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DELFINA

di Cristina Gentile

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www.noidonne.org

SOMMARIO

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14 LAIGA/ Salute riproduttiva e aborto: libertà di scelta. Nasce la rete Pro Choice di Tiziana Bartolini

01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE di Tiziana Bartolini

4/7 ATTUALITà

16/21 FOCUS/ FORTI E FRAGILI COME ADOLESCENTI

04 Anno nuovo, conti vecchi di Giancarla Codrignani 05 Chiara Canta/ Benedetta Selene Zorzi di Giancarla Codrignani 06 Piovono santi di Stefania Friggeri

8/9 BIOETICA Animalismo e vegetarismo Che cosa, chi (non) mangiamo oggi? di Anna Mannucci

10/15 INTRECCI 10 Secular Conference di Londra Femministe e unite di Monica Lanfranco 12 Partorire senza violenza Freedom for Birth Rome Action Group

16 Il futuro è vostro. Prendetevelo! Giovane, hai paura?/Umberto Galimberti di Tiziana Bartolini 18 Spegnete la tv e accendete il cervello Intervista Laura Corradi Specchio delle sue brame/ L. Corradi di Marta Mariani 20 L’età delle esagerazioni di Marta Mariani

22 Well_B_Lab*/ Idee nuove per contare di più e uscire dalla crisi di Giovanna Badalassi 24 Donne in Campo/ Abruzzo Intervista a Domenica Trovarelli di Tiziana Bartolini

Direttora Tiziana Bartolini

Anno 70 - numero 01 Gennaio 2015

Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma

Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma

Presidente Isa Ferraguti Stampa ADG PRINT s.r.l. Via Delle Viti, 1 00041 Pavona di Albano Laziale tel. 06 45557641 SUPERVISIONE Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org

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26 /33 MONDI

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26 Paesi post-sovietici/ Omofobia: il vento dell’est di Cristina Carpinelli 29 Egitto/ Qahera supereroina col velo di Zenab Ataalla 30 Asia/Obiettivo salute. Senza tabù di Elisabetta Borzini

32/43 APPRODI

38 Le sorelle Vecchi o l’arte di creare costumi di Graziella Bertani

32 LIBRI Distanza di sicurezza/Daria Lucca I consultori in Italia/ Giovanni Fattorini AMO TE…starò con lei per sempre/ C.Ghedini e B.Benea Sapori d’Ancona/ Carla Virili di Tiziana Bartolini

40 Foto che parlano Progetto di Sonia Lenzi di Flavia Matitti 42 Triangle/Costanza Quatriglio Jimmy’s Hall/Ken Loach Il ragazzo invisibile/ Gabriele Salvatores di Elisabetta Colla

34 A Rebibbia va in scena Olympe de Gouges Recluse/ G.Zuffa e S. Ronconi Anime bianche/ Iaccarino, Gaita, Stanco, Di Bonito di Tiziana Bartolini

22/25 JOB&JOB

Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944

La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90

GENNAIO 2015 RUBRICHE

37 Dividua - Femminismo e Cittadinanza/ Emma Baeri di Rosanna Marcodoppido

amiche e amici del progetto noidonne

Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia

Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto

Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)

07 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 09 Il filo verde di Barbara Bruni 21 Versione Santippe di Camilla Ghedini 23 Strategie private di Cristina Melchiorri 44 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 44 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 45 Spigolando di Paola Ortensi 46 Donne&Consumi di Viola Conti 47 L’oroscopo di Zoe 48 Poesia Paola Pinna Il viaggio della parola di Luca Benassi

46 Diversi ma pari Progetto Regione Lazio

ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato

Elisabetta Colla Viola Conti Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Monica Lanfranco Anna Mannucci Rosanna Marcodoppido Marta Mariani Flavia Matitti Cristina Melchiorri Simona Napolitani Paola Ortensi

Daniela Angelucci Zenab Ataalla Giovanna Badalassi Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luca Benassi Graziella Bertani Elisabetta Borzini Barbara Bruni LA FOTO DI COPERTINA Cristina Carpinelli Giancarla Codrignani È DI MARTA FACCHINI

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O ABBONAMENTI O MORTE!!!! Un urlo di dolore e un grido di battaglia allo stesso tempo… Per continuare a vivere NOIDONNE ha bisogno di abbonamenti. A cominciare dal tuo. Cara amica,

non so se tu, che stai leggendo, sei già abbonata. Non so se hai dimenticato di rinnovare l’abbonamento o se sei distratta dalle mille incombenze della vita quotidiana.Quello che so, per certo, è che c’è un ennesimo taglio ai contributi pubblici destinati all’editoria sui fondi del 2013. Per il 2014 lo stanziamento è ZERO. In pratica questo significa che gli abbonamenti sono la fonte di sopravvivenza CERTA per NOIDONNE. Si dovrebbe discutere molto di più sul senso di questi tagli e sulla gravità degli effetti. Spegnere

le voci dell’editoria libera, minore e di prossimità è un fatto gravissimo per la nostra democrazia. Poi c’è anche l’impatto economico: lavoro che sparisce. Direttamente (giornalisti, poligrafici) e indirettamente (tipografie, distributori, allestitori, edicole). Ma adesso con te voglio parlare di altro. NOIDONNE sinora ha retto, con sforzi enormi, l’impatto di tagli sempre più ingenti, ma a questo punto la buona volontà e il volontariato non bastano più. Perché ci sono spese obbligate se si vuole mantenere un giornale anche in forma cartacea. E NOI VOGLIAMO CHE NOIDONNE CONTINUI AD ESSERE ANCHE UN GIORNALE DI CARTA. Per orgoglio? Per tradizione? Sì, certo. Ma anche perché di notizie stampate su carta c’è ancora bisogno. Perché alle donne, che già contano poco in Italia, non vanno tolti strumenti di visibilità e valorizzazione dei loro pensieri e del loro essere nella società. Poi c’è una domanda: che senso avrebbero i settanta anni di NOIDONNE senza uno sguardo al domani? Una possibile risposta, accanto a molte altre, è che della forza della storia non si può fare a meno se si vuole avere un futuro. Come donne, prima di tutto. Si avvia una campagna abbonamenti che ha bisogno del tuo impegno in prima persona: per rinnovare il tuo, per chiederlo ad altre, per regalarlo. È sempre stato così, ma oggi ancora di più, NOIDONNE può vivere se le donne lo vogliono. Tiziana Bartolini

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ANNO NUOVO CONTI VECCHI di Giancarla Codrignani

Le crisi sono grandi opportunità perché segnano sempre un passaggio, verso il meglio o il peggio. Dipende da come si reagisce

Facciamoci subito gli auguri per un buon 2015. Per amicizia, non per scaramanzia. Anche se…. Dire “duemilaquindici” significa che il famoso terzo millennio è già ben inoltrato. Che se ne vedano effetti “consapevoli” non direi. Speriamo, dunque, che il prossimo sia più gentile e non ci faccia temere ogni giorno il “sempre peggio”. Il pensiero dei “politici che rubano” e del “sono tutti uguali”, a cui si è aggiunto il più originale “ed io non vado a votare” sembra far dimenticare la crisi. Che, invece, c’è, eccome! ed è responsabile delle nostre rabbie. Il Papa a Strasburgo a novembre aveva detto che i governi si dovrebbero vergognare di perseguire politiche ingiuste e tutti i rappresentanti presenti avevano applaudito, cosa di cui noi ci siamo molto arrabbiati. Ma anche questa contraddizione si spiega con la crisi. La crisi è, infatti, come la peste: ricorrente, ma alcune pestilenze fanno storia, come dicevano i “promessi sposi”. Uguali le crisi: il 1929, dopo disoccupazione, suicidi e file per ritirare in banca soldi che non c’erano più, si esaurì con la Seconda Guerra mondiale. Quella attuale, iniziata nel 2008, sta dentro globalizzazione e nuove tecnologie dietro le quali il mon-

do dei “soldi”, cioè la peste, ha ridotto l’economia a finanza, producendo denaro e titoli artefatti scambiati sul web a milioni di dollari, euro o yuan ogni giorno. L’intreccio è complesso: multinazionali, banche, assicurazioni, mafie governano il mondo e condizionano i governi. Per questo i governanti vorrebbero essere d’accordo con il Papa, ma non sono più loro a governare. Tanto meno il governo italiano. Ma da noi la situazione si è complicata per ragioni nostre. Se Papa Francesco ha anche detto che siamo già dentro, per frammenti, alla terza guerra mondiale, si imporrà qualche cautela: il “tutti ladri” l’Europa lo riferisce a tutti quanti noi: purtroppo gli scandali riguardano politici e parlamentari, ma anche dirigenza statale, funzionari, imprenditori, trafficanti con laurea, loschi figuri e mafie ormai presenti anche nel “terzo settore” come nella pizzeria sotto casa (a Bologna il 5% dei negozianti paga il pizzo). Ma molte di più sono le persone cosiddette perbene che non pagano le tasse. Se quando votavamo abbiamo lasciato che i controllati facessero i controllori, siamo come i governanti che vorrebbero fare meglio ma non possono. E così ce la prendiamo con gli zingari e i rifugiati (destinati a crescere in un mondo in

guerra). Certo, anche i francesi sono in crisi come noi (con meno corruzione): votando la signora Le Pen o non andando a votare, rivelano di non sapere come finì la crisi del ‘29. Eppure le crisi - non scherzo - sono


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religione teologia e sociologia

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grandi opportunità, perché segnano sempre un passaggio: al meglio o al peggio dipenderà da come si reagisce. Le donne hanno nel Dna la conoscenza della violenza, quella che induce al femminicidio ed è la stessa che ai maschi fa amare la guerra. Amiche nostre in Iraq, Palestina o Siria piangono la casa distrutta, ma prima di sera debbono dar da mangiare ai bambini e cercare dove metterli a dormire. Le nostre madri e nonne facevano lo stesso dopo i bombardamenti; dopo la Resistenza hanno sperimentato la fatica di ricostruire. Il 2015 sarà un anno di grandi celebrazioni del 70° della Liberazione: ormai è solo memoria che apre a ri-pensare il termine “resistenza”. Se il fascismo ottenne consenso quando la “crisi” del primo dopoguerra fece crollare l’occupazione (primi furono i licenziamenti delle donne appena entrate nelle fabbriche), alimentò la rabbia, gli scioperi, la violenza contro le istituzioni fu perché nessuno, nemmeno le

donne, seppe “prevenire”. Mussolini diede per primo il voto amministrativo alle donne; ma abolì subito i sindaci e nominò i podestà. E il voto venne sostanzialmente soppresso. Nella crisi attuale domina la corruzione. Nelle carte non sono comparsi nomi di donna. Non perché siamo migliori, ma perché non gestiamo alcun potere; le complici “non contano proprio”, sono serve. Potremo criticare il potere finché non ci omologheremo. Se si vorrà uscire da una crisi fallimentare, sarà difficile farlo senza le donne; ma ancor più difficile sarà persuadere gli uomini a investire in una politica almeno “dei due generi”. Eppure così si riuscirebbe a prevenire qualche guaio. Il 2015 avrà bisogno comunque di nuova partecipazione; secondo noi bisognerà incominciare dal domandarsi che cosa debba essere il potere. Che è il tema su cui noi donne ci giocheremo il futuro, a beneficio non solo nostro, ma di tutti. ❂

ue libri interessanti: “Le pietre scartate, indagine sulle teologhe in Italia” della sociologa chiara canta, e di “al di là del ‘genio femminile”di suor benedetta zorzi, teologa. Si tratta di due volumi di evidente interesse religioso, ma vanno segnalate per la tematica tutta femminile. Il primo nasce da una ricerca che ha contattato ben 335 teologhe - tutte cattoliche, tranne 4 valdesi 1 anglicana e una battista - e porta a considerare le ragioni delle difficoltà che incontrano - ovviamente senza meraviglia - donne che studiano sia origini, storia, fondamenti delle religioni, sia l’organizzazione e la cultura della loro chiesa. “Uomini e preti” rappresenta un binomio carico non solo dei pregiudizi tradizionali nei confronti delle donne, ma delle deformazioni sessuofobe e discriminanti proprie delle religioni. Per giunta, sembra che i preti (è una constatazione della ricerca) abbiano “paura delle competenze delle donne”. Benedetta Zorzi è, invece, una teologa che cerca di entrare in prima persona nel merito della recente “teologia di genere”. Il suo libro prende le mosse da un excursus sulle concezioni antiche, in genere tutte sessiste, e dalla clericalizzazione della dottrina e delle interpretazioni cristiane che penalizzano il “genere” escludendolo dal sacro. Ovviamente la struttura del libro è complessa: senza un’infinità di passaggi non si parte da quel “genio femminile” del titolo - che rimanda alla Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II sulle doti femminili ritenute grandi ma sempre destinate “alla famiglia” per arrivare al femminismo di Lucy Irigaray o della Muraro. La copertina lancia la domanda più provocatoria: “si può essere donne di oggi e credere in Dio”?” Giancarla Codrignani chiara canta Le pietre scartate, indagine sulle teologhe in Italia Franco Angeli, 2014, euro 29,00 benedetta selene zorzi Al di là del ‘genio femminile’ Carocci editore, 2014, euro 25,00


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PIOVONO SANTI di Stefania Friggeri

Le tante canonizzazioni rischiano di “svalutare l’idea che i santi siano prima di tutto modelli per indicare alla gente comune come vivere una vita santa” Papa Roncalli non ha avuto fortuna da morto: beatificato nel 2000 insieme a Pio IX e santificato nel 2014 insieme a papa Wojtyla. Giovanni XXIII, infatti, non ha molto in comune con Pio IX, il pontefice che ha proclamato nel Sillabo l’infallibilità papale, ha tolto alla famiglia il piccolo Edgardo Mortara, ebreo battezzato da una domestica (“i diritti del Padre celeste vengono prima di quelli del padre terreno”), ha mandato a morte chi combatteva il “papa re”. Se leggiamo Pio IX nel contesto storico- culturale del suo tempo ne comprendiamo le motivazioni reazionarie ed oscurantiste, ma da qui a farlo santo ce ne corre. Né papa Roncalli ha molto in comune con papa Wojtyla, a partire dalla centralità del Vaticano che il Concilio aveva cominciato a ridimensionare a favore delle chiese locali la cui autonomia Wojtyla ha invece duramente repressa, insieme a tutte le forme di dissenso nei confronti della teologia romana. E questo spiega la censura o le dimissioni imposte negli anni a numerosi teologi da parte della Congregazione della Dottrina della fede retta da Ratzinger. I più noti: padre Zanotelli (direttore di Nigrizia, da cui alla fine si dimise), don Franzoni e Hans Kung (sostenitori del diritto al divorzio e all’aborto), Leonard Boff, padre Arrupe e padre Cardenal (sostenitori della Teologia della Liberazione) e tutti quei religiosi che portavano avanti una pastorale sociale di dialogo con le forze progressiste o marxiste; ha

emarginato anche i religiosi che promuovevano la ricerca teologica dal basso e uno spirito “democratico” nella vita della Chiesa, che vuol dire discutere in modo libero ed aperto temi come l’omosessualità, la contraccezione, l’aborto. Sull’omosessualità, “inclinazione ... oggettivamente disordinata”, Wojtyla non solo ha condannato “la malizia intrinseca degli atti sessuali” (da cui discende che è “assolutamente sconsigliabile” l’ordinazione sacerdotale dei gay), ma nel 2000 ha fatto pressioni per impedire il World Gay Pride a Roma. Sulla contraccezione non ha mostrato alcun ripensamento e nel Rwanda devastato dall’Aids ha raccomandato la castità e la fedeltà coniugale per combattere l’infezione (d’accordo, ma erano necessarie altre misure, tipo il peccaminoso preservativo). Sull’aborto, “espressione della cultura della morte che pervade il mondo moderno”, Wojtyla si è espresso con parole ingiuriose mai udite prima, paragonando l’aborto nientemeno che alla Shoah. E se il papa polacco ha riconosciuto virtù e meriti alle donne, ha sempre riaffermato il divieto del sacerdozio femminile. “È vero che Gesù scelse dodici apostoli maschi. Ma perché questo dato storico indiscutibile dovrebbe diventare il segno di un fatto naturale immutabile? …..Così si immobilizza la storia, come spesso ha fatto e continua a fare la Chiesa gerarchica…..il papa prende un pregiudizio storico e lo assume come prova di fatto che la natura va in una certa direzione, rafforzando il pregiudizio da cui era partito” (Vattimo). Durante il suo pontificato non sono mai stati denunciati al potere secolare i religiosi colpevoli di pedofilia, delitto ricondotto semplicemente al


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PERCORSO NASCITA E SPRECHI INACCETTABILI

Q “misterium iniquitatis”, al mistero del male; vedi il caso di M. M. Degollado (pedofilo, affarista, dissoluto, puttaniere padre di 5 figli) che solo dopo l’ennesimo scandalo è stato allontanato dalla guida dei Legionari di Cristo, una delle più potenti cordate dell’apparato curiale da cui attingere potere e danaro. Così come da Comunione e Liberazione e dall’Opus Dei franchista, o dai responsabili dello IOR, nessuno dei quali ha pagato, neppure il cardinal Marcinkus, sottratto alla giustizia secolare dopo l’affare del Banco Ambrosiano. La memoria di papa Roncalli dunque, abbinata a quella di Wojtila, promuove agli altari una figura controversa: il papa della “Pacem in terris” ha condannato l’aggressione all’Iraq, ma ha definito “giusta” la guerra alla Jugoslavia (oggi Bergoglio non vuole bombe neanche sull’Isis), il paese che, col riconoscimento della cattolica Croazia, il Vaticano ha contribuito a smembrare. E a liberare dal comunismo. Come in Polonia sovvenzionando Solidarnosc, o in Cile affacciandosi al balcone con Pinochet, o facendo avanzare il processo di beatificazione di Pio XII, il papa che per salvare l’Europa dal comunismo ateo, ha tenuto un atteggiamento ambiguo verso le dittature. Infatti molti fedeli si augurano venga fatto santo non Pio XII, percepito come simbolo dell’antisemitismo, ma Oscar Romero (giunto a Roma per denunciare a Wojtyla le violenze del governo militare, ma inutilmente) e criticano il “santificio” perché “le 1.338 beatificazioni e le 132 canonizzazioni (proclamate da Wojtyla) … sono più del doppio dell’insieme di quelle avvenute durante i pontificati degli ultimi quattro secoli” (H.Kung). Grazie anche al suo carisma che ha sedotto i fedeli e mass media, Wojtyla ha celebrato una religiosità dei santi, dei miracoli, delle apparizioni, insomma della devozione popolare assimilabile all’idolatria intrisa di superstizione. Con la sua proclamazione a santo insieme a Roncalli, la Chiesa con un “gesto astutamente equilibratore … ha dimostrato pubblicamente quanto la canonizzazione sia diventata un fatto politico che rischia di svalutare l’idea che i santi siano prima di tutto modelli per indicare alla gente comune come vivere una vita santa” (P.Vallely). b

uale è il corrispettivo delle tasse? Non vi è dubbio che sia la qualità dei servizi, senza differenze per condizione sociale, come detta la nostra Costituzione. La semplice disponibilità degli stessi servizi è solo una condizione necessaria ma non sufficiente. Ogni operatore deve sentirsi eticamente obbligato a contribuire per la sua parte a tutelare, promuovere e proteggere il bene comune, facendosi anche parte dirigente senza assumere le colpe di altri come alibi per non fare al meglio tutto quello che comunque può fare nelle condizioni date. A maggior ragione e con maggiore responsabilità chi ha compiti di dirigenza tecnica e amministrativa deve rispondere su tutti i piani della qualità dei servizi, qualità che deve essere apprezzabile con opportuni indicatori di processo, di risultato e di esito. È compito delle Camere elettive stabilire gli obiettivi di benessere da raggiungere, per i quali è necessario investire le risorse pubbliche provenienti dalla tassazione ed è evidente che chi ha compiti di governo politico, amministrativo e tecnico deve adottare strategie operative che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi di benessere e ne risponde. Utilizzare le risorse con sprechi è colpa grave quando ci sono conoscenze consolidate per evitarli, non valutare costantemente la qualità nella pratica, ma limitarsi a contare quante attività sono state svolte senza preoccuparsi dell’appropriatezza in termini di efficacia e di utilità è colpa grave. Una attività notoriamente inefficace non è solo spreco ma anche danno; così come è spreco e danno se una attività conosciuta efficace e raccomandata in alcune circostanze è rivolta a chi non ne ha bisogno, in tal caso si può stare certi che al troppo corrisponde sempre l’esclusione di alcune persone (sistematicamente quelle più povere, piove sempre sul bagnato!) per le quali invece ci sarebbe una reale utilità, con il paradosso di fare troppo e non fare abbastanza. Nel campo della salute gli sprechi si mangiano almeno il 30% delle risorse e senza la valutazione della qualità, unica modalità per controllarli, si favorisce la corruzione che si mangia un altro 5%. Il percorso nascita, prevalentemente espressione di fisiologia, è pervaso da sprechi per interventi inutili, inefficaci e inappropriati e, sempre, dannosi. Cosa aspettano i professionisti, i dirigenti tecnici e amministrativi e chi governa a perseguire con determinazione la qualità invece di inventarsi sempre nuove architetture istituzionali, seguendo le mode spesso esterofile? Che intervenga la magistratura? Che si venga assediati dalle comunità finalmente consapevoli e culturalmente attrezzate a valutare la qualità dei servizi avendo acquisito competenze nella valutazione degli indicatori della qualità? È concepibile, tanto per fare un esempio clamoroso, che solo poco meno del 5% dei centri nascita possa essere classificato per le buone pratiche “ospedale amico del bambino”? e come dovremo classificare il restante 95%?


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Anna Mannucci Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org

ANIMALISMO E VEGETARISMO

Che cosa, chi (non) mangiamo oggi?

Etica e alimentazione Nel 1975 venne pubblicata la prima edizione di Animal Liberation: A New Ethics for our Treatment of Animals, New York: New York review/Random House, del filosofo e bioeticista australiano Peter Singer, poi definito “la Bibbia del movimento animalista mondiale” (in realtà, del mondo anglofono). Il libro era (ed è) un trattato di filosofia utilitarista, ma nello stesso tempo conteneva indagini sul campo e dati precisi sulle situazioni concrete degli animali nei luoghi di maggior sfruttamento, soprattutto gli allevamenti intensivi, e si concludeva con un’appendice di ricette vegetariane, una vera novità. Animal liberation segnò una nuova fase del movimento

per gli animali (Singer non usa mai il termine diritti, essendo un utilitarista non crede nei diritti). Uno spostamento fondamentale: l’attenzione passava dagli animali da compagnia (cani, cavalli e secondariamente gatti), agli animali da reddito, miliardi di animali (e il numero, la quantità, da un punto di vista utilitarista è importante) - mucche, vitelli, maiali, galline, tacchini e molti altri - allevati e uccisi in modo intensivo nelle Factory Farm, fattorie industriali, con modalità da catena di montaggio. In Italia questo libro fu tradotto da Mondadori solo nel 1991 e non ebbe l’impatto dell’originale.

lora, via via i vegani aumenteranno. 1 vegani rifiutano ogni prodotto di origine animale, compresi, per esempio, miele e lana, e sono contrari alla lotta per il miglioramento delle condizioni di detenzione degli animali. Per loro, bisogna arrivare alla fine di ogni allevamento e, a lungo termine, alla fine degli animali domestici, compresi quelli da compagnia. I libri su questi temi sono innumerevoli, ne citiamo soltanto due: Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari, di Peter Singer e Jim Mason (Il Saggiatore, 2007) e Se niente importa. Perché mangiamo animali? di Jonathan Safran Foer (Guanda,2010). Come dice chiaramente il titolo del primo, Il fiorire dell’animalismo decidere che cosa mane del vegetarismo in giare è una scelta moraItalia le, perché coinvolge la Però, da Animal LiberaNELLA SOCIETÀ vita e la morte di altion in poi - in Italia apITALIANA SI STA tri esseri senzienti. punto a partire dagli DIFFONDENDO UN VEGETARISMO NON Se niente importa anni ‘90 - il tema ORGANIZZATO, NON è stato un libro di della scelta alimenUFFICIALIZZATO E CHE grande successo antare pian piano è diNON ADERISCE AD che presso il grande ventato importante e ASSOCIAZIONI pubblico, data la notoin alcuni casi centrale nel rietà dell’autore, pure in discorso animalista. Nel Italia. Questi testi pongono 2002 nasce oltrelaspecie, il problema etico senza dare prewww.oltrelaspecie.org, associazione scrizioni né obblighi vegetariani o antispecista,’ assolutamente vegana, vegani, gli autori si augurano almeno che organizza regolarmente confela riduzione dei consumi di prodotti renze, cene e festival vegani. Da al-


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Il filo verde 7 miliardi di invitati di uno degli slogan di origine animale; un’impostazione di Expo2015 - è basato sugli animali: riformista che in Italia non è molto carne (manzi, vitelli, maiali, polli, tacaccettata dagli animalisti duri e puri. chini, conigli e altri ancora), pesci, Altri esempi del crescere della sensiuova, latte, formaggio. Per non dire bilità verso gli animali: la casa editridella trazione animale, tuttora esice Sonda pubblica regolarmente libri stente in molte parti del pianeta, andedicati alla cucina vegan, sempre che in relazione all’agricoltura e dundefinita etica, proprio per mettere que alla produzione di cibo. Ma quein evidenza l’origine morale di questa sta costante presenza degli animali, scelta, anche se poi si finisce sempre da vivi e da morti, nella vita e nelle per lodarne le qualità salutistiche e società umane (sul fatto che la specie ambientali e benefiche per il cosidumana e la sua storia sono basate sudetto terzo mondo. Nel 2013, in una gli animali, v. Alfred W. Crosby, Impegrande catena di supermercati italiarialismo ecologico, Laterza, 1986, Jani è comparso lo scaffale vegan, con red Diamond Il terzo scimpanzé, Bolseitan, tofu, soia, in varie forme e lati Boringhieri 1994) viene preparazioni (prima, questi taciuta, dimenticata, anprodotti erano presenti, GLI ANIMALI nullata, rimossa. Rimoma in quantità minore SFRUTTATI E UCCISI zione è probabilmente e dispersi in vari scafA MILIARDI PER IL la parola più adatta. fali). Più in generale, NOSTRO NUTRIMENTO nella società italiana SONO INDIVIDUI SENZIENTI, IN Vengono ignorati si sta diffondendo GRADO DI PROVARE DOLORE anche i vegetariani O PIACERE, CAPACI e i vegani, ma questo un vegetarismo non DI SENTIMENTI E DI sarebbe secondario, se organizzato, non ufSCELTE MORALI non indicasse, di nuovo, ficializzato, di persone la rimozione del tema. Il non iscritte ad associaziocorpo degli animali, i corpi ni, basato sull’empatia verso degli animali sfruttati e uccisi, sono gli animali e che di solito parte dal ignorati, occultati dalle retoriche rapporto affettivo con un animale da pubbliche. A livello mondiale, si tratta compagnia. di miliardi di individui ammazzati ogni anno, difficili da contare anche a tonExpo 2015 senza animali? nellate. Individui senzienti, in grado di Tutto questo, però, non compare nel provare dolore o piacere, capaci di discorso pubblico, ufficiale. Un esemsentimenti e di scelte morali, qualità pio clamoroso è Expo2015 (www. di cui si stanno rendendo conto perexpo2015.org), esposizione universasino gli etologi ufficiali. le che si terrà a Milano appunto nel Che cosa pensare di questo occulta2015, il cui tema è Nutrire il Pianeta, mento? Forse indica un senso di colEnergia per la Vita. Nelle presentaziopa sociale non riconosciuto. ❁ ni ufficiali e negli innumerevoli eventi collegati a questa iniziativa, convegni, incontri, feste, seminari, iniziati già nella primavera del 2014, non compiono gli animali. Persino la sua mascotte, Foody, è un personaggio in stile Arcimboldo composto soltanto da vegetali, otto verdure e tre frutti, insomma è vegan. Eppure è ovvio che il cibo quotidiano della maggioranza della popolazione umana mondiale - i

di Barbara Bruni

NASCE IL PRIMO OSPEDALE PER PESCI

Sarà operativo verso la metà del 2015 il primo ospedale indiano interamente dedicato alle patologie dei pesci. Ad oggi, sono stati costruiti 25 bacini dove saranno ospitati gli esemplari di organismi acquatici che necessitano di trattamenti terapeutici. Il centro si propone soprattutto di fornire un importante appoggio a quanti in Bengala si occupano dell’allevamento di pesci a fini alimentari.

BOLLETTA ENERGETICA

A partire da settembre 2015, la bolletta energetica assumerà una nuova forma, più semplice e comprensibile. La bolletta 2.0 - approvata dall’Autorità per l’energia - fornirà in una sola pagina tutti gli elementi essenziali di spesa e di fornitura. La semplificazione riguarda sia i contenuti che i termini utilizzati. Chi volesse approfondire le diverse voci di spesa, potrà comunque richiedere al proprio fornitore gli elementi di dettaglio. Novità anche per le modalità di invio della bolletta: chi sceglierà il pagamento con domiciliazione su conto corrente bancario, postale o su carta di credito - solo per l’elettricità, parliamo di circa la metà dei clienti domestici e più di un terzo dei non domestici - avrà come metodo principale di emissione quello digitale/elettronico (con possibilità di poter richiedere, in ogni momento, la forma cartacea). Nelle nuove bollette, per gli eventuali ricalcoli ed i conguagli è previsto uno spazio apposito per modifiche dei consumi ed errori di fatturazione.

SEQUESTRATI ANIMALI DA CIRCO IN SARDEGNA

È scattato in Sardegna il più grande sequestro di animali da circo mai effettuato in Italia. Gli agenti del Corpo forestale, insieme con i volontari della Lav, hanno liberato 19 animali fra cui una leonessa, un lama peruviano, un cammello, un pappagallo Ara, due dromedari, una zebra e uno zebrallo (incrocio tra una zebra e un cavallo). Imbarcati in una sorta di “Arca di Noè” (dal nome dell’operazione!), sono poi stati trasferiti in strutture in grado di garantire loro spazi adeguati e cure. Il sequestro preventivo degli animali era stato richiesto dalla Procura di Tempio Pausania, dopo una serie di accertamenti riguardanti il modo in cui venivano trattati gli animali e gli spazi in cui erano costretti a vivere.

PROGRAMMA CONTRO LA DESERTIFICAZIONE L’Unione Europea, insieme con la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e in collaborazione con il gruppo dei paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico (Acp) hanno annunciato la nascita di “Azione contro la desertificazione”. Si tratta di un programma, della durata di quattro anni e mezzo, che prevede l’investimento di 41 milioni di euro: lo scopo è “promuovere la gestione sostenibile del territorio e il ripristino delle zone aride” in Africa, Caraibi e Pacifico.


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FEMMINISTE E UNITE un mondo più laico per avere più libertà di Monica Lanfranco

Alla Secular Conference (Londra, ottobre 2014) attiviste e intellettuali hanno discusso dell’emergenza fondamentalismo lanciando il Manifesto per la laicità

Sono certamente le più estreme nel movimento, e quindi non possono piacere a tutte. Per gli uomini vanno dal ‘wow’ al ‘pittoresche!’ al decisamente ‘no’, (ma solo per gli integralisti di ogni religione, che però una sbirciata veloce la danno lo stesso). Parlo delle Femen, il gruppo femminista che viene dal violento e omofobo est, dalla Russia in particolare, ma che ha raccolto adesioni di attiviste anche nei paesi musulmani, come nel caso di Amina, che poi sembra, per pressioni interne alla famiglia, abbia ritrattato. Che piacciano o meno, le Femen sono capaci di farsi notare, e non solo perché si spogliano per metà, esibendo il seno nudo e scritte sul corpo che non lasciano dubbi sulla loro contrarietà a qualunque fede e ostacolo alla libertà di espressione. Disturbanti quando attaccano le religioni - puntando a creare disagio, intervenendo a volte in modo inopportuno (per esempio in piazza San Pietro durante le udienze papali, oppure cercando di togliere il burka alle donne che lo indossano) -

loro stesse definiscono ‘isterici’ talvolta i toni che usano, sono fiere di avere condanne e minacce di morte per blasfemia. “Fino a che non si potrà criticare la religione non potremo dire di essere libere” ha dichiarato Inna Shevchenko alla Secular Conference di Londra del 2014, che l’11 e il 12 ottobre ha ospitato 30 tra attiviste e intellettuali da tutto il mondo per discutere dell’emergenza fondamentalismo e laicità. A metà tra l’arte aggressiva e dolorosa di Marina Abramovich (non a caso anche lei di origine slava) e la tecnica striker, queste instancabili macinatrici di chilometri hanno detto alla Conference una cosa forte e chiara a chi sostiene che, pur condividendo il senso della lotta, sbagliano a usare il corpo e la nudità. “Alle femministe critiche dico per prima cosa che bisogna che ci sostengano perché noi siamo femministe. Pensiamo che ogni tipo di femminismo debba essere supportato dalle altre, alle quali chiediamo aiuto. Perché abbiamo deciso di essere nude? Perché usiamo la nudità come una tattica: dopo anni di lotta per avere attenzione sui diritti delle donne abbiamo realizzato che chi sta a sentire le donne le guarda, prima ancora di ascoltarle, e abbiamo deciso di usare questo fatto a nostro favore. Il corpo delle donne è posseduto dagli uomini, usato, venduto; ce lo siamo ripreso, rendendo chiaro che il corpo è nostro e lo trasformiamo in un manifesto politico. Facciamo vedere giovani donne che dicono, domandano, spiegano qualcosa con il corpo. Pensiamo che in questo modo si possa distruggere la visione sessista del corpo nudo, perché lo mostriamo in un contesto


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del tutto opposto a quello del mercato, dove è usato per vendere birra o yogurt. Le nostre sono richieste politiche in un contesto politico. Cambiamo il significato della nudità, proponiamo un altro modo di guardare alla nudità delle donne, per le donne. Crediamo che questo sia importante perché in quattro anni di lotta siamo state arrestate, torturate per due giorni in Bielorussia, perseguitate, costrette a vivere in esilio. Per cosa? Perché mostriamo il seno in un modo e con un significato completamente diverso rispetto alla nudità tradizionale. Per questo potete decidere o meno di stare dalla nostra parte, ma abbiamo bisogno di voi, come femministe”. La Secular Conference di Londra, terminata con l’approvazione del Manifesto per la laicità che sta raccogliendo già migliaia di adesioni, è stata una due giorni per molti aspetti straordinaria, e ancor di più se vista con occhi italiani. Ha circolato un coraggio culturalmente, socialmente e politicamente profondo, unitamente al forte taglio femminista di ogni intervento: considerando che Maryam Namazie, fondatrice di numerosi network per la laicità tra i quali One law for all, ha portato alla Conference i più bei cervelli dell’attivismo antifondamentalista il risultato è stato davvero impressionante. Ecco alcuni cenni sui lavori, rimandando al sito dove ascoltare tutti gli interventi. I venti minuti del filosofo scrittore e columnist del Guardian AC Graylins sono stati un distillato di humor british sull’ossimorica tendenza di ogni religione a dirsi democratica, aperta e foriera di libertà. Il pericolo dell’educazione religiosa non sta nel voler educare, sostiene Graylins, ma nel pretendere di educare a cosa pensare: l’educazione dovrebbe insegnare a pensare, punto. A quando, al posto dell’educazione religiosa, l’insegnamento della storia delle idee? Marieme Helie Lucas, attivista e studiosa algerina del Wluml, più volte invitata e pubblicata da Marea in Italia, ribadisce con forza l’uso dannoso delle ‘differenze’ culturali per giustificare la negazione dell’universalismo in Europa. “Siamo vittime dell’essenzialismo e del relativismo quando reclamiamo diritti diversi su base religiosa, anche quando vogliamo difendere ‘i diversi’ nel nome delle culture identitarie. Accade sempre

più spesso che i governi occidentali si mettano in relazione con rappresentanti religiosi che non sono mai stati eletti e che parlano a nome di una parte precisa delle comunità (non certo per le donne), portando avanti i diritti di una minoranza esclusiva. Il multiculturalismo garantisce l’esistenza di enclaves chiuse nella quali governano quasi sempre elementi non democratici che pretendono di fare a meno dell’universalismo dei diritti”. Di grande impatto emotivo la scelta formale di Karima Bennoune, docente arabo americana di legislazione internazionale per parlare delle vittime del fondamentalismo. Sullo schermo dietro di lei scorrono le immagini e i volti di uomini e donne che hanno trovato la morte negli ultimi anni per mano degli islamisti. Non c’è nulla di enfatico o di eroico nel suo breve racconto delle biografie: Karima chiede che si ricordino queste persone perché fare memoria è un gesto politico prioritario per avere futuro e ricordare che la libertà di vivere senza il giogo della ‘ideologia religiosa non c’è ancora in molti luoghi del pianeta. “Non si tratta di fede, scandisce, ma di fanatismo, di politica, e di regime”. Nadia El Fani, filmaker tunisina di Laicitè Inshalla afferma: “I nostri sono islamisti intelligenti: hanno denaro, usano i social media e quindi raggiungono i giovani, per questo sono pericolosi e pervasivi. I fondamentalisti non vogliono la democrazia, e dobbiamo sapere che queste persone usano la democrazia per costruire la teocrazia. Dite ai giovani che possono credere nel paradiso, ma che è una menzogna se sulla terra c’è un mondo ineguale e ingiusto, come quello che chi crede nel paradiso realizza brandendo dio”. b Tutti i video della Conference al sito http://www.secularconference.com/videos/

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PARTORIRE SENZA VIOLENZA I diritti delle donne, l’autodeterminazione e il controllo sul proprio corpo si fermano sulla soglia dell’ospedale. Il convegno di Freedom for Birth Rome Action Group ha indagato le ragioni mediche, storiche e antropologiche di questa ‘rimozione collettiva’ Il diritto delle donne di autodeterminarsi nel percorso nascita ed in particolare al momento del parto. Questo il tema della giornata di riflessione organizzata da Freedom for Birth Rome Action Group (Roma, 29 novembre 2014, Casa Internazionale delle Donne). Intorno al titolo “La violenza nel parto: antichi e nuovi rituali per il controllo e disciplinamento del corpo della donna” le organizzatrici hanno chiesto di intervenire ad “addette ai lavori” (ostetriche,

psicologhe e medici) ma anche e soprattutto a storiche, antropologhe e bioeticisti, in modo da presentare una prospettiva più ampia che potesse aiutare a fare chiarezza sull’origine e la funzione sociale di pratiche finalizzate al disciplinamento e controllo della donna nel percorso nascita. La scelta di Freedom for Birth-RAG di utilizzare in modo esplicito il termine violenza per definire le pratiche a cui vengono sottoposte

le donne (posizioni obbligate, taglio della vagina, lontananza dal bambino ecc), viene così spiegata da Mirta Mattina, una delle due psicologhe del gruppo: “il fenomeno della Violenza Ostetrica sembra essere allo stesso tempo ed in modo paradossale, evidentissimo e invisibile: basta confrontare le routine sanitarie con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, per rendersi conto dell’evidenza e diffusione del fenomeno. Fenomeno che però appare anche invisibile qualora si decida di parlarne pubblicamente, sembra infatti che operi una sorta di negazione collettiva o di rimozione che impedisce di riconoscere e qualificare come violenti gli atti non necessari e non acconsentiti che vengono agiti sulle donne e sulle persone che nascono”. Aggiunge Carmen Rizzelli, l’altra psicologa di FFB-RAG: “proprio l’assenza di consapevolezza e di strumenti culturali per leggere e riconoscere il fenomeno della violenza ostetrica la rende tollerata e cronica, comunque invisibile e non sanzionabile. Seppure lascia profonde ferite psicologiche nelle donne che ne fanno esperienza. (…) Dunque sembra che parlare di violenza nel parto sia percepito come un qualcosa di potenzialmente pericoloso per il sistema patriarcale dominante, anche interiorizzato, ed equivalga ad infrangere un tabù, sfidando una prescrizione sociale scotomizzante che rende invisibile una parte della realtà. In tante altre occasioni le donne si sono trovate in questa stessa condizione, ad esempio, fino a poco tempo fa, anche il termine “violenza domestica” rappresentava un tabù, in quanto veniva negata l’esistenza stessa del fenomeno e, per arrivare al riconoscimento di questo tipo di violenza, è stato necessario un percorso che è partito dalle donne per poi estendersi al resto della società. (…)”. Ma che cos’è la violenza ostetrica? Virginia Giocoli, avvocata del movimento, la definisce come “la negazione del diritto delle donne di compiere scelte informate e autonome e praticare sul loro corpo atti medici non necessari e non acconsentiti dalla donna stessa, durante il travaglio e il parto” e aggiunge che “solo tre paesi al mondo (Venezuela, Argentina e Messico n.d.r.) hanno riconosciuto la


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violenza ostetrica e l’hanno recepita nel loro ordinamento normativo all’interno di leggi contro la violenza sulle donne. Perché di questo si tratta: di una forma di violenza sulle donne, e come tutte le forme di violenza è causa di effetti dannosi dal punto di vista fisico e psicologico”. Durante il convegno sono state particolarmente toccanti le testimonianze di numerose donne che hanno ricordato, con molto dolore e sofferenza, il loro parto e la sensazione di impotenza di fronte alla violenza subita. In particolare hanno fatto riferimento alla limitazione del movimento durante il travaglio, la mancanza di informazioni e coinvolgimento nelle decisioni che riguardavano il loro corpo. La proibizione, senza indicazioni mediche al bere e al mangiare. La negazione del diritto di avere una persona accanto di sua scelta. Subire, senza alcun motivo, pratiche dolorose e violente, come la dilatazione manuale del collo dell’utero e rottura del sacco amniotico, l’obbligo della posizione sdraiata durante il parto, il taglio della vagina e la separazione dalla persona nata immediatamente dopo il parto, senza poter in nessun modo sottrarsi, scegliere o obiettare. L’ostetrica Gabriella Pacini, presidenta dell’associazione Freedom fo Birth-RAG e moderatrice del dibattito, ha ricordato le limitazioni delle libertà che le donne subiscono. Significativo l’intervento di alcuni operatori sanitari, ostetriche e ginecologhe, che hanno condiviso la difficoltà che incontrano, nei loro contesti di lavoro, nel momento in cui provano a mettere in discussione pratiche inutili e routinarie nel percorso nascita. In particolare emerge da alcuni dei loro interventi il tema della paura:

da un lato la paura degli/lle operatori/operatrici sanitari/e rispetto alla libera scelta delle donne alla nascita e dall’altro la loro percezione della paura e dell’ansia delle donne stesse durante il parto che le porterebbe a delegare la scelta stessa. La paura sembra proprio il vissuto emotivo che funge da benzina che alimenta e sostiene la macchina dell’ipermedicalizzazione troppo spesso non informata e non acconsentita. Rispettare il diritto alla completa e corretta informazione e l’attuazione di un modello di cura partecipato e centrato sulla persona ci sembra essere un terreno da dover coltivare insieme per uscire dall’empasse e poter passare dalla predominanza della paura/sfiducia alla fiducia. (…) Maurizio Balistreri, filosofo, ha osservato: “colpisce il silenzio delle filosofia sul tema della gravidanza e del parto, che rimangono a tutt’oggi ambiti inesplorati se li confrontiamo con l’attenzione che viene posta, non solo dalla filosofia ma dalla nostra cultura in generale, a questioni che riguardano altri momenti dell’esistenza. La riflessione bioetica - scrivono le femministe - e in genere le prospettive che difendono nuovi spazi di libertà e autonomia sembrano fermarsi di fronte al tema del diritto alla libertà di scelta e autodeterminazione delle donne sul come e dove partorire e non sembrano sensibili alle rivendicazioni sempre più diffuse delle donne incinta. Il dibattito, molto acceso e diffuso, che riguarda l’interruzione di gravidanza e la fecondazione assistita, sembra fermarsi completamente sulla soglia della sala parto. (…)”. Secondo l’antropologa Annalisa Garzonio “il parto naturale non esiste e non è mai esistito. In nessuna parte del mondo. Invece di essere considerato un fatto puramente fisiologico gli andrebbero riconosciuti i caratteri di categoria culturale magistralmente costruita e manipolata per legittimare, di volta in volta, differenti forme di appropriazione del potere sui corpi delle partorienti e del corpo sociale più ampio (…)”. Valentina Gazzaniga, docente di Storia della Medicina all’Università La Sapienza di Roma, ha presentato un’interessante relazione, finalizzata a indagare le origini di questo tipo di violenza nella nostra cultura, in cui ha evidenziato come, nel mondo greco-romano, la visione del corpo femminile come di un corpo minoritario sia stata funzionale all’introduzione di un Pantheon maschile che andasse a sostituire quello femminile, che aveva caratterizzato le società gilaniche preesistenti (studiate da Maria Gimbutas). Gazzaniga ha affermato che: “tale visione del corpo femminile e dei processi riproduttivi era funzionale al controllo sociale delle donne ed alla strutturazione di una società patriarcale”. b Versione integrale dell’articolo: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=05994 Videointervista a Gabriella Pacini: http://www.noidonne.org/videogallery-dettaglio.php?ID=0159

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LAIGA

TRA SALUTE RIPRODUTTIVA E ABORTO: libertà di scelta a tutto campo di Tiziana Bartolini

Per l’applicazione della legge 194 e per contrastare l’alto numero di obiettori di coscienza nelle strutture pubbliche arriva la rete nazionale proposta da LAIGA Una rete nazionale che abbia il duplice obiettivo di ottenere la piena attuazione della legge 194 e riportare l’attenzione sulla salute riproduttiva e delle donne nel nostro Paese.

La proposta è stata lanciata dalla LAIGA, libera associazione ginecologi per l’applicazione della legge 194, in occasione del terzo Convegno nazionale (Napoli, 7/8 novembre) ed è stata accolta positivamente dal composito mondo dell’associazionismo femminile (e non solo femminile) e di categorie professionali presenti all’incontro. È sicuramente l’inizio di un cammino che si rende necessario intraprendere per contrastare il livello raggiunto dalla non applicazione della legge 194, quella che dal 1978 regola l’interruzione volontaria della gravidanza in Italia e sancisce l’autodeterminazione della donna nella maternità che definisce “libera e consapevole”. A far maturare in LAIGA l’idea che fosse necessario far entrare in campo la forza di un gruppo di pressione nazionale è stata anche la Risoluzione del Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa (8 marzo 2014) a seguito di un ricorso presentato da IPPF EN (International Parenthood Fe-

deration European Network). Andrea Rotondo e Irene Donadio hanno spiegato i passaggi della battaglia vinta in punta di diritto che la loro ong - attiva nel campo della salute sessuale riproduttiva e della pianificazione familiare a livello globale - ha sostenuto a partire dal 2012 e con un paziente lavoro di raccordo collettivo. Infatti è stato riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978, intendono interrompere la gravidanza. Non è messo in discussione il diritto dei medici all’obiezione di coscienza, ma è affermato “che non può essere usato per ostacolare il diritto della donna, diritto individuale sancito anche dalla Costituzione”. Un responso, e non una semplice raccomandazione, che ha chiamato in causa direttamente il governo. Infatti la ministra della Salute Beatrice Lorenzin ha istituito subito un Tavolo Tecnico per monitorare il livello di applicazione della legge. Per dire delle resistenze indomite, alcune Regioni - come è il caso della Lombardia - non partecipano ancora al Tavolo. La Risoluzione comunque dà forza a chi in Italia da anni protesta per segnalare il problema e al tempo stesso sollecita la società civile a farsi ancora protagonista. Si capisce bene, dunque, la necessità di costituire un soggetto in qualche modo federato che “con forza agisca unito con l’obbiettivo di evitare che il diritto all’obiezione di coscienza dei ginecologi inibisca il diritto delle donne ad avere accesso all’interruzione volontaria della gravidanza se e quando lo decidono, come previsto da una legge dello Stato”. Silvana Agatone, presidente di LAIGA, ha poi elencato alcune questioni su cui questa coalizione potrà impegnarsi per dare più forza alle istanze delle


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donne. “Accanto alla soluzione dei problemi provocaGiovanna Scassellati - ginecologa e responsabile di ti dall’alta percentuale di obiettori di coscienza, penso un modulo dipartimentale per la legge 194 al San Caalla contraccezione d’emergenza, alla diagnosi prenamillo Forlanini (Roma) e fondatrice di ANDRIA (assotale e all’accesso all’aborto dopo i 90 giorni, ma anche ciazione per la promozione di un’assistenza appropriaall’aborto farmacologico che in Italia è ancora poco utita in ostetricia, ginecologia e medicina perinatale). La lizzato”. A questa già nutrita agenda, l’assemblea riuquestione dell’obiezione di coscienza ha attraversato nita a Napoli ha chiesto di aggiungere anche interventi tutti gli interventi sia sul versante tecnico che operativo, nelle scuole di specializzazione per spiegare ai futuri senza tralasciare una lettura più propriamente politica ginecologi la legge 194 con le sue delle ragioni che hanno messo in modalità di applicazione. Insomma: crisi l’applicazione di una legge presidiare la formazione per evitare dello Stato. “Teniamo conto che il protrarsi di una sorta di demonizdietro all’obiezione di coscienza, zazione professionale intorno all’aal rifiuto della pillola del giorno borto. Affiancata a questa rete di dopo o alla disapplicazione della associazioni - che potranno lavora194 non c’è solo una questione L’immediata conseguenza della re in modo coordinato su questioni etica o un’onesta posizione intelconferenza di Napoli è stata la specifiche - e sempre su impulso lettuale; talvolta c’è anche corruformalizzazione della rete, avvenuta di LAIGA si è costituita anche una zione. Va detto con chiarezza: c’è a Roma i primi di dicembre. “PRO rete di avvocati/e che è stata pregente che specula sull’ignoranza CHOICE è un gruppo apartitico, sentata nel corso del Congresso da e per il piacere della sopraffazioapolitico, asindacale, professionale, Eleonora Moscato. Sono profesne”. Stefania Cantatore, dell’Udi il primo gruppo in Italia con queste caratteristiche, che intende sionisti che mettono a disposizione di Napoli, più diretta non poteva chiedere il rispetto della legge competenze legali che possono essere e ha spiegato una ‘sempliaffinché l’interruzione volontaria di rivelarsi assai preziose sia nel conce’ strategia di contrasto attuata in gravidanza e la somministrazione di durre battaglie comuni e coordinacittà: un vademecum scritto chiaanticoncezionali non vengano mai te a livello nazionale ma anche nel ro chiaro su un tabellone e affisnegati a chi li richiede. Possiamo seguire vertenze territoriali o singoli so negli ospedali! “Sopraffazione, testimoniare attraverso la nostra rete di legali sparsi sul territorio che casi. Tanto più importante è questa certo, ma non sottovalutiamo anle donne spesso si trovano davanti a opportunità in una situazione che si che il fatto che c’è tanta ignoranza queste negligenze. È una situazione presenta assai frammentata e con - ha aggiunto Marina Toschi senon più tollerabile. L’aumento dei profonde diversità tra regione e regretaria di AGITE (associazione medici obiettori di coscienza, che nel gione, ma persino nella stessa Asl, dei ginecologi territoriali) - sopratLazio e in alcune zone raggiungono come ha sottolineato Lisa Canitatutto tra i giovani colleghi e operaanche il 91,3%, di fatto interrompe no, di Vita di Donna, associazione tori dei Consultori e tra le giovani un servizio istituito dalla legge 194 del 1978. Dopo un nostro ricorso, la Corte che ha messo a disposizione della in generale”. (…). Il tema della europea ha sanzionato l’Italia per la rete alcuni testi standard da poter prevenzione, tutela e cura della ripetuta violazione di questa legge, ma utilizzare per sollecitazioni, diffide o fertilità e della procreazione donon è bastato” ha dichiarato Silvana addirittura denunce nei casi in cui vrebbero essere obiettivi “di una Agatone, presidente di LAIGA. La le donne si trovano di fronte a diniesocietà moderna che abbia a cuoscelta del nome di questa rete, PRO ghi, rinvii o obiezioni di coscienza re il benessere dei singoli e della CHOICE, si ponte antiteticamente pretestuose o inesigibili. Del resto, collettività”. Per dirla con le conrispetto al termine PROLIFE, che “identifica coloro che combattono ha continuato Canitano, “le forme di clusioni della Lezione Magistrale la libertà dei pazienti di decidere resistenza che le donne incontrano di Giovanni Fattorini, Presidente sul proprio corpo, in deroga anche sono le più fantasiose: sappiamo di AGITE. Il tema era “I diritti ria diritti acquisiti da decenni: no di richieste di firmare consensi inproduttivi in Italia” e la sala era all’aborto, no alla dichiarazione di formati minacciosi sulla pillola del affollata e partecipe. b fine vita, no alla diagnosi prenatale, giorno dopo e in tanti anni abbiamo no alla contraccezione. Ecco, per contrastare la cultura del NO, noi anche imparato a reagire in modo mettiamo in campo la cultura del efficace”. C’è però chi non trova alrispetto dei diritti e della libertà di tre strade e ricorre all’aborto clanVideointervista di Silvana Agatone: http:// scelta delle persone, e in primo luogo destino “che è in crescita perché www.noidonne.org/pannello/video. delle donne”. php?pag=2&id=0154&da=modifica l’obiezione di coscienza è più forte Articolo completo: http://www.noidonne. dei diritti delle donne”, ha spiegato org/blog.php?ID=05911

PRO CHOICE ovvero il diritto di scegliere

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FORTI E FRAGILI COME ADOLESCENTI | 1

IL FUTURO È VOSTRO. PRENDETEVELO! di Tiziana Bartolini

Una possibile lettura dell’adolescenza, come età di mezzo densa di potenzialità e groviglio di paure. Il nichilismo e la via d’uscita secondo il filosofo Umberto Galimberti

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ovete prendervelo questo futuro. In che modo non lo so e non lo so indicare perché non ho fatto questa esperienza. Per me essere giovane e passare nel mondo del lavoro è stata una cosa facilissima, era quasi naturale. Non so quali possono essere le strategie, però non dimenticatevi che il futuro è vostro. Questa forza la dovete interiorizzare psicologicamente…”. Umberto Galimberti, filosofo e saggista, conclude con un appello quasi accorato ‘Giovane, hai paura?’, volumetto in cui Marcianum Press ha fissato in stampa la conferenza che il Prof. Galimberti ha tenuto lo scorso 11 Febbraio 2014 a Venezia, per il Ciclo “Comunicare il Verbo: lezioni veneziane oggi”. Al suo pensiero abbiamo fatto ricorso per orientarci nella dimensione dell’adolescenza, che è sempre stata una fase dell’esistenza complessa e contraddittoria, una ‘terra di mezzo’ un po’ misteriosa per l’intreccio esplosivo tra potenza e inconsapevolezza, tra energia e paura. I giovani sono oggi numeri e percentuali, categorie e problemi, in una rappresentazione algida che smarrisce, insieme al loro sentire profondo, l’adolescenza come affascinante ed eterna promessa di rigenerazione. Ma questo ripetersi non è uguale nei tempi e nei luoghi e il suo potenziale eversivo assume caratteri diversi che vanno letti e

interpretati. La filosofia può aiutarci a trovare una chiave narrativa che scavi la superficie, che restituisca il senso smarrito dell’adolescenza all’adolescenza stessa. La parola chiave per Galimberti è conoscenza. “La conoscenza è la condizione per scegliere, i più colti sono anche i più liberi”. Non è semplice tradurre in azioni questa analisi, perché la crisi in cui siamo immersi è anche frutto di ignoranza e di non conoscenza, ma non solo. La finanza e la globalizzazione determinano situazioni che annullano o depotenziano le possibilità di scelta del singolo o delle comunità. “Una volta gli insegnamenti che si davano in famiglia coincidevano con gli insegnamenti che provenivano dalla società.… i valori erano sostanzialmente quelli della sobrietà, dell’impegno, del darsi da fare, del costruire un futuro: non c’era una grande differenza tra quanto la famiglia insegnava e quanto la società indicava… quando la società è diventata un po’ più opulenta, è cominciata una divaricazione radicale tra quanto nella famiglia veniva insegnato e quanto invece la società offriva di allettante al mondo giovanile... e le stesse famiglie sono diventate più difficili, più distratte, ma soprattutto la società è diventata invasiva: se un ragazzino non ha lo smartphone, mentre tutti gli altri ce l’hanno, i genitori glielo comprano, per non escluderlo. La so-


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cietà comincia ad essere la struttura trainante delle condotte giovanili”. In sostanza, osserva il filosofo, sarebbe “…ingenuo pensare che, per salvare la nostra generazione, e probabilmente anche quella a venire, dal baratro in cui si trova, bastino processi educativi, consigli, argini da parte dei genitori, della scuola, o delle istituzioni”. C’è in gioco un nuovo sistema di valori che, però, stenta a definirsi. “I valori si svalutano perché non sono entità metafisiche che piovono dal cielo… sono dei coefficienti sociali che, condivisi, consentono a una comunità di vivere con la minor conflittualità possibile. Prima della Rivoluzione francese la società era fondata su valori gerarchici, poi si sono organizzate società sui valori della cittadinanza e dell’uguaglianza, c’è stata una trasmutazione di valori; niente di male, anzi la storia va avanti grazie a questo collasso di valori che hanno ordinato la società per un certo periodo e l’inaugurazione di valori nuovi. Se la storia non procedesse così, saremmo ancora all’età dei Babilonesi! Ma la svalutazione e il collasso dei valori non è l’elemento decisivo per capire che cosa sia il nichilismo che invece accade quando, dopo il collasso di un sistema di valori…. non ne nascono di nuovi. A questo punto resta il niente, a cui fa riferimento la parola: ecco qui il nulla e il nichilismo… la definizione che dà Nietzsche di nichilismo è ‘manca lo scopo, manca la risposta al perché, tutti i valori si svalutano’…”. Il vuoto in cui siamo immersi è la mancanza del futuro. “Il futuro, facendo balenare degli obiettivi da raggiungere, muove… Quando manca uno scopo, quando il futuro non è prevedibile o non promette niente, allora abbiamo il collasso….. se infatti non c’è uno scopo da raggiungere, la domanda successiva è: perché sono al mondo? Che senso ha la mia vita? Che cosa sto facendo? Ci siamo mai chiesti perché i giovani vivano più di notte che di giorno? Il motivo è che, di giorno, nessuno li convoca, nessuno li chiama più per nome; se dunque, di giorno, non sono interessante per nessuno, mi prendo la notte: quando questo mondo non c’è, quando scompare questo mondo che non mi chiama e non mi convoca, che mi fa percepire fino in fondo la mia assoluta insignificanza sociale, comincio a vivere io. Come? Ubriacandomi, drogandomi. I giovani si anestetizzano da un mondo che non li ospita, che non li coinvolge, che non prospetta loro alcunché, ed ecco che la vita diventa insignificante”. La fotografia di Galimberti è impietosa. Chi o cosa può porre rimedio a questa gigantesca “demotivazione”? Non i genitori, che possono “educare un figlio al massimo fino all’età di 10-11 anni: le parole del genitore sono efficaci fino a quell’età, dopodiché i ‘buoni consigli’ sono sistematicamente disattesi”. Ed entra in gioco il sistema dei valori e soprattutto il sistema economico con i suoi meccanismi.

“I giovani tra i 15 e i 30 anni hanno il massimo della forza biologica. Il mercato, che li conosce meglio di professori e genitori, li utilizza proprio per quella forza che hanno da vendere e cioè i loro corpi, e, quando i ragazzi vogliono fare i calciatori, hanno percepito che è il loro corpo quello che conta. È l’unico valore che hanno ed è quello che il mercato gli chiede. Non mi meraviglia vedere chilometri di ragazze che vanno a fare le prove per un posto da velina. Chi gli ha detto che l’unica cosa che conta è il corpo? Il mercato, non hanno torto. Poi a Miss Italia gli fanno anche delle domande culturali e loro si attrezzano per dare qualche risposta generica, ma non è per questo che vincono Miss Italia!”. La dissipazione delle migliori energie è gravissima perché “quello che pensi tra i 20 e i 30 anni costituisce la base di quello che penserai per tutta la vita. Anch’io, quello che ho prodotto, lo ho scritto tra i 20 e i 30 anni, poi sono stato più bravo a mettere insieme, a organizzare il materiale, ma la base è quello che ho intuito allora. Einstein ha ideato la sua formula a 24 anni. Che fa la nostra società se prescinde, a proposito dei giovani, dal massimo della loro e quindi della “sua” (della società) forza biologica? Che può fare se il massimo della forza sessuale rimane non riproduttiva e il massimo della forza intellettuale non viene utilizzata?”. Non è alla speranza che guarda Galimberti “spero, mi auguro, auspico: le considero parole della passività…. spero, auspico e intanto non faccio niente”. La sua è una sollecitazione rivolta direttamente ai giovani. “Non dimenticate che il futuro è vostro, è nelle vostre mani - e ribadisce - . Non dovete chiedere ai noi grandi cosa fare”. Una dichiarazione di impotenza e, insieme, uno slancio di fiducia verso il futuro.

Le radici della paura che provano i giovani di oggi, derivante dall’insicurezza, dal senso di inadeguatezza del vivere, dalla mancanza di aspettative verso il futuro, da quello che Friedrich Nietzsche definì “nichilismo”. Umberto Galimberti suggerisce come eliminare questa paura, acquisendo consapevolezza di ciò che si è, della propria virtù e delle proprie capacità. Ed Marcianum Press, pagine 70, € 7,00/ e-Book € 4,99

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SPEGNETE LA TV E ACCENDETE IL CERVELLO di Marta Mariani

Una società eternamente giovane che infragilisce i più piccoli. Le baby-prostitute sono il risultato del “controllo biopolitico del corpo”. Intervista a Laura Corradi

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ediaticamente, l’esser vecchi diventa ripugnante o ridicolo. La senilità è uno stato da occultare, come una malattia immonda, mentre la giovinezza è meravigliosa ed esser giovani uno stato di grazia. Lo stesso contesto sociale e mediatico che esalta e glorifica la gioventù degrada la vecchiaia in quanto oscena”. Queste, le parole di Laura Corradi, docente universitaria, autrice ed esperta di gender studies - tratte dal quinto capitolo di Specchio delle sue brame, un’analisi socio-politica delle pubblicità - da cui prenderei le mosse per la prima domanda della nostra intervista.

Professoressa Corradi, secondo lei, cosa c’è alla base di questa equivalenza tra vecchiaia e invalidità?

Più che di equivalenza parlerei di associazione tra vecchiaia e invalidità: abbinare questi termini è spesso arbitrario, ma funzionale alle brame medicalizzanti di tanta industria farmaceutica: se sei anziano/a devi curarti, come se la vecchiaia fosse una malattia. E soprattutto non devi dimostrare la tua età - in particolare se sei una donna subisci pressioni: dalla cosmetica alla chirurgia plastica diventi il terminale di messaggi volti ad imporre l’eternally young - una finzione costosa e mortificante, l’illusione della giovinezza eterna. Quindi da una parte abbiamo lo spauracchio della vecchiaia invalidante, dall’altra mancano delle politiche di prevenzione sociale che offrano alle persone anziane

la palestra di quartiere, consigli nutrizionali, visite di controllo a domicilio, situazioni di socializzazione non segregata per età. La società consumistica, delle pubblicità patinate, non solo manda messaggi sbagliati e fuorvianti: essa dirotta attenzione e risorse che potrebbero essere impiegate diversamente.

Particolarmente interessante la sua indagine sul potere attrattivo delle baby-prostitute, un risultato sconcertante di questo mito dell’eterna giovinezza che grava sul corpo femminile. Recenti inchieste romane hanno messo in evidenza la spietata e disincantata consapevolezza di baby-prostitute sfrontate e borghesi, in effetti, tutt’altro che “ingenue”, magari addirittura spalleggiate dal consenso genitoriale. Come commenta questi fatti?

Le baby prostitute, in gran parte, non sono né sfrontate né borghesi, ma vittime di una costruzione sociale del desiderio che le vede oggetto sessuale privilegiato di maschi adulti danarosi. I quali vedono proprio nella loro innocenza da corrompere un’occasione per dimostrare virilità, per sentirsi potenti. Basta leggere le interviste alle vittime della tratta, spesso minorenni, per capire l’ansia di controllo che sta alla base del pedofilo a pagamento: vuole sentirsi forte, chiede atti di sottomissione, vuole sentirsi dire ‘sì lo faccio subito’ o ‘sono ai tuoi ordini’ vuole vincere facile anche a pagamento - e gli riesce meglio con una adolescente che con una donna. Nel momento in cui il corpo delle bambine e delle adolescenti viene erotizzato come ora nell’industria della moda, nelle réclame, nel cinema, non possiamo stupirci che ci siano così tanti pedofili in giro, anche in rete, e consumatori di sesso a pagamento che vogliono le bambine o le adolescenti. Anche quando esse ‘scelgono’ - come le baby-prostitute virtuali a Londra che si prostituivano con le webcam in cambio di ‘regali’ comprati su internet - le vedo comunque come vittime. In quel caso avveniva all’insaputa dei genitori - in altri casi sono le mamme o i papà a spingerle verso il sesso a pagamento - non cambia molto nel processo di vittimizzazione della minore, a cui viene sottratta comunque una fase importante della vita, la fiducia verso gli altri, la capacità di giocare - e questo avviene a livello generalizzato: i bambini e le bambine vengono adultizzati precocemente a fini di mercato.


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Da quanto dice, sembra decadere l’idea largamente diffusa - e a questo punto, tutta da ridiscutere - di una “giovinezza spensierata”. Sembra, anzi, che i giovani siano una categoria sociale straordinariamente deprivata, infragilita dal sistema sociale e culturale, è così?

Sì, hai usato il termine giusto: siamo di fronte ad un processo di fragilizzazione delle persone giovani. Non è casuale - niente che produca profitto è occasionale - e avviene attraverso vettori specifici, tra cui l’ideologia dell’apparenza, l’educazione mediatica all’incontinenza verbale e acquisitiva, la mercificazione e la spettacolarizzazione dei sentimenti, la presentificazione della vita - l’istigazione a comportarsi come se non ci fosse un domani - il che è funzionale sia alla legittimazione culturale del precariato (il futuro è breve, meglio non progettare nulla, giocatevi tutto alle macchinette). Se analizziamo attentamente, si tratta delle necessità un bio-potere finanziario autoritario, volto al controllo dei comportamenti giovanili, che ha come obiettivo quello di confiscare il cervello alle generazioni future, tenerle surriscaldate coi social network, il ‘pornotuttoilgiorno’ l’idea che si possa avere tutto ciò che si desidera - almeno per finta. Mentre la realtà che si troveranno a vivere gli/le adolescenti di oggi è molto più difficile di quella che abbiamo fronteggiato noi: hanno davanti una crisi ecologica ed economica di grande portata, e all’orizzonte scenari di guerra. Se il sistema riesce a sedurli/e con le merci, a spegnere le loro potenzialità di pensiero critico, di capacità di azione dotata di senso, allora il controllo sulle menti potrebbe diventare definitivo. Speriamo che invece siano loro a spegnere la televisione e il computer, che comincino a camminare fuori dalle città inquinate, e ad interrogarsi collettivamente sulla realtà, sulla terra, sui tempi, sui luoghi, sulle relazioni elettive, come fanno già oggi i/le giovani nei centri sociali, nelle realtà autogestite, nelle terre occupate, nei gruppi di agricoltura solidale, negli eco villaggi - dove possono cominciare a progettare la loro vita con i loro corpi reali, con i loro sentimenti veri, fuori dallo specchio distorto del potere e lontano dalle sue brame.

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VIA, FUORI DALLA GABBIA! La figura femminile, così terribilmente stereotipata, emerge nella sua silhouette dal mondo luccicante delle pubblicità come se fosse, o dovesse per forza essere: alta, bella, magra, ricca, elegante, giovane, seducente, accattivante. In tre parole, tutte ben farcite di marketing pubblicitario: glamour, trendy, sexy. Così devono essere le donne, così le ragazze. Bene, ma perché? Quali costruzioni sociali e quali sovrastrutture giacciono al fondo di questi modelli? Sono queste le domande che si pone la sociologa Laura Corradi nel suo libro, illuminante, sovversivo, sagace ed ironico Specchio delle sue brame (Ediesse), una acuta analisi sociopolitica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo. Le pubblicità, riflettendo in simboli ciò che avviene nella società occidentale, ne riproducono le disuguaglianze, le rendono accettabili e desiderabili, assumendo come unica prospettiva quella del maschio bianco, adulto, sessualmente orientato alle donne. Ecco perché la pubblicità tratta le donne perlopiù come “oggetti”, prodotti appositi per l’uso e l’abuso degli uomini. Una direzione raccapricciante, che tuttavia può essere sovvertita recuperando consapevolmente le facoltà del nostro immaginario. La liberazione dei corpi dal controllo biopolitico e dalla gabbia dei ricatti sociali può finalmente cominciare da questa sorta di “vaccino intellettuale” che è la lettura di questo libro. Marta Mariani


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L’ETÀ DELLE ESAGERAZIONI di Marta Mariani

essere adolescenti oggi: Un incUbo in ogni angolo del mondo. c’È bisogno di Un lavoro Universale di EMPOWERMENT giovanile

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epressi o anfetaminici, comunque irascibili, passionali, terribilmente impulsivi (così li definiva già Aristotele), gli adolescenti sono tanti, sono diversi, ma sono tutti, in ogni caso eccessivi, esagerati, iperbolici. Eccessivi persino nel senso di impotenza ad oggi generalizzato, nel loro disagio che è certamente un annichilimento ed un depotenziamento delle loro risorse. Gli adolescenti occidentali, attualmente, sono “sottoposti a diete rigidissime e massicce lezioni di fitness in palestra. Questa è la legge che prevale nel mondo dello spettacolo”, secondo Ilaria Alessandro dell’Istituto per la Prevenzione del Disagio Minorile (www.ipdm.it), “anoressia e bulimia affondano le loro radici nei processi di differenziazione e individuazione a cui gli adolescenti vanno incontro per rendersi autonomi dalla famiglia” in un’epoca di crisi in cui l’adolescente europeo è perlopiù costretto ad una “mammite” protratta. Ancora, in questo presente globalizzato, se guardiamo ai dati pubblicati il mese scorso nello studio I numeri europei, dal Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi di Infanzia e Adolescenza di Firenze (www.minori.it), vediamo percentuali sorprendentemente alte di morte non naturale in Portogallo, dove i bambini sotto i 14 anni deceduti per avvelenamento o trauma si avvicinano al 15%; mentre gli incidenti stradali restano la principale causa di morte adolescenziale violenta, subito seguita dal suicidio, specie in paesi come la Finlandia. D’altra parte, ci sono tante adolescenze nel mondo, tutte drammaticamente complesse. Lo scorso anno, il rapporto UNFPA sulle Madri bambine: affrontare il dramma delle gravidanze tra adolescenti, ci permetteva di gettare uno sguardo sull’adolescenza femminile. Ogni giorno, circa 20mila ragazze sotto i 18 anni diventano madri, partorendo in piena adolescenza il loro primo figlio. Tali precocissime gravidanze penalizzano la loro istruzione, la loro salute, le loro possibilità occupazio-

nali e opportunità lavorative. Il rapporto UNFPA di questo anno (come sempre presentato in Italia da AIDOS), invece, volge alla popolazione giovanile mondiale uno sguardo più ottimistico (La forza di 1,8 miliardi di adolescenti può trasformare il futuro) facendo notare che ci troviamo in una particolare congiuntura demografica globale, tale che l’umanità non è mai stata così giovane. “La popolazione giovane più numerosa della storia inciderà in modo profondo su tutti gli aspetti del nostro comune futuro e ha le potenzialità per creare un mondo migliore per tutti. Potrebbe produrre effetti straordinariamente positivi, purché tutti i giovani siano messi in condizione di sviluppare le loro capacità, di accedere a istruzione e salute, compresa la salute sessuale e riproduttiva, e di cogliere l’opportunità di una vita piena e soddisfacente grazie, per esempio, a un lavoro dignitoso”.


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La valorizzazione di due miliardi di adolescenti e giovani sembra potersi ottenere solo tramite un lavoro universale di empowerment giovanile che investe gli ambiti dell’accessibilità allo studio e dell’occupazione in un’ottica transnazionale. Decine di milioni di adolescenti nel mondo non frequentano la scuola o non riescono a raggiungere nemmeno gli obiettivi minimi dell’apprendimento. Le loro prospettive occupazionali sono dunque, statisticamente risibili; oltretutto, la crisi globale dell’occupazione giovanile sembra destinata a peggiorare. Tutte questioni, da sottolineare, che riguardano in modo prevalente le giovani donne. “Nelle regioni in via di sviluppo ben il 60 per cento dei giovani non lavora e non studia, o ha un lavoro precario o informale. Oltre 500 milioni di adolescenti e giovani sopravvivono, in qualche modo, con meno di 2 dollari al giorno, un livello di miseria da cui molti non riusciranno ad emergere”. Insomma sì, è vero, un’istantanea sul nostro presente globale dimostra una giovinezza planetaria mai vista ma, d’altra parte, questi giovani sono in condizioni di difficoltà estrema. Soprattutto in occidente, peraltro, i processi decisionali inerenti le strategie di valorizzazione e di “capitalizzazione demografica” estromettono proprio adolescenti e giovani dai luoghi della politica attiva. Per queste ragioni, sembra davvero di vitale importanza per il globo seguire i punti chiave degli investimenti stilati dall’UNFPA: coordinamento macroeconomico, apertura commerciale, migliore governance, efficienza dei mercati finanziari e del lavoro - così che i giovani possano veramente tornare ad essere una preziosissima risorsa.

di Camilla Ghedini

Q

ualcuno sa spiegarmi fin quando si è giovani? O quando si smette di esserlo? O quando bisogna cominciare a percepirsi vecchi? Perché io sono piuttosto confusa. Ricapitolando: io ho 41 anni. Quando in seconda media la mia insegnante si storia e geografia ci rivelò di essere in dolce attesa, io, forte dei miei 12 anni, ebbi il coraggio di commentare coi compagni che doveva vergognarsi lei, a 35, a fare ancora sesso! E soprattutto a rimanere incinta, perché era vecchia! Giuro, mi prenderei la testa tra le mani e me la sbatterei contro il muro per avere ‘osato’ tanto. E con quale supponenza poi! Adolescenza ingrata! Qualche giorno fa, davanti a casa, due giovanissimi hanno parcheggiato l’auto. Ho detto loro – neppure interpellata – che essendo Ztl rischiavano la multa. Uno dei due mi ha risposto ‘Grazie signora, lei è stata molto gentile’. Mi è crollato il mondo addosso! Ma signora a chi? mi sono guardata, avevo una felpa, un paio di pantaloni larghi e le Converse! Io sono certa, o meglio ero certa fino a quel momento, di non dimostrare la mia età eppure quel maleducato…..O invece è stato educato? E mi ha appellato ‘signora’ perche al confronto sono comunque attempata? Ancora, esco a fare la spesa e una conoscente mi ferma: ‘Allora, ti sei sposata?’, ‘No’, la mia risposta. ‘Ahhh’, la replica imbarazzata, seguita da un ‘ma sei ancora giovane, fai in tempo a trovare marito e ad avere figli…’. In centro incontro un amico medico, racconto l’aneddoto, confesso che mi dispiace non avere figli e lui mi risponde che se ne voglio devo darmi una mossa perché ormai sono vecchia e le possibilità di raggiungere il traguardo sono molto ridotte. Per non parlare del lavoro. Io faccio comunicazione e il

TUTTA LA VITA DAVANTI mio rapporto col web e i social è tutt’altro che naturale, l’ho costruito con volontà e pazienza. ‘Alla nostra età – l’incoraggiamento dei colleghi – abbiamo il mondo in mano’. E cinque minuti dopo: ‘Però tu non puoi non adeguarti al sistema, perché rispetto ai nativi digitali sei vecchia dentro….’. Qualcuno mi spiega??? Anche perché tutto questo può avvenire nella stessa giornata! Io non ci capisco più nulla. Allora provo a fare ordine. Punto primo: ho 41 anni, non sono vecchia, ma non sono giovane. Ho già un passato sentimentale, quindi esperienze che mi hanno forgiata, temprata, disillusa. Se arrivasse un figlio ora, per carità, sarebbe un sogno. Ma i bimbi si fanno quando si ha quella dose di incoscienza che permette di non soffocarli e di lasciare spiccare loro il volo. Punto due: ho 41 anni e lavoro da quando ne avevo 25, dopo la laurea. E sono stanca, molto. Perché questa storia della crisi ha ingannato la mia generazione, ci ha fatto credere che dovevamo continuamente investire su noi stessi, e così ci troviamo forse realizzati, ma esausti, perché la lotta per la sopravvivenza sfibra. Punto tre: le scarpe da tennis le portano tutti, senza più differenze anagrafiche, perché sono comode e casual. Quindi, il fatto di vestire giovanile non mi rende giovane. Poi, diciamola tutta. I pantaloni li porto larghi perché stretti non mi stanno più. Perché verso gli ‘anta’ il fisico cambia….tradotto si allarga….e devi indossare capi meno impegnativi. Oh, che invidia se penso alla mia insegnante di storia e geografia! Lei aveva ‘solo’ 35 anni, stava per avere il primo figlio, era davvero bella e aveva tutta la vita davanti!!!

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IDEE NUOVE PER CONTARE DI PIÙ E USCIRE DALLA CRISI Come donne possiamo continuare a parlare di conciliazione tra famiglia e lavoro quando il problema principale (di donne e uomini) è oggi quello di averlo e di mantenerlo, il lavoro? Possiamo chiedere più asili nido, quando la priorità è sempre quella del lavoro? Oppure ragionare di assistenza agli anziani quando i Comuni hanno le casse vuote? Parlare di Welfare aziendale quando le aziende sono strangolate dall’impossibilità di accesso al credito? Promuovere i tempi e orari delle città, la vivibilità urbana e la mobilità quando la crisi economica delle famiglie impone ben altre priorità? Possiamo chiedere di investire nell’imprenditoria femminile quando non ci sono soldi per investire in alcunché? Al momento, tutte le politiche “tradizionali” rivolte al femminile e per il benessere della collettività appaiono un lusso per il nostro paese, tutto viene travolto dalle politiche per l’austerity e la conseguente urgenza economica e lavorativa. Nasce quindi la necessità di una profonda riflessione su come rimodulare l’impegno delle donne per migliorare questo paese: si dovranno abbandonare i vecchi temi, che rimangono comunque sacrosanti, per abbracciarne di nuovi, più consoni ai problemi di questi tempi? Insistere sulla bontà di quelli vecchi che prima o poi ritorneranno attuali? Fare un compromesso?

Le politiche al femminile cominciano ad apparire un lusso rispetto alla drammaticità della crisi che l’Italia sta attraversando. Servono nuove idee perché non basta che ci siano più donne nelle posizioni di potere. Occorrono anche nuovi contenuti. Una prima risposta l’ha già data la politica, che in modo bipartisan e nell’arco di più governi e diverse maggioranze ha tagliato drasticamente negli ultimi 10 anni le risorse nazionali per tutti questi temi. Non ci sono infatti più risorse per la conciliazione famiglia-lavoro (L.53/2000), per l’imprenditoria femminile (L. 215/92), per le azioni positive (L. 125/91), per i diritti e le opportunità dell’infanzia (L.285/91). I fondi nazionali per il welfare (Fondo Pari opportunità, Politiche giovanili, Infanzia e Adolescenza, Politiche sociali, non autosufficienza, Immigrazione e Servizio Civile) sono complessivamente passati da 1.874,6 milioni di euro nel 2008 a 225,9 milioni di euro nel 2013. Le risorse per gli asili nido nel Fondo nazionale per la Famiglia sono passate da 348 milioni del 2007 a 10,9 nel 2012. Anche se le risorse dell’Unione Europea e degli Enti Locali hanno in parte sopperito a questa riduzione, si coglie chiaramente il messaggio di un forte ridimensionamento da parte dello Stato del sistema di welfare, che viene così delegato alle famiglie (soprattutto alle donne) e al terzo settore e ai privati (dove, guarda caso, lavorano quasi tutte donne) e solo per le famiglie che se lo possono ancora permettere. Per onestà va ricordato che la riduzione dell’impegno pubblico nel sistema del welfare fa parte sia di una complessiva riduzione della spesa pubblica nazionale che di una tendenza che si può osservare anche in altri paesi europei, ma questo non cambia la sostanza delle cose. Sono soprattutto donne i soggetti sui quali si stanno scaricando le carenze del nostro sistema di welfare riguardo alla cura di bambini e anziani. Quali saranno le conseguenze sulle loro possibilità occupazionali? Il carico di responsabilità delle donne nel welfare familiare è destinato ad aumentare con il crescente invecchiamento della popolazione. Se-


STRATEGIE

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PRIVATE condo l’Istat nel 1971 il carico di cura (bambini 0-4 anni e anziani over 75 ogni 100 donne in età 15-64 anni) era di 36,92, e nel 2011 è salito a 45,04, la stima attuale è che arriverà entro il 2021 a 49,24. Pare evidente che occorre affrontare l’aggravarsi di problemi già conosciuti con nuovi strumenti, nuove prospettive e proposte, che sappiano prendere atto di una realtà completamente diversa rispetto a pochi anni fa, ma soprattutto che aprano l’orizzonte politico e sociale della partecipazione delle donne al destino di questo paese. Se una volta, infatti, ci si poteva concentrare solo su alcuni argomenti identitari e specifici per le donne, perché in qualche modo il contesto reggeva, oggi è la stessa cornice sociale ed economica generale che si sta sgretolando. E anche le donne devono prendere parte attiva e consapevole alla ricostruzione di questa cornice, senza però abbandonare i vecchi temi il cui valore rimane inalterato. Un complesso esercizio di equilibrismo che va portato avanti con strategie chiare, partecipate e condivise da tutti i soggetti che hanno a cuore le politiche al femminile. Lo sviluppo degli avvenimenti impone che le donne si impegnino su politiche a tutto campo, che ragionino anche di economia, sviluppo economico, di innovazione, politiche industriali, ambiente, contribuendo alla ricostruzione del benessere per tutti. L’impostazione del gender mainstreaming, trattato con una certa diffidenza nel dibattito nazionale, si rivela così più urgente che mai. Il paradosso del disimpegno dello stato dal Welfare è che avviene nel momento in cui la rappresentanza femminile in Italia non è mai stata così alta in tutta la storia del paese. Come mostra l’evidenza empirica, non è quindi sufficiente avere più donne elette e nelle posizioni di potere. Sono indispensabili nuovi contenuti, idee e linee politiche. Per realizzare nuove proposte occorrono nuove forme di aggregazione femminile, nuovi strumenti, ma anche nuove capacità. Capire, ad esempio, la portata e l’importanza di leggere l’economia e i conti pubblici in ottica di genere, avere le competenze per farlo ed elaborare proposte e politiche conseguenti. Saper leggere in ottica di genere un piano regolatore comunale, l’impatto occupazionale dei piani delle grandi opere e dei lavori pubblici, le scelte di politica fiscale, industriale e ambientale. Esistono già gruppi e associazioni che si impegnano su tali fronti, ma occorre un impegno collettivo che indirizzi verso una maggiore condivisione e diffusione tali approcci. Siamo quindi tutte chiamate ad uno scatto di crescita, in ogni direzione. La crisi è sicuramente un momento di difficoltà e di sofferenza generale. Ma, anche un’occasione per rinnovarsi e rigenerarsi, elaborando nuove risposte per il benessere di tutti. Sarebbe un vero peccato mancarla. ❂ Giovanna Badalassi, Well_B-Lab*

di Cristina Melchiorri

LA TUA SCRIVANIA, LA TUA IMMAGINE SUL LAVORO Sono Angela, vorrei qualche consiglio per smettere di discutere con le colleghe sugli oggetti personali che tengo sulla scrivania. Foto, piantine e pacchetti di merendine sembra che diano fastidio, ma in fondo che c’è di male a personalizzare il luogo dove passo tante ore al giorno? Angela Mazzi, Assago ( Milano) Certo, Angela. Intanto valuta lo stile generale della tua azienda e l’immagine che questa vuole dare di sé. Se è consentito personalizzare la scrivania, questo va fatto nel rispetto dello stile aziendale e dei colleghi con cui condividi lo spazio. Cerca di essere flessibile e disponibile nel cogliere le osservazioni di chi ti sta vicino. Se c’è qualche elemento di disaccordo, evita di brontolare o discutere, ma cerca di trovare soluzioni. E rifletti anche sul fatto che il modo in cui gestisci la tua scrivania parla di te. Quindi rispetto, misura e coerenza con il lavoro che fai. Se ti circondi di pupazzetti, foto dei bambini, foto del gatto, souvenir dei viaggi, merendine, mele, ecc non sarà la tua professionalità a colpire chi ti guarda mentre lavori. Un consiglio in più che ci viene dall’antica arte del Feng Shui: per rigenerare la nostra energia personale anche quando lavoriamo, è utile liberare la scrivania da tutte le cianfrusaglie. Ad esempio, riponi pinzatrice, forbici, merendine, cancelleria in un cassetto. Anche le pratiche inevase, accumulate in disordine sulla scrivania rimandano, attraverso i nostri occhi, input di caos e fatica al nostro cervello. E trasmettono di noi l’immagine di chi non si sa organizzare.... Lascia sulla scrivania solo quello che ti serve per lavorare: computer, telefono, agenda, penna e la pratica di cui ti stai occupando. Abituati a cestinare tutte le carte divenute superflue. Lo stesso vale per i file del pc. Pulisci l’hard disc il venerdì pomeriggio e, se ti serve, riorganizza l’archivio in cartelle. Oltre a fare ordine, in senso fisico e mentale, cura la tua immagine e te stessa quando lavori. Ho conosciuto giovani donne, che aspiravano a passare dal ruolo di assistente a quello di manager, ma continuavano a presentarsi con uno stile “gregario”, vestendo casual, in modo approssimativo, senza curare capelli e trucco. Dando cioè un’immagine di sé non coerente con chi ha personalità, oltre che capacità, per svolgere un ruolo direttivo. Certo, lo stile non è l’unico elemento che conta, ma conta, conta…

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QUANDO IN CAMPO C’È LA FORZA DELLA FAMIGLIA Lavorare la terra è una strada faticosa e difficile, che ti ripaga giorno dopo giorno. Parola di Domenica Trovarelli, agricoltrice per scelta di Tiziana Bartolini

Una laurea e una vita da spendere. Domenica Trovarelli ha deciso che il posto ‘giusto’ per investire se stessa e costruire una famiglia fosse la terra dei suoi nonni e dei suoi genitori.

La sua terra. “Sono nata a Teramo, ho vissuto a L’Aquila e ora gestisco la mia attività a Cugnoli, nelle campagne del pescarese!” Un’abruzzese DOC che intorno ai trenta anni ha pensato che fosse arrivato il momento di realizzare il sogno di rivitalizzare l’azienda agricola dei nonni. Domenica è presidente di Donne in Campo Abruzzo, ed è bello ascoltare il racconto di un percorso familiare che è al tempo stesso il cammino di una certa evoluzione sociale del nostro Paese. “I miei genitori, originari appunto di Cugnoli, dopo le scuole si sono allontanati dalla campagna, come succedeva spesso, intraprendendo vita e carriere in ambiti diversi. A L’Aquila mia madre ha fatto l’insegnante di francese e mio padre il dirigente Enel. I miei nonni hanno continuato a coltivare la terra finché la salute lo ha permesso. La nostra è zona di uliveti e vigneti, ma l’agricoltura era soprattutto sussistenza e si aveva un po’ di tutto, quindi anche un piccolo allevamento di bovini, di pecore e di animali di bassa corte. Era quella che oggi definirem-

mo azienda agricola multifunzionale. Dopo gli studi in Scienze Ambientali all’Università di L’Aquila, ho seguito vari corsi di specializzazione riguardanti soprattutto lo sviluppo del territorio da un punto di vista turistico ed ambientale. Nel frattempo per i miei genitori arriva la pensione con la decisione di rimettere in sesto le attività agricole lasciate da mio nonno. Accanto c’era la mia ricerca di un lavoro senza allontanarmi troppo. Nel 2009 il terremoto ha devastato la mia città e ci ha dato una vera e propria spinta. È stato abbastanza naturale intraprendere questa strada. Da subito abbiamo deciso di implementare un’azienda multifunzionale biologica con coltivazioni di ulivi, vigna, orto e un po’ di cereali. Contemporaneamente abbiamo impianto l’agriturismo e la fattoria didattica. Ora la mia vita si divide fra L’Aquila e Cugnoli, conciliando famiglia e lavoro… ma in questo, si sa, le donne sono maestre!”

Descrivici l’azienda…

L’Agriturismo si chiama Rosso di Sera (www.agriturismorossodisera.com), abbiamo quattro camere e un mini appartamento e facciamo servizio di prima colazione e cena ai soli ospiti alloggiati. In cucina c’è mia madre, che ripropone piatti della tradizione locale che io porto a tavola spiegando la loro storia e i prodotti con cui sono stati preparati. Nei circa 13 ettari dell’azienda agricola ci sono uliveti, un vigneto di Montepulciano d’Abruzzo, un frutteto di frutta antica e un po’ di cereali (grano duro). Ovviamente curiamo l’orto e alleviamo animali di bassa corte come polli, galline, anatre, caprette, maiali. La nostra è un’azienda a conduzione familiare e mio marito Federico, che lavora in una società di software, ci aiuta


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quando può perché una mano serve sempre. Devo dire che senza l’aiuto della mia famiglia non sarebbe stato possibile quello che abbiamo realizzato e che gestiamo quotidianamente. Ma tutti siamo convinti di aver fatto la scelta giusta vedendo crescere mia figlia Giorgia, due anni, in un ambiente sano. Lei adora gli animali e vuole sempre stare all’aria aperta.

Cosa ha di speciale la terra e l’ambiente agricolo?

Questo lavoro mi permette di esprimermi in mille modi diversi, ed è questo l’aspetto che mi affascina di più. Far conoscere il territorio con le sue produzioni tipiche, far capire il valore della terra e dei suoi frutti, nelle stagioni e nei modi giusti: insomma ho la sensazione di fare qualcosa di buono per me, per la mia famiglia e per la mia terra.

Se pensi al futuro, cosa vedi?

Da mamma cerco sempre di pensare al benessere di mia figlia, ma di un benessere vero basato su cose semplici, su principi sani, una vita rispettosa della natura e del territorio. Sono valori che le nuove generazioni

stanno perdendo e che dovremmo cercare di tenere in vita. In questo lavoro secondo me è importante anche sapersi reinventare sempre: tradizione non vuol dire arretratezza, ma comprendere le nostre origini perché ci diano la forza e la capacità di andare avanti e fare sempre meglio. E così un domani mi vedo nella mia azienda, magari a sperimentare nuove coltivazioni, oppure cercare nuovi mercati di vendita…

Quali sono le maggiori difficoltà per chi lavora nel campo agricolo, oggi?

Le problematiche che riguardano il nostro settore sono diverse e a volte rendono il lavoro davvero pesante…a cominciare dalla burocrazia che riguarda le varie attività che svolgiamo o che vorremmo svolgere. Ho scelto questo lavoro perché volevo vivere all’aria aperta, dedicarmi alle coltivazioni, ammassare la pasta davanti a turisti incuriositi, invece mi ritrovo a dedicare la maggior parte del mio tempo a produrre carte, ad andare in uffici, a risolvere problemi di natura burocratica. Oggi spesso chi si dedica all’agricoltura viene ancora visto come una persona che non sapeva cos’altro fare, oppure legato ad un’azienda di famiglia. Invece tanti giovani si avvicinano a questo settore con la consapevolezza che essere agricoltori non è solo un lavoro, ma una scelta di vita. Una scelta che sai essere faticosa e difficile, ma che ti ripaga giorno dopo giorno dandoti grosse soddisfazioni. Quindi sarebbe auspicabile un aiuto consistente a coloro che vogliono dedicarsi all’agricoltura, sia a giovani in cerca di occupazione ma anche a quelle famiglie, uomini e donne, che avendo già una piccola proprietà, vogliono investire nella terra e ricavarne reddito. b

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OMOFOBIA PAESI POST-SOVIETICI

IL VENTO DELL’EST

Una panoramica sulla cultura omofobica e sui diritti LGBT nei paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica. Tante, troppe le zone oscure

di Cristina Carpinelli

ESTONIA LETTONIA LITUANIA

Mentre sulla Russia piovono critiche per le sue politiche ostili verso le comunità LGBT, l’Estonia guadagna, tra gli stati post-sovietici, il primato di paese progressista. Già con le elezioni europarlamentari del maggio 2014, il piccolo paese Baltico aveva dato prova di “virtuosismo”, assegnando pari seggi a uomini e a donne(1). Ora ha legalizzato i matrimoni tra le persone dello stesso sesso. Questo è quanto emerge da una ricerca pubblicata nel portale Lenta.ru, il cui oggetto d’indagine è l’atteggiamento dei Paesi ex-comunisti nei confronti delle unioni di genere. La legge estone sui matrimoni omosessuali entrerà in vigore il 1° gennaio 2016. Dalla ricerca si apprende, tuttavia, che su questa questione il parlamento si è spaccato a metà. Solo due voti in più hanno consentito di fare pendere l’ago della bilancia a favore dei matrimoni con persone dello stesso sesso. All’indomani dell’esito del voto, il presidente dell’Estonia, Toomas Ilves, ha dichiarato: “La nostra Costituzione sancisce l’uguaglianza. La società estone non sopporta l’intolleranza nei confronti dei propri cittadini. Siamo troppo pochi per poter discriminare qualcuno”. In base alla nuova legge, le coppie dello stesso sesso avranno il diritto di registrare il matrimonio, regolare giuridicamente le questioni patrimoniali, adottare i figli a patto che uno dei due partner sia il genitore biologico del bambino. Il testo estone segna una netta cesura con le leggi e la retorica politica omofobe di molti paesi ex sovietici, primo fra tutti la Russia. Sempre dalla ricerca si rileva, in controtendenza, che un altro paese Baltico, la Lettonia, ha “costituzionalmente” sancito il matrimonio solo come

“un’unione tra un uomo e una donna”. In Lituania la proposta di legge anti-gay, che avrebbe vietato discorsi, parate e materiali audiovisivi a sostegno dei diritti degli omosessuali, è stata bocciata dal parlamento. Il paese baltico non si è, dunque, accodato alla terribile, quanto sempre troppo lunga lista di paesi che condannano in maniera esplicita o implicita l’omosessualità.

In Bielorussia, l’atteggiamento sessista è piuttosto marcato. A partire da quello del presidente del paese, Lukašenko, secondo il quale “se una donna va con un’altra donna, la colpa è di noi maschi”. Le azioni repressive nei confronti degli omosessuali sono di varia natura: dall’impedire a questi ultimi di gestire nightclub, al costante monitoraggio dei social network da parte della polizia, sino a richiedere una perizia psichiatrica ai giovani di orientamento omosessuale che si sottopongono

BIELORUSSIA UCRAINA


a visita medica per la leva obbligatoria. Nella primavera del 2013, il parlamento bielorusso aveva preso in seria considerazione la reintroduzione nel codice penale della norma sulla pederastia. L’Ucraina, candidata ad entrare nell’Unione Europea, sta sempre più polarizzando la sua opinione riguardo alle unioni tra persone dello stesso sesso. Permane, comunque, al fondo, un atteggiamento non favorevole. Da un sondaggio, condotto dall’Ufficio indipendente delle notizie (Nezavisimoe Bjuro Novostej), alla fine del 2013, gli ucraini che si erano espressi contro la legalizzazione delle unioni omosessuali erano il 43% degli intervistati, mentre il 39% riteneva addirittura necessario sull’esempio della Russia - introdurre una legge di divieto della propaganda omosessuale. In più, l’Ucraina (occidentale) è in mano a una leadership fortemente orientata a destra che non ha certo nelle sue intenzioni quella di compiere “la rivoluzione dei sessi”. A riprova di ciò sta il fatto che “l’Unione Europea ha deciso di chiudere un occhio sui diritti LGBT (…) anche in Ucraina: se in un primo tempo l’approvazione di una norma contro le discriminazioni faceva parte del pacchetto necessario per un accordo di cooperazione sui visti e i Paesi Bassi avevano esplicitamente minacciato di porre il veto nel caso in cui Kiev non si fosse impegnata contro l’omofobia, ora l’UE ha accettato di rinviare a una data futura indefinita l’introduzione di questa legge”(2).

In Russia - come già accennato - dal 1° luglio 2013 è entrata in vigore una legge che elimina ogni possibile propaganda sulla omosessualità in tutte le sue varianti. La legge anti-gay prevede per i trasgressori sanzioni amministrative severe, che vanno da 4mila a un milione di rubli (100 euro -25mila euro), a seconda se i responsabili siano semplici cittadini, funzionari pubblici o organizzazioni. Diversi Istituti russi di monitoraggio dell’opinione pubblica hanno rilevato che la maggioranza della popolazione russa è favorevole alla censura morale, tra cui quella nei confronti dell’omosessualità. Il

RUSSIA

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russo Aleksej Komov, ambasciatore presso l’ONU e presidente del Congresso mondiale della famiglia, in un’intervista, rilasciata a la “Voce della Russia”(3), ha affermato che “Oggi assistiamo a varie iniziative per imporre nuove e radicali ideologie rivoluzionarie, in particolare la teoria di genere secondo la quale il sesso di una persona non è dato da Dio, ma è piuttosto una sorta di costruzion esociale”. Per fortuna - sostiene sempre Komov - in Russia, dopo essersi sbarazzati di 23 anni di comunismo, sono state attuate molte leggi a favore della famiglia tradizionale: “la pubblicità dell’aborto è ora vietata, così come la propaganda aggressiva tra i minori dello stile di vita LGBT”. Per l’ambasciatore, la Russia è “(…) una realtà molto incoraggiante per i moderni cristiani occidentali che dimostra che la rinascita del cristianesimo è ancora possibile per l’Occidente, attualmente oggetto di una pesante ondata di apostasia e di propaganda anti-cristiana”.

REPUBBLICA CECA UNGHERIA POLONIA

Nel 1990, nella repubblica Ceca, sono stati rimossi dal codice penale i provvedimenti discriminatori e la norma che regolava la prostituzione omosessuale. Inoltre, la Camera dei deputati, il 15 marzo 2006, ha approvato una legge sulle unioni registrate per le persone dello stesso sesso. La legislazione ungherese ha adottato norme anti-discriminazione, e l’omofobia


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è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale quale atteggiamento discriminatorio. Tuttavia, nel 2012, è stato approvato dal parlamento dell’Ungheria il nuovo codice di procedura penale, entro il quale omofobia e transfobia sono stati riconosciuti come comportamenti potenzialmente delittuosi. Sebbene siano stati posti dei limiti al riconoscimento dei diritti della comunità omosessuale (non è consentito il matrimonio - vietato dalla Costituzione -, né l’adozione), dal 2009 le coppie di fatto, anche dello stesso sesso, sono riconosciute dallo Stato. In Polonia, gli omosessuali non godono di protezioni specifiche nella legge, le loro unioni non sono riconosciute giuridicamente, e il matrimonio omosessuale è vietato specificatamente dalla Costituzione polacca. La maggior parte della popolazione, come rivelano i sondaggi compiuti dal 2001 al 2013, si mostra contraria al dare diritti alle coppie omosessuali. Il tribunale polacco ha concesso nel 2011 a un partito di estrema destra di utilizzare un simbolo elettorale anti-gay: il Partito della rinascita polacca (Narodowe Odrodzenie Polski, NOP). A questo partito, oltre alla classica croce celtica, è stato consentito di usare questo nuovo logo, in cui un simbolo di divieto copre il disegno di due omini stilizzati impegnati in un atto sessuale. Il NOP ha diffuso il simbolo con lo slogan “Zaka Pedalowani” (qualcosa come “divieto di froceria”).

In Kazakistan nel 2007 è stato rimosso dal codice penale l’articolo sulla pederastia, e dal 2009 è ufficialmente autorizzato l’intervento chirurgico per cambiare sesso. Tuttavia, a seguito dell’approvazione del nuovo codice “Sul matrimonio e la famiglia”, nel dicembre 2011 è stata approvata una legge che vieta la registrazione delle unioni omosessuali, nonostante nel paese ci siano, a detta della comunità LGBT, più di 600mila persone di orien-

KAZAKISTAN KIRGHIZISTAN UZBEKISTAN TURKMENISTAN

tamento sessuale non-tradizionale. Circa due mesi fa era scoppiato uno scandalo perché in Facebook era comparso un banner, creato da un’agenzia pubblicitaria di Alma-Ata, nel quale era riportato il “famoso bacio tra Brežnev e Honecker”. In Kirghizistan è stato presentato in parlamento un disegno di legge sul divieto di propaganda omosessuale. Ma i paesi che si sono distinti per una netta chiusura nei confronti dell’omosessualità sono Uzbekistan e Turkmenistan. Il codice penale di entrambi i paesi punisce la pederastia. In Uzbekistan, gli omosessuali rischiano la reclusione sino a tre anni, mentre in Turkmenistan - sino a due anni. Il presidente uzbeko, Islam Karimov, in un recente incontro con colleghi stranieri, ha dichiarato che “per gli uzbeki l’omosessualità è qualcosa di ripugnante”.b (1) Si veda, al riguardo, l’articolo “il voto europarlamentare nell’Unione Europea dell’Est”, noidonne, online, 13 luglio 2014. (2) Pier, “Ai limiti dell’Unione Europea: l’Ucraina e i diritti gay”, il grande colibrì, online, 5 maggio 2014. (3) http://italian.ruvr.ru/2014_11_13/Discriminata-la-famiglia-tradizionale-ecco-lemacerie-dell-Occidente-4436/


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QAHERA

Un’eroina dei fUmetti indossa l’hiJab e lotta accanto alle donne del mondo arabo mUsUlmano per conQUistare diritti e rispetto

di Zenab Ataalla

Si chiama Qahera Jalabeya, indossa l’hijab ed è l’eroina delle donne arabe e musulmane. Il fumetto nasce nel 2011, al tempo della rivoluzione che ha dato un nuovo corso all’Egitto, dall’efficace matita di Deena Mohamed, diciannovenne ideatrice del personaggio. “Le donne musulmane sono spesso rappresentate come oppresse ed in cerca di qualcuno che corra in loro aiuto. Questo è uno dei motivi per cui ho dato vita a Qahera”. Il compito di combattere la società misogina egiziana è affidato ad una donna che appartiene alla medesima

ciato in un Rapporto, sottolineando che il 91% delle donne non si sente sicura di camminare per strada. Il problema, afferma la fumettista, deve essere “affrontato socialmente non solo qui in Egitto, ma in tutto il mondo”. In uno dei fumetti Leyla, una giovane senza velo che indossa una camicia ed un paio di jeans, dopo essere stata vittima di molestie per strada le denuncia alla polizia. L’ufficiale che la accoglie invece di arrestare il colpevole se la prende con la giovane, imputandole la colpa di indossare abiti troppo occidentali e poco modesti.

cultura. “Ho deciso di realizzare una supereroina velata per combattere l’islamofobia che le donne reali che indossano l’hijab sono costrette a fronteggiare ogni giorno. C’è così poca rappresentanza delle donne che lo indossano, come se fossero al di fuori del mondo e del tempo. Rappresentarle non è una cosa sbagliata ed è per questo che ho voluto contribuire anche io con il personaggio di Qahera”. Deena Mohamed ha iniziato quasi per gioco tra amici, poi ha colto le potenzialità del suo personaggio, che sdogana ruoli e azioni non ci si aspetta da una donna musulmana che indossa il velo. Attraverso la sua supereroina Deena affronta anche un altro problema, a volte trattato in maniera superficiale dall’opinione pubblica egiziana, ma molto sentito dalle associazioni femminili, quello cioè delle molestie sessuali che molte donne hanno subito dopo la rivoluzione del 2011. Il fenomeno ha avuto proporzioni tali che persino le Nazioni Unite nel 2013 lo hanno denun-

Sulla strada del ritorno Leyla si imbatte in un gruppo di ragazzi che arrivano a minacciarla con i coltelli. Qahera irrompe nella scena armata di una mazza da baseball, mette a terra i ragazzi e promette alla giovane Layla “non preoccuparti, aspetterò con te per testimoniare contro questi uomini”. Il fumetto finisce con i molestatori appesi al muro con sotto la scritta “Questi uomini sono perversi”. Perché, spiega Deena, sia Qahera e Layla sono vittime di harassment. Non c’entra il loro modo di vestire indossando il velo o i jeans, la responsabilità di queste violenze è della cultura maschilista comune in tutto il mondo. Nelle più recenti vignette Qahera si domanda e si risponde “se l’hijab non protegge dalle molestie, cosa può avere quell’effetto? Quello che le previene è dare unicamente la colpa ai molestatori, gli unici a rispondere socialmente, moralmente e legalmente delle azioni che hanno commesso”. Il messaggio è chiaro e anche condiviso, visto il successo che riscuote la sua pagina Facebook, che conta più di 14mila amici. b

EGITTO

SUPEREROINA COL VELO


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oBiettivo Salute

ASIA

SENZA TABU’ UN PASSO AVANTI PER LE DONNE ASIATICHE: I GOVERNI HANNO RICONOSCIUTO LA LORO AUTONOMIA ANCHE NELLA VITA SESSUALE

di Elisabetta Borzini

la conclusione del dodicesimo Summit dei ministri della Salute degli stati dell’aSean, tenutosi a Settembre ad Hanoi, vietnam, è chiara: l’asia affronta la salute a tutto tondo.

del Vietnam, dove la sieropositività femminile è pari a circa 1/5 rispetto a quella maschile). Qui si incontrano donne, come l’epidemiologa americana Dalle malattie sessualmente trasmissibili alla terza età alle Elizabeth Pisani, ma anpandemie, in Paesi diversi tra loro ma spesso accomunati che come la Ministra della da quelle che i libri di storia chiamano dittature illuminate, Sanità Indonesiana, Nafsi c’è’ forse poco spazio di espressione per la società civiMboi, che parlano di HIV/AIDS le, ma una grande attenzione al suo benessere. Tra i temi e di sessualità. Il rischio di contagio trattati emerge un focus sull’HIV, e all’interno del pannello nelle donne, essendo riceventi, aumentematico si discute molto di categorie chiave e di donne. ta esponenzialmente, specialmente se in compresenza A differenza di molti Stati occidentali, in cui l’opinione pubdi infezioni sessualmente trasmissibili che blica viene imboccata con foto di madri afrifacilitano la lacerazione delle pareti vagicane che languiscono in letti di ospedale, nali e della cervice. Le donne sono anche, qui il discorso, di natura politica e aperto il FocuS Sull’Hiv benché spesso si dimentichi, soggetti voa diverse figure professionali, è scientifiÈ aFFrontato lontariamente sessualmente attivi. La bassa co. Quello che colpisce è che sia Stati a in modo politico conoscenza anatomica del proprio corpo, maggioranza islamica (come l’Indonesia) e in cHiave associata a malattie sessualmente trasmissia a maggioranza cattolica (le Filippine) ScientiFica. sibili pre-esistenti, e l’attività sessuale non affrontino temi delicati come il preservativo e dal punto di viSta delle protetta rendono le donne, senza distinfemminile, la prostituzione e i rapporti sesdonne zione di casta, religione, stato sociale, una suali tra uomini - più pericolosi dal punto delle categorie a rischio. A tutto questo va di vista epidemiologico e bombe pronte a aggiunto che in Paesi in via di sviluppo il esplodere trattandosi spesso di uomini non sesso viene spesso suddiviso tra “familiare” omosessuali - con naturalezza e scientifici(nel contesto della coppia), “commerciale” e “transaziotà. Personalmente mi ha fatto riflettere su come reagirebbe nale” (cioè un ibrido, non propriamente associabile alla in Italia una sala piena di scienziati, ma anche politici e prostituzione perché vi è una relazione tra i due individui e giornalisti, a temi come il sesso anale, il lubrificante vararamente viene pagato l’atto sessuale, mentre piu’ spesginale come arma contro il contagio e i female condoms. so l’uomo tende a “provvedere” a parte dei bisogni della Ma la cosa che forse colpisce di più è la presenza attiva donna). Il sesso transazionale si basa solitamente su una e partecipativa delle donne. L’Asia non è l’Africa, l’epiderelazione fluida e non necessariamente di lungo termine, miologia dell’HIV è molto diversa, ma tuttavia circa la metà per cui la donna in questione molto spesso ha relazioni dei nuovi casi tocca sempre le donne (con l’eccezione


transazionali con più uomini contemporaneamente. Uno dei segreti meglio serbati della medicina moderna è il preservativo femminile (http://www.path.org/blog/2014/09/ seven-secrets-female-condom/). È un fatto. I motivi di tanto mistero sono facilmente individuabili, il più ovvio: in moltissime culture il corpo della donna è un tabù che nemmeno lei conosce, e pensare che non solo sia lei a decidere se e quando procreare ma che abbia anche la conoscenza chiave, quelli il cui comportamento a rischio poteva comanatomica necessaria a inserire un preservativo nella cerpromettere la salute di tutta la popolazione, tra tutti le provice uterina è impensabile. Benché la trasmissione per via stitute e le waria, le prostitute transessuali. Tutti questi Paesessuale (con rapporti vaginali) sia molto rara se tali rapsi, che convergono in Vietnam, portano storie di successi, porti avvengono quando la persona infetta ha una bassa per quanto riguarda il ruolo delle donne nella pandemia carica virale (aggirandosi su 1/300 i.e. 1 possibilità su 300 dell’HIV/AIDS e dà da pensare come il dialogo, sebbene di contrarre il virus), l’assenza di uno screening continuaspesso ostacolato da forze politiche o religiose, sia alla tivo, soprattutto tra i giovani, è una bomba a orologeria. fonte di una risposta così puntuale ed efficace a una panPerò in paesi come la Thailandia, l’Indodemia che in altre zone del mondo e parità nesia, la Cambogia, dove i turisti vanno e di ricchezza (negando, di fatto, il nesso tra trovano tutto e tutto a un prezzo risibile, HIV e povertà) non cessa di mietere vittime. Stati a il corpo delle donne diventa arma e camAl 12mo Summit dei ministri della sanità maggioranza po di battaglia: il mercato del sesso è vasto dei Paesi ASEAN si riconosce, forse per islamica e diverso, tutto si può provare e tutto si può la prima volta, che le donne rientrano sì (Indonesia) avere, e spesso a pagarne le coseguennella categoria a rischio ma principale a maggioranza cattolica ze sono donne-ragazze-bambine che non mente per via delle loro scelte sessua(Filippine) hanno la consapevolezza e le risorse per li. Questo è un punto molto importante affrontano temi proteggersi. I governi tailandese e malese perché spesso delle vittime si ha comdelicati come hanno affinato, nel corso degli anni, una passione, le si relega al ruolo di “vittime il preservativo strategia infallibile: le case chiuse (nei loro dei fatti”, mentre con questa posizione i femminile, casi karaoke e centri massaggi) con anche governi asiatici riconoscono nella donna la prostituzione un solo caso di sieropositività tra le ragazze un membro attivo della società, anche e i rapporti sono costrette a chiudere. In questo modo i dal punto di vista sessuale, che va tutelasessuali gestori sono i primi a mettere preservativi in to comunque e non solo in concomitanza tra uomini ogni stanza e ad allontanare le ragazze che di violenza domestica o in quanto vittima non li usano. Con questa politica, semplice di traffico. Riconoscendo alla donna la sua ma infallibile, il tasso di HIV in Thailandia dimensione sessuale la si porta su un piano è stato abbattuto nel corso degli anni Novanta. L’Indonedi parità, in cui non deve essere protetta da se stessa o da sia, prima dell’insorgere di gruppi di Polizia Morale, aveva non meglio specificati “uomini” ma del cui corpo lei stessa una politica molto illuminata sul coinvolgimento dei gruppi deve prendere atto e prendersi cura. b

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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini

d’auto cela antefatti complessi che Amanda ricostruisce con l’aiuto di giovani e generosi colleghi, mentre messaggi e pressioni ‘dall’alto’ inutilmente tentano la via della lusinga. Il prezzo che paga Garrone è alto, ma inevitabile per chi crede profondamente nella giustizia. La protagonista è donna fino in fondo e riesce a conciliare l’intensa attività investigativa con una vita privata ricca di affetti. Daria Lucca Distanza di sicurezza Ed Robin, pagg 490, euro 15,00

AMANDA POLIZIOTTA, ANZI ‘SBIRRA’ DI RAZZA

SFASCIAFAMIGLIE UN CORNO: L’AMANTE È MOTORE DELL’ECONOMIA

Appassionante. Un libro di quelli che ti prendono e che non ti mollano più fino all’ultima pagina. Non si può leggerlo tutto d’un fiato solo perché il numero di pagine richiede qualche pausa. ‘Distanza di sicurezza’ è il primo romanzo di Daria Lucca, giornalista di lungo corso che come cronista giudiziaria ha seguito processi scabrosi: dall’attentato a Giovanni Paolo II all’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena passando per “decine di tentativi, riusciti o meno, di fare giustizia su stragi, mafia e terrorismo”. Le 490 pagine della storia che ha come protagonista la vicequestrice di Polizia Amanda Garrone risentono di questo backgruond professionale e travolgono il lettore con il ritmo incalzante degli eventi, complice uno stile asciutto e diretto che non rinuncia a concessioni colte, a descrizioni minuziose o sfumature ironiche. Lo spazio ‘scenico’ - più che lettori ci si sente spettatori di un film - è una vasta area a sud della Capitale che va dai ‘Castelli Romani’ fino alla pianura pontina e le azioni si svolgono da venerdì 17 dicembre a martedì 4 gennaio. Ma l’intrigo che solo il fiuto, la tenacia e il coraggio di Garrone - affascinante “sbirra di razza” mandata per punizione alla Stradale per non aver rispettato i ‘poteri forti’ - ha radici lontane nel tempo e nelle consuetudini. Colpisce, infatti, la capacità dell’autrice di costruire una storia più che verosimile in cui la violenza maschilista si intreccia ad una gamma di crimini di antica fattura e di più recente conio. Non pare un caso che la storia sia ambientata in una porzione di territorio devastata dall’abusivismo e da insediamenti variamente malavitosi e di livello internazionale che hanno proliferato anche grazie alle ‘disattenzioni’ di una certa politica. Quello che è in apparenza un banale incidente

Apre con una provocazione (l’istituzione di una Giornata Nazionale dell’Amante anche come motore dell’economia) e chiude con una rappresentazione ironica degli stadi dell’innamoramento da uomo sposato con tanto di test per svelare chi è davvero quell’essere così idealizzato. La conclusione - fase IV, The End - è quella della ‘verità’: Lui è un Perbenista cui “interessa più il parere dell’uomo della strada che il tuo” poiché il suo sentimento più forte in assoluto è quello per la “facciata”. L’Amante, cioè la Lei ‘terza’, ha ben poche possibilità di passare al rango superiore della compagna ufficiale ed è destinata inesorabilmente a vacanze solitarie e ricorrenze trascorse in malinconia. “A chi in fondo non è capitato di tradire o esser tradita? Di essere o avere l’amante?” si chiedono le autrici in modo irriverente ma senza nascondere i patimenti dell’amore clandestino. Si rispondono, un po’ rassegnate e un po’ ridanciane, ma autoassolvendosi ”Può capitare e certe volte va bene così”. Sì, perché l’importante è avere l’accortezza di non imperniare la propria vita intorno a quell’amore impossibile. Decisivo, per maturare tale consapevolezza, è il femminicidio di una loro concittadina da parte dell’amante che lei voleva lasciare. Il gruppo di amiche su impulso di Anita e Florinda dopo anni si ritrova per una cena che è segnata dall’assenza-presenza di Federica, la quale affida ad una lettera la sua testimonianza di ex-Amante: il tradimento l’ha “vissuto, inferto, subito” e conclude riconoscendo come colpa l’aver ingannato prima di tutto se stessa. Camilla Ghedini (giornalista) e Brunella Benea (consulente d’impresa) con AMO TE…starò con lei per sempre porgono in una chiave interpretativa originale e moderna una condizione


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che è vecchia come il mondo, ma che oggi può essere reinterpretata da donne mature abbastanza da potersi permettere di vivere da Amanti, così come di liberarsi - anche con ironia - da una condizione di assoggettamento. Camilla Ghedini – Brunella Benea AMO TE…starò con lei per sempre Giraldi editore, pagg 187, euro 12,00

cazione puramente sanitaria in collegamento con la rete dei consultori familiari…in connessione con le forme della partecipazione civile…”. L’autore esplicita una preoccupazione: che sia impoverita “una delle istituzioni pubbliche che più ha operato nella lotta alle disuguaglianze e nell’affermazione della dignità e della libertà delle donne”. Giovanni Fattorini I consultori in Italia Ed L’Asino d’Oro, pagg 165, euro 12,00

CONSULTORI FAMILIARI AL BIVIO Era il 1975 e la legge 405 istituiva i consultori familiari, presidi territoriali socio-sanitari che a quaranta anni di distanza e figli di “una stagione per alcuni versi irripetibile” mantengono inalterato il loro valore e significato. L’originalità dei consultori è stata quella di immaginare un servizio integrato che non separasse il problemi sociali da quelli sanitari soprattutto per “la salute sessuale e riproduttiva delle donne e degli uomini e il benessere affettivo delle coppie e delle famiglie”. Giovanni Fattorini, ginecologo e presidente di AGITE - associazioni dei ginecologi territoriali - fa il punto sulla realtà, oggi, de ‘I consultori in Italia’ scandendo la sua analisi con una progressione cronologica che ne esamina l’evoluzione attraverso i decenni anche rispetto alle mutate esigenze della società. Il libro fotografa la situazione attuale (sedi, organici, orari, attività) e analizza le proposte regionali di modifica ideate nell’intento di snaturare il senso della legge istitutiva. Non sfugge l’autore al nodo problematico con l’interruzione volontaria di gravidanza e con l’obiezione di coscienza, così come non rinuncia a sottolineare il permanere di una non compiuta definizione della “figura del ginecologo ‘medico’ e della sua identità scientifica e culturale”. È proprio il posizionarsi dei consultori in un territorio di confine che costringe anche altre professioni a rivedere se stesse e a ripensare i percorsi formativi. Ma, conclude Fattorini, “la contrapposizione tra un’anima sanitaria e una socio-assistenziale non è utile. Utile è invece adoperarsi per una riorganizzazione delle attività legate alla tutela della salute femminile attraverso una virtuosa integrazione tra ospedale, medici di medicina generale, centri di prevenzione territoriali a vo-

ANCONA, CITTà DELLE OSTERIE (DI UNA VOLTA) “Qualcuno mi disse una volta che ad Ancona all’inizio del secolo scorso prosperavano mille osterie. Possibile?...” Inizia così il viaggio di Carla Virili che ha tirato fuori dal cassetto vecchi appunti e messo insieme le ricette di Elvira e quelle di Natalina, i suggerimenti culinari di Irma e di Morena. Il tutto è accompagnato da foto che fissano un gesto, un sorriso o un luogo con la poetica del bianco e nero. Sapori d’Ancona rievoca l’atmosfera delle osterie, sia quelle che non esistono più sia le poche che ancora sopravvivono. Con uno sguardo affettuoso l’autrice racconta un mondo quasi completamente perso e valorizza le ricette della tradizione ed i prodotti genuini dell’agricoltura e della pesca. Al centro ci sono le donne e le loro antiche competenze da sempre messe a disposizione delle comunità e della famiglia. Virili è “un’infaticabile ed entusiasta viaggiatrice”, spiega nella prefazione Antonio Luccarini, che con “agilissima e avvolgente scrittura” ci regala ricordi affinché “non vadano perdute, sciupate da un uso banale, mortificate da uno stolto e incolto oblio, cose che fanno parte del vissuto comune”. Carla Virili Sapori d’Ancona Storie e ricette di donne d’osteria Ed Affinità elettive, pagg 60

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DALLA GHIGLIOTTINA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE A REBIBBIA. PASSANDO PER IL TEATRO di Tiziana Bartolini

La figura di Olympe de Gouge, liberamente tratta dal libro di Maria Rosa Cutrufelli, va in scena nel carcere romano di Rebibbia. Sono le detenute della sezione di massima sicurezza ad averla voluta rappresentare nell’ambito del progetto ‘Le Donne del Muro Alto’ di Francesca Tricarico

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alla Rivoluzione francese al carcere romano di Rebibbia, sezione massima sicurezza, il passo non è breve: infatti è grande la distanza che separa la figura storica di Olympe de Gouge dalle detenute per reati riconducibili alla mafia o alla camorra. Ma il potere delle relazioni femminili riesce ad alimentare un vento che muove e avvicina ciò che appare distante nelle premesse e nel vissuto. Così è accaduto che attraverso NOIDONNE la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli abbia incontrato le detenute e il progetto di Francesca Tricarico, ‘Le Donne del Muro Alto’ (www.ledonnedelmuroalto.it) e la relativa campagna di crowdfunding, finalizzato a portare il teatro in carcere “con il suo valore pedagogico e terapeutico quale potenziale agente di cambiamento”. Se la detenzione deve avere l’obiettivo del reinserimento, questa è una strada da percorre anche per i riscontri positivi ottenuti. Basti pensare ai riconoscimenti internazionali assegnati a ‘Cesare deve morire’, pellicola dei fratelli Taviani girata sempre a Rebibbia e alla quale Tricarico ha collaborato come assistente alla regia. Ad innescare le premesse dell’incontro sono le stesse detenute che per la loro seconda volta sul palcoscenico - nel 2013 hanno messo in scena “Didone, una storia sospesa” sempre con la regia di Francesca Tricarico - hanno scelto di ispirarsi a “La donna che visse per un sogno” (Frassinelli, 2008), libro

in cui Cutrufelli racconta gli ultimi cinque mesi di vita di Olympe de Gouge, vissuti in carcere aspettando il processo che la condannerà alla ghigliottina nel novembre del 1793. Nelle belle pagine, dense e non scontate, si intrecciano eventi storici con la quotidianità affidandone la descrizione ad una galleria di figure femminili che agiscono intorno e insieme alla protagonista, eroina non sufficientemente valorizzata, che lotta e muore per la libertà e l’uguaglianza delle donne. Olympe contesta la deriva della Rivoluzione francese e scrive la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” difendendo con coerenza gli ideali repubblicani. Robespierre e il Terrore non la perdonano. “Olympe è stata una grande che ha dato la vita per i diritti di noi tutti e soprattutto per le donne. La sua è una storia importante e la vogliamo donare al pubblico che verrà a vederci”. Lampi di orgoglio negli occhi di alcune detenute presenti all’incontro che NOIDONNE ha organizzato a Rebibbia lo scorso 13 novembre, ulteriori considerazioni da parte di altre: “come tante di noi è madre, come noi conosce il carcere e ne descrive le sofferenze, rimaste ancora oggi le stesse di due secoli fa”. Il partire da sé contraddistingue il femminile e la piccola stanza attigua alla biblioteca dell’istituto di pena in cui siamo in circolo accoglie altro ancora. “Grazie allo stimolo del teatro hanno conosciuto e studiato quegli eventi storici e sono state colpite dal fatto che una donna ha avuto il coraggio di sfidare il potere e di morire per la libertà degli altri, per il bene della comunità, senza un tornaconto personale” sottolinea Francesca Tricarico. In


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RECLUSE Le detenute sono il 4% dell’intera popolazione carceraria, ma le loro diverse esigenze e caratteristiche non sono tenute in considerazione nell’organizzazione degli istituti di pena. Ha indagato la dimensione carceraria con uno sguardo di genere il libro di Susanna Ronconi e Grazia Zuffa, che prende spunto da una ricerca condotta nei penitenziari di firenze sollicciano, pisa ed empoli nel 2013 attraverso 38 interviste biografiche a recluse, 3 interviste in profondità a personale educativo e altre a diversi testimoni chiave, 2 focus group con 8 donne agenti di polizia penitenziaria. tra gli obiettivi della ricerca “il contenimento della sofferenza, la prevenzione dell’autolesionismo e del suicidio, la promozione della salute” senza mancare di “allargare lo sguardo ed esplorare il vissuto delle donne intervistate”. se da un lato il lavoro ha evidenziato vincoli, dolori e “fattori più acuti di stress della carcerazione”, dall’altro ha valorizzato volontà e potenzialità delle detenute, dando una lettura “attraverso il pensiero femminile della differenza”. il settimo capitolo - il filo della differenza fra il “dentro” e il “fuori” - è una conversazione tra le autrici e Maria Luisa Boccia. “Recluse” è il quinto volume frutto della collaborazione tra ediesse e l’associazione La Società della Ragione, che ha come finalità “lo studio, la ricerca e la sensibilizzazione culturale sul tema della giustizia , dei diritti e delle pene nell’orizzonte di un diritto penale mite e minimo”. Susanna Ronconi e Grazia Zuffa RECLUSE Lo sguardo della differenza femminile sul carcere ed ediesse, pagg 315, euro 16,00

Nel prossimo numero di NOIDONNE ci sarà un inserto speciale, dal titolo A MANO LIBERA, scritto insieme alle detenute del carcere femminile di Rebibbia. Sarà speciale perché intende aprire un canale di comunicazione tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. Sarà speciale perché attraverso un giornale che da sempre parla di donne che vivono le più diverse condizioni ed esperienze in tutte la parti del mondo vorremmo che le parole delle detenute di Rebibbia giungessero ad altre donne interessate ad aprire con loro un dialogo, seppure a distanza. NOIDONNE si farà ‘ponte’ tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. Sarà un modo di interpretare la parola libertà, che ha tanti significati e tante modalità di essere vissuta e percepita.

questo modo il punto di osservazione si sposta, modificando forse lo sguardo e la visuale. Olympe non ottiene nulla per sé, anzi perde la vita, ma è spinta dal suo immenso desiderio di libertà. La stessa molla che muove le detenute nell’interpretare i personaggi: “il teatro è evasione, è dono agli altri, ai miei familiari, di qualcosa di bello e importante”. Il racconto della loro precedente esperienza teatrale è fortissimo: “in scena interpretavo la sorella Didone e mi disperavo per la sua morte, vedevo mia figlia piccola seduta in prima fila che piangeva; l’ho dovuta calmare, dopo, cercando di spiegarle che era una finzione”. Fanno eco le altre: “il giorno dopo ci sentivamo svuotate, stese sui letti senza la forza di alzarci e riprendere le consuete attività del carcere”. Ben più di un’emozione, più di “un sogno che ti dà vita”, la recitazione “ti porta dove vorresti andare e dove non avevi mai pensato di poter arrivare” osserva qualcuna. Tricarico aggiunge “è un ponte tra esterno ed interno, tra il carcere e la società, ma è anche lavoro su se stesse e lavoro di gruppo”. Nello spettacolo in preparazione ogni detenuta interpreta uno o più personaggi ispirati alle donne che parlano di Olympe, ma il riserbo è assoluto per non svelare la tessitura. Vagamente, preannunciano: “nessuna di noi è Olympe, lei non è fisica-


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mente in scena, ma c’è sempre, tutte le altre sono anche lei…”. Cutrufelli comprende il senso della scelta perché “l’esperienza di Olympe è universale, con la sua irriducibilità e resistenza”. I cenni rapidi tra le presenti, le battute e i rimandi ci restituiscono una sensazione netta: l’interpretazione di un personaggio è anche una prova di sé in una dimensione altra. Il mostrarsi ai familiari su un palcoscenico, con un protagonismo che non ammette fraintendimenti, ti rende disponibile a tante possibili estensioni di sé. Libere. La libertà, la voglia di libertà è probabilmente la parola chiave che accomuna queste donne, lontane nel tempo e nei percorsi di vita, che è libertà negata a ciascuna per diverse ragioni. Poi la forza delle parole, quando le si sceglie una ad una. “Il teatro, recitare, mi consente di evadere, di essere fuori con la mente anche se sono reclusa. Mi da una forza incredibile”. Stefy sul palcoscenico è talmente sicura che improvvisa: “la parte la so, ma sento una vocina dentro di me che dice dì questo, dì questo…”. E il poter deragliare è, di nuovo, un atto di libertà. Lo studio è anche un gesto di libertà. “Ho lavorato quattro anni alla stesura del libro leggendo i testi ufficiali, ma per descrivere i particolari della vita quotidiana (i bagni pubblici, il costo della vita, il caldo insopportabile o le giornate di pioggia) ho studiato i diari del tempo in cui tutto è annotato scrupolosamente. Così bisogna fare se vuoi che i personaggi siano reali e non pupazzi”. Un attimo di silenzio accoglie l’affermazione di Cutrufelli, c’è bisogno di una pausa per depositarla da qualche parte, nella testa e nel cuore. “Vedete quanto tempo richiede un lavoro ben fatto….” osserva Tricarico con un sottinteso riferimento ai tempi di elaborazione e della messa in scena. E la parola libertà si accredita nuovamente, sotto altre spoglie. La rappresentazione andrà in scena a marzo, nel teatro all’interno di Rebibbia, davanti ad un pubblico selezionato per ovvie ragioni. Il percorso è delineato, il lavoro è a buon punto, ma al momento l’incertezza riguarda la copertura delle spese. Infatti la Regione Lazio finanzia la metà dei costi e la raccolta fondi ha l’obiettivo di reperire i soldi necessari a completare il lavoro, che rischia altrimenti di fermarsi. NOIDONNE sostiene il progetto e i suoi obiettivi, sottoscritti anche dal Garante per i Diritti dei Detenuti del Lazio, sempre nella convinzione che per comprendere la complessità del mondo e delle donne che lo abitano occorre andare oltre la superficie, con il coraggio necessario a scoprire territori inesplorati che molto hanno da raccontare. ❂ videointerviste: http://www.noidonne.org/videogallery-dettaglio. php?iD=0161 e http://www.noidonne.org/videogallery-dettaglio. php?iD=0160

ANIME BIANCHE RACCONTI DAL CARCERE

attraverso la scrittura “diamo voce all’anima silenziosa e battito a un cuore fermo, la scrittura ha dato corpo a pensieri, sentimenti, amarezze,lacrime sorrisi…. abbiamo scoperto che non ci sono anime nere ma bianche e libere. La gioia e la pace bisogna strapparle da dentro”. È il senso della raccolta secondo a. (27 anni e madre di due figli). in “Anime bianche. Racconti dal carcere” le curatrici - Francesca Di Bonito, Maria Gaita, Lina Stanco, Matilde Iaccarino - rendono pubblica un’esperienza che ha preso il via nel 2002: il Laboratorio di Lettura e scrittura intitolato a san suu Kyi che hanno seguito come associazioni febe (gaita, Di bonito) e Quartieri spagnoli (stanco) nell’intento di “aprire un varco tra chi è dentro e chi è fuori senza sottovalutare o dimenticare i reati delle detenute”. il piccolo libro - pagg 101, edito da valtrend, 10 euro - è corredato da un CD del cantautore Lino Blandizzi (3 euro), ‘Nessuno è più diverso’, registrato con le voci delle recluse nel carcere femminile di pozzuoli. L’iniziativa editoriale, oltre a far circolare i pensieri, i sogni e i patimenti delle detenute, intende raccoglie fondi da destinare alle detenute stesse. tra i suoi pregi, Luisa Cavalieri nella prefazione osserva “quanto lavoro c’è da fare con queste anime e con questi corpi che hanno bisogno di futuro”. sembra risponderle g. “non importa dove sei, la felicità va cercata, è dentro ognuno di noi…”.


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GENEALOGIE SENZA GERARCHIE di Rosanna Marcodoppido

gLi sCritti Di emma baeri parisi DaL 1997 aL 2013 COn Letture finaLi Di eLena CarusO raCiti e antOnia COsentinO LeOne. un LibrO utiLe aD una COntinua riLettura DeLLa nOstra stOria

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opo “Isola mobile (nipoti, gatti, scritti)” (Giuseppe Maimone Editore), libro autoprodotto uscito nell’ottobre del 2012 e dato in dono a tante, Emma Baeri Parisi ha pubblicato nell’ottobre del 2013 “Dividua - Femminismo e Cittadinanza” (ed. Il Poligrafo) nella collana “soggetti rivelati - ritratti, storie, scritture di donne”. Un libro denso, ricco di riflessioni teoriche e proposte politiche scritte dal 1997 al 2013 con letture finali fatte da due giovani donne: Elena Caruso Raciti e Antonia Cosentino Leone. Lo stile comunicativo di Emma, che ha affascinato tante di noi a partire dal suo ormai lontano “I Lumi e il cerchio” (Editori Riuniti, Roma 1992), ne rivela il carattere indisciplinato: un posizionamento eccentrico il suo rispetto innanzitutto alla disciplina storica, guadagnato negli anni settanta grazie alla pratica dell’autocoscienza. Le motivazioni di questa pubblicazione le spiega la stessa Emma nell’introduzione quando scrive ”Voglio qui raccontare un lembo di terra natale del pensiero femminista su un tema ambizioso, la cittadinanza, terra natale come pratica, come metodo, come lievito”. Perché su questo, lei aggiunge, molto è stato scritto e disperso, molto pensato e non scritto, molto parlato e non registrato. La responsabilità politica della memoria del femminismo e la necessità della iscrizione femminile nella cittadinanza si intrecciano nelle 294 pagine in cui interventi, appunti, lettere, poesie e alcuni saggi già presenti in riviste e libri, vanno a formare un mosaico colorato e complesso fatto di figure, luoghi, appartenenze. Le figure sono le donne del femminismo, i luoghi sono Catania e la sua Università dove ha insegnato Storia moderna e Palermo, Roma, Milano, Pontignano, Bergamo, solo per citarne alcuni. Tra le appartenenze ci sono il movimento studentesco antiautoritario della fine degli anni sessanta, il gruppo di autocoscienza, la Società Italiana delle Storiche, Le Voltapagina. I vari capitoli sono

legati insieme da una acuta sensibilità e da una autentica passione politica che smuove nello stesso tempo sentimenti e ragione ponendoli al di fuori di rigide e improprie polarizzazioni. Il suo Preambolo alla Costituzione scritto nel 1997 e ripreso in queste pagine intende iscrivere nella nostra Carta Costituzionale a pieno titolo il genere femminile e si articola in quattro punti essenziali: affermazione della sovranità delle donne sul proprio corpo; inviolabilità del corpo femminile; ridefinizione della parola lavoro come “lavoro di cura e cura del lavoro”; affermazione dell’uguaglianza nell’accesso alle risorse e come equivalenza nell’iscrizione del diritto di cittadinanza. La scelta di ragionare radicandosi nelle interconnessioni superando logiche contrappositive come nel caso di emancipazione/liberazione e uguaglianza/differenza, la porta a evitare il rischio di arrivare ad un pensiero perfetto a livello logico, ma inadatto a dare conto della complessa verità dell’esperienza umana. Pur nel riconoscimento pieno del valore della differenza e della necessità di una sua risignificazione, ribadisce di rimanere affezionata al concetto di uguaglianza, in controtendenza da sempre rispetto ad una parte del femminismo italiano. Con coraggio espone a volte la propria fragilità e insicurezza attraverso un linguaggio “materno” e divertenti contaminazioni dialettali; questo le consente di entrare con piede leggero anche nei grovigli irrisolti e nelle ambiguità della soggettività femminile contemporanea. Emma Baeri Parisi, che non a caso ha deciso di aggiungere al suo cognome quello della madre, ci mostra la costruzione di una trasmissione e di una genealogia al di fuori delle gerarchie, perché nell’incontro ognuna ha ricchezze da portare e condividere. Ritengo questa una grande lezione da tenere da noi tutte in memoria con cura. ❂

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LE SORELLE VECCHI O L’ARTE DI CREARE COSTUMI

stumi è un atto di cultura, di coraggio e di fiducia. Il confronto col regista è costante e necessario, occorre condividerne l’etica, la poetica perché la direzione presa sia comune e il lavoro risulti corale e non individuale… Per noi il costume è verità, bellezza e giustizia. È un lavoro lunghissimo, infinito e di massima precisione. Mentire è impossibile. Le figure femminili sono sempre le più difficili. Le donne hanno più timore a concedersi ed il lavoro sul loro personaggio diventa un lungo iter progettuale attento al carattere, a ciò che l’attrice ama o detesta. La conquista della fiducia di un’attrice non è un processo semplice. Però, cosi facendo, a volte si giunge a veri e propri ‘miracoli’ di originalità, di cambiamenti e di complicità. I colori, i materiali e le forme devono rispecchiare ciò che ‘si va a raccontare’. Nel film ‘Il Paese Delle Spose Infelici’ di Pippo Mezzapesa per corrispondere alle situazioni e agli stati

di Graziella Bertani

Roberta e Francesca Vecchi, candidate al David di Donatello per i costumi del film ‘Diaz’, raccontano il loro modo di interpretare una professione straordinaria

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icordando i film che abbiamo visto difficilmente li pensiamo come “prodotto di una delle principali industrie con una ricca e complessa filiera del nostro paese”. Eppure quante delle sue articolazioni coinvolge soprattutto noi donne! I costumi, per esempio. Che ruolo hanno in un film? È possibile parlare di ARTE dei costumi? Le sorelle Vecchi - Roberta e Francesca - candidate al David di Donatello come migliori costumiste per il film ‘DIAZ’, ne sono convinte. “Se fatta con ARTE, con cura, con passione, con dedizione, con amore, con cultura, con cuore, con intelletto, come se fosse l’unica e l’ultima cosa da fare, senza anteporre il guadagno, l’affermazione la carriera; se fatta con gioia, divertimento, con umiltà, donando e condividendo… sì è ARTE. Il cinema è un mondo a sé. Quando si progettano i costumi per un film e si segue tutta la realizzazione, dal primo all’ultimo ciack, si appartiene solamente a quel mondo e a quella storia senza avere il tempo per sè… Solo il cinema offre quelle possibilità di studiare, di venire a contatto con temi, situazioni, argomenti, storie, persone che altrimenti mai incontreresti sulla tua strada e nella tua vita. E anche se finzione, il cinema è vivo, è vero! Non solo è arte, è anche impegno sociale e civile: è responsabilità. Fare i costumi per un film è prima di tutto progettare un personaggio che esiste solo sulla ‘carta’ e renderlo credibile. Più cultura e più informazioni si possiedono e si acquisiscono, più facile sarà il punto di partenza, l’idea, l’ispirazione. Progettare i co-

d’animo - specie quelli nascosti - abbiamo scelto colori non urlati e forti ma annacquati per i momenti più dolci e lividi per quelli più tristi. In ‘Lo Spazio Bianco’ di Francesca Comencini per il personaggio interpretato da Margherita Buy ci siamo ispirate a un’icona della musica: Patty Smith. Per raccontare la sensazione di paura ed abbandono abbiamo scelto colori abbastanza scuri, per indicare la femminilità e la dolcezza abbiamo optato per sfumature pastello. Per rappresentare una prerogativa della parte più dolorosa del film - l’incuria -, abbiamo creato capi che risultavano stropicciati quasi non lavati e indossati a caso. Alla base di tutto c è sempre uno studio attento del periodo storico in cui la vicenda si svolge e i personaggi vivono. Per conferire originalità ci concentriamo


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su una sorta di ‘astrazione’ dal vero e dal tempo ispirandoci a discipline altre (architettura, musica) e a personaggi del nostro immaginario letterario, teatrale, artistico. Da lì iniziamo a progettare, a distinguere, a separare, a mischiare. Lo stereotipo non ci piace. Anche nella rappresentazione del degrado psichico o sociale la volgarità, il brutto non esistono. C è sempre un’apertura alla delicatezza, alla magia dell’essere umano. C’è sempre una tensione al ‘divino’ e allo spirituale. Nei nostri costumi c è questo..”

Voi , la violenza alla DIAZ e sulle donne... Diaz è una storia a sé. Entrato subito nelle nostre corde, per individuare la chiave per cui ciò che era “documento” non fosse solo ‘documentato’, ma avesse un cuore, un’originalità e si distaccasse dal documentario e facesse capire l’atrocità

della violenza esercitata gratuitamente. L’ idea è stata usare gli stessi colori, le stesse tonalità sia per i costumi della polizia, che dei politici e dei ragazzi all’interno della Diaz. I blu, gli azzurri e i grigi sono i colori degli abiti dei politici, sono i colori delle divise: cosi anche quei 90 ragazzi là dentro erano vestiti di quei colori, di quelle sfumature quasi ad indicare la loro predestinazione a quel destino violato, rubato, tolto dai politici e dalle forze dell’ordine e armate. Fuori invece si contrapponeva il mondo, il colore: tutti gli altri giovani che manifestavano e che potevano urlare la loro vita. Recuperare capi originali fu davvero difficile, ma per noi era un dovere morale attenerci a quella realtà. Abbiamo fatto ristampare migliaia di magliette della varietà presente a Genova nel 2001 nei giovani da tutto il mondo, mondo che abbiamo ricreato. 143 attori principali 13mila figurazioni… Un lavoro infinito durato otto mesi che ci ha cambiato la vita e la nostra stessa percezione della vita e richiesto un anno di riposo. Non esiste la donna provocatrice. Esistono donne. Esistono uomini. Esiste la violenza. Esiste il libero arbitrio. Esiste la disuguaglianza. Esiste il maschilismo.

Esiste la forza. Ma esiste anche la dolcezza. Ed è con quella che noi combattiamo e rappresentiamo quel dolore. C’è dolcezza nell’abito lungo largo e nero della donna abbandonata incinta ne “Lo Spazio Bianco”, c’è dolcezza nei calzettoni di lana grossa della ragazza incompresa, derisa e schernita ne “Il Paese delle Spose Infelici”. La donna prima e dopo… è come l’immagine di un fiore. I colori sono gli stessi. Sempre. Prima sono accesi, sgargianti, vivi e il fiore è dritto, rigoglioso, profumato. Dopo si avvizzisce, china il capo, si piega su se stesso perde di intensità e di profumo, perde di calore e colore. Tutto si sfuma di livido e scuro e buio.

Voi e “Il posto” (http://ilpostotheplace.tumblr.com)… “Il posto” è il nostro studio dove di giorno lavoriamo e progettiamo i costumi per i film o i video musicali prima di partire per il luogo delle riprese. È il nostro showroom con un vastissimo archivio di abiti, calzature ed accessori vintage dagli anni ‘30 proveniente da set cinematografici, teatrali, di videoclip musicali, da sfilate di moda e da vent’anni di ricerca in Europa e Stati Uniti. È un luogo dove le discipline e l’arte si mescolano e si contaminano dando vita a nuovi progetti originali, è un luogo di incontro e di condivisione di ciò che amiamo E creiamo ciò che ci piace e che non troviamo nella nostra città. Non è un salotto. “Il posto” è un appartamento situato in un palazzo antico nel cuore del centro storico di Modena che abbiamo risistemato personalmente cercando di creare un’atmosfera evocativa da set cinematografico mischiando oggetti di recupero a alcuni pezzi di design (Castiglioni, Bauhaus), materiali poveri a stoffe, pizzi e sete antiche e pregiate. Alle pareti abbiamo appeso su cavi d’acciaio abiti indossati dai protagonisti dei nostri film … Contaminando otteniamo originalità. Il nostro motore è la musica. La musica è stata la nostra strada la nostra formazione il nostro credo. Tutte le nostre risposte, le nostre passioni, i nostri amori i nostri talenti erano rinchiusi lì. “Il posto” è la zona più profonda e più creativa, è la zona bianca che riempiamo con i nostri sogni e che magicamente ogni volta diventano realtà.b

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FOTO CHE PARLANO di Flavia Matitti

Un progetto, Ritratti dell’ultimo ritratto, è diventato un libro e una mostra. Sonia Lenzi spiega l’IDEA e le emozioni suscitate dall’andare per cimiteri

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uale foto metto sul documento d’identità? E sul mio profilo Facebook? Sono domande comuni, frequenti, mentre è raro chiedersi quale foto si vorrebbe sulla propria tomba. Certo, in altri Paesi non c’è quest’abitudine, ma in Italia è tuttora molto diffusa la tradizione, antichissima, di porre sul sepolcro il ritratto del defunto, ritratto che di solito, ormai, è affidato alla fotografia. E proprio a una fotografa, Sonia Lenzi, bolognese, va il merito di aver indagato questo tema scomodo, affrontandolo in un’ottica originale, che coniuga la ricerca fotografica all’interesse per le questioni di genere. A Bologna Sonia Lenzi si è diplomata all’Accademia di Belle Arti e laureata all’Università, prima in Filosofia e poi in Giurisprudenza. Tra il 2011 e il 2013, con diverse esperienze e mostre collettive e personali alle spalle, si è recata in cinque cimiteri monumentali italiani (la Certosa di Bologna, Staglieno a Genova, il Verano a Roma, il Cimitero Monumentale di Milano e il Cimitero di Poggioreale a Napoli) e si è concentrata sui ritratti fotografici femminili posti sulle tombe. I suoi ritratti riguardano quindi unicamente le donne, donne di cui non si sa nulla, neppure se siano state loro a scegliere di essere ricordate giovani o anziane, sorridenti o austere. Ha preso corpo così il progetto intitolato Ritratti dell’ultimo ritratto, divenuto nel 2013 un libro d’artista, pubblicato in edizione limitata dall’editore di Ravenna Danilo Montanari. Le fotografie sono state esposte in varie occasioni e di recente sono state presentate a Londra in una personale organizzata nell’ambito del festival internazionale di fotografia Photo-

month East London (ottobre-novembre 2014), nei suggestivi spazi della chiesa St. John on Bethnal Green, progettata dal celebre architetto John Soane.

Sonia, come è nata l’idea di questo progetto? Il progetto è nato dall’idea di una mostra che avevo concepito per uno spazio inconsueto, una piccola chiesa romanica sconsacrata che si trova a Novafeltria, nell’entroterra di Rimini, la chiesa di Santa Marina. Quindi è stato forse quello spazio a darmi una prima suggestione. Un dato autobiografico, la ripetuta insistenza da parte di mia nonna sul tema della fotografia da apporre sulla tomba, attraverso la quale essere ricordata, ha avviato poi una riflessione ulteriore che mi ha portato a ricercare altre immagini e altri legami. Ho infatti ricreato un dialogo immaginario tra donne, ruotando attorno alla scelta del ritratto.


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Come si è svolto il lavoro? Davanti a un’infinità di tombe e di ritratti come hai fatto a scegliere quali fotografare? Prima di tutto ho dovuto pensare a quali cimiteri monumentali inserire nella ricerca e poi ho dovuto richiedere le autorizzazioni. Ho passato almeno un giorno all’interno di ciascun cimitero a osservare le tombe e le fotografie. Anche questa è stata un’esperienza relazionale importante, con i morti e la morte, in un certo senso, perché in alcuni casi, come a Milano, nel cui cimitero è consentito fotografare solo nel giorno di chiusura, mi sono trovata da sola a girare per ore in uno spazio deserto, dove appunto non c’era anima viva. Le foto che si trovano sulle tombe sono solitamente scelte con cura o forse sono le uniche recenti, ma in ogni caso esplicitano un ricordo, un legame con chi le ha scelte. Nel libro, che si presenta come una piccola scatola in legno contenente schede sfuse, ho utiliz-

E in che modo, invece, hai coinvolto il pubblico? Dato che ho voluto proporre un modello virtuoso dove sono le altre donne a parlare delle donne e a ripensare le loro relazioni, mi piace presentarlo in modo performativo, coinvolgendo altre donne nella lettura e soprattutto nella ricostruzione di proprie relazioni, personali o politiche.

La riflessione sul legame tra fotografia e morte che fa Roland Barthes nel suo celebre saggio La camera chiara ha influito su questo lavoro? Certo, La camera chiara è un testo fondamentale e che si presta a diverse chiavi di lettura. L’essenza della fotografia è la morte, l’istante imbalsamato, per Roland Barthes. Questo concetto ha un grande fascino.

E tu come vorresti essere ricordata? Quale ritratto sceglieresti? Un’immagine ambigua, un po’ dissacrante forse, per il contesto, perché è un nudo, scattato da un’altra fotografa, quando aspettavo la mia secondogenita, anche se non si vedeva ancora. Una plurimamma che si ribella all’iconografia tradizionale della donna, della mamma e della tomba. b foto: 1. Verano, Greta 2. Verano, Cecilia 3. Certosa, Letizia

zato questo materiale come fossero foto trouvée, attorno alle quali ho costruito delle storie, delle relazioni immaginarie tra le donne defunte e le donne che ho immaginato avessero scelto le loro fotografie e quindi la loro immagine pubblica, in un certo senso. Il legame tra fotografie e testo è pertanto molto forte. Le donne si sono lasciate raccontare da altre donne. Di solito, invece, sono gli uomini a raccontare le donne o comunque è la cultura dominante, spesso neutra, che parla.

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A tutto schermo

OPERAIE DI IERI E DI OGGI di Elisabetta Colla Il documentario ‘Triangle’ della regista Costanza Quatriglio vince il Premio Cipputi al 32° TFF

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arlare del lavoro operaio femminilee dei tanti incidenti avvenuti negli anni, in Italia e nel mondo, tocca corde dolorose e ferite ancora aperte, che suscitano indignazione e pongono domande importanti nei confronti dell’attuale società neo-liberista, che non sembra offrire garanzie di sicurezza maggiori di quelle schiavizzanti del primo Novecento. Ben venga quindi un documentario come Triangle della brava regista palermitana Costanza Quatriglio (già nota per , selezionato a Cannes, e per il pluripremiato ) che racconta due tragedie speculari che, pur a distanza di 100 anni l’una dall’altra, ci fanno riflettere con grande forza sulla condizione del lavoro e sui diritti della classe operaia ed, in particolare, delle donne. Il titolo dell’opera prende il nome dalla fabbrica tessile di New York, nel cuore di Manhattan, dovenel 1911 divampò un grande incendio che, in assenza delle più basilari misure di sicurezza (le poche uscite antincendio erano ingombre o bloccate ad arte dai proprietari della fabbrica per evitare furti o pause indebite delle lavoratrici), costò la vita a 146 persone in gran parte giovani donne immigrate, ebree e di origine italiane, fra i 13 ed i 22 anni giunte negli USA in cerca di una vita migliore. Proprio in quegli anni iniziavano i primi scioperi per i diritti sul lavoro e molte giovani operaie

si erano organizzate in gruppi sindacali come l’. Dal 1911 il racconto si sposta al 2011, sulla tragedia avvenuta a Barletta per il crollo di una palazzina in cui lavoravano in nero, a cottimo, alcune operaie: è proprio la voce dell’unica sopravvissuta al disastro, Mariella Fasanella (estratta viva da quelle macerie eppure piena di passione per il suo lavoro e di voglia di ricominciare), a narrare una storia che non può non richiamare una condizione pre-industriale eppure ancora pienamente attuale. “Raccontare il lavoro - ha affermato Costanza Quatriglio- ho cercato di mostrare come la condizione operaia oggi sia la stessa di quando c’era la fabbrica, anche nel rapporto con la macchina. Nel 2011 a Barletta non è stata solo una palazzina a crollare ma un’intera civiltà: qui la post-globalizzazione è sinonimo delle rovine sotto cui hanno perso la vita tanti nuovi schiavi. È l’implosione di una civiltà fondata sul mito della forza che nel Novecento si chiamava oppressione sociale. Dal 1911 al 2011 non è cambiato molto, per il semplice fatto che lo sfruttamento è ancora oggi una prassi accettata”. Prodotto da DocLab e Factory Film con Rai Cinema ed Istituto Luce Cinecittà, col sostegno del MiBACT-Direzione Generale per il Cinema e dell’Apulia Film Commission, AAMOD, INAIL, UDI, è stato presentato al 32° Torino Film Festival (nella sezione Diritti & Rovesci, curata da Paolo Virzì), dove si è aggiudicato il Premio Cipputi. “Sono molto felice per aver ricevuto il Premio Cipputiha dichiarato la regista - e ringrazio la comunità di Barletta, le lavoratrici e i lavoratori, e soprattutto i familiari delle vittime del crollo. Dedico con affetto il premio a Mariella Fasanella, augurandole di trovare finalmente un lavoro degno, nella sua città”. uscirà nelle sale all’inizio del 2015, distribuito da Istituto Luce Cinecittà.


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IL MONDO DEGLI ADOLESCENTI SECONDO SALVATORES

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età dell’oro, come viene chiamata l’adolescenza, può riservare anche delle brutte sorprese: la scoperta del proprio corpo, il sentirsi inadeguati rispetto ai propri coetanei, al mondo esterno, il desiderio di scomparire e al tempo stesso di essere notati, sono tutte caratteristiche che ritroviamo in Michele, protagonista tredicenne di Il ragazzo invisibile, ultimo film del regista Gabriele Salvatores (Marrakech Express, Quo Vadis baby?, Educazione Siberiana), un vero e proprio racconto di formazione e riti di passaggio ma a sfondo fantascientifico. Michele infatti, impopolare a scuola, timido ed introverso, riuscirà a farsi notare dalla sua compagna Stella quando, indossando per caso un abito da supereroe, si accorgerà di avere il potere di diventare invisibile, anche se dovrà imparare a gestirlo e dosarlo bene. Ma da dove viene questo super-potere? Qui la storia entra nella fantascienza e Michele sarà costretto a fare delle scelte fra la sua tranquilla vita da ‘invisibile’, protetto dall’amorevole mamma poliziotta ‘single’ (Valeria Golino) e l’avventura eroica e piena di imprevisti, occasione di riscatto agli occhi del mondo esterno. Salvatores conferma la sua raffinata capacità stilistica e l’originalità delle scelte autoriali, con un film che sa parlare ai giovani dei giovani e di un mondo in trasformazione senza effetti speciali eclatanti ma con lo sguardo di chi accompagna i ragazzi per aiutarli a crescere. Nel cast Ludovico Girardello e Noa Zatta, i due giovanissimi protagonisti, Fabrizio Bentivoglio, nel ruolo dello psicologo scolastico, Valeria Golino in quello della mamma di Michele, e Ksenija Rappoport. E.C.

UNA STORIA D’AMORE PER LA LIBERTÀ

L’

ultimo Ken Loach - Jimmy’s Hall - non delude, impegnato, poetico e very British (anzi Irish, in questo caso) come sempre e senza mai annoiare, sorretto da una solida sceneggiatura, con immagini e protagonisti scelti con grande cura e palesi richiami all’attualità socio-politica che continua ad opprimere i giusti e valorizzare gli oppressori. Jimmy Gralton (l’attore Barry Ward) è un lavoratore irlandese di idee progressiste e socialiste, costretto a fuggire in America, nel 1921, alla vigilia della Guerra Civile, perché osteggiato con determinazione dal parroco bigotto e dai conservatori locali per aver costruito, insieme ai suoi amici, una sala polivalente (la Pearse-Connolly Hall), dove tutto il Paese si ritrova per ballare, leggere, suonare e dipingere. Dopo dieci anni, nel bel mezzo della Grande Depressione, Gralton ritorna da New York ed i giovani del posto gli chiedono di riaprire la sala e ridare al villaggio uno spazio di pensiero. Ma la mentalità del clero locale, alleato ai signorotti che sorvegliano la ‘moralità’ e l’anti-comunismo del territorio, non sono cambiati, e Jimmy rischia la vita ed il carcere. Un film che non sembra girato da un regista settantottenne ma da uno spirito giovane ed anticonformista, come quello di Loach sarà sempre. Molto importante il ruolo attribuito dal regista alle arti ed alla cultura nella società, come mezzo unico per fare ‘comunità’, mantenere un pensiero indipendente e sottrarsi al controllo del potere bieco e del perbenismo. “Ci sono ancora molte persone appassionate ed idealiste - afferma Loach - ma sono poco rappresentate e chi è contro il mercato viene considerato un estremista”. E.C.

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leGGere l’ALBERO di BrUna Baldassarre

FaMiGlia

Sentiamo l’Avvocata il padre Violento e i Minori sentenZe a ConFronto di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it

aMare GLI ALTRI e ANCHE se stesse Cara Bruna, a 52 anni, mi sono trovata in grave difficoltà perché nella mia vita ho sempre anteposto il bene degli altri piuttosto che il mio. Ora alle donne direi: prima di amare gli altri, amate voi stesse! Per mio marito ho rinunciato a una vita VIVA dedicandomi solo a lui, ai miei due figli, alla casa e contemporaneamente ai miei genitori malati incurabili per molto tempo. Mai avrei pensato, però, di collezionare negli anni ferite molto più dolorose rispetto ai lutti vissuti… Cosa leggi dal mio albero? Milva Cara Milva, l’albero che hai disegnato narra il tuo dolore, ma pur condividendo ovviamente il messaggio diretto alle donne, mi sento di dirti che amando tutti i tuoi cari hai certamente amato anche una parte di te stessa, forse non proprio come sognavi di fare. Le ferite più dolorose degli stessi lutti fanno parte di quello scenario di vita che definisci “viva”. La dimensione della coscienza ci fa sentire il dolore ancora più forte di quanto si possa mai immaginare, ma proprio per la presenza di un Io cosciente possiamo scegliere finalmente di essere signore della nostra vita, della nostra storia biografica. Andiamo oltre le ferite e soffermiamoci non tanto sui vecchi schemi, ma su nuovi ritmi di vita. Il cuore diventa simbolicamente l’organo della nostra coscienza e proprio con il cuore ci stai narrando l’entità delle tue ferite. La “fase etico-morale”, come viene definita questa parte della vita fino ai 56 anni, richiede un atteggiamento benevolo su tutto l’agire, sentire e volere della persona e soprattutto un’autentica ricerca di nuovi valori. Il tuo albero ci parla di te, della tua essenzialità e della ricerca di copertura, di protezione, nonostante il tuo anelare verso una nuova indipendenza. Ci parla dei tuoi modi di persona che ama il bello e allo stesso tempo è oppressa dal peso delle prove. Ci suggerisce le tue esperienze che hanno inciso nella tua vita, a 24, 41, e a circa 45 anni. Una tendenza al sogno che può trasformarsi in eccessive difese anche autopunitive e che spesso non permette di vivere pienamente la realtà nei suoi aspetti dignitosi e gratificanti.

L

a violenza in famiglia può assumere diverse forme ma, a prescindere da come si manifesta, è sempre devastante, sia per le donne, sia per i figli. Purtroppo non sempre i giudici rispondono al fenomeno in maniera coesa, i loro punti di vista sono a volte diversi e danno purtroppo luogo a pronunce contrastanti che possono offrire il fianco al reiterarsi di condotte dannose, perché non censurate. Il punto della questione è se il minore ha per forza bisogno di confrontarsi con due genitori se il padre, posto che sia violento, è indispensabile; come questo padre può esercitare la sua genitorialità? Incontri protetti a vita? Oppure c’è un margine di recupero per l’uomo violento? Domande che a volta non trovano risposte, a volte le risposte sono diverse. Un recente titolo di giornale “Firenze, lui condannato per pugni all’ex moglie, ma il Giudice impone gli incontri col papà ‘vanno garantiti i rapporti con i due genitori’”. Ma è sempre vero? Di diverso avviso il Giudice penale di Roma, nella sua ordinanza si legge che il padre del minore si reca sotto casa e suona incessantemente al citofono dell’appartamento ove vive il bambino; telefona continuamente ed invia alla ex compagna sms molesti e minacciosi; minaccia l’ex compagna dicendole “vuoi vedere che ti ammazzo” alla presenza del figlio. Il Giudice, considerate tali condotte, protrattesi nel tempo senza alcuna remora a fronte del coinvolgimento del figlio minore, nonché caratterizzate da un’allarmante escalation ed intensità (culminata con un episodio di pesanti percosse alla donna davanti al bambino che piangeva inorridito), prescrive il divieto al padre di avvicinamento alla persona offesa e al figlio minore, con l’ulteriore prescrizione di non comunicare attraverso qualsiasi mezzo con l’ex compagna e con il minore. Una decisione del Giudice civile, una del Giudice penale, contrapposte ed inconciliabili: un padre violento allontanato, un padre violento imposto al minore che non desiderava avere contatti con lui. Forse ci vorrebbe un po’ di ordine e capire che un figlio maltrattato, un figlio testimone di violenza perpetrata ai danni di sua madre subisce danni, a volta irreversibili. È possibile tutelarlo? Occorre chiarire tanti dubbi, fare luce su molti aspetti, per poter dare indicazioni chiare ai soggetti deboli che necessitano di tutela.


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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi

Minestra minestrone minestrina Minestra, parola incredibilmente ricca di significati che, considerata la molteplicità dei modi di dire che la riguardano, a ben riflettere meriterebbe una ricerca e riflessione lunga e approfondita. “È sempre la stessa minestra” si usa dire per intendere che mai nulla cambia; un concetto su cui ci sarebbe non poco da discutere. Di minestre, infatti, che nel tempo passato tra l’altro indicavano ogni genere di primo, fosse asciutto o in brodo, se ne possono indicare una tale quantità da lasciare esterrefatti e da percorrere praticamente ogni verdura o legume o cereale che la terra aiuta a crescere. La minestra, definita dall’Artusi la biada dell’uomo, segue dalla notte dei tempi il mettere in cottura nella pentola ciò che ogni stagione offre nella sua diversità e anche

ciò che la casa possedeva. Si intendeva ad esempio quello che veniva conservato nella dispensa, o che magari era avanzato dai pranzi precedenti: i famosi resti, per intenderci. Pensiamo ai legumi, per esempio, fatti seccare al sole: oggi li comperiamo inscatolati o conservati da grandi ditte; pensiamo al pane secco ammorbidito da brodo, tanto per dare l’idea. Se, come sottolineato, la minestra rappresenta il primo in assoluto, con la parola minestrone nel gergo comune si precisa il piatto. Si intende dunque, per i più, quel profumato miscuglio di verdure, pazientemente tagliate a pezzettini, in molti casi aggiunte al soffritto di cipolle,

carote e odori (ma non necessariamente) e irrorate d’acqua. Calde e profumate dopo lunga cottura per amalgamarsi al meglio - o invece rapida per mantenere distinti i loro sapori - in particolare d’inverno aspettano i commensali nelle scodelle fumanti. Ma anche sul minestrone la traduzione riportata al parlare nell’uso comune non riserva un significato altrettanto gradevole. Accusare qualcuno di avere fatto un minestrone parlando, scrivendo o agendo - rappresenta la critica di avere prodotto un mescolamento, potremmo dire senza identità e tanto disordinato da non essere affatto interessante. Un altro modo di dire, “o mangi questa minestra o salti la finestra”, conferma ancora come per lungo tempo la minestra fosse il piatto principe e spesso unico nella mensa della maggioranza delle famiglie. Il detto infatti indica nella minestra la via obbligata alla cui rinuncia segue un risultato niente affatto esaltante: se parliamo di cibo significa digiuno, se ci riferiamo a comportamenti non lascia scampo che a fughe senza sbocco. Per gli appassionati della grammatica vale la pena di notare che il diminutivo di minestra, ovvero minestrina, sembra deviare non poco dall’idea di minestrone e un po’ anche da quello di minestra. Anzi possiamo notare che, quasi a conferma di una personalità originale, il sinonimo di minestrina potrebbe essere quello di minestra in brodo. Ovvero brodo vegetale o di carne con pastina (stelline, puntine, pasta grattata, cannolicchi etc) il tutto dedicato, in particolare per cena, a chi ama il brodo e/o una cosa calda o non sta

troppo bene e cerca cibo leggero e nutriente. Dispiace interrompersi su di un cibo che si apre a tante riflessioni e che non è affatto “sempre la stessa minestra riscaldata”. La ricerca, sia alimentare che dei significati sociologici, potrete comunque continuarla autonomamente e intanto nella stagione fredda suggerisco una ricetta.

RICETTE Minestra di lenticchie (o di cioccolata per i bimbi). Una carota , una piccola cipolla, una costa di sedano. Fare un soffritto a cui aggiungere un cucchiaino di concentrato di pomodoro. Aggiungere le lenticchie e una volta cotte passarne una metà e poi pastina a forma di ditalini non troppo fitta. Minestrone più leggero Suggerisco un esperimento per rendere il minestrone più leggero: sostituire la patata con una mela a pezzetti.


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DIVERSI MA PARI

Educazione alla relazione tra fiabe e crossmedialità

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ducazione al rispetto delle diversità, delle differenze di genere e alla percezione degli stereotipi negativi o lesivi della dignità umana. Sono questi gli obiettivi del progetto Diversi ma Pari (bando Regione Lazio per le scuole On Demand) della Cooperativa Libera Stampa. Ispirato a PariLiberaTutti di Marina Caleffi e al suo libro Hansel Gretel e Momo, il progetto è stato attuato negli Istituti comprensivi Anzio V e Nettuno III in alcune classi di elementari e medie inferiori. All’interesse delle famiglie si è unita l’adesione delle insegnanti e delle scolaresche con una partecipazione che da subito si è mostrata entusiasta. Le storie scritte dalle otto classi sono originali e corredate di splendide illustrazioni. Tutte insieme sono diventate un bel libro, edito anche in versione eBook e divulgato nella rete a partire dal sito www.noidonne.org, che sarà presentato a gennaio negli Istituti stessi.

DONNE

E CONSUMI di Viola Conti

USURA E SPORTELLO ‘SDEBITIAMOCI’ Il fenomeno dell’usura e del sovraindebitamento assumono dimensioni allarmanti nel nostro Paese. Federconsumatori e Ambulatorio Antiusura Onlus impegnate per aiutare i cittadini coinvolti attraverso la consulenza gratuita dello sportello “Sdebitiamoci”. I dati diffusi il mese scorso sull’illegalità che colpisce e danneggia le imprese rappresentano un segnale allarmante. Sono particolarmente rilevanti gli indicatori sulla crescita del fenomeno dell’usura nel nostro Paese. Secondo uno studio diffuso recentemente da Confcommercio il 28,9% dei commercianti conferma la crescita nell’ultimo anno del ricorso al prestito ad usura. Dalle numerose richieste di aiuto pervenute allo sportello di Federconsumatori e Ambulatorio Antiusura Onlus, dedicato al sovraindebitamento e all’usura si attesta un grave aumento di entrambi i fenomeni. “I dati registrati sul campo” dichiarano Luigi Ciatti presidente dell’Ambulatorio Antiusura e Sergio Veroli, Vice Presidente Federconsumatori “denunciano non solo un aumento costante dei casi di circa il 20% su base annua, ma che l’indebitamento medio delle famiglie è cresciuto in modo preoccupante.” Fino a pochi anni fa con 15.000 € si riusciva a risolvere molti casi di indebitamento, oggi non ne bastano 35.000. Lo sportello “Sdebitiamoci” rappresenta un supporto concreto che, attraverso l’aiuto di esperti legali, fornisce un aiuto ai cittadini vittime di sovraindebitamento o usura, individuando percorsi di risoluzione personalizzati volti a riorganizzare il bilancio familiare, ristrutturare il debito e prevenire, ove possibile, lo sbocco in circuiti criminosi usurari. Lo sportello è attivo e a disposizione di tutti i cittadini per offrire gratuitamente consulenza legale a persone sovraindebitate o vittime di usura.

Per fissare un appuntamento basta chiamare il numero 3403713926


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L’OROSCOPO DI

Gennaio

PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI

CARA LEONE,

CARA ARIETE,

nel suo libro Small changes l’architetto Hamdi Nabeel spiega come un piccolo cambiamento nell’urbanistica di una città - costruire una fermata dell’autobus in uno slum, chiudere una strada alle macchine nel centro di una metropoli, mettere un lampione in un angolo buio - possa significare un’enorme trasformazione e cambiare in meglio la vita dei cittadini. Cara amica, secondo me la metafora è già abbastanza chiara, o devo ancora esplicitarne il senso? Cominciamo dalle piccole cose... CARA TORO,

il filosofo francese Michel Foucault ha dichiarato in una intervista: “I libri che scrivo costituiscono per me un’esperienza. [...] Un’esperienza è qualcosa da cui si esce trasformati. [...] Scrivo proprio perché non so ancora cosa pensare di un argomento che attira il mio interesse”. Insomma, per iniziare qualcosa non c’è bisogno di sapere proprio tutto sull’argomento. Si impara e ci si trasforma durante l’esperienza che ne facciamo. È una riflessione, questa, e insieme una sollecitazione e un invito!

la coreografa sudafricana Dada Masilo mette in scena i classici del balletto, trasformandone però l’ambientazione, e a volte anche la trama, e facendone degli intensi spettacoli di danza e ritmi contemporanei. Nella Carmen, ultima sua fatica, la protagonista invece di essere uccisa subisce uno stupro, che i suoi amici vendicheranno assassinando il colpevole, il quale rimane invece impunito nell’originale. Un po’ forte, lo so. Ma bello e coinvolgente. Dunque: i finali delle storie si possono anche cambiare. CARA VERGINE,

la giornalista e scrittrice statunitense Joan Didion ha detto una volta che quando il femminismo diventa soltanto una spinta alla realizzazione personale e una società di mutua assistenza, smette di essere un movimento e diventa un sintomo. È crudele, questa affermazione, ma è anche molto vera: se ai nostri slanci e desideri leviamo l’energia e l’utopia delle grandi battaglie, tutto diventa noioso, meschino e anche ... patologico. Non cedere, allora, anzi è il momento di rilanciare! CARA BILANCIA,

ti dedico alcuni versi scritti nel 1947 dal grande poeta Franco Fortini, dedicati all’amicizia: “ Una sola parola,/una sola parola può bastare,/ una sola parola/dall’amico dagli occhi neri vivi [...]. Così dalla miseria/si leva l’amicizia e il desiderio/come la bella pioggia/rompe le secche foglie e lava e splende/ogni cosa e rinnova”. Un anno di conferme e impegno si preannuncia già tutto in questo mese, durante il quale le amicizie potranno essere una risorsa decisiva.

recentemente una mia giovane, brava e bella amica mi ha raccontato questa storia (come capirai, non posso dire nomi né dare dettagli). Incontra un tipo una sera, si piacciono e si baciano. Cominciano a sentirsi spesso, ma lui non le propone mai di uscire. Niente, solo telefono. La mia interpretazione è sospettosa: sarà impegnato? O perverso? Quella di lei è semplice e sconvolgente: lui lavora molto e la sera non ha voglia di uscire. Cos’è questa apatia? Individuale, generazionale, o zodiacale? Possibile che si rinunci a nuove conoscenze, al sesso o magari all’amore per semplice stanchezza? Corri questo rischio? Pensiamoci su.

CARA CANCRO,

CARA SCORPIONE,

CARA GEMELLI,

la coppia di registi Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi lavora da anni su materiali di archivio, rifilmando e rimontando vecchi fotogrammi girati da cineoperatori di Paesi in guerra. Eppure, pur lavorando su immagini del passato, nelle interviste insistono sul fatto che il loro interesse è in primo luogo nel presente: rifilmare un’immagine significa ri-significarla e attualizzarla. Sei rappresentante di un segno amante del passato e della memoria, ma questo mese i pianeti ti coinvolgono nel presente e anzi ti spingono verso il futuro.

scriveva Freud che quando si incontra un problema di difficile soluzione è spesso necessario scomporlo in due parti, sollevare un secondo problema, allo stesso modo in cui per rompere il guscio di una noce è più facile utilizzare due noci, una contro l’altra. La tua intelligenza analitica ti renderà facile questa operazione di scomposizione e risoluzione con i piccoli problemi di questo mese, preparatori a un anno che potrebbe essere decisivo.

CARA SAGITTARIO,

così lo scrittore Patrick Modiano descrive la visita ad un Aquarium del protagonista del libro Fiori di rovina: “Nella sala ... solo gli acquari erano illuminati. A poco a poco, in fondo a questa penombra, ho ritrovato la calma. [...] I pesci avevano colori tanto vivaci quanto le automobiline d’autoscontro della mia infanzia: rosa, turchese, verde smeraldo... Non facevano rumore”. Sarà questa sensazione di calma a permeare questo mese, da febbraio i pianeti indurranno invece alla produttività e all’azione. CARA CAPRICORNO,

il tuo segno è uno dei più realisti e lucidi dello zodiaco. Ma la realtà, quella inscalfibile e insuperabile, non si può mai vedere direttamente, né osservare per intero. Al reale, come diceva lo psicoanalista francese Jacques Lacan, possiamo accedere solo attraverso delle immagini, oppure coglierne, a tratti, delle parti, dei brevi momenti. Non essere intransigente, dunque, con chi intorno a te usa questa strategia così diffusa e consona alle possibilità della psiche umana. CARA ACQUARIO,

la scrittrice e psicoanalista Lou Andreas-Salomé ha affermato una volta: “Non so vivere secondo un modello e non potrò mai servire da modello ad alcuno; invece, quel che farò sarà vivere la mia vita come mi piace”. Ti stupisce se ti dico che era del tuo stesso segno? Se per qualche motivo ultimamente hai accettato situazioni soffocanti e modelli conformisti, i pianeti suggeriscono che ora è proprio il momento di un colpo di coda. Niente più modelli. La vita come ti piace. CARA PESCI,

il monaco zen Suzuki, nato in Giappone nel 1870, era solito ricordare questo aneddoto: una volta un saggio maestro zen, interrogato da un discepolo su come trovare il satori, cioè l’illuminazione, rispose: “Interroga le parole vive e non le parole morte”. Non so se ho capito bene cosa significa questa frase: non cercare le risposte nei libri, ma negli esseri viventi? Nell’attesa che Suzuki mi illumini, lo voglio interpretare così, e proporlo a te come consiglio per questo mese.

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Paola Pinna

Il viaggio della parola Il senso di un luogo è da cercare nel viaggio che compiamo per raggiungerlo di Luca Benassi

I

l viaggio è uno dei gradi temi della letteratura di ogni epoca e cultura. Si potrebbe affermare come, al di là della scrittura odeporica in senso stretto, l’archetipo del “mettersi in viaggio” è presente in ogni opera letteraria, a partire dal periglioso ritorno a Itaca dell’astuto Ulisse fino al cammino nell’oltretomba di Dante Alighieri. Prendere il largo, mettersi in cammino, scendere agl’inferi, affrontare l’abisso di se stessi, trovare le origini, raggiungere l’estremo, cercare l’amore sono temi che spingono alla scrittura e all’arte, mettono l’essere umano in ricerca e lo conducono e ci conducono - verso l’altrove. Paola Pinna affronta il tema del viaggio in “Andàre e torrare” (edizione privata 2013), una plaquette smilza quanto ricchissima di bellezza e suggestione. Si tratta di un libro

d’arte, impreziosito da riproduzioni di illustrazioni e acquarelli di Rosalba Suelzu. È proprio l’artista sassarese a fornire la chiave di accesso a questi versi: “illustrare le poesie di Paola Pinna è stato per me come un viaggiare per mare cercando nuove rotte come richiestomi dai testi e dell’autrice. A volte avanzavo con la gioia delle vele gonfiate dal vento in poppa e a volte con l’incertezza di chi in mezzo alla tempesta non trova approdi.” Il mare, il suo essere ponte fra culture e civiltà, e un’isola; il mediterraneo culla della storia e la Sardegna: sono questi i luoghi e gli estremi di Paola Pinna, poetessa “nomade” (vive fra Roma e Sassari) sempre alla ricerca di nuove rotte ed esperienze, di incontri con giovani artisti che presenta in ogni occasione pubblica, di ricerca nella storia e nella cultura della sua isola, nell’uso della lingua poiché scrive in italiano in sardo logudorese. “Andàre e torrare”, non è solo la traversata del braccio di mare che separa il continente dall’isola di Sardegna, è l’affondare nei percorsi della storia e della natura, alla ricerca delle proprie origini, dei luoghi nei quali trovare la parola “casa”, il senso della terra e della bellezza, il suono e il colore che fanno vibrare il cuore, regalando coraggio e consapevolezza. Fabrizio Da Andrè, che aveva fatto della Sardegna il suo luogo di elezione, soleva dire che non siamo noi a sceglierci una terra ma è la terra a scegliere noi. Pinna ci racconta che il senso di un luogo e la sua elezione a terra dell’anima, sono da cercare nel viaggio che compiamo per raggiungere quei luoghi, come la lumaca di uno dei testi più intensi della raccolta, che nel suo continuo spostarsi, nel suo essere continuamente in viaggio, è essa stessa “casa”, sempre e ovunque.

La caldera di Santorini Da queste spiagge nere Dalle pietraie senza più voce di fiumi Dalle bocche cicladiche fumanti e silenti Dai grandi fianchi della bella Thera Dai sacelli sacri di Delo Da dove nascano gli uccelli Con nel becco le perle Dimmi Atlantide In che terra nascono i fiori che portano da soli I petali a mia madre Con sopra scritti i nomi non dei dolori Dimmi è tempo per chi ormai dai prati sopra il cielo è accolto di rivelare quali Muse in terra riposino e se intorno al mio cuore il sangue s’agghiaccia dimmi Ichnusa perché mi piacciono i venti e il sapore dei mari ignoti e i frutti ancora segreti del mondo: l’armonia che schiude all’abbraccio ~

I papaveri rossi assieme alle fresie di gennaio alle rose di maggio giacciono i papaveri di giugno sono quelli che più ti piacevano quest’anno spuntati precoci li ho visti subito caldi feroci dolci e tristi e non capivo perchè sono lì per te all’ultimo viaggio che renderò sempre primo


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