© Isolde Ohlbaum
Erika Burkart
Turno di notte
A cura di NINO MUZZI
el pubblicare le ultime poesie di Erika Burkart, Ernst Halter, suo compagno di vita, afferma nella breve introduzione al volume – che va sotto il titolo di Nachtschicht (Turno di notte) ed è uscito nel 2011 per i tipi della Casa Editrice Weissbooks di Francoforte sul Meno – che queste poesie sono state scritte aspettando la morte. È in questa traccia che dobbiamo leggerle. Una traccia di morte che ci fa subito inquadrare la poetessa in uno specchio di luce rilkiano, ma con una grande differenza: in Rilke la morte è necessaria a tracciare i confi ni della vita. È la parte in ombra che dà rotondità al vaso. In Erika Bur-
N
kart la morte è solo la presenza minacciosa che ci fa amare la vita. Si può anche dire che la Morte per Rilke è un punto di partenza e di arrivo, un cerchio che racchiude in sé l’esperienza della vita, viaggio tanto più significativo quanto più breve, nient’altro che una sorta di nostalgia di Morte, una Sehnsucht nach dem Tode, mentre per Erika la Morte insegue l’uomo, preso in una continua fuga dalla Morte stessa, incombente. Il suo punto di avvio è la Vita, a partire dai ricordi d’infanzia e dal mitico mondo della fiaba. Per un buon tratto della sua esistenza (1942-1955) Erika fu maestra di scuola elementare e, se le biografie 2
avessero un qualche significato per spiegare la produzione poetica, si potrebbe facilmente ipotizzare questo periodo come una sorta d’incubatrice di Poesia, una sorta di serbatoio di fiabe o di esperienze infantili, cui la poetessa avrebbe attinto poi, sempre. La bambina che esce ogni sera per una sua segreta ricognizione ai piedi di un crocifisso è lei, lei che ormai vecchia si vede come dentro uno specchio: Un morto appeso quasi nudo nella notte gelata. Stava appeso e soffriva – Lo salutava la bambina, quando di sera dopo segreta ricognizione, resuscitata, eppure estranea, camminava verso casa lungo il muro
Erika Burkart
Tutto diventa per Erika uno specchio magico da cui, trasfigurate, riemergono le tracce di una vita trascorsa:
cambia la sua percezione sensitiva e subentra una feconda confusione di sensi:
Riconoscersi su vecchie foto, in quella bambina ombrosa. Accennare ad un commiato, masticare pastiglie, bere the insapore come fosse filtro d’amore. Addolcire con menzogne a chi resterà il dolore e la pena della inevitabile dipartita.
Disse la donna, odo la luna che sale. Una lontana risacca: ciò che si ode, però non si vede, un silenzio, come si sprigiona da buie valli, risuona dall’alto di cime boscose. Sentono in altro modo le vecchie orecchie, in altro modo vedono i miei umidi lumi, confondono i tempi del giorno e dell’anno, frammenti cancellati e gioia fervente.
Ed è molto difficile mettere in gerarchia tutte le tracce materiali della sua memoria, da un albero a un riflesso di luce sulla parete di una stanza, da un suono a un odore, comunque e dovunque percepiti, perché, nell’attimo in cui si riaffacciano, spariscono le gerarchie d’importanza e tutto ha la medesima efficacia evocativa: non sono ancora morta, non son priva del fluttuante ricordo, che fui un tempo più che aria e concime, che sapevo parlare, scrivere e leggere, amavo uomini e bestie, vetro e pietre, esseri di nebbia, anche delicati arbusti, i più possenti mortali sogni della terra.
Ed è proprio in quest’ultimi versi che si annida l’ossimoro più significativo, il quale definisce i delicati arbusti come i più possenti sogni, e l’altro ossimoro che vi si accompagna e definisce i sogni possenti e insieme mortali. Unione vivida dei contrari. Contrasto di percezioni riassunto in unità. Ernst Halter, nella prefazione al volume, parla giustamente di un processo di appropriazione della Natura da parte della poetessa che nella partecipazione (Teilhabe) alle cose del mondo le interiorizza e le traspone dall’esterno al proprio interno, trasfi gurandole, e lei stessa si proietta nel l’estraneità in un processo continuo, che il suo compagno di vita definisce con la formula “Dauer im Wechsel” (continuità nel cambiamento). Quando la bambina si fa donna,
Grazie a questa confusa percezione del mondo e dei ricordi la poesia di Erika Burkart si fa più saggia e quasi assume uno stigma filosofico, riflessivo e metapoietico. Riflettere sulla creatività diventa per lei salvezza provvisoria dalla Morte, piccola fuga da una minaccia incombente: la distruzione fisica. E la esorcizza vedendosi come già morta e trasformata in aria o concime, cioè cremata o sepolta, ma lo dice negando di esserlo: non sono ancora morta, non son priva del fluttuante ricordo, che fui un tempo più che aria e concime, che sapevo parlare, scrivere e leggere, amavo uomini e bestie, vetro e pietre, esseri di nebbia
Quindi un tempo fui qualcosa di più che aria e concime, ma questo “un tempo” comprende anche il momento presente, quindi lei parla da una sorta di oltretomba, e parlandone la esorcizza. La malattia devastante le faceva talvolta scavalcare norme e confini linguistici e semantici: componeva parole nuove, non completava la frase, tendeva al nominalismo e aborriva frasi secondarie che cominciano con wenn, preferendo l’accostamento di due principali. Vuoto di memoria, urto di memoria, panico di memoria, perdita di memoria;
3
inganno e falsificazione; lente d’ingrandimento. A uno sguardo svanisce l’inconciliabilità di alcuni sogni; l’oro fiammante; blocco nero nero di anni indefinibili.
E finalmente ritorna alla lingua magica, quella dell’infanzia, al dialogo con la lingua stessa come fosse una porta girevole in cui si entra e si esce per gioco. Hai dimestichezza con la lingua dei dialoghi, come se tu la conoscessi, come se lei ti conoscesse – vi entri e ne esci con sillabe e lettere, credi per mezzo delle parole di veder cosa vedevano gli scrittori, però parlando si può dire poco, se non di questioni sempre più oscure.
Sembra che nel ritorno alla lingua dell’infanzia Erika riscopra rime e assonanze tipiche del linguaggio infantile. Halter afferma che alla fine della sua vita lei si sarebbe fatta guidare più dal suono che dal senso nel mettere insieme le parole. Noi vi leggiamo piuttosto lo sforzo di dominare sempre il verso con un senso di dolorosa sobrietà sacerdotale, e se c’è assonanza tra parola e parola non è per una ricerca di facili rime, ma per l’affiorare inconscio di omofoni che si affollavano nella ormai stanca memoria. Attraverso la memoria, la sua non fu una perdita, bensì una riconquista di se stessa. Una riconquista di se stessa bambina, di se stessa che sta all’inizio della vita e tutto deve ancora succedere, questa è l’icona di lei che preferisco: Curva sulla terra sale la luna dalla collina, dove di domenica mille anni fa, quando la mamma dietro al bancone lucidava i bicchieri, la bimba stava in piedi nell’erba alta fino al petto, occhi negli occhi coi fiori. Nino Muzzi
Erika Burkart
NACH INNEN VERLEGT
RIVOLTO ALL ’ INTERNO
Distanzen
Distanze
Die Durststrecken immer länger, die Freude ein Punkt, die Liebe ein Funke, erlöschend im Flug. Wo er schwand, ein schwarzer Stern, Fixstern Erinnern, herz-eigen und sphärenfern.
I tragitti della sete sempre più lunghi, la gioia un punto, l’amore una scintilla che si spegne in volo. Dove scomparve, una nera stella, ricordo di stella fissa, propria del cuore e lontana dalla sfera.
Altersfreuden, Altersfrust
Gioie di vecchiaia, frustrazioni di vecchiaia
Wenn jedes Wort eine Geschichte ist, an Adressen schreiben, die es nicht mehr gibt, allein sein mit fast allem, was man noch liebt, müßige Fragen bedenken: Wer bist du, wo kommst du her? Perlen, Kleider und Bücher verschenken, auch, unvollendet, die Schrift vom großen Schmerz und nächtlichen Meer.
Quando ogni parola è diventata una storia, scrivere a degli indirizzi che non esistono più, essere soli con quasi tutto quello che ancora si ama, riflettere su domande oziose: chi sei, da dove vieni? Regalar perle, abiti e libri, anche, incompiuta, la scrittura del gran dolore e del notturno mare.
Sich wiedererkennen auf alten Fotos, inbildlich dem scheuen Kind. Auf Wiedersehn winken, Tabletten kauen, den faden Tee als Liebestrank trinken. Mit Lügen Hinterbleibenden Kummer und Leid des unvermeidlichen Abschieds lindern.
Riconoscersi su vecchie foto, in quella bambina ombrosa. Accennare ad un commiato, masticare pastiglie, bere the insapore come fosse filtro d’amore. Addolcire con menzogne a chi resterà il dolore e la pena della inevitabile dipartita.
Wind
Vento
Nomade, fernher, der uns nicht kennt, Wind, das mir fremdeste Element, bis die Flut sich sänftigt zur Welle. Einstmals, zur Flutzeit, welch ein Glanz auf der Schwelle; unbetretbar schien sie; innen der Raum die Welt. Du hast mich geliebt,
Nomade venuto da lontano, ignaro di noi, il vento, l’elemento a me più estraneo, finché il flutto si placa nell’onda. Un tempo, al momento dell’alta marea, quale abbaglio sulla soglia; pareva invalicabile; all’interno lo spazio il mondo. Tu m’hai amata, 4
Erika Burkart ich hab dich geliebt – Liebe: Staub, der über uns wegstiebt in der Juni-Helle, wenn grüne Hügel und hoher Himmel uns geben, was wir nicht fassen. Nicht verpasst die Stunde, in der mein Erinnern ruht, einfriert, erblindet, erwacht, schauen lernt All-Tag und All-Nacht, elementar unter deinem Atem, Nomade. Auch wenn du tobst im Eisgraupelregen, fliegen dir Morgenvögel entgegen.
io ti ho amato – amore: polvere che volteggia su di noi nel chiarore del giugno, quando verdi colline e cielo alto ci offrono quello che noi non cogliamo. Non mancata l’ora, in cui riposa la mia memoria, si congela, si acceca, si risveglia, sa vedere la quotidianità del dì e della notte, elementare sotto il tuo respiro, o nomade. Anche quando ti scateni in folate di grandine ti volano incoltro gli uccelli del mattino.
Das einsame Kind
L’infante solitaria
Unwillig, den Tag zu beginnen, schluck ich drei Medikamente, die Stunden stocken, die Stunden rinnen, erwölkt der Mittag, der Abend rot – noch bin ich nicht tot, bin nicht bar der wandelbaren Erinnerung, dass ich einst mehr war als Luft und Dung, dass ich sprechen konnte, schreiben und lesen, Menschen und Tiere, Glas und Steine liebte, Nebelwesen, auch zarte Bäume, die sterblichen, mächtigsten Träume der Erde. Einer der ihren zu werden wünschte das Kind, saß es im Gras, über sich den Baum, Vögel, Himmel und meerher – erzählte das erste allein gelesene Buch – der allwissende Wind aus einem Seele und Augen unvorstellbaren Stern-Sonnen- und Gottesraum.
Inizio la giornata controvoglia, ingoiando tre medicine, le ore s’incantano, le ore trascorrono, si rannuvola il mezzodì, rossa è la sera – non sono ancora morta, non son priva del fluttuante ricordo, che fui un tempo più che aria e concime, che sapevo parlare, scrivere e leggere, amavo uomini e bestie, vetro e pietre, esseri di nebbia, anche delicati alberi, i più possenti mortali sogni della terra. Voleva diventare uno dei suoi l’infante, seduta nell’erba, sopra di lei l’albero, gli uccelli, il cielo e dal mare – narrava il primo libro letto da sola – il vento onnisciente che viene da uno spazio di stelle, di soli e di Dio, inimmaginabile per l’anima e per gli occhi.
Erinnern
Ricordare
Gestreift von einem flüchtigen Licht der allzeit sich wandelnde Schatten Erinnerung; willst du sie worten, zerfließt er, ist Wolke, vieldeutig, ein Nachbild deiner Vergänglichkeiten.
Carezzata da una furtiva luce ricordo d’ombra sempre cangiante; vuoi dargli voce, svanisce, si fa nube, ambigua, postuma immagine delle tue transitorietà.
Erinnerungslücke, Erinnerungsschock, Erinnerungspanik, Erinnerungsschwund; Täuschung und Fälschung; Lupe.
Vuoto di memoria, urto di memoria, panico di memoria, perdita di memoria; inganno e falsificazione; lente d’ingrandimento.
5
Erika Burkart Zu einer Ansicht verwischt Unvereinbares aus manchen Träumen; Flammengold; erzschwarzer Block aus unbestimmbaren Jahren.
A uno sguardo svanisce l’inconciliabilità di alcuni sogni; l’oro fiammante; blocco nero nero di anni indefinibili.
Die Erinnyen, der Engel Erinnerung. Das Weh eines heilenden Wissens?
Le Erinni, ricordo degli angeli. La pena di un sapere curativo?
Erinnerungssucht, Erinnerungsflucht. Durch Erinnerungen einander für immer verbundene Menschen, durch Nievergessnes unversöhnliche Feinde. Vergessen. Fortwirkend ein Tropfen vom ältern Zauber: Wahlverwandtes unwiderstehlich. Im Zweiten Gesicht das eigne Auf-Erden-gewesen-Sein in einem blitzscharfen, einem mild-trüben schmerzlichen Licht.
Ricerca di ricordi, fuga dai ricordi. Uomini uniti per sempre dai reciproci ricordi, nemici inconciliabili per cose mai scordate. Dimenticare. Dura ancora una goccia di più antica magia: affinità elettiva irresistibile. Nel secondo volto il suo aver abitato la terra in un’aspra luce di lampo, in una luce torbida e dolce, dolorosa.
Der Mann im Mond
L’uomo sulla luna
Was Hirne wissen, Zahlen benennen, du vergiss es. Vergiss. Dich fesselt der Augen-Blick; jetzt! wenn nach der Stunde der späten Gänger und langen Schatten auftaucht beim Ost-Tor Atem- um Atemzug Miegel, der Mann im Moor, der Mann im Mond, bald Kinder-, bald Greisengesicht, schaute das Kind empor zum immer wieder zerbrochenen Spiegel.
Quello che sanno i cervelli, dare un nome alle cifre, tu dimenticalo. Dimentica. Ti affascina il colpo d’occhio; adesso! quando dopo l’ora dei lenti camminatori e delle ombre lunghe affiora alla porta dell’Est respiro dopo respiro Miegel, l’uomo nella torbiera, l’uomo sulla luna, ora volto di bimbo ora di vecchio, il bimbo alzava lo sguardo verso uno specchio sempre di nuovo infranto.
Auge in Auge
Occhi negli occhi
Ich höre, sagte die Frau, den Mond aufgehn. Eine ferne Brandung: was man hört, doch nicht sieht, Stille, wie sie aus dunklen Tälern heraufdringt, von waldigen Höhen herabklingt. Anders hören die alten Ohren, anderes sehn meine schlierigen Lichter, vertauschen Tages- und Jahreszeiten, verwischte Fragmente und brennendes Glück.
Disse la donna, odo la luna che sale. Una lontana risacca: ciò che si ode, però non si vede, un silenzio, come si sprigiona da buie valli, risuona dall’alto di cime boscose. Sentono in altro modo le vecchie orecchie, in altro modo vedono i miei umidi lumi, confondono i tempi del giorno e dell’anno, frammenti cancellati e gioia fervente.
Wessen Zeit, tönt der Mond?
Di quale tempo riecheggia la luna?
6
Erika Burkart Meine Zeit. Das Werk eine Wunde; meine Sekunde löscht aus in der Ohnmacht, die mich überkommt, rücklings und sacht. Sie sagen, ich habe geschlafen! Buch und Brille am Boden – ich erinnere nichts, weder Schlaf noch Wachen noch Lesen. Du hast geträumt? Nein, kein Traum, leer bin ich erwacht, ein bis auf die Borke gehöhlter Strunk, versuche, Gelebtes zu orten, Verpasstes zu ordnen im sinnlosen Chaos der Nähe, Schemen zu bannen von Wörtern, nicht zu fluchen. Kummer.
Del mio tempo. L’opera una ferita; il mio attimo si spegne nell’impotenza, che m’invade, di soppiatto, leggera. Dicono che io abbia dormito! Libro e occhiali per terra – non ricordo nulla, né sonno né veglia né lettura. Hai sognato? No, niente sogni, vuota mi sono risvegliata, un ceppo vuoto fino alla scorza, tento di custodire il mio vissuto, di riordinare i fallimenti nel caos insensato della vicinanza, di bandire schemi di parole, di non bestemmiare. Pena.
Krumm ins Land steigt aus dem Hügel der Mond, wo sonntags vor tausend Jahren, wenn die Mutter hinter der Theke Gläser blank rieb, das Kind im brusthohen Gras stand, Auge in Auge mit Blumen.
Curva sulla terra sale la luna dalla collina, dove di domenica mille anni fa, quando la mamma dietro al bancone lucidava i bicchieri, la bimba stava in piedi nell’erba alta fino al petto, occhi negli occhi coi fiori.
Bei den Bäumen
Presso gli alberi
Wo Linde und Tanne dir verschwistert waren, das Blatt in die Hand wuchs, einem Herzen das Blatt glich, Schwester Linde! – Nadel in Nadel spiegelten Tanne und Kiefer.
Dove il tiglio e l’abete ti erano fratelli, la foglia cresceva in mano, la foglia simile a un cuore, Fratello Tiglio! – Aghi negli aghi si specchiavano tiglio e abete.
Weglos über Ähren und Schnee fand die Glocke zum Haus, dessen Fenster Augen auf Bäume waren, die mich wiedererkannten, kehrte ich heim von weit.
Vagando su spighe e su neve la campana trovava la via di casa, le cui finestre erano occhi sopra agli alberi, che mi riconoscevano, quando tornavo a casa da lontano.
Kränze von Zweigen wuchsen den Bäumen; in ihrem schützenden Schatten verzwergte die Frau, fühlte, gelehnt gegen einen Nußbaumstrunk, menschliche Form mit ihrem immer geringeren Körper.
Corone di rami crescevano agli alberi; nella loro ombra protettiva la donna rimpiccioliva, piena di sensazioni, poggiata contro il ceppo di un noce, forma umana, con il suo corpo sempre più minuto.
Vor die offene Tür, die Einlass gewährt Verschollnen und Toten meines Lebens, treiben im Spätherbst
Dinanzi alla porta aperta, che concede accesso agli smarriti e ai morti della mia vita, spuntano in tardo autunno
7
Erika Burkart aus der Dämmerung schwarze Blätter, tasten Wörter nach ihrem verlorenen Sinn, decken Sinn und Bild sich, verwandelt, in einem wiedergefundenen Wort.
nere foglie dalla penombra, le parole vanno in cerca del loro senso perduto, senso e immagine si sovrappongono, trasformati, in una parola ritrovata.
Reflexe
Riflessi
Reflexe auf Büchern und Wand von Lichtern aus einem andern Land. Wetterleuchten. Sie meidet den Spiegel, kämmt, in sich schauend, Gedanken und Haar. Zuckt – erinnert das Dürre-Jahr, das Knistern von Blitzen und Hungergras. Letztes Leuchten. Ferner das Grollen, Reflexe und Spiegel aus, mähliche Schatten lösen aus seinen Wurzeln das alte Haus. Regenschauer. Nach 11 beiseit im Zwielicht die Gäste der späten Stunde. Sie räumen den Tisch, haben Zeit, kennen den Ort, wo man schrieb und aß, Nächstes im Blick, ins Weite sann, von Hier nach Dort den Sinn-Faden spann, im Blauen Buch. Die Waldhirtin las, furchtlos in zaubrischer Scheu bei Bären und Wölfen, in Höhlen saß, geliebt jedes Tier zum Prinzen genas. Sein oder Nichtsein. Ein alt-neues Wort, vergisst sich nicht, redet einer ins Dunkel mit sich allein.
Su libri e parete i riflessi di luci di un altro Paese. Balenio. Lei evita lo specchio, pettina, guardando in se stessa, pensieri e capelli. Sobbalza – ricorda l’anno della siccità, il crepitio di fulmini e di erba della fame. Ultimo baleno. Più lontano il brontolio del tuono, finiti i riflessi e lo specchio, ombre progressive liberano la vecchia casa dalle sue radici. Acquazzone. Dopo le 11 nell’ombra appartati gli ospiti dell’ora tarda. Sparecchiano la tavola, hanno tempo, conoscono il posto dove si scriveva e si mangiava, si rifletteva in ampiezza su ciò ch’era prossimo allo sguardo, da qui a laggiù si tendeva il filo del senso, nel Libro Blu. La pastora dei boschi leggeva, nel magico rispetto, senza paura, accanto a orsi e lupi sedeva nelle grotte, ogni bestia amata si trasformava in un principe, salvata. Essere o non essere. Parola vecchia e nuova, non si dimentica, da solo nel buio uno parla a se stesso.
Reden und Lauschen
Parlare e origliare
Umgang hast du mit der Sprache, Gespräche, als kenntest du sie, als kennte sie dich – gehst in Silben und Lauten aus und ein, glaubst mittels Worten zu sehn, was Schreibende schauten, läßt sich, redend, doch wenig sagen, es sei denn in immer dunkleren Fragen. Mit schlichten und schwierigen Sätzen
Hai dimestichezza con la lingua dei dialoghi, come se tu la conoscessi, come se lei ti conoscesse – vi entri e ne esci con sillabe e lettere, credi per mezzo delle parole di veder cosa vedevano gli scrittori, però parlando si può dire poco, se non di questioni sempre più oscure. Con frasi sobrie e difficili
8
Erika Burkart das Große Schweigen vergittern. Schweigend dem Rauschen der Stille lauschen. Im Lauschen hinter Seufzer und Silbe den unsichtbaren, den wahren Menschen wittern. Das Buch als Botschaft; alte Reime als Brücken, die dich in Landschaft und Zeit Ungeborener und Entschwundener entrücken, so wirklich wie wunderlich.
imgabbiare il Gran Silenzio. Tacendo ascoltare il brusio del silenzio. Origliando dietro singhiozzi e sillabe prevedere la persona, quella vera, invisibile. Il libro come messaggio; antiche rime come ponti che ti allontanano in paesaggi ed epoche di non ancora nati e di defunti, così reali e insieme così strani.
Die Wahrheit der Märchen
La verità delle fiabe
Gefährdet sind, die sich lieben.
In pericolo son quelli che si amano.
Das Personal ist dasselbe geblieben, findet sich eine Seele, ein Mund, der Märchen kundtut, als wär er dabeigewesen, da Könige Bettler, länger die Jahre, die Bäume gefeit, allwissende Vögel, Geister und Genien mit uns waren, über und unter der Erde Tiere unsere Sprache sprachen, unverborgen, mitgerissen im Stieben der Erinnern wie Vergessen fressenden Zeit –
Il personale è rimasto lo stesso, se si trova un’anima, una bocca, che racconta delle fiabe come se fosse stata presente, dato che re mendicanti, anni più lunghi, alberi intoccabili, uccelli onniscienti, spiriti e genietti erano con noi, le bestie parlavano la nostra lingua sopra e sotto terra, apertamente, trascinate nel crepitare del tempo che consuma ricordi e oblio –
Gefährdet sind, die sich lieben.
In pericolo son quelli che si amano.
Winterliches Wegkreuz
Crocicchio invernale
Das Wegkreuz. Ein aufrechter Toter nahezu nackt in frostiger Nacht. Der hing und litt – Ihn grüßte das Kind, wenn es abends nach heimlichem Flurgang, eine Wiedergekehrte, doch fremd, längs der Mauer nachhaus ging, ein Nachtwild, im Schnee morgens sein spurender Schritt.
Il crocicchio. Un morto appeso quasi nudo nella notte gelata. Stava appeso e soffriva – Lo salutava la bambina, quando di sera dopo segreta ricognizione, resuscitata, eppure estranea, camminava verso casa lungo il muro, notturna selvaggina, nella neve, al mattino la traccia del suo passo.
Bord am Weg zum Bergwald
Bordo del sentiero verso il Bergwald
Ein Weg; in der Zeit nach innen verlegt. Noch kann ich ihn gehen,
Un sentiero; col tempo rivolto all’interno. Lo posso ancora percorrere,
9
Erika Burkart ich geh ihn allein.
lo percorro da sola.
Frühjahr. Berge aus Schnee; nichts als Schnee, furchtbar und rein hoch überm Weg-Bord, seinem zerlöcherten Fell.
Primavera. Montagne di neve; nient’altro che neve, terribile e veramente alta sul bordo del sentiero, sul suo manto traforato.
In Enziansternen öffnet die Erde die Augen, Blau aus Essenzen von Träumen, die man träumt, bevor man erwacht ins frostverkrampfte, im Sommer von Schwermut verschattete, Nacht-Gewittern verstörte Leben.
La terra apre occhi di stelle di genziana, azzurre di essenze di sogni, che si fanno, prima di svegliarsi in una vita raggelata, d’estate ombreggiata di malinconia, turbata da tempeste notturne.
Ich gehe, sehe – von Winteralpträumen sich freischaun – die ersten, aus Stein und Eis auferstandenen Blumen.
Io procedo, vedo – liberi dagli incubi invernali – i primi fiori risorti dalla pietra e dal ghiaccio.
Einschneien abends
Innevamento serale
Alle sind da. Warten. Schneehasen, Murmeltier, der weiße Rabe, das Krippenlamm, Brüderchen Reh, abseits die geisteräugige Eule, der Jäger mit der knöchernen Keule.
Son tutti qui. Aspetta. Lepre bianca, marmotta, il corvo bianco, l’agnello da presepe, fratellino capriolo, la civetta defilata con occhi spiritati, il cacciatore con la mazza nodosa.
Der Schnee-Engel weicht zurück in die Hecke das allwissende Buch unter dem enger geschlungenen Tuch, Eissplitterklirren im Heckengestrüpp löscht sein Gesicht.
L’angelo della neve si ritira nella siepe il libro d’onniscienza sotto il panno avvolto più stretto, crepitio di ghiaccio tritato nel cespuglio cancella il suo volto.
Im Buch ist das Licht –, da schon die Nacht um die Mauer tappt, der alles tilgende Schatten naht, aus sinkendem Himmel flaumige Saat sich in Wälder, weglose Weiten senkt. – Aus froststarrem Tannenfittich der Kopf eines Pferdes, Tier, das denkt, das seinen Reiter verlor im vereisten, vom Blut der Sage gezeichneten Moor.
Nel libro c’è la luce – dato che la notte va brancolando intorno al muro, si avvicina l’ombra che tutto estingue, dal cielo che si abbassa cala una semina lanosa negli ampi boschi privi di sentieri. – Dalle fronde dell’abete incrostate di brina la testa di un cavallo, bestia pensante, che ha perduto il proprio cavaliere nella torbiera gelata, segnata dal sangue della saga.
10
Erika Burkart
Fragment
Frammento
Das Bruchstück. Aus den Bruchkanten keimen Vermutung und Ahnung, schließt der Leser das Buch, spinnt weiter am zerrissenen Faden, lässt Leerstellen offen, flickt aus mit eigenen Mustern und Mutmaßungen.
Il frammento. Dagli angoli sbrecciati germogliano supposizione e presentimento, se il lettore apre il libro, continua a tessere il filo interrotto, lascia aperte vuote lacune, esegue rattoppi con propri modelli e ipotesi.
Ein Fragment wird von jeder Epoche anders gelesen, wir wirken hinein das Zeitgemäße, deuten, addieren und kombinieren, gewahren; an äußersten Rändern, in den innersten Lücken wuchert Vages und Schiefes, ängstigt und narrt.
Un frammento vien letto da ciascuna epoca in modo diverso, dentro vi proiettiamo l’attualità, spieghiamo, aggiungiamo e combiniamo, scopriamo; sui bordi estremi, nei più profondi interstizi prolifera un che di vago e di sinistro, che fa paura e intriga.
Was den Schlaf des Lesers verstörte, schaute, unerträglich genau, ein Wacher, der hinter sich und voraus sah, wofür die irdische Stunde nicht reichte, was in siderischer Zeit sich zuend denkt – einmal im Licht und nie mehr –
Quel che turbava il sonno del lettore, uno sveglio l’osservava con incredibile esattezza se si guardava alle spalle e di fronte, il tempo terreno non bastava a pensar fino in fondo in tempi siderali – una volta nella luce e mai più –
Bruchstück: keiner kann den andern ergänzen im Punkt, der die Mitte ist.
frammento: nessuno può integrare l’altro nel punto che rappresenta il centro.
Aus Nachtschicht, 2011
Da Turno di notte, 2011
Traduzione di Nino Muzzi
11