende possono migliorare la produttività individuale e di team in termini di time management e in funzione di obiettivi, ambiente operativo e comunicazione (con i colleghi, con i reparti, con il proprio responsabile).

ACOR è un percorso FSC ed

è parte integrante di MindUp for Business, l’innovativa

piattaforma di servizi basata sulle mappe mentali.

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ACOR

Volontà di comprendere l’innovazione

ACOR è la risposta

La chiave del successo aziendale dipende dalla capacità di creare un’organizzazione collaborativa: le aziende devono mettere le persone nella condizione di valorizzare le proprie competenze in funzione di obiettivi di business condivisi, eliminando le barriere di comunicazione che spesso esistono tra le diverse aree aziendali. Il metodo MindUp ACOR supporta le aziende ad esprimere al meglio le potenzialità in termini di competenze e innovazione creando un mindset collaborativo. Percorsi di innovazione a livello organizzativo, tecnologico e imprenditoriale per l’acquisizione di nuova competitività. Il percorso ACOR (ambienti collaborativi orientati ai risultati) rappresenta la risposta più concreta e stabile nel tempo, perché si rivolge alle persone e ad ogni singola organizzazione. Focus sulla capacità di implementazione delle attività quotidiane, secondo una programmazione strutturata, e flussi che consentono di raggiungere gli obiettivi predefiniti fanno parte integrante del percorso poiché introdurre metodi e modalità nuove, al di là di un entusiasmo iniziale, richiede un certo sforzo e continuità.

I risultati che si possono ottenere: »» Riduzione del 50% del tempo dedicato alle riunioni »» Riduzione del 40% dei conflitti tra team »» Incremento del 17% delle performance di Vendita »» Incremento del 25% delle decisioni in prima riunione »» Riduzione del 37% delle non conformità »» Riduzione del 18% dei mancati pagamenti dovuti a contenzioso »» Miglioramento generale del clima aziendale

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Orientamento al cambiamento

Metodo e struttura

Capacità di misurare e misurarsi

Applicazione nel quotidiano

MindUp for Business: valore e innovazione d’impresa ACOR è un percorso FSC ed è parte integrante di MindUp for Business (https://mindupforbusiness.it/), l’innovativa piattaforma di servizi sviluppata da Pentaconsulting (https://pentaconsulting.it/) basata sulle mappe mentali. La piattaforma offre consulenza, metodi e percorsi formativi alle imprese che vogliono giocare un ruolo da protagonista in uno scenario di mercato caratterizzato da un cambiamento costante. Obiettivo di MindUp for Business è individuare i percorsi migliori affinché le aziende possano trarre vantaggio dalle potenzialità e opportunità del mercato. Le modalità operative sono orientate a generare efficienza, produttività e competitività.


DOSSIER IBE 2019 Con MindUp for Business, Pentaconsulting aiuta i clienti a sviluppare il business della loro azienda. Tutte le attività sono basate su metodi e servizi strutturati per valorizzare ogni Cultura singola realtà organizzativa e aziendale. innovazione cambiamento L’importanza del Metodo MindUp – Un approccio strutturato per generare, trasferire e capitalizzare nuovo valore. Per raggiungere obiettivi di business sfidanti e aumentare le performance complessive dell’azienda la tecnologia è una formidabile leva di innovazione, ma sono le persone a fare la differenza. Il Metodo MindUp è lo strumento attraverso il quale le aziende possono valorizzare il proprio capitale umano ed acquisire maggiore efficienza a livello organizzativo per affrontare con successo le sfide del mercato. Basato sulle Mappe Mentali, il metodo è stato pensato per aiutare i nostri clienti ad introdurre in azienda una cultura di innovazione e cambiamento sistemico capace di generare, trasferire e capitalizzare nuovo valore trasversalmente a tutte le aree aziendali. Le mappe mentali sono alla base di tutti i nostri percorsi di intervento e supportano le aziende nella individuazione e definizione di processi strutturati e personalizzati in una logica problem solving che deriva da oltre vent’anni di esperienza sul mercato.

Comunicazione efficace

Sviluppo Marketing e vendite Pianificazione e monitoraggio

MINDUP

Team Collaboration

mappe mentali

Organizzazione e sviluppo del personale

AD HOC

Il metodo MindUp ACOR supporta le aziende ad

Competenze e capacità per un’impresa agile ed efficiente La Formazione sul Campo prevede una parte teoricopratica in aula cui fa seguito un periodo di coaching per garantire al meglio l’adozione di quanto appreso in aula. I percorsi di formazione possono essere preceduti da una fase di assessment e seguiti da un percorso di empowerment, di crescita personale e conquista della consapevolezza di sé e del proprio valore attraverso attività di Coaching individuale, Team Coaching e Counseling.

esprimere al meglio le potenzialità in termini di competenze e innovazione creando un mindset collaborativo.

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newsimpresa DOSSIER IBE 2019 pentaconsulting’s connection 2 digital journey NOVEMBRE 2019 anno IX supplemento a www.newsimpresa.it diffusione gratuita

Aziende citate

Direttore Responsabile Massimo Fucci massimo.fucci@pentaconsulting.it Content Manager Piero Macrì piero.macri@pentaconsulting.it Editore Pentaconsulting Srl Piazza Caiazzo, 2 - 20124 Milano pentaconsulting@pentaconsulting.it Tel. 02 92958990 stampa Caudiprint S.r.l. Via Appia, 133 81028 Santa Maria a Vico (CE) www.caudiprint.it PROGETTO GRAFICO mcquadro studio creativo 28078 Romagnano S. (NO) Tel. 0163 836643 - 340 0887835

ACCENTURE

pag. 12

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Politecnico di Milano

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pag 60


Formazione e Sviluppo Competenze Formazione e Sviluppo Competenze (FSC) è l’arma migliore per rendere la tua organizzazione agile e reattiva ai cambiamenti. Scopri come migliorare le capacità decisionali, come rendere efficienti processi, persone e gruppi di lavoro in un’ottica di ambiente collaborativo orientato ai risultati.

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Top Management Area tecnica ed amministrativa Strutture Vendita Responsabili marketing

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