ISSN 2531-7040
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nipoti di
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etica ecologica: quali prospettive
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sinodo dei giovani: domande e attese
democrazia e finanza: possono convivere?
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intervista Bruno Bignami e l ’e c o l o g i a r e l a z i o n a l e
Nipoti di Maritain Anno III Numero 6
ISSN 2531-7040
22 maggio 2018
Direttore Responsabile: Piotr Zygulski Redazione: Lorenzo Banducci, Niccolò Bonetti Progetto Grafico e Impaginazione: Mattia Carletti, Gianni Oderda Editore e Proprietà: Nipoti di Maritain è edito dall’associazione di fatto non riconosciuta – con lo scopo di diffondere il dibattito ecclesiale – denominata “Nipoti di Maritain”, che ne possiede piena proprietà. La sede è presso la Casa delle Associazioni Laicali in Via San Nicolao 81 - 55100 Lucca. Pubblicazione: Nipoti di Maritain è un prodotto editoriale, numerato in sequenza di pubblicazione, non soggetto ad obbligo di registrazione in quanto privo di periodicità regolare (legge n. 62/2001, art. 1). È pubblicato presso World Wide Web in formato PDF scaricabile al link https://issuu.com/nipotidimaritain Diritti: Nipoti di Maritain è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale
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Dibattito • Etica ecologica 10
Proemio per un ambientalismo cristiano di Christian A. Polli
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La difesa del creato: elementi di riflessione per un’attività umana sostenibile di Marco Bozzetti, Domenico Repice e Luca Sabatino
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Educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente di Luca Carbone
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Visto da sud: la prospettiva meridiana per una teo(eco)logia di Rosario Sciarrotta
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Riverberare l’Alleanza: custodire ad immagine e somiglianza di Dio di Filomena Piccolantonio
• Democrazia e Finanza 28
Moneta unica o giustizia sociale? Un non-falso dilemma di Davide Penna
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Per un servizio reciproco di Lorenzo Banducci
34
Verso una finanza funzionale alla democrazia di Piotr Zygulski
Indice
• Sinodo dei Giovani 38
Fiducia, coraggio e coscienza: una profezia per i giovani di Andrea Bosio
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Un sinodo dinamico e testimoniante di Giovanni F. Piccinno
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La critica della ricerca: appunti filosofici ai margini del mistero dei giovani di Vito Impellizzeri
Rubriche INTERVISTA 5 0 Bruno Bignami e l’ecologia integrale relazionale
a cura di Piotr Zygulski
Laudate Hominem 5 3 Liturgia e creato
di Christian Cerasa
RODAFÀ 5 6 Onnigami
di Stefano Sodaro
A BEN VEDERE 5 9 La rilevanza teologica del sociale in Enrico Chiavacci
di Rocco Gumina
UMANESIMO INTEGRALE 6 2 Il mistero di Israele come mistero dell’altro
di Emanuele Pili
A MISURA D’UOMO 6 5 Castità, povertà e obbedienza: consigli evangelici per i politici
di Piotr Zygulski
IMPRESSIONES 6 8 It: vedere (nel)l’altro uccide la paura del non-altro
di Davide Penna
RECENSIONE 7 1 Dio è anche giardiniere
di Federico Ferrari
5
6 Nipoti di Maritain
Editoriale di Niccolò Bonetti
Siamo arrivati alla sesta uscita, nel terzo anno di pubblicazione, della nostra rivista “Nipoti di Maritain” che vuole promuovere, nel rispetto della pluralità delle sensibilità ecclesiali, un franco dibattito sui temi più controversi e discussi del nostro tempo. Questo numero nella sua prima e più corposa parte, costituita da ben undici contributi, mette al centro tre temi di forte attualità sociale ed ecclesiale quali l’etica ecologica, il rapporto fra l’economia finanziaria e la democrazia e le attese in vista del Sinodo dei giovani del 2018; la seconda parte del numero è costituita da otto rubriche che, oltre a riprendere in alcuni articoli la tematica ecologica, trattano di argomenti quali ad esempio la morale sociale in E. Chiavacci o il mistero di Israele in J. Maritain. Per quanto riguarda il primo quesito, non si può che osservare quanto il tema ecologico sia diventato centrale negli ultimi decenni non solo nel dibattito pubblico globale ma nelle stesse chiese: il riscaldamento globale sempre più incontrollabile, l’estinzione di massa di migliaia di specie animali e vegetali per cause antropiche, un’inarrestabile deforestazione in molte aree dell’Africa e del Sud America, l’avanzata della desertificazione anche in regioni temperate e il
progressivo depauperamento delle risorse ittiche causata da una pesca sempre più eccessiva sono fenomeni drammatici e innegabili che ci interpellano sia come cittadini che come cristiani inchiodandoci alle nostre gravi responsabilità di peccatori ecologici. Nonostante qualche successo parziale (pensiamo all’arresto dell’assottigliamento della fascia di ozono) e nonostante la progressiva crescita della coscienza ambientalista in molti paesi del mondo – specialmente occidentali – anche grazie alla meritoria opera di sensibilizzazione di molte associazioni ecologiste, il futuro ecologico del nostro pianeta rimane incerto e critico. Qual è la responsabilità dei cristiani nel degrado ecologico? Quali erronee interpretazioni della Scrittura hanno contribuito a giustificare uno sfruttamento dissennato del creato? L’antropocentrismo biblico è ancora sostenibile? La natura ha davvero senso solo come mezzo per il soddisfacimento dei bisogni umani? È necessario un radicale cambio di paradigma per quanto riguarda i rapporti fra umanità e creazione? Quali precetti morali elaborare per non essere complici di una struttura di peccato che sta conducendo al collasso l’equilibrio ecologico di Gaia? Come i cristiani possono essere segno profetico
7 dell’alleanza fra uomo e natura? Gli articoli che sono arrivati provano a rispondere a questa (e a molte altre) domande prendendo spesso spunto dalla Laudato si’ di papa Francesco: Polli ad esempio propone di passare da una visione antropologica in cui l’uomo è il dominatore della natura ad una in cui egli è il governatore del creato e le altre creature sono sue collaboratrici sviluppando in questa modo una visione più armonica tra l’essere umano e ambiente mentre Bozzetti, Repice e Sabatino denunciano la falsa neutralità del sapere scientifico che agevola scelte dannose per l’ambiente. Carbone sottolinea invece l’importanza della conversione ecologica che va intesa come una riconciliazione che abbraccia l’intero creato e che rimarca il nesso fra ecologia umana ed ecologia ambientale, Sciarrotta ricorda che l’atteggiamento ecologico si fonda su un sentimento di profonda appartenenza dell’uomo alla natura che deve svilupparsi secondo la regola della reciproca interdipendenza e infine Piccolantonio critica l’antropocentrismo in nome di un’eguale dignità di tutti gli esseri viventi in quanto tutti partecipi del soffio vitale. A mio avviso è importante superare un antropocentrismo che vede negli ecosistemi solo dei beni strumentali funzionali allo sfruttamento umano e riconoscere le comunità bioetiche come beni intrinseci ovvero come portatori di un valore in sé a prescindere dalla relazione e dall’utilità che l’uomo
può trarre da esse. Passando al secondo tema che riflette su quale rapporto sia più corretto fra finanza e democrazia, i contributi sottolineano la necessità di riportare un mondo finanziario sempre più globalizzato sotto il controllo di autorità democratiche e rappresentative degli interessi dei popoli sottraendolo alla gestione esclusiva delle tecnocrazie e delle oligarchie economiche. Su questo tema è utile ricordare sul tema della riforma del sistema finanziario e monetario internazionale un importante (ma dimenticato) documento del 2011 del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che proponeva la creazione di un corpus minimo condiviso di regole necessarie alla gestione del mercato finanziario globale, l’istituzione di una Banca centrale mondiale che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari e l’introduzione di una tassazione delle transazioni finanziarie. A mio parere, la globalizzazione economica e la sempre maggiore integrazione finanziaria tra gli stati sono processi effettivamente irreversibili ma non possono semplicemente essere abbandonati alle leggi del mercato e della concorrenza: essi devono essere orientati da autorità sovranazionali rappresentative di tutte le nazioni nella direzione del bene comune di tutti i popoli. Lo stesso processo di integrazione europea rischia di fallire aggravando le disuguaglianze fra gli stati se, dopo la creazione di un mercato comune e all’unificazione monetaria, non si giungerà
8 Nipoti di Maritain rapidamente ad una piena unità fiscale, politica e di bilancio fra i paesi europei. Quanto agli articoli, essi sono contrassegnati da una pluralità di posizioni: da una parte Penna critica il Fiscal Compact sostenendo che l’inserimento in costituzione del vincolo del pareggio in bilancio apra la strada alla dissoluzione dello stato sociale, dall’altra Banducci accetta il Patto di Bilancio purché sia accompagnato a livello europeo dalla capacità di mettere in atto politiche anticicliche e di sostegno dello stato sociale. Infine Zygulski denuncia la scarsa democraticità di molte decisioni non liberamente scelte dai popoli ma imposte da oligarchie economiche e chiede una vera democratizzazione della finanza che passi tramite l’accesso universale alla valuta a condizioni dignitose. L’ultima questione riflette sulle attese e le prospettive per il prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani, tema che non può che intrecciarsi con quello del discernimento vocazionale. La questione del rapporto fra Chiesa e giovani è un grave problema per tutte le realtà ecclesiali, dato che il quasi completo abbandono da parte degli under 40 delle liturgie domenicali e in generale delle attività ecclesiali mette in pericolo la sopravvivenza stessa delle comunità cristiane in molti paesi europei. Esistono strategie pastorali per valorizzare maggiormente i giovani nelle strutture ecclesiali? Come rendere la Chiesa un luogo in cui il giovane possa non trovarsi a disagio?
Bosiovolenihilia ad esempio pra chiede al Sinodo Tem volupta dolorisitiae che esso nus non voluptas si chiudainis in veun lias et et laboratem fugita et modello astratto di “giovane”, quam dolutem con corequello pre eum, ma si confronti reale quis apedi corianit, non ra qui e concreto poiché troppo a lungo con cullorrori offic tes ipsapis la Chiesa avrebbe pensato la eatemporem di cum rerum venis realtà giovanile attraverso schemi porrore scius, con re estruntiore sganciati dalla realtà, non nimusa volla audicPiccinno te qui invece propone di valorizzare dolore ilique nonsente vit exil giovane comenihicit soggetto plabo rerunde vel attivo idem accabo. Nemdiet evangelizzazione dissiminum facdell’opera cabo rumquisquas delest fugit mentre, alla fine della sezione, quunt reptasperem alignieniet trova spazio la densa meditazione quid que prore, ut res maio. Nam di Impellizzeri che prova ad doluptam excest, consequam abbozzare una grammatica voluptur, odist resti blatemq uafilosofica della critica ricerca. tempo rporum eatetdella volluptatia Passando alle rubriche, come doluptas explabore am fugiae avevamo troviamo name sum accennato, unt faccusam, corum ulteriori contributi si legano fuga. Berem qui che ommodipient et, landusecologica: vollendi èvoluptaallanat tematica il caso te comnihi tatur, conseque eium della riflessione liturgica sul creato ea suntibusCerasa, ulpariodell’intervista nseria si re di Christian corro quam, quistia quuntem a Bruno Bignami sull’ecologia con exceatem ne maximin nem integrale relazionale e della la dolor ad ulles atureperatem recensionecus. a cura di Federico ipicipsus Ferraricone a “Dio è anche giardiniere” Cium nim a conet doluptiadel teologo Christophe Boureux. tum aute consequis expere cum Nell’intervista viene rilanciata la ressum nostibus dest qui imus, is quodit di rerio voluptiam inproposta un vit antropocentrismo cte est, ent. non dispotico ma relazionale Ovide doluptate nia veles fondatoquos sulla custodia della experum quatessitat moluptas creazione mentre Ferrari reicia volorio. Ita nosam, te pesottolinea l’originalità dell’esegesi dit volo blatior eptasiti blauta “ecologica” Boureux ene applicata nus porumedinulparia sunt al racconto del giardino edenico o omnihillam, quatium eatis doad altri episodi Speriamo luptatem et mintbiblici. lit, con reheniche questo ricco fugiatem. e plurale numero maios excerisit Ceperferat essinto essit, untenihillab incontri il gradimento di voi lettori incimpos asi commolo ribusda offrendo spunti di riflessione su ndamus nat. temi tanto importanti per il nostro Hariassimin pa prem quam vera futuro e vi spinga a partecipare si cum haruptaquo magnam, in numero sempre maggiore al quos enditem fugiat facepero progettoque della nostra rivista. exerro imus. Que
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Dibattito Etica ecologica ÂŤ La crisi ecologica e la sfida della sostenibilitĂ in che modo trasformeranno la morale cattolica nei prossimi decenni? Âť
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Proemio per un ambientalismo cristiano di Christian A. Polli
“non più dominatore del Creato, ma governatore del Creato”
Affrontare la questione ambientalista in seno alla dottrina cristiano-cattolica rappresenta una sfida per qualunque credente che intenda ragionare su tale spinoso, quanto embrionale, argomento. La riflessione antropocentrica propria del cristianesimo – e di tutte le religioni abramitiche in generale – spinse i redattori del testo sacro ad una produzione letteraria incentrata sul rapporto tra Dio e l’uomo culminante, per i cristiani, nella figura di Gesù di Nazareth. La natura, dunque, non è mai chiamata in causa come soggetto della narrazione di un determinato episodio, quanto piuttosto come corredo “metaforico” al mistero e alla scoperta di che cosa sia l’uomo nel contesto della Provvidenza. Non si può insomma pretendere, da parte del messaggio biblico in senso lato, un rispetto della natura nel senso moderno come noi lo intendiamo, per ovvie contestualizzazioni storiche. Ne consegue che il patrimonio di riflessione teologica sul Creato
offerto da duemila anni di storia del Cristianesimo è alquanto carente, se non addirittura nullo. Inoltre il cristianesimo, dai primi secoli fino alle soglie dell’età contemporanea, era indissolubilmente collegato ad una società che era in lotta per la sopravvivenza davanti ad un mondo ostile e non sottomesso a quella plenitudo potestatis data all’uomo da Dio che emerge dalle prime pagine della Genesi1. Soltanto a partire dalla tarda rivoluzione industriale, davanti a quello che sembrava il definitivo dominio della tecnica e della scienza sull’etica avanzato nel XIX secolo dal positivismo comtiano, il cristianesimo cattolico, attraverso l’autorità morale del magistero pontificio, ha progressivamente manifestato una viva preoccupazione per l’errato connubio tra l’azione umana e il Creato. Dalla Pacem in 1
Gn 1,28: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”».
11 terris di san Giovanni XXIII (1963) alla Laudato si’ di Francesco, insieme al raffinamento degli strumenti d’indagine ad opera delle associazioni ambientaliste e governative e alla progressiva sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle tematiche ambientali, le encicliche tentano di gettare delle basi per una “teologia ambientalista” sempre più marcata, al fine di salvaguardare l’integrità dell’ecosistema. Fatte queste premesse emerge, quindi, che è risultato necessario partire dai pochissimi dati delle Scritture e della traditio ecclesiae per creare ex novo, sulla scia degli enormi sviluppi che le scienze ambientali hanno compiuto a partire dalla metà del secolo scorso, una “teologia ambientalista cristiana” volta a coniugare la carità evangelica con il rispetto di tutte le creature. Quali sono i punti principali per questa teologia ambientalista, dunque? 1. Una nuova denominazione del titolo che l’uomo ha nei confronti del Creato: non più dominatore del Creato, come si legge ancora nella Preghiera Eucaristica IV del Messale Romano; ma governatore del Creato. Tale titolo risponde, a mio avviso, meglio a quanto espresso nell’articolo 373 del Catechismo della Chiesa Cattolica, allorché la commissione teologica affermò che l’uomo e la donna, in quanto «amministratori» del Creato, devono «partecipare alla Provvidenza divina verso le altre creature».
2. Vorrei, però suggerire un ulteriore ampliamento e approfondimento di quanto già esposto dal Catechismo o dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa. In quanto amministratori (o governatori, come da me suggerito), l’umanità deve impostare un’azione “collegiale” nella gestione del Creato e non più rigidamente “verticale” basata sull’asse DioUomo. Le creature, come hanno dimostrato l’etologia e la biologia, non sono “inferiori” all’uomo se non per il “raziocinio cognitivo” che è peculiare di quest’ultimo. Gli animali, per meccanismi intrinseci alla loro natura, operano e percepiscono la realtà naturale in modo più corretto nei confronti della «casa comune» di quanto abbiano fatto gli uomini con la loro “presunta” superiorità. Ne consegue che l’uomo, in quanto fatto a immagine e somiglianza di Dio, è un primus inter pares che, grazie all’ausilio del raziocinio cognitivo, deve collaborare con tutte le creature (suoi fratelli nel Creato) per una visione ecosostenibile di questa nostra terra. 3. Davanti a questa nuova consapevolezza, anche il sistema sacramentale-penitenziale deve subire un’evoluzione, introducendo quelli che sono i peccati contro il Creato, inteso principalmente come l’epifania di Dio nella Storia del Cosmo. Tale categoria di peccati non riguarda soltanto i nostri fratelli “in Cristo” (gli uomini) a causa di strategie o condotte nocive contro le
“l’uomo è un primus inter pares che deve collaborare con tutte le creature”
12 Nipoti di Maritain
“i peccati contro il Creato devono essere maggiormente rimarcati nell’insegnamento della Chiesa”
“prendere spunto da culture che hanno sviluppato una visione più armonica tra l’essere umano e la natura”
comunità da noi vissute («egoismo collettivo», LS §204), ma anche le creature in generale. Le violenze sistematiche e gratuite sugli esseri viventi, come la pratica della caccia quale hobby e del bracconaggio; o la distruzione sistematica di foreste e la desertificazione che ne consegue sono solo alcuni peccati che devono essere maggiormente rimarcati nell’insegnamento della Chiesa (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica §2418). 4. In questo senso, ritengo che sia utile prendere spunto da culture che, lungi dall’essere totalmente antropocentriche, hanno sviluppato una visione più armonica tra l’essere umano e la natura che lo circonda. Penso alle filosofie e religioni orientali, quali il Buddhismo e, ancor di più, lo Shintoismo giapponese. Senza cadere nella loro dimensione più o meno panteistica/animista, esse ricordano comunque che la natura ha uno spirito, che è dunque viva e quindi degna di rispetto e salvaguardia da parte dei governatori del Creato. Queste sono le possibili innovazioni ex novo per la dottrina cristiano-cattolica al riguardo. Se si passa invece alle “revisioni” della Dottrina Sociale della Chiesa, bisognerà a mio avviso riguardare, in nome della ecosostenibilità, la questione della generatività. Il tema è alquanto spinoso e oggetto di controversie tra la dottrina della Chiesa Cattolica e parte del mondo contemporaneo fin dai tempi dell’Humanae Vitae di Paolo VI (1968): da un lato, la tradizionale ottica procreatrice
propugnata sulla base di Gn 1,28: «Siate fecondi e moltiplicatevi»; dall’altro, la consapevolezza che un aumento esponenziale della popolazione del pianeta è inversamente proporzionale alle sue risorse. Credo che bisognerà saper contestualizzare e adattare questo precetto alle necessità concrete dei tempi, ben sapendo che la rigida interpretazione tommasiana della natura della sessualità umana, formulata nel lontano XIII secolo, vada contestualizzata in un mondo che chiede un’ermeneutica spirituale diversa. Così come bisognerà continuare sulla strada per lo sviluppo e l’arricchimento dell’ermeneutica cristiana del Creato, sperando che questo Proemio possa essere utile al dialogo intra-ecclesiale e non solo.
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La difesa del creato. Elementi di riflessione per un’attività umana sostenibile. di Marco Bozzetti, Domenico Repice e Luca Sabatino
Il rapporto uomo-ambiente entra in crisi con la rivoluzione industriale. Recentemente lo si è riscoperto come problema di cui occuparsi. Nelle chiese cresce la consapevolezza della necessaria presa di coscienza per un’etica ambientale e per norme realistiche al fine di un comportamento più responsabile. La sfida ecologica e la sostenibilità che ne costituisce l’aspetto operativamente vincolante pongono – come sollecitato da papa Francesco nella Laudato si’ – domande le cui risposte sembrano lontane, così come lo sono proposte teoriche, scientificamente confermate, universalmente condivise e praticamente efficaci.
Il sapere occidentale si muove nell’ambito della scientificità. Da Galilei in poi, con il metodo ipotetico-deduttivo, si parte da ipotesi assunte a premessa deducendo conclusioni o tesi da verificare sperimentalmente e da riprodurre. Si è definitivamente assunta la scientificità delle affermazioni come prova di veridicità delle stesse, per cui qualunque studio che superi la selezione dei referees ed entri nel circuito di diffusione mediatico assume valore “dogmatico” paragonabile ai grandi misteri della fede! La storia scientifica dimostra quanto le certezze relative alle teorie, come sostiene Thomas S.
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Kuhn1, siano soggette a verifiche costanti. Si assiste a intermittenza a rotture con precedenti prassi scientifiche. Inizia così «una prassi nuova che si svolgerà secondo regole differenti ed entro un differente universo di discorso». Molte delle teorie principali si rivelarono incomplete e le successive, parte di un nuovo paradigma, le assunsero con il ruolo di “casi particolari” delle medesime. La fede cieca nella ricerca scientifica porta all’elaborazione di ipotesi, che diventano un faro al punto che i saperi successivi in termini di Economia, Politica, Agire morale e Diritto, risultano gerarchicamente inversi rispetto ai saperi eticamente controllabili. Papa Francesco ha spesso “ipotesi valide ai denunciato la smisurata fini del manteniconcentrazione di ricchezza mento degli econelle mani di pochi. Aristotele sistemi, non prese nell’Etica Nicomachea, anticipò in considerazione profeticamente la questione perché non suffiquando affermò che pochi ricchi cientemente remupotenti, ritenendosi depositari nerative: tutto ciò dell’autorità morale, avrebbero non può non intefinito per determinare le leggi ressare la teologia della polis, indirizzandole in morale” vista dei propri fini2. Le teorie che superano gli esami di revisione 1
T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 2009. 2 Per esempio la campagna di vaccinazioni mondiale e quella del controllo delle nascite in Africa, entrambe sostenute dal magnate Bill Gates.
spesso sono supportate non da fini morali – il bene comune per il benessere della polis – ma per l’incremento di potere e di ricchezza di coloro che dirigono i saperi di pertinenza e delle strutture di diffusione delle teorie. L’effetto devastante è che ipotesi valide ai fini del mantenimento dei sistemi integrati, quali gli ecosistemi, non siano prese in considerazione, semplicemente perché a basso costo e non sufficientemente remunerative per il sistema economico e per chi lo dirige: tutto ciò non può non interessare la teologia morale. Il sapere scientifico, asettico nella ricerca dei suoi oggetti, in realtà sembrerebbe non esserlo del tutto e ciò conduce ai devastanti effetti sperimentati dal mondo tecnologicamente avanzato: estinzioni di intere specie, rovina degli ecosistemi, ivi incluse le comunità umane ad essi collegate. Il progresso sembra non salvaguardare l’oggetto che il sistema ecologico persegue ontologicamente: la persistenza dei suoi componenti, degli equilibri, dei suoi elementi costitutivi, delle relazioni interne, delle informazioni biologiche in esso scambiate. La Vita stessa, che ne costituisce l’espressione più morfologicamente e teleologicamente pregnante, è in pericolo. Il tentativo di revisionare il modo di fare scienza influenza
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il mondo industriale. Anzitutto l’establishment politicoeconomico tende a sminuire le conseguenze che le attività umane industriali avrebbero sulla natura dichiarandole scientificamente non fondate: disastri ecologici, cambiamenti climatici, inquinamento, scomparsa di specie animali e vegetali non sarebbero la diretta conseguenza dell’attività umana. Talvolta l’establishment politico-economico prende in considerazione l’ipotesi di un legame, ma lo riferisce a logiche finanziarie e a meccanismi di mercato. I provvedimenti legislativi che sanzionano comportamenti negativi sono spesso blandi e le aziende maggiormente inquinanti li aggirano, attraverso le consuete strategie della globalizzazione, spostando la produzione verso mercati meno restrittivi. In alcune nazioni la normativa prevede sanzioni economiche verso chi non si dimostra virtuoso e talune realtà industriali preferiscono pagare senza adeguarsi alla normativa. Questo produce un tremendo impatto sul già martoriato mercato del lavoro e sulle riduzioni dei costi. I comportamenti virtuosi andrebbero incentivati e premiati. Evidente è l’incoerenza: da un lato viene negato il legame causaeffetto, dall’altro lo si riconosce come possibile, ma semplici sanzioni amministrative non obbligano a cambiamenti dei
sistemi produttivi. Inoltre cresce la consapevolezza della gente comune che esista un rapporto fra eventi naturali catastrofici e attività umana. Le popolazioni subiscono direttamente, sperimentandolo sulla propria pelle, l’evidente nesso. Le evidenze scientifiche appaiono filtrate – per non dire “controllate” – ma la semplice esperienza quotidiana dell’uomo comune lo rende più consapevole rispetto al passato. Egli si manifesta attento osservatore alla ricerca di plausibili spiegazioni alle proprie legittime domande. L’establishment politicoeconomico ha perso la fiducia che nel passato gli era riconosciuta e viene ritenuto responsabile degli avvenimenti; a torto o a ragione, questo è il sentire comune del cittadino che cerca risposte, protezioni e garanzie per il futuro. La natura manifesta dolore e malessere attraverso avvenimenti “fuori controllo”. L’unica risposta che sembra arrivare appare piuttosto sbrigativa: “Queste cose ci sono sempre state”. Il sospetto è che qualcosa non sia così chiaro come sembra anche perché il mondo industriale sta cercando di rispondere a questo malessere collettivo anche per riacquistare la fiducia di cui un tempo godeva. Negli Stati Uniti è stata emanata la normativa volontaria per la Responsabilità Sociale di Impresa (RSA 8.000-Social Accountability).
“cresce la consapevolezza della gente comune che esista un rapporto fra eventi naturali catastrofici e attività umana”
16 Nipoti di Maritain Molte industrie hanno iniziato a investire parte dei proventi in progetti di utilità sociale e di recupero ambientale, ricevendo in cambio sgravi fiscali, notorietà e un maggiore consenso. Queste operazioni, spesso di marketing, possono essere per piccole e medie imprese una missione che coinvolge tutte le componenti della realtà imprenditoriale. L’Europa sta investendo molto sul tema3 e la speranza è che queste forme virtuose di fare impresa di moltiplichino.
3
P. Pantrini, “Responsabilità sociale d’impresa, tra definizioni e policy europee”, in Percorsi di secondo welfare, 3 novembre 2015: http://www. secondowelfare.it/privati/aziende/ responsabilita-sociale-dimpresa.html#a5
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Educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente di Luca Carbone L’umanità intera è entrata in una nuova era sociale in cui la potenza della tecnologia, dell’informatica, della robotica, delle biotecnologie e delle nanotecnologie hanno contribuito a risolvere molti problemi che condizionavano negativamente la vita dell’essere umano. Vanno apprezzati i progressi conseguiti da molti scienziati e tecnici, principalmente nell’ambito della medicina, dell’ingegneria biomedica e delle comunicazioni che hanno “abbattuto” la distanza tra cose e persone; tutto ciò ha in qualche modo contribuito allo sviluppo integrale ed integrante dell’uomo, che sin dai tempi primordiali si è impegnato nella ricerca e nell’evolversi per concorrere al miglioramento della vita sociale. C’è da dire che, se da un lato l’era digitale ha contribuito alla realizzazione dell’uomo nella società del XXI secolo, dall’altro lato ha prodotto non pochi
problemi sull’ecosistema; si pensi alle armi nucleari, oppure allo sfruttamento intensivo – e a volte “abominevole” – dell’agricoltura, dell’allevamento e del sottosuolo. L’uomo non è stato ancora pienamente educato ad un utilizzo responsabile della potenza tecnologica; a tal riguardo, il Santo Padre Francesco nella lettera enciclica Laudato Si’ afferma: «Si tende a credere che “ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori”, come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che “l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza”, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità,
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i valori e la coscienza. Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo è possibile che oggi l’umanità non avverta la serietà delle sfide che le si presentano, e “la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è in continuo aumento” quando “non esistono norme di libertà, ma solo pretese necessità di utilità e di sicurezza”. L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé» (§105). La coscienza della gravità della crisi culturale, antropologica ed ecologica che stiamo vivendo nella nostra storia deve tradursi in nuove e sane abitudini. Le istituzioni come le scuole – che sono delle fondamentali agenzie educative, insieme alle famiglie e alle associazioni sia laiche che religiose – devono promuovere un’educazione ambientale capace di «re-impostare gli itinerari pedagogici di un’etica ecologica,
in modo che aiutino effettivamente le nuove generazioni, a crescere nella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione» (§210). Essa dovrebbe disporci ad un salto verso quel Mistero che illumina il senso più profondo dell’etica ecologica. Quale spunto fecondo di ulteriori riflessioni, anche per ridefinire il lessico teologico, lo stesso papa Francesco indica l’esempio dei vescovi cattolici australiani che nel 2002 hanno definito la “conversione” nei termini di una riconciliazione che abbraccia l’intero creato: «Per realizzare questa riconciliazione dobbiamo esaminare le nostre vite e riconoscere in che modo offendiamo la creazione di Dio con le nostre azioni e con la nostra incapacità di agire. Dobbiamo fare l’esperienza di una conversione, di una vera ed autentica trasformazione del cuore» (§218). Come cattolici abbiamo il dovere morale di «vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio», che «è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (§217). Tra l’ecologia umana e l’ecologia ambientale deve allora crearsi una vera alleanza, perché se non si rispetta la vita umana dal suo concepimento alla sua fine naturale – se la vita umana è trattata come mero oggetto – come si può rispettare il creato che ci è stato affidato dal Dio creatore? Tutti i cristiani e tutte le
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Chiese devono collaborare insieme nell’educare le nuove generazioni al rispetto dell’uomo e dell’ambiente; dobbiamo prendere coscienza che i giovani sono il futuro del nostro creato, in altre parole della nostra casa comune. Con loro, e con lo sguardo negli occhi dei nostri giovani, sentinelle vigili e sveglie, possiamo ancora sperare a spazi di armonia, di vita buona e di benedizione leggendo insieme un testo del profeta Osea: «E avverrà in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all’olio e questi risponderanno a Dio» (Os 2,23-24).
“tutte le Chiese devono collaborare insieme nell’educare le nuove generazioni al rispetto dell’uomo e dell’ambiente”
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Visto da sud: la prospettiva meridiana per una teo(eco)logia di Rosario Sciarrotta È un fatto singolare come, prendendo in esame i capitoli dal 2 al 4 di Genesi, il fil rouge che li lega sia il binomio conoscenza/ responsabilità: Adamo è chiamato da Dio a ri-conoscere la Creazione e a ri-conoscersi in essa dando il nome alle cose e ad esserne custode (Gn 2,15.20). Nel racconto della “caduta” (Gn 3) è più che palese la frattura tra questo binomio ed il comportamento umano. L’autore sacro mostra al lettore, attraverso un climax, a quali nefaste conseguenze può portare lo iato succitato: l’omicidio (Gn 4). L’uomo di ogni tempo può essere “traditore” di questa “banalità del male”: alla fine nessuno è mai responsabile. Alla base di tutto vi sta il peccato dell’origine: il fatto che l’uomo dimentichi di essere creatura e voglia ergersi a
Creatore. La crisi ecologica è (forse) oggi la “cifra” più importante dello stato di disagio esistenziale in cui versa la condizione umana. La crescente preoccupazione che essa suscita costringe a interrogarsi sul significato dell’azione dell’uomo nei confronti dell’ambiente – e quindi di se stesso – e a prendere seriamente in considerazione gli stili di vita soggettivi e collettivi adottati, nonché, più radicalmente, a riflettere sulle matrici culturali dei processi in corso e sulla necessità, per controllarli, di favorire un radicale cambio di mentalità. Questa lettura della realtà trova, infine, ulteriori motivazioni nell’abbandono del concetto di creazione proprio della tradizione ebraico-cristiana. Gli elementi biblici assumono
21 oggi nuove vesti pur rimanendo inalterata la loro essenza. Lo iato oggi ci dice la profondità della distanza, non solo in termini ecologici, tra i tanti nord e sud (geografici, esistenziali, di specie, di genere…) del mondo. Caino continua sempre a sostenere, lungo la storia, di non essere il custode di suo fratello e nemmeno di “sora nostra madre Terra”. Tutto diventa cosificabile, utilizzabile, sfruttabile e, se ritenuto inutile, “scartabile” (Laudato si’ 22). In tutto questo vi è sempre un nord – piccola minoranza – che sfrutta, inquina e distrugge un “fratello sud” (la stragrande maggioranza) auto-sollevandosi da ogni responsabilità. Questa mancata presa di responsabilità continua ad essere sempre causa di una mancata conoscenza (Gn 2): solo chi conosce davvero può ri-conoscere! Nel racconto biblico Adàm ri-conosce Eva come “carne della sua carne”: l’uomo potrà avere un futuro soltanto se tornerà a ri-conoscersi nella Terra e, di riflesso, nel “fratello”, solo se riscoprirà il suo legame ontologico con essa, soltanto se tornerà a vedere la Terra come la sua carne e il suo sangue. La prospettiva ecologica rappresenterà per il Cristianesimo sempre di più negli anni un’istanza improrogabile che vede in primo luogo un cambiamento del paradigma epistemologico della teologia della creazione. Bisogna passare, per dirla con Moltmann, da una ragione strumentale (che avrebbe contrassegnato la relazione agli oggetti come “cose”
da calcolare e padroneggiare) ad una ragione comunicativointegrale che delinea il tema della conoscenza della creazione. La conoscenza del mondo quale creazione di Dio trova il suo fondamento in una diversa considerazione della natura: nella prospettiva della “teologia della natura”. La trasparenza della natura presuppone che il mondo a partire da sé possa essere il medium di una rappresentazione e che pertanto rimandi al di là di se stesso. La teologia cristiana risponde all’istanza ecologica con una riflessione sul mondo quale “casa” per tutti i viventi e sulle condizioni di vita in esso possibili. E tutto questo non può non richiamare all’istanza ultima e cioè quella soteriologica orientata escatologicamente: nella Scrittura, l’esperienza del mondo rinvia alle origini, ma la sua funzione è di garantire il futuro di Dio. La natura diventa allora trasparenza del futuro ancora nascosto e tuttavia già anticipato. E questo futuro non può che avere un volto “meridiano” poiché la voce del sangue di “fratello sud” e “sora madre Terra” tutta gridano a Dio! La frattura tra uomo e mondo potrà essere sanata solo se egli tornerà a ri-conoscere e ri-conoscersi in esso e ciò potrà avvenire solo attraverso due strumenti: educazione e cultura. In altre parole soltanto attraverso un processo di inculturazione sarà possibile una presa di coscienza e responsabilità che, partendo dalla conoscenza, arrivi progressivamente ad una sempre
“vi è sempre un nord – piccola minoranza – che sfrutta, inquina e distrugge un fratello sud: l’uomo potrà avere un futuro soltanto se tornerà a vedere la Terra come la sua carne e il suo sangue”
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“moderazione dei consumi e riduzione dei bisogni, ma anche interventi fattivi, in prima persona, di un ritorno alla Terra a cominciare dai più piccoli”
maggiore crescita del senso di appartenenza piena dell’uomo a Dio nel mondo e attraverso esso. La crescita di una memoria e un’identità incarnate saranno allora il balsamo per le ferite prodotte dalla frattura originaria. La determinazione del giusto rapporto tra “natura” e “cultura” reclama l’apertura a una concezione ampia e gerarchizzata della vita. L’atteggiamento ecologico si fonda su un sentimento di intima appartenenza alla natura considerata come un tutto differenziato e strutturato e deve svilupparsi secondo la regola della composizione armonica, della simbiosi e della reciproca interdipendenza. L’attuazione di questo modello è strettamente dipendente tanto dall’acquisizione di nuovi stili di vita quanto dal prodursi di consistenti cambiamenti strutturali. Il singolo è (e rimane) – certamente nel suo rapporto con la società – l’istanza decisiva di una “etica ecologica”. Da questa convinzione scaturisce un comportamento ecologicamente responsabile, caratterizzato dalla moderazione dei consumi e dalla riduzione dei bisogni ma anche di interventi fattivi, in prima persona, di un “ritorno alla Terra” a cominciare dai più piccoli. Si tratta, in altre parole, di normare il proprio stile di vita su un preciso quadro valoriale, nella consapevolezza che esiste una stretta connessione tra il modo con cui ci si atteggia nei confronti dell’ambiente e il modo di intendere la propria
realizzazione. Lo mette bene in evidenza Benedetto XVI nella Caritas in veritate: «Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa» (§51).
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Riverberare l’Alleanza: custodire ad immagine e somiglianza di Dio di Filomena Piccolantonio
Perché la questione ecologica abbia il suo giusto rilievo nelle discussioni teologiche, bisognerebbe dapprima inquadrare quale valenza dia l’uomo di oggi all’esser parte di questo mondo. La sensibilità di ciascuno connota in modo peculiare l’esperienza del singolo. Penso tuttavia che la teologia debba favorire questo: un cammino costruttivo di identità dell’uomo in relazione al mondo; dovrebbe tratteggiare la propria alleanza con la terra che calca, l’aria che respira, il cibo di cui si nutre, le relazioni che lo vivificano. Non è infatti un mero dibattito accademico quello che mi auspico, ma ha a che fare con il nostro stesso agire e con il futuro delle generazioni a venire. Tre anni fa l’enciclica Laudato Si’ portò alla ribalta nuovamente la questione ecologica in
ambito teologico, seguendo agli interventi dei predecessori di Francesco i quali, parimenti, ne avvertirono l’urgenza. È in quel «sulla cura della casa comune», a mio parere, che è racchiusa la chiave del discorso. La cura è un atteggiamento che presuppone attenzione, pazienza, dedizione. Questo agire presume il riconoscimento di un legame tra i due, curante e curato. Spesso però, sovraeccitati da una antropologia fortemente antropocentrica, mi sembra si consideri tutto quello che è altro dall’uomo come pregno di uno scarto ontologico tale da giustificarne in automatico l’uso, l’abuso, decretandone la fine. Anche nei discorsi meno impegnati, ci si definisce uomini secondo i cliché del raziocinio, del linguaggio, della capacità di un certo tipo di aggregazione sociale e tanto altro. Definendosi tale,
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“Dio chiama l’uomo ad esercitare pienamente quella somiglianza con Dio nel mondo, non una tirannia”
l’uomo però tende mediamente a marcare un distacco che, più o meno consciamente, diviene per certi versi dispregiativo nei confronti dell’altro; fosse un sasso, un’ape, un fiore. I due racconti di creazione del libro della Genesi tracciano le linee guida dell’agire dell’uomo in rapporto al mondo, ma anche i fraintendimenti umani. Nel primo racconto, creato l’uomo, Dio gli rivolge due inviti: soggiogare la terra e dominare su ogni altra forma di vita animale. Questi verbi, il più delle volte sono intesi letteralmente come un invito al dominio dispotico del resto del cosmo senza coglierne il senso profondo: quello di un Dio che chiama l’uomo ad esercitare pienamente quella somiglianza con Dio nel mondo, così come tratteggerà il secondo racconto. E tale somiglianza non ha certo le sfumatura di una tirannia di Dio sull’uomo. Se il primo racconto si conclude con il dono del cibo vegetale ad uomini e creature animate, il secondo vede l’uomo plasmato con quello stesso alito di vita proprio degli animali. Questo alito vitale che permane tanto negli animali quanto nell’uomo è reso con l’ebraico nefesh, vocabolo che, a contatto con l’ellenismo, identificò la sua valenza semantica con il senso che è proprio della ruach ovvero “spirito”, mentre originariamente designava in verità la vita in quanto tale. La condivisione di questa vitalità, mi chiedo, non pone forse le basi di una originaria eguale dignità? Non c’è un amore
che ci precede e ci desidera tutti, tanto da costituirci? Un altro passaggio fondamentale per edificare le fondamenta di un discorso morale sull’ecologia vissuta dal cristiano è reso bene dall’esegesi che Gianantonio Borgonovo fa della Hokma in Giobbe 28. Essa è letta come mediata da parte dell’uomo. Ovvero: è il lavorio umano a portare alla luce quanto nascosto e a far fruttificare quanto germoglia in superficie. Ma ciò che l’uomo – e la creazione tutta – in nessun modo acquisisce da sé è il dono che il Dio eccedente gli porge: è la Sapienza. La grandezza dell’uomo è tutta racchiusa non nell’autosuggestione di essere posto al di sopra degli animali, ma nell’ essere punto di incontro tra la ricerca e il dono della Sapienza. È innestato in un dialogo con il Creatore il quale lo guida in un cammino di sensatezza, di Sapienza. E l’unico modo di riconoscere Dio come garante del senso è aborrire il male. L’importanza che scorgo in questi passi biblici vuole evitare il grossolano fraintendimento di quelle parole, avvenuto in maniera pressappoco identica nel senso comune delle culture religiose monoteiste abramitiche. Perché il nostro agire sia costruttivo, in e per il mondo, andrebbe disatteso un in-cosciente rapporto con esso. Non si può disporre di tutto perché si ha la tecnica per farlo, per guadagno, per alterigia, poiché Dio non dispone di noi come fossimo burattini. I mercati vogliono velocizzare i trasporti
25 delle merci via terra: siamo disposti a cedere a ciò pur sapendo che, perforare quei monti costituiti di serpentiniti, significhi disperdere nell’aria quantità non indifferenti di amianto? Non possiamo proprio fare a meno di mangiare tutti i giorni una bistecca, pena una qualche debolezza cronica: siamo disposti a tollerare la distruzione scellerata di ampie fasce di flora pur di far posto ad un ennesimo allevamento intensivo che non solo opera un depauperamento della fauna, ma diminuisce la possibilità di coltivare, producendo cibo per le aree del mondo improduttive ed ad elevato tasso di povertà? Di provocazioni simili ve ne sarebbero a decine, ma l’importante è comprendere dove si collochi la coscienza agente di ogni individuo in casi simili. L’eccedenza dell’amore di Dio ci palesa il senso della custodia e cura di quanto gli è prezioso: noi, suoi interlocutori. Ci insegna l’arte del dialogo con ogni particella di quanto è preziosamente vitale per noi: il creato. Il suo amore di Padre, shekinah eterna nel corpo del Figlio, ci innesta in una duplice comunicazione: in quella che intessiamo con il cosmo intero, nella misura in cui agiamo curandoci di ogni altro-da-noi, permettendo ch’esso sia in tutta la sua pienezza, senza svilimento alcuno; ma anche in quel dialogo che primariamente origina l’altro e che si esprime integralmente nella pericoresi trinitaria. È quel Dio Uno e Trino che permea il senso della creazione tutta, inabitandola tutta.
“l’eccedenza dell’amore di Dio ci palesa il senso della custodia e cura di quanto gli è prezioso”
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Dibattito Democrazia e Finanza « Democrazia e finanza: quale rapporto è possibile, anche alla luce del Fiscal Compact? »
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Moneta unica o giustizia sociale? di Davide Penna
Una premessa è d’obbligo alla riflessione che propongo: non sono un economista. La mia professione (in quanto docente di storia e filosofia) e la mia ricerca (in quanto dottorando in filosofia) mi pongono, tuttavia, alcuni doveri: analisi critica e ascolto delle fonti. Da qui parto per riflettere sul problema finanza e democrazia anche alla luce del Fiscal Compact, che in Italia è stato approvato con un iter parlamentare record, stupefacente se si pensa che si è dovuto perfino intervenire sulla Costituzione senza passare da un referendum popolare, introducendo il pareggio in bilancio e modificando, così, l’articolo 81. E già qui si pone il primo nodo problematico: può un tema così importante e influente nella vita dei cittadini non essere oggetto, non solo di espressione popolare, ma almeno
di un dibattito civile che ne mostri l’importanza e le conseguenze? Entriamo nel merito: il Fiscal Compact, richiesto fortemente dalla Germania, prevede, tra le altre cose, il pareggio in bilancio, il rapporto deficit/PIL (spesso contestato come indice arbitrario, eppure …) sotto il 3% e una riduzione progressiva del rapporto debito pubblico/PIL pari ad un ventesimo della parte eccedente il 60% (anche qui, si dice, dato arbitrario, eppure …) all’anno. Detto che l’Italia non sfora il rapporto tra deficit/PIL (nel 2016 è stato al 2,5%), detto che il deficit è il rapporto tra entrate e uscite di uno Stato in un anno mentre il debito pubblico è la somma complessiva contratta da uno Stato verso soggetti terzi, in cui la voce sempre più alta sono gli interessi (ovvero i soldi che si pagano sui prestiti, non le spese in sé), il
29 grande problema italiano è quello del rapporto debito pubblico/PIL, che nel 2016 è stato pari al 132%. Questo vuol dire che, a fronte di una non significativa variazione del PIL, l’Italia dovrebbe, per circa vent’anni, diminuire il debito pubblico di circa 40/50 miliardi di euro l’anno. Le conseguenze di tale provvedimento sono i vari patti di stabilità che toccano i comuni: ad esempio a Genova, tra il 2017 e il 2020, si dovranno tagliare quasi 26 milioni di euro l’anno. Siamo di fronte ad uno scenario chiaro: la “stabilità” sta per taglio della spesa pubblica, il quale comporta meno servizi ai cittadini e più tasse. Attenzione: non perché lo Stato italiano spenda troppo rispetto a quello che incassa. Ma perché deve pagare ancora di più i creditori, interessi compresi. Dunque “stabilità” sta, in realtà, per una gestione del mercato in cui lo spazio dell’autorità pubblica è sempre più limitato, il vero soggetto pubblico diventano gli investitori e i cittadini sono costretti a vedere la propria capacità di spesa e, di conseguenza, le prospettive di vita, drasticamente calate. Non è un caso che nel settore dove lavoro, quello della scuola, gli stipendi abbiano perso in 10 anni circa il 15% del potere di acquisto e sono tra i più bassi d’Europa. Il tutto viene deciso con riforme in tempi record, senza passare per dibattiti e leggi popolari e con il totale non coinvolgimento del Parlamento europeo. Mi sembra che allora l’Unione Europea – non l’Europa, non l’insieme dei cittadini europei,
ma un preciso sistema di liberalizzazione dei mercati con cambio di moneta fisso – stia rivelando il suo vero volto: al netto dei tanti animi sinceri che credono in questo progetto, esso non riguarda, in profondo, la cooperazione tra popoli, lo sviluppo sociale, la lotta all’ingiustizia, il tentativo di ridistribuire meglio la ricchezza. Si tratta, invece, di un organismo fortemente centralizzato dal punto di vista monetario, con regole e cambi fissi, con una Banca Centrale svincolata dalla sovranità e autorità nazionale (e quindi dai cittadini). Troppo catastrofico? I dati dicono che la crisi che stiamo subendo si è tradotta, grazie all’austerità imposta dalle regole europee, nella più grande perdita di PIL della storia dell’Italia unitaria, seconda solo alla seconda guerra mondiale. I dati dicono, inoltre, che le regole del Fiscal Compact necessitano una ulteriore compressione dei salari e del lavoro. Ne parlano cinque premi Nobel per l’economia in un appello a Obama: Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Roberto Solow1, e anche Paul Krugman (altro premio Nobel) il quale afferma che l’inserimento in costituzione del vincolo del pareggio in bilancio può portare alla dissoluzione
1
“Nobel Laureates and Leading Economists Oppose Constitutional Balanced Budget Amendment”, Center on Budget and Policy Priorities: https://www. cbpp.org/sites/default/files/atoms/ files/7-19-11bud-pr-sig.pdf
“il progetto dell’Unione Europea coincide con un’erosione dello spazio pubblico e dell’autorità dello Stato, a favore di quello finanziario, della competitività, della stabilità dei prezzi”
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“non si può predicare l’unione attraverso il cambio fisso monetario perché questo tiene insieme interessi, economie, sistemi diversi soffocandoli in un modello unico”
dello stato sociale2. Ma è stata anche l’informazione ad aver influito su queste scelte: chi di noi non si è sentito ripetere del grave debito pubblico italiano, spesso confondendo deficit con debito? Eppure, ancora, i dati dicono che questa crisi con il debito pubblico non c’entra nulla. È una crisi di debito privato che la ricetta dell’austerità non può che aggravare. Se il quadro è questo, allora, siamo già dentro a quello che papa Francesco nella Laudato si’ chiama il primato della finanza sulla politica. Il progetto dell’Unione Europea coincide con un’erosione dello spazio pubblico e dell’autorità dello Stato, a favore di quello finanziario, della competitività, della stabilità dei prezzi. In ultima analisi del mercato sulla vita delle persone. È davvero irreversibile e irrefrenabile questo processo? Per concludere: il federalismo europeo è una bellissima idea. L’idea di un’unione di popoli deriva dal più grande romantico politico di ogni tempo, Giuseppe Mazzini, che ammiro profondamente. Ma l’Unione Europea così come è uscita da Maastricht non può essere tale. L’alternativa non può essere tra federalismo e sovranità. Il primo, se è sano, deve nutrirsi del secondo, e viceversa. L’unità 2
R. Festa, “Cinque premi Nobel: ‘Pareggio di bilancio? Una camicia di forza per l’economia’”, Il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2012: https:// www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/14/ cinque-nobel-pareggio-bilancio-camiciaforza-economica-sbagliato-metterlonella/197071/
deve essere nell’accoglienza della differenza. Nel concreto: non si può predicare l’unione attraverso il cambio fisso monetario perché questo tiene insieme interessi, economie, sistemi diversi soffocandoli in un modello unico, e richiede stabilità e competitività come grandi totem a cui sacrificare salari, tempo libero, progetti personali di lungo periodo … in una parola molta parte della dignità umana, principio cardine della Dottrina Sociale della Chiesa. E quando si elevano idoli, l’uomo ne viene schiacciato. Per favore, chi si intende di economia, se ne occupi. È urgente.
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Per un servizio reciproco di Lorenzo Banducci
Alla domanda “quale rapporto sia possibile fra democrazia e finanza” la risposta è più snella e semplice di quello che si pensi. Un rapporto fra democrazia e finanza non solo è possibile, ma va considerato perfino necessario. Il corretto rapporto fra finanza e democrazia dovrebbe essere, a mio avviso, quello del servizio reciproco. La finanza è al servizio della democrazia nel momento in cui pone al centro del proprio interesse quello delle comunità con speciale attenzione alle fasce sociali più deboli. La democrazia è al servizio della finanza nel momento in cui essa indirizza le scelte della finanza stessa. È difficile pensare che la finanza si possa muovere come ente autonomo dal potere politico. Essa ha necessità di relazionarsi con le istituzioni per trovare sponde e margini di movimento e le istituzioni dovrebbero orientare la finanza nella corretta direzione:
porre l’uomo al centro. Per colpa dell’ultima crisi economica internazionale vissuta nel 2008-2009 e poi a seguire della crisi dell’Euro la percezione, a livello sociale, dello scollamento evidente fra democrazia e finanza si è resa sempre più marcata. Ma la domanda che vorrei porre è la seguente: siamo sicuri che tale scollamento non sia sempre stato presente nella storia umana? Quante guerre, anche nel recente passato, sono state causate per motivi di natura prettamente economica? Quand’è che le principali potenze internazionali si muovono sullo scacchiere mondiale solo con finalità esclusivamente umanitarie senza fare i propri interessi? La realtà internazionale, figlia di una realtà culturale profondamente radicata nell’uomo, rimane questa. Si guarda “al proprio giardino”, ai propri interessi e, se necessario, si passa sopra la vita
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“tale rapporto è spesso stato sbilanciato nella storia umana a vantaggio della finanza stessa”
delle persone, sopra le loro storie, i loro desideri, le loro speranze. Nella recentissima attualità basti vedere quello che sta scatenando la Turchia di Erdogan in Siria contro la popolazione di etnia Curda mentre il silenzio internazionale e, in particolare delle singole realtà dell’UE, sembra giustificarsi dalla forte presenza di rapporti strategici ed economici con il paese Turco; basti pensare che la sola Italia ha circa mille aziende che si muovono per affari sulla penisola Anatolica1. La cosa che però stavolta ci colpisce è che, per la prima volta, lo scollamento fra finanza e democrazia tocca direttamente le nostre vite. La grande crisi del 2008-2009 – generata da sistemi di finanza molto creativa e dai quali non riusciamo proprio ad uscire – ha toccato l’economia reale dei Paesi Occidentali fino ad arrivare inesorabilmente a colpire i Paesi dell’area Euro in particolare quelli più fragili e più instabili. Con questa doverosa risposta alla prima parte della questione vengo a parlare del secondo tema ovvero del riferimento all’interno della domanda del Fiscal Compact. Come sostenuto dalla prima parte di questo mio testo, non è “alla luce del Fiscal Compact” che si è deteriorato il rapporto fra finanza e democrazia dato che tale 1
G. Meoni, “Turchia, raddoppiate le imprese italiane negli ultimi sei anni”, Il Sole 24 ORE, 12 aprile 2013: http://www.ilsole24ore.com/art/ impresa-e-territori/2013-04-12/turchiaraddoppiate-imprese-italiane-093455. shtml
rapporto è spesso stato sbilanciato nella storia umana a vantaggio della finanza stessa. Nella seconda parte di questa mia riflessione cercherò piuttosto di mostrare come, proprio a partire dal Fiscal Compact e più in generale del processo di integrazione europea si voglia ristabilizzare – almeno idealmente – un corretto rapporto fra democrazia e finanza. Il Fiscal Compact approvato nel 2012 e ratificato da 25 su 28 degli stati membri dell’Unione Europea è un Patto di bilancio su base continentale. Cercherò di essere breve. Sostanzialmente il Fiscal Compact ha imposto ai Paesi che lo hanno accettato misure di cosiddetta austerità e di controllo del debito pubblico (deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche inferiore allo 0,5% del Pil, obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di un ventesimo ogni anno fino a portarlo al di sotto del 60%) . Gli Stati che nel 2012 avevano sottoscritto il Fiscal Compact dovranno decidere entro l’anno se incardinare l’accordo all’interno del diritto europeo, determinandone di fatto la prevalenza sulla legislazione nazionale. Tutto questo peraltro sta avvenendo con scarso interesse da parte dei media nazionali e con un pressoché assente dibattito pubblico2. Per ottenere un 2
M. Bersani, “Fiscal Compact e Fondo Monetario Europeo: la democrazia è il nemico”, Attac Italia: https://www.italia.attac.org/ index.php/357-argomenti/finanzaneoliberismo/10651-fiscal-compact-efondo-monetario-europeo-la-democraziae-il-nemico
33 giudizio che sia positivo tale Patto di bilancio deve essere accompagnato (come peraltro sostengono i principali sostenitori di questo percorso) da misure che prevedano un itinerario di unità politica a livello continentale e di attenzione reale a tematiche sociali. Come suggeriva Padoa-Schioppa, agli Stati dovrebbe competere il rispetto del rigore finanziario mentre al livello sovranazionale dovrà essere attribuita la capacità di mettere in atto politiche anticicliche, di sostegno dello stato sociale, di razionalizzazione delle spese, di assunzione di nuove competenze da sottrarre agli Stati. Senza un impegno preciso e vincolante in tal senso, si rischia che le intenzioni della Commissione rimangano lettera morta; senza procedere di pari passo all’inclusione del Fiscal Compact nei Trattati ed alla creazione di un ampio bilancio per fornire i beni pubblici europei di cui si sente sempre maggiore urgenza (rimandato però al futuro), si rischia un distacco ancora maggiore dei cittadini dal sistema istituzionale europeo, facile preda, in queste condizioni, del populismo e del sovranismo nazionalista3. Solo con la realizzazione di questo che, per ora è solo un progetto, finanza e democrazia potranno viaggiare di pari passo e l’Europa da organismo estraneo ai cittadini potrà essere vista come una 3
F. Masini, “L’Europa per contraddizioni”, Movimento Federalista Europeo: http://www.mfe.it/site/index. php/articoli-on-line/326-l-unita-european-2017-6-novembre-dicembre/3871-leuropa-per-contraddizioni
struttura fedele alla sua missione originaria: garantire pace e benessere al continente europeo riuscendo a mettere da parte interessi peculiari nazionali per far spazio a un sogno, a un’ambizione, a una speranza più grandi. Per quanto il cammino sia ancora lungo e tortuoso non vedo all’orizzonte altre realtà internazionali che si pongano, almeno idealmente, tale alto obiettivo. A noi come cittadini il compito di vigilare cercando possibilmente di leggere questi avvenimenti non solo con uno sguardo alle vicende nazionali ma con un orizzonte più grande al cammino comune del nostro continente.
“tale Patto di bilancio deve essere accompagnato da misure che prevedano un itinerario di unità politica a livello continentale e di attenzione reale a tematiche sociali”
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Verso una finanza funzionale alla democrazia di Piotr Zygulski
Per affrontare il rapporto tra democrazia e finanza è opportuno innanzitutto chiarire i termini. Infatti il concetto di “democrazia” è più delimitato rispetto a quello di “politica”, così come la “finanza” non è l’“economia” in senso lato. Se la politica riguarda in generale l’organizzazione e l’amministrazione della vita pubblica, originariamente la oikonomia per Aristotele si riferiva alla “legge” che regola i beni della sfera dell’oikos, cioè della casa, che devono essere procurati, conservati, utilizzati; egli operava una separazione funzionale tra oikonomia e crematistica, la quale è l’arricchimento autoreferenziale e nocivo – o perlomeno non giovevole – alla comunità. Solo in seguito si giunse all’“economia politica”, definita in senso
mainstream come la scienza che studia l’utilizzo razionale di risorse scarse per usi alternativi in vista di soddisfare bisogni illimitati: è la “scienza delle scelte”. La finanza è un’altra cosa: pur rientrando nell’ambito economico, essa studia solamente i processi e le scelte tecniche di finanziamento/investimento; non si occupa di beni reali che soddisfano direttamente i bisogni umani, ma di relazioni di debito-credito mediati dalla valuta, che è un metro di valore creato dall’autorità politica. Si può distinguere tra finanza personale, aziendale, pubblica, internazionale, ecc. Per fare un’esemplificazione: se la risorsa scarsa è il tempo e intendo sprecarne meno, un ragionamento economico suggerirebbe di prendere l’autostra-
35 da a pagamento anziché le strade vicinali, se invece il mio unico obiettivo è massimizzare le mie “finanze”, potrebbero convenirmi le stradine per evitare il pedaggio; oppure, ancora più redditizio: corro a speculare sul mercato valutario! Se l’economia dice come sia possibile massimizzare un obiettivo, la finanza fornisce gli strumenti per massimizzare le risorse monetarie. Ma non tutti i sistemi economici – penso a popolazioni indigene – sono di tipo monetario; non tutte le scelte coinvolgono il denaro. Per quanto riguarda la democrazia, essa è una delle forme di governo possibili – almeno in astratto – della vita pubblica; in senso formale è prendere decisioni a maggioranza, come si è fatto per condannare Socrate: di per sé, non è garanzia di bene, di giusto e di vero. Abraham Lincoln definì la democrazia il «governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo»; si aprono le accezioni sostanziali di questa parola, come chi (penso a Luciano Canfora e ad Arthur Rosenberg) la pensa classicamente quale “prevalenza del demos”, vale a dire della maggioranza dei cittadini: i membri svantaggiati nella distribuzione delle ricchezze, mediante la correzione democratica, possono essere ricompensati della sproporzione. Con il filosofo Costanzo Preve, la democrazia è il processo storico e dinamico mediante il quale il popolo «che intende esercitare il potere sulla riproduzione della propria esistenza» si costituisce pedagogicamente come comunità
che, organizzata, accede al potere – non semplicemente alle urne – per perseguire il bene comune, governando a tal fine con decisioni effettivamente sovrane la sfera politica e quella economica, in condizioni di eguaglianza, di assenza di sfruttamento, di libertà di opinione e di dissenso; la sua possibilità è una “scommessa” antropologica. Si constata però che oggi viviamo in un regime sostanzialmente non democratico, perché – nonostante le parvenze elettorali che portano ad una continua conferma delle oligarchie detentrici del potere – il popolo non riesce ad esercitare decisioni genuinamente sovrane. Politologi come Colin Crouch parlano di “post-democrazia”: le istituzioni sovranazionali hanno svuotato di fatto quella sovranità che gli Stati potevano esercitare, seppur parzialmente, anche nelle decisioni economiche. Proprio per tale motivo, l’attuale assetto istituzionale globalizzato non può definirsi in alcun modo democratico; come la polis era il perimetro delle democrazie greche, quelle moderne avevano come presupposti i confini dello Stato nazionale. Vuoto è il vociare di chi blatera di “democratizzazione della finanza”. Questa espressione può essere intesa ad esempio nel senso dell’estensione dell’accesso ai prestiti anche a soggetti che si sa già che non saranno mai in grado di ripagare il debito, dopo aver trasformato in merce scambievole ogni relazione tra debitore e creditore. Tale illusione di “democratizzazione” è stata smascherata in par-
“oggi viviamo in un regime sostanzialmente non democratico, perché il popolo non riesce ad esercitare decisioni genuinamente sovrane”
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“una vera democratizzazione della finanza sarebbe quella dell’accesso universale alla valuta a condizioni dignitose”
ticolare dagli economisti bocconiani eterodossi Massimo Amato e Luca Fantacci in Fine della finanza (Donzelli, Roma 2009) che vedono come ciò conduca piuttosto ad una “finanziarizzazione della democrazia”. Una certa – nonché limitatissima – “democrazia” nelle decisioni finanziarie può forse scorgersi in talune forme di cogestione delle aziende da parte dei lavoratori o di finanza mutualistica cooperativa, come quella delle monete complementari, in cui vi sia reale solidarietà tra debitori e creditori, fedele al “fine della finanza”: fornire ai settori economici “reali” il denaro che necessitano. Ciò non è minimamente sufficiente: una vera democratizzazione della finanza sarebbe quella dell’accesso universale alla valuta a condizioni dignitose, evitando cioè che l’arbitraggio della valuta tra capitale e lavoro crei rapporti di forza che concentrino il potere in mano a pochi. Anche alla luce del Fiscal Compact, l’unica risposta democratica di fronte a un simile “patto” imposto alle nazioni europee – ipso facto antidemocratico, non solo perché non è frutto di una decisione sovrana dei popoli, ma pure perché limita ulteriormente qualsivoglia margine di azione sulle decisioni economiche – sarebbe una presa di coscienza della sua antidemocraticità e un netto rifiuto da parte dei cittadini europei. Un caso emblematico di come vadano le cose oggi ci è dato dal referendum greco del 2015 sul piano proposto dai creditori che in cambio esigevano misure “lacrime e sangue”: pur avendo vinto
il “no” con oltre il 61% dei voti, la decisione democratica è stata ignorata, anche formalmente. L’economista Stephanie Kelton, consigliera di Bernie Sanders, è solita affermare: «Tutto ciò che è tecnicamente possibile è finanziariamente possibile». Ciò svela a noi che se il monopolista della valuta è lo Stato – che è l’autorità che conferisce valore alla moneta nel momento in cui esige il pagamento delle tasse per mezzo di essa – tale istituzione ha capacità finanziaria sufficiente per garantire la piena occupazione; i limiti finanziari sono autoimposti, o sono pretesti ideologici per adottare misure di altro tipo. Una pianificazione economica secondo l’“approccio della finanza funzionale agli obiettivi perseguiti dalla politica” – come proponeva Abba Lerner – può forse rispondere meglio all’esigenza di una subordinazione della finanza al bene comune; in tale presa di coscienza forse ci avvicineremo ad uno scenario più democratico.
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Dibattito Sinodo dei Giovani « Quali sono le vostre attese e le prospettive reali per il prossimo Sinodo dei Vescovi sui giovani, la fede e il discernimento? »
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Fiducia, coraggio e coscienza: una profezia per i giovani di Andrea Bosio
“dall’assemblea del Sinodo possiamo aspettarci che abbracci due grandi qualità del profeta: l’ascolto e il coraggio”
«Abbiamo fiducia e siamo sicuri che saremo ascoltati nelle parole e sostenuti nelle azioni»: sono le parole che chiudono l’introduzione della Carta del coraggio, il documento che i rover e le scolte dell’Agesci – Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani – hanno scritto durante la route nazionale del 2014. Sono anche le parole con cui ci hanno affidato i loro sogni e le loro riflessioni, il loro entusiasmo e le loro proposte: quattro anni dopo, poco o pochissimo del coraggio della Carta è sbarcato tra i capi, forse perché per alcuni essere adulti significa anche mettere da parte il futuro e concentrarsi sul sopravvivere al presente. Poiché lo Spirito soffia nonostante le nostre piccole resistenze, l’assemblea generale del Sinodo dei
vescovi nell’autunno 2018 parlerà ancora di giovani e della loro vocazione, segnalando l’urgenza di avere coraggio nell’affrontare le sfide del nostro tempo. Dall’assemblea del Sinodo possiamo aspettarci che abbracci due grandi qualità del profeta: l’ascolto e il coraggio. Sono le caratteristiche che salvano nei tempi più difficili, quegli stessi tempi in cui Dio si fa più vicino all’uomo e alla donna per sostenerlo nella scelta. Sono anche le due grandi qualità che guidano la coscienza di colui che sceglie: l’ascolto della Parola – della voce del Padre – e il coraggio di perseguire ciò che viene posto sul nostro cammino. L’augurio è che i vescovi siano profeti più concreti dei capi dell’Agesci. Ascoltare è il grande verbo pro-
39 fetico: ascoltare il Padre e la Scrittura, ma anche ascoltare lo Spirito che parla nel cuore e che guida l’agire. La chiamata al sinodo è quella di ascoltare tutto questo e, insieme, ascoltare i giovani, che poi rappresentano anch’essi una parte dello spirito del nostro tempo, ineludibile interlocutore della Chiesa. L’attesa e la speranza è che il Sinodo non si chiuda in un modello precostituito di giovani, ma affronti e si confronti con quelli reali e concreti: troppo a lungo la Chiesa ha pensato attraverso schemi che non corrispondevano alla realtà, ma oggi è forte la sensazione che questo stia cambiando, facendo germogliare i frutti del Concilio. Il coraggio è la cifra della Chiesa di questo inizio millennio: il coraggio dei suoi testimoni, che mettono in gioco la loro vita ogni giorno per il solo essere cristiani, ma anche il coraggio dei pontefici, che in questo non possiamo non prendere a modello. Il coraggio nella malattia di Giovanni Paolo II, il coraggio nella coerenza fino alle dimissioni di Benedetto XVI, il coraggio della Misericordia di Francesco: possiamo dipingere una vera strada di coraggio per la Chiesa contemporanea, chiamata al confronto con un mondo che fatica a riconoscere l’inevitabile bisogno di spiritualità che pervade l’umanità. Coraggio e ascolto viaggiano insieme e camminano nella profezia: se il Sinodo saprà davvero ascoltare con senso profetico, allora la Chiesa – non solo i padri sinodali – avrà bisogno di coraggio
per mettere a frutto questo cammino e per compiere quelle azioni che saranno richieste. L’ostacolo è su entrambi i fronti e molto dipenderà da quanto emergerà dalla lettura dei questionari; forse, visto il tema, sarebbe stato di stimolo compiere un passo deciso verso il coinvolgimento diretto dei giovani. Su questo, lo sappiamo, la sinodalità della Chiesa ha ancora molto da dire: i laici sono – nella migliore delle ipotesi – delle voci da interrogare, ma non hanno peso deliberativo: un cambiamento importante che auguro alla Chiesa cattolica è che anche coloro che non hanno ricevuto l’Ordine sacro possano prendere parte ai processi decisionali, a ogni livello, come già fanno molte confessioni cristiane e com’è tradizione (anzi, Tradizione!) fin dai primi giorni della Chiesa. C’è un’altra grande attesa legata al Sinodo, forse ancora più importante e più grande, ma anche più distante dai Padri sinodali: guidare i giovani a un corretto discernimento. L’ambiente in cui viviamo spinge a scelte celeri ed efficientistiche, bivi che lasciano poco spazio al discernimento ponderato: nulla a che vedere con l’indagare in profondità il proprio cuore nel momento della scelta per intraprendere con sicurezza una strada e perseguirla. Diventa per questo fondamentale che i pastori sappiano stare al fianco dei giovani in quei frangenti in cui questi devono interrogare la loro coscienza, senza fornire ris-poste prefabbricate e semplicistiche, forgiate in altri tempi e incapaci
“troppo a lungo la Chiesa ha pensato attraverso schemi che non corrispondevano alla realtà”
“al fianco dei giovani in quei frangenti in cui questi devono interrogare la loro coscienza, senza fornire ris-poste prefabbricate”
40 Nipoti di Maritain di stimolare le coscienze dei nostri contemporanei, ma pro-poste fondate nella realtà quotidiana letta alla luce del Vangelo. All’assemblea generale del Sinodo sono affidate speranze e attese grandi e potenti: se i vescovi sapranno ascoltare lo Spirito come hanno fatto con i temi della famiglia, il loro apostolato e quello dei loro confratelli, a partire dal vescovo di Roma, troverà le vie più consone per raggiungere i cuori dei giovani, così desiderosi di una voce che li assista e li supporti nel loro cammino.
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Un sinodo dinamico e testimoniante di Giovanni Francesco Piccinno
Chi guarda con attenzione all’assise sinodale che si terrà a Roma – in Vaticano, nell’ottobre prossimo per circa un mese – scorge un filo rosso che unisce gli ambiti riuniti nella denominazione di tale assemblea, ovvero: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, passanti per la grande centralità data alla formazione del giovane ad una vita pienamente vissuta alla luce del Vangelo. Quali sono le speranze e le sensazioni alla vigilia di tale evento ecclesiale? Notando la “storia degli effetti” immediata dei periodi postsinodali del 2012 (Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, magisterialmente confluito nella
Evangelii Gaudium) e del 20142015 (a sua volta espresso nella Amoris Laetitia) credo di poter ragionevolmente ritenere che avrà un impatto e una significanza importante per la vita della chiesa negli anni a venire, soprattutto perché non si potrà non tenere conto degli stimoli che deriveranno dai lavori sinodali; sono fiducioso che la macro-tematica “Giovani” non sarà oggetto di banalizzazione come spesso avviene nel dibattito politico-sociale, con la parzialità delle proposte che spesso si ascoltano e con pseudo letture dei dati statistici che problematizzano a prescindere qualsiasi aspetto della vita giovanile. La Chiesa, con cuore materno, avrà certamente
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“non essere semplicemente ripetitori di risposte edulcorate, ma animi inquieti”
nei Padri sinodali la voce delle chiese particolari e non solo, ma si sentirà interpellata a dare ascolto ai protagonisti centrali di questa riunione, i rappresentanti del mondo giovanile, che cercano una degna attenzione in un contesto sociale in cui vengono guardati e interpretati come problema limitante. Perché? Perché è dalla viva testimonianza di loro che si può ben comprendere e, in una seconda fase, strutturare un’ermeneutica della vita di fede del mondo giovanile da rilanciare con decisione, rendendo sempre più soggetti attivi del proprio “affermare e vivere la fede” gli adolescenti e i giovani orientati verso una vita cristiana da realizzare in senso pieno. Ho l’impressione che si stia rischiando su più aspetti un pericoloso scambio di ruoli nella società contemporanea contrassegnata dal secolarismo1: la fragilità di molti adulti che non si sentono in grado o non vogliono fare da padri e da maestri ma vivono in una costante sete nostalgica di gioventù – scimmiottando i veri giovani – va a scontrarsi con il desiderio, talvolta espresso in modo nevrotico, dei giovani che si sentono incastrati nel loro ruolo, incompresi e soli, e cercano di uscire dalla loro gabbia alla ricerca di una libertà vissuta senza limiti, nel perenne “stare oltre”, 1
Sul tema è utile l’analisi di C. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009.
scambiata per felicità. Ciò non rende possibile dare un senso pieno alla propria esistenza, mancante di una ricerca di senso. Cosa possono fare i giovani cattolici? Non essere semplicemente ripetitori di risposte edulcorate, ma animi inquieti per il compito evangelizzatore; testimoni che si scomodano per portare e annunciare, senza paura né vergogna, Cristo ai propri coetanei e – perché no – al mondo degli adulti che oggi appare stanco e sfiduciato nel compito educativo delle nuove generazioni. Sinteticamente parlando, i giovani hanno nella loro caparbietà, nel loro entusiasmo radicale per le realtà che li coinvolgono nell’animo – e nella loro naturale propensione al vero delle cose – lo spirito che fa Sinodo: la sinodalità�, la capacità cioè di dialogo e confronto autentico sulla realtà che li circonda; i giovani possono, e sanno farlo bene quando ben orientati e stimolati a farlo, lavorare insieme dinamicamente. La parresia, quando si ha ancora un’età che oscilla tra i 16 e i 34-35 anni, non fa certamente difetto. Mi auguro che ciò serva a far recuperare da parte del mondo giovanile una visione delle cose costantemente coraggiosa e, allo stesso tempo cristianamente centrifuga e centripeta: centrifuga perché a partire dal centro si muove verso ciò che è all’esterno per portare una notizia sempre giovane,
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quella che Cristo è il Risorto e il Vivente, che nel dono dello Spirito alla sua Chiesa rivela l’amore della Trinità2, che dona all’uomo il senso pieno della Storia; centripeta perché desiderosa costantemente di ritornare al suo baricentro vitale, il dinamismo trinitario rivelato nell’opera di salvezza da Gesù con la sua vita, morte e risurrezione. Credo che molto della positività della nuova evangelizzazione passi da questa alta valorizzazione del giovane come soggetto attivo dell’opera di annuncio e testimonianza, in un recupero vivo della Tradizione intesa come elemento dinamico della comunione ecclesiale3, come mezzo della trasmissione della Parola vivente, non come contenitore vuoto da riempire, dove si comprende che trasmettere e comunicare la fede4 ai giovani e dai giovani è dare valore ad una dinamica strutturante esistenziale dell’animo umano, quella di desiderare di far conoscere ciò che dimora nel cuore, ciò che fa ardere il cuore e riconoscere 2 Ne dà una lettura efficace il teologo Piero Coda nel suo noto lavoro Dalla Trinità, Città Nuova, Roma 2011, su quest’aspetto in particolare le pp. 46-56. 3 Illuminante a riguardo quanto scrive P. Coda, Dalla Trinità, op. cit., pp.50-54. 4 Per un primo approccio al tema, serio e ben delineato, cfr. V. Di Pilato, Fede, Cittadella Editrice, Assisi 2012. Dello stesso autore un ottimo percorso storico-teologico sull’argomento è strutturato in Consegnati a Dio. Un percorso storico sulla fede, Città Nuova, Roma 20112.
l’amore di Cristo nella sua Parola e nel suo donare sé stesso (cfr. Lc 24,13-35). Ciò permetterà l’annuncio della Parola sempre giovane di Dio che è rivelata5 in Cristo e la risposta piena alla chiamata, unica e singolare, che il Signore fa a ognuno di noi perché la nostra vita sia piena, nella gioia più piena (cfr. Gv 15,11). Il giovane vivrà così l’esperienza del discepolo autentico di Cristo: non quella rischiosa e attualissima del rimanere impigliato nella rete delle mille illusioni e complessità della post-modernità ma conquistato e, a sua volta, “pescatore” di donne e uomini che si innamorano di Gesù anche grazie alla vitalità e alla credibilità del testimone della fede perché immagine trasparente del Signore (cfr. Mc 1, 14-20).
5 Intelligente e arguto il lavoro di A. Sabetta, Rivelazione, Cittadella Editrice, Assisi 2016, che introduce molto bene ad una comprensione della centralità di questo locus theologicus.
“far conoscere ciò che dimora nel cuore”
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La critica della ricerca: appunti filosofici ai margini del mistero dei giovani di Vito Impellizzeri
1. Nella calura riparo
“sperare che non si tratterà di piccole riduzioni grammaticali custodi di stereotipi”
La lettura delle due esortazioni post sinodali a firma di Francesco – Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia – lascia un così forte senso di freschezza (esperienza profondamente spirituale che fa dello Spirito autentico riparo nella calura) che pensare al Sinodo dei giovani autorizza a sperare che non si tratterà di piccole riduzioni grammaticali custodi di stereotipi che coniughino i famosi verbi chiave di Francesco al futuro; e non si tratterà neanche di trattare i giovani come destinatari perenni dell’attenzione dell’azione pastorale perché loro, eterno futuro della Chiesa, verranno poi così riempiti di formazione, di esperienze, di proposte allettanti. Grammatiche pastorali così cariche di mondanità e di
convincimento da risultare molto lontane dal riempimento di grazia e di Spirito avvenuto per e con una giovane ragazza a Nazareth tanti anni fa, ma non troppi da non essere ricordata. Quello di cui vorrei scrivere è dunque della speranza necessaria allo Spirito perché possa porvi la novità dei giovani come disegno e promessa di Dio per il domani di tutti. Se quella giovane ragazza a Nazareth non avesse avuto una sua grammatica ospitale di cuore dove accogliere il dono dello Spirito e della novità non avrebbe potuto diventare madre del Figlio. Senza di lei, di alcune sue parole giovani, non ci sarebbe stata alcuna buona notizia per tutti e per sempre. Il suo presente condiviso ha permesso a Dio di fare del futuro una promessa per tutti. Di questo
45 dialogo tra presente e Spirito nel cuore dei giovani, che genera il futuro come promessa, vorrei poter scrivere alcune piccole cose, alla ricerca di parole capaci di diventare promessa in forza dello Spirito. È il dialogo di un genitore adulto che assumendo come differenza il tempo che lo separa dal figlio giovane pone nel suo tempo diverso il senso non della separazione, anticipo di abbandono, non della frantumazione, anticipo di solitudine, ma il senso della attesa, anticipo dell’incontro e del ritorno, e della promessa, compito del fra-ttempo, dell’intanto, affidato proprio ai figli. Mi piace scrivere che il fra-ttempo e l’in-tanto sono il tempo che si compie come promessa solo se diventa il senso del presente dei giovani. Perché questo avvenga è necessario però che non siano destinatari di un’azione pastorale ma figli. Questi sono i figli nei quali amiamo compiacerci, come il Padre, origine e mistero di ogni paternità altra. 2. Ricerca Le nuove generazioni raggiungono il mondo intero in un click, nuova forma di tempo; la comunicazione ha raccolto l’intero mondo in una rete, la connessione vale quanto la distensione, il campo quanto il corpo, il digitale quanto il reale, il vedere/ scrivere/sentire chiedono una partecipazione digitale, nuova sensibilità e nuova percezione, che non sempre chiede o permette il
coinvolgimento e la responsabilità, ma si può vedere senza esser visti ed esserci contemporaneamente in tante opzioni. Il tempo non è più fra le opzioni e le scelte. Il frattempo ospita l’intanto e il contemporaneamente, e anche la solitudine e il nascondimento. La relazione avviene come contatto. L’esperienza non diventa più il luogo del passaggio. Questa nuova generazione non sente la necessità di imparare ma di connettersi. È la fatica del tempo come discernimento, come verifica, come ricerca, come in-contro. Come può l’in-tanto diventare incontro? Come può la con-nessione diventare con-divisione? Come può il con-tatto diventare comunità (con-umanità)? Il dialogo spirituale trasfigura il tempo in promessa se nel cuore si avvia proprio il processo del motore di ricerca. Eppure è così, i nostri figli sono abituati alla ricerca digitale, alla ricerca in rete, alla ricerca anche nel passato, alla ricerca di amicizia, la ricerca è il loro modo abituale di abitare la rete; e in essa pongono parole chiavi, brevi, sobrie, accorciate, non mutilate, non frantumante, ma intere, piccole, coniugabili in più campi, campi che sembrano a volte paradossali, in contraddizione, eppure che contengono le stesse parole chiavi. Lì il nostro contributo, il processo di coscienza, ovvero una critica della ricerca. Il tempo della critica della ragione si congeda al tempo della critica della ricerca. È questione filosofica capace di ospitare il dialogo spirituale tra coscienza dei
“i giovani non siano destinatari di un’azione pastorale ma figli”
“Il dialogo spirituale trasfigura il tempo in promessa se nel cuore si avvia il processo del motore di ricerca”
46 Nipoti di Maritain giovani e Spirito. Il nostro compito di adulti del cambiamento è scrivere una grammatica filosofica della critica della ricerca. 3. Desiderio
“il desiderio come genera parole di ricerca?”
Si tratta di arrivare lì dove i nostro figli scelgono le parole chiavi con cui avviare la ricerca dentro la rete. Questo è il momento originale della ricerca, questo è il vero momento libero, di scelta e di opzione, poi nella rete le parole avvengono come una serie infinita di combinazioni e di discorsi e di immagini e di luoghi che sequestrano l’esperienza della possibilità dal passaggio e la consegnano alla possibilità del plausibile. Lì dobbiamo accompagnare il processo della critica di ricerca. Ma prima, prima bisogna mettersi in ascolto delle radici nascoste delle parole che poi entrano nella ricerca. Sono parole intime, forti, che provengono dalla percezione della realtà che essi hanno, dalle loro relazioni strutturanti il loro presente e le loro domande, sono le parole che poi nella ricerca diventano domande. Da dove vengono queste parole? Come le custodiscono? Quali memorie? Quali attese? Quali desideri? In esse come riposa la Parola da cui ogni altra parola trae origine? Il desiderio come genera parole di ricerca? Qui diventa determinante il passare accanto ai giovani come mormorio silente e leggero. Una compagnia leggera. Non bisogna avere fretta di rispondere, piuttosto avere il desiderio adulto di vedere
come il desiderio giovane diventi parole, ricerca, mentre il desiderio adulto continuamente diventa fedeltà, responsabilità, scelta. Il territorio del desiderio giovane è un territorio sacro, non permette sandali, non è terra promessa, non è terra conquistata, è terra di Dio, è terra nascosta da un arbusto che arde permanentemente. Arrivare lì alle radici delle parole di ricerca, al desiderio che non si consuma, significa fare una meravigliosa esperienza di ascolto. Si sente il muoversi del pensare dei figli, della loro percezione della realtà e di se stessi, si tratta di vedere diventare i propri figli le parole con cui ricercano e con cui poi costruiscono se stessi. Le parole hanno le radici nel desiderio e i rami nella promessa. il desiderio è il mistero che abita il nome, il fuoco del cuore. Non si tratta di decifrare il desiderio, con una logica a codice barre propria delle leggi di mercato, questo farebbe del figlio un consumatore, fosse anche di desideri spirituali, si tratta piuttosto di vedere, nell’orizzonte della coscienza del figlio, sorgere le parole raggi di luce del desiderio, e riconoscerne la gratuità e la graziosità, e farsene custodi. Quando i figli si sentiranno traditi e non capiranno, delusi e non reagiranno, svuotati e non cercheranno, stanchi e si fermeranno, derubati e fuggiranno, noi, proprio noi, dobbiamo ricondurli alle radici delle loro stesse parole di ricerca, li dove hanno consegnato il loro nome, loro stessi come speranza e desideri, alle combinazioni
47 possibili e plausibili sempre aperte della rete, così da riscattare il sorgere del nome come parola di ricerca, perché raggio del desiderio che non si consuma. Dobbiamo accompagnare e lasciare i nostri figli lì alle origini del loro mistero, al desiderio che non si consuma. Questo cammino li farà sentire conosciuti perché amati e riconosciuti per il loro nome e non per le combinazioni e le connessioni, più o meno buone, della loro stessa vita. E vedrà sorgere una parola nuova di coscienza, non solo di ricerca ma di riconoscimento, ovvero di riconoscenza: grazie! Aiutare i nostri figli a diventare grazie è il nostro compito. 4. Libertà Ai margini del mistero dei giovani giunge come visione di meraviglia il legame più profondo tra l’umano e il divino, posto dentro il desiderio come fuoco che con consuma. Questo legame è dentro il desiderio come anima, come forza, come principio, come forza. Come la fibra nella rete che spinge subito le parole di ricerca. Il legame chiede un account e un dominio, ovvero una vitalità permanente capace di far muovere subito: con è l’account, passione è il dominio. Nel cuore del desiderio tra l’umano e il divino la forza vitale è la compassione. La libertà, soffio vitale del desiderio, non sta nella possibilità plausibile e combinata di realizzazione (i nostri figli sono molto più informati di noi, non conoscono
l’illusione come possibilità e come debolezza, piuttosto il tradimento come possibilità e come statistica) ma nella gratuità di origine, ovvero di sorgere come grazie. Il tempo diventa promessa quando diventa grazie. Allora la promessa, tempo trasfigurato, avviene come relazione, come gratuità, e non solo come gratitudine e come graziosità. Il tempo diventa relazione gratuita, ovvero solidarietà, come aiuto, come amore fraterno. Il fra-ttempo diventa il fra-tello. Miracolo del grazie. La terra promessa diventa promessa di relazione, di legami, di fedeltà, di responsabilità. La terra diventa carne. Il tempo diventa carità. Questo è il passaggio più difficile della critica della ricerca: si tratta di in-contrare il fra-tello. Qui nei giovani nasce quella esperienza che è la paura, narrativa di solitudine e di vulnerabilità. Nasce la grammatica del rischio. Quando la rete diventa carne dell’altro da incontrare le password che danno sicurezza smettono di essere protezione. Qui si innestano le parole di protezione che vogliono custodire tutti in reti sociali di sicurezza. Ma la rete della comunicazione non imprigiona le reti dell’umano, è necessario dare forza alla libertà come fra-ttempo, come fra-tello. Quando il tempo diventa relazione, il futuro diventa prossimo. Trasfigurare il tempo in prossimo è il compito proprio della libertà forte. La libertà forte non procede per password, scoperte o svelate, ma per volti, nomi, altri, ovvero la condivisione di ricerche, per parole che trovate in rete hanno
“la promessa, tempo trasfigurato, avviene come relazione, come gratuità”
“la libertà forte tra le parole (della rete) e la carne (della relazione) è così prossima e vicina alla prossimità tra Parola e carne”
48 Nipoti di Maritain provocato incontri e relazioni nella carne, che custodiscono gli stessi desideri dallo stesso desiderio, che li rende gli uni gli altri come se stessi. La libertà forte tra le parole (della rete) e la carne (della relazione) è così prossima e vicina alla prossimità tra Parola e carne che è il principio di incarnazione e che avvia nel mondo, con la risurrezione, il processo inarrestabile di fraternità. È ormai tempo di una libertà forte, spinta dalla risurrezione, tra le parole e la carne, l’umano-che-è-di-tutti. Qui la critica della ricerca chiede di confrontarsi con la libertà forte di un altro giovane, figlio della giovane di Nazareth, figlio di Dio, che ha fatto della sua compassione umano-divina il compimento dell’umano-che-è-di-tutti-in-Dio. Ma questo è proprio il compito del Sinodo.
49 Cipissedis pora sed et repersped qui ne et moloreped quam rem rehente es ma doluptatium fugiam eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simendebis acitaspitam et volorum fugiam cum faces eribus.
Cipissedis pora sed et repersped qui ne et moloreped quam rem rehente es ma doluptatium fugiam eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simendebis acitaspitam et volorum fugiam cum faces eribus.
Ugitis as et volorempore nis esequi dolorum rectatem assinis esed quam et in nus excesseces sim voluptatusam sum dusa cum aut adi quia verum re, con periam, te qui toribusam, autas ipsandae sed ent mo etum quam, net aut mos abore mi, quibus earum que velit dus acietur sit es etur repel inction endesequo to dolum facerro rrovitem eum aut venim idellabo. Mil estotata id ullati aut enit, coruptat pos arum desentiat.
Ugitis as et volorempore nis esequi dolorum rectatem assinis esed quam et in nus excesseces sim voluptatusam sum dusa cum aut adi quia verum re, con periam, te qui toribusam, autas ipsandae sed ent mo etum quam, net aut mos abore mi, quibus earum que velit dus acietur sit es etur repel inction endesequo to dolum facerro rrovitem eum aut venim idellabo. Mil estotata id ullati aut enit, coruptat pos arum desentiat.
Dolorep reptias et quas is iuntore non et voluptas ipienet voluptatur, offictemquis aute pro odiscillum im sam quatum, invelescil moditatiosa volorerfere adic tor sum eliqui debitate ad quias quunturemquiOvid quo qui voluptur, amet omnimus antiundam quaecatent fugit a coraectur secte persper naturent harum et doleseq uidunt aut aborepe llique di aut di quia inciis sunt peleserionem quunt, conseque lab ipsa delliquia inctota ectibus con esto cullabo. Nequide niminct oreici core pellanto ese necabor epudige neturion reribusape doluptatur mil ipsam ipicita si alicatecte simolorro que sapicit rem qui aut voluptam, ulpari duciduntur sequia sitiu-
Dolorep reptias et quas is iuntore non et voluptas ipienet voluptatur, offictemquis aute pro odiscillum im sam quatum, invelescil moditatiosa volorerfere adic tor sum eliqui debitate ad quias quunturemquiEm ipsamusam derum rest, eatquam, temporesti omnimaxim ideris molorep erorest etur, sequo expernatum quos ipidipsae porem lantis qui si tem auda dolupturenis es archili quunt, quunt quiaspe llabore parumenia volorereptat et aut lant, omnisitate nis eria consequi as esto berestibus, sequi ut ea ditias et est volore endi rehenda provit audi officit dunto eos assectem sa eos repere il et, officius diat.
Cipissedis pora sed et repersped qui ne et moloreped quam rem rehente es ma doluptatium fugiam eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simen-
Rubriche
50 Nipoti di Maritain
intervista
Bruno Bignami e l’ecologia integrale relazionale a cura di Piotr Zygulski
Don Bruno Bignami, lei è autore di un saggio intitolato “Terra, aria, acqua e fuoco. Riscrivere l’etica ecologica”. Perché mai occorre riscriverla? In quel saggio tentavo di dire che siamo in una fase storica di passaggio, dove alcune cose che alcuni anni fa ritenevamo scontate oggi non lo sono più. In particolare mi riferivo al rapporto con i beni comuni, per cui terra, aria, acqua e fuoco dicono il rapporto umano con gli elementi essenziali per la vita. Abbiamo dato per scontato che fossero parti del diritto del vivere umano. In realtà oggi non è più così, perché la tentazione è quella di un’appropriazione continua di questi beni. Riscrivere l’etica ecologica riguarda non solo il rapporto che noi abbiamo con l’ambiente, ma pure il
tema sociale del rapporto con l’umanità che si struttura nella gestione anche dei beni comuni. Da questo punto di vista occorre riscrivere l’etica ecologica, cioè allargare lo sguardo e partire dal nostro rapporto coi beni comuni: siamo capaci di essere inclusivi o siamo esclusivi, cioè persone che escludono? In che modo può essere riscritta l’etica ecologica? Su quali basi va rifondata? Anche da un punto di vista “ateo” – o perlomeno “laico” – è possibile trovare giustificazioni per salvaguardare quella che noi chiamiamo “creazione”? Parto dall’ultima prospettiva. La visione cristiana del rapporto con l’ecologia è all’interno di un rapporto vitale con Dio, tant’è vero che nella visione biblica
51 parliamo di creazione, non di natura. Il concetto di creazione presuppone l’esistenza di un creatore e delle creature; l’uomo è creatura tra le creature e c’è un Creatore. All’interno di questa relazione fondante si struttura la considerazione ecologica, dal punto di vista credente. Il cristianesimo può entrare in dialogo offrendo un apporto specifico, che è quello relazionale, fondamentale oggi per capire le questioni ecologiche. La Laudato si’ si colloca esattamente nella prospettiva dell’ecologia integrale. Le relazioni non solo con l’ambiente, ma anche quelle sociali, economiche, politiche, costituiscono una dimensione ecologica. Questo è l’apporto che il cristianesimo può offrire, in dialogo con la cultura contemporanea. Anche chi fa riferimento a esperienze culturali differenti ha da rispondere a questo interrogativo: come salvaguardare la nostra umanità e un discorso ecologico a partire dalle relazioni che ci costituiscono? Però talvolta si accusa l’impostazione etica cattolica tradizionale di aver strumentalizzato tutto il creato in funzione unicamente dell’uomo, svilendolo di un valore in sé degno di tutela. Quindi il cattolicesimo, secondo alcuni, sarebbe corresponsabile della crisi ecologica. È fondata tale critica? La critica non è solo nei confronti del cattolicesimo, ma del
cristianesimo in genere. Uno dei punti che Lynn White scrisse nel suo articolo pubblicato nel 1967 sulla rivista Science andava in questa direzione: il cristianesimo si sarebbe fatto promotore di un antropocentrismo, cioè della visione per cui l’uomo è al centro. Questo fatto avrebbe contribuito a calpestare la creazione. Ma nella dimensione biblica l’uomo ha un ruolo speciale, che viene ben rappresentato da due immagini: quella del re che si mette al servizio del suo popolo e quella del pastore che sceglie i pascoli migliori per il suo gregge. Il ruolo dell’uomo allora non è quello di chi può fare ciò che vuole con la creazione ma è colui che ha la capacità di riconoscere la bellezza, di mettersi al servizio di una creazione che deve continuare ad essere bella e di favorire le relazioni tra le creature. C’è un antropocentrismo cristiano, ma – come spiega Laudato si’ – non è mai un antropocentrismo dispotico. Non è vero che l’uomo sarebbe l’unica realtà creata, mentre tutto il resto andrebbe demolito. Oltre alla già citata Laudato si’, secondo Lei sono già presenti altri segni concreti di una trasformazione della morale cattolica di fronte alla crisi ecologica? Se sì, in quale direzione? I segni ci sono da anni. Per fortuna tale riflessione è entrata anche nelle scuole di teologia, nei libri, nelle catechesi, nell’ambito della teologia morale. Oggi nel
“il cristianesimo può entrare in dialogo offrendo un apporto specifico, che è quello relazionale, fondamentale oggi per capire le questioni ecologiche”
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“tutto è connesso e pertanto non si può separare la questione sociale dalla questione ambientale”
cattolicesimo il tema ecologico è molto affrontato. Una cosa che deve diventare sempre più provocazione – e anche invito – è che il tema dell’ecologia integrale sia parte delle scelte e degli stili di vita dei cristiani. Questo aspetto ha bisogno di maturazione: formare coscienze che di fronte ad ogni scelta sappiano decidere per una valorizzazione della persona e del suo rapporto con la creazione in una prospettiva che papa Francesco definisce “ecologia integrale”. Proprio questa è la cifra sintetica della riflessione cattolica odierna: tutto è connesso e pertanto non si può separare la questione sociale dalla questione ambientale, così come non si può separare una questione economica da una questione che mette in campo la relazione con i beni della terra. L’espressione “tutto è connesso” ci ricorda l’orizzonte nel quale la teologia e il mondo cattolico guardano all’ecologia. Lei è presidente della Fondazione don Primo Mazzolari e postulatore della sua causa di beatificazione. Papa Francesco nella sua visita a Bozzolo si è soffermato su tre scenari che ogni giorno riempivano i suoi occhi e il suo cuore: il fiume, la cascina e la pianura. Qual era, sinteticamente, lo sguardo di don Mazzolari sull’ambiente? In che modo anch’egli può darci mano a riscrivere l’etica ecologica? Don Primo Mazzolari ha vissuto
nella prima metà del Novecento ed è morto nel 1959. I temi ambientali all’epoca sua non erano avvertiti come lo sono. Non è stata sua preoccupazione metterli al centro della sua riflessione, perché il suo contesto non ne sentiva la necessità. Però Mazzolari ha pensato un cristianesimo incarnato dentro la storia. Quindi la domanda per il nostro tempo è: cosa significa oggi vivere un cristianesimo incarnato nella storia, che non fugge le grandi questioni etiche del nostro tempo ma se ne fa carico, le fa sue e aiuta l’umanità di oggi ad affrontarle, approfondirle e risolverle? Non dobbiamo cercare in Mazzolari soluzioni ai temi ambientali: non le troveremo mai. Però troviamo un tipo di cristianesimo impegnato con l’umanità. È esattamente il modello che ci aiuta a non trascurare i passaggi storici del nostro tempo e a viverli “con il vangelo in mano”, preoccupati di essere significativi dal punto di vista evangelico.
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laudate hominem
Liturgia e creato di Christian Cerasa
È bene riscoprire un volto della tradizione della Chiesa troppo spesso dato per scontato, ma che ne è parte essenziale, in quanto chiamato ad accompagnare il suo cammino fino alla fine dei tempi: la liturgia che fin da subito ha mantenuto un forte legame con il creato. Si pensi ai cicli temporali dell’anno, delle stagioni, delle settimane e dei giorni; oppure al rapporto che si instaura con la creazione tramite le varie forme di benedizioni che troviamo nei testi delle formule utilizzate per i riti. Ma ancora di più si consideri la valorizzazione degli elementi naturali propri di un’azione liturgica che contraddistinguono alcuni sacramenti, segni rappresentativi di un evento salvifico e di grazia: l’acqua nel Battesimo, l’olio nella Confermazione e nel sacramento dell’Ordine, il pane e il vino nell’Eucaristia. Tutto il dono
della creazione diventa oggetto e soggetto nella liturgia; da ciò che troviamo spontaneamente in natura a ciò che diventa cosa buona attraverso il lavoro dell’uomo. Spesso però proprio la naturalezza di queste realtà ci porta a non considerarle sotto il profilo teologico che sarebbe la base essenziale per una piena comprensione del creato nella liturgia. Occorre partire dalla riflessione sul corpo dell’uomo celebrante nella liturgia, dimensione che richiama l’identità creaturale e cosmica dell’azione rituale stessa. È proprio la corporalità che ci inserisce nel luogo e nel tempo della celebrazione, così come la postura nelle singoli parti rituali ne diventa il segno visibile e concreto; la Chiesa fin dai primi secoli ha tramandato gesti e riti, evitando così la svalorizzazione della materia e il rischio di una
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“tutto il dono della creazione diventa oggetto e soggetto nella liturgia”
spiritualizzazione disincarnata. Infatti, l’evento dell’incarnazione – che comprende e culmina con la risurrezione di Gesù “nel suo vero corpo” – ha fatto sì che anche la nostra corporeità fosse inserita dentro la creazione, per partecipare a pieno titolo al mistero della salvezza, guidati dallo Spirito Santo. Il Battesimo per immersione nella Chiesa delle origini rappresentava tangibilmente questo aspetto; il simbolismo liturgico era – ed è! – strettamente legato al significato teologico: il neofita che si immergeva nelle acque rappresentava l’uomo vecchio che morendo al peccato, purificato e vivificato dal fonte emergeva – segno della risurrezione – come uomo nuovo in Cristo. La relazione con Dio che si realizza nella liturgia avviene quindi tramite il corpo e il creato, partecipando strettamente alla risurrezione di Cristo, in forza del suo Santo Spirito di cui “possediamo fin da ora le primizie”. Questa esperienza viene da Dio: passa attraverso l’incarnazione del Figlio e la dynamis dello Spirito e poi torna a noi come creato rinnovato. Luigi Girardi nel testo Aspetti ecologici del linguaggio e del simbolismo liturgico (Ed. Messaggero, Padova 2003) afferma: «La celebrazione della fede sviluppa una potenzialità di cui l’uomo e il suo mondo sono capaci, ma di cui non sono l’origine: è dono dall’alto a cui si deve essere iniziati». Qui si radica la dimensione sacramentale
della creazione senza la quale l’uomo celebrante non potrebbe sperimentare con profondità e con verità il dato della salvezza. L’uomo che celebra non può fare a meno del proprio corpo e del creato, ma nello stesso tempo si trova nella necessità di trasfigurarlo, cioè di mostrarne la novità di cui è reso partecipe; già ora, in una forma storica, ma proiettato escatologicamente, come deduciamo dalla categoria liturgica del “memoriale” hic et nunc. Un esempio esplicito di questa teoria lo offre san Paolo con la metafora del corpo mortale e spirituale (cf. 1Cor 15,35-38). Tutto – corpo e creato di cui è parte – è chiamato a diventare simbolo della risurrezione; la liturgia ne diventa la forma esplicita. O meglio lo è, se e in quanto l’atto liturgico utilizza il linguaggio della creazione nella modalità simbolica che le è proprio: quello dell’azione rituale, memoriale (commemorazione, ripresentazione, prefigurazione) dell’opera della salvezza. Il linguaggio liturgico consiste sempre in una modalità propria di organizzare il tempo, lo spazio e il corpo, ampliandone la capacità semantica oltre la loro quotidiana sperimentabilità naturale e aprendo all’esperienza di un’eccedenza di significato e di valore. L’anima liturgica unisce così il mondo terrestre con il mondo celeste poiché il linguaggio utilizzato nei riti può esprimere “l’altro” mondo solamente con il materiale sensibile di “questo” mondo: ecco perché il rito è un
55 passaggio, una Cipissedis porasoglia sed et per repersped accedere quimistero. al ne et moloreped quam rem rehente La liturgia es ma doluptatium deve riscoprire fugiam eaturepe lavoluptate continuamente propria identità omnimus di lode alitdel laccat creatoute expe del Creatore, volores dit, evitare per simendebis le briglie acitaspitam del categorie et volorum fugiam teologiche di “forma” cume faces “materia” eribus. possono ridurre il rito o il che sacramento prettamente ad una Ugitis as et “rubricistica voloremporee nis esedimensione legale”, qui dolorum rectatem assinis anziché manifestare la gloria e le esed quam in nus ortodosso excesseopere di Dio. et Il teologo ces sim voluptatusam sum dusa Georges Florovsky (1893-1979) cum aut adi«In quiaCristo, verum Dio re, con osservava: ha periam, te toribusam, autas riportato la qui creazione la creatura ipsandae ent mo etumdivenire quam, alla sua sed destinazione: netcorpo aut mos abore mi,Insomma, quibus eail di Cristo». il rum que velit creato dus acietur sit es mondo è stato per divenire etur repel inction endesequo Eucaristia; nel sacramento to dolum facerro rrovitemdivina eum eucaristico l’energia aut venim estotata scende dal idellabo. cielo perMil operare la id ullati aut enit, coruptatossia pos divinizzazione dell’uomo, arumfarlo desentiat. per partecipare insieme al cosmo alla vita stessa di Dio. Scrive Dolorep Pakanic reptias (Bose et quas Antonij 2012is –iunXX tore non etEcumenico): voluptas ipienet voConvegno «L’azione luptatur, offictemquis aute pro del sacramento dell’eucaristia odiscillum sam quatum, innon solo im supera l’incapacità velescilcreatura moditatiosa della ad volorerfere entrare in adic tor sumcon eliqui debitate ma ad comunione il Creatore, quias i limiti quunturemquiOvid anche spazio-temporaliquo del qui voluptur, omnimus mondo creato.amet L’eucaristia è alandi tiundam quaecatent fugit a cosopra dello spazio e del tempo». raectur secte persper naturent Nell’Eucaristia la creazione si harum et doleseq uidunt aut trasforma e si innalza al abosuo repe llique di aut di quia inciis Creatore. sunt quunt, conseNelpeleserionem rito della Veglia Pasquale que lab ipsa delliquia ectroviamo una perfettainctota armonia con tra esto gli cullabo. Nequide etibus unità elementi del nimincte la oreici core pellanto creato gestualità liturgica.ese Si necaborinnanzitutto epudige neturion rericelebra di notte, in busapedell’alba doluptatur mil ipsamdies, ipiattesa dell’octavo cita si alicatecte que del giorno dellasimolorro risurrezione; sapicit rem qui del aut fuoco, voluptam, la simbologia del ulpari duciduntur sequia sitiu-
cero frutto Cipissedis poradell’ape sed et repersped madre, qui ne et moloreped dell’acqua; la solenne quam liturgia rem rehenteParola della es maintroduce doluptatium in fuun giam eaturepe percorso di fedevoluptate dalla creazione omnimus contemplazione alla alit laccat ut expe del Risorto; volores dit,liturgia la simendebis battesimale acitaspitam è segno di et volorum in rinascita fugiam Cristocum e si faces conclude eribus. l’Eucaristia, fons et culmen con della liturgia. Ugitis et volorempore nis eseChe as le nostre liturgie e catechesi qui dolorum assinis siano sempre rectatem espressione di esed quam et in unità nus excessequesta perfetta e che ces veridicità sim voluptatusam sum possa dusa la dei segni cum aut adi quia più verum con spingerci sempre allare,piena periam, te qui toribusam, autas contemplazione del Mistero ipsandae ent mo etum quam, che già insed mezzo a noi porta gli net autdella mos abore mi, quibus eaeffetti redenzione; viviamo rum que velit dus acietur sit es il desiderio di raggiungere, nella etur repel dei inction comunione santi endesequo in Cristo, to dolum facerro rrovitem eum quella piena contemplazione del aut venim Mil estotata volto del idellabo. Padre Creatore nella id ullatidelaut enit, coruptat pos liturgia cielo. arum desentiat. Dolorep reptias et quas is iuntore non et voluptas ipienet voluptatur, offictemquis aute pro odiscillum im sam quatum, invelescil moditatiosa volorerfere adic tor sum eliqui debitate ad quias quunturemquiEm ipsamusam derum rest, eatquam, temporesti omnimaxim ideris molorep erorest etur, sequo expernatum quos ipidipsae porem lantis qui si tem auda dolupturenis es archili quunt, quunt quiaspe llabore parumenia volorereptat et aut lant, omnisitate nis eria consequi as esto berestibus, sequi ut ea ditias et est volore endi rehenda provit audi officit dunto eos assectem sa eos repere il et, officius diat.
“l’uomo che celebra non può fare a Cipissedis meno delpora proprio sed et repersped corpo e del creato, qui nenello et moloma stesso reped quam rem tempo si trova rehente es ma do-di nella necessità luptatium fugiam trasfigurarlo” eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simen-
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rodafà
Onnigami di Stefano Sodaro
Il caldo scende d’estate quasi improvvisamente ad avvolgere corpi, volti, storie, solitudini, incertezze, schiene stanche, gambe intorpidite dall’abitudine, menti purtroppo per niente svagate. Accade che d’estate faccia caldissimo, ma non ancora afoso, non ancora asfissiante. L’ossigeno c’è finché ce lo lasceranno. Mare. Luce. Sorrisi anche controvoglia, perché all’ottimismo del bel tempo non si può opporre il broncio. Vien voglia di abbracciare tutti, ma non si può. Proibito. Vietatissimo. Neanche il nostro corpo possiamo toccare lecitamente, figurarsi se è consentito sentire superfici estranee. Eppure nuotiamo, e tocchiamo l’acqua. Mangiamo, e tocchiamo il cibo. E il nostro corpo invoca le nostre mani, come un figlio piccolo cerca quelle della madre. Ma, appunto, è assolutamente interdetto qualunque contatto.
Potrebbe addirittura invocarsi l’applicazione del codice penale. Lessi un libretto di 44 pagine, opera di Luce Irigaray, intitolato Elogio del toccare, edizioni Il Melangolo. Trovai, alle pagine 33 e 34: «Al di là del fatto che la nostra cultura preferisce la moltitudine al numero due, privilegiare il “guardare a” non è la soluzione adatta a trovare le vie per una felice condivisione dell’eros. La coltivazione del tatto sarebbe una strada più appropriata, ma la nostra lacuna al riguardo è ancora grande. Inoltre, i filosofi contemporanei che hanno parlato di tatto, come Merleau-Ponty, Sartre e anche Levinas, lo hanno, in un modo o nell’altro, assoggettato alla vista o a qualche ideale. Essi non alludevano alla carezza in quanto strumento di espressione del desiderio e nel contempo di restituzione all’altro dei confini del proprio corpo, per restaurare in esso, in questo modo, la propria individuazione. Al contrario, la
57 carezza è pora per loro strumento Cipissedis seduno et repersped di ne et rimozione qui moloreped dell’identità quam rem dell’altroes ema una modalità fu-di rehente doluptatium possesso, che diviene strumento giam eaturepe voluptate omniper il mus alitproprio laccat piacere ut expepersonale, volores per simendebis il proprio personale percorso. dit, acitaspitam et Non è ancora una volorum fugiam contemplata cum faces eriquestione della condivisione bus. reciproca del desiderio in una Ugitis as etumana volorempore nis esemodalità ed etica. Tali qui dolorum rectatem assinis filosofi non raggiungono questa esed quam et ina nus excesseconsapevolezza causa di una ces sim voluptatusam sum dusa carente attenzione all’eros». cum aut adi quia verum re, con periam, te qui toribusam, autas Si può anche non concordare ipsandae sed ent mo etum quam, con tale analisi, eppure un deficit net aut mos abore mi, quibus eadi reciproco innamoramento, a rum que velit dus acietur sit es prescindere da ogni codificazione etur repel inction endesequo sociale, che riesca a scardinare to dolum facerro rrovitem eum persino pulsioni immediate aut venim idellabo. Mil estotata e strettamente organiche id ullati aut enit, coruptat pos per approdare invece ad un arum desentiat. coinvolgimento totalizzante, meravigliosamente appagante, Dolorep reptias et quas is iunun deficit simile è di facile tore non et voluptas ipienet voconstatazione. luptatur, offictemquis aute pro Mica mi posso innamorare di odiscillum im sam quatum, inchi incontro per strada. Siamo velescil moditatiosa volorerfere matti? adic tor sum eliqui debitate ad Non si capisce neppure se quias quunturemquiOvid quo la predicazione dolorosa sul qui voluptur, amet omnimus anfallimento dei matrimoni non sia, tiundam quaecatent fugit a coper caso, l’orrore scandalizzato di raectur secte persper naturent fronte al fatto che non era lì, nel harum et doleseq uidunt aut abomatrimonio, in quel matrimonio, repe llique di aut di quia inciis che covava l’amore come uovo sunt peleserionem quunt, conseprezioso, ma altrove, mentre in que lab ipsa delliquia inctota ecquel nido c’erano solo sassi. E tibus con esto cullabo. Nequide perché c’erano sassi? Di nuovo niminct oreici core pellanto ese perché l’amore è vietato, ai minori necabor epudige neturion rerima soprattutto ai maggiori di età. busape doluptatur mil ipsam ipiSenza totalità – in essa cita si alicatecte simolorro que ricomprendendo necessariamente sapicit rem qui aut voluptam, il desiderio di toccare, di sentire, ulpari duciduntur sequia sitiu-
Cipissedis porasolo sed con et repersped magari anche l’orecchio qui ne etc’è moloreped quam remè –, non amore. Ma toccare rehente proibito.es ma doluptatium fugiam eaturepe ma voluptate omniSi consuma non si ama. musGli alit laccat consumano ut expe volores onnivori tutto, dit, acitaspitam et finosimendebis al dissolvimento dell’oggetto volorum fugiam affamati. cum faces erisu cui si buttano bus.Gli “onnigami” invece, che tutto e tutti desidererebbero sposare (lo Ugitis et volorempore nis esedice laasparola), vogliono mangiare qui dolorum rectatemguardarsi, assinis assieme, condividere, esed quam et in nus excesseparlarsi, ascoltarsi, accarezzarsi. ces voluptatusam sum dusa Eh sim sì, cari i miei giudici, anche cum aut adi quiahorribile verum re, dictu, con accarezzarsi: periam, te qui toribusam, autas accarezzarsi. ipsandae mo etum quam, Ci si sed puòent immaginare sposi, net aut mos quibusmai? eaconiugi, cheabore non simi, tocchino rumIlque velit dus èacietur es problema che sit questo etur repel inction endesequo “matrimonio universale” che tutto toabbraccia, dolum facerro eum include,rrovitem e niente lascia aut venim idellabo. Mil fuori, è considerato una estotata specie di iddelirio ullatipsicopatico. aut enit, coruptat pos arum desentiat. Eppure quel “lui” che compare nel biblico “Cantico dei Cantici” – Dolorep reptias et quas iunci si scandalizzi pure – siisrivolge tore nonchiamandola et voluptas “sorella ipienet mia, voa “lei” luptatur, offictemquis aute pro sposa”. Che mai significa? odiscillum samcaldo quatum, Con il im sole che inmi velescil moditatiosa abbraccia oggi non volorerfere vorrei forse adic tor sum eliqui debitate ad sposarmi? quias ipsaNon quunturemquiEm vorrei unirmi al canto dei musam derum rest, merli e dei passeri qui, eatquam, nella corte temporesti omnimaxim ideris della mia casa vecchia di duecento molorep anni? erorest etur, sequo expernatum quos ipidipsae porem Non vorrei sposare le albicocche lantis qui si tem auda dolupture-e e le ciliegie ancora rosseggianti nis es archili quunt, quunt quiacarnose? spe Ellabore parumenia le stelle di notte, volorequando reptat et autl’estate, lant, omnisitate nisa comincia sfolgoranti eria consequi esto berestibus, milioni, non as vorrei sposarle ed sequi ut chiamarle ea ditias una et est volore anch’io ad una per endi provit officit nomerehenda come fa Dio, audi pazzamente dunto eos assectem sa eos repeinnamorato? re ilEet, officius non vorreidiat. sentirmi tutt’uno con il mare che mi invita ad
Cipissedis pora sed et repersped qui ne et moloreped quam rem rehente es ma doluptatium fugiam eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simen“mangiare assieme, condividere, guardarsi, parlarsi, ascoltarsi, accarezzarsi”
58 Nipoti di Maritain abbracciarlo? E i boschi? Non vorrei sentire nelle mie mani, sul mio corpo, tra i miei capelli, dentro di me il profumo di quel verde immenso e tenero, declinato con sfumature infinite? E la toccata e fuga in re minore di Bach non vorrei farla mia, sposare anch’essa? E non vorrei sposare anziani abbandonati, vedove dimenticate, innamorate deluse? Sposare mica vuol dire semplicemente avere relazioni sessuali. Sposare è assumere in sé, fare spazio. E dunque tutti possono sposare tutti. Terribile eresia. Eresia? Quando il papa, con parole più o meno sicure e più o meno riferibili, mette alla berlina la “lobby gay” che stazionerebbe nella Curia Romana – chi mai l’avrebbe detto o anche solo sospettato -, verso quale male punta l’indice? Mica verso l’inclinazione omofila. Piuttosto indirizza l’attenzione, finalmente consapevole, verso l’esclusione divenuta falso dogma, che, mentre espelle l’altro da sé, coltiva dentro quella medesima alterità senza rilevarla, anzi nascondendola per vergogna. Non è solo ipocrisia, è molto di più. È contro-amore. Com’è questa storia, per cui i più retrivi e tradizionalisti si ritrovano poi invischiati esattamente in quei contesti che deprecavano? Se non si fa luce, si piomba nelle tenebre. E qualcuno preferisce l’oscurità. La preferisce chi non ha mai dovuto consolare, proteggere,
un bambino od una bambina dalla paura del buio. Chi si sposa diverrà marito, moglie, ma, anche senza generare fisicamente nessun figlio, sarà sempre pure padre e madre. Non si può ignorare che caratteristiche di profonda sponsalità unitiva stanno dentro l’essere padre e l’essere madre. Quel corpo, prima piccolo, piccolissimo e poi grande, enorme, più grande di noi, che viene da me, da te, dev’essere toccato, se no muore. Eccoci qui. Il contrario della morte non è la vita. Il contrario della morte è l’amore. Solo che la morte è dovunque, mentre l’amore è proibito. Liberiamolo dunque. Sposiamoci. Diventiamo mariti, mogli, padri, madri. Gli uni degli altri. Nonostante qualunque cosa in contrario. Anche prima che inizi l’estate. Prima che sia tardi. Buona domenica.
Pubblicato nel numero 215, del 16 giugno 2013 de “Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano”
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a ben vedere
Cipissedis pora sed et repersped qui ne et moloreped quam rem rehente es ma doluptatium fugiam eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simendebis acitaspitam et volorum fugiam cum faces eribus.
Cipissedis pora sed et repersped qui ne et moloreped quam rem rehente es ma doluptatium fugiam eaturepe voluptate omnimus alit laccat ut expe volores dit, simendebis acitaspitam et volorum fugiam cum faces eribus.
La rilevanza teologica del sociale in Enrico Chiavacci
Ugitis as et volorempore nis eseUgitis as et volorempore nis esequi dolorum rectatem assinis qui dolorum rectatem assinis esed quam et in nus excesseesed quam et in nus excesseCipissedis pora ces sim voluptatusam sum dusa ces sim voluptatusam sum dusa sed et repersped cum aut adi quia verum re, con cum aut adi quia verum re, con qui ne et moloperiam, te qui toribusam, autas periam, te qui toribusam, autas reped quam rem di Rocco Gumina ipsandae sed ent mo etum quam, ipsandae sed ent mo etum quam, rehente es ma donet aut mos abore mi, quibus eanet aut mos abore mi, quibus ealuptatium fugiam rum que velit dus acietur sit es rum que velit dus acietur sit es eaturepe volupetur repel inction endesequo etur repel inction endesequo tate omnimus alit dell’insegnamento del “Papa «È un errore pensare che Dio è ut expe to dolum facerro rrovitem eum da laccat to dolum facerro rrovitem eum venuto lontano” avrebbe lontano, volores dit, simenaut venim idellabo. Mil estotata aut venim idellabo. Mil che estotata di sicuro interessato Enrico abita in un’altra città: di città id ullati aut enit, coruptat pos uno dei più rilevanti id ullati aut enit, coruptat pos Chiavacci, ce n’è una sola; arum desentiat. arum desentiat. teologi moralisti italiani del XX egli dimora fra queste mura. È secolo1, scomparso qualche mese qui, dentro le periferie, Dolorep reptias et quasdopo is iunDolorep reptias et quasdove is iunsi azzuffano angeli e l’elezione di Bergoglio a tore non et voluptas ipienet votore non et voluptas ipienet vouomini». vescovo di Roma. luptatur, offictemquis aute pro di Chiavacci tenta un luptatur, offictemquis aute pro (D.M. Turoldo) L’opera odiscillum im sam quatum, in- al sociale a partire odiscillum im sam quatum, inapproccio velescil velescil moditatiosa volorerfere da una rilettura globalmente Il magistero di Papamoditatiosa Francesco, volorerfere adic tor sum eliqui debitate ad La base fondante su cui adic tor sum eliqui debitate ad teologica. denso di parole e di gesti assai quias quunturemquiEmcostruire ipsa- tale proposta è, secondo il quias quunturemquiOvid quo significativi, è indubbiamente musam derum una rest, eatquam, qui voluptur, amet omnimus anteologo fiorentino, una categoria: orientato a proporre temporesti omnimaxim tiundam quaecatent fugit a co«o ideris un tema biblico potente e rilevanza teologica del sociale. molorep erorest etur, sequo exraectur secte persper naturent sufficientemente comprensivo, Dai testi dell’Evangelii Gaudium pernatum quos ipidipsae porem harum et doleseq uidunt eautdella abo- Laudato in grado cioè di gettare la luce si’ alle visite a lantis qui si tem auda dolupturerepe llique di aut di quia inciis del Vangelo […] Solo dopo sarà Lampedusa e alla periferia di nis es archili quunt, quunt quia- integrare l’esperienza sunt peleserionem quunt,Napoli consepossibile – senza dimenticare i pasti spe llabore parumenia umana volore-con la luce del Vangelo, e que lab ipsa delliquia inctota ec- insieme consumati ai senzatetto reptat et aut lant, ha omnisitate nis a proposte morali serie tibus con esto cullabo. Nequide giungere e ai migranti – Francesco consequidi as una esto berestibus, niminct oreici core pellanto ese la eria avanzato prospettiva sequi ea ditias necabor epudige neturion federeriche si cala, conutfatica, dentroet est volore 1 officitPer un inquadramento del suo endi rehenda provit audi busape doluptatur mil ipsam ipi- per annunciare la storia speranza, profilo biografico, culturale e teologico dunto eos assectem repecita si alicatecte simolorro sensoque e prospettive valoriali per il sa eos rimando a E. Chiavacci, Il cammino della il et, officius diat. sapicit rem qui aut voluptam, presente e ilrefuturo. Lo sviluppo morale. A colloquio con Valentino Maraldi, ulpari duciduntur sequia sitiuAncora, Milano 2005.
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“i fattori sociali vanno intesi rispetto all’esistenza di fede come prioritari, perché l’annuncio evangelico illumina e giudica ogni relazione sociale”
e ragionevoli»2. Così, la movenza di ogni pensiero teologico sul sociale non può che considerare, come afferma il numero 46 della Gaudium et spes, il rimando costante alla rivelazione biblica e all’esperienza umana. Infatti il Concilio Vaticano II, in particolare con la costituzione pastorale, ha riconsiderato gli aspetti sociali e politici come questioni proprie della teologia a partire dalla rivelazione divina. Questa, per Chiavacci, comunica un Dio che è: «sostegno, liberazione, misericordia, perdono […] Il Re Messia è annunciato come colui che ristabilirà la giustizia di Dio, che è sempre giustizia resa al povero e all’oppresso, all’orfano, alla vedova e allo straniero […] Si tratta di un vero annuncio sul sociale, sul modo di concepire la convivenza per il popolo di Dio»�. Fra i punti fermi del pensiero di Chiavacci vi è il riconoscimento della svolta che il ragionamento cristiano sul sociale ha avuto tramite i documenti conciliari. A parere dello studioso italiano, dopo la teologia della Gaudium et spes, i fattori sociali non vanno più intesi come esterni e secondari rispetto all’esistenza di fede bensì come prioritari perché l’annuncio evangelico illumina e giudica ogni relazione sociale degli uomini. Quindi, per il teologo toscano, la vita di relazione: «non è, per ogni singolo, strumento per il proprio 2
E. Chiavacci, Teologia morale 3/2. Morale della vita economica, politica, di comunicazione, Cittadella Editrice, Assisi 2008, p.15.
perfezionamento; ma è essa stessa valore. Non c’è perfezione ulteriore alla perfezione della carità, di un amore del prossimo che è inscindibile dall’amore di Dio»3. Allora, per il cristiano, la società non sarà semplicemente, ed in modo egoistico, un mezzo per il raggiungimento della propria salvezza. Piuttosto, la qualità positiva delle nostre interazioni politiche, sociali, economiche, ambientali e culturali intessute nella comunità umana ha valore in sé in quanto frutto di relazione sia con gli altri sia con il creato. Difatti, a parere del moralista italiano, si tratta del cammino: «della carità contro l’egoismo, e in questa lotta contro il potere delle tenebre, lotta sempre incombente nella storia, il cristiano, ogni cristiano, deve sentirsi impegnato»4. A partire datale consapevolezza, secondo Chiavacci, s’impone una teologia del sociale che, sulla scia del comandamento dell’amore verso Dio e per il prossimo, si fonda sul valore dei rapporti interpersonali da un lato e sulla comune vocazione trascendente dall’altro. Da questo cono di luce, la storia intera e tutta la
3 ID., Teologia morale fondamentale, Cittadella Editrice, Assisi 2007, p.283. Sulla costituzione pastorale, Chiavacci in seguito affermerà: «In Gaudium et spes il tema è che la salvezza non è solo quella dell’anima del singolo, da mandare in paradiso attraverso l’evangelizzazione e la sacramentalizzazione, ma è la salvezza dell’umanità, della famiglia umana». E. Chiavacci, Il cammino della morale, cit., pp.62-63. 4 Ibidem, p.285.
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“una teologia del sociale che si fonda sul valore dei rapporti interpersonali da un lato e sulla comune vocazione trascendente dall’altro”
complessità sociale di ogni tempo trovano senso iniziale e traguardo finale nella vicenda pasquale di Cristo Gesù. Ne deduciamo che i fattori macro e micro economici, i cambiamenti climatici, la minaccia di una guerra nucleare, la crisi delle democrazie occidentali, i fenomeni migratori e ogni esperienza umana devono avere per i credenti una rilettura biblicamente fondata: «Ogni tragedia, ogni guerra, ogni oppressione, ogni miseria – il grido spesso silenzioso dei poveri della terra – può nascondere e rivelare una precisa chiamata di Dio per noi – […] La presenza e il disegno di Dio per l’oggi della Chiesa deve essere letto nell’oggi della famiglia umana»5. La lezione teologica di Enrico Chiavacci, ancora tutta da rivedere e scoprire, si lega al magistero del vescovo di Roma specialmente quando questi riflette sulla dimensione sociale del Vangelo. Tutto l’intero insegnamento di Francesco sottolinea, spesso direttamente, il significato sociale della redenzione poiché il kerygma possiede: «un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità» (Evangelii Gaudium 177). Una ripresa sistematica dell’opera di Chiavacci alla luce del magistero di Francesco potrebbe essere l’occasione per 5
Ibidem, p.288.
la teologia italiana ed europea di tornare a riflettere sulla rilevanza teologica del sociale.
62 Nipoti di Maritain Tem volenihilia pra volupta doestium inulla que dolorec ulleclorisitiae nus voluptas inis vetiis demporeiur reiusdam, vent lias et et laboratem fugita et ent re pa que pore nus, unt. quam dolutem core pre eum, Andant. Tatianturio. Lenis enquis apedi corianit, non ra qui debis quasitatqui aut volo velit, con cullorrori offic tes ipsapis sunt ut velis sum nonseque noneatemporem di cum rerum venis sequat. porrore scius, con re estruntiore Agnist, id minihicit, quia es renon nimusa volla audic te qui ruptu samusa evelendi simus sadolore ilique nonsente vit expid moditas in restibus ut harunt plabo rerunde nihicit vel idem omnihil lentotatem quis dolores accabo. Nem et dissiminum facvoluptam lam, ommos molupcabo rumquisquas delest fugit tatem aligend ernam, sim vequunt reptasperem alignieniet nihil ero esto mint excepta quis quid que prore, ut res maio. Nam doluptaqui sum fuga. Udignam doluptam excest, consequam sit faccull orrorro quid qui volovoluptur, odist resti blatemq uario. Name doluptate sitiae. Itam tempo rporum eatet volluptatia fuga. Nequia ne la derro corum doluptas explabore am fugiae ea dolorat usapicilis eaque inuldi Emanuele Pili name sum unt faccusam, corum lenis intis ilic tem. Itatet que delfuga. Berem qui ommodipient laut ra voluptatem et ut volorep et, nat landus vollendi voluptaudignienist, tem quissent harte comnihi tatur, conseque eium ciendem harchillores estibus ciea suo suntibus nseria si re proprio ditatis minis eiustdi quibus pratem i suggerimenti Maritain, Nel ruolo ulpario di intellettuale corro quam, quistia quuntem et molum deri quatem quidebiil quale tuttavia avrebbe preferito impegnato nelle vicende storiche con exceatem ne maximin nem tatem quia invelitae quiatem racondannare invece che deplorare della propria epoca, Jacques la dolor ad ulles atureperatem tius molor autem is sin rataest et (questo è considerato piùnum Maritain è stata ipicipsus cus.una delle figure est etverbo lab ipit antiist isciure debole che Cium più hanno contribuito alla cone nim a conet doluptiacondel reprimo). iliquis comnimp oriorem L’interesse maturazione dell’atteggiamento tum aute consequis expere cum siti bea veraper quos ilvol popolo dellaressum Chiesa nostibus Cattolica nei destriguardi qui imus, ebraico accompagna l’intero is quodit rerio vit voluptiam del mondo ebraico. Basti pensare in- percorso biografico e intellettuale cte est, ent. di Maritain, almeno sin dal suo che la sua posizione ha avuto non Ovide quos doluptate nia veles incontro e poi matrimonio con poca influenza in un’importante experum quatessitat moluptas Raïssa Oumançoff, che è per dichiarazione del Concilio reicia volorio. Ita nosam, te pel’appunto un’immigrata russa di Vaticano II, la Nostra Aetate dit volo blatior eptasiti blauta (1965), quale afferma: «la Chiesa nusla porume nulparia ene sunt origini ebraiche. A tal proposito, […] omnihillam, memore del patrimonio che do- però, occorre rammentare anche quatium eatis essaluptatem ha in comune con Ebrei, et mint lit,glicon reheni- che sia Jacques sia Raïssa si trovano e spinta da motivi politici, maiosnon excerisit fugiatem. Ceper- in un periodo di profonda crisi ferat essinto essit, untenihillab esistenziale e di altrettanto intensa ma da religiosa carità evangelica, incimpos asi commolo ribusda ricerca spirituale, che approda deplora gli odi, le persecuzioni nat. alla conversione al cattolicesimo e ndamus tutte le manifestazioni Hariassimin pa prem quam vera e al ricevere il sacramento dell’antisemitismo dirette contro si cum haruptaquo magnam, del battesimo. Il cammino di gli Ebrei in ogni tempo e da quos enditem fugiat facepero avvicinamento al cattolicesimo chiunque» (§ 4). Questa parte exerro que imus. decisiva testo, a cui si è giunti Que delqui voluptiam, nobitat è stato accompagnato da figure intellettuali di grande rilievo, dopo un lungo percorso, recepisce
umanesimo integrale
Il mistero di Israele come mistero dell’altro
63 come Bergson o Péguy, ma per questo discorso assume particolare interesse la figura di Léon Bloy (sarà anche padrino di battesimo). Egli, infatti, dopo un primo incontro, consiglia ai Maritain il suo Le Salut par les Juifs. In questo testo si presentava una posizione originale rispetto all’usuale considerazione cattolica dell’ebraismo, poiché si metteva al centro la dimensione paolina del mistero che Israele incarna (a partire dalla Lettera ai Romani). Non di rado, infatti, la posizione cattolica dell’epoca associava agli ebrei, oltre alle accuse di cospirazione per il dominio del mondo o di omicidi rituali, l’esistenza di un problema da risolvere con adeguate politiche segregative, discriminatorie, se non persecutorie. In sede teologica, poi, si parla dell’accusa di deicidio e della perfidia judaica (nella preghiera del Venerdì Santo) che, sostanzialmente, consentono di ammettere una certa forma, in salsa cattolica, di antisemitismo (Maritain ne era convinto). Muovendosi all’interno di questo contesto, è interessante riportare la valutazione dell’antisemitismo che Maritain offre, ripercorrendo alcune definizioni contenute nella sua raccolta di saggi Il mistero di Israele (Morcelliana, Brescia 1964). Ebbene, seguendo le argomentazioni in senso diacronico, si viene a leggere che l’antisemitismo è un «modo animale» «infinitamente spregevole» – siamo alla fine degli anni ’30 – di affrontare la questione ebraica; quando poi si riferisce
all’antisemitismo cristiano, esso diventa un «fenomeno patologico» e «una macchia vergognosa». Nel ’42 viene definito come «una mostruosa follia collettiva» e una «malattia». Nel ’43 diventa «l’irrimediabile e mostruosa corruzione della anima umana» e un vero e proprio «abisso di perversione»; un fenomeno per il quale noi vediamo «l’inferno scatenato sulla terra»; «l’esempio per eccellenza dell’Idea omicida»; «una psicosi collettiva irrazionale», che nello stesso tempo usa «agenti dinamici terribilmente efficienti e sovrastrutture ideologiche […] di una nevrosi dell’anima più radicale e più profonda»; un «odio demoniaco», fonte di «rabbia distruttrice» e di «propositi da dementi». Non si pensi che le affermazioni maritainiane siano ovvie, anche quand’esse sono pronunciate davanti ai cattolici. Maritain, infatti, quando interviene su questi argomenti presso il Théâtredes Ambassadeurs di Parigi (1938), genera non poco sbigottimento. Testimoni oculari dichiarano che a questa conferenza non mancano persone che, dalla platea, lo insultano: «venduto agli ebrei!», o «è anche lui un ebreo!» sono alcuni degli improperi che gli rivolgono. Ma veniamo al termine mistero, che per Maritain è centrale sia per capire la natura dell’antisemitismo, sia per leggereil rapporto tra il cristianesimo e l’ebraismo. Secondo il pensatore francese, quando il male diventa troppo lacerante ed esageratamente
“il male rinvia al mistero perché esso sfida la ragione e le domanda di aprirsi ad altre forme di sapere”
64 Nipoti di Maritain
“non ridurre l’altro a sé: ecco l’accorato appello di Maritain”
annichilente, la ragione filosofica, presa per sé sola, non basta, poiché si trova di fronte ad una forza misteriosa (appunto), che la sorpassa. Come per parlare del massimo dell’amore, del summum gaudium della vita di Dio devo restare aperto alla razionalità teologica, così anche per capire il più profondo del male, l’abisso della sofferenza, devo – di nuovo – essere aperto ai dati della rivelazione. Ecco perché Maritain ritiene che per capire un male così morboso e bastardo, com’è quello dell’antisemitismo, occorre unire la razionalità filosofica a quella teologica: «Mi spiace per i miei amici razionalisti, ma il registro di concetti elaborato dai profeti d’Antico e del Nuovo Testamento […] è il solo che permetta alla nostra intelligenza di aver presa su ciò che sono in realtà e su ciò che annunciano e preparano il razzismo e l’antisemitismo nazisti». Il male rinvia al mistero perché esso sfida la ragione e le domanda di aprirsi ad altre forme di sapere per essere indagato. Ma la parola mistero è utilizzata anche per dire come il cristianesimo dovrebbe rapportarsi con l’ebraismo. Seguendo la Lettera ai Romani, quando si guarda alla vicenda di Gesù, nel cristiano potrebbe sorgere l’idea che l’ebreo non abbia riconosciuto il Messia, rendendosi così colpevole di infedeltà verso la promessadi Dio. Paolo, tuttavia, ammonisce: «L’infedeltà degli uomini non rende vana la fedeltà di Dio» (Rm 3,1-2). Maritain, seguendo l’insegnamento di Paolo, non solo
segnala come Dio abbia la capacità di scrivere dritto sulle linee storte (ad esempio: l’“infedeltà” di Israele ha permesso l’innesto dei Gentili), bensì mostra come ogni nostro giudizio sull’altro – per quanto razionalmente fondato – non può essere l’ultima parola sulla sua realtà, poiché Dio – da principio – lo ha bene-detto ed ha avuto fiducia in lui: «I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rm 11,29). Per questo, anche di fronte alla peggiore delle infedeltà, la realtà dell’altro custodisce un mistero che non può esaurirsi nella perfetta razionalità del ragionamento dell’io. Maritain, con Paolo, chiede di incarnare lo stile di vita per il quale mai vien meno, malgrado l’oggettività delle cose, la benedizione dell’altro, poiché egli è sempre di più di quel che so. Non ridurre l’altro a sé: ecco l’accorato appello di Maritain, valido ieri per il mistero di Israele, ma oggi e sempre per il mistero di cui ogni altro è custode.
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a misura d’uomo Castità, povertà e obbedienza: consigli evangelici per i politici Editoriale di Piotr Zygulski di Piotr Zygulski
La filosofia greca ha riflettuto cammino di perfezionamento molto sul concettoCipissedis di virtù. Platone delle passioni Cipissedis disordinate; poralesed et repersped pora sed et repersped nella Repubblicaqui enunciò virtù quattro si declinano in qui ne et moloreped quam rem ne et 4moloreped quam cardinali rem che Ambrogio definì “cardinali”: virtù politiche che riconducono al rehente es ma doluptatium furehente es ma doluptatium fuprudenza, temperanza, fortezza e giusto mezzo tali passioni, poi sivoluptate omnigiam eaturepe giam eaturepe voluptate omnigiustizia. Nel medioevo, Tommaso fannovolores “purificanti” eliminandole, mus alit laccat ut expe volores mus alit laccat ut expe Cipissedis pora nella Summa theologiae (II, 1, q.61) diventano “degne di un animo acitaspitam et dit, simendebis dit, simendebis acitaspitam et sed et repersped vide come la prudenza discerne le cum purificato” dimenticarle e cum faces erifugiam volorum fugiam faces eri- per volorum qui ne etazioni; molo-la giustizia aiuta a compiere infine sono “esemplari” quando bus. bus. reped quam rem ciò che va fatto; la temperanza risiedono in Dio. In questa “fusione rehentedelimita es ma dorettamente ogni di orizzonti” aristotelismo, Ugitis as et volorempore nis eseUgitis as attività; et volorempore nis ese- tra luptatium fugiam la fortezza consolida in quello che neoplatonismo e cristianesimo qui dolorum rectatem assinis qui dolorum rectatem assinis eaturepe volup- alla ragione. Esse sono è conforme che porta il pensiero esed classico quam etadin nus excesseesed quam et in nus excessetate omnimus alit propriamente “virtù politiche”: una “crocifissione” la debolezza ces–sim voluptatusam sum dusa ces sim voluptatusam sum dusa laccat utl’uomo expe – politikòn zôon, animale di Dio si coinvolge personalmente cum aut adi quia verum re, con cum aut adi quia verum re, con volores sociale, dit, simenpolitico eperiam, comunitario – le nella storia – la perfezione periam, te viene qui toribusam, autas te qui toribusam, autas ha in sé per aiutarlo in ogni azione vista però non più genericamente ipsandae sed ent mo etum quam, ipsandae sed ent mo etum quam, che lo mette in relazione ad altri. nell’eroica “giustizia”, quanto net aut mos abore mi, quibus eanet aut mos abore mi, quibus eaGià Agostino osservava come le nella tenerezza dell’amore, forma rum que velit dus acietur sit es rum que velit dus acietur sit es virtù “civili” fossero vivificate di qualunque virtù. etur repel inction endesequo etur repel inction endesequo dalle teologali: tofede, speranza Il Figlio ne offre la prova, to dolum facerro rrovitem eum dolum facerro rrovitem eum e carità. Tommaso, seguendo offrendosi alla prova; nelle aut venim idellabo. Mil estotata aut venim idellabo. Mil estotata Plotino e Macrobio, ne vedeva cosiddette “tentazioni” vive il id ullati aut enit, coruptat pos id ullati aut enit, coruptat pos le sfumature di arum intensità in un rischio di tre forme di potere arum desentiat. desentiat.
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“pure i laici, ciascuno nella propria condizione, sono invitati a viverli”
anziché la dimensione filiale del rapporto con il Padre. Come dal morso del serpente ricaviamo il siero antivipera, da ciò derivano tre antidoti al potere: castità, povertà, obbedienza. I “consigli evangelici” compendiano la vita del Figlio – e, oso dire, della stessa Trinità, nelle relazioni intime tra le Persone – alla quale siamo chiamati a prendere parte. Non è assurdo dire alla persona che si impegna in politica che castità, povertà e obbedienza fanno anche per lei; anzi, sembrano fatte apposta per lei, in quanto esposta maggiormente alla triplice seduzione del potere. Seguendo l’ordine di Luca, la prima fa leva sugli istinti della pancia (trasformare la pietra in pane), la seconda sul possesso delle cose (ottenere i regni della terra adorando il diabolos, il divisore), la terza sulla religiosità (gettarsi dal tempio obbligando Dio a intervenire). C’è chi le interiorizza pensando ad un allenamento di corpo, psiche e spirito; altri le spiegano con la triade piacere/ possesso/potere, oppure cuore/ forze/anima. Poter consumare tutti e tutto unicamente per sé: ecco la tentazione fondamentale, funzionalmente suddivisa per affrontarla in ogni sfaccettatura. Ermes Ronchi commenta: «Le tre tentazioni tracciano le relazioni fondamentali di ogni uomo: ognuno tentato verso se stesso, pietre o pane; verso gli altri, potere o servizio; verso Dio, lui a mia disposizione. Le tentazioni non si evitano, si attraversano». I consigli evangelici sono allora un
farmaco trivalente che vince le “tentazioni”, nel loro complesso; sarebbe errato ricondurre ciascun consiglio alla rispettiva prova. Ad esempio, in quella dei “regni” non è in gioco solo la povertà, ma pure l’obbedienza e per certi aspetti anche la castità. Castità, povertà e obbedienza sono i voti che, nella forma più evidente, professano i religiosi; tuttavia pure i laici, ciascuno nella propria condizione, sono invitati a viverli. Chi è chiamato alla santità nel servizio della politica – «forma più alta della carità» – non deve tagliarsi i connotati, vestirsi di sacco e rispettare orari ferrei. Per declinare questi consigli evangelici agli amici “politici” occorre sondare il nocciolo di ciascuno, per incarnarli così nell’ambito politico e attraversare le sfide concrete. La castità, innanzitutto, è «padronanza di sé […] ordinata al dono di sé» (CCC 2346). Questa autorità non va fraintesa: non è schiavizzazione del proprio corpo, della propria persona; piuttosto libera l’esistenza dai capricci dell’Io egoista: non rende le altre persone dipendenti da sé, né le strumentalizza. È fare buon uso di quello che siamo; si concretizza in un’amicizia pulita, anche politica. Sono innumerevoli le offese alla castità; più che ai “vizietti privati” che emergono negli scandali sessuali, penso ai partiti autoreferenziali (masturbazione), alle varie forme di voto di scambio, corruzione e concussione (prostituzione), al tradimento delle promesse elettorali
67 (fornicazione), sino al godere delle disgrazie altrui (pornografia) e al sobillare odio (stupro). Attenzione alla subdola “castità menzognera” del puritanesimo: l’onesto contro tutti i ladri; ma chi è senza peccato... piuttosto guardi con lungimiranza, ponga in relazione i soggetti politici, si offra in una testimonianza non moralistica. Gli interessi personali impediscono la dedizione alla cosa pubblica; ci sovviene la povertà: fare buon uso di quello che abbiamo. Non lo utilizza per ottenere consenso, fama e onori finalizzati a loro stessi, ma si fa servizio. Va benissimo rifiutare lussi, benefit e privilegi, ma non demagogicamente, con “povertà menzognera”; anche qui è richiesta una testimonianza non moralistica, incarnata nell’esistenza, non davanti alle telecamere. La povertà grida il grido dei poveri, riconosce l’essenziale e non si vanta di titoli altisonanti; non ruba, compra e non (si) vende, bensì mendica le risorse altrui (voti, finanziamenti, sostegno) con sobrietà e impegno condiviso, rifuggendo dall’“assistenzialismo” che crea dislivelli, dipendenze e possessività. Infine l’obbedienza, ovverosia il buon uso della nostra volontà; di fronte alla povertà della condizione umana riconosce i limiti della realtà, chiamando “pietra” la pietra e “pane” il pane, senza indorare retoricamente la pillola; l’“obbedienza menzognera” si chiama omertà, complicità, connivenza. Al
politico non è chiesto di obbedire ad un superiore religioso; anzi, deve farsi testimone di laicità. L’obbedienza è vera quando primariamente ascolta la propria coscienza – l’unico “vincolo di mandato” – che gli indica come operare bene e ascoltare con sacro rispetto la volontà di tutti, riconoscendo con gratitudine e benevolenza il merito di ciascuno. Inoltre non impone né si lascia imporre diktat. Dostoevskij compendia: «Bramavi un libero amore, e non già le servili effusioni dello schiavo al cospetto del potente, che una volta per sempre lo ha terrorizzato». Come chi si fa manipolare poi manipola a sua volta, chi si lascia amare ama. Anche in politica, il triplice antidoto ci aiuta a rifiutare la mortifera logica della manipolazione e a dare pieno assenso all’amore più libero; la nostra vita si trasfigura in una proesistenza: esistenza per l’a/Altro.
“chi si fa manipolare poi manipola a sua volta, chi si lascia amare ama”
68 Nipoti di Maritain
impressiones
It: vedere (nel)l’altro uccide la paura del non-altro di Davide Penna
È diventato il film horror con gli incassi più alti nella storia del cinema americano e, alla sua uscita in Italia, ha registrato la miglior apertura di sempre per un film horror. Stiamo parlando di It, film di Andrés Muschietti, adattamento cinematografico del libro di Stephen King. L’impresa non era semplice, si tratta, infatti, di una delle opere migliori del romanziere americano oltreché una delle più profonde, visionarie… e lunghe. Il libro, infatti, conta quasi 1200 pagine con continui flashback tra il 1957-58 e il 1984-85; una narrazione intensa che gioca molto sulla capacità del lettore di immedesimarsi nel filo del racconto. Nonostante questo
il tentativo del film è riuscito, pur nei tradizionali “tradimenti” che il cinema compie rispetto al libro. Ora, parlare di contenuti molto profondi per il genere horror sembra arrischiato, pur se è ormai riconosciuta la capacità del genio di King di aver definitivamente sdoganato il genere horror dalla sua aura di sciocchezza senza senso. Nel caso di It questo aspetto sembra particolarmente riuscito. La storia si svolge in una cittadina immaginaria, Derry, nel Maine, negli Stati Uniti, dove ogni 27 anni accadono tragedie inspiegabili: omicidi orrendi, linciaggi, incendi devastanti. Non solo ma la vita ordinaria a Derry è come intrisa da un velo inquietante che
69 proibisce di vedere le cose come stanno: bulli ingestibili, persone discriminate, disastri familiari e quella coltre di omertà che accompagna costantemente gli adulti. A questa atmosfera decide di reagire un gruppo di ragazzini, soprannominato i perdenti, che, capeggiati dal protagonista Bill Denbrough, fa una scoperta terribile: la città è abitata, ma sarebbe meglio dire posseduta, da un mostro la cui forma consueta è quella del pagliaccio ma che, tuttavia, può assumere le sembianze delle paure più recondite delle sue vittime perché si nutre delle emozioni negative, soprattutto dei bambini, capaci di sprigionarne di più forti e intense. Non sappiamo ancora se nel film sarà così (è uscita solo la prima parte, la seconda è stata annunciata per il 2019), ma nel libro si viene a sapere che questo mostro, chiamato dai perdenti It, è molto più antico dell’umanità e abita la terra da milioni di anni. Degli aspetti più interessanti della narrazione, vorrei richiamarne due che riflettono su ciò che permette al gruppo di ragazzini di affrontare It e sulla natura oscura del mostro. Per quanto riguarda il primo tema, prendo a riferimento due scene, una del libro e una del film. La prima è tratta dalla presentazione del personaggio chiave del racconto, Bill. È lui che riunisce il gruppo dei ragazzi ed è, probabilmente, in lui che troviamo molti richiami all’autore stesso del libro, King. Bill, infatti, è un ragazzino dotato di una grande
capacità comunicativa, non solo, infatti, sa raccontare le cose, ma le sa, letteralmente, far vedere. La sua capacità di far vedere i suoi sogni ma, soprattutto, le sue paure, rompe il muro di omertà e permette ai giovani di trovare il coraggio di condividere i loro incontri, personalissimi, con It e la forza di affrontarlo. Bill nel suo far vedere agli altri la realtà, sa creare quello spazio che permette la condivisione delle paure e, quindi, il coraggio di affrontarle. In questo senso il film è riuscito, soprattutto in una scena, quella in cui una dei perdenti, Beverly, l’unica ragazza del gruppo, incontra It. Lo spaventoso rendez-vous avviene nel bagno della ragazza dove sangue e voci di morti escono dal lavandino. C’è un momento, molto riuscito, in cui Beverly chiama in aiuto il padre, alcolizzato e preda di sguardi ambigui verso la figlia, vera vittima/carnefice di It, ma lui non riesce, forse perché ormai intriso, come molti adulti, della natura di It, a vedere quel sangue che tanto terrorizza Beverly. In soccorso dell’amica, spaventata dall’incapacità del padre di vedere e condividere la sua paura, corrono i perdenti che, non solo vedono il sangue, che sporca ormai tutti i muri del bagno ed è il volto di It apparso all’amica, ma si prodigano per aiutarla a pulirlo. Ecco, allora, un tema molto importante: buona parte della liberazione dalle nostre ossessioni, specie quelle paralizzanti, avviene attraverso la condivisione. O meglio e più profondamente, attraverso la capacità di farle vedere e di
“la liberazione dalle nostre ossessioni, specie quelle paralizzanti, avviene attraverso la condivisione”
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“It è il nulla che si nutre di odio e paura. La ribellione all’abisso del nulla incomincia nel vedere che sa fare spazio all’A/altro”
vederle negli occhi degli altri. Io vedo nell’altro se riesco ad accettare quella radicale diversità che mi permette di rispettarlo e viverlo come radicalmente altro. Vedere nell’altro mi permette, così, non solo di iniziare un cammino di liberazione ma di essere veramente me stesso in quanto altro dell’altro. L’altro aspetto su cui mi soffermo brevemente è la natura di It. Chi è It? In questo il libro è davvero penetrante. La natura profonda del mostro è svelata nell’incontro/scontro finale tra l’orribile creatura e Bill. Qui il protagonista riesce a entrare in It e vederlo non nel suo aspetto contingente di prendi-forma delle paure, ma in quello vero e abissale. It è i pozzi neri. I pozzi neri e profondi della disperazione in cui non ci si può che perdere, di quel non-senso che paralizza e getta nel dolore più silenzioso ma distruttivo che ci possa essere. Nessuno può resistere a lungo e sopportare questo inferno. In altre parole It è il nulla che si nutre di odio e paura. Ma la scoperta sensazionale che Bill e It stesso fanno, è che può essere sconfitto. La sconfitta di questi profondissimi pozzi neri avviene nella capacità di sentire la voce di un Altro, così lo chiama il libro, di cui It non sospettava l’esistenza e la cui sola idea lo getta nel panico totale. Sì, perché l’abisso del nulla si nutre della convinzione che esista solo il non-Altro. La sua capacità distruttiva è generata dall’irreale certezza della solitudine che proietta nel mondo solo immagini
di sé, tanto forti quanto irreali. La ribellione ai pozzi neri e all’abisso del nulla incomincia nel vedere che sa fare spazio all’A/altro. Ecco cosa può insegnare un film horror.
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recensione
Dio è anche giardiniere (Christophe Boureux, Queriniana, Brescia 2016) a cura di Federico Ferrari
Il testo Dio è anche giardiniere del domenicano Christophe Boureux si presenta come un innovativo tentativo di leggere la creazione in chiave cristologica quale conditio sine qua non per la possibilità degli uomini di rispondere in maniera significativa alla chiamata di Dio. L’autore è professore di teologia all’Institut catholique di Lione ma è anche responsabile del parco annesso al convento di Sainte Marie de la Tourette, ed è dunque partendo da questa sua doppia specializzazione che occorre spiegare il particolarissimo taglio argomentativo del libro. Se infatti da un lato vengono analizzati brani molti noti come quello del
giardino edenico, la trattazione si sofferma anche su altri punti generalmente tralasciati nei testi sull’etica ecologica cristiana, ossia il Salmo 92 o la comparsa di Gesù la mattina di Pasqua all’interno di un giardino a Maria Maddalena. È probabilmente nell’analisi delle pagine sul peccato originale che l’autore si mostra più innovativo. Criticando, come s’usa generalmente tra teologi, l’interpretazione filosofica che vuole la catastrofe ecologica odierna frutto del permesso divino dato ai progenitori a soggiogare la terra, l’Autore rintraccia invece nell’episodio il più severo divieto di un rapporto distruttivo col
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“la colpa della prima coppia sarebbe consistita nel volersi appropriare dell’unico albero del giardino da essi non coltivato”
creato. Dopo aver constatato come sia assente in realtà nei testi l’idea che Adamo ed Eva non lavorassero la terra prima della caduta, l’autore argomenta che la colpa della prima coppia sarebbe consistita per l’appunto nel volersi appropriare dell’unico albero del giardino da essi non coltivato, ossia l’albero della conoscenza del bene e del male. Il giardino e la cura di esso, la preparazione della terra perché possa accogliere la vita, e, al contempo, l’attesa del germogliare delle piante, sarebbero la raffigurazione perfetta del rapporto che, nei piani del Creatore, dovrebbe avere l’uomo col proprio Dio e con la natura. Da una parte infatti l’uomo lavora la natura, la trasforma, e, quasi hegelianamente, facendo ciò forma se stesso, anzi, diventa collaboratore della creazione di Dio antropizzando il paesaggio allorché dà i nomi alle creature. Al contempo però, pur cooperando nello sforzo di far fruttificare il giardino, l’agricoltore deve riconoscere che la crescita e il fiorire delle piante non dipendono da lui ma, in ultima analisi, egli deve abbandonarsi alla provvidenza divina vedendo nel miracolo di una spiga che sboccia la cura di Dio per i propri figli. Il furto del frutto proibito sarebbe per l’appunto un tentativo da parte dell’uomo di arrivare alla conoscenza del tutto senza la mediazione del lavoro agricolo, e dunque, senza la mediazione del rapporto con Dio e col paesaggio. L’interdetto divino a cibarsi dell’albero cui l’uomo non ha
lavorato, e ad acquisire facendo ciòuna conoscenza immediata, equivale all’interdetto di possedere il tutto della creazione senza alcuna mediazione data dal lavoro. Chi coltivi conosce bene infatti quale scuola di approccio alla realtà rappresentino la potatura e il giardinaggio, che sono l’equivalente dello sforzo di discernimento di chi debba decidere come agire dinnanzi alle scelte della propria vita. Allorché Dio in Gn 2,6 intima ai progenitori che essi possono mangiare tutto tranne di quell’albero, egli sta loro dicendo in realtà che possono avere quasi tutto, o, per esprimersi più filosoficamente, “tutto, tranne tutto” (ossia la conoscenza non mediata della totalità), essendo l’intero prerogativa solo divina. E così la punizione di Dio, classicamente compresa come un vendicativo mutamento di stato rispetto all’ozio del giardino dell’Eden, dall’Autore è intesa come un semplice riportare agli uomini a quello che già facevano, ossia la sollecitudine verso le piante e la cooperazione con Dio nel custodire l’armonia del creato. All’uomo, allontanato dall’albero proibito, viene così mostrata l’impossibilità di valicare i limiti della propria finitezza, che per essere tale ha bisogno di de-finirsi nel proprio rapporto col paesaggio che Dio gli dà da lavorare. Il serpente, nel suo mangiarsi la coda, è un simbolo del peccato proprio perché l’ouroboros è chiuso in se stesso, rifiuta di venire a patti cogli altri e con la natura, al pari dei progenitori che vollero
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“la creazione è il luogo di una convivialità creata dal lavoro di cura vicendevole”
afferrare il frutto proibito senza passare per la fatica di coltivarlo. Il castigo a mangiare la polvere inflitto al serpente è dunque un ulteriore richiamo a dover fare i conti con la terra di cui tutti siamo fatti. Molto suggestiva è anche l’analisi del capitolo 92 del Salterio in cui si traccia il motivo della necessaria coesistenza di tre dimensioni del tempo, l’aion, il chronos, e il kairos, giacché la creazione si dipana nello spazio ma, se la concepiamo come realtà col fine di ricapitolarsi in Cristo, essa deve anche dispiegarsi nel tempo. Anche qui l’Autore invita l’uomo a rendersi sollecito verso il progetto del Creatore e a collaborare con lui. Di sapore neoplatonico sono le analisi sull’irruzione dell’aion, dell’eternità di Dio, nel tempo cronologico delle nostre vite con le sue cure quotidiane, e di come il chronos, per non diventare uno scorrere privo di significato, abbia bisogno della cooperazione dell’uomo fecondato dalla Grazia. Quest’ultimo è illuminato nel proprio iter terreno da momenti aionici come i sacramenti o le feste liturgiche che ciclicamente tornano, e viene così indirizzato nelle proprie scelte dalla meditazione di queste irruzioni dell’eterno nella sua vita. Fecondato dal rapporto con Dio diviene in grado di scorgere nel mondo il momento opportuno per l’azione (il kairos appunto), e si trasforma per questo in un fecondo coadiuvatore del progetto di Dio. Il volume dunque si presenza come un invito a non fare
della nostra esistenza un hortus conclusus votato alla coltivazione del nostro egoismo. Occorre aprire i cancelli per una sollecitudine verso Dio, il creato, e il prossimo, quali poli dialettici che possono avere una comprensione autentica solo se considerati alla luce della nozione di creazione. Questa è il luogo di una convivialità creata dal lavoro di cura vicendevole cui sono chiamate tutte le creature in ascolto di Dio.
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Autori Lorenzo Banducci Nato a Lucca nel 1988, si è laureato in Odontoiatria a Pisa nel 2012 e dal 2013 esercita la professione in vari studi della Toscana. È stato fra i rifondatori del gruppo FUCI di Lucca nel 2009 per poi esserne responsabile regionale per la Toscana dal 2010 al 2012. Dal 2011 ad oggi ha incarichi diocesani in Azione Cattolica di Lucca dove attualmente è Vice-Presidente del Settore Giovani. Con Niccolò Bonetti è tra i fondatori di Nipoti di Maritain. iaffo@hotmail.it Bruno Bignami Nato a Cremona nel 1969, presbitero diocesano, nel 2005 ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana. È docente presso gli ISSR di Mantova e di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano, dove è vicedirettore. È presidente della Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo e vicedirettore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI. Tra le pubblicazioni: “Terra, aria, acqua e fuoco. Riscrivere l’etica ecologica” (EDB 2012), “Don Primo Mazzolari, parroco d’Italia. «I destini del mondo si maturano in periferia»” (EDB 2014), e “Un’arca per la società liquida. La moralità nel cambiamento d’epoca” (EDB 2016). Niccolò Bonetti Nato a Lucca nel 1990, dopo la maturità classica ha conseguito la laurea triennale e poi quella magistrale in Filosofia presso l’Università di Pisa, con particolare interesse per la storia del pensiero patristico e medievale. È impegnato nell’Azione Cattolica e nel Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale di cui è vicepresidente diocesano. È stato impegnato nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana, per la quale è stato consigliere centrale. È segretario del centro culturale “P.M. Vermigli” fondato dalla Chiesa valdese di Lucca. Con Lorenzo Banducci è tra i fondatori di Nipoti di Maritain. Andrea Bosio Nato a Genova nel 1980, si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Genova con una tesi sulla narrazione della fisica nella società contemporanea; insegnante, studia Scienze religiose presso l’ISSR di Albenga-Imperia e si occupa di storia contemporanea della Chiesa.
75 Marco Bozzetti Nato a Roma nel 1970, Laurea in Ingegneria Meccanica nel 1996 e Dottorato di Ricerca nel 2002, conseguite presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Lavora dal 1998 in un’azienda del settore industriale con il livello di Funzionario. Si è occupato di: Controllo Costi, Sicurezza e Responsabilità Sociale di Impresa. Già Docente Universitario a contratto e Consigliere del Ministro per la Funzione Pubblica sulle tematiche inerenti la disabilità. Componente del Direttivo di varie associazioni per la promozione e la cura dell’ambiente e per le tecnologie assistive. È iscritto al corso Joint Diploma in Ecologia Integrale presso la Pontificia Università Gregoriana. Luca Carbone Nato a Sarno (SA) nel 1990, ha frequentato la Scuola per operatori pastorali S. Alfonso Maria de’ Liguori di Angri, la Facoltà Teologica Marianum di Roma e l’ISSR San Matteo di Salerno, dove ha conseguito il Baccalaureato e la Laurea Magistrale in Scienze Religiose. Presso il Seminario Giovanni Paolo II ha frequentato corsi di ecumenismo e dialogo interreligioso. Ha collaborato per dieci anni con la Congregazione dei Pavoniani, che lo sta accompagnando verso l’ordinazione diaconale. Ha pubblicato: “Fra Storia e Teologia: la visione del Cristo nel Nuovo Testamento” (Youcanprint 2016) e “Donna e ministerialità” (con E. Esposito Orza ed E. Visone, Youcanprint 2017). Christian Cerasa Nato a Russi (RA) nel 1973, dopo la maturità professionale ha conseguito il baccalaureato in teologia presso l’Università Urbaniana in Roma e il dottorato in psicopedagogia presso la Pontificia Università Salesiana con una tesi dal titolo: “Discernimento biblico e accompagnamento vocazionale. Criteri di cammini evolutivi per una piena maturità umana”. Insegna presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Pietro Crisologo” in Ravenna. È attualmente parroco, vicario foraneo nell’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia e delegato episcopale per la formazione al diaconato permanente e ai ministeri istituiti. Federico Ferrari Nato a Brescia nel 1986, dopo la maturità classica ha studiato filosofia all’Università di Venezia dove è stato anche borsista per tre anni presso la scuola dottorale del medesimo ateneo, scrivendo una tesi sulla tradizione platonica. Attualmente insegna nelle scuole superiori. I suoi interessi principali sono la filosofia della religione e l’esegesi neotestamentaria. Rocco Gumina Nato a Caltanissetta nel 1985, insegna Religione nella Diocesi di Palermo. Dopo la licenza in Ecclesiologia presso la Facoltà Teologica di Sicilia con una tesi su Dossetti, ha conseguito un master all’Istituto di Studi Bioetici
76 Nipoti di Maritain di Palermo – con cui ora collabora come docente – con uno studio sulla biopolitica di Habermas. È dottorando in Teologia presso la Facoltà Teologica di Sicilia. Dal 2009 al 2011 ha presieduto il gruppo FUCI Caltanissetta; dal 2014 è presidente dell’associazione culturale “A. De Gasperi”. Collabora con l’Ufficio IRC della Diocesi di Palermo e pubblica su Ricerche teologiche, Ho Theológos e Bio-ethos, della quale è redattore. Vito Impellizzeri Nato a Pantelleria nel 1971, è presbitero della diocesi di Mazara del Vallo. Formatosi nel Seminario Romano Maggiore, ha conseguito il dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato responsabile per la pastorale giovanile, per l’ufficio ecumenico e per quello della comunicazione, cultura e nuova evangelizzazione, nonché rettore del seminario diocesano. Insegna Teologia fondamentale a Palermo presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia. Tra le pubblicazioni: “Omnia nobis est Christus. L’umanesimo dell’incarnazione in Giovanni Battista Montini” (Il pozzo di Giacobbe 2011) e “Chi è l’ultimo? La dignità della misericordia” (Gris 2017). Davide Penna Nato a Genova nel 1988, dopo la laurea magistrale in Metodologie Filosofiche presso l’Università di Genova, ha conseguito il Diploma in Fondamenti e prospettive di una Cultura dell’Unità, con indirizzo Ontologia Trinitaria, presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. Nel 2015 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento della storia e della filosofia; dallo stesso anno ha iniziato a insegnare nei licei e il percorso di dottorato presso il consorzio FINO - Università di Genova. Dal 2017 è professore di ruolo presso il liceo Carlo Amoretti e artistico di Imperia. È presidente dell’Associazione culturale “Arena Petri” e di Amici di Sophia. Giovanni Francesco Piccinno Nato a Nardò (LE) nel 1989, dopo aver conseguito la Laurea in Filosofia a Lecce presso l’Università del Salento ha proseguito gli studi filosofici a Firenze e successivamente ha conseguito la Laurea in Scienze Religiose presso l’ISSRM di Lecce, dove sta per concludere il percorso di studi nell’indirizzo pedagogico-didattico della Laurea Magistrale. Interessato al ruolo centrale della Teologia nella vita della Chiesa, è appassionato studioso di Teologia Fondamentale, nutre ulteriori interessi come la Storia delle Origini cristiane e la Teologia Biblica. È impegnato a livello parrocchiale e diocesano nella Pastorale Catechetica e Biblica. giopic24@gmail.com Filomena Piccolantonio Nata a San Giovanni Rotondo (FG) nel 1986, si è laureata in Lettere Moderne a Ferrara e ha conseguito la specializzazione in Storia Moderna presso l’Università di Pisa. Attualmente studia presso la Facoltà Teologica dell’Italia
77 Settentrionale di Milano e insegna religione cattolica nelle scuole primarie. Emanuele Pili Nato a Genova nel 1988, dopo la laurea in Filosofia ha conseguito la laurea magistrale in Metodologie Filosofiche presso l’Università di Genova e Fondamenti e prospettive di una Cultura dell’Unità con indirizzo Ontologia Trinitaria presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. È autore di alcuni saggi sulla prassi dialogica in Platone, sull’intersoggettività nel pensiero di Antonio Rosmini e sul concetto di taedium in San Tommaso d’Aquino. Christian Alberto Polli Nato a Monza nel 1989, da sempre vive a Brugherio. Dopo la maturità classica ha frequentato l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ottenendo nel 2013 la laurea triennale in lettere moderne e nel 2015 la laurea magistrale in Filologia Moderna con una tesi storico-religiosa incentrata sulla visione che l’ancora anglicano John Henry Newman aveva dell’ufficio pontificio. Cresciuto nella spiritualità dehoniana, è poeta e studia presso l’Archivio di Stato di Milano. Impegnato nella ricerca storica locale, da due anni insegna Storia d’Italia all’ACU (Accademia della Cultura Universale). Collabora inoltre attivamente alla redazione di voci d’ambito storico e umanistico su wikipedia. Domenico Repice Nato a Roma nel 1967, ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana dove sta ultimando un progetto di Dottorato di Ricerca sulla Sindone e la Teologia dell’Immagine. Offre corsi, conferenze e organizza incontri su entrambi gli argomenti. È fondatore, insieme con altri iconografi, dell’associazione “In Novitate Radix” (www.innovitateradix.it) ed è animatore del gruppo “Amici Romani della Sindone”. Insieme a Marco Bozzetti e a Luca Sabatino è il fondatore dell’associazione “Ponti per Terranova”, che si occupa principalmente di ecologia integrale. Ha al suo attivo alcuni articoli e pubblicazioni. È iscritto al corso Joint Diploma in Ecologia Integrale presso la Pontificia Università Gregoriana ed è cappellano dell’Università Niccolò Cusano. Luca Sabatino Nato a Roma nel 1972, dopo la maturità tecnica aeronautica ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense ed è attualmente laureando in Ontologia ed Etica della Scienza presso la stessa sede. È impiegato quale Controllore del Traffico aereo, con specializzazione radar, presso l’Aeroporto intercontinentale di Roma Fiumicino. È esperto in Procedure, sistemi di Automazione Operativi e Interfacce Uomo-macchina per il Controllo del traffico aereo e ha svolto attività di ricerca applicata in vari progetti a livello nazionale ed europeo nei suddetti campi per lo sviluppo di nuove tecnologie.
78 Nipoti di Maritain Rosario Sciarrotta Nato ad Agrigento nel 1983, dopo la maturità classica ha intrapreso gli studi giuridici per poi dedicarsi a quelli teologici, conseguendo il baccellierato presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia con una tesi di antropologia teologica su Romani 5,20. Frequenta la licenza in Teologia biblica presso la stessa Facoltà. È studioso anche di Storia della Chiesa e di Arte cristiana. Ha collaborato alla pubblicazione del Dizionario dei pensatori e teologi di Sicilia e collabora con la Rivista della Facoltà Ho Theológos. Stefano Sodaro Nato a Trieste nel 1968, dopo la maturità classica si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Siena. È stato presidente provinciale delle ACLI di Trieste e nella medesima città ha frequentato dal suo inizio la Scuola di Filosofia coordinata da Pier Aldo Rovatti. Già cultore della materia in Diritto Canonico ed Ecclesiastico presso l’Università degli studi di Trieste, è giornalista pubblicista e dirige “Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano”. È socio dell’Associazione Teologica Italiana (ATI), della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo, della Società per il Diritto delle Chiese Orientali, dell’Associazione Italiana Giuristi d’Impresa (AIGI), socio aggregato del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) e membro del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (GIDDC). Piotr Zygulski @piozyg Nato a Genova nel 1993, dopo la maturità scientifica e la laurea in Economia e Commercio conseguita all’Università di Genova, si è iscritto all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano per la laurea magistrale in Fondamenti e prospettive di una Cultura dell’Unità, indirizzo Ontologia Trinitaria. È organista dell’Oratorio di San Lorenzo e della Chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore in Cogoleto (Diocesi Savona-Noli). È autore di pubblicazioni in ambito filosofico. Giornalista pubblicista, dal 2014 è redattore della testata giornalistica online Termometro Politico. È co-segretario di redazione della rivista accademica “Sophia. Ricerche su i fondamenti e la correlazione dei saperi” e dirige Nipoti di Maritain. pz.senet@hotmail.it
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nel prossimo numero: Ambito etico/morale: Ăˆ possibile mentire? Ambito politico/sociale: La democrazia è davvero in crisi? Ambito pastorale/ecclesiale: Come affrontare l’analfabetismo religioso?
Accettiamo interventi di risposta di massimo 1000 parole da farci pervenire all’indirizzo inipotidimaritain6@gmail.com entro il 15 settembre 2018.
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