© Isolde Ohlbaum
Erika Burkart
Turno di notte
A cura di NINO MUZZI
el pubblicare le ultime poesie di Erika Burkart, Ernst Halter, suo compagno di vita, afferma nella breve introduzione al volume – che va sotto il titolo di Nachtschicht (Turno di notte) ed è uscito nel 2011 per i tipi della Casa Editrice Weissbooks di Francoforte sul Meno – che queste poesie sono state scritte aspettando la morte. È in questa traccia che dobbiamo leggerle. Una traccia di morte che ci fa subito inquadrare la poetessa in uno specchio di luce rilkiano, ma con una grande differenza: in Rilke la morte è necessaria a tracciare i confi ni della vita. È la parte in ombra che dà rotondità al vaso. In Erika Bur-
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kart la morte è solo la presenza minacciosa che ci fa amare la vita. Si può anche dire che la Morte per Rilke è un punto di partenza e di arrivo, un cerchio che racchiude in sé l’esperienza della vita, viaggio tanto più significativo quanto più breve, nient’altro che una sorta di nostalgia di Morte, una Sehnsucht nach dem Tode, mentre per Erika la Morte insegue l’uomo, preso in una continua fuga dalla Morte stessa, incombente. Il suo punto di avvio è la Vita, a partire dai ricordi d’infanzia e dal mitico mondo della fiaba. Per un buon tratto della sua esistenza (1942-1955) Erika fu maestra di scuola elementare e, se le biografie 2
avessero un qualche significato per spiegare la produzione poetica, si potrebbe facilmente ipotizzare questo periodo come una sorta d’incubatrice di Poesia, una sorta di serbatoio di fiabe o di esperienze infantili, cui la poetessa avrebbe attinto poi, sempre. La bambina che esce ogni sera per una sua segreta ricognizione ai piedi di un crocifisso è lei, lei che ormai vecchia si vede come dentro uno specchio: Un morto appeso quasi nudo nella notte gelata. Stava appeso e soffriva – Lo salutava la bambina, quando di sera dopo segreta ricognizione, resuscitata, eppure estranea, camminava verso casa lungo il muro